The Red Spot

Up-cloth per Wande

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  1. † Shen771 †
     
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    Che Belarouge fosse una ritardataria, lo sapevano tutti, ma questa volta pensò di aver superato sé stessa. Mentre correva, sicura di aver abbondantemente superato il quarto d’ora che la decenza le concedeva, pensava freneticamente alle parole che il vecchio nonno le aveva detto, ripetendole a mo’ di filastrocca: “alle quattro non tardare, hai una donna da trovare, bella rossa e giovincella, se la vedi sai che è quella! Alla taverna dello zio, dille poi che ti mando io.”
    Ma che diamine! Erano le cinque meno dieci e a lei mancavano almeno venti minuti di cammino. Incespicando nella lunga gonna di lanetta verde, sotto ad un maglioncino marrone con una spilletta a forma di farfalla che tratteneva uno scialle anch’esso verde, la ragazzina dai capelli dorati saltava come una cavalletta tra sassi, mattoni e resti di un vecchio villaggio ormai abbandonato da tempo. Il clima era rigido alle pendici del Jamir, eppure lei era abituata a convivere col freddo, col ghiaccio e la neve; addirittura pensava che non esistesse alcuna realtà in cui al mattino i campi erbosi non fossero coperti di una sottile patina bianca e lucente.

    -Questa volta saranno guai, me lo sento!-

    Seppur ingenua, alla vigilia dei suoi dieci anni, Belarouge era già stata formata a sufficienza per poter servire efficientemente il nonno, un vecchio maestro d’armi che batteva a colpi di martello le armature. Si diceva che non esistesse nessuno più bravo di lui a riparare le cloth dei cavalieri, ad eccezione ovviamente di maestro Gazka, dal quale il vecchio affermava orgoglioso di aver appreso alcuni segreti del mestiere. Certo lui non era in grado di utilizzare il sangue divino per forgiare corazze indistruttibili, ma la forza delle sue braccia e la maestria con i ferri caldi l’avevano reso il migliore nel rafforzare armature di calibro medio, per cui la sua fucina non era mai priva di clienti.

    -E pensare che oggi avrei forgiato per la prima volta un elmo!-

    Glielo aveva promesso da tempo, nonno Jorah, che nel momento in cui fosse stata sufficientemente forte da battere e piegare un’asse di metallo le avrebbe concesso di lavorare al calore di fiamma, ed il giorno era arrivato, la baracca era chiusa ai clienti, ma quel dannato vecchiaccio aveva ben pensato di mandare lui stesso a chiamare qualcuno. Mai capitato che fosse un fabbro a convocare un cliente, e guarda caso l’eccezione doveva cadere proprio il giorno che attendeva da anni. Pazienza, a discutere con quel caprone non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
    Il cielo era fortunatamente sereno, e la rugiada sciolta era ormai evaporata, per cui le discese non costituirono un grosso rischio di ruzzolare pericolosamente fino al villaggio di Jahrai. Quando finalmente la ragazzina, piedi nudi e fiato corto, giunse alla locanda che il nonno le aveva indicato, non vi trovò all’interno la folta folla che usualmente animava i tavoli di Mirri, ma solo pochi uomini, intenti a sorseggiare silenziosamente un calice di birra. Tra essi, ed in effetti non fu affatto difficile riconoscerla, spuntava la rubiconda chioma di una ragazza, la più bella che nella sua giovane vita Belarouge avesse mai visto.
    Con fare timido, arrossendo visibilmente, un po’ per l’imbarazzo del ritardo, un po’ per l’effetto di un reverenziale timore, la ragazzina si avvicinò alla donna.

    -Lei deve essere Boadicea…mi presento, sono Belarouge, nipote di mastro Jorah e sua assistente. E’ stato il nonno ad incaricarmi di venirla a prendere, per portarla al villaggio da lui. Ah, le chiedo scusa se ho fatto tanto tardi…ma…-

    E nel momento in cui avrebbe dovuto usare tutta la sua intelligenza, non le venne in mente neanche la più stupida delle scuse.





    Dunque, iniziamo pure u.u mentre fai qualcosa, in qualche situazione (quello che vuoi) ricevi una lettera in cui ti viene chiesto di presentarti in Jamir, presso il villaggio Jahrai, alle pendici dei monti. Il motivo della convocazione è vago, ma sembra che chiunque ti abbia mandato a chiamare sappia tu chi sei, e soprattutto sa che armatura indossi e se ne è interessato. Si presenta comunque come mastro Jorah, e ti preannuncia di avere tutta l'intenzione di dare una sistemata alla tua armatura, chissà poi dove l'avrà vista.
    Descrivi il viaggio, ed eventualmente i motivi che ti spingono ad andare, considerando che la tua armatura è effettivamente di cartapesta xD tutto fa brodo, quando qualcuno ti può rendere più resistente, in un mondo in cui ognuno è pronto ad ucciderti a modo suo.
    Siamo solo all'inizio!
    PS: presto avrai un layout per questa quest xD per ora accontentati di un testo giustificato. Buon post!
     
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    i trovava seduta al tavolo di una taverna, sperduta nell'ultima parte di mondo che avrebbe mai immaginato trovare. Eppure, ancora non si capacitava come c'era arrivata.
    Boadicea, un pezzo di ragazza, capelli rossi e corpo atletico, dal temperamento tagliente e i modi spartani, stavolta aveva superato se stessa.

    ***

    Erano giorni or sono ormai, quando aveva lasciato il suo solito giro di ricognizione nelle rovine della vecchia villa sulla scogliera. L'aveva ormai eletta come sua residenza anche se non era uno dei migliori posti quello, ma ormai si sentiva legata emotivamente.
    Aveva scelto una piccola stanza al primo piano, l'aveva arredata coi mobili meno rovinati che aveva trovato, e ci era andata a vivere. Dopo i mobili, in quella stanza erano entrati i libri, talmente tante scartoffie sistemate in pile ben ordinate da non far rimpiangere l'arredamento spoglio.
    Questo era Boadicea; corpo da guerriero e mente da studiosa, uno strano miscuglio di forza, curiosità e un pizzico di asocialità che la rendevano totalmente affascinante e allo stesso tempo scostante, tanto che si stava tenendo fuori dalle facezie dei suoi compagni di casta.
    Ogni tanto le capitava di incontrane qualcuno, non che la cosa la entusiasmasse più di tanto visto come si erano risolte le cose in quegli incontri. Per non parlare dello scienziato nero, di cui ancora non aveva trovato traccia.
    Si era già avventurata altre volte all'esterno della villa, come quel giorno, alla ricerca di altri luoghi dove trovare libri. La piccola biblioteca non era abbastanza per lei, voleva di più, e quell'isola racchiudeva più sapere di quanto era riuscita a trovare fino ad allora.
    Aveva letto dal carteggio di Bibiane, la vecchia proprietaria della villa, nonché uno dei suoi legami col passato come stava imparando a conoscere, che vi era un altro luogo sull'isola pieno di libri. La ragazza lo stava cercando da un po' di tempo nelle zone attigue alla tenuta della villa, ma nulla da fare. Era come se quel luogo gli fosse precluso, anzi, come se si fosse letteralmente vaporizzato. Anche per quel giorno era abbastanza e si stava per ritirare.
    Stava per salire la successione delle terrazze, infestate ormai dalle erbacce e dai resti delle decorazioni marmoree di un tempo, quando vide un piccolo foglietto di carta infilato in quello che sembrava i resti di una cassetta delle lettere in marmo.
    Ci credete voi che non solo una residenza sulla Death Queen Island abbia una cassetta della posta, ma che anche il servizio arrivi in quell'isola sperduta dal mondo?
    Neanche Boadicea ci credette appieno. Le uniche comunicazioni col mondo esterno che gli abitanti di quella terra maledetta avevano era con i contrabbandieri giù al porto, e quelli di rado si avventuravano fin su la scogliera, tantomeno per consegnare una lettera e sparire. Ci doveva essere qualcosa sotto.
    Con curiosità la rossa aprì la spessa carta di pergamena, tenuta chiusa da un sigillo di cera lacca che fece saltare con un unghia. Nessun marchio distintivo sulla superficie liscia e rossa. Il contenuto recitava pressapoco così:


    Boadicea rimase interdetta dal contenuto della lettera, come se fosse una specie di scherzo. Stava quasi per appallottolarla e lasciarla alle frasche, quando il dubbio si insinuò in lei. La tenne ancora fra le dita, poi con un grugnito si diresse verso la biblioteca, da poco sistemata. Aprì violentemente un tomo che conteneva pergamene e si mise a cercare incessantemente, fino a che la parola Jamir, e tutto quello che la riguardava, saltò fuori.

