[Trama] Before the Miracle

Asarthur → Black Libra

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    BEFORE THE MIRACLE

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    La città è sconfinata. I palazzi mischiano pietra, acciaio, cristallo e marmo in forme che i tuoi occhi non hanno mai nemmeno sperato di vedere. Il cielo artificiale sotto la volta dell'immensa caverna splende nella più perfetta sfumatura di azzurro. La luce si diffonde naturalmente, sebbene tu non riesca a identificarne la vera fonte. Se non fosse per i crepacci oscuri che si aprono nel soffitto, non sapresti di trovarti sotto terra.

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    La visione si interrompe bruscamente. Il tuo mentore si sta massaggiando le tempie, provato dallo sforzo mentale richiesto per mantenere attiva la reliquia. L'holocron danneggiato giace su un piedistallo tra voi, collegato ai sistemi di analisi di Ch.Or.O.S., che registra ogni fluttuazione energetica sulla base degli analoghi reperti dell'epoca. Il cristallo grigio al centro è crepato ed emette un debole ronzio mentre il bagliore nel centro va scemando rapidamente. Ci sono voluti diversi giorni per estrarre quei pochi frammenti di informazioni, fugaci immagini di un tempo ormai perduto.

    È vecchio quasi quanto l'Ordine e danneggiato oltre il punto di recupero, ormai. - anche la sua voce è stanca, strascicata - E sembra legato al vecchio laboratorio sulle isole Dahlak, al largo dell'Eritrea, ma quel posto è stato svuotato anni fa.

    Fa una pausa, offrendoti un infuso caldo ottenuto da una pianta che cresce solo su Death Queen Island e bevendone un sorso dalla sua tazza.

    Mi sembra difficile che abbiano lasciato anche solo un granello di polvere fuori posto, dopo aver portato tutto qui, ma vorrei che indagassi comunque. Ti interessa?

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    Note Master:
    Alur, iniziamo con un'intro abbastanza classica. Law ti mostra l'holocron e te lo affida per questa missione. Prima di partire hai la possibilità di documentarti su ciò che è avvenuto nel laboratorio tramite i documenti dell'Archivio. La vicenda la trovi QUI.
    Il posto è stato completamente ripulito, dentro e fuori, e restano solo le stanze vuote e i corridoi. Non percepisci nulla se non una strana vibrazione cosmica incostante proveniente dall'holocron, quando ti trovi nella stanza della forgia dove Candice aveva tentato il primo Up-cloth Black dell'epoca moderna. Decidi come indagare e cosa fare in generale. Info semplici posso dartele direttamente per la stesura, mentre interazioni eventuali lasciale al condizionale in chiusura del post.


     
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    Alaric contemplava pieno di stupore la città dinanzi ai suoi occhi, una meravigliosa utopia uscita dai sogni dei più saggi del loro ordine, con immani costruzioni alte fino al cielo, o meglio, fino al finto cielo, dato che la costruzione si trovava evidentemente in un'ambiente sotterraneo, in cui la sapiente mano di un architetto che doveva essere anche un artista aveva creato l'armoniosa fusione non dell'acciaio e del vetro, che anche i moderni erano riusciti a ottenere con i loro palazzi e grattacieli, ma dell'acciaio e del marmo, della pietra e del cristallo, materiali così diversi, così apparentemente slegati tra loro che era difficile anche solo immaginare che qualcuno avesse avuto la perizia di realizzare qualcosa di così audace e magnifico al tempo stesso. L'ambiente circostante era chiaramente pensato per ingannare i sensi, pensò l'uomo, distogliendo l'attenzione dai meravigliosi edifici e concentrandola invece sulla volta sopra di essi: il colore era di un azzurro brillante, come solo il cielo d'estate sa essere, e la luce si diffondeva ovunque in modo sapiente e naturale, al punto che era pressoché impossibile cogliere che lo scenario rappresentato fosse sotto terra. Un solo indizio tradiva questa cosa, un indizio ben celato ma visibile, se ricercato con attenzione, ed erano dei crepacci, oscuri e profondi che si aprivano verso l'alto nell'altrimenti immacolato cielo terso, simili a squarci in una tela. Quando alla fine l'immagine svanì, la Reliquia spezzata, un'holocron antichissimo con, al centro, un nucleo di Orium ormai sbiadito dal tempo, grigio e vuoto, in cui solo un pallido pulsare indicava l'antica potenza, sembrò disattivarsi in modo definitivo e Darth Hybris, che la stava mantenendo attiva con i propri poteri, si massaggiò le tempie, chiaramente esausto, dopo i giorni di tentativi e il continuo investimento di energie per estrarre quelle poche informazioni dal cristallo. Si lasciò andare ad alcuni commenti, prima di prendere una tazza e porgerla ad Alaric, che subito riconobbe dal colore blu brillante e dall'intenso profumo del liquido in essa contenuto, il tè di Ombra della Sera, ottenuto da una pianta che cresceva solamente in quel piccolo e remoto angolo del mondo. Sorseggiò l'infuso azzurro, pensoso, assaporandone distrattamente il bouquet complesso e raffinato, apprezzandone le mutevoli note aromatiche, che fluttuavano elegantemente da quelle pungenti della menta a quelle calde e avvolgenti della pesca e dell'albicocca, con una punta di amaro, leggera, giusto un fin di bocca, che invitava a ad assaggiare ancora la bevanda. Quasi nulla di quello che Lawrence gli stava spiegando gli suonava nuovo, aveva già avuto modo di mettere mano a molte informazioni sul laboratorio nascosto alle Dahlak.

    "Intendete la spedizione condotta dalla Signora Hayez, giusto? Il primo tentativo di elevare una Kintaral oltre i suoi limiti da migliaia di anni. Ho letto e ascoltato quei resoconti, mentre lavorato per la Rete, e sembra che effettivamente siano stato svolte indagini scrupolose, seguite da un'altrettanto scrupolosa spogliazione del sito. Lord von Faust non era tipo da lasciarsi sfuggire roba simile."

    Appoggiò la tazza bianca sul piano nero del tavolo, ben consapevole di quanto il suo Maestro odiasse che gli desse del lei, cosa inevitabile, dato il rispetto che provava per lui, accarezzandosi la barba con la mano, prima di lanciare un maligno commento in puro stile britannico.

    "Invero però, nonostante l'ottimo lavoro svolto nel recuperare il tutto, la precedente generazione in quel sito non si è avvalsa di seri professionisti per quanto riguarda la ricerca di ulteriori prove storico-archeologiche sul nostro passato, al di là di quelle palesemente riscontrabili anche a un gretto manovale. Salvo qualche rara perla come il sottoscritto, del resto, un soldato difficilmente è un buon ricercatore."

    Prima ancora che glielo chiedesse, in ogni caso, Alaric aveva però capito dove Lawrence voleva andare a parare, ed era per questo che si era esposto tanto, nel parlare. Del resto, era il piano migliore che si potesse adottare in quel momento, nonché quello a lui più congeniale. Quando la proposta venne fatta, l'uomo non tentò nemmeno di fingere di non ritenersi degno di tanta fiducia da parte del mentore, e anzi, agì subito nel modo più freddo e professionale possibile, senza finta modestia e senza lesinare in richieste.

    "Mi conoscete, Maestro, ovviamente mi interessa. Partirò domani mattina, se così vi aggrada, tuttavia vi chiederei l'autorizzazione ad utilizzare il nuovo mezzo, così da capire se il motore a totale induzione cosmica può effettivamente risultare funzionale o meno, e porterò con me alcuni dei nuovi droni alimentari ad Orium, così faremo anche alcuni test sul campo per quelli. Mi servirà anche Renée: se c'è qualcuno che può essere d'aiuto in una missione come questa, può essere solo lei. Dovrei anche chiedervi la protezione di uno dei vostri Angeli Custodi, giusto per andare sul sicuro. Non che non mi fidi delle mie capacità, ma la mia padronanza del Cosmo non può dirsi paragonabile alla loro. Lucy, direi, considerato l'altro membro della compagnia, direi che sarebbe proprio la scelta più adatta. Per il resto, direi che oltre al pilota non sarà necessario che si unisca nessun altro, in questo modo la missione risulterà più tranquilla e gireranno meno voci, specialmente ad orecchie poco... desiderate. Non serva aggiunga altro, immagino."

    Allungò una mano verso l'holocron, focalizzandosi su di esso e trasformando la sua mano in un centro gravitazionale, attirandolo senza sforzo tra le proprie dita. Lo soppesò per qualche istante, osservandone il cristallo danneggiato, prima di inchinarsi verso Black Gemini.

    "Se non c'è altro, Signore, tornerei nei miei alloggi, mi aggiornerò sugli ultimi file mancanti dell'archivio e mi preparerò per la partenza di domani mattina.

    Quando Lawrence lo congedò, Alaric uscì dalle sue sale, dirigendosi verso l'Archivio, dove si assicurò che i documenti essenziali per la missione non si trovassero in qualche holocron, le uniche fonti di informazione non collegati al sistema operativo di Ch.Or.O.S., facendo anche una copia dei documenti cartacei, che si sarebbe riletto con calma in serata. Lo aveva già fatto, come riferito a Lawrence, ma come ricercatore Alaric era maniacale ed ossessivo: non si sarebbe lasciato sfuggire neanche una maledetta virgola da quei resoconti, compresi gli inventari che erano stati fatti della roba portata via dall'antica forgia. Arrivato nei suoi alloggi, Alaric fece una rapida e solitaria cena, eseguì la sua solita routine serale, e poco dopo le 23 si mise a letto. Stette ancora un'ora buona a leggere a letto, ascoltando nel frattempo le registrazioni e consultando il proprio tablet per assicurarsi che tutto funzionasse in maniera ottimale. Quando gli occhi cominciarono a bruciare per lo sforzo di leggere e ricontrollare diagrammi e tabulati, l'uomo decise che aveva tardato anche troppo. Posò i documenti e il tablet nella borsa in cui si trovava anche l'holocron, tornò a letto e, prima di spegnere la luce accarezzò con tenerezza la fotografia della sua famiglia sul comodino, facendo indugiare l'indice sul volto di Erika, cercando di non pensare all'ultima volta che aveva visto lei e Josh. Sospirò, scacciando i ricordi, si rimise sotto le coperte e spense le luci, voltando le spalle alla fotografia e stringendo il cuscino con un braccio. Sperava intensamente che, almeno quella notte, gli incubi non sarebbero venuti a tormentarlo, e, come sempre, ne fu deluso...

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    Quando suonò la sveglia, ben prima dell'alba, Alaric si alzò di scatto, con un sospiro, scuotendo la testa per scacciare i residui del solito, orrido incubo che lo accompagnava da un decennio e più, una mano a massaggiarsi occhi e radice del naso. Poi, ritrovata la sua calma interiore, si alzò dal letto, levandosi la maglia e i pantaloni del pigiama per dedicarsi alla routine mattutina che seguiva da ormai una vita: cominciò con dello stretching, per circa un quarto d'ora, dedicandosi poi, appena ebbe scaldato i muscoli, ridando loro elasticità, ad svariate serie di trazioni, flessioni e addominali, forzando il suo corpo in una situazione di forte stress già dai primi istanti di veglia, non concedendosi neanche un singolo istante di pausa. Solo una volta che ebbe completato l'ultima, dolorosa, serie di esercizi si concesse un breve defaticamento per poi dirigersi, ancora leggermente ansante, verso il bagno del suo alloggio, aprendo l'acqua della doccia e concedendosi 10 minuti di tranquillità sotto il getto bollente, passandosi il corpo con uno straccio imbevuto di olii aromatici, prima di abbassare improvvisamente la temperatura, restando immobile, con i muscoli tesi, sotto l'acqua gelida per un paio di minuti. LA sua routine, serrata e immutabile, proseguì poi sistemandosi la barba e i capelli con pettine e forbici, per regolarne la lunghezza ed eliminare quelli che proprio non volevano stare al loro posto, così da ottenere un effetto di ordine assolutamente perfetto. Prese pochissima pasta fissante dal leggero profumo di agrumi, la bagnò e si pettinò i capelli all'indietro, fissandoli bene nella loro posizione. Dopo essersi dato un'ultima occhiata, per essere sicuro di non aver tralasciato nulla, tornò in camera da letto, dove indossò finalmente gli abiti che lo avrebbero accompagnato in quella missione. Per quanto non gli sarebbe dispiaciuto indossare comodi pantaloni kaki e una camicia sbottonata, dato il calore che avrebbero trovato alle Dahlak, si costrinse a seguire la ferrea prassi della sua mattina, indossando la propria "uniforme" nera. Per prima indossò una normalissima camicia bianca, che infilò in pantaloni aderenti che sembravano di pelle, ma in realtà erano realizzati di un particolare polimero rinforzato, specialmente sulle cosce e nella zona del cavallo. Sul petto indossò la protezione per il torace, ben calzante e non ingombrante, simile ad un dolcevita nero, ma infinitamente più robusta, e decisamente più rigida, poi i bracciali in cui erano inseriti anche dei comandi che gli sarebbero serviti durante la missione, realizzati dello stesso materiale della corazza, con il rango da capitano che si era conquistato negli anni di servizio riportato sulle spalline sia dell'uniforme che del cappotto di pelle, anch'esso rinforzato dalle lamine della corazza e dei bracciali, ampio e comodo, che una volta indossato gli sarebbe arrivato fino ai piedi, ma che per il momento si limitò a tenere sotto braccio, senza indossarlo, mentre l'uroboro d'argento, simbolo dell'ordine, campeggiava fiero sul colletto della divisa e sul braccio sinistro. Solo a quel punto, finalmente, mentre si infilava l'auricolare e raccoglieva la borsa con l'holocron e il tablet, andò in cucina a concedersi una breve e semplice colazione: imburrò due fette biscottate, su cui poi spalmò una generosa dose di marmellata di arance, e accese il bollitore ad induzione per scaldare l'acqua, mentre nel filtro della sua teiera preferita faceva cadere un cucchiaio abbondante di tè earl grey in foglie, che avrebbe bevuto rigorosamente senza zucchero. Consumò il tutto nel silenzio assoluto, mentre rileggeva gli appunti presi nei giorni precedenti sulla situazione in cui stava andando a infilarsi, per poi riporre i piatti nel lavabo, aprire l'acqua e pulirli rapidamente ma con maniacale precisione. Versò poi quanto restava del tè in un thermos da viaggio e, recuperato il cappotto da una sedia, lo indossò e si avviò verso l'ingresso. Guardò l'orologio, constatando che era ancora molto presto. Si concesse un sorriso pallido, lo stesso di tutte le mattine, e come tutte le mattine la stessa battuta gli affiorò alla mente.

    "Ottimo, riuscirò ad arrivare perfettamente in anticipo."

    Infilò gli stivali e, preso il suo cappello da ufficiale, sempre nero e marchiato con l'uroboro, se lo calò sul capo ed uscì dalla porta con ampi passi rilassati. La stessa maledetta routine, tutte le mattine di tutti i giorni, per 12 fottuti anni. Solo un pazzo, continuava a ripetersi, avrebbe seguito ossessivamente una pratica, fino a renderla una parte quasi automatica della sua vita, eppure gli era impossibile non pensare che era proprio quella follia a mantenerlo sano di mente: le cose che aveva visto, negli anni, sia tra gli orrori dei corrotti sia tra gli orrori compiuti dai suoi Signori, avrebbero compromesso da tempo il suo cervello, se quel mantra ossessivo non lo avesse tenuto impegnato ogni giorno, svuotandogli completamente la testa fino a trovare una sorta di equilibrio. Quando arrivò agli hangar, non poté che essere soddisfatto: Lawrence, come sempre, era andato incontro a ogni sua richiesta, fornendogli esattamente il mezzo che aveva richiesto: lo Strix 77, l'aereo da incursione a cui le migliori menti dell'Isola avevano lavorato per mesi, dotato di un motore a induzione cosmica di ultimissima generazione, completamente indipendente dall'uso di fonti d'energia alternative, dotato della migliore tecnologia stealth disponibile e di un assortimento di armamentario leggero e pesante, utile per eliminare un'ampia gamma di bersagli. La sua forma era affusolata, le ali così sottili ai bordi da risultare taglienti come bisturi, e se si fosse dimostrato performante come nei test, il viaggio per arrivare nel Mar Rosso sarebbe state decisamente molto breve.

    "Capitano Ackermann, signore, siete in ampio anticipo!"

    La voce, che aveva parlato con la cadenza strascicata della Louisiana riscosse Alaric dai suoi pensieri, mentre il pilota del mezzo si faceva avanti, comparendo da dietro il veicolo, con addosso la tuta verde scuro degli aviatori e il casco da pilota sotto braccio. Nella sua testa i dati e le informazioni su di lui vennero subito a galla, permettendo all'inglese di capire immediatamente con chi stava parlando: tenente Benjamin Willson, nato a Baton Rouge, USA, classe 1989, detto Soldatino dai suoi commilitoni per i modi formali e l'altezza di un metro e settanta, 97 missioni alle spalle di cui 35 come pilota, tornato sempre senza un graffio da ognuna di esse. Si trattava di uno dei soldati più promettenti dell'Isola, nonché del miglior pilota disponibile sulla stessa. E da vedere, non era decisamente male.



    Alaric rispose al suo saluto militare, scrollando poi le spalle con un sorriso professionale sul viso.

    "Riposo, tenente. Ne sono consapevole, ma è proprio quando si arriva in anticipo che si può constatare se la gente sta lavorando efficientemente o necessita di un qualche tipo di stimolo."

    "Non temete, signore, questo mezzo è pronto e in ordine, potrebbe partire anche adesso. I tecnici sono appena andati via, hanno controllato tutti i parametri e siamo a cavallo. In forse un'ora e mezza dovremmo arrivare all'obbiettivo."

    "E l'attrezzatura?"

    "Caricata e pronta, signore. Abbiamo, oltre al suo equipaggiamento, i 6 droidi ricognitori avanzati sono già sistemati nel vano di trasporto."

    "Meraviglioso. Attendiamo la signorina Tapert e la signorina Raimi, dopodiché potremo partire."

    Non dovettero attendere che una manciata di minuti: le porte automatiche dell'hangar si aprirono e due donne entrarono nel loro campo visivo: una era alta, lunghi capelli neri, occhi azzurri molto profondi, con addosso un'armatura decisamente non convenzionale e un chakram in orium nero appeso alla cintura, piglio fiero, da guerriera, e un volto bello ma dai tratti spigolosi; l'altra era bionda, di qualche anno più giovane, con corti capelli biondi, occhi chiari e un taglio del volto più gentile ma non meno fiero, con addosso l'uniforme dei ricercatori che non celava gli elaborati tatuaggi mendi sulle mani. Le due donne erano intente a chiacchierare tra loro, e non si accorsero di Alaric e del pilota se non quando furono a 10 metri da loro. Lucy rise, una risata ricca e graffiante, mentre metteva una mano attorno alle spalle della compagna.

    "Visto, tesoro? Ho vinto io. Non potevamo batterlo in puntualità, dovevamo alzarci come minimo alle 4!"

    Renée lo osservò corrucciata, come sempre quando veniva messa davanti alla follia che Alaric eseguiva ogni mattina.

    "Dovresti concederti di dormire un po' di più, Al, non fa bene né all'umore né alla pelle la routine che segui tu."

    Anche Alaric si concesse una risata, mentre si sfilava il cappello e faceva un inchino.

    "Mie care signore, per me essere puntuale vuol dire essere in anticipo di almeno un'ora. E Renée, per tua informazione, la mia skincare serale è ferrea e rigorosa quanto la routine mattutina."

    Dopo quell'ultima battuta, accompagnata dal risolino della bionda, che comunque continuò a fissarlo come una madre apprensiva, sebbene fosse più giovane di lui di quasi 10 anni, Alaric si voltò verso il pilota, il volto nuovamente serio, facendogli cenno con il capo, e questi subito andò al mezzo, facendo aprire il portellone e permettendo a tutti di salire sullo Strix. L'inglese prese posto, legandosi la cintura di sicurezza, ma non sarebbe rimasto inattivo durante il volo: la missione che doveva affrontare era delicata, doveva avere un quadro della situazione il più chiaro possibile. Recuperò il suo tablet, connettendolo al suo auricolare, e, con voce ferma, mentre il mezzo cominciava a rullare verso l'uscita dell'hangar, impartì un comando.

    "Ch.Or.O.S. riproduci il file C.P.H 020."

    Il tablet cominciò ad andare in automatico, selezionando ed aprendo varie cartelle di memoria fino ad arrivare a quella richiesta da Akkerman: la registrazione fatta dall'ultimo Scorpione Nero durante il suo tentativo di innalzare la propria armatura nera, un evento unico, mai avvenuto da millenni nell'ordine, da prima della caduta dell'ordine, di fatto, che era stato digitalizzato insieme a tutti gli altri documenti scritti, ai video e alle registrazioni non conservate negli Holocron su ordine di Darth Hybris, immagazzinando anche queste informazioni all'interno dell'onnisciente sistema operativo dell'isola. Mentre questo avveniva, l'aereo uscì dalle tenebre dell'hangar, risplendendo tenebroso nell'alba dei Mari del Sud, mentre i propulsori sotto le ali ed il ventre lo sollevavano in verticale, preparandolo alla partenza.

    "Tenetevi saldi, non sarà una partenza delicata."