    ***

    Un mese dopo eccola lì, al luogo dell'appuntamento.
    Ci aveva messo un po', fra scafi, aerei e marce forzate, visto che quella regione del mondo non era propriamente la più accessibile, fra guerre e lande desolate malamente servite. Il villaggio si trovava tuttavia ai piedi della catena montuosa, in una zona abbastanza comoda.
    La giornata era tanto tiepida da potere camminare senza cappuccio, ma non tanto da potere andare in giro senza la protezione di un manto. La guerriera nera era vestita della sua armatura, coperta appena da un mantello di tela marrone scuro, logoro, che la copriva quel tanto che bastava per non dichiarare al mondo che era un cavaliere nero.
    Trovò il villaggio con facilità. Era poco più che un ammasso di casupole di pietra con i tetti spiovente rosso acceso. Le strade erano ancora di terra battuta e sembrava che la civiltà lì stentasse ad arrivare.
    A quell'ora della giornata le strade sembravano deserte, vi erano solo bambini con le mamme e vecchi che si affacciavano incuriositi dalle finestre; evidentemente le visite di estranei non erano frequenti. Ma dagli sguardi laidi dei pochi uomini che si vedevano in giro, probabilmente erano ancora più rare le ragazze straniere quanto meno carine da quelle parti.
    Schioccando occhiatacce ostili verso chiunque si mostrasse eccessivamente curioso delle sue forme, Boadicea si infilò nella taverna, scoprendo che a quell'ora erano quasi tutti in pausa dalle proprie faccende, animando così la taverna di chiacchiericcio e frastuono di risate.
    La ragazza si infilò dentro a testa bassa, ordinò un birra nel linguaggio stentato del luogo che aveva segnato su un foglietto, e si mise ad osservare l'ambiente e riflettere.
    Probabilmente si stava ficcando in una faccenda complessa, dalla quale non se ne sarebbe uscita se non a costo di parecchia fatica. Da quello che aveva capito, avere a che fare con un armatura da cavaliere non era una cosa semplice come riparare un'automobile, anche se sempre di metallo si trattava. Bisognava utilizzare strani procedimenti oscuri a lei che impiegavano materiali segreti.
    Di certo, colui che l'aveva scritto la lettera non si sarebbe scomodato per il suo bel visino, e cosa davvero avesse voluto sarebbe stata una cosa tutt'altro che semplice.
    Tuttavia adesso era lì, seduta a quel tavolo, con una birra avanti, spinta dal desiderio di migliorarsi e dalla curiosità di capire il mondo.
    Le facce che aveva attorno erano abbastanza ilari, qualcuno era più ubriaco del solito; proprio quel qualcuno si stava avvicinando a lei con un andatura barcollante.
    La rossa abbassò al testa sul suo boccale di birra ancora quasi intonso, sperando che non si sarebbe diretta verso di lei e che avrebbe cambiato direzione all'ultimo momento.
    Ma le sue speranze non furono accolte; più sperava, più l'uomo si avvicinava, e dallo sguardo ci voleva poco a capire che intenzioni avesse.
    Iniziò a bofonchiare biascicando vistosamente le parole in quella lingua a lei sconosciuta, tanto che quella remota possibilità di capire qualcosa se ne era andata a benedire. Ma il linguaggio da ubriachi è universale e l'uomo gli stava facendo capire, probabilmente con delle oscenità, che la voleva in un certo modo.
    Boadicea, con un sopracciglio alzato, lo guardava con aria un po' sufficiente, ma sopratutto schifata. Sperava che non si sarebbe permesso di allungare una mano, ma anche questa volta era come sperare che il sole non sorgesse ad est.
    L'uomo allungò la mano verso il suo petto. Per tutta risposta, la rossa si alzò di scatto, gli torse il braccio dietro la schiena e gli schiantò la faccia sul tavolo, premendola con forza. Si rivolse poi alla sala.
    “Beh, qualcun'altro ci vuole provare?”
    Non che la capissero, ma il tono parlava da se. Scese un silenzio tombale, l'oste si dileguò sul retro e alcuni uomini si alzarono per dar man forte al compare. Boadicea sorrise e alzò la testa del povero malcapitato per i capelli. Sguainò la spada da sotto al mantello, puntandola alla gola della vittima che stava frignando come una bambina.
    “Sicuri di quello che state per fare?”
    Non avevano capito, ma quei pochi che si erano alzati tornarono subito a sedere. Altri, molto discretamente, se la stavano dando a gambe. Il gelo scese in quel luogo, tutti a fissarla. Espose la testa del tizio alla sala come monito, e lui in tutta risposta si mise a implorare. In tono seccato la guerriera ribattè
    “Si si, di quello che vuoi tanto non capisco.”
    Lo scaraventò a terra, e quello, piangendo come una donnicciola, se ne andò via urlante e bracollante, travolgendo un paio di sedie. Boadicea, come se nulla fosse, si ricompose, rinfoderò la sua arma e si mise a sedere. Alla chetichella, nel giro di qualche minuto, il locale era semideserto. La ragazza non diede più la minima importanza a quello che accadeva nella taverna, ma si limitava ad osservare fuori dalla finestra la giornata che scorreva tranquilla. Gli altri avventori si zittirono gettando gli occhi alle proprie vivande in silenzio. L'apatia era piombata in quella sala.

    ***

    Quando la bambina si presentò, era abbastanza annoiata, e stava per andarsene. La trovò nel momento in cui la rossa era rimasta con un dito di birra e scocciata aveva pensando di alzarsi per fare un giro.
    Boadicea non l'aveva minimamente notata e solo in quel momento gli diede attenzione. Una bambina dai capelli biondi e timida come una gemma a primavera, la guardava a stento. Interdetta, Boadicea esclamò
    “E questa da dove è uscita?!”
    Quando lei parlò la sua lingua, dicendole chi era, non sapeva se sprofondare per la figura becera o per il fatto che fosse una bambina a farle da guida. Si portò una mano alla tempia, cercando di dissimulare la sua irritazione. Soffriva di emicranie spesso, vuoi per la sua testa sempre pronta a macinare pensieri.
    “Si piccola, io sono Boadicea. Perdona i miei modi scostanti, ma non è stata una delle mie giornate migliori...” abbozzo una scusa per cavare la piccola dall'impaccio “Non ti preoccupare per il ritardo, la vista di questo luogo mi ha fatto compagnia per tutto il tempo. Se ti manda tuo nonno, non sembra il caso di farlo aspettare. Ce la fai a tornare indietro stesso adesso o preferisci riposare un attimo. Magari strada facendo mi parlerai di tuo nonno e di cosa vuole dal me. Che ne dici?”
    Questa volta Boadicea aveva fatto i compiti, e aveva cercato di essere quanto più cordiale possibile, anche perchè voleva uscire da quella situazione al più presto possibile. Prima avesse visto il vecchio mastro, prima quella faccenda poco chiara si sarebbe districata.

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    Nota: Non ho resistito alla scena nella locanda *_*

     
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  3. † Shen771 †
     
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    Quando Boadicea esordì con un’esclamazione non proprio felice nei confronti di Belarouge, la ragazzina non riuscì a trattenere un piccolo sobbalzo, che la costrinse ad indietreggiare di qualche passo. Non le avrebbe fatto del male, dopotutto era una bambina, e continuare a ripetere nella sua mente certe cose le infondeva un certo coraggio. Ma diciamocelo: avrebbe voluto essere altrove, e questa non era proprio la sua giornata fortunata.

    -M…mi scusi.-

    Fu tutto ciò che riuscì a dire; certo aveva sempre avuto un’idea di se come di una ragazza forte, temprata dallo stesso calore che forgiava le spade, eppure la figura di quella donna tanto austera e bella, un connubio difficilmente apprezzabile, le incuteva un timore che difficilmente riusciva a sradicare. Per sua fortuna, non ci volle molto tempo prima che la guerriera assumesse un comportamento più conciliante, ed i suoi toni divennero subito più pacati ed amichevoli. Che stesse recitando una farsa o meno, meglio aver a che fare con un diavolo ammaestrato, piuttosto che far la fine dell’alice sott’olio.

    -Non si preoccupi, signorina Boadicea. Immagino che il suo viaggio sia stato lungo e faticoso…-

    Ancora qualche incertezza nelle parole, ma in fondo sentiva di star prendendo in mano la situazione, e prima avrebbe terminato il suo compito, prima avrebbe fatto ritorno al caldo abbraccio della fornace. Con la mano sinistra si avvicinò al bordo del lungo sudario nero che ammantava Boadicea, sfiorandolo quasi impercettibilmente; a quel gesto, gli occhi di Belarouge si illuminarono.

    -Posso sentirla…lei non è forgiata con la polvere benedetta dagli dei…eppure è così viva, calda.-

    Mentre parlava, nella sua voce si percepiva l’incanto, la passione. Era piccola, eppure aveva imparato ad amare il proprio mestiere come nessuna coetanea avrebbe potuto fare con un passatempo, uno spirito indomito ardeva in lei, e quasi le prudevano le mani per il desidero di studiare da vicino ciò che si celava sotto il pesante manto di Boadicea. Per educazione, perché come ogni signorina anche lei padroneggiava le buone maniere, si limitò a sfoggiare uno scintillante sorriso rivolto all’interlocutrice, prima di invitarla a seguirla.

    -Stia tranquilla, non ho bisogno di riposo alcuno, anzi. Il nonno mi ha raccomandato di recarci subito da lui, e poi è un bel cammino da qui alla fucina, se lei è pronta, possiamo anche andare!-

    E quando entrambe abbandonarono la locanda, Boadicea avrebbe capito quanto smisurata fosse la catena montuosa in cui le armature venivano ridate alla luce, come una madre pronta ad accogliere tra le proprie braccia sicure i figli feriti. La camminata in effetti si rivelò piuttosto lunga, non priva di soste, a giudicare dalla pendenza delle salite che si susseguivano a distanze sempre minori, ma il tempo sembrò passare in fretta per Belarouge, la quale continuava ad osservare estasiata la figura imponente ed aggraziata della donna che accompagnava. Quando ormai all’orizzonte si intravedevano i tetti rossi e spioventi delle case del villaggio, la bambina non riuscì più a trattenere una domanda.

    -Sa, signorina Boadicea, ho sempre pensato che tra l’armatura ed il cavaliere che la possiede debba esistere un legame profondo, simbiotico. Lei protegge con la sua robustezza gli uomini, ma cosa fanno gli uomini per lei? Piangono forse quando loro si crepano, o cadono a pezzi? Io non capisco, eppure mi hanno sempre insegnato che è l’energia stessa il filo che unisce il destino di armatura e cavaliere. Alla fine, è come per loro una casa, una fortezza che ne preserva la vita dal filo feroce di una spada…-

    Il suo sguardo divenne improvvisamente più cupo, come se potesse capire i sentimenti di quegli oggetti inanimati, provare compassione per loro.

    -E lei…lei ha mai sentito la sua armatura piangere, soffrire?-

    Aspettò una risposta, quasi come stesse aspettando il suo prossimo respiro. Intanto la porta della fucina era a pochi metri da loro, un edificio tozzo costruito con mattoni di pietra, dalla forma semisferica e con un largo comignolo che perforava il tetto, dal quale fuoriusciva un denso fumo nero. All’interno della struttura il calore era insopportabile, asfissiante, ed oggetti di ferro opalescente e illuminati da sfumature rosso vivo erano disposti alla rinfusa nel caos del lavoro. Un uomo, di spalle, col torso nudo e possente, batteva con forza un pezzo di metallo; ritmicamente martello ed incudine urlavano e si baciavano.
    Una voce profonda, tonante.

    -Alla fine sei arrivata, Belarouge, spero per te che non abbia fatto attendere troppo la nostra ospite.-






    Sentiti libero di rispondere a Belarouge come più ritieno opportuno. Descrivi il viaggio e le sensazioni che scaturiscono da quello che la bimba ti dice, che son cose importanti da comprendere prima di procedere. Una volta che entri in officina, puoi poi porre al vecchio le domande che vuoi, intanto lui lavora senza sosta xD
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    a rossa quietò il suo temperamento indolente verso la bambina. Si era scomodata tanto per arrivare a prenderla e portarla dal mastro armaiolo, che quantomeno poteva non essere scortese verso di lei.
    Quando tuttavia la ragazza mostrò interesse per la sua armatura sfiorandola, Boadicea non riuscì a tenere a freno il suo spontaneo senso di interdizione, che si stampò in faccia con il suo sopracciglio inarcato. Ma c'era dell'altro, era anche sorpresa.
    Doveva ammettere che sapeva così poco della sua armatura e che quei discorsi della ragazzina, dalla passione tanto evidente verso le corazze, la affascinavano.
    Quello era un campo di studi nel quale non si era mai cimentata, visto l'esiguità della documentazione che aveva a disposizione sull'isola. Oltretutto, la tradizione che riguarda la riparazione dell'armature si trasmetteva prevalentemente per via orale.
    Quella situazione le stava iniziando a piacere; forse poteva rivelarsi fonte di una conoscenza che mai avrebbe trovato sui libri.
    Per questo la sua espressione si rasserenò verso la piccola, lasciandola esporre il proprio compiacimento per le vesti che indossava.
    “Deve piacerti davvero molto quello che fai, vero piccola?”
    Chiuso il discorso, la seguì per il sentiero che portava fuori al villaggio. La vide trotterellare con un passo molto più deciso, dissimile a quello delle ragazzine della sua età. Sarà stato l'entusiasmo innocente della ragazza, o forse solo il paesaggio delle montagne stagliate contro le nuvole, ma si sentiva pronta per quella nuova impresa.


    Si avventurarono su per la catena montuosa, fra passi scoscesi e salite impervie. L'aria rarefatta metteva a dura prova le capacità fisiche di chi si avventurava per quei luoghi, ma la ragazzina, forse per l'abitudine, si muoveva agilmente come una capretta fra le pietre.
    Dal canto suo, il fisico temprato di Boadicea poteva comodamente resistere alla scalata, ed anche se la ragazzina voleva spicciarsi il prima possibile furono costrette a fare qualche sosta, quando il sentiero si faceva più impervio.
    Boadicea se ne stava zitta e la guardava con sguardo gelido, eppure le dentro di lei le piaceva quella sua ostinata determinazione. Se lei fosse stata ragazzina, probabilmente le avrebbe assomigliato. Purtroppo, sapeva che questo non fu mai.
    Sarà per questo motivo, per la tenerezza, oppure per la volontà di spicciarsi, che quando all'ennesima sosta vide la ragazzina affannata, la prese per i fianchi all'improvviso e la sollevò su una spalla facendola sedere.
    “Comoda adesso?”
    Detto questo, se ne stette zitta per tutto il tempo, lasciando che la ragazzina la guidasse su per i monti e che la guardasse in preda alla sua innocente fantasia.
    Lo sapeva che indossare un armatura non era una cosa così bella? Quanto le sarebbe piaciuto essere innocente, almeno per un breve tratto della sua breve vita.
    Il villaggio si presentava come un piccolo agglomerato di casette rosse in stile tibetano dalle tegole scure ed avvolto nella bruma. Era accostato a uno sperone di roccia che dava su uno strapiombo a ridosso di una stretta vallata della quale si intravedevano di fondo macchie di verde
    perse nella nebbia. Faceva freddo lì sopra, il cielo diventato nuvoloso minacciava precipitazioni, ma per il momento l'aria nebulosa della montagna sembrava promettere di mantenere ancora per un po'.
    Lì sopra il tempo sembrava davvero fermato, immerso in una quiete surreale che coinvolse anche la rossa. Esistevano ancora luoghi come quello al mondo, incontaminati dalle lotte e dalle sopraffazioni? Era stata davvero una fortuna rispondere a quella lettera, se non altro per l'emozione di vedere una tale piccolo e grandioso spettacolo dell'uomo in sintonia con la natura.
    Fu proprio mentre si avvicinavano che la piccola esordì con quella sua strana domanda.
    Boadicea non seppe che rispondere sulle prime, si limitò a prendere la piccola per i fianchi e a guardarla dritta negli occhi. Si domandava se il suo sguardo serio e cristallino la intimorisse. Tuttavia rispose prima di metterla a terra
    “Piccola mia, sono venuta qui proprio per questo. Non conosco questo legame di cui tu mi parli, eppure so che una cosa che manca al mio animo. Ma se ti può far contenta, io e la mia armatura anche se non ci conosciamo da molto siamo inseparabili. Senza di lei io mi sento nuda, quasi persa. Forse tu e tuo nonno potete insegnarmi di più su quello che dici”
    La posò a terra e si chinò verso di lei, provando a sorriderle.
    “...e adesso perchè non mi porti da lui?”
    La guardò andare avanti verso il cuore del villaggio, poco più di uno spiazzo di terra battuta e ghiaia dalla forma allungata. La ragazzina raggiunse una piccola casupola dal comignolo fumante e la aspetto alla porta.
    Boadicea le diede un ultima occhiata per poi entrare in silenzio religioso nell'officina.
    Il caldo le colpì il viso come un cuscino di piume, e subito un velo di sudore le imperlò la fronte. La stanza era nella penombra rischiarata solo dal fuoco e dal chiarore del ferro rovente. Attrezzi logori dal troppo uso si accatastavano insieme ad armi e pezzi di corazze sulle pareti. Vicino al fuoco, in controluce, un uomo dalla muscolatura possente stava battendo un pezzo di metallo su un incudine. Rimase sulla porta, ammirando il lavoro di quell'uomo.
    Solo quando la ragazzina sgattaiolò dietro di lei, l'uomo parlò, con voce tonante, e finalmente Boadicea lo guardò in viso, facendosi un'idea di chi poteva essere mastro Jorah.
    Un uomo di una certa età, barba mal rasata e volto sporco di fuligine. I lineamenti del volto erano ben squadrati, dal collo collo taurino e la muscolatura resa possente dal continuo martellare.
    La ragazzina si mise in un cantuccio dell'officina, probabilmente a sbrigare le sue cose, mentre l'uomo continuava a lavorare.
    La rossa si levò il mantello, mettendo all'aria la sua nera corazza. La sua armatura beveva ogni singolo raggio di luce prodotto dal fuoco e lo rimandava in piccoli scintillii, simile a cristallo nero. La ragazzina le piantò lo sguardo addosso, ammirata.
    Aspettò un po' che l'uomo le prestasse attenzione, ma a quanto pareva era troppo assorto nel suo lavoro, quindi fra una martellata e un'altra, trovò le parole per mettere a punto una sorta di discorso.
    Non aveva del tutto le idee chiare sul che ci faceva sull'ultima vetta di montagna nella parte più sperduta della terra, ma cercò comunque di imbastire quattro parole:
    “Lei deve essere mastro Jorah...sono Boadicea, la guerriera a cui avete mandato la lettera”.
    Un colpo di martello, altre scintille, pausa.
    “Mi aveva accennato alla mia armatura, e al fatto di poterla irrobustire...”
    attese un altro colpo metallico.
    “Non conosco molto dell'arte delle armature, la prego di illuminarmi. Sarei lieta di sapere tutto quello che c'e da sapere..”
    interrotta da un altro spruzzo di scintille che illuminarono per un poco la sagoma oscura del fabbro. La irritava quell'atteggiamento, ma cercò di contenersi.
    “...e di fare tutto quello che c'è da fare. Sono una perfetta principiante, ma volenterosa di apprendere...”
    L'ennesima martellata le smorzò il discorso. Già faceva fatica ad aprirsi al mondo, figuriamoci con una persona che sembrava non dargli attenzione. Aggiunse, con lo sguardo da cerbiatto perso e trascinando in un ultimo estremo tentativo, un'altra manciata di parole:
    “...insomma sono qui”.
    E poi attese, in silenzio, che l'uomo finisse di ultimare il suo lavoro, e che finalmente gli desse qualche risposta.


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    -E tu vorresti conoscere?-

    Il tono del vecchio era brusco, e per qualche attimo perfino il suo ritmico battere sul ferro si era arrestato sotto il peso delle sue parole. L’ampio torace si contraeva e si espandeva, i riflessi rubicondi incendiavano le gocce di sudore che gli percorrevano il corpo. Si voltò, furente in viso, la lunga barba grigia di fuligine che gli occultava i lineamenti.

    -Conoscere l’arte di un fabbro non è cosa che si impara in quattro chiacchiere, signorina.-

    Le sue occhiate bruciavano forse più dei metalli che lavorava. Occhi neri, profondi, ricchi di saggezza ma allo stesso tempo incorruttibili, talmente fieri delle proprie abilità da non lasciar trasparire alcuna esitazione. Jorah sospirò rudemente, poggiando il grosso martello sull’incudine annerita, una fiammata più grossa delle altre, dal braciere alle sue spalle, arroventò un soffio di vento che era penetrata dalla fenditura del tubo d’areazione. La temperatura in quel luogo iniziava a diventare insopportabile, inumana per chi non era abituato. I passi dell’omone erano lenti, calmi, decisi; la grossa casacca che conteneva i suoi attrezzi dondolava sul tascone, generando un sottile tintinnio di metalli che si scontravano. Quando fu dinanzi a Boadicea, la sua stazza la copriva per oltre tre volte quella della ragazza, rivelando una vera e propria montagna umana.