    Avvisò il pilota mentre attivava in rapida successione una serie di interruttori e comandi. Renée e Lucy continuarono amabilmente a chiacchiere dei fatti loro, Alaric nemmeno prestò attenzione alla conversazione, troppo intento a prepararsi alle fasi successive. Proprio mentre veniva spinto indietro sul sedile, con il caccia che partiva ad una velocità impensabile per qualsiasi altro mezzo progettato dagli umani degli anni precedenti, il suo orecchio si riempì della calda voce leggermente trepidante della scomparsa e ancora compianta Black Scorpio, che Alaric ricordava sia per la sua immane forza sia per la folgorante bellezza, che aveva colpito chiunque sull'Isola, anche chi, come lui, l'aveva osservata solo da molto lontano e per pochi istanti. Era la terza volta che la ascoltava in 2 giorni, ma voleva essere sicuro di non essersi perso nessun passaggio. Davanti ai suoi occhi, lo schermo del tablet si illuminò di blu, manifestando anche le trascrizioni delle ulteriori ricerche svolte nei giorni successivi alla missione della Hayez.

    "Entry 020, Isole Dahlak, 26 giugno. Diario di Candice Penelope Hayez, Black Scorpio. Sto per cominciare la prima procedura di upgrade di una Black Cloth dopo millenni, seguendo le indicazioni trovate nell'holocron di Darth Liriya dell'Ariete..."

    Con la voce della donna a rievocare tutto il processo cui aveva dato vita, Alaric prese l'holocron semi-distrutto tra le mani, rigirandoselo e osservandolo con attenzione, alla ricerca di qualche particolare che poteva essergli sfuggito.

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    Come il tenente Benjamin aveva promesso, il volo era stato eccezionalmente rapido: essendosi spostati a occidente a quella velocità, quando atterrarono il sole stava a malapena sorgendo sulla brulla isola che era la loro meta. Riposti tablet e holocron nella borsa, scese dall'aereo stiracchiandosi le membra intorpidite, mentre le sue compagne di viaggio facevano lo stesso e il pilota apriva il vano per permettere loro di recuperare l'equipaggiamento per la spedizione. Tra i vari oggetti richiesti dalle due donne, disposti con ordine e cura, si trovavano 6 grosse sfere nere, simili a balle da basket. Come al solito, le sue richieste trovavano una realizzazione perfetta, quando arrivavano al suo Maestro. Cominciò a muoversi nei dintorni dello Strix, cercando la pietra che, in origine, era stata protetta da antichi sigilli Lemuriani e che indicava l'ingresso. Ci vollero parecchi minuti, in cui egli eseguì tentativi di individuazione di eventuali rocce anomale e tutta la sua pazienza da archeologo per individuare, a 20 metri dal sito di atterraggio la pietra incriminata: più chiara del resto delle pietre di dimensioni massicce in quella zona, chiaramente lavorata e levigata e con un uroboro inciso su di essa, ormai praticamente svanito a causa dell'erosione, i sigilli che la proteggevano erano disattivati da più di un decennio, ma coloro che erano stati lì prima di lui avevano deciso di non portarsela via insieme a tutto il resto, probabilmente ritenendola ormai poco più di un sasso, utile solo a tener chiuso un buco nel terreno. Beninteso, era effettivamente quello, a livello pratico, ma diamine, a livello storico quella pietra aveva un valore superiore a quello delle Cariatidi, o della Stele di Rosetta: era una delle poche prove rimaste che, millenni e millenni prima degli Egizi e dei Sumeri gli umani avevano avuto una civiltà più progredita di quella prima dell'Armageddon! Se gli avessero detto una cosa del genere quando studiava o insegnava, avrebbe detto che si trattava solo di baggianate, eppure, da lungo tempo Alaric aveva imparato che certe cose che gli erano state insegnate erano falsità, e ciò che gli era stato detto essere finzione era invece reale e possibile. I suoi poteri, per fare un esempio: concentrando il proprio pensiero sulla pietra, lasciò che il suo Cosmo la avvolgesse, stringendola senza fare pressione. A quel punto, Alaric la rese un polo gravitazionale negativo, facendola allontanare con dolcezza dalla superficie della terra, liberando così il passaggio che portava in profondità. Con un leggero movimento della mano, la fece poi spostare verso destra e, sempre con calma e dolcezza, la fece discendere, togliendole poco alla volta la carica negativa che le aveva dato, facendo si che la Terra la "richiamasse" a sé. Prese un fazzoletto dalla tasca, asciugandosi il poco sudore che stava cominciando a comparire sulla sua fronte, non tanto per lo sforzo, quanto perché con il sole che stava sorgendo, la temperatura stava rapidamente diventando inadatta al suo abbigliamento.

    "Molto bene, è arrivato il momento di vedere se i giocattoli funzionano."

    Mentre le sue due alleate esaminavano con ammirazione il masso, una con genuino interesse, l'altra con un interesse che era più un riflesso di quello della compagna, prese ad armeggiare con i comandi sul bracciale sinistro: ci furono un paio di suoni e di ronzii, poi, dal vano degli equipaggiamenti si alzarono in volo le 6 sfere, che improvvisamente cominciarono ad aprirsi, rivelando una testa piena di scanner, telecamere e sensori, e svariate braccia metalliche, dotate di vari strumenti innestati. Non appena i ricognitori presero a volare attorno a lui ronzando, Alaric diede loro il comando "perlustrazione", ed essi si lanciarono immediatamente nelle tenebre del foro, sparendo nelle profondità.



    Estraendo nuovamente il tablet dalla borsa da viaggio, Alaric attivò la connessione con i 6 droidi, facendo in modo che tutti i dati che essi stavano registrando fossero trasferiti direttamente sullo strumento elettronico, così da poter accedere contemporaneamente a più serie di informazioni diverse. Alzando lo sguardo, vide che anche Renée non aveva perso tempo, ed estratto il suo apparecchio aveva collegato la sua AI a quella delle 6 macchine. Si voltò verso di lui, con espressione di fredda professionalità, annuendo determinata.

    "Quando vuoi, Al."

    Alaric le concesse un sorriso, chinando il capo e calcandosi il cappello.

    "Perfetto, direi di sbrigarci a seguirli. Tenente, resta con l'aereo e aspetta una nostra comunicazione. Non penso ci porterà via così tanto tempo, ma in caso non fosse così ti useremo come tramite con la base per l'invio di vettovaglie ed eventuali nuovi membri del team di ricerca."

    "Ricevuto, capitano."

    "Ragazze, scendiamo. Vediamo riusciamo a cavare da questo buco."

    Lucy e Renée lo seguirono nell'oscurità, la donna bionda con una potente torcia cosmica ad illuminare la loro discesa, lungo una scalinata apparentemente interminabile. Come descritto dai rapporti, Alaric vide che la struttura delle scale e delle pareti era realizzata in metallo e pietra, sapientemente uniti e amalgamati in modo da creare uno stile elegante e pratico, in cui l'acciaio, tuttavia, la faceva da padrone mano a mano che si scendeva nel buio. Quando arrivarono in fondo, dopo quella che sembrava un'eternità, Alaric inserì nei droidi il comando "luce", e fece in modo che uno tornasse da loro, con uno dei suoi "occhi" acceso di un'intensa luce bianco-azzurra, più potente della torcia della ricercatrice. Osservò attentamente il tablet, annuendo, e si rivolse alle due.

    "Ok, direi che possiamo agire in questo modo: seguiamo il corridoio e poi dividiamoci. Io andrò a sinistra, qui. e indicò loro il bivio raccolto dal fermo immagine registrato da una delle macchine, che avrebbero incontrato solo pochi metri più avanti. "Voi proseguite a destra, troverete subito un droide che seguirà le indicazioni di Renée. Registriamo ogni cosa, non solo le anomalie, e ritroviamoci qui tra 3 ore."

    "Mamma mia che autorità. Ti prego, dimmi che in realtà sei un Alchimista Supremo sotto mentite spoglie, Alaric, altrimenti non mi spiego tanta professionale organizzazione."

    "Dai smettila, è così che si lavora, quando si fa ricerca. Non si può mica agire in modo disorganizzato come fanno certi altri Signori sull'Isola, senza fare nomi! Lawrence farebbe esattamente così."

    Sbuffando, Lucy annuì guardandosi attorno apparentemente annoiata, ma in realtà vigile come un gatto, pronta a scattare al minimo segno di pericolo. Arrivati nel punto stabilito, si separarono, e Alaric rimase solo con il droide a fargli luce tra i corridoi oscuri e lisci. Premette il suo auricolare, impostando la modalità di registrazione, e prese a camminare.

    "Entry 095: Isole Dahlak, 11 febbraio, Registrazione di Ricerca del capitano Alaric William Ackermann, responsabile della missione di ricerca richiesta da Lord Darth Hybris dei Gemelli Neri per risolvere il mistero di un holocron danneggiato che sembra fare riferimento a qualcosa di inesplorato che, stando alle ipotesi, si troverebbe al di sotto delle rovine dell'antica Forgia Sith'ari."

    Iniziò a quel punto ad elencare i dati che gli inviavano i droidi e le cose che registrava lui visivamente, comparando lo stile di costruzione con quello originale dell'Isola, da cui differiva di pochissimo, e sottolineando l'efficiente lavoro di spoliazione fatto dai precedenti visitatori, che avevano svuotato praticamente ogni corridoio e ogni stanza, lasciando dietro di sé nient'altro che silenzio, polvere e vuoti ricordi. Si azzardò addirittura a definirlo "all'Inglese", prima di mordersi la lingua e di far cancellare quel commento. Ogni tanto, l'ex archeologo si chinava, raccogliendo in una provetta una scheggia di metallo staccatasi dal pavimento liscio e immacolato, o dal soffitto sopra di esso, campioni che avrebbe poi consegnato ai laboratori del suo Maestro perché ne venisse esaminata la precisa conformazione chimica e strutturale. Ogni informazione che potevano raccogliere era essenziale per riuscire a capire qualcosa di più del Mondo Antico e dell'Alta Alchimia dei loro predecessori, specialmente in un luogo come quello, dove per secoli si erano recati coloro che cercavano il potere necessario per continuare il loro cammino verso l'Ascensione. Il posto era assurdamente affascinante, pur essendo completamente vuoto, il metallo era così perfetto anche dopo i millenni di inutilizzo da far venire i brividi. Quanto erano regrediti gli umani, da quell'epoca gloriosa! E non solo i ciechi adoratori degli dei, tutti, loro compresi! Solo da pochi anni l'Ordine si stava riprendendo, riscoprendo sé stesso e la propria scienza occulta, e aveva fatto passi da gigante da quando Black Scorpio aveva ritrovato quel luogo nascosto, con tutti i suoi macchinari, e da quando gli Antichi avevano deciso di schierarsi con i propri discendenti, ridando vita all'Isola e un nuovo scopo all'Ordine. Ma questo non bastava, dannazione, non c'era alcun holocron che rivelasse tutti i segreti più nascosti, nessuna prova tangibile degli antichi esperimenti. Ma se avesse trovato qualcosa lì, oh, fremeva al solo pensiero, avrebbe dato un contributo COLOSSALE alla causa. Se la città nella visione fosse stata vera, magari connessa in qualche modo a quella struttura, chissà quante meraviglie avrebbe potuto trovare nelle sue rovine! Il suo nome sarebbe stato inciso per sempre nell'oricalco nero. Dopo circa un'ora di esplorazione infruttuosa, l'ennesima svolta lo portò nel luogo che più di ogni altra cosa aveva agognato di vedere: il Cuore della Forgia, il luogo dove il miracolo dell'Ascensione delle Kintaral aveva avuto origine. Quasi come se stesse entrando in un luogo di culto, Alaric si levò il cappello, portandoselo verso il cuore, il capo chino e il respiro affannato: era nel luogo più "sacro" per l'intero ordine, da solo! Un onore che, prima di lui, aveva avuto soltanto Candice Hayez, in epoca moderna.

    "Qui è dove ha incontrato Darth Lyria. Quale sublime emozione dev'essere stata per lei..."

    Pensò con una punta di invidia, immaginando quali meravigliosi segreti l'Antica Alchimista avesse nascosto nella sua memoria, prima di darsi un contegno, schiarirsi la voce e ricominciare la sua registrazione.

    "La stanza della Forgia è esattamente come descritta nei resoconti: estremamente ampia, sormontata da un'incredibile volta che farebbe ipotizzare la presenza di una cupola, se la struttura non fosse sotterranea. Come il resto della struttura, anche questa stanza risulta completamente vuota, tuttavia darò ordine al droide C-04 che mi accompagna di eseguire nuovamente una scansione totale e approfondita della stanza, che risulta essere il cuore dell'intera struttura. Per sicurezza, ho inviato lo stesso comando agli altri droni, che trasmetteranno anche alla dottoressa Tapert i risultati delle loro analisi. Seguiranno ulteriori indagini effettuate dal sottoscritto."

    Il droide cominciò a emettere suoni intermittenti, mentre girava per il perimetro della stanza compiendo dei cerchi sempre più stretti mano a mano che andava verso il centro, emettendo fasci di luce verde in ogni direzione. Nel frattempo, aiutandosi con la luce del tablet, anche Alaric eseguì alcune indagini dirette, colpendo le pareti e il pavimento in punti che sembravano leggermente diversi dal resto, magari per una rientranza appena abbozzata, o per un diverso colore della superficie metallica, senza però trovare nulla di degno. L'ansia di poter trovare qualcosa e la cocente, per quanto celata, frustrazione di trovare ad accoglierlo solo stanze vuote e silenzio, senza indizi o tracce di qualcosa di inesplorato, stavano cominciando a fargli perdere pericolosamente la pazienza.

    "A seguito della mia analisi diretta, posso confermare che le differenze tra i vari punti dell'ambiente riscontrate e segnalate anche in altre stanze, siano dovute agli oggetti che prima occupavano gli spazi vuoti: avendoli occupati per millenni, è probabile che in certi punti abbiano creato leggeri affossamenti nei punti del pavimento dove poggiavano, e alterato la colorazione delle pareti, magari per la presenza di sostanze acide o alcaline al loro interno. Si abbandona la ricerca diretta e si attendono riscontri da quella effettuata dalle macchine."

    "E che dio ce la mandi buona."

    Pensò senza però azzardarsi a pronunciarla ad alta voce, attendendo con ansia che il droide si fermasse e rilasciasse i risultati. Quando ciò avvenne, Alaric si concentrò sul tablet, solo per rimanerne immensamente deluso: niente, niente di niente. Non c'erano fessure, botole, non c'erano rientranze o leve nascoste, nemmeno trappole, o sigilli nascosti che solo le scansioni avrebbero potuto rivelare. Né lì, né in qualsiasi altra stanza. Quel dedalo era semplicemente un labirinto oscuro e vuoto, senza apparentemente nessun segreto da celare. Un borbottio di cupa rabbia gli uscì dalla gola, ma riuscì fortunatamente a darsi un contegno, ed evitare di rendersi ridicolo nella registrazioni con frasi o azioni fuori luogo. Respirò a fondo, cercando di darsi un tono, e preparandosi ad abbandonare la stanza, quando, nel vuoto silenzio di quelle sale ancestrali, un suono debolissimo arrivò alle sue orecchie tese: era meno di un ronzio, era come la vibrazione di una singola corda d'arco, percettibile a malapena dall'orecchio umano. E proveniva dalla sua borsa. Alaric quasi fece cadere il proprio tablet nella fretta di aprire la sacca di cuoio per controllare se il suo sospetto fosse giusto e, quando si rivelò così, per poco non si apprestò, novello Archimede, a lanciare un grido di euforia: la fonte del rumore non era altro che la Reliquia danneggiata. Con il cuore in gola, il capitano la estrasse, la mano sudata e tremante e, quando l'oggetto si ritrovò esposto in quel luogo, la vibrazione parve rafforzarsi, e sempre più forte divenne quando Alaric la portò al centro esatto della stanza: in quel momento la vibrazione divenne così forte da non essere solamente quasi fastidiosa per le orecchie, ma addirittura fastidiosa al tatto, facendogli arrivare il tremore dritto nelle ossa. Con la voce carica di eccitazione, registrò quella prima, fenomenale anomalia.

    "Registrata la prima cosa fuori dalla norma: la Reliquia affidatami, l'holocron danneggiato, sta dando segni di vita: vibra ed emette luce fioca dal nucleo esposto, come non faceva nemmeno quando lord Hybris lo sollecitava, a DQI. Si tratta di una scoperta a dir poco incredibile, ma cosa può voler dire? Che ci sia qualche forma di radiazione residua, a causa della lavorazione dell'Oricalco nero, lega ottenuta proprio dall'Orium? O c'è qualcosa di diverso? Quali segreti nasconde questo luogo? Quali segreti nasconde questa Reliquia?"

    Il suo tono divenne quasi fanatico, mentre girava su sé stesso, gesticolando e lanciando occhiate in ogni direzione, alla ricerca di qualche indizio. Poi, come se una folgore lo avesse attraversato da capo a piedi, si fermò, colto da un'idea che lo lasciò paralizzato per quanto semplice fosse, e decise di fare un tentativo estremo, visto che tutto il resto sembrava un vicolo cieco e l'unica nota positiva veniva da quel piccolo oggetto ancestrale, antico quanto quel luogo, o poco meno.

    "Dato che le ricerche effettuate in modo convenzionale non sembrano dare frutto, e che l'unica fonte di novità risulta essere il ritorno di una certa attività in questo oggetto, in questa situazione mi prendo la responsabilità di tentare un nuovo esperimento con l'holocron, conscio delle conseguenze che ne potrebbero derivare e pronto a prendermi la piena colpa di eventuali danni che subirà o subiremo. È solo un'ipotesi, ma se non fosse semplicemente danneggiato? Se si trattasse di un tipo particolare di secretazione utilizzato dagli Antichi per permettere che certi segreti fossero scrutabili solamente da pochi Eletti e solo in determinati luoghi? Forse lord Hybris non è riuscito a scoprire tutti i segreti dell'Artefatto perché solo qui li avrebbe rivelati, forse l'unico modo perché si apra completamente è interagire con esso proprio qui, al centro di tutto..."

    Mentre parlava continuava ad esaminare il misterioso oggetto, le cui vibrazioni ormai erano per lui fonte di piacere intellettuale, cercando di ricordarsi alla perfezione come si era comportato Lawrence quando, ne giorni precedenti, aveva forzato l'immagine a comparire. Certo, nel suo caso mancavano un piedistallo e Ch.Or.O.S. ma avrebbe utilizzato i suoi poteri, limitati rispetto a quelli del Maestro, e pregato intensamente la sua fortuna di assisterlo in quel frangente, facendo si che la sua ipotesi fosse sensata. Mise via il tablet e poggiò la borsa a terra, tendendo la mano sinistra in avanti e lasciando che pochissimo cosmo fluisse da essa all'holocron, facendolo sollevare e lasciandolo sospeso all'altezza dei suoi occhi, con il droide che riprendeva tutto, trasmettendo ogni cosa anche alle sue compagne, in quel momento situate chissà dove nel labirinto di stanze e corridoi. Poi, Alaric eseguì una serie di movimenti con le braccia, simili a mosse di tai chi, per aiutarsi a incanalare il Cosmo in modo più preciso, prima di riversare la sua volontà nell'Artefatto, scatenando una scarica di Cosmo grezzo che la avvolse, permeandolo di energia e innalzando il brusio a livelli spaccatimpani. Il cristallo del nucleo prese a tremare, illuminandosi, e Alaric interpretò quel segnale come il fatto che si stava comportando nel modo consono: egli era certo più che mai che doveva perseverare per far si che, dove era limitati dal punto di vista dei poteri, giungessero in aiuto volontà e determinazione. Il flusso di energia continuò ad intensificarsi, Alaric ringhiava per lo sforzo di mantenerlo potente abbastanza da alimentare l'oggetto senza però distruggerlo e il suo orgoglio ebbe un moto di esultanza quando vide il cristallo, grigio e opaco, risplendere di luce nera, ruotando su sé stesso nei resti dell'artefatto che, sotto quella spinta si disgregò, lasciando il solo nucleo a ricordare della sua esistenza. Le radiazioni dell'Orium parvero addirittura visibili, ad un certo punto, ed Alaric fu certo di avercela fatta, che presto tutto si sarebbe rivelato, quando, purtroppo, il cristallo esplose. Fu un esplosione violenta, che sbalzò via il capitano per svariati metri, facendolo rotolare sul metallo freddo e polveroso del pavimento, senza però fargli urtare le pareti. L'uomo si rialzò con un gemito, una bestemmia bloccata in gola per la rabbia, e gli occhi carichi di frustrazione: l'aria sembrava carica di energia, ora, ma non c'era traccia di alcun cambiamento, se non i frammenti di cristallo che si stavano vaporizzando a terra.

    "Esperimento fallito. La missione può considerarsi un maledetto fallimento. Annuncio la sua chius..."

    Mentre si preparava ad andarsene, Alaric si paralizzò nuovamente, come prima, quando l'idea di sperimentare con l'Artefatto l'aveva colto: c'era qualcosa che non andava, era una sensazione molto strana: sebbene fosse perfettamente immobile, Alaric era sicuro, anzi, sicurissimo, di starsi muovendo. Anzi, meglio, di starsi abbassando. Piano, molto piano, però era una sensazione così forte che l'uomo stentava a credere che non fosse reale. Ebbe conferma che fosse tutto reale quando, tentando di muoversi, il suo piede impatto con il pavimento, che si trovava ormai quasi a metà della tibia. I suoi occhi si spalancarono come quelli di un gufo, mentre trovava le capacità mentali di chiamare a sé il drone per farsi luce, notando come un'ampia porzione circolare del pavimento stesse sprofondando verso l'ignoto.