    -E né tantomeno sono qui per insegnarle qualcosa. Intendo fare il mio mestiere e basta, non ho idea di cosa mia nipote abbia scritto nella lettere, ma non si faccia strane idee.-

    Quell’imponente presenza incuteva non poco timore, forse perché oltre alla mera stazza in lui sembrava bruciare qualcosa di altrettanto spaventoso. Con un gesto improvviso ed incredibilmente agile della mano, il fabbro strappò letteralmente di dosso a Boadicea il manto che la copriva, svelando il suo corpo sinuoso bardato dell’armatura nera. Gli occhi di Jorah si affilarono, chiudendosi in una coppia di sottili fessure; era concentrato, la sua mascella si contraeva ed i muscoli del collo si gonfiavano.

    -Non riesco a immaginare come tu possa ancora essere viva.-

    Il tono grave con cui pronunciò quelle parole era carico di disappunto. Una delle sue enormi mani andò a poggiarsi sulla spalla del Black Saint, in una sola, poderosa, stretta, lo spallaccio si crepo come creta caduta al suolo. Scintille di armatura schizzarono ovunque ma, prima che il pezzo si disintegrasse del tutto, il vecchio lasciò la presa.

    -Quest’armatura è da buttare. Ti avevo osservato durante uno dei miei viaggi all’Isola della Regina Nera, e già allora avevo intuito quanto mal ridotta fosse, ma non avrei mai pensato che versasse in queste condizioni. E forse è il caso che te ne renda conto anche tu.-

    La mano destra del gigante, quella che fino a quel momento era rimasta ben stretta attorno al manico di uno degli aggeggi che trasportava con sé, si caricò di una strana energia, che la avvolse in un alone bianco. Con un sol colpo deciso, il palmo aperto e le dita congiunte, impattò sul pettorale della cloth, creando una piccola scintilla che si disperse nell’ambiente saturo di calore. Fu un attimo, le orecchie di Boadicea si riempirono di urla strazianti, ciò che sembrava sul punto di morire in realtà apparteneva a lei, la indossava: poteva udire il lamento della sua armatura!





    Reagisci a questa bella, interessante esperienza! Non ti do indicazioni particolari, qui si tratta solo di capire quanto male stai messa, prima di poter passare alle cose serie xD puoi fare tutte le domande che vuoi, sia al vecchio che a Belarouge.
     
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    tupida, stupida Boadicea.
    Cosa si aspettava, che il vecchio le avrebbe svelato così tutti i suoi segreti?
    Lo doveva intuire che l'arte delle armature era una disciplina fatta di anni e anni di studio, di segreti che si passano da martello a martello in silenzio.
    Ma lui l'aveva chiamata in quel luogo perso nelle montagne per un motivo, e adesso era finalmente giunto a chiarirne il perchè di quel viaggio.
    Le faceva paura, non tanto per la sua stazza fisica; in duello lo poteva facilmente atterrare. Quelli con la sua corporatura hanno il grosso difetto che una volta atterrati, sono vulnerabili come chiuque altro, bastava mirare alle gambe.
    Ma quello che gli faceva più timore era la potenza nascosta fra le pieghe della sua voce, dal tono calmo e brutale con il quale le si rivolgeva, come i colpi di un martello sull'incudine. Era una sorta di innato rispetto per la conoscenza che possedeva e per i segreti che custodiva nelle sue mani.
    Di fronte a quelle parole, Boadicea non seppe altro che fare che starsene ferma e spalancare le orecchie, e comprendere.
    Comprendere come l'isola della regina nera non era poi un posto tanto isolato, e che c'erano forze in gioco sempre più ampie nel mondo. Una volta squarciato il nero sudario che la divideva dai comuni mortali, non poteva fare altro che scendere più a fondo.
    Non importava che si trattasse di eroi o delinquenti, quel mondo fatto di armature era complesso, fin troppo per essere capito solo attraverso i libri. Doveva viaggiare di più, lasciare più spesso il suo cantuccio di rovine per vedere chi altro c'era su quel palcoscenico, per capire che ruolo avesse lei in quel mondo.
    L'uomo si avvicinò imponente e minaccioso, la denudò quasi.
    La rossa non mosse ciglio, ne provò a mascherare le sue pudenda. Si era più volte trovata nuda davanti ad altri, ed anche se il suo corpo era artificiale, non aveva vergogna.
    L'armatura la copriva poco quanto niente, così il suo corpo era esposto agli occhi del vecchio. Le sue membra velate da una sottile patina di sudore sembravano marmo scolpito nella penombra. Dove vi erano curve l'ombra segnava una linea, là dove la muscolatura si mostrava, il fuoco era una lingua di luce.
    Gli occhi di Boadicea divennero due lastre d'ambra scintillanti come fuoco nel buio del luogo. Fissava il vecchio con un sentimento ambivalente di odio e rispetto, di rabbia che veniva trattenuta per una valida ragione. Se avesse voluto, gli avrebbe piantato la sua spada nel ventre e se ne sarebbe andata.
    Ma c'era la bambina in quel luogo, e lei voleva preservare la sua innocenza, una delle poche cose rare a questo mondo. Poi, voleva sapere di più su cosa intendesse quel vecchio dicendole che era fortunata ad esser viva.
    Quando il suo spallaccio finì quasi in frantumi per un solo gesto del mastro armaiolo, gli occhi di Boadicea si spalancarono dallo stupore e rimase davvero senza parole. Non solo la sua armatura era una debole protezione, ma probabilmente l'uomo conservava un potere segreto che lei non aveva valutato.
    Forse per questo le incuteva un tale timore.
    Poi la colpì, fulmineamente.
    Fu un gesto fatto con forza e velocità, dritta al cuore. Si sarebbe potuta difendere, ma non lo fece. Era troppo assorta nella conversazione, in quelle parole dure, nel segreto che stava cercando di penetrare. Pensava che probabilmente sarebbe arrivato un dolore al petto, e che doveva reagire al più presto, si dannò per essersi fatta distrarre. Ma nulla di tutto quello era necessario.
    L'aura attorno alla mano colpì solo l'armatura, per poi disperdersi nell'aria, come fiamme estinte. Ma quell'aurea irradiava ancora per il nero metallo che la rossa aveva indosso, come un eco lontano, che parlava di dolore.
    Furono urla strazianti di sofferenza, come se una folla di persone si fosse messa ad urlare ad ogni angolo della stanza. Boadicea si portò istintivamente le mani alle orecchie, gli occhi che coglievano anfratti sfocati della fucina attorno, cercando la fonte di quel lamento straziante. Il respiro si fece affannoso, la lucidità difficile da mantenere.
    Sentiva le forze venirle meno, e le grida che le martellavano la testa, e poi si accorse che ad urlare non era nessuno. Le vennero in mente i discorsi della piccola, di come le armature soffrivano, e capì. Era la sua armatura a emettere quel clamore straziante.
    Le si mozzò il fiato. Rivide quel tunnel oscuro, quella pozza di sangue in cui era stata generata, e i cadaveri che le riempivano la vista, la puzza di disinfettante e l'oscurità, e poi sofferenza. Lame nere che le squarciavano la pelle, colpi di cavaliere che le arrivavano addosso, esplosioni che le ustionavano la pelle, le dita che la spezzavano una spalla e poi il martellare, la distruzione di cristallo, l'affondare nella carne. Erano le sofferenze dell'armatura, il suo punto di vista. Il dolore della corazza era il suo di dolore.
    Quando le visioni e le urla ebbero fine, si trovò accovacciata sul pavimento, le mani che premevano forte sulle orecchie. Il respiro si regolarizzò, ma stava ancora ansimando; il mondo aveva ripreso i suoi connotati.
    Madida di sudore, riaprì gli occhi e li puntò sul volto granitico dell'uomo. C'era ancora rabbia, ma stavolta era diverso. Non ce l'aveva con lui, ma con se stessa.
    All'inizio non sapeva neanche perchè quell'armatura le fosse capitata, ma poi era diventata la sua vita. Aveva chiesto alla sua corazza di esserle compagna sul campo di battaglia, ma non aveva mai chiesto il suo permesso. Aveva un rispetto tale da considerare la sua lama un prolungamento della sua volontà in duello, ma non si era mai chiesta se fosse d'accordo. Si sentiva quasi in colpa per averne fatto un uso tanto smodato.
    Rispose al vecchio con la mascella ancora contratta per l'ira e il dolore:
    “Non ho la pretesa di imparare tutto quello che c'è da sapere sulla vostra arte, ma per tutto quello che c'è di caro al mondo, solo il modo per non far succedere questo. Non voglio essere il carnefice della mia spada e della mia armatura. Voglio avere delle compagne in battaglia, che combattano insieme a me...e se c'è qualche prezzo da pagare lo farò...”
    Si ricompose, alzandosi dalla posizione rannicchiata in cui si trovava.
    Aveva un'espressione grave e solenne. Le sue mani corsero rapide sulle sue nere vestigia. Caddero prima gli spallacci, poi i bracciali. A mano mano, ogni pezzo venne riposto a terra in una piccolo mucchio ai piedi del vecchio, fino a che non fu totalmente nuda. Per ultima rimase la sua spada, che tenne in orizzontale fra i due.
    Lo sguardo di Boadicea era un cerchio rovente di determinazione e fredda lucidità. Sapeva che si stava gettando nel fuoco, ma non si sarebbe tirata indietro.
    “Faccia il suo dovere...”
    La spada cadde sul mucchio, in una cacofonia metallica.



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  7. † Shen771 †
     
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    -Prezzo da pagare, dici?-

    Spinto dell’enorme mole del suo corpo, il vecchio si sedette, gambe incrociate e occhi profondi puntati in quelli di Boadicea. Il terreno vibrò per qualche attimo, e con lui tutti gli attrezzi sparsi per la fucina.

    -Non c’è alcun prezzo da pagare, non ora.-

    Le folte sopracciglia si corrugarono, svelando un’espressione preoccupata; le labbra sottili e lunghe si inarcarono verso il basso, le vene del collo iniziarono a pulsare più vistosamente. Intuendo lo stato di disagio in cui l’uomo iniziava a trovarsi, accanto a lui apparve Belarouge, il viso già imbrattato di fuligine ed indosso una lunga casacca da ferraio. I suoi occhi avevano assunto una tinta più cupa, sebbene le venature rosso fuoco conferitegli dalle fiamme ardenti li rendevano stupendi come rubini.