    "Mi scuso immensamente con coloro che furono qui prima di me, 10 anni fa, da me ingiustamente criticati: era impossibile per chiunque, anche per il miglior studioso del mondo, che trovassero qualcosa perché ciò che non avevano era la chiave per aprire la porta verso i veri segreti della Forgia! Il cristallo, cazzo, che idiota! Era così ovvio! Il cristallo era Orium, l'Orium intrappola l'energia psichica! Posso dedurre che chiunque abbia sigillato questo luogo, o che comunque fosse a conoscenza di ciò che realmente cela, potesse accedervi con una sorta di impronta psichica. Se le mie intuizioni sono corrette, l'esplosione del cristallo ha liberato un'onda di energia mentale intrappolata da millenni, che ha risvegliato qualcosa di così tecnologicamente evoluto che noi non possiamo ancora nemmeno comprenderlo. Cazzo, dovrei andarmene e tornare con le altre, anzi, con una squadra. Eppure... si morse il labbro inferiore, mentre il pavimento arrivava circa all'altezza del suo collo. "Come studioso, anzi, come Jensaarai, perché questo sono e rimango, il mio primo dovere e ricercare l'Ascensione, e se la via che conduce ad essa mi porterà da solo nell'oscurità, allora così sia. Lucy Raimi e Renée Tapert riceveranno le immagini di quanto sta accadendo dal droide che è con me, sarà loro compito informare l'Ordine e il mio Maestro della situazione. Io ho un'altra strada da percorrere."

    Mentre scendeva, si rese conto che la torcia del droide era divenuta superflua: l'intera superficie di metallo del tunnel era illuminata da glifi e pannelli illuminati di bianco e azzurro, come lo erano stati gli edifici nella visione che Lawrence aveva risvegliato dall'holocron. Cosa che Alaric, ovviamente, non mancò di registrare con entusiasmo. Si stava allontanando sempre di più, tanto che il foro sopra di lui sparì nelle tenebre in pochi istanti, come se la velocità di discesa stesse aumentando. Nel silenzio, rotto solo dalle ormai sempre più rare annotazioni che faceva, l'uomo in nero si chiese verso quale destino si stesse avviando, ma non era il pensiero dei pericoli o degli orrori celati nell'oscurità ad animare i suoi pensieri: era la gloria, la certezza che, qualsiasi cosa avrebbe trovato alla fine della discesa, fosse essa buona o cattiva, lui e soltanto lui, sarebbe stato ricordato per quella scoperta. Non Lawrence, o uno degli altri Alchimisti Supremi, soltanto lui, un semplice studioso divenuto soldato per forza e non per scelta. E quel pensiero, così forte e bruciante, lo animava più di qualsiasi altra cosa da 12 anni a quella parte. Se fosse tornato indietro, Alaric ne era sicuro, la sua odiosa routine non sarebbe mai più stata necessaria.



    CITAZIONE
    Stato fisico: buono
    Stato mentale: buono
    Energia: Blu
    Armatura: Nessuna

    Note: ouch


    Edited by Asarthur - 11/2/2024, 23:54
     
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    BEFORE THE MIRACLE

    II




    Come se si stesse risvegliando dopo un lunghissimo sonno, l'ascensore prende via via sempre più velocità, fino a sembrare in caduta libera. Man mano che scendi, a intervalli regolari, il passaggio sopra la tua testa viene chiuso da una serie di portelloni dall'aspetto molto robusto.
    Una sezione del lunghissimo cilindro di trasporto diventa trasparente. La vista di cui puoi godere durante la discesa è spettacolare e, allo stesso tempo, desolata. Non servono geniali intuizioni per capire che si tratta della stessa città che hai potuto vedere attraverso l'holocron, ora spogliata di tutta la sua lucente magnificenza e totalmente caduta in rovina.
    La maggior parte delle alte torri sono spezzate, ridotte a giganteschi cumuli di macerie incolori. Realizzi che ti trovi proprio in una di quelle torri, una delle poche ancora integre. Lo spazio sotterraneo ti risulta molto più piccolo rispetto a ciò che ricordi dalla visione, ma è comunque strano che tu riesca a rendertene conto in quel contesto. Riesci a vedere dettagli molto lontani pur essendo sotto terra: una bassa luminosità diffusa dà al paesaggio l'aspetto di una città fantasma.

    Ti senti osservato. Non è il classico misto di inquietudine e ansia che chiunque proverebbe in simili situazioni, ma proprio una percezione del tuo Sesto Senso. Un barlume cosmico appena accennato, un disturbo di frequenze che dura soltanto per un momento prima di scomparire nel nulla. Hai l'impressione di scorgere una figura con la coda dell'occhio accanto a te, ma sei solo sulla piattaforma.
    In pochi secondi la corsa è finita. Il metallo solido della parete si ripiega ordinatamente come un origami, aprendo un passaggio su un'ampio spazio invaso dai detriti.

    Una serie di immagini si sovrappongono al tuo campo visivo, in maniera disordinata. Vedi persone che camminano sulle strade, attraversando come se nulla fossero i pezzi di soffitto caduti a terra o interi edifici crollati. Vedi le antiche facciate come se stessi percorrendo quelle stesse strade decine di millenni prima. Vedi sprazzi di azzurro che illuminano gli alti crepacci e la luce del sole filtrare attraverso nuvole leggere.
    Le immagini scattano, tremolano e si spengono in continuazione come ologrammi difettosi. Sembrano più intense immediatamente intorno a te e vanno scemando nelle parti più periferiche della tua visuale. Alcune luci, quelle meno danneggiate, si attivano al tuo passaggio, esattamente come i pannelli dell'ascensore.
    Stai sudando, ti senti lievemente affaticato.

    divider%20him10


    Note Master:
    Devi decidere come proseguire, cosa cercare etc. Hai molta libertà, puoi indagare come ti pare. Come prima, per i dettagli ti posso fornire tutto ciò di cui hai bisogno. Il senso di affaticamento è progressivo: più roba vedi, più luci si accendono e più ti senti affaticato. Te ne accorgi in maniera distinta, ma non è una cosa estremamente preoccupante per il momento.

     
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    Ch.Or.O.S.

    La discesa nell'oscurità continuò per molto tempo, sempre più veloce, ma mai al punto da rendergli difficile restare in piedi. Il silenzio era profondo, quasi assordante, e il battito del suo cuore, il suo respiro e i placidi ronzii del droide sembravano riecheggiare nello spazio chiuso. La monotonia sarebbe stata schiacciante, se non fosse stato per la situazione incredibile in cui si trovava, e anche se, mentre registrava ulteriori messaggi, ci fu un suono metallico proveniente dall'alto, Alaric si limitò a ignorarlo. Sapeva che sarebbe successo, era accaduto già diverse volte, durante la discesa, seguendo un qualche tipo di criterio che la velocità in aumento non rendeva semplice da comprendere, parte di quella monotonia esaltante. Alzò comunque gli occhi, più per scrupolo che per vera necessità di accertarsi di qualcosa, e vide che sopra di lui si erano chiusi due spessi portelloni di metallo scuro.

    "Quanti siamo con questi? 8 o 9?"

    Avrebbe dovuto riascoltare le registrazioni per saperlo, ma decise che tutto sommato non gli interessava nemmeno capirlo con certezza: la prima volta che aveva sentito il suono metallico gli era quasi venuto un colpo, temeva che l'ascensore si stesse rompendo e che lui si stesse per ritrovare schiantato al suolo dopo una caduta di chissà quanti metri. Invece, alzando lo sguardo, aveva visto che il soffitto, dapprima disperso chissà dove lassù in alto si era fatto molto più vicino, trovandosi a pochi metri sopra di lui. Dopo aver scartato le possibilità più catastrofiche, ragionando con mente più fredda, Alaric si rese conto che doveva essersi messo in modo qualche ulteriore sistema di sicurezza, per impedire a eventuali intrusi di entrare in quel luogo già di per sé molto ben celato. Gli era impossibile stabilire quanto spesse fossero, ma anche senza indagare in modo approfondito c'era da immaginare che non sarebbe stato per niente facile sfondarle. Sulle prime non si era preoccupato troppo, a parte lo spavento preso per il rumore inaspettato, ma ora, davanti a quell'ennesima chiusura, Alaric decise che, forse, era il caso di inviare un aggiornamento alle ragazze, così da metterle a conoscenza dell'esistenza di quel sistema difensivo, ulteriore problema da risolvere, se volevano provare a raggiungerlo. Disattivò la modalità di registrazione dell'auricolare e impostò quella di chiamata, ma gli rispose solamente un insistente ronzio. Imprecando, Alaric cacciò la mano nella borsa e afferrò il tablet, facendo scorrere un dito sullo schermo per riattivarlo.

    "Ch.Or.O.S., attivare comunicazione remota con Reneé."

    "Utente non disponibile."

    Fu la risposta proveniente dal tablet.

    "Ch.Or.O.S., attivare comunicazione remota con Lucy"

    "Utente non disponibile."

    Di nuovo una risposta negativa. Un leggero senso di ansia lo invase, mentre armeggiava con le varie impostazioni, provando a connettersi al mainframe del sistema operativo.

    "Ch.Or.O.S., accesso all'Archivio Nero, sezione Lambda."

    "Archivio Nero non disponibile. Posso elaborare i dati già presenti sul dispositivo. Procedere?"

    "No. Ch.Or.O.S., rivela stato della rete."

    "Stato rete offline."

    "Individua anomalie del sistema."

    La sua voce cominciava a mostrare tracce di panico.

    "Ricerca anomalie in corso... Anomalie non trovate."

    Si trovò spiazzato. Era da solo, e completamente tagliato fuori dal mondo: se Ch.Or.O.S. era offline e gli auricolari non funzionavano, non poteva comunicare con nessuno, nemmeno se fosse stato in pericolo. Si costrinse a restare calmo, respirando profondamente, cercando di imporsi il contegno che normalmente lo contraddistingueva. Vero, i sistemi non funzionavano, ed erano sconnessi, ma prima funzionavano, e di sicuro erano operativi quando aveva cominciato la sua discesa. Come aveva detto alla registrazione, prima che l'ascensore abbandonasse il Cuore della Forgia, il drone C-04 aveva registrato ogni sua azione, compresa l'attivazione dell'ascensore: sarebbe stato sufficiente che Reneé riguardasse le registrazioni, e tutto le sarebbe stato chiaro. In caso fosse sparito per troppo tempo, c'era sempre la possibilità che lei informasse Lawrence e che lui intervenisse personalmente: si poteva dire quel che si voleva del suo Maestro, ma lui teneva ai suoi collaboratori, ed era potente: una volta che avesse saputo dove colpire, le possibilità che riuscisse a entrare con la forza in quel tunnel verticale erano buone. O almeno, questa era la speranza dell'inglese. Passò alcuni istanti con il cuore che batteva all'impazzata, camminando avanti e indietro, cercando di ignorare l'ennesima chiusura sopra la sua testa, quando, improvvisamente, una delle pareti dell'ascensore parve scomparire. Sulle prima rimase interdetto, allontanandosi da essa il più possibile, ma poi si rese conto che il metallo era stato semplicemente sostituito da un vetro, anzi, da un cristallo così perfettamente lavorato e lucidato da dare l'illusione di non esserci nemmeno. Cautamente, l'uomo in nero avanzò, sfiorando appena l'auricolare per riattivare la registrazione, e cominciò a descrivere cos'era appena successo, quando, nel momento in cui fu a pochi passi dal cristallo, le parole gli morirono in gola, lasciando spazio a una singola, colorita esclamazione.

    "Oh porca puttana..."

    Davanti a lui, molto più in basso, ma non così tanto da risultare deformato o di scarsa visibilità, si estendeva lo spettacolo più incredibile su cui i suoi occhi si fossero mai posati: laggiù, splendide nella loro distruzione, si trovavano le rovine della meravigliosa città che l'immagine liberata dall'Holocron aveva rivelato. Era impossibile sbagliarsi al riguardo: sebbene non mastodontica com'era sembrata in quello scorcio lontano, illuminate da una tenue luce diffusa, non paragonabile alla radiosità splendente nella visione generata dalla Reliquia, Alaric poteva ammirare la decadente meraviglia di una metropoli morta da incalcolabili secoli, dove solo poche delle un tempo svettanti torri, o forse sarebbe meglio dire grattacieli, erano ancora in piedi, la maggior parte di loro, ormai vinta dal potere del tempo, era crollata forse sotto il suo stesso peso, le loro macerie, grigie e mute, scomposte e dispiegate in un mosaico di morte e desolazione, privo di una qualsiasi umana logica.

    "Iks vereth Thai'th Zionak. Sic transit Gloria Mundi."

    Disse prima in Sith e poi in Latino lo studioso, poggiando la mano sulla parete trasparente quasi a carezzare quella visione così spettacolare nella sua sottile tristezza: lì, davanti a lui, c'erano i resti tangibili di qualcosa che mai nessuno aveva potuto osservare prima di allora da millenni, non la precedente generazione di Cavalieri Neri, non coloro che erano vissuti prima della Grande Epurazione. Solo davanti ad Alaric la Forgia aveva rivelato il suo grande segreto, aprendosi a lui e permettendogli di ammirare lo splendore del Mondo Antico. In quel momento, l'inglese era carico di così tante emozioni che era per lui difficile riuscire a trattenersi dal ridere di gioia e dal piangere di dolore, dinanzi a tanto solenne decadimento. Anche viste da lassù e in quelle condizioni, le rovine lasciavano intendere un'idea di ordine ed equilibrio, lo stesso che egli aveva visto nelle geometrie perfette dell'ologramma: incredibile come la perfezione fosse tale che un lampo di essa fosse percepibile anche da quella distanza e in quello stato di abbandono e degrado! Si maledì per essere nato così tardi da non aver potuto ammirare quella città all'epoca del suo splendore.

    "Noi archeologi nasciamo sempre troppo tardi, e troviamo troppo piacere nel dialogare con i morti."

    Disse sovrappensiero Alaric, incurante della registrazione, troppo preso a riempirsi occhi e mente di quello che vedeva, quasi fosse stato prossimo ad un'estasi mistica. Fu in quell'attimo di puro parossismo intellettuale che Alaric improvvisamente avvertì un brivido attraversargli le membra, dalla base della schiena alla punta dei capelli, e non per l'estremo piacere della scoperta, venendo anzi improvvisamente riempito da una sensazione di profondissimo disagio, colto dall'improvvisa consapevolezza di essere osservato. Al limite del suo campo visivo, balenò per un singolo istante qualcosa di scuro, una sorta di macchia nera proprio lì, alla sua destra. Ma quando egli si voltò di scatto, la mano tesa carica di Cosmo, non c'era assolutamente nulla, se non le pareti scure dell'ascensore, e così com'era comparsa, la sensazione svanì. Se non avesse studiato le vie del Cosmo, Alaric si sarebbe concesso una risata nervosa, per stemperare la tensione di quell'attimo appena trascorso: del resto, non era forse normale che in una situazione così misteriosa e rischiosa la testa cominciasse a lanciare segnali scorretti? Sarebbe stato ovviamente così, se l'uomo non avesse percepito con estrema chiarezza, per un brevissimo istante, un Cosmo sconosciuto. Era stato molto rapido, l'equivalente di una scarica statica durante una trasmissione radio, anzi, ancora meno, eppure egli era inequivocabilmente solo su quella piastra che scendeva nell'ignoto.

    "Non me lo sono immaginato, era presente del Cosmo, anche se per una manciata di secondi.

    Questo lo aveva inquietato molto più di quanto fosse disposto ad ammettere, ma alla fine cercò di razionalizzare il più possibile: era ovvio ci fosse del Cosmo residuo, del resto, non era stato forse quello, intrappolato in un cristallo sotto forma di energia mentale, a riattivare quel sistema ancestrale, era quindi possibile che un ultimo barlume dello stesso cosmo fosse rimasto all'interno dei circuiti dell'apparato. Quanto alla sagoma nera ai limiti del suo campo visivo...

    "Quella sicuramente me la sono immaginata, nessun dubbio. La tensione, le emozioni forti e tutto il resto mi avranno giocato un tiro mancino. Si, è andata chiaramente così."

    Cercò di non pensarci più, sebbene il dubbio che ci fosse qualcosa di molto anomalo continuasse a riempirlo, e a rasserenarlo non bastò nemmeno quando chiese al droide di individuare presenze cosmiche nell'area circostante, ricevendo come risposta che lì era presente solamente il suo Cosmo. Per distrarsi, iniziò a registrare in modo preciso cosa stava ammirando, lanciandosi nell'ipotesi che, molto probabilmente, il suo ascensore altro non era che parte di uno di quei titanici grattacieli che un tempo occupavano buona parte dell'area sotterranea. Il suo sguardo cercò di cogliere le voragini aperte nel soffitto dell'immane caverna, i segno che gli avevano permesso di capire che la visione della Reliquia era ambientata sotto terra, ma da quella posizione e con quella luminosità non riusciva a coglierli. In compenso poté osservare meglio, anche se non troppo, alcune delle rovine, non trovando segni di danni diversi da quelli lasciati dal tempo. Probabilmente quel luogo era perito per il semplice abbandono, e non per una qualche guerra o attacco. Un destino roseo, per un luogo simile, niente da dire al riguardo. Le sue elucubrazioni ebbero però una rapida conclusione quando Alaric si rese conto che, finalmente, la velocità del suo mezzo di trasporto aveva cominciato a diminuire sensibilmente e che questo stava avvenendo mano a mano che si avvicinavano alle rovine. Ormai mancava poco al livello del suolo, era quasi arrivato il suo momento di diventare parte della storia.

    "Ci siamo quasi, la velocità è diminuita e gli edifici ora sembrano quasi a portata di mano. A breve spero di poter essere in strada."

    Quando l'ascensore si fermò, la parete di metallo si piegò come carta d'origami seguendo linee prestabilite decine di millenni addietro, aprendo un ampio varco su un tenebroso spazio colmo di detriti. Dopo aver bevuto un sorso di acqua dalla propria borraccia ed essersi assicurato che la carica dei suoi strumenti fosse ancora ottimale, Alaric ordinò nuovamente al drone di muoversi praticamente accanto a lui, proiettando il suo potente fascio di luce in avanti di svariati metri, prima di prendere un profondo respiro e avanzare. L'ambiente che lo circondava possedeva una temperatura stabile, più fresca di quella presente nell'ascensore o nella Forgia, e l'aria lì presente era estremamente pura, come se fosse stata filtrata o continuamente riciclata. L'ambiente era così immane, così mastodontico, che il suono dei suoi stivali, già di per sé ammortizzato dalla polvere accumulata nei millenni di abbandono, non riusciva nemmeno a riecheggiare degnamente. Alaric benedisse quella cosa: il silenzio era esattamente ciò di cui aveva bisogno per contemplare al meglio le rovine dinanzi a sé come il fedele nel tempio del suo dio. Avanzò con le braccia spalancate, quasi ad invitare quel luogo ad accoglierlo e ad unirsi a lui, quando, proprio mentre passava accanto a dei grossi blocchi, resti di un grattacielo poco distante, la luce aumentò la sua intensità fin quasi a stordirlo.

    "C-04, dannazione, che ti prende?!?"

    Imprecò l'inglese, pensando che il drone gli fosse passato davanti e che avesse voltato la luce verso di lui. Ma si sbagliava: C-04 era accanto a lui, alla sua sinistra, mentre la luce era tutta attorno alla sua persona, molto intensa attorno a lui e via via più pallida tanto più si allontanava da lui. Sbatté gli occhi, confuso da quell'improvviso cambiamento, ma ben presto, quando i suoi occhi si furono abituati, fu ben altro a lasciarlo senza fiato.

    "Ma cosa..."

    Dinanzi a lui, la desolazione si rivestì di gloria, mentre alle rovine si sovrapponevano le immagini delle immani torri di vetro, pietra e acciaio, alte fino a un cielo azzurro intenso, punteggiato di candide nubi da cui filtravano i raggi dorati del sole. Gli alti crepacci, apparentemente celati durante la sua discesa, erano ora ben visibile, e stagliavano nel blu del cielo come graffi caliginosi. E poi, c'erano loro, coloro che passeggiavano: figure umane si muovevano infatti attorno a lui, occupate a vivere la propria quotidianità: indossavano abiti eleganti e semplici, dalle linee squadrate e regolari, prevalentemente bianchi o neri, ma non era difficile scorgere anche altri colori, in mezzo alla folla. Per un attimo, Alaric fu tentato di schiaffeggiarsi, o di darsi un pizzicotto, per rendersi conto di non stare sognando, fino a quando una di quelle figure non gli arrivò addosso. O meglio, lo avrebbe fatto se non avesse cominciato a tremolare nel momento in cui il suo braccio si era alzato e l'aveva attraversata come se fosse stata fatta di nebbia, rivelando chiaramente con cosa aveva a che fare. Ologrammi. Il suo cuore batteva come un tamburo, sembrava stesse per saltargli fuori dal petto per quanta era l'emozione: forse non era nato poi così tardi, tutto sommato.

    "Questo è il sogno di chiunque abbia intrapreso questo mestiere, conosco infinità di colleghi che si sarebbero fatti asportare metà degli organi anche solo per essere qui, figuriamoci per avere una possibilità come questa! Qui, dinanzi ai miei occhi, io vedo la città com'è e la città com'era, vedo la morte e vedo la vita. Non devo immaginare nulla, ipotizzare nulla, devo solo contemplare e apprendere. Gli abiti, oh dei, non sono nulla che io abbia mai visto in nessuna raffigurazione, nemmeno sull'isola, ma sembrano rifarsi a delle descrizioni non molto chiare riscontrate in alcuni antichissimi Holocron ormai inutilizzabili. La geometria perfetta degli edifici, ora che mi trovo esattamente tra essi, risalta ancora più nettamente che dall'alto, e con l'immagine olografica ogni cosa non è altro che pura meraviglia, non provo che ammirazione per l'ingegno di coloro che sono venuti prima di noi."