    -Purtroppo, l’unico elemento utilizzabile per poter riparare armature di questo tipo è l’oricalco. Più a nord del Jamir, nelle regione cinese del Sichuan, c’è un’enorme miniera dalla quale mio nonno si procurava tutto il materiale che gli era necessario per poter compiere il suo lavoro…-

    Si arrestò per qualche attimo, chinando il capo e perdendosi in un lungo respiro, prima di continuare

    -Ma da giorni, quella caverna è presa d’assedio da un esercito di uomini in armatura viola. Molti abili fabbri hanno cercato di penetrare all’interno dell’aria sorvegliata per potersi rifornire, alcuni ce l’hanno addirittura fatta ad entrare…ma mai nessuno è uscito. Si dice che un essere mostruoso sia al comando di quel gruppo.-

    Sentiva gli occhi che le si riempivano di lacrime Belarouge, eppure mai avrebbe frignato davanti al suo maestro, l’unico che si era imposto di sostenere. I suoi genitori tempo prima erano morti per un misterioso male, ed ella era presto divenuta cosciente che l’unico modo per sopravvivere sarebbe stato mandare avanti la tradizione di famiglia, nonostante il suo sesso non le avrebbe mai concesso di avere spalle larghe e petto robusto. Strinse i pugno, mordendosi il labbro inferiore con una tale rabbia da riuscire ad assaporare il sapore del sangue; la tensione all’interno della stanza era divenuta palpabile, opprimente. Poggiando la sua enorme mano sul capo della nipote, Jorah cercò di sforzare un sorriso del quale non era mai stato padrone, e la piccola, apprezzando la volontà dell’omone, dopo un sospiro ricacciò ogni lacrima. Rivolgendo nuovamente lo sguardo alla guerriera, il mastro armaiolo raccolse da terra qualche frammento che si era staccato dall’armatura nera e, alzandolo alla luce di un bagliore rosso, riprese a parlare.

    -Se intendi far sì che la tua armatura possa godere di una nuova forgia, allora l’unico modo è appropriarsi dell’oricalco all’interno della miniera. Non ho altri prezzi da chiedere, non mi interessa il denaro.-

    La sua voce era ferma, ogni parola scandita in modo chiaro, così che nulla potesse sfuggire all’orecchio della donna dai capelli rossi. Le condizioni erano state dettate, ma qual era veramente il prezzo da pagare?

    -Non ti mentirò, non nutro troppe speranze che tu possa uscir viva da quella situazione, eppure è l’unico modo che abbiamo per riappropriarci di ciò che è nostro. Io stesso non ho potuto nulla contro quell’individuo..-

    Le ultime parole erano rotte da un fremito di rabbia, solo ora Boadicea avrebbe notato la grossa cicatrice che gli percorreva le clavicole da parte a parte. Quell’uomo aveva rischiato la vita, e per qualche centimetro non l’aveva persa. Nuovamente Jorah tornò ad alzarsi, facendo leva su un grosso tavolo di legno che, nonostante la robustezza, sembrò scricchiolare. Ai suoi piedi ora c’erano tutti i pezzi della black cloth della donna, ed ognuno di quelli venne passato in rassegna con estrema minuzia.

    -A te la scelta, Boadicea. Hai ospitalità presso la mia casa per questa notte, così che tu possa scegliere; io intanto provvederò ad aggiustare la tua armatura, ridonandole l’aspetto che aveva appena creata. Per ora, non posso fare di più.-

    Si congedò, tornando a battere con la prorompente forza delle braccia sull’incudine arroventata.
    Belarouge condusse l’ospite ad un edificio pochi metri più in la, una piccola casa dal tetto in paglia e le mura in legno, costruita su due piani e rusticamente arredata. Pochi utensili, giusto i necessari per sopravvivere, ed al piano superiore un letto appena fatto che prometteva di essere comodo, nonostante la povertà degli abbellimenti.
    Il giorno successivo il vecchio l’avrebbe atteso sull’uscio di casa, di fianco ad una scintillante armatura corvina che Boadicea stessa avrebbe stentato a riconoscere. Belarouge era al suo fianco, anch’ella indossava un’armatura argentata che le ricopriva braccia, petto e gambe, ma lasciava il capo ed i lunghi capelli biondi scoperti. Sulla sua fronte era disegnata una sorta di runa, il cui significato era ignoto perfino alla studiosa.
    La ragazzina fu la prima a parlare.

    -Ben svegliata. Tutta la notte abbiamo lavorato alla tua armatura, ma mentre battevo il ferro caldo ho realizzato che non potevo stare con le mani in mano, mentre ciò che più amo fare al mondo mi viene strappato via con la forza. Che tu decida di seguirmi o meno, io ho intenzione di partire.-

    Era impetuosa, mostrava un coraggio che da un corpo così aggraziato difficilmente sarebbe mai scaturito, se non smosso da importanti motivi.


     
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    E
    ra scesa la notte su quel villaggio incastonato fra le montagne.
    Una nera cortina senza luna e stelle era calata al di fuori del gruppo di case, stemperando i colori in una cromia di grigio freddo, spruzzata del bianco della neve che pigra, cadeva copiosa.
    C'era un silenzio inquieto nella stanza di Boadicea.
    Era buio, le ombre si stagliavano flebili sulle pareti di legno e sull'odore di pagliericcio umido del letto sul quale inutilmente cercava di prendere sonno. L'unica luce proveniva da l'edificio di fronte.
    Lo guardava con un misto di ansia e preoccupazione. Mastro Jorah stava mantenendo la sua promessa. Il fumo che usciva dal comignolo impastandosi con la neve che cadeva, era il chiaro segnale dell'attività che si svolgeva all'interno della fucina. Il fuoco della fornace rischiarava flebilmente lo spiazzo antistante il gruppo di casupole immerso in quel bianco surreale. Se si concentrava, poteva sentire il lontano suono del martello sull'incudine.
    Era stato chiaro, il vecchio con quelle sue parole poche ore prima. Se voleva ridare vita alla sua armatura, il viaggio non sarebbe stato facile e non tanto per la lunghezza, in fondo arrivare fino in Cina sarebbe stato una traversata irrisoria rispetto a trovare lo Jamir, quanto per quello che l'aspettava giunta a destinazione. Uomini in armatura viola, che sorvegliano la miniera; a parlare era stata la ragazzina,
    La rossa si alzò dal suo giaciglio drappeggiandosi la pesante coperta intorno al corpo nudo e si affacciò alla finestra, pigiando la fronte contro il vetro freddo, perdendosi nella visione della soglia illuminata che aveva fronte. Non aveva fatto altro che rispondere di si:
    “Non ho paura di un manipolo di nemici. Sono abituata alla battaglie, e se quello che serve per ridare nuova vita alle mie vestigia è la mia abilità con la spada, l'avrete...”
    Parole altisonanti, non c'era dubbio, ma si domandava se avesse fatto bene ad accettare così prontamente. È da stolti non preoccuparsi per un battaglia, sopratutto avendo del tempo per farne i preparativi e per raccogliere informazioni sul nemico.
    Probabilmente erano spettri, guerrieri della morte.
    Non solo ne aveva letto sulle carte che si trovavano nella magione, ed anche nei frastagliati frammenti del carteggio di Bibiane, ma li aveva addirittura incontrati. Guerrieri dell'oltretomba, al servizio di Hades, signore dei morti. Vestivano armature di un colore viola come una pietra preziosa, ed alcuni di essi erano proprio morti, resuscitati al volere del loro signore.
    Cosa ci facessero sulla terra nei pressi di una miniera di materia tanto preziosa era difficile a dirsi, ma facilmente intuibile. Doveva entrarci qualcosa l'approvvigionamento. La logica era semplice: taglio i rifornimenti ai miei avversari, in modo che non potendo riparare le proprie armature, sono in difficoltà.
    Il discorso filava, ammesso che fossero davvero guerrieri di Hades, e non qualcosa di diverso. Già la prospettiva di morti e simili che risorgono dalla tomba per combattere la metteva sicuramente a disagio, figuriamoci altro, ad esempio il mostro alla quale la bambina accennava.
    La neve continuava a scendere, probabilmente l'indomani avrebbe trovato tutto imbiancato, non certo il massimo dell'agevolezza per una partenza. Si sentiva a disagio senza le sue vestigia. Aveva lasciato che quell'uomo lavorasse sul suo più grande tesoro, ma adesso la tensione non la faceva dormire. Aveva la mente piena di domande:
    °E se qualcosa andasse storto? E se questo viaggio fosse solo una bufala? E perchè scegliere me per una missione tanto pericolosa? Perchè proprio io?°
    Il vecchio era tutt'altro che un burbero senza cervello. Anni di sapienza nel fare avevano portato anche la sapienza nel pensare. Avrebbe potuto rivolgersi ad altri, e di sicuro ce ne erano migliori di lei anche sull'isola, ma probabilmente non tutti avevano un'armatura di qualità così scadente come lei.
    Aveva notato la cicatrice sul corpo dell'uomo. Probabilmente aveva provato a riprendersi quel luogo, forse addirittura a ragione, ma con le sue forze non c'era riuscito. Forse, anzi, molto più che forse, la sua armatura non era che uno specchio per le allodole. Il vecchio rivoleva indietro la miniera, e probabilmente l'avrebbe sacrificata anche per questo compito, sembrava quasi non averne fatto mistero nelle sue parole.
    Si profilava quindi un compito arduo, ma forse ne valeva la pena. Quanto voleva essere come Belarouge in quel momento, sentire cosa provava la sua corazza ad essere martellata per tutta la notte. Non aveva mai realizzato che quelli non erano semplici pezzi di metallo, seppur pregiato. Erano qualcosa di più simile a degli esseri viventi.
    Si mise di nuovo a letto, consapevole del fatto che oltre ad avere dei piani per la battaglia, bisogna essere anche riposati per un lungo viaggio. Si mise ad osservare il soffitto.
    Gli tornò in mente lo sguardo determinato della bambina, di come si era mostrato coraggiosa e sofferente. Vi era qualcosa in quella piccola donna che l'affascinava. Era quella scintilla di tristezza e dolore, oppure la sua cocciutaggine, o l'aria innocente, ma sperava davvero tutto il bene per la piccola.

    Gli occhi si chiusero, arrivarono i sogni.
    Era una donna, con vestigia viola: una guerriera di Hades. Camminava per una spiaggia rocciosa, dall'aspetto vagamente familiare. Vi era un suo compare di battaglia ad attenderla. Sbraitava, ed era ansioso di combattere. Le rivolse parole che nel sonno le suonavano distorte, forse insulti. L'uomo scaglio fiamme roventi nella sua direzione. Un sorriso velò le sue labbra, e un enorme potere si sprigionò da lei.
    Si svegliò.


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    L'alba la colse impreparata, per via del sonno tormentato.
    Il sole sorgendo stava tingendo la neve di un colore rosa pallido mentre dall'edificio di fronte ormai il vapore era solo un filo stanco che si elevava pigro; all'interno avevano finalmente smesso di lavorare.
    Boadicea si vestì con cura delle vesti più pesanti che aveva, mise le sue cose nella sacca da viaggio che si era portata dietro e si avvolse nel pesante mantello logoro che l'aveva accompagnata.
    L'aria della mattina era cristallina e il gelo pungente che l'accolse le colpì il viso, piccole nubi di vapore si levavano dalla sua bocca. Sulla soglia dell'edificio di fronte, nonno e nipote erano già in piedi.
    La rossa pensò stupita che avessero una volontà di ferro per alzarsi a quell'ora dopo una notte di duro lavoro, o forse non avevano dormito affatto, come lei del resto. C'era anche qualcosa vicino a loro, coperta da un panno, e poteva ben immaginare di cosa si trattasse. Curiosa, colmò la distanza fra di loro, immergendo le gambe nella neve fino quasi ai polpacci e lasciandosi dietro dei buchi su quel manto perfetto e immacolato.
    La ragazzina era armata, portava una strana armatura a piastre, che lasciò la rossa perplessa. Dunque anche la ragazzina era una guerriera, ma a che schieramento apparteneva? Poteva fidarsi?
    L'accolse con parole determinate, mentre il nonno scopriva il panno che teneva accanto, mostrando la sua armatura nera, bella come un gioiello di cristallo puro. Era pronta come non mai, anche lo spallaccio crepato era di nuovo integro. Non l'aveva mai vista in quelle condizioni, neanche quando il nero scienziato per la prima volta gliel'aveva data, e nell'aria della mattina sembra essere stata riforgiata con la neve della notte.
    Gli vennero in mente le parole della ragazzina alla taverna. Adesso, probabilmente, non urlava più, ma la sua missione era lungi dal compiersi.
    Annuendo con la testa, Boadicea indosso le sue vestigia. Le trovò leggere come sempre, e il suo senso di disagio di trovarsi senza di loro, anche se per solo una notte, sparì del tutto.
    Rinfoderando la spada sull'alloggio dietro la schiena, rispose alla piccola:
    “Belarouge, non voglio che tu venga. Ho pensato molto stanotte, e probabilmente quello che incontrerò sarà un pericolo troppo grande, forse al di là della mia portata...quindi ti prego, rimani con tuo nonno. Se non tornassi, vorrà dire che io e la mia armatura siamo andate perse”
    La ragazzina la guardò con occhi fiammeggianti. Era stata molto chiara nelle sue affermazioni, ma non poteva portarla con se. Sarebbe stata troppo preoccupata sul campo di battaglia per la sua incolumità, ed ogni distrazione in guerra si paga con la vita. No, la ragazzina poteva fare tutti i capricci di questo mondo, sarebbe rimasta al villaggio col vecchio:
    “Tu non puoi fermarmi, io verrò lo stesso” rispose la piccola.
    Boadicea costernata guardò il vecchio cercando appoggio, ma non lo trovò. Quel burbero gli diventò ancora più antipatico se è possibile. Non aveva preoccupazioni per la nipote?
    Prese la faccia della ragazzina fra le mani, poggiando i palmi sulle guancia, lei in risposta si agitò e cerco di scostargliele, senza riuscirci. Boadicea baciò quella strana runa che aveva sulla fronte, di cui non sapeva nulla:
    “Tu non verrai”.
    Ignorò le proteste dalla bambina e si accomiatò da suo nonno, poi voltò le spalle e se ne andò, lasciandoli piantati nella neve.

    Passarono alcuni giorni fra i passi impervi dello Jamir, cercando di arrivare nella regione della Cina indicata dal vecchio, accostandosi poco ai villaggi e cercando di dormire all'aperto. Aveva messo molte leghe fra lei e Jahrai, ma per quanto si sforzasse di nascondersi, era comunque inseguita; la ragazzina non demordeva. Si era accorta della sua presenza già il primo giorno di marcia, ma sperava di poterla seminare. La ragazzina probabilmente si stava ostinando in una marcia troppo forzata per il suo corpicino.
    Stavano attraversando un tratto montuoso cosparso di boschi dagli alberi ornati di foglie ramate e segnato da lunghe e profonde gole che si aprivano improvvisamente su torrenti e baratri oscuri.
    Quella mattina, mentre riponeva le vettovaglie dell'accampamento della notte prima, l'aveva di nuovo individuata dietro di lei, e forse la stava guardando indispettita. Era dubbiosa se prenderla, sculacciarla e riportala scalciante dal nonno oppure fregarsene e correre un giorno al massimo delle sue potenzialità. L'avrebbe di sicuro lasciata indietro.
    Poi un urlo la colse alla sprovvista. Si girò in direzione della ragazzina sguainando la spada, l'apprensione che le pompava adrenalina nella testa. Corse a perdifiato, ma non la trovò, solo alberi e sterpaglie, sembrava sparita. Si girava a destra e a sinistra, in preda all'ansia e con il fiato alterato. Focalizzò un burrone e si avvicinò con un brutto presentimento. La ragazzina era appesa a una radice che si protendeva dalla parete rocciosa. Aveva la faccia sporca di terra e sembrava esausta.
    Le sorrise.
    Con uno sbuffo, la rossa la prese per un braccio e la risollevò.
    Per il resto della giornata sarebbero avanzate così, con la piccola a cavalcioni sulle spalle della rossa, mezza addormentata e sfinita. Aveva portato le sue capacità fino al limite, e adesso era crollata. Quanto a Boadicea, si domandava se stesse facendo la cosa giusta.


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    La caverna si trovava davanti a loro, immersa in un silenzio irreale. La foresta dove si trovavano era ancora ricolma di foglie ingiallite, ma non vi era un essere vivente che facesse rumore, solo loro due, appostate dietro una roccia che respiravano. Tutto era avvolto da quella calma troppo innaturale e troppo apparente.
    Si era raccomandata giorni prima durante il viaggio con la piccola Belarogue, che nel momento in cui fossero arrivate a destinazione, le si sarebbe fatta da parte, nascondendosi dove poteva, e avrebbe lasciato fare a lei. A nulla erano serviti i suoi piagnistei da bambina, non poteva permettersi di essere distratta.
    Viaggiare con lei le era piaciuto, la trovava allegra e volenterosa, pronta alle marce forzate e alla fatica. Era capitato più volte che l'avesse dovuta portare di nuovo in spalla, perchè era troppo stanca, ma ormai si era affezionata a quello scricciolo, e quasi gli piaceva.
    Passarono le prime giornate con Belarogue che rideva e scherzava, quasi contenta della compagnia della sua nuova amica . Parlarono a lungo di armature, e una sera attorno al fuoco, la piccola si aprì abbastanza da raccontarle la sua triste storia. Boadicea l'aveva consolata come poteva, lasciando che si addormentasse sulle sue gambe.
    La rossa stava cambiando, quel piccolo scricciolo la stava facendo aprire al mondo. Vi era di più che la guerra, e sulla terra vi era qualcosa da proteggere a tutti i costi. Si promise che avrebbe fatto tutto per proteggere quell'umanità di cui lei non faceva tuttavia parte. Se vi era qualcosa al mondo che meritasse di esistere, era l'innocenza, come quella della bambina a cui stava accarezzando i biondi capelli.
    Quella notte, non avrebbe più sognato di guerre ed assalti, ma di una serra e l'odore di rose e balocchi. Un'infanzia mai vissuta.
    Durante il viaggio verso quella caverna, l'inverno iniziò a chiudere la sua morsa sul paesaggio. Gli alberi si facevano sempre più spogli e l'umore era calato. Le due si trovavano molto spesso in silenzio ad avanzare sotto le intemperie; parlavano di rado la sera attorno al fuoco, ma i loro discorsi si erano fatti tetri.
    Boadicea confessò le sue congetture su cosa le aspettava alla miniera, e Belarouge contraccambio con tutto quello che c'era da sapere su quei guerrieri. La rossa imparò così che l'Averno era diviso in bolge, che il signore Hades aveva un palazzo nei cieli, ognuno dominato da un pianeta. A comandare quell'esercito fin dal tempo del mito era una donna, sotto la quale sottostavano tre giudici: Garuda, Viverna e Grifone.
    Le loro giornate passarono così, umide e silenziose, fino a quel momento.
    Boadicea fece cenno alla ragazzina di rimanere nascosta dietro quel masso, per poi scattare al lato dell'ingresso dalla caverna. Tese i suoi sensi a cercare di carpire ogni movimento e ogni presenza nell'aria.
    Era tutto troppo calmo, il pericolo in agguato.