    Ansimava mentre parlava, colto dall'estrema emozione di star assistendo proprio a quello spettacolo. Nonostante le immagini e le luci scattassero e sparissero frequentemente, attorno a lui erano sempre perfettamente chiare e nitide, anzi, di più, erano quasi vive. Ma non era solo emozione, a pensarci meglio, era anche un senso vago, ma non per questo non opprimente, di fatica. Non ci fece troppo caso, la giornata era stata pesante, tutto sommato, e aveva anche dormito poco. Si, doveva essere quello. Cerco di alleviare quel senso bevendo dell'altra acqua, poi si tolse il pesante cappotto nero, che cominciava a sembrargli insostenibilmente caldo e pesante, ordinò a C-04 di spegnere il proprio raggio luminoso, chiaramente inutile, e continuò a camminare percorrendo vie in cui nessuno si muoveva da decine di millenni, se non quei fantasmi silenziosi che apparivano e scomparivano con i suoi passi, sbucando dai resti di torri cadute che a volte, quando le immagini lo permettevano, tornavano a svettare alte e possenti nel cielo terso. Ogni passo che faceva era una nuova scoperta: vedeva sempre più persone, gli edifici erano più nitidi, poteva presupporre di star avvicinandosi al centro della città, data la quantità di ologrammi che si spostavano tra le macerie, e la quantità immane di rovine lì presenti. Dinanzi a lui, molto lontano, vide un alto grattacielo ancora in piedi tra le macerie, ma fu costretto a concentrarsi molto per riuscire a capire che non era un'illusione, ma una delle poche strutture ancora integre: il bisogno di arrivarci ed esplorarlo era così forte da fargli dimenticare perfino la prudenza, ma non così impellente da farlo lavorare in modo sconsiderato. Lui era un archeologo, doveva affrontare la situazione con metodo: registrare tutto, raccogliere campioni, analizzare dati. Cercò di rallentare il proprio passo, la sensazione di stanchezza che lo assaliva ancora più prepotente, con le luci che si accendevano attorno a lui mentre avanzava, come se camminando stesse premendo delle piastre che davano il segnale di accensione. Aprì la borsa, estraendo delle provette, e cominciando a raccogliere piccoli frammenti di detriti da far analizzare con calma in laboratorio, una volta tornato: doveva fare le cose per bene, senza fretta, laddove fosse stato possibile. I suoi passi continuavano a emettere suoni ovattati, mentre era costretto ad aggirare ostacoli non superabili lungo il percorso, ostacoli che gli ologrammi attraversavano con naturalezza, procurandosi il suo divertito disappunto. Nella sua avanzata, mentre si sentiva sempre più stranamente stanco e appesantito, Alaric si cominciò a chiedere come mai tra le rovine non trovasse nulla, al di fuori dei resti degli edifici: non vide oggetti di metallo, suppellettili o anche resti di tecnologia, solo rovine di edifici. Era come se il tempo le avesse consumate, o come se qualcuno, semplicemente, le avesse prese e portate via.

    "Possibile che gli abitanti, magari preventivando la caduta della città, se ne siano andati con la loro roba verso altri luoghi, non lasciando praticamente nulla?"

    Si chiese accarezzandosi la barba, mentre avvertiva nuovamente la sensazione di venir osservato da qualcuno. Si voltò di scatto, ma era ancora inesorabilmente da solo. E ancora una volta ciò che aveva percepito era stata la brevissima apparizione di un Cosmo estraneo. La cosa ora, oltre a preoccuparlo, lo stava irritando.

    "Questa volta non posso dare la colpa a residui cosmici e cazzate simili. Qui c'è proprio qualcosa che non va, e sarà meglio capire in fretta di cosa si tratta. Non vorrei che ciò che sto provando ora abbia magari a che fare proprio con questa cosa..."

    Per un attimo nella sua mente tornò nitido il resoconto fatto da Candice molti anni prima, in particolare il suo aver avuto un contatto con lo spettro di Lyria: possibile che anche lui stesse avendo a che fare con un'entità simile? Da un certo punto di vista sarebbe stato indubbiamente affascinante, ma dall'altro... Se fosse stato ostile, e verosimilmente abbastanza potente da aver trasceso la forma fisica mantenendo intatta la coscienza, per lui sarebbero stati problemi. Specialmente con quell'affaticamento che sembrava divorarlo.

    "Già il fatto che non stia interagendo con me potrebbe essere un buon segno, se si tratta di qualcosa di questo tipo.

    Leggermente affannato, riprese il suo cammino verso l'alta torre, sempre meno distante, le energie che sembravano scivolare via da lui lentamente ma inesorabilmente ogni volta che una luce si accendeva o una figura, che fosse una persona o un palazzo, compariva troppo vicino a lui, fino a che la sua strada non fu interrotta dall'ostacolo più grande mai riscontrato fino a quel momento: un intero palazzo era precipitato proprio su quel percorso, che un tempo doveva essere una delle arterie più importanti di quell'insediamento meraviglioso, così immane che non avrebbe mai potuto scalarlo senza un minimo di attrezzatura o attenzione, così vasto che, ad occhio, aggirarlo avrebbe richiesto come minimo un'ora, se non avesse trovato delle fenditure che permettessero di attraversarlo senza pericolo. Anche così, era stupendo: acciaio, marmo e vetro ancora perfettamente integri nonostante l'abbattimento del colosso e a malapena intaccati dalla polvere. Si avvicinò, riverente, arrischiandosi perfino a toccare quel gigante collassato incalcolabili anni prima, sentendo un brivido di emozione paragonabile a quello che doveva dovuto provare Schliemann dinanzi ai resti di Troia. Fu però in quel momento, proprio mentre le luci attorno a lui brillarono con ancora maggiore intensità e le figure umane diventarono così perfette da risultare quasi tangibili, la strada sgombra e affollata che si sovrapponeva al titanico ostacolo, che Alaric si sentì privare di ingenti forze. Non al punto di rischiare un collasso, beninteso, ma abbastanza da sentire le ginocchia tremare leggermente e la testa girargli. Se si fosse trovato altrove, avrebbe dato la colpa a un calo di zuccheri, ma in quel luogo chiaramente nulla era normale, e nulla era come sembrava. Stanco di brancolare in quel modo, Alaric mise da parte la sua pazienza da archeologo e decise, contrariamente a quanto si era ripromesso poco prima, di accelerare notevolmente la sua indagine. Chiamò a sé il droide, e impostò su di esso l'ordine più complesso fino a quel momento: stava per effettuare un grosso test, che avrebbe potuto, se andato a buon fine, segnare un enorme passo avanti per la ricerca su Ch.Or.O.S., permettendo di espandere ulteriormente le sue capacità.

    "Farò analizzare una porzione delle rovine dal drone, sfruttando una porzione del palazzo caduto proprio dinanzi a me come campione. Avrei preferito agire con la dovuta calma, per il bene della scienza, senza ricorrere a sperimentazioni che potrebbero potenzialmente comportare problemi alla struttura di quanto viene studiato: non sappiamo del resto che materiali abbiano usato di preciso, e se le onde emesse dal drone non siano in qualche modo dannose per parte di essi, ma non ho scelta, devo sapere se questo indebolimento è dovuto a cause ambientali o se ci sono altre motivazioni. C-04: inizio scansione."

    Il drone ronzò a lungo, mentre calibrava il proprio scanner ed elaborava tutti gli input dati dal nuovo comando, impiengando più tempo del previsto e prese ad analizzare le superfici, trasmettendo i dati al tablet di Alaric. L'uomo si passò un fazzoletto sulle fronte, sbuffando: era normale tutta quella spossatezza? Non gli sembrava di star facendo nulla di particolarmente stressante. Posò il fazzoletto e prese dalla borsa il proprio dispositivo, aprendo il programma di analisi della composizione chimico-fisica: si trattava di una delle funzionalità più utili di Ch.Or.O.S., utile in praticamente tutti i campi, capace di effettuare una scansione di praticamente qualsiasi struttura organica o inorganica. Appena la totalità dei dati venne passata dal droide, Alaric corrucciò la fronte, impaziente mentre il tablet entrava in caricamento per decodificare il tutto. Appena fu pronto, Alaric cominciò a leggere rapidamente i tabulati, ingrandendo i grafici e annuendo pensoso, attivando anche la funzione per generare un grafico che gli permettesse di contemplare la struttura interna del materiale analizzato. Una volta elaborata la richiesta, il programma mostrò un'intricata rete di quelli che sembravano filamenti sottili come capelli che sembravano percorrere l'intera massa di quello che doveva essere stato un maestoso edificio, un tempo. Leggere la descrizione di ciò che i sensori avevano rivelato, fu a dir poco scioccante.

    "Ok, ok. Devo stare calmo... Se i dati rilevati sono corretti, le analisi effettuate hanno stabilito che le linee appartenenti alla rete che attraversa la struttura dovrebbero essere dei circuiti, che, posso immaginare, servissero come conduttori di informazioni o energia all'interno di un edificio. Ma non è questo a lasciarmi interdetto, una tecnologia simile era prevedibile, in una civiltà così avanzata: le analisi riferiscono la natura precisa delle linee. Oricalco. Oricalco nero, per essere precisi, stento perfino io a crederci mentre pronuncio queste parole. Sto facendo scandagliare l'area al drone, prendendo a campione anche altri edifici per compiere ulteriori accertamenti, ed in ogni frammento di edificio risulta essere presente in questa forma. Non voglio parlare a sproposito, ma potrebbe essere l'ingente quantità di Oricalco nero nell'ambiente a provocare la mia stanchezza? Stando a quanto riportato da alcuni documenti, esso è tremendamente efficiente nell'assorbire energia, specialmente dai viventi. Forse, quando c'erano molte persone, non provocava loro simili effetti perché l'energia assorbita era ripartita su più individui, creando un insediamento energicamente autosufficiente perfino senza fonti di energia nelle vicinanze, perché sarebbero stati gli abitanti stessi a fornirla! In ogni caso, a prescindere da questo, riferisco che si tratta di qualcosa di assolutamente unico, la struttura del metallo è diversa da quella del normale Oricalco nero giunto fino a noi, è come se fosse stato trattato, raffinato con tecniche che, a memoria, non ricordo citate in nessun documento o holocron dell'Archivio Nero. Incredibile. La sua struttura molecolare è simile e diversa da quella delle Kintaral, che ho avuto modo di esaminare su concessione di Lord Hybris: si tratta di qualcosa di più, come dire, evoluto! È si una lega di Oricalco e Orium, com'è giusto che sia, ma è proprio la struttura a risultare anomala rispetto a quanto ho avuto modo di analizzare sull'isola, è come se la disposizione degli atomi e delle molecole fosse stata rimaneggiata, per alterarne in qualche modo la natura. No, devo essere più preciso, per migliorarne la natura! Si tratta di qualcosa di praticamente impossibile senza l'utilizzo di una conoscenza divina, non esistono dati su qualcosa del genere. Si tratta di un procedimento che esula dalla normale scienza, ci troviamo davanti all'apice dell'alchimia, siamo letteralmente ai limiti di una trasmutazione. Non esiste praticamente nessuno, nella storia dell'Ordine capace di una cosa del genere."

    Ma si sbagliava, e ne era consapevole proprio mentre parlava. Si, premette la radice del naso tra le dita, titubante sul registrare ancora, mentre le luci attorno a lui illuminavano i granelli di polvere nell'aria, e lui sentiva la fiacchezza aumentare, mentre le luci e le figure che lo circondavano sembravano farsi più intense, mentre lui stava fermo, illuminandolo come se fosse stato il protagonista su un palcoscenico silenzioso.

    "No, che stupido, qualcuno di così potente e abile c'è stato. Uno solo, un genio tra i suoi pari, un Alchimista così potente da saper modellare l'Oricalco come nessun altro, come nemmeno il Re Santo dell'Ariete sarebbe stato in grado di fare, senza la sua preziosa Dea al fianco."

    Esitò ancora, leccandosi le labbra secce prima di pronunciare con estrema riverenza il nome del più grande tra i Primi.

    "Darth Amyros, nato Milyros della Casa di Libra, Primo Alchimista Supremo della Bilancia."

    CITAZIONE
    Stato fisico: leggermente affaticato
    Stato mentale: esaltato
    Energia: Blu
    Armatura: Nessuna

    Note: OMG


    Edited by Asarthur - 27/2/2024, 11:58
     
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    BEFORE THE MIRACLE

    III




    Il tuo cammino procede a rilento. Quella che stai percorrendo doveva essere una delle vie di comunicazione più importanti, se non la principale. Capisci che le illusioni si fanno più frequenti vicino alla strada, sulla cui superficie brillano a intermittenza fasci di circuiti, sempre più spessi mano a mano che raccolgono le varie diramazioni provenienti da strade secondarie. Seguire i circuiti ti conduce al centro della città sotterranea, in quello che un tempo doveva essere un idilliaco giardino, stando alle visioni del passato. Ciò che rimane davanti a te, però, è una voragine oscura.
    Una delle grandi torri cadute ha spezzato le lastre della pavimentazione, rivelando una struttura cilindrica cava che scende ulteriormente verso il basso. Pare che, per risalire, tu debba prima scendere.
    Non è semplice capire come muoverti, ora che sei arrivato fino a questo punto: le macerie della torre e i resti delle decorazioni del giardino sono cadute per centinaia di metri fino a riempire il fondo del cilindro. Sono le rilevazioni strutturali di C-04 a suggerirti una parziale soluzione. Pare infatti che il peso dei detriti abbia sfondato parte della struttura sottostante, forse liberando un passaggio che altrimenti non sarebbe mai stato percorribile.

    ...

    Quando ti cali all'interno dell'enorme stanza cupolare, ti è immediatamente chiaro di aver trovato il vero cuore della città.
    I circuiti che vedevi in superficie si raccolgono tutti in questo punto, scendendo in una cascata di luci intermittenti al centro esatto della cupola, dove svetta un trono di metallo decorato da intarsi di oro e platino.
    E su quel trono, una figura giace immobile.

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    La fattura del corpo è interamente di natura meccanica. Vedi gli stessi artifici, gli stessi circuiti, perfino gli stessi pattern estetici che hai ammirato nel resto della città e in quella stessa stanza. L'androide giace immobile, ma forse è la posizione tanto umana e naturale a trarti in inganno diverse volte, illudendoti che possa in qualche modo respirare.
    Il resto della stanza è quasi interamente occupato da schermi spenti e quelle che parrebbero complesse postazioni di comando. L'aria è pesante, quasi irrespirabile in un primo momento, anche se col passare dei secondi riesci a respirare sempre meglio.
    Le tue energie, invece, continuano a dissiparsi sempre più velocemente...

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    Note Master:
    Ecco, siamo ancora in un post di passaggio, ma iniziamo a vedere cosine. Continua il tuo lavoro di indagine e decidi come muoverti sul finale. Le varie interazioni gestiamole come al solito.


     
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    III


    CITAZIONE
    Narrato
    Parlato
    Pensato
    Ch.Or.O.S.

    Avanzare in quel luogo dimenticato da dei e uomini diventava sempre più complesso per Alaric e non solo per quell'affaticamento attanagliante: più l'inglese proseguiva la sua avanzata, più le condizioni le rovine diventavano impraticabili, costringendolo a lunghe deviazioni per evitare di sprecare energie scalando o utilizzando il controllo sulla gravità, sempre seguendo i vari circuiti che brillavano a intermittenza ai lati della via: ormai aveva capito molto bene che essi e le visioni erano strettamente legati, e anzi, più erano luminosi i circuiti di Oricalco Nero più le visioni erano vivide e realistiche. Quella strada era immensa, e attorno ad essa le illusioni erano così vivide e frequenti da far davvero dubitare al suo cervello di non stare guardando attraverso una porta dimensionale, animate dall'intermittenza sfavillante di spessi fasci che diventavano via via più grandi e intricati, raccogliendo tutti quelli provenienti dalle varie strade secondarie. Quella via doveva essere davvero stata la più importante di tutta la città, data la sua ampiezza, la quantità di torri svettanti e soprattutto di circuiti che la circondavano, ed essa sembrava condurre nel luogo più inaspettato che lo studioso potesse trovarsi davanti. Non un palazzo immane, o una torre più imponente delle altre, ma, in base alle visioni ormai assolutamente indistinguibili dalla realtà, ad un parco. Anzi, ad un giardino, che doveva essere stato davvero spettacolare nell'antichità: fontane d'oro e argento dalle forme mirabolanti, con piante di ogni genere, dai cespugli fioriti agli alti alberi frondosi, alcuni dei quali carichi di frutti dalle forme più disparate, e tra i loro rami e al di sopra delle allegre fontane svolazzavano uccelli canori dai colori vivacissimi, che non sarebbero sfigurati in un libro di fiabe, e che saltuariamente volavano vicino a coloro che, passeggiando nel parco, alzavano la mano per attirarli a sé, così da accarezzarli o fischiettare insieme a loro, a giudicare dal modo in cui le figure piegavano le labbra. Quel dipinto di puro incanto doveva essere qualcosa di magico, visto dal vero, ma ora, in quel tempo, non era che un triste simulacro di qualcosa che non esisteva più, e quando l'immagine si dissolse durante una delle interferenze, Alaric vide la triste realtà di quel luogo che doveva essere stato il centro di incontro e ristoro della città perduta: dei colori meravigliosi e della vita rigogliosa non restava più nulla, tutto era stato divorato dallo spietato scorrere del tempo e dall'inclemenza che esso aveva verso le creazioni umane; una delle alte torri, forse la più massiccia mai incontrata fino a quel momento, era collassata proprio al centro esatto di quel luogo un tempo quasi onirico, distruggendo con brutale barbarie il suolo e generando una colossale voragine circolare, così immensa da far tentennare perfino Alaric.

    "Non è possibile che la semplice caduta di uno di questi grattacieli abbia creato qualcosa di simile, a prescindere dalle dimensioni e dal peso dello stesso. Lo spazio cilindrico è preesistente all'evento nefando, si trovava al di sotto del giardino, ben celata, per qualche motivo. Ma perché mai fare una cosa simile? Che fosse una sorta di bacino idrico? Una scorta d'acqua sia per le fontane che per gli edifici?"

    Disse riflettendo l'inglese, registrando come sempre i suoi pensieri nel diario digitale.

    "Urge effettuare analisi più approfondite ed efficienti. Invierò il drone nella voragine e gli farò analizzare la struttura della stessa, per capire la sua profondità e cercare di intuire il suo scopo originale. C-04 procedi con una scansione della voragine e trasmetti un'immagine tridimensionale."

    Il drone emise un suono acuto mentre scendeva nell'oscurità, ruotando gli scanner e registrando ogni dettaglio della conformazione del cilindro cavo, fino a sparire nel buio. Alaric prese a camminare avanti e indietro, le mani dietro la schiena, facendo respiri profondi per provare a rallentare il battito del suo cuore e cercando di conservare quante più energie possibili, in attesa delle risposte ai suoi dubbi. Non dovette aspettare a lungo: dopo alcuni minuti il drone risalì il condotto e spuntò dinanzi a lui, emettendo un suono acuto e continuo, prima di interrompersi di colpo e rimanere a fluttuare in silenzio accanto al soldato. Questi si sbrigò a riattivare il tablet, attivano l'elaborazione dei dati inviati dalla macchina, passando poi alla funzionalità di proiezione: dallo schermo del tablet, si alzò un immagine in scala e in tre dimensioni della cavità, così perfetta che erano riprodotte perfino le crepe nella sua superficie. Non sembravano esserci tracce di deterioramento dovuto all'azione dell'acqua, il che confutava sul nascere l'ipotesi che fosse un bacino idrico, in compenso la scansione rivelava che, in modo estremamente sospetto ma decisamente logico e intuibile, i vari circuiti di Oricalco Nero che lo avevano condotto fino a lì scendevano lungo le pareti e all'interno di esse, spingendosi così in profondità che apparentemente superavano il fondo stesso del cilindro! Aveva però bisogno di ulteriori conferme, specialmente riguardo un punto che la scansione non mostrava chiaramente in quella prospettiva.

    "Ch.Or.O.S. ruota di 90° l'immagine e zooma sulla base."