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    Edited by WandefullStar - 19/10/2012, 18:05
     
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  9. † Shen771 †
     
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    La grotta era scavata all’interno di un’alta montagna che apriva l’ingresso al vasto promontorio del Sichuan. Le luci della sera iniziavano a calare, riempiendo l’aria di fredde sinfonie di odore, pungenti come l’odore dei pini che Boadicea avrebbe osservato in lontananza. Dinanzi all’enorme struttura rocciosa, si ergevano, solitari, due stendardi: su tela viola era ricamato in oro un gigantesco grifone ruggente, irto sulle zampe posteriori e con le fauci pronti a dilaniare. La quiete di un luogo tanto remoto era però disturbata da un opprimente alone di potere tetro, terribile, oscuro. Una sensazione soffocante, alla quale si aggiunse una sottile puzza proveniente dall’interno dell’androne; quell’odore acre, penetrante e infausto era inequivocabilmente sangue. A giustificare un tale presentimento, improvviso e serpentino, un fiotto di liquido rubicondo schizzò letteralmente fuori dalla penombra, passando al fianco delle due donne di qualche centimetro, infrangendosi poi in una grossa macchia su di un tronco alle loro spalle.

    -A…uagh…-

    Una figura fa capolino dall’ignoto, incerto sulle gambe e tenendo un’andatura barcollante. Ci vollero alcuni istanti prima che la sagoma umana divenisse nitida, ma quel che si rivelò essere un uomo forse sarebbe stato meglio non averlo mai visto. Cianotico in viso, gli occhi talmente intrisi di sangue da parere sul punto di esplodere, le labbra già blu per l’ipossia; un individuo snello, dalla muscolatura definita e con indosso un’armatura di puro argento, istoriata con alcune rifiniture d’oro che rappresentavano dei cobra reali. Avanzava tenendosi stretta la gola tra le mani, come se stesse tentando di soffocarsi da solo, oppure di strappare a sé stesso un respiro forzato. La seconda opzione, a giudicare dai rantoli e dalla mascella ingrossata nello sforzo, parve essere quella più probabile.

    -A…aghiu…aiut….-

    Le iridi dell’uomo sbiadirono, la lingua che stringeva tra i denti sanguinava copiosamente, generando rigagnoli di sangue misto a bava che gli scorrevano sulla guancia. Un passo, poi un altro, ed infine caracollò al suolo come il più inutile dei pesi morti. Non ci volle molto a capire che era appena morto.
    Belarouge sobbalzò, il respiro le venne meno proprio nel momento in cui le sue gambe iniziarono a tremare. Voleva gridare, ma l’unica cosa che sbiascicò fu solo il suono sottile di una vocale, cadde a terra in ginocchio, l’armatura a placche che ormai sembrava essere divenuta troppo grande per una creatura tanto piccola. Le lacrime sgorgarono come un ruscello alla fonte, e lei probabilmente non si rese nemmeno conto di star annaspando.



    Un sottile sibilo, poi un’ondata di vento talmente potente da sradicare le radici dei primi arbusti presenti nel raggio di alcune decine di metri; dall’oscurità fitta della caverna vennero partoriti altri tre corpi, orribilmente mutilati, anche loro bardati di un’armatura argentata. Questa volta si trattava di uomini grossi, massicci, ma la velocità con cui vennero sparati a metri e metri di distanza, simili a palle di cannone, li faceva sembrare granelli di sabbia.
    Gli occhi della ragazzina, ancora una volta, seguirono la scena. Non ebbe il coraggio di emettere un solo suono, ma nei suoi occhi la luce che li contraddistingueva era come evaporata, lasciando il posto al più inquietante dei terrori.

    E poi passi, ritmici, perfettamente cadenzati, nella melodia di un tacco che batte sul granito.

    Bellissima, l’immagine eterea di una donna dai lunghi capelli castani emerse dalle viscere dell’ombra, accompagnata da una patina evanescente violacea che la perimetrava completamente, pulsante. Il viso di quella creatura era perfetto quanto quello di poche altre, armonioso nei lineamenti e nei colori, dove una pelle liscia e carnagione olivastra incorniciavano labbra amaranto ed occhi rossi vivo. Il corpo snello, formoso, era cinto in una tuta aderente nera; all’altezza dei seni, delle spalle, degli avambracci, delle cosce e della schiena, delle placche traslucide di colore viola intenso accarezzavano morbidamente la sua silhouette, illuminandola con sinistri bagliori. Con un collo che le lambiva il ginocchio, ai piedi calzava degli stivali corvini, dal tacco sottile a forma di croce.
    Eppure, per quanto di sicuro si trattasse della prima volta in cui Boadicea incontrava un essere simile, qualcosa in lei era stranamente familiare. Scavando nella sua memoria di Black Saint, ripercorrendo i volti che aveva più volte incontrato sull’Isola della Regina Nera, la guerriera avrebbe presto appreso una strana verità: colei che si trovava di fronte, ad eccezion fatta per la benda nera mancante, era perfettamente identica a Candice di Black Scorpio.
    Quando la strana donna fu sufficientemente vicino al cavaliere nero ed alla sua accompagnatrice da poter essere udita, squadrando le due entità con lo stesso distacco con cui un computer analizza un pacchetto di dati, con tono freddo come l’inverno disse:

    -Lord Fedor non intende essere disturbato ulteriormente. Riportate questi cadaveri da dove sono venuti e, se non intendete fare la loro stessa fine, dileguatevi.-

    L’imponenza del suo ego, riassunta compiutamente in quelle poche parole, delineava chiaramente il profilo di un essere che ben poco aveva a che spartire con la razza degli uomini. Cosa fare, a questo punto?

     
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    Escaflowne OST ~ Dance of curse
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    L
    e fredde dita del crepuscolo si stavano allungando in quel silenzio irreale, davanti lo spiazzale antistante la caverna.
    Non un suono ne un rumore intorno, sembrava che l'aria stessa fosse immobile, in attesa di qualche evento malefico che da lì a poco doveva venire.
    L'atmosfera era pregna di una inquieta presenza, un'aura spettrale quasi, come la morte. I campanelli dall'arme di Boadicea si misero in moto, e lentamente confermavano le sue teorie.
    Spectre, guerrieri dell'oltretomba, ogni angolo di quel luogo sembrava gridare la loro presenza. L'enorme stendardo, un grifone ruggente in campo viola, fece tornare in mente alla guerriera di discorsi dei giorni del viaggio. Grifone: uno dei tre generali dell'oltretomba era probabilmente presente sul campo di battaglia.
    Se così stavano le cose aveva davvero poche speranze di cavarsela. Ma come poteva abbandonare la bambina e dirle che quella era un'impresa disperata?
    Più che la brama di migliorare la sua armatura, era in ballo il futuro di Bellarouge, e degli altri cavalieri che si rivolgevano a suo nonno per le proprie armature. Non poteva tirarsi indietro.
    Strinse i denti e l'addome per appiattirsi meglio alla parete rocciosa vicino l'ingresso, tentando di muovere qualche passo silenzioso in direzione dell'entrata, le orecchie spalancate a recepire ogni segno di attività.
    Poi quella visione scarlatta, di fluido che schizzava per aria, e l'odore acre e pungente che da tempo ormai si era stampata nella mente, la fece letteralmente sobbalzare. Per un attimo, un attimo decisivo, fu spiazzata. La mani si strinsero istintivamente all'elsa della spada. Non vi era più ragione per tanta segretezza. Erano state scoperte.
    Quando quel cavaliere, dalle piastre argento, fu gettato fuori dall'entrata, il primo pensiero corse verso la ragazzina. Boadicea si girò e la vide rantolare al suolo, muta, quasi strozzata, priva di respirazione. Una goccia di sudore scese rapida dalla tempia lungo la guancia.
    Dannazione, sapeva che questo momento sarebbe arrivato, il momento in cui la ragazzina fosse stata coinvolta nello scontro. Questo era il motivo per cui non la voleva dietro. Adesso sarebbe stata in apprensione per lei, e doveva cercare di portare a compimento nel più rapido modo possibile la battaglia che si profilava. Ma con lei che rantolava alla ricerca di un respiro, si sarebbe distratta per tutta la durata dello scontro prossimo. L'avrebbe pagata, se non faceva attenzione.
    Era in apprensione per lei, ma sapeva che per poterla salvare, doveva cercare di fare la cosa che meglio gli riusciva: combattere. La sua avversaria fu annunciata da una folata di vento e da altri cadaveri come corteggio.
    Non aveva minima idea della sua identità. Era bella e sensuale, ma non portava armatura. Carnagione olivastra e occhi del colore del sangue, labbra serrate in un ghigno malefico e al tempo stesso freddo, aveva lo stesso charme di una letale vipera nera.
    Boadicea studiò rapidamente la situazione, facendo minimamente caso alle parole che aveva sentito dalla bella sconosciuta. La guerriera rossa non si fece spaventare dalla sue minacce, ma doveva agire. Per quanto le riguardava, quella folata di vento poteva essere il risultato di una qualsiasi abilità la guerriera avesse. Non sapeva quale stregoneria stava attentando alla vita della piccola armaiola, ma sapeva che era proveniente da lei.
    Gli occhi ambrati della guerriera nera, passarono rapidi dalla ragazza al primo cadavere, agli altri e poi di nuovo alla donna. Labbra scure, come se fossero state avvelenate.
    Se così fosse, la piccola era in serio pericolo e non c'era un minuto da perdere. Dubitava di riuscire a fare qualcosa semmai fosse stata avvelenata, ma forse riducendo a brandelli la sua avversaria, ne avrebbe dissipato i letali effetti. Agire, quello era il dictat.
    Caricò il suo cosmo nella lama repentinamente, infondendovi rabbia e frustrazione. La notte scese prima del dovuto in quel luogo. L'unico punto a suo vantaggio era che la donna non indossava alcuna corazza e contro la sua spada nera, poteva significare tutto. Aveva tutto il corpo esposto, e poteva colpire ovunque ed arrivare dritta agli organi vitali.
    Era proprio lì che puntava Boadicea. Con un balzo accorciò la distanza fra le due urlando:
    “Cosa gli hai fatto brutta pu@#¥‘a?!!”
    Ma sul campo di battaglia la rabbia non deve essere una ragione, ma il motore delle azioni. Se aveva gridato a quel modo era solo per far credere all'avversaria di avere perso le staffe. In realtà, fredda dentro, aveva calcolato già come colpirla.
    Arrivata sotto l'avversaria, l'aura attorno alla sua spada sarebbe diventata una saetta nera, pronta ad avvinghiarsi su di lei. La punta avrebbe mirato direttamente al cuore, ma se per qualche motivo la sua avversaria si sarebbe spostata, con il gioco di polso sulla sua lama avrebbe fatto virare la sua lancia cosmica. Una frusta di colore dell'ebano, pronta a ghermirla, se non al cuore, almeno a squarciargli il ventre o la cassa toracica.
    Si sarebbe guardata bene dal farsi colpire, anche solo per un taglietto, da lei. Se usava veleno, ogni via d'accesso poteva rivelarsi fatale.
    Anche se questa mossa si consumò nell'arco di pochi secondi, le pareva un'eternità.
    Doveva fare presto, per il bene della piccola Belarouge.