    Il sistema operativo immediatamente eseguì il comando, facendo cambiare il punto di vista, e fu in quel momento che un ampio sorriso trionfante: nella scansione di C-04 veniva evidenziato come quello che sembrava essere il fondo della voragine in realtà non fosse altro che una colossale massa di detriti, i resti sia della pavimentazione distrutta che della torre collassata, questo era sicuro, ma al di sotto di quella massa dalla natura non uniforme si trovava qualcosa di diverso, una base compatta e omogenea, che doveva essere stata proprio il fondo originale di quel cilindro così ben nascosto. E, a quanto pareva, proprio il peso incalcolabile di quei materiali aveva ottenuto un effetto decisamente interessante sulla base originale, dato che l'immagine rivelava come la massa di detriti, ad un certo punto, non gli era chiaro se già all'epoca della caduta o in un periodo successivo, per azione del semplice logorio del tempo, aveva provocato lo sfondamento di una piccola parte di quella che doveva essere la copertura di una struttura ulteriormente ipogea, probabilmente il vero cuore di quel reame sotterraneo, se davvero tutti i circuiti erano indirizzati in un unico punto. Ora però sorgeva un nuovo problema per lo studioso: come poteva riuscire scendere? Alaric non era infatti dotato dell'equipaggiamento adatto per tentare una discesa e anche se l'avesse avuta, scendere per almeno un centinaio di metri sarebbe stato tremendamente difficoltoso e pericoloso anche per un esperto scalatore, cosa che lui decisamente non era stato nemmeno da ragazzo, figurarsi ora. Egli sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare, ma non era per nulla entusiasta, dato che quella soluzione poteva rivelarsi rischiosa quanto un salto diretto nel vuoto, considerando l'opprimente stanchezza che sembrava diventare sempre più forte anche quando non faceva nulla per consumare energie. Alaric si guardò attorno con estrema attenzione, osservando con occhio critico le macerie e i resti lasciati dalla rovinosa caduta del palazzo lì sulla superficie, fino a quando non individuò una grossa lastra di metallo e circuiti interrotti, a un'attenta analisi la più robusta tra quelle non eccessivamente pesanti, e stese la mano come per benedirla, lasciando che il Cosmo fluisse verso essa, avvolgendola in un velo invisibile e riducendo su di essa la presa della gravità, facendo si che si sollevasse dal suolo di circa un metro, leggera come una piuma. Dopodiché, attuò una leggera repulsione gravitazionale, usando sé stesso come fulcro della stessa, spingendo lentamente la lastra al di sopra del baratro, riducendo però in modo ancora maggiore la presa della gravità terrestre su di essa, lasciandola così sospesa, perfettamente immobile, proprio dinanzi ai suoi piedi. Asciugandosi il sudore dalla fronte, sorpreso di quanta fatica gli fosse costata quell'azione così semplice, Alaric si assicurò che l'effetto anti-gravitazione fosse stabile e, con un balzo, ci salì sopra cercando di restare in equilibrio nonostante la stanchezza che pesava su di lui come una coperta bagnata, sforandosi di mantenere la concentrazione sul blocco sotto i suoi piedi. Sbuffando di sollievo mentre manteneva il controllo sulla gravità, il britannico allentò di pochissimo la presa che aveva sull'oggetto, lasciando che la gravità del pianeta riottenesse un maggiore controllo su di esso, attirandolo nuovamente a sé come avrebbe dovuto fare naturalmente, soltanto in modo infinitamente più lento, come se in realtà non fosse pesato oltre un quintale, facendolo scendere verso il basso con studiata attenzione, più lento perfino dell'ascensore con cui era arrivato nella città segreta. Raramente aveva esercitato i propri poteri così a lungo e in una condizione così estrema, e quel test fu decisamente provante per lui, più abituato ad usare i suoi poteri in modo rapido e in scenari di combattimento, piuttosto che in quel modo terribilmente opprimente. In quel momento si sentiva esattamente come un pugile costretto a correre una maratona. Il suo corpo sembrava essere sottoposto a una pressione immensa, la sua mente era come scollegata dai propri sensi, interamente focalizzata nel regolare la giusta quantità di Cosmo, concentrata al punto che egli non si rese quasi conto del momento in cui la lastra si posò su una superficie solida, non muovendosi più. Alaric si piegò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia mentre riprendeva fiato, risollevandosi solo dopo alcuni istanti per frugare all'interno della borsa per recuperare il thermos in cui conservava il prezioso tè preparato quella mattina, bevendolo con avidità, e lasciandolo poi cadere al suolo ormai vuoto. Si sentì parecchio rinfrancato, anche se non poteva dire di aver recuperato le energie, e si dedicò quindi a studiare il punto in cui era finito, guardando in alto per assicurarsi che C-04 stesse scendendo per continuare le sue analisi e rendendosi conto che era sceso molto più di quanto non avesse sospettato dalla ricostruzione realizzata dalla scansione del drone: il foro sopra di lui sembrava estremamente piccolo, rispetto alle sue effettive dimensioni. Il terreno su cui poggiava era piuttosto compatto e solido ma decisamente non uniforme, essendo composto da detriti di varia origine e natura, ovvero lastre di metallo, frammenti marmo, pietra grigia, vetro e da resti di circuiti di Oricalco Nero, il nuovo fondo. Quindi, lì attorno, doveva trovarsi anche il foro per poter scendere ancora più in profondità, alla ricerca delle risposte sull'origine di quel luogo antico oltre la memoria, con passo cauto ma rapido, aiutato dalla luce proiettata da C-04, appena arrivato la suo fianco, Alaric si mosse sui detriti, aiutandosi con il tablet per individuare il punto esatto da cui potersi calare, trovandolo abbastanza rapidamente: ciò che vide al di sotto, lo lasciò impressionato, dato che, diverse decine di metri al di sotto di quel foto laterale, grande abbastanza per far passare un uomo adulto con le braccia lungo il corpo. Doveva tentare una discesa diversa, senza una base di appoggio.

    "Mhm, il salto è alto, ma non così tanto. Potrei rischiare una strategia differente, anche se sarebbe la prima volta..."

    Alaric si massaggiò il mento, mentre chiudeva gli occhi visualizzando il Cosmo che fluiva attraverso il suo corpo, procedendo poi a manipolarlo in modo che si avvolgesse attorno alla sua figura come un sudario, manipolando poi la gravità in modo che il suo corpo ne venisse influenzato sei volte meno del normale, come se fosse stato sulla luna. Provò a saltare ma notando la velocità con cui comunque atterrava, decise di diminuire ulteriormente i vincoli imposti dalla gravità, portandola ad essere dieci, anzi, quindici volte meno potenti rispetto al normale. A quel punto, saltò in avanti chiudendo gli occhi, preparandosi a qualsiasi eventualità e, con suo enorme sollievo, si rese conto di star cadendo con estrema grazia all'interno dello spazio sottostante, scendendo con la lentezza di una piuma. Per scaramanzia tenne gli occhi ben serrati, concentrandosi al massimo per mantenere quella condizione, ma, proprio a pochi metri dal suolo, un improvviso calo di energia lo portò a interrompere la sua manipolazione della gravità, facendolo cadere per quasi tre metri. Riuscì a evitare fratture riprendendo all'ultimo istante il controllo sulla gravità, diminuendone per pochissimo l'effetto e impattando al suolo con molta meno violenza di quanto avrebbe dovuto, riuscendo così a limitare i danni a qualche brutta contusione dovuta all'impatto con il freddo pavimento di pietra. Si rialzò dolorante, massaggiandosi le parti che avevano urtato il suolo, e rimase a bocca aperta dinanzi allo spettacolo che si trovava attorno a lui: la stanza era immensa, molto più vasta di quanto le dimensioni del cilindro non facessero sospettare, sormontata da una cupola colossale che, nel punto dove lui era caduto, distava dal suolo non meno di quindici metri, con una cascata di luci intermittenti, formata dalla congiunzione di tutti i circuiti che attraversavano la città e i suoi titanici palazzi, dandogli la conferma definitiva che quel luogo era così ben celato perché era il vero cuore della città, il suo lato più oscuro e celato, quello dove... I suoi pensieri, fino ad allora galoppanti, si interruppero di colpo, mentre sobbalzava per lo spavento: la cascata luminosa, infatti, non scendeva al suolo per poi diffondersi, ma si connetteva a una struttura che si innalzava dal pavimento, un magnifico trono di metallo nero intarsiato d'oro e d'argento in elaborati motivi geometrici e floreali che, se l'occhio non lo ingannava, richiamavano una forma artistica che andava di moda prima della caduta di Lemuria, stando ad alcuni dei testi che aveva recuperato nell'archivio anni prima. Ma non era il trono la cosa scioccante quanto piuttosto il suo occupante, una massa di metallo nero foggiata a mo' di corpo umano, anch'essa intarsiata di lucenti metalli preziosi come il trono che occupava, posta in una posizione di così naturale rilassatezza che ci vollero parecchi istanti perché Alaric si rendesse pienamente conto di trovarsi dinanzi un androide disattivato. Quella cosa era del resto così "umana" in ogni suo particolare da lasciare sbalorditi: la testa sembrava un teschio, le sezioni delle braccia e delle gambe, sembravano composte di fibre muscolari sode e tese invece che di metallo, la disposizione dei tubi sembrava quasi richiamare quella dei tendini e dei vasi sanguigni principali. Alaric non era un medico, ma suo padre si, e poteva dirsi sicuro al 100% se il suo vecchio avesse visto una cosa del genere l'avrebbe anche potuta utilizzare come modello anatomico. L'inglese non poteva negare di sentirsi parecchio a disagio dinanzi a quell'automa, la sua perfezione lo rendeva qualcosa di sbagliato, alieno perfino, e ci furono degli attimi in cui lo studioso si convinse di aver visto la cosa muoversi appena oppure respirare, come se fosse stata immersa in un sonno profondo.

    "Idiozie. È l'aria di questo posto unita alla fatica a farmi pensare queste idiozie."

    E in effetti l'aria lì sotto era a malapena respirabile, fetida e stagnante, come se non circolasse da troppo tempo, tanto da costringerlo a coprirsi il naso e la bocca con un fazzoletto, per cercare di arginare almeno il cattivo odore di quel luogo abbandonato, tuttavia, con il passare dei secondi, il britannico si rese conto stava leggermente migliorando, o forse era semplicemente lui che si stava abituando. A fatica distolse lo sguardo dall'automa e cominciò a guardarsi attorno, notando come la stanza fosse quasi completamente occupata da giganteschi schermi e postazioni di comando ad essi collegate, alcuni disposti direttamente contro la parete circolare, altri posti tra essa e il trono in vari anelli concentrici. Lui in quel momento si trovava grossomodo a metà strada, forse leggermente più vicino alla parete, ma la scarsa luminosità, nonché il senso di stanchezza che in quel luogo sembrava essere ancora più opprimente, non permetteva di capire con precisione le distanze, laggiù. Alaric sospirò, prendendo dalla borsa la borraccia e finendo l'ultimo sorso d'acqua, continuando poi a studiare l'area in cui si trovava: gli schermi erano tutti spenti, e le varie postazioni non davano particolari segni di vita, oltre ad essere realizzate con una tecnologia tremendamente avanzata, superiore a quella che loro erano riusciti a ricreare sull'isola, eppure estremamente affine ad essa.

    "Tecnologia tardo-lemuriana? O forse una rielaborazione, anzi, un miglioramento delle prime tecnologie Sith? È difficile a dirsi, studiando le postazioni dove dovevano porsi gli operatori non noto simboli immediatamente evidenti, probabilmente erano visibili solamente quando il sistema era completamente attivo. Varrebbe comunque la pena fare un tentativo con Ch.Or.O.S., forse la sua interferenza potrebbe aiutare ad attivare ciò che è spento da chissà quanti secoli. Sempre che ci sia ancora qualcosa ad alimentare questa stanza, cosa che non mi stupirebbe: se davvero ci troviamo in una sorta di Cervello della città, di centrale operativa al centro di tutto, potrebbe darsi che avessero approntato delle batterie cosmiche d'emergenza, o dei generatori capaci di attivarsi in caso di necessità estrema."

    Recuperò dalla borsa uno strano oggetto: sembrava un magnete, lungo quanto il tablet, realizzato dello stesso materiale, che avebbe potuto passare per una sorta di caricatore, ma che aveva una funzione ben più sinistra, un Incursore, uno strumento pensato per permettere ai dispositivi connessi a Ch.Or.O.S. di prendere il controllo o comunque di accedere ad altri strumenti informatici. Alaric pose la base magnetica su una delle postazioni, dopodiché, accertatosi che fosse ben fissa, vi poggiò il tablet e si rivolse nuovamente ad esso.

    "Ch.Or.O.S, iniziare procedura di accesso. Accedi ai dati e scarica le informazioni."

    "Tentativo in corso... Tentativo fallito, non posso penetrare il sistema."

    Alaric diede più volte lo stesso ordine, ma la risposta del IA non cambiò: non poteva fare ciò che chiedeva, era impossibile forzare quel sistema operativo. Avrebbe dovuto immaginarlo, probabilmente l'IA non riusciva in quel compito perché quell'apparato oramai era defunto da millenni e nemmeno Ch.Or.O.S. sarebbe riuscita a violarne la memoria. Oppure era qualcosa di davvero così complesso da non funzionare come un normale computer, o era protetto da difese superiori; potevano letteralmente esserci infiniti motivi per cui la sua idea non stava funzionando, per cui Alaric non ritenne nemmeno necessario prendersela: faceva parte del gioco, non sempre le cose potevano andare COSI' bene, specialmente in una situazione del genere. Provò a cambiare anche postazioni, ma il risultato risultava lo stesso, per cui decise alla fine di lasciar perdere, sebbene con una punta di amarezza per non essere riuscito a fare di più. Dannazione, possibile che fosse già finito tutto? Che non potesse più andare oltre quanto aveva già ottenuto? Era chiaro che doveva esserci un modo per far ripartire tutto, l'energia non poteva essere l'unica incognita in quell'equazione. L'ascensore, del resto, funzionava, i circuiti erano attivi, sebbene a intermittenza, quindi una fonte di energia doveva esserci e se c'era allora era anche possibile riattivare quella centrale operativa. E si era fatto un'idea di quello che c'era da fare...

    "Sembra che, alla fine, per non lasciare nulla di intentato dovrò fare un tentativo con il nostro robotico ospite. Se tutta la rete cittadina si connette al trono, forse agire tramite esso o tramite la macchina potrebbe permettermi di riaccendere l'intera sala e quindi capire a cosa servisse tutto questo. Oltre, magari, anche a riattivare la città in generale, permettendo ad altri oltre a me di scendere qua sotto. Tenterò un approccio sicuro, per il momento."

    Avanzando cautamente mentre cercava di ignorare le forze che scivolavano via da sé in modo ormai preoccupante, Alaric allungò la mano verso il trono, focalizzandosi sul robot e cercando di farlo sollevare da esso. Inizialmente gli parve di scorgere un tremito nella struttura di metallo del suo corpo, ma esso non si smosse nemmeno di un millimetro a prescindere da quanto il britannico si sforzasse perché la gravità smettesse di agire su di esso: era come se una forza ancora superiore lo stesse tenendo ancorato al suo scranno, una forza che lui non riusciva a vincere. Sentì le energie venirgli meno, interruppe il contatto e quasi cadde a terra, spossato, chiedendosi che cazzo stesse succedendo in quella stanza, e perché la sensazione di stanchezza fosse peggiorata in modo così esponenziale, specialmente ora che stava provando a interagire con la macchina. Macchina che sembrava aver ora inclinato ulteriormente il capo, come se fosse curiosa di osservare le azioni di Alaric. Un brivido gli percorse la schiena, mentre allontanava quel pensiero, rassicurandosi sul fatto che l'androide non avesse cambiato posizione, ma che erano i suoi occhi a ingannarlo, a causa della strana luminosità emessa dai circuiti nella stanza e dalla generale assenza di altre fonti di luce.

    "La macchina non si muove quando provo a usare il Cosmo, l'unico risultato di questa azione è stato affaticarmi inutilmente. Ci deve essere dell'altro, probabilmente essa è collegata al trono in qualche altro modo, tenterò di sbrigarmela alla vecchia maniera.

    E detto questo, avanzò in mezzo a macchine e schermi, arrivando infine a meno di mezzo metro dal seggio metallico con il cuore che batteva così forte da sembrare quasi volesse fuggire dal suo petto: perché diavolo era così preoccupato? Era solo un droide, ne aveva visti centinaia sull'Isola, anche se non così perfetti, e questo era chiaramente disattivato. Non aveva nulla da temere, e anzi, aveva di fatto tutto da guadagnare se la sua idea di servirsi del trono per attivare la stanza fosse stata corretta. Allungò una mano verso il droide...

    CITAZIONE
    Stato fisico: leggermente affaticato, contuso dopo la caduta
    Stato mentale: stanco e confuso
    Energia: Blu
    Armatura: Nessuna
     
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    BEFORE THE MIRACLE

    IV




    Le tue dita sfiorano la superficie metallica. Non è fredda come ti aspetti.
    L'energia abbandona il tuo corpo a una velocità folle, tanto che rischieresti di morire se mantenessi il contatto per anche solo una manciata di secondi.
    Il petto dell'automa sembra sollevarsi, le dita stringersi sul trono... ma è davvero così?

    Dal nulla torni a percepire la stessa presenza che hai avvertito al tuo ingresso nella città sotterranea. Si fa opprimente, permeando ogni cosa intorno a te. Sembra trovarsi ovunque. Gli schermi si accendono simultaneamente senza un suono, insieme ai sistemi ausiliari della camera di controllo.
    Stai quasi per perdere conoscenza, quando riesci a vederla: è un'ombra, quasi uno spirito ai tuoi occhi, eppure così chiara, così vera! Non puoi fare a meno di notare gli abiti eleganti, di grandissimo pregio e strana foggia, che coprono il corpo di una giovane donna.

    69YP87d

    Vedi di nuovo la fiorente città dall'alto, ma da una prospettiva differente, forse da un'altra torre. Sposti lo sguardo senza volerlo davvero, come se fossi forzato a vivere una prospettiva del tutto estranea alla tua. Un uomo ti guarda preoccupato. È vestito con una lunga tunica rossa che copre una Kintaral. Si muove verso di te, ma tu eviti qualsiasi contatto. Lui stringe il pugno, tremando per la rabbia... per poi lasciarla cadere in un lungo sospiro, carico di tristezza.

    Sei riverso al suolo, le braccia tanto pesanti da non riuscire nemmeno a muoverle. Le tue dita sfiorano uno dei circuiti, una semplice linea di luce intarsiata nel pavimento. Le immagini della donna si moltiplicano. La luce sfarfalla. Vedi decine di varianti di quella stessa donna che ti osserva. La vedi
    sfiorare i comandi che poco prima stavi cercando di attivare grazie a Ch.Or.O.S.; la vedi coi lunghi capelli sciolti mentre muove le labbra con uno sguardo terrorizzato; la vedi gridare, senza emettere una nota, sconvolta dalla rabbia; la vedi piangere; la vedi fiera e determinata mentre parla a qualcuno seduto sul trono dell'automa.
    L'unica di cui senti la voce, però, è la prima a essere comparsa davanti a te, quella che ti sta guardando direttamente.

    Chi sei?


    divider%20him10


    Note Master:
    Abbiamo un post più complesso ma anche più breve. Sei abbastanza cosciente per capire che le visioni di vario tipo provengono da un mezzo simile alla tecnologia degli Holocron. QUI la figura intera.




    Edited by Him3ros - 20/3/2024, 17:50
     
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    CITAZIONE
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    Parlato
    Pensato
    Telepatia
    Ch.Or.O.S.
    Visione passata
    Parlato donna misteriosa

    La sua mano era a pochi centimetri dal metallo tenebroso di cui era composto il corpo poggiato sul trono quando Alaric si fermò, titubante: era davvero la scelta giusta interagire con qualcosa del genere? Non rischiava di scatenare qualcosa di inaspettato, potenzialmente pericoloso per lui? Del resto, era abbastanza chiaro che nonostante le decorazioni e i preziosi metalli che erano stati usati per renderlo più elegante, allo stesso livello del trono, quella figura umanoide era realizzata con lo stesso Oricalco nero dei circuiti. Ora che era così vicino ad osservarlo, una nuova serie di congetture invase la sua mente, ed egli si decise a registrarle nel suo rapporto per cercare di dare un maggior filo ai suoi pensieri.

    "Più lo guardo più la forma di questa macchina sembra l'evoluzione diretta di una Kintaral, come se fosse stata progettata per rappresentare uno step successivo per l'ascesa di un Sith: la sostituzione del corpo umano con un corpo meccanico. Questo concetto è stato teorizzato molte volte anche in holocron e cronache perdute per secoli e riscoperte solo con la rinascita dell'Ordine che ho avuto modo di analizzare, e, da quanto ricordo, era un concetto che lo scomparso Darth Anarygon stava cercando di approfondire senza particolare successo. Non che qualcuno si aspettasse molto dal suo lavoro, va detto. In ogni caso qui ci troviamo davanti all'opera di un artista oltre che di uno scienziato, il modo in cui sono state rispettate le proporzioni è assolutamente sublime. Se riuscirò a spostarlo da lì, non mi dispiacerebbe provare ad aprirlo per capire come lo hanno realizzato internamente..."

    Quella considerazione sembrò dargli nuovamente la spinta necessaria a proseguire con il suo intento: deglutì a fatica, la bocca asciutta, e si costrinse finalmente spingere il braccio in avanti, toccando con la punta delle dita il torace dell'Androide, il cui corpo era stranamente tiepido, non freddo come si sarebbe aspettato da del metallo abbandonato sotto terra da imprecisabili millenni; nel momento esatto in cui la pelle entrò in contatto con il metallo color petrolio, l'energia abbandonò il corpo di Alaric con tanta violenza e rapidità da spaventarlo e spingendolo a staccarsi da quella macchina immobile, per timore di conseguenze irreversibili.

    "Cazzo, s-se fossi rimasto ancora un secondo attaccato a lui, sarei morto..."

    Balbettò Alaric mentre, barcollando, prese ad arretrare con lo sguardo appannato e la testa che girava, faticando a restare in piedi. Il suo sguardo mal fermo si posò nuovamente sulla figura nera che stava seduta in trono e, con orrore, ebbe l'impressione che il petto della macchina si stesse sollevando, come se l'androide avesse cominciato a respirare con fatica, le dita che si serravano violentemente sui braccioli del trono, in quello che richiamava in modo molto sinistro uno spasmo muscolare. Possibile che le forze che gli erano state sottratte fossero servite ad alimentare la macchina, a darle una nuova vita? Era possibile che dell'Oricalco nero raffinato in quella maniera particolare risultasse così potente nell'estrarre l'energia vitale da chi vi interagiva direttamente e che l'energia da esso strappata potesse essere convogliata con tanta efficiente semplicità per ridare la vita a qualcuno la cui coscienza era stata trasferita in un corpo meccanico? No, non doveva essere così, ora era tutto finito, le braccia del droide erano ferme e immobili sul trono, la sua testa reclinata, il petto fermo, chiaramente lo shock dovuto all'improvvisa prostrazione unito all'ambiente poco arieggiato e tutta quella strana situazione lo aveva portato a vedere cose inesistenti. In pochi istanti, in quel luogo silenzioso scoppiò un pandemonio senza fine. Gli schermi di tutti i monitor si accesero in un tetro silenzio, e un cupo ronzio prese a riempire le orecchie di Alaric, mentre i sistemi ausiliari che servivano a mettere in funzione la camera di controllo riprendevano a funzionare: ecco dove sembravano finite le energie dello studioso. Poi, all'improvviso, l'inglese riprese a percepire la presenza che aveva avvertito durante la sua discesa con l'ascensore dell'ingresso, solo che stavolta non era più una vaga sensazione proveniente da un punto non meglio precisato della stanza circolare, era qualcosa di opprimente e schiacciante che permeava ogni centimetro di quel luogo celato, Alaric aveva l'impressione che in quel luogo fosse calata una cappa di calore soffocante. La sua mente era sempre meno lucida, avvertiva come un velo nero che stava calandogli sugli occhi, mentre la spossatezza lo portava sempre più vicino all'oblio, eppure fu proprio in quel momento di annullamento che l'inglese finalmente la vide: proprio davanti a lui c'era la figura eterea di una donna, simile ad un'ombra sfuggita al mondo dei morti, che nella sua impalpabilità era anche tremendamente reale e viva, non qualcosa di sbiadito e lontano uscito da un sogno, ma quasi fisicamente presente in quel luogo. La sua bellezza era da togliere il fiato, si trattava di una ragazza apparentemente molto giovane, forse di 20 o 25 anni, avvolta in un elegante abito nero dall'aspetto di impalpabile leggerezza, forse di lino o forse di seta, difficile a dirsi. Il suo volto era parzialmente celato da gioielli di un gusto squisito ma strano, estremamente elaborati, si trattava di anelli d'oro elegantemente incisi con strani simboli, che presentavano al centro strane figure anch'esse istoriate, e che erano tutti collegati tra loro a formare una sorta di velo che copriva il capo ed il volto cadendo poi sulle spalle e sui seni, lasciando scoperti solamente la bocca e il collo. Al di sotto di quello strano copricapo, Alaric poteva scorgere i capelli castani della donna, scuri quanto i suoi, racchiusi in un basso chignon da spille d'oro e smeraldi, e gli occhi color ambra. Doveva essere sempre lei la figura che aveva intravisto in ascensore, non potevano esserci molte altre spiegazioni, semplicemente ora lei poteva manifestarsi in modo più chiaro e definito, e non più come una vaga apparizione. Mentre la osservava rapito, sentì le gambe cedergli definitivamente e, senza che potesse fare nulla per evitarlo, il suo intero corpo semplicemente si lasciò cadere verso il pavimento di pietra. L'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu la donna che seguiva la sua caduta inclinando la testa con curiosità, il volto impassibile dietro il suo velo d'oro e mistero.

    ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

    La città era splendida davanti ai suoi occhi, specialmente da lassù, al vertice di quel reame ancestrale. Alaric sbatté le palpebre, stupito di trovarsi davanti a quella vista: non si trovava forse sotto terra praticamente private delle proprie energie, in quel momento? E poi, la città in quel momento non era magnifica, era in rovina, un luogo tetro e privo di vita, mentre ciò che vedeva da quelle ampie vetrate era un luogo pieno di luce e opportunità, era il sogno che lui e molti altri come lui avevano avuto da quando l'ordine era rinato: un luogo in cui prosperare ed essere liberi. Il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi, cosa che lo lasciò ulteriormente perplesso, fino a che non venne colto da un lampo di consapevolezza: il luogo in cui si trovava, quella sorta di stanza di controllo, era colma di circuiti di Oricalco nero, un metallo in cui viveva la cangiante essenza dell'Orium, il materiale caotico che poteva immagazzinare l'energia mentale, e che era alla base anche della tecnologia degli Holocron. Cadendo e perdendo conoscenza, doveva essere in qualche modo entrato in contatto con l'impronta mentale di qualcuno che aveva vissuto nella città all'epoca del suo splendore, e ora stava rivivendo un ricordo non suo. Di questo poteva dirsi relativamente sicuro, dato che non aveva mai visto la città da quella prospettiva, probabilmente si trovava all'interno di una delle antiche torri che, in quella visione, svettavano su quel luogo meraviglioso. Proprio mentre contemplava il panorama, l'inglese avvertì che il suo sguardo stava venendo spostato senza che lui lo volesse, a riprova della teoria per cui lui non stava facendo altro che rivivere qualcosa di già avvenuto, puntandosi su una figura alla sua destra: si tratta di un uomo di bell'aspetto, apparentemente piuttosto giovane, sui 25 anni avrebbe detto, di poco più alto di lui, con il volto pallido e volitivo, perfettamente rasato, su cui in quel momento era stampata un'espressione di profonda preoccupazione. Aveva grandi occhi viola scuro e lunghi capelli color platino che gli ricadevano sulla spalla destra in modo elegante, adagiandosi su una tunica di velluto rosso al di sotto della quale indossava una Kintaral. Alaric rimase incantato ad osservare l'Oricalco nero che sembrava divorare la luce artificiale, e stupito nell'osservare come, sulla superficie della piastra pettorale, un dragone a tre teste inciso con oro e rubini sfavillasse superbo, un vezzo che non aveva mai riscontrato su nessuna delle Kintaral che aveva avuto modo di vedere nel corso della sua vita.

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    Il Sith sembrava impegnato in un'accalorata ma silenziosa discussione proprio con lui, dato che Alaric poteva vedere il modo agitato con cui gesticolava, mentre le labbra si muovevano troppo velocemente perché egli potesse provare a cogliere cosa stava dicendo, anche se dal modo in cui scandiva i fonemi, sembrava trattarsi della lingua Sith in una forma molto arcaica. Per qualche motivo a lui sconosciuto, in quel momento egli non poteva percepire alcun suono, era un semplice spettatore passivo e non aveva nemmeno idea di cosa stesse rispondendo la persona di cui stava rivivendo il ricordo, dato che gli unici pensieri che percepiva nella propria testa erano i suoi. Il volto del ragazzo con l'armatura nera si faceva sempre più preoccupato mano a mano che parlava, come se la conversazione non stesse andando come sperato, cosa che, probabilmente, era per lui estremamente essenziale, per motivi che ad Alaric non erano chiari e probabilmente non lo sarebbero mai stati. L'uomo, improvvisamente, fece un passo verso l'inglese allungando una mano, e di nuovo il suo corpo agì senza che lui potesse fare nulla, questa volta in modo molto repentino, quasi di scatto, facendo un passo indietro e scansando qualsiasi tipo di contatto fisico con l'uomo dalla Kintaral istoriata. Per quale motivo agire così? Per rabbia? Paura? Disgusto? O forse per cercare semplicemente per dare maggiore enfasi a qualcosa che era stato detto e che lui non poteva sapere? L'uomo, in ogni caso, si rabbuiò istantaneamente, stringendo il pugno della mano che stava allungando in preda a un attacco d'ira, tremando per lo sdegno, la frustrazione e la rabbia, prima di rilassarsi e abbassare il braccio, il volto improvvisamente rassegnato, solcato da profonde rughe di tristezza. Fece un sospiro carico di sconforto, mentre Alaric si voltava nuovamente verso la vetrata, e, in un riflesso del cristallo antico, vide il volto cui appartenevano quei ricordi: il volto della donna ingioiellata.


    ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

    Alaric riaprì gli occhi con fatica, disteso sul freddo pavimento su cui era crollato completamente privo di forze, in particolare avvertiva le braccia fiacche e pesanti, come se fossero state delle protesi di pietra, il corpo gelido e immobile come un cadavere. Per quanto tempo fosse stato svenuto era impossibile saperlo, non riusciva nemmeno a muovere un dito, figurarsi afferrare la propria apparecchiatura e controllare l'ora. L'unica sua consapevolezza era che doveva riuscire a muoversi, altrimenti sarebbe rimasto laggiù per sempre: cercò quindi di imporsi sul suo corpo, di dimostrare a sé stesso che la sua mente era abbastanza potente da permettergli di andare oltre qualcosa di stupido come la debolezza fisica, gli sarebbe anche solo riuscito a muovere un dito per cominciare. Ci volle un notevole impegno da parte delle sue mani per reagire agli stimoli che il suo cervello stava inviando loro, però, finalmente, la sinistra ebbe una reazione, una via di mezzo tra un movimento volontario e uno spasmo che, ma era comunque qualcosa, qualcosa che però diede origine a una conseguenza inattesa: quando le sue dita riuscirono a muoversi, infatti, sfiorarono un circuito che si era acceso quando l'intera stanza si era animata, una semplice linea di luce come tante di quelle che dal trono correvano verso i monitor, e appena ciò avvenne decine, anzi, centinaia di immagini della donna si manifestarono attorno a lui, ognuna intenta a compiere azioni differenti che però, nella posizione in cui era, non poteva discernere con precisione. L'uomo in nero compì quindi uno sforzo prodigioso per riuscire a sollevarsi dalla posizione prona in cui si trovava, sforzando le braccia deboli oltre ogni limite e riuscendo infine a smuoverle, poggiandosi prima su avambracci e gomiti e poi riuscendo finalmente a usare le mani come appoggio, sollevandosi finalmente da terra ma potendo solamente mettersi in ginocchio, alzarsi, in quel momento, non era qualcosa di fattibile, considerando lo sforzo che anche quel semplice gesto aveva richiesto. Si guardò attorno, e vide finalmente con chiarezza la moltitudine di mute immagini che si muovevano attorno a lui: vide la donna sfiorare centinaia di volte i comandi delle varie console che lui aveva provato a "forzare" utilizzando Ch.Or.O.S., le labbra piegate in una smorfia che faceva intendere un misto di concentrazione e dubbio; la vide senza gioielli, con i lunghi capelli ricci sciolti che le arrivavano quasi a metà schiena, le labbra che si muovevano così veloci da rendere impossibile capire cosa stesse dicendo, ma era chiaro dal suo sguardo e dall'espressione contorta del viso che era tremendamente terrorizzata da ciò che stava vivendo in quel momento; in altre immagini era nuovamente ricomposta e ingioiellata, ma il suo piglio era ora decisamente diverso, poiché ogni cosa, dall'espressione del volto ai pugni chiusi, faceva intendere che fosse in preda ad una rabbia incontenibile, manifesta infine da un grido silenzioso, che doveva essere stato carico di furia e frustrazione, perfino maggiori di quelli che aveva visto sul volto del Sith nella visione; in un'altra visione essa era seduta per terra, gli splendidi gioielli abbandonati poco lontani da lei, il volto nascosto tra le mani candide tra le cui dita scivolavano calde lacrime ormai evaporate da millenni, mentre l'interezza del suo corpo veniva scossa da violenti singulti; e la vide davanti al grande trono, alta e fiera, un pilastro in un mare in tempesta, colma della dignità di una regina, intenta a discutere o forse fronteggiare con qualcuno che era stato seduto su quel trono che ora era il piedistallo di un vuoto simulacro. Il silenzio rendeva irreale tutte quelle scene che dovevano essere state in origine un trionfo di suoni, urla e lamenti, ma almeno poteva vederla da diverse angolazioni, potendo così cogliere ulteriori tratti del suo aspetto: era pallida, ma di un pallore nobile e affatto malsano, la pelle chiara e lucida come l'alabastro levigato, con poche lentiggini sul naso e sulle guance, le labbra rosse e fresche in modo naturale, non ritoccate da alcun trucco. In generale, la donna dava l'idea di una sorprendente e naturale sensualità, eppure non la esibiva in modo ostentato o volgare, era semplicemente bella e dotata di un fascino magnetico. E di tutte le sue figure, nessuna attirava lo sguardo di Alaric quanto quella che, fin dall'inizio, era rimasta immobile a fissarlo, statuaria ed immobile bellezza al di là di ogni umano giudizio, le mani giunte all'altezza della vita, gli occhi fissi su di lui privi di espressione, come se lo vedesse e allo stesso tempo non riuscisse a farlo. Anche lei era parte degli Holocron, ne era più che mai certo sebbene per alcuni istanti fosse sicuro di avere a che fare con uno spettro, eppure era diversa dalle altre immagini, sembrava davvero consapevole della sua presenza, una consapevolezza che venne palesata quando, facendogli saltare un battito per lo spavento, essa si rivolse finalmente a lui.

    "Chi sei?"

    Le labbra della figura si erano mosse, ma la voce non proveniva ovviamente da esse, era stata trasmessa direttamente nella sua testa, come sempre accadeva con gli Holocron. Con lentezza, Alaric si posò l'indice e il medio della mano destra sul cuore, poi sulle labbra e infine sulla fronte, compiendo poi un goffo svolazzo della mano e chinando il capo, in un antico segno di saluto di cui si faceva cenno nelle cronache, un gesto estremamente formale che avrebbe dovuto indicare alla donna il suo giungere a lei con cuore puro, parole sincere e mente serena. Decise che non avrebbe parlato, ma che avrebbe sfruttato il canale telepatico creato con l'immagine per comunicare con lei mentalmente.

    "La mia signora deve perdonarmi, temo di non essere nella migliore condizione..."

    Tentò un sorriso, cercando di non trasformarlo in una smorfia per la fatica di dover restare dritto e non ricadere nuovamente contro il pavimento ora illuminato dai circuiti connessi al trono e ai monitor. Era stato inizialmente dubbioso su come iniziare a dialogare con lei, su quanto dire e su quanto nascondere, ma alla fine decise che sarebbe stato il più sincero possibile con la donna, che nella sua epoca doveva aver avuto una qualche rilevanza all'interno dell'Ordine, questo era sicuro, e che magari, sentendo le parole giuste e notando la sua trasparenza, si sarebbe rivelata collaborativa, o in qualche modo meno ostile nei suoi riguardi. Come aveva notato dalle immagini, doveva essere stata una persona estremamente volitiva.

    "Ma, fortunatamente, la cortesia non dipende dall'energia e dalla salute. Il mio nome è Alaric William Ackermann, un tempo membro attivo dell'Odojinya, attualmente capitano del Bhatt e apprendista di Darth Hybris, Alchimista Supremo dei Gemelli. Sono solo un umile studioso che si è ritrovato quaggiù inseguendo l'immagine di un'utopia rinvenuta in un Holocron..."

    Respirava piano, cercando di restare calmo, muovendo gli occhi attorno per assicurarsi che la situazione stesse rimanendo stabile attorno a loro, non notando cambiamenti particolarmente rilevanti. Solo dopo pochi istanti, il tempo necessario per essersi assicurato che le sue parole si fossero sedimentate nella mente della sua interlocutrice, decise di osare un po' di più e cercare di ottenere delle informazioni anche per sé.

    "E voi, invece? Potreste cortesemente dirmi chi siete? Il vostro portamento tradisce nobiltà, ma temo di non avere alcun indizio sulla vostra identità..."

    CITAZIONE
    Stato fisico: estremamente affaticato, contuso dopo la caduta
    Stato mentale: stanco ed estremamente curioso
    Energia: Blu
    Armatura: Nessuna
     
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    BEFORE THE MIRACLE

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    Sei debole. Come sei arrivaAAA-
    AAAAAAaA
    aaaAAaa
    aaaa
    aa
    a
    .

    Una scarica di segnali attraversa gli ologrammi, causando glitch e altri fenomeni visivi che non riesci bene a spiegarti. Le luci artificiali tremolano e si spengono, lasciando attive soltanto quelle ausiliarie. Tutto si fa silenzioso.
    La donna ricompare improvvisamente, il suo viso vicinissimo al tuo. Un grido distorto da un'eco elettrico rimbomba nelle tue orecchie, ma le sue labbra sono chiuse. La sua mano ti sfiora le palpebre, o meglio, lo farebbe se potesse, se avesse un qualsiasi tipo di consistenza terrena. La pelle eterea emana un lievissimo alone, che la separa innaturalmente e in modo netto dall'oscurità della stanza.
    Anche le ultime energie ti abbandonano e la tua mente inizia a vagare nel buio.

    Le immagini si mostrano a te con macchinosa lentezza, vibrando per frazioni di secondo dietro alle tue palpebre e poi spegnendosi nel nulla. Ti serve tutta la tua concentrazione per afferrarne la natura. Alcune sono soltanto lampi appena decifrabili il cui punto di vista continua a variare; altre sono lunghe sequenze lineari più comprensibili. Alcuni colori e alcune forme ti attirano, costringendoti a un'immersione forzata; altri ti consentono di estraniarti totalmente e riacquistare un minimo di volontà, appena sufficiente a navigare in quel mare di ricordi.

    Per un tempo indefinito non riesci a distinguere ciò che ti viene mostrato da ciò che desideri vedere. Sei al limite dell'incoscienza, in cui la mente si dilata per cercare di raggiungere il senso e il significato di ogni cosa. Scivoli in quello stato quasi senza riuscire a opporre resistenza.

    -

    Per secoli, il vostro mondo ha prosperato. Stabile, forte, ma soprattutto influente. Non vi servono soldati per conquistare terre, né vi servono navi per conquistare i mari. Bastano poche parole, un sussurro al momento giusto.
    Rovesciare intere civiltà è quasi uno scherzo. Potreste farlo per capriccio, se fosse nella natura dell'Impero Nero.

    Non sui bassi impulsi o sulla debolezza delle emozioni di piacere e vendetta si basa questa bestia silenziosa, bensì sull'elevazione di sé. Il suo fondatore, il Re Grigio, ne ha fatto la ragione di esistenza del nuovo Ordine e - tramite esso - ha costruito una delle più meravigliose utopie mai viste.
    Kor'amyr brilla come una foresta di perla sotto un sole che non è davvero un sole, ma ne replica il calore. Non esiste probabilmente opera umana che splenda altrettanto radiosa su questo pianeta, né esiste più alcuna città tanto ampia e fiorente. Quasi ironico pensare che un tale miracolo si celi nelle viscere della terra. Il tuo compito è quello di difenderla, di difendere il cuore pulsante dell'Impero.

    Un brusio si diffonde nel salone, rovinando l'atmosfera mozzafiato della vista che gli ospiti possono godere dalla cima della torre. Quell'incontro riesce in qualche modo ad avere l'austerità di un consiglio di guerra e al contempo la convivialità di un banchetto. Molti degli Alchimisti sono in disaccordo con le politiche portate avanti dalla tua famiglia e vorrebbero iniziare a esercitare un controllo più diretto sul mondo, scendere in battaglia con ciò che resta dei seguaci di Ataraxia e forse perfino con le forze del Grande Tempio. Stanno diventando arroganti. Parlano senza conoscere il quadro generale. Credono che la Regina Nera sia una pazza priva di criterio, poveri stolti. Credono che una guerra aperta vi porterebbe una facile vittoria. In molti credono addirittura che ormai sia morta, dato che nessuno, nemmeno le migliori spie della Odojinya, riescono più a tracciare i suoi movimenti.
    Disinnescare questi malcontenti è una parte delle responsabilità del Daleth. E tu sei ormai un'esperta in tale arte.

    -

    Servono diverse ore per scongiurare tutti i tentativi di sabotare il lieve equilibrio che vi separa dalla guerra civile. Devi ancora conferire coi funzionari della città-stato e verificare che tutti stiano svolgendo il loro dovere nel migliore dei modi. Quando finalmente varchi le porte della sala, incroci i suoi occhi. Basta uno sguardo per confortarti, per ricordarti chi sei e quanto vitale sia il tuo ruolo per tutti loro.

    Mia signora Milyen.
    Dovresti rivolgerti a me col titolo di Alchimista Suprema, Aselar.

    Senti l'inflessione dolce nella tua stessa voce, un sorriso sulle tue labbra.


    divider%20him10


    Note Master:
    A quanto pare stiamo facendo un po' di casino con questo Holocron formato città (ormai ti è chiara la natura degli ologrammi che vedevi prima etc). La forza che stai fornendo non è sufficiente e ciò causa problemi di rendering :zizi:
    Quando entri nel vivo, ti rendi conto molto facilmente di rivivere ricordi e sensazioni della donna dell'Holocron. Il tipo che vedi alla fine è lo stesso apparso nel flashback dello scorso post. Hai libertà di gestione della vicenda.


     
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    Le parole della donna gli arrivarono alle orecchie da molto lontano, Alaric non riusciva nemmeno a comprenderle pienamente, assordato com’era dallo stesso battito del suo cuore, stordito anche dal continuo andirivieni delle luci, che continuavano a lampeggiare con violenza e rapidità crescenti, alternando bruscamente luce e buio e provocando la comparsa di strani glitch e illusioni ottiche di difficile interpretazione, come la comparsa di strane ombre, movimenti di figure inesistenti all’angolo del suo campo visivo, suoni confusi che si mischiavano al rimbombo delle parole pronunciate dalla donna. Poi, improvvisamente, ogni luce si spense e ogni suono cessò, lasciandolo da solo in tenebroso silenzio ancora più straniante della caotico parossismo epilettico che aveva appena vissuto, che però permise ai suoi sensi di entrare in uno stato di riposo assolutamente gratificante, dopo il bombardamento luminoso e sonoro appena subito. Alaric si guardò attorno a fatica, constatando come ogni cosa, perfino gli schermi degli avanzatissimi computer fossero completamente disattivati, lasciando solamente poche luci fioche sparse attorno al perimetro e ad alcune postazioni, le quali illuminavano di una debole luminescenza rossastra i loro immediati paraggi, ricordandogli in modo scherzoso le luci di emergenza durante un blackout. Apparentemente, quel calo di energia aveva fatto scomparire anche l’ologramma della donna misteriosa, cosa che o lasciò piuttosto deluso: gli holocron così potenti e ben realizzati da poter funzionare praticamente su scala cittadina erano rarissimi, e c’era da supporre che la quantità di dati e conoscenza racchiusi al suo interno fossero strabilianti. Si ritrovò quasi a pregare che il sistema non fosse irrimediabilmente compromesso, aveva la necessità di scoprire di più, di capire il senso di tutto ciò che lo circondava, di capire che storia avesse la città in rovina, del perché fosse stata abbandonata e soprattutto quali immani tesori di sapere celasse nel suo ventre tenebroso. Era intento in questo tipo di pensieri e considerazioni quando la sua mente ed il suo corpo subirono il colpo di grazia, facendolo sprofondare nuovamente nel deliquio: esattamente come era scomparsa, la donna ingioiellata ricomparve proprio davanti a lui, il volto impassibile a pochissimi centimetri dal suo, e insieme ad essa nella sua testa rimbombò un urlo di atroce intensità e viscerale violenza, distorto da una raccapricciante interferenza elettrica echeggiante, una combinazione degna del più oscuro film dell’orrore. Il suo cuore sembrò fermarsi per l’improvviso spavento, non riuscì nemmeno a imprecare come avrebbe voluto dinanzi a quella figura spettrale, il cui “corpo”, e più in particolare la pelle, emanava ora un alone argentato, una tenue luminescenza spettrale che le permetteva di stagliarsi alta e fiera nelle tenebre attorno a loro. La figura allungò una mano verso il viso di Alaric, le sue dita “sfiorarono” i suoi occhi senza toccarli realmente, con un gesto di una dolcezza carezzevole, e a seguito di quel semplicissimo gesto le ultime energie dell’inglese vennero disperse completamente, il suo corpo ricadde nuovamente quando le gambe, che era riuscito a forzare perché lo tenessero almeno in ginocchio, cedettero nuovamente, facendolo crollare su un fianco con un tonfo sordo. L’oscurità si fece strada dentro di lui, la sua mente perse lucidità sempre più in fretta, lasciandolo in un delirio di immagini, suoni e sensazioni senza logica, in cui gli era pressoché impossibile capire cosa stava guardando: gli ricordava quando, da bambino, voleva continuare a guardare la televisione anche quando stava per addormentarsi, e sull'orlo del sonno non riusciva più a distinguere le scene dei programmi, avendo solo la concezione di immagini sfocate e suoni confusi. Eppure, in quella situazione, Alaric possedeva ancora una certa consapevolezza di sé, e la sua volontà, più forte del suo fisico, gli impose di conservare per qualche ultimo istante quella lucidità, così da poter andare più a fondo e afferrare finalmente il senso di ciò che stava avveniva. Lì, in quel limbo in cui la coscienza ove il tempo perdeva di valore, Alaric rimase sospeso per quella che sembrava un'eternità, osservando lo scorrere delle macchie che erano immagini, e riuscendo infine ad afferrare qualcosa, a comprendere vagamente il senso di ciò che vedeva ed udiva. Lo sforzo per compiere questo atto, sembrò vincerlo, ed egli si lasciò precipitare nel baratro dell'incoscienza, tuffandosi nuovamente senza rendersene conto all'interno di una storia che non gli apparteneva.

    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

    Milyen fissava il suo riflesso nel grande specchio, il volto gelido e impassibile, mentre le dame di compagnia si affaccendavano attorno a lei silenziose e rapide, intente a prepararla per l'importante evento di quel giorno. Erano in tre: una le stava passando sulle labbra, sulle palpebre e sulla pelle nuda il trucco d'oro, un miscuglio di balsami e polvere d'oro puro che avrebbe alterato la sua bellezza, elevandola a livelli quasi inumani; la seconda era invece tutta presa a raccoglierle i lunghi capelli castani in un'elegante crocchia fermata da spilloni d'oro ingioiellati che, posti con estrema cura e perizia, sarebbero stati appena visibili, quel poco che bastava per aumentare la sua grazia; la terza, nonché la più anziana delle tre, stava infine finendo di combinare gli abiti e i gioielli che la sua Signora avrebbe indossato quel giorno, prestando una cura maniacale perché ogni dettaglio fosse semplicemente perfetto. Quando sia la serva con il trucco che quella dei capelli indietreggiarono silenziose, segno che il loro compito era stato portato a termine, la donna si contemplò nello specchio con estrema attenzione, girando la testa a destra e sinistra con studiata lentezza per controllare che l'acconciatura e le decorazioni sul suo corpo fossero impeccabili, e, potendosi trovare accettabile, annuì con garbo e con un gesto della mano diede il muto ordine alle ancelle di allontanarsi mentre lei stessa si alzava in piedi, statuaria nel suo metro e novanta, la pelle liscia come l'alabastro e priva di imperfezioni, se non per le delicate lentiggini che le puntellavano il volto, i seni sodi e ben proporzionati che si sollevavano al ritmo del suo respiro, girando le spalle alla specchiera e facendo cenno alla domestica più attempata di avvicinarsi con gli abiti e l'oro. Durante gli eventi come quello di quel giorno, raramente lei indossava i paramenti che indicavano il suo rango di Sith'ari, preferendo indossare sete e lino pregiato, e gioielli, innumerevoli gioielli, dato che, fin da ragazzina, aveva imparato che in un mondo come quello era necessario sembrare più inoffensivi e frivoli che mai, anche davanti agli alleati. Il vestito per quella giornata nello specifico era quello più solenne nel suo vasto guardaroba: si trattava di un abito meraviglioso, lungo ed elegante, nero come il peccato, realizzato in pura seta d'oriente, decorato con fili d'oro e minuscole scaglie di ossidiana e giaietto, il cui taglio era realizzato secondo il gusto dell'Antica Lemuria, la casa che da molto tempo ormai non esisteva più, con un'ampia scollatura che arrivava quasi a metà del busto e maniche molto aderenti che, all'altezza dei polsi, si allungavano verso la mano in un lembo di stoffa che andava ad unirsi agli squisiti anelli d'oro e diamanti nero che adornavano i medi dell'Alchimista. Si allacciò poi al collo un pesante medaglione d'oro massiccio raffigurante un serpente alato, sandali in morbido cuoio tinto d'oro vennero allacciati ai suoi piedi e, infine, un meraviglioso "velo" formato da dischi d'oro squisitamente incisi e lavorati con simboli alchemici, che sarebbe servito a celare parzialmente il suo volto, rendendo la sua bellezza, se possibile, ancora più solenne e distante, si posò delicatamente sul suo capo, senza scompigliare un singolo capello. Quella sorta di maschera era un elemento a cui non rinunciava mai nelle sue uscite pubbliche, era un vero e proprio marchio di fabbrica, il simbolo del suo status, un oggetto che, celando il suo volto, riusciva allo stesso tempo a renderla impossibile da dimenticare. Milyen si contemplò nuovamente allo specchio, e ciò che vide le piacque immensamente: era regale, trasudava autorità, ma allo stesso tempo appariva fragile come porcellana, praticamente priva di difese, una bambola agghindata da principessa. Proprio l'effetto che voleva ottenere. "Meno penseranno di doverti temere, più tu saprai manipolarli" questo era stato il primo insegnamento che Amyros, il suo Maestro, le aveva impartito tanti anni prima. Andò verso la porta, utilizzando il Cosmo per ridurre l'effetto della gravità sul suo corpo, così che ogni suo passo apparisse ancora più etereo e leggero, i sandali dorati che a malapena toccavano il suolo sotto il lungo abito dalla scollatura profonda, e, uscita dalla stanza, si diresse verso l'ascensore seguita dalle guardie del corpo che la aspettavano nel corridoio. Quella sera si sarebbe tenuto un evento mondano, un galà cui avrebbero partecipato tutti gli Alchimisti tranne gli altri Supremi, troppo impegnati nelle loro ricerche e nei loro alti compiti. Ovviamente non si trattava di una festa qualsiasi, poiché per i membri dell’Ordine tutto era politica e intrigo, e anche una semplice serata di edonistico piacere celava intrighi e macchinazioni oscure, e non era un caso se proprio in un momento delicato come quello Milyen avesse deciso, in accordo con il resto del Daleth, di organizzare un evento così vasto, aperto a tutti coloro che contavano: gli animi, dopo anni di silenziosa pace vigile, stavano cominciando a scaldarsi nuovamente, si parlava quasi apertamente di guerra tra gli alchimisti di rango inferiore, di rimpiazzare il Daleth, di sovvertire la Regola creata dal Re Grigio. Tutte idee profondamente nefande ed inquietanti. Nonostante esteriormente apparisse composta e perfetta, la mente di Milyen era in tumulto, poiché quel giorno, nuovamente, avrebbe dovuto danzare al ritmo dei tamburi di guerra, destreggiandosi in un pericoloso gioco del trono per proteggere ciò che il suo Maestro aveva costruito molto tempo prima a costo di immensi sacrifici. Com'era fragile quel meraviglioso tesoro chiamato Impero Nero, e quante forze erano pronte a provocarne la caduta! “Tu hai ereditato la mia armatura, Milyen, quindi sta a te proteggere l’Ordine. Anche da sé stesso”, questa era stata la frase che Amyros le aveva detto il giorno in cui aveva passato il testimone, rinunciando alla Kintaral e ritirandosi quasi completamente dalla vita pubblica e divenendo una figura quasi leggendaria per le nuove generazioni. Per lui, la donna aveva sempre provato infinito rispetto e ammirazione, anche se non vero e proprio affetto, era impossibile con Amyros: troppo distante, troppo potente, troppo preso dalle sue ambizioni e dai suoi doveri, aveva lasciato poco spazio all’emotività anche, e soprattutto, con lei, ma ciò non aveva impedito alla sua allieva di fare completamente propria la filosofia del Re Grigio, anche se non l’aveva pienamente apprezzata, in gioventù.

    "Equilibrio, pace e segretezza, possibile che siano concetti così difficili da assimilare? Solo così l'Impero potrà continuare a prosperare e noi ad ascendere."

    Purtroppo, sembrava che ormai l'arroganza avesse privato della ragione molti dei suoi compagni d'arme, anche se per fortuna nessuno dei Sith'ari era rimasto coinvolto per ora nella follia, ma non era detto che prima o poi, fosse anche per un cambio generazionale, questo non potesse accadere. Un evento simile, avrebbe potuto significare non solo causa di infinito dolore e innumerevoli morti, ma, ancora peggio, avrebbe potuto quasi certamente decretare la caduta stessa dell'Impero. E questo, dannazione, era assolutamente inconcepibile. No, Milyen non avrebbe mai permesso all'Impero di cadere, era suo dovere preservarlo a costo della sua stessa vita: del resto, anche se le loro opinioni erano spesso state discordanti, a chi se non a lei Darth Amyros aveva affidato il compito di custodire quanto aveva creato? A chi se non a lei aveva trasmesso tutto il suo sapere, innalzandola, dopo innumerevoli anni di addestramento e pazienza, al titolo di Alchimista Supremo della Bilancia, rinunciando alla propria Kintaral per dedicarsi alle proprie ricerche a al dominio dell'Impero? Non poteva permettersi di deluderlo, ma, soprattutto, non poteva permettersi di deludere sé stessa. Dopo essere uscita dall'ascensore insieme alle sue guardie, Milyen attraversò con passo leggero il corridoio davanti a lei, arrivando dinanzi ad un alto portone dorato, ricco di intarsi e immagini floreali, che venne spalancato dai suoi accompagnatori, rivelando una gigantesca sala gremita di persone: Sith con le loro tenebrose armature, funzionari e nobili della città, con i loro abiti neri e sfarzosi, tutti accuditi dai droidi di servizio, impegnati a girare tra le persone con vassoi colmi di bicchieri di vini e liquori rari, erano tutti presi a scambiarsi cordialità, per lo più fasulle, mantenendo espressioni rilassate e cortesi, che celavano le reali intenzioni che ognuno di loro celava nel profondo. Sparsi per la sala c'erano molti grandi tavoli circolari, su cui erano poggiati piatti da portata con cibi raffinati ma di semplice fruizione, come frutta tagliata con attenzione, stuzzichini e canapè, che gli ospiti dell'Alchimista Suprema prendevano e consumavano in piedi tra una chiacchiera e l'altra, senza bisogno di piatti o posate, accompagnandoli con le bevande che i servi meccanici offrivano loro. Contro le pareti della sala, erano ovviamente poste lunghe panche in marmo coperte di morbidi cuscini, dove chi si fosse trovato stanco o troppo brillo avrebbe potuto accomodarsi per riposare e riprendersi, e dove chi fosse stato intenzionato a condurre conversazioni più private avrebbe potuto prendere posto in bella vista, e allo stesso tempo con estrema discrezione, almeno apparentemente. Quella era la tipologia di banchetto che Milyen preferiva offrire, quando organizzava un evento mondano, poiché l'informalità del rinfresco le permetteva di interagire con praticamente ogni ospite, passeggiando e conversando amabilmente con tutti, cogliendo così anche ogni conversazione tra parti terze in modo diretto, senza servirsi di spie o delatori che avrebbero potuto riferire verità parziali: Libra era una donna cauta, accentratrice, che non amava delegare ad altri quando possibile, e in questo modo poteva sfruttare un momento di edonistica convivialità per sventare potenziali minacce all'Ordine senza ricorrere alla violenza o alla polizia segreta di Darth Venerya. E poi, laggiù, nel cuore dell'Impero, ogni banchetto era anche un concilio di guerra, era quindi meglio che i preziosi ospiti fossero ben consapevoli che, qualora avessero voluto riunirsi nei loro gruppetti di cospiratori, non sarebbero passati inosservati. Così, infine, avrebbe potuto identificare con precisione il pensiero di ogni singola autorità lì presente, disegnando un quadro completo ed esaustivo sulla questione, permettendole poi di agire in modo adeguato nel breve futuro. Questa era la sua politica lì a Kor'amyr, e fin'ora aveva funzionato perfettamente. Una delle sue guardie la anticipò nella sala, annunciando l'arrivo della padrona di casa, che ricevette l'inchino generale da parte dei presenti che le fecero largo mentre passava, salutandoli con gesti garbati e parole gentili, sempre accuratamente scelte in base alla persona che le si parava dinanzi: lei li conosceva tutti come le sue tasche, sapeva i loro vizi, i loro pregi, le loro perversioni, e agiva sempre sfruttando le sue nozioni per piegare ogni conversazione a suo favore. Prese da uno dei droidi un calice di cristallo riempito di un liquido color ambra, un dolce liquore di albicocche dal ricco bouquet aromatico, e diede il via alle danze, intrattenendosi con tutti come una perfetta padrona di casa. Le luci elettriche della sala erano soffuse, donando un'aria di intimità a quella sala gremita, ma la luce proveniente dalle immense vetrate poste su due lati della stanza , impedivano alla gente di potersi celare anche solo per un istante, sempre sotto gli attenti occhi degli altri presenti: loro non sapevano che Milyen non usava spie, ovviamente, ed erano ben consapevoli che Darth Venerya ne facesse malissimo uso, per cui nessuno si fidava troppo a sbottonarsi, per il momento, non con la gente ancora troppo sobria e le luci troppo intense. Milyen celò un sorriso astuto, mentre arrivava dinanzi a una delle vetrate, potendosi beate dello splendido panorama di Kor'amyr, la Capitale dell'Impero, il gioiello della corona nera, che riluceva come una foresta di perle e d'argento sotto l'artificiale sole ipogeo. Era la città più splendida del mondo, l'unica vera città rimasta dopo gli sconvolgimenti provocati dalle Guerre, un luogo che splendeva come un faro di speranza e cultura in un nero oceano di ignoranza e bestialità. Lì, in quel luogo benedetto, i Sith avevano prosperato, raggiungendo vette di potere e sapere inimmaginabili, ma questo era stato permesso solo dalla condotta che era stata da loro tenuta fino a quel momento, il loro deciso non impegnarsi in guerre inutili, il loro restare celati agli occhi degli schiavi delle divinità e degli scismatici, agendo solo con l'astuzia e il favore dell'oscurità. Ma come sempre, un'epoca di prosperità aveva dato vita a un insolito malcontento, e ora che la musica aveva preso ad echeggiare nella sala, giungendo da celati altoparlanti, un leggero brusio prese a diffondersi, un brusio che parlava di cose poco piacevoli. Ma non era ancora tempo di intervenire, era troppo presto, doveva lasciar maturare la situazione ancora un po'. Continuò ad ammirare le ampie strade piene di persone, minuscole dall'immane altezza a cui si trovava, e i giardini meravigliosi, con le loro fontane, piante e statue di gusto antico e moderno mischiate insieme. E vide la grande biblioteca della città, immensa, un vero e proprio labirinto su 5 piani, dotata di un'alta torre che svettava piú del palazzo in cui lei risiedeva e amministrava i suoi affari, anch'essa colma di libri, holocron e dispositivi digitali traboccanti di sapere di ogni tipo. Lì, a Kor'amyr, poche erano le conoscenze considerate proibite, e il sapere era largamente accessibile a tutti. Certo, alcune cose non lo erano, ma quello era sintomatico: non era bene che determinate conoscenze finissero in mani impreparate, come quelle di un semplice Sith o peggio ancora, di un non iniziato. Alcune informazioni, alcune nozioni anzi, era meglio che solo i Sith'ari le controllassero. Non era certo oscurantismo, quanto più... Oculatezza. Mentre rimuginava su queste cose, i mormorii aumentavano sia di frequenza che soprattutto di intensità, divenendo tranquillamente udibili in modo molto più preciso e, ahimè, sempre più spesso la parola guerra e la parola vendetta facevano capolino sulle labbra degli Alchimisti e di certi funzionari, e chi non usava questa parola ma, intenzionalmente o suo malgrado, era costretto ad udirla si incupiva: il rischio che un conflitto interno scoppiasse in quel preciso istante era altissimo c'era il pericolo concreto che chi era più saggio, per cercare di riportare gli stolti alla ragione, fosse costretto a usare la forza bruta, e questo assolutamente non doveva accadere. Ecco, ora era finalmente il momento per lei di andare in scena: Milyen si allontanò dalle vetrate seguita da molti sguardi curiosi, lasciando a un ospite che aveva intuito le sue intenzioni il calice mezzo pieno, alta e orgogliosa come una semidea, arrivando al centro esatto della sala mentre il silenzio calava. Tutti i presenti, specialmente quelli chi si erano presentati fin da subito con idee ostili a quelle del Daleth, attesero con curiosità di capire come mai Libra avesse deciso di mettersi in una posizione così centrale, se fosse solo per puro ego o celasse qualche proposito.

    "Buonasera, miei sublimi ospiti. Perdonate se prendo la parola solo ora per salutarvi, ma vi stavate divertendo a tal punto che non volevo turbarvi con i miei formalismi. Disturbo questo banchetto per un breve intervento, fratelli e sorelle, perché in questa sera di festa non posso ignorare le voci che giungono da molti di voi. Voci spaventose, invero, ma noi siamo i Jensaarai, e ognuno di noi ha diritto di dire ciò che pensa riguardo l'Ordine. Sento parole dure, parole come guerra, vendetta, purificazione, odo voci che chiedono di abbandonare il percorso tracciato dal Primo Daleth per ottenere ciò che molti bramano. Ebbene, a queste voci voglio rispondere con pura e semplice sincerità."

    Allargò le braccia, girando piano su sé stessa, quasi ad accogliere in un abbraccio tutti i presenti.

    "Alchimisti, Cercatori della Conoscenza, le parole di voi tutti toccano il mio cuore e lo fanno battere di gioia, poiché da esse io percepisco lo stesso amore per l'Impero che alberga in me, anche quando le nostre opinioni sono disallineate. Voi sapete chi sono, sapete la mia storia, e potete comprendere le mie posizioni sulla natura dell'Ordine e dell'Impero. Ma credetemi, non esiste giorno in cui io stessa non metta in dubbio la mia stessa ragione e non mi chieda se l'ora non sia forse giunta per abbandonare le ombre ed innalzarci alla ribalta, abbattendo i nostri nemici in una somma guerra profana, ponendo finalmente fine all'insulso dominio di Atena e dei suoi cani, e ponendo nel contempo fine allo Scisma che ci tormenta, prendendo la testa di Darth Ataraxia e di coloro che scioccamente decideranno di non abbandonare la sua guida ingiusta. Quante volte mi sia guardata allo specchio chiedendomi "Perché non agire? Perché non far valere la forza della verità e della Ragione su coloro che ci si oppongono?" Vi posso giurare di averne perso il conto. Eppure mi chiedo, amici miei, perché voltare le spalle alla nostra Via?"

    Milyen prese a camminare guardandosi attorno, le dita affusolate unite all'altezza del ventre, in un gesto quasi religioso, la voce impostata con astuzia in modo da sembrare naturale, colma di emozione, mentre parole di miele scivolavano nelle orecchie degli ascoltatori. Li avrebbe lusingati ancora un po', mostrandosi loro amica e sodale, e allo stesso tempo avrebbe smontato ogni loro piano.

    "Fratelli e sorelle, la nostra forza non è mai stata così grande, dobbiamo riconoscerlo e farne vanto! L'Impero Nero ha il potere di sconvolgere il mondo senza schierare un singolo battaglione di soldati, limitandosi a far valere il peso della verità e della saggezza! E ognuno di voi è degno di sommo rispetto, perché siete tutti in grado di rovesciare interi regni semplicemente con un bisbiglio e con il minimo della violenza necessaria! Si, lo ribadisco, voi tutti siete degni di lode, forse Ancor più del Consiglio di cui io faccio umilmente parte: voi, miei nobilissimi Jensaarai, siete la spina dorsale dell'Impero, sostenete il Daleth e il Daleth riconosce a voi la massima fiducia! E di riflesso, amici miei, sostenete colui che dal Daleth viene sostenuto e ammirato, Lord Amyros, mio maestro e predecessore, fondatore della nostra Regola della nostra splendida città, che tutti accoglie e protegge sotto la sua perlacea egida."

    Alle sue orecchie cominciarono ad arrivare leggeri brusii di approvazione e apprezzamento. Pendevano dalle sue labbra già con così poche parole adulatorie, esattamente come sperava: a volte provava pietà per loro e il loro sciocco ego.

    "Per tanti anni il volere del Re Grigio ha permesso la crescita e la prosperità della più splendida città del mondo, Kor'amyr l'argentata, la perla nascosta, il cui splendore è inarrivabile in questo mondo dominato da superstizione e barbarie, e ha permesso alla nostra influenza di intralciare gli indegni ed elevare i meritevoli, e ha dato a noi tutti uno scopo e i mezzi per raggiungere ciò che per noi è il massimo fine: l'Ascensione. Per cui di nuovo io vi chiedo, oh Cercatori del Sapere: perché abbandonare la Via? Dite che Ataraxia è nascosta e folle, alcuni di voi pensano che sia addirittura morta dato il silenzio delle nostre migliori spie che ne hanno a lungo cercato la tana, ma questo non è un movente sufficiente ad abbassare la guardia! Avete forse dimenticato quanta astuzia si cela dietro la mente distorta di quella donna disperata? Quante lacrime abbiamo versato perché il suo lutto potesse perdersi in un oceano di dolore? Il prezzo che è stato ingiustamente pagato da noi tutti a causa delle sue mire? Ricordate, amici miei, che il serpente è tanto più pericoloso quanto più è silenzioso e nascosto."

    Si guardò attorno, distribuendo sorrisi che solo un occhio attento avrebbe potuto raccogliere dietro al suo velo d'oro, mentre una mano accarezzava inconsciamente il medaglione a forma di serpente.

    "Quanto ad Atena e ai suoi leccapiedi, codardi che rifiutano di riconoscere la verità e si nascondono dietro la gonna di una divinità invece di cercare la propria strada, riguardo a loro io vi chiedo: perché rischiare di perdere tutto in uno scontro diretto con gente simile? Sono ciechi, paralizzati nel loro bieco immobilismo, troppo impegnati a mascherare la loro inettitudine dietro il compito di “preservare l’umanità”. Patetici.”

    Il suo tono si era acceso, diventando carico di una rabbia ottimamente simulata, così ben ricreata da rendere impossibile capire che fosse parte della sua recita. Un vociare colmo di assenso, accompagnato da risate sparse e mormorii oscuri, risuonò per la sala quando la parola "patetici" rintoccò come una campana a morto.

    ”E nonostante questa loro disgustosa natura, io vi chiedo ancora: perché abbandonare la nostra Via? Patetici e vigliacchi essi sono, ma la loro forza va riconosciuta, e non abbiamo realmente nulla da guadagnare da un confronto con chi non sa accettare la verità che le Ombre offronto, preferendo privarsi della vista osservando la Luce della menzogna. Ricordatevi sempre chi siamo, fratelli e sorelle. Noi siamo Jensaarai, siamo sapienti, filosofi, alchimisti e guerrieri, e vendetta e ripicca per noi sono sentimenti indegni, troppo bassi e svilenti per menti illuminate. Il giorno in cui ogni debito sarà saldato giungerà, questo io ve lo giuro sulla mia stessa vita… ma non sarà oggi, né domani. Pazientate, e ponete nel Daleth la stessa fiducia che il Daleth ripone in voi.”

    Ci fu a quel punto uno scroscio di applausi e un vociare entusiasta, ennesima riprova che si era mossa nuovamente come doveva. Ma il suo lavoro era lungi dall'essere finito: aveva si convinto la maggior parte di loro con quel breve ma mirato discorso, ma ora doveva occuparsi dei più radicali, quelli che avevano dato il via al dissenso e che avevano instillato il dubbio nella maggior parte dei presenti. Non aveva nemmeno bisogno di sforzarsi per cercarli, Darth Venerya le aveva fornito tutti i nomi di quelli che aveva definito "dissidenti" con descrizione completa di ogni loro azione e incontro. Non erano così tanti come aveva temuto, si trattava di 12 Alchimisti e una ventina di funzionari della Capitale, civili che amministravano e gestivano la vita della città sotto il suo comando diretto, e ora lei avrebbe dovuto attaccarli uno per uno. Non tanto i funzionari, a quelli avrebbe potuto pensare anche in un secondo momento, la cosa più importante era mettere alle strette gli alchimisti e far loro capire che la Regola dell'Ordine non poteva e non doveva essere infranta. Dopo ore, finalmente Milyen era riuscita a disinnescare la maggior parte di quelle bombe ad orologeria. Cominciava a sentirsi esausta, e fu con piacere, dopo quasi 6 ore di ricevimento, che vide le prime persone abbandonare la sala per tornare a casa, seguite molto presto da una vera e propria fiumana di gente che, dopo averla ringraziata e adulta, era pronta per tornare alle proprie dimore, con l'ego coccolato e la pancia piena. Certe volte, Milyen li vedeva come dei cani: bastava dargli la pappa, una carezza dietro l'orecchio e riempirli di complimenti e loro erano tutti contenti. Com'erano miserabili a volte le persone, anche quando intraprendevano il cammino dell'Ascensione. Ben presto essa rimase da sola e quindi, ultima tra i presenti, uscì finalmente dalla sala, annullando il controllo gravitazionale e riportando il suo corpo al peso normale, massaggiandosi il collo e le caviglie gonfie, perdendo quell'andatura leggera e serafica e tornando molto più umana. Si sentiva stanca, e tutto sommato meno trionfante di quello che avrebbe pensato, nonostante il palese successo ottenuto: c'era troppa gente, questa volta, convinta di dover agire contro la volontà del Re Grigio, e non era detto che, in futuro, fossero la maggioranza. Doveva consultarsi alla svelta con il Daleth e cercare di risolvere il problema una volta per tutte. Uscì dai grandi portoni, e i suoi occhi d'oro si incrociarono subito con quelli viola di lui: era lì, in piedi, alto più di lei e ben più robusto, con la kintaral del drago nero su cui aveva fatto incidere un drago a tre teste in oro e rubini che sfavillavan come un sole nero, divorando la luce artificiale delle lampade. Istintivamente, la Sith'ari si raddrizzò con la schiena, le mani giunte davanti al petto.

    "Mia signora Milyen."

    Disse lui anticipandola, ignorando come sempre qualsiasi forma di etichetta.

    "Sgarbato come sempre, vedo. Dovresti rivolgerti a me col titolo di Alchimista Suprema, Aselar. Il tuo ruolo,l non ti rende certo esente da questi formalismi."

    Disse Milyen lanciandogli uno sguardo altezzoso senza però riuscire a celare un sorriso di complicità e un tono di voce morbido come seta. Aselar, senza smettere di sorridere, finse uno sguardo rattristato, piegando il capo in un inchino scioccamente profondo. Come poteva essere così bello, si ritrovò a pensare la donna in nero e oro.

    "Chiedo perdono, Darth Kadrashia, sono solo un umilissimo alchimista e non volevo certamente arrecarvi offesa. Vi prego, somministrami la punizione che ritenete più opportuna."

    "Mhm, alzati pure, sciocco Drago, direi che per stavolta sei perdonato, del resto, hai in te delle caratteristiche troppo edonisticamente interessanti per non soprassedere su queste mancanze, ogni tanto. Ma la prossima volta sappi che verrai mandato a pulire le fogne della città."

    "Oh no! Ti prego, Signora, non preferiresti piuttosto usarmi come tuo poggiapiedi??? Ti posso assicurare che so stare assolutamente immobile..."

    Non riuscì a continuare con ulteriori frasi ribalde, perché entrambi scoppiarono a ridere come dei bambini, poi Milyen si lanciò tra le sue braccia, baciandolo con estremo trasporto e a lungo, molto a lungo, prendendolo poi per mano e tornando nella sala ormai vuota e sedendosi su uno dei divani, non prima però che Aselar ebbe afferrato un vassoio carico di bicchieri ancora pieni da un droide di servizio. Lui, oltre a Darth Amyros, era l'unica persona a conoscere Milyen veramente: si erano conosciuti a 5 anni, li avevano presentati i propri genitori, che per loro avevano grandi progetti, e li avevano fatti studiare ed allenare insieme ogni giorno di tutta la loro vita, incuranti del fatto che, fin dall'inizio, si erano odiati tremendamente a pelle, con lui che le tirava i capelli e la chiamava ranocchia, prendendola anche in giro per le sue lentiggini e per la leggera balbuzie e lei che, molto poco graziosamente andava detto, gli faceva un occhio nero per ripicca, o gli spaccava la lira sulla testa quando la prendeva in giro per come suonava. Poi, da adolescenti, le cose erano cambiate, quando Milyen si era fatta più femminile e meno maschiaccio, sia nei modi che nell'aspetto, e l'educazione ricevuta aveva reso Aselar meno stronzo e infantile, come lui stesso si era definito per scusarsi con lei per il proprio atteggiamento da bambino, si erano avvicinati, rilassando i loro rapporti, fino a divenire amici, anzi, migliori amici. E poi, dopo aver ottenuto le loro Kintaral, avevano compiuto numerose missioni insieme, salvandosi la vita a vicenda, e la loro amicizia, lentamente, quasi senza che se ne accorgessero, era diventata qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe coronato anni ed anni di attesa per le loro famiglie, che avevano deciso di intrecciare i loro destini per cementare alleanze di importanza assoluta. Ormai si conoscevano da anni, e da anni condividevano il proprio cuore, anche se da tempo non combattevano più insieme: Aselar era ancora l'alchimista del Drago Nero, in attesa di poter raggiungere un nuovo ruolo nell'ordine, ma Milyen era diventata Alchimista Supremo, ottenendo la Kintaral della Bilancia che era stata del suo Maestro, e il suo ruolo ormai la teneva lontana dalle azioni di routine, ma questo non aveva impedito al loro amore di perdurare, anche senza un'effettiva unione ufficiale, che lui avrebbe voluto intensamente, ma che lei ancora non si sentiva pronta ad esplorare. Lei era una Sith'ari, e se avesse preso Aselar come marito, avrebbe anche ottenuto un punto debole: nell'Impero, la loro relazione era un segreto di pulcinella, ma comunque nessuno aveva la certezza della cosa. Ufficializzarla avrebbe potuto mettere un grosso bersaglio sulla schiena del Drago. A lui forse non importava, ma a lei si, era forse l'unica cosa a importarle davvero, insieme alla longevità dell'Impero nero. Aselar le porse un calice dal vassoio, ne prese uno per sé, e poi sorseggiò distrattamente la bevanda, mentre l'Alchimista Suprema si toglieva la maschera dorata e si scioglieva i capelli, facendo un sospiro di sollievo e prendendo un sorso generoso dal proprio bicchiere di cristallo, che in pochi istanti venne svuotato. Fece quindi cenno ad Aselar di passargliene un altro, cosa che lui non fece, fissandola divertito, prima di lanciarsi nell'ennesima provocazione.

    "Gran discorso, comunque, amore mio. Ho visto la Gru e Orione commuoversi sinceramente quando hai tirato fuori la storia della spina dorsale dell'Impero. Cani da Caccia era meno coinvolto, ma fortunatamente lui è visceralmente fedele a lady Venerya, quindi crede nella Regola più di chiunque altro. Oltre a me ovviamente. Anche se lo faccio più per rispetto verso il tuo bel seno. E per il cuore ancora più bello che si cela al di sotto di esso."

    "Ma quanta sfacciataggine! È mai possibile che la galanteria sia completamente sparita dall'Ordine?"

    Gli rubò la coppa dalle mani e la svuotò d'un fiato, baciandolo nuovamente con una risata, sentendosi improvvisamente meno provata dalla giornata di intrighi.

    "Vederti mi ha migliorato la giornata, questa volta è stata veramente difficile, amore mio. Non ho mai visto così tante persone parlare apertamente di guerra, senza preoccuparsi di trovarsi in pubblico. Black Pisces aveva accennato ad un aumento dello scontento tra alcuni Alchimisti, ma così tanti? Ammetto di non essermi aspettata tanto..."

    Il sorriso complice di Aselar si attenuò notevolmente, mentre le prendeva le mani tra le sue, accarezzandole delicatamente i polpastrelli con i pollici.


    "Si, ammetto che nemmeno io ero mentalmente pronto a trovarmi davanti una situazione simile. Anche alcuni volti insospettabili si sono fatti portavoce di questo pensiero, e non solo tra gli Alchimisti, perfino i burocrati e gli scienziati ora si permettono di alzare la testa in questo modo. Bisognerebbe rimettere tutti al loro posto..."

    Pe sue parole non stupirono Milyen, che ben conosceva il suo carattere deciso e pronto alle soluzioni spicce. Il dragone a 3 teste, simbolo della distruzione, gli si addiceva davvero come emblema. Del resto, era stata lei a inciderlo sulla sua armatura, come regalo per il loro 10 anniversario, tanto tempo prima. Ricordava ancora di averlo visto per la prima volta con gli occhi lucidi, dopo quel gesto. Quel ricordo migliorò ancora un po' il suo umore.

    "Tu sai quanto tenga alle tue idee, mio amato Drago, per cui dimmi, qual è il tuo punto di vista sulla questione? Siamo messi così male?"

    Aselar sospirò, grattandosi il capo, sembrava incerto sulle parole da utilizzare.

    "Male non molto, direi, il dissenso è tenuto sotto ottimo controllo. Ma per quanto? Pensaci, tesoro: oggi erano dieci, ma domani? Quanti saranno? E quanto ci metteranno a diventare la maggioranza? In epoche di prosperità, è normale che nasca conflitto, purtroppo..."

    Tacque un istante, mordendosi il labbro distrattamente. Un brutto segno, pensò lei.

    "Milyen, sai che parlerei così apertamente solo con te, ma devo farlo. Io ammetto di non essere più sicuro di nulla, per cui, sono io a chiedere a te: siamo davvero sicuri che abbiano torto?"

    Il sorriso della Sith'ari si fece improvvisamente più spento, meno luminoso.

    "Non fraintendere, ti prego, non voglio parlare contro il Consiglio, sai benissimo che non lo farei mai, sto solo ragionando. Forse davvero dovremmo dimostrare la nostra forza in qualche modo più palese, anche solo per ricordare al mondo che esistiamo, che siamo anzi i suoi legittimi Signori. Non dico di dichiarare guerra ad Atene o andare a stanare Ataraxia, però, ecco, sicuramente farebbe capire a molti che l'Ordine Nero può risolvere ogni suo problema..."

    "Amore, ti prego, non aggiungere altro, non dire parole di cui poi potresti pentirti. Quando ho detto che capisco questo sentimento, durante il discorso, non mentivo, anche io vorrei davvero trovare la cosiddetta Regina Nera ed eliminare la sua minaccia per sempre, ma credimi, non dobbiamo lasciarci tentare da queste idee. Ci porterebbero alla caduta, come già è quasi successo durante il conflitto contro di lei, e poi contro il Re Rosso, porrebbero fine al nostro Ordine! Ascoltami, Aselar, il momento in cui ci paleseremo arriverà, rimetteremo al suo posto Ataraxia insieme, ponendo fine al nostro scisma, ma dobbiamo avere pazienza. Fidati di me, come hai sempre fatto, e vedrai che la gloria sarà davvero alla nostra portata. Perché cambiare improvvisamente i nostri metodi, senza un piano? È questo che voglio che tutti capiscano: prima o poi agiremo, ma dannazione, serve agire con criterio."

    Si fissarono a lungo negli occhi, cercando di cogliere nel reciproco sguardo segni di qualsiasi tipo, ma alla fine il desiderio li vinse, facendoli avvicinare per baciarsi nuovamente, le mani sulle guance e tra i capelli, le fronti che si toccavano appena, con tenerezza.

    "Scusami, sono sempre uno sciocco, tu hai dovuto combattere tutto il giorno contro queste scemenze e io ti costringo a restare sul chi vive anche nei momenti di quiete."

    "Non scusarti, non serve. Nulla di ciò che esce dalle tue labbra potrebbe ferirmi o farmi provare meno amore per te. Però, promettimi che non parlerai con nessuno altro di queste cose: so che Venerya non ti farebbe mai del male, tuttavia..."

    Aselar rise.

    "Non temere, amore mio, lei sarà sicuramente l'ultima a cui farò sapere qualcosa, te lo prometto!"

    "Non scherzo, Aselar. Sono davvero preoccupata. Viviamo in un momento delicato, è meglio essere troppo prudenti, che troppo poco."

    "Ho capito, non temere, Milyen. Ora però, che ne dici di ritirarci nelle tue stanze? Ho proprio voglia di vedere più da vicino le cuciture di quel tuo abito!"

    Milyen rise nuovamente alla sua sfacciataggine, scuotendo il capo con finta disapprovazione, per poi alzarsi in piedi indossando nuovamente la maschera d'oro. Mentre la sistemava sul volto, ebbe la fugace visione del volto di Aselar che si rabbuiava, con una strana espressione difficile da decifrare, ma quando lo fissò direttamente, era sempre lì, sorridente e bellissimo come sempre.

    "Non devo essere così paranoica, lui è l'unica persona di cui possa fidarmi davvero."

    Uscirono insieme, allontanandosi senza le di lei guardie, dirigendosi verso gli appartamenti della Sith'ari. Durante il tragitto, la mano di lui cercò quella di lei, stringendola teneramente. La donna si voltò verso di lui, sorridendo, sentendosi finalmente libera dalle preoccupazioni e sicura di essere sulla strada giusta. Ogni cosa sarebbe andata al suo posto, e insieme avrebbero costruito il mondo perfetto in cui vivere. Dovevano solo avere pazienza.
     
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    BEFORE THE MIRACLE

    VI




    Più le visioni proseguono, più si fanno sporche. Non è più il semplice atto di rivivere dei ricordi dal punto di vista, ma un viverli attraverso il tuo cuore e la tua mente, al momento sprofondati in un desolante torpore. Ogni ricordo ha il sapore e l'intensità del più vivido dei sogni.
    Non servono le parole di Milyen a farti intuire il suo stato d'animo, l'urgenza che prova mentre misura ad ampi passi il salone vuoto in cui gli Alchimisti sono soliti riunirsi.

    -

    Devi riflettere. Pensare al prossimo passo, come ti è stato insegnato, come tu stessa hai insegnato a tua volta.
    Dall'epoca della Guerra dei Quattro Re, l'oceano che circonda Death Queen Island è attentamente sorvegliato. Avete dislocato qabbrat su svariate isole, nel tentativo di osservare ogni mossa del nemico mantenendovi quanto possibile a distanza, in un silenzioso gioco di equilibri... così mesi fa Odojinya ha evidenziato alcuni rapidi spostamenti, qualcosa che non avveniva da molto tempo, a dire il vero.
    E poi la quabbrat ha smesso di rispondere. Soltanto allora il Daleth ha acconsentito a inviare un Alchimista. Le tue labbra si sono serrate, livide sotto la maschera, quando Aselar ha chiesto con voce dura che gli venisse assegnata la missione. Non hai potuto evitare di pensare che quella fredda determinazione fosse frutto del vostro ultimo, amaro incontro.
    No, lui sa che è dovere di ogni Alchimista sostenere l'Impero Nero, così come lo sai tu. Soltanto per questo motivo ha deciso di partire alla volta di quelle isolette sperdute. Non è la prima volta che siete lontani, separati anche per mesi e mesi, se i vostri compiti lo richiedono.
    Eppure...

    I rapporti si sono interrotti bruscamente. Non vuol dire nulla, chiaramente. Venerya è l'unica a esprimere un minimo di preoccupazione in tal senso. Qualcuno nel Daleth ha l'ardire di giudicarla debole ed emotiva; altri ritengono che la sua preoccupazione non abbia nulla a che fare col sangue e provenga invece dal destino incerto di una delle basi di ricognizione più preziose, rimasta segreta e inviolata per secoli.
    Tu non sai cosa pensare. Siedi in silenzio, quando il Daleth si riunisce. Pensieri orrendi continuano ad aggredirti, nonostante la grande disciplina mentale che ti contraddistingue e il tuo innato talento per la meditazione, che ti ha permesso fin dalla giovanissima età di espandere il tuo potere oltre i limiti della ragione. Sai che parlare a favore dell'intervento di un Alchimista Supremo andrebbe contro i tuoi stessi tentativi di impedire una guerra aperta. Sai che un tuo coinvolgimento in prima persona andrebbe a screditare l'immagine di algida superiorità che tanto hai lavorato per costruire. Sai tutto questo e sai che non te ne importa. C'è qualcosa di inquietante in questa precisa serie di avvenimenti.
    Voci, sussurri, niente di più. Da simili piccolezze dipendono le tue preoccupazioni. Da questo, e dalle parole e dai silenzi che vi siete scambiati quel giorno.

    -

    L'aria salmastra che spazza l'isola ti dà quasi la nausea. Hai messo in gioco tutto per poterti trovare lì, esattamente dove sei. Quel singolo messaggio, dopo settimane di silenzio, ti ha fatta tremare.

    sono qui, mia signora

    Tracce di una battaglia furiosa, la qabbrat sventrata, l'intera isola devastata. Il tuo cuore batte all'impazzata; non riesci a normalizzarne i battiti.
    La percepisci, prima di vederla: una presenza inquietante, immensa, che stride contro tutte le leggi che conosci. Stagliata contro il cielo opaco, la sagoma immobile sembra un abisso senza fondo, come se l'armatura informe risucchiasse qualsiasi riflesso. Hai già sentito quel potere. Lo ricordi come un morbo che cammina, un'empia distorsione di tutto ciò che è vivo.

    Ciò che senti, Milyen, è terrore allo stato più puro.

    divider%20him10


    Note Master:

    Nella prima parte puoi allacciarti al post precedente come vuoi. Sai solo che è passato moltissimo tempo, probabilmente anni, anche se la longevità del sangue lemuriano rende tutto piuttosto indifferente.
    L'isola, per riferimento, si trova vicino a Samoa e - SPOILER - non esiste più sulle mappe. Decidi come/se integrare il tutto con altri avvenimenti e concludi come preferisci lasciando qualsiasi azione al condizionale.


     
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