    Abilità e Tecniche
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    ■ Livello energia reale: Rossa
    ■ Stato fisico: In forma ma leggermente stanca dal viaggio
    ■ Stato mentale: Allarmata
    ■ Stato Cloth: Indossata
    fuoco
    Colpo del Tuono ~ Tecnica in Attacco.
    Il cavaliere nero concentra il suo cosmo nell'arma in senso longitudinale, creando un aura da questa che parte dalla punta della lama fine al livello di energia massimo consentito, creando così una lama di energia cosmica che può essere utilizzata a distanza. Se questo tipo di tecnica è pericolosa di per se, l'esecuzione non si ferma a questo potenziale. Egli, facendo vibrare il braccio, trasmette un movimento ondulatorio all'aura cosmica così creata, dandogli la parvenza di un fulmine oscuro. In questo modo, controllando il movimento da dare al cosmo col braccio, similmente ad una frusta ma con potere tagliente, può decidere la traiettoria da dare al colpo, in maniera del tutto imprevedibile e spiazzando il nemico.


     
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  11. † Shen771 †
     
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    Lo sguardo con cui ProtoCandice osservava Boadicea non era di disprezzo, né di terrore, né tantomeno di riverenza. Le sue iridi erano fisse, immobili, come se lo spettro delle emozioni umane fosse totalmente distante da lei, quasi mancasse di quei presupposti biologici che le permettevano di variare il suo stato d’animo. Se esisteva un termine per definire ciò che albergava nella mente dell’Unborn, ebbene quello era indifferenza.
    Per quanto la scena fosse concitata e la black saint mostrasse un’ira che le accendeva il cosmo e lo faceva vibrare con violenza, l’unico intento che ProtoCandice perseguiva in quei momenti era osservare metodicamente i movimenti della sua avversaria: una carica diretta, portata a ventre basso e con la spada pronta a lanciare un fendente, probabilmente in direzione obliqua per colpire gli organi vitali cuore e gola. La falcata della donna era lunga, il suo sguardo distorto in un’espressione furiosa e determinata, ma quanto di questo poteva contare nell’elaborazione di una strategia?
    Dopotutto, anche se priva di una costellazione, Boadicea era una guerriera del cosmo, una donna che aveva subito un addestramento, e che quindi doveva essere ben conscia che una mente offuscata in un confronto armato avrebbe significato morte certa. In ogni caso il clone la attese, ferma, mentre sul suo corpo scintillava leggero un cosmo nero come la pece. Il cosmo dei rinnegati, il cosmo dei Black Saints.

    -Lettura del codice genetico: ultimata.-

    Parole fredde come l’acciaio, meccaniche e atone, prive di qualsiasi segno di umanità. Scavando in una memoria ancora più antica di quella cerebrale, la memoria del DNA, ProtoCandice era in grado di rielaborare tutte le offensive che colei che l’aveva biologicamente generata, Candice di Black Scorpio, possedeva nel suo arsenale bellico. Il suo parto non era mai avvenuto, ma come una madre quella ragazza della Death Queen Island le aveva donato le proprie cellule, e che lo volesse o no, ora erano sorelle gemelle accomunate da un destino ancora da compiersi.
    I secondi scorsero veloci, ormai le due guerriere erano l’una dinanzi all’altra, quando qualcosa nello sguardo di Boadicea cambiò, il furore che l’aveva trascinata vorace fino alla sua preda sparì, sostituito da una salda determinazione. Insufficiente a fronteggiare una biomacchina. Una bordata di vento dall’intensità spaventosa confluì dal corpo sinuoso dell’Unborn, espandendosi vorticosamente verso l’esterno fino ad impattare con la spada dell’armigera in nero e deviarne la traiettoria; evidentemente non fu sufficiente a fermarne il vigore, poiché una scia corvina emerse dalla lama affilata dell’arma con l’intento di portare un fendente laterale sul petto creduto privo di protezioni della donna. La corrente a spirale dei forti venti di ProtoCandice continuò ad operare una repulsione sul cosmo di Biadicea, ma questo non fu abbastanza per evitare che il cosmo tagliente le ferisse il braccio, aprendosi uno squarcio tra l’armatura cibernetica e la pelle. Sangue rosso vivo iniziò a sgorgare dall’apertura, pulsante, ma in qualche attimo sembrò come dissolversi, nonostante il danno all’arto rimanesse esattamente lì dov’era.
    E questo, effettivamente, si trattava di strategia pura.
    Le due donne erano ora molto vicine, il vento spirava ancora con violenza, ma il suo intento ora era cambiato: trascinava le gocce di sangue di ProtoCandice, parimente velenoso a quello della sorella, frammentandolo in gocce talmente piccole da poter penetrare nel sistema respiratorio dell’altra senza alcuna difficoltà. Boadicea non avrebbe potuto percepirle, e lo spazio che intercorreva tra le guerriere era estremamente ridotto; questo poteva significare una sola cosa, avvelenamento.
    L’Unknown fece un balzo avanti, concludendo il proprio attacco con una distanza di sicurezza. Il suo volto non lasciava trasparire nulla del dolore che poteva provare, ammesso che ne provasse.

     
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    Escaflowne OST ~ Dance of curse
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    C'
    era qualcosa di inquietante in quella donna, qualcosa che Boadicea conosceva per bene.
    Riconobbe all'istante quell'intonazione di voce atona, quella ucidità nell'affrontare i combattimenti, perchè era anche sua.
    Anche Boadicea era nata in un freddo laboratorio nelle viscere della terra, e quella donna era una specie di automa, e così, come il simile chiama il simile, ci mise poco a capire le reali origini della sua avversaria.
    La cosa che le distingueva, tuttavia, era il fatto che Boadicea si era affrancata dal suo creatore, aveva girato il mondo in cerca di se stessa, stava imparando a sue spese ad essere umana. La prova era dietro di lei, che rantolava contorcendosi, e questo avrebbe fatto la differenza fra le due.
    In quel momento si rese conto che non stava lottando per la sua sola armatura, ma per qualcosa di più profondo, che andava a toccare le più intime corde del suo animo. Stavo lottando per rimanere umana, per non finire come quella donna per la quale stava provando un odio viscerale.
    Rifiutava quel modo di essere perchè rifiutava quella parte di se che non era umana.
    Bellarouge era dietro di lei, e i suoi gemiti soffocati non erano più una distrazione, ma una ragione per cui lottare. I suoi pensieri, le sue azioni si infilarono uno dietro l'altro come se fossero perle di collana. Nulla l'avrebbe fermata dal fare a pezzi quella donna.
    Ma come c'era da aspettarsi, la sua avversaria non stette ferma a farsi macellare, ma rispose evocando una folata di vento che costrinse la nera lama di Boadicea a cambiare traiettoria quanto bastava per non falciarla in due completamente. Non emise un gemito, ne una esclamazione di dolore, anche se l suo braccio sanguinava copiosamente.
    La guerriera nera non si perse d'animo e cambiò con uno scatto l'impugnatura della sua spada, ma nonostante fosse determinata a farla fuori, si sentiva stanca, quasi opaca.
    Non ci volle molto a capire quello che stava succedendo. Come gli uomini di prima, e la stessa bambina che stava soffrendo, anche lei era incappata nella trappola di quell'automa. Era tutto messo in conto; il fatto che aveva iniziato a sentirsi male appena l'aveva ferita, non faceva altro che confermare la sua tesi ed aggiungere il dettaglio che a trasmettere la sostanza tossica che stava avvelenando lei e Bellarouge si aggirava nel sangue di quella.
    Ma non poteva permettersi di stare male, anzi doveva concludere tutto al più presto prima che gli effetti la rendessero totalmente incapace di continuare a combattere.
    Ventò scaturì dal corpo del nemico e per tutta risposta Boadicea non fece altro che espandere il suo cosmo, al massimo come al solito. La sua spada venne coperta da energia oscura e, come se stesse affrontando un nemico invisibile, menò fendenti.
    Non era impazzita la guerriera nera, perchè quei fendenti non finivano lungo il filo nero della sua lama, ma bensì proseguivano la sua corsa con lame invisibili, fatte anch'esse d'aria, causate dallo spostamento dovuto alla tremenda forza cosmica che aveva impresso nei colpi.
    Il fronte d'aria venefica che l'automa di carne aveva lanciato si divise, lasciando così un corridoio libero dalla forza avversa che sprigionava quell'odiosa femmina. Si trattava di una manciata di secondi e Boadica quasi agì di istinto, ma ferma e risoluta, conscia di quello che stava facendo.
    La donna aveva fatto un terribile errore credendosi al sicuro nel suo elemento, perchè portandosi in avanti aveva dato a Boadicea più margine di azione. Balzando poi, pareva quasi firmato la sua condanna. Forse pensava che quella semplice folata di vento bastasse ad intralciare la guerriera nera, privandola di liberi movimenti, mentre la rossa, con qui pochi colpi l'aveva smentita.
    Quella finestra di pochi istanti bastava a muoversi liberamente, come se quel vento non fosse mai esistito, e lasciava scoperta la donna dalla sua corrente d'aria.
    Boadicea dunque si infilò esattamente sotto la traiettoria di ricaduta della donna, colmando brevemente la distanza fra le due, pronta a menare un'allungo di punta a distanza ravvicinata. Era fin troppo facile, coglierla al balzo, scoperta a mezz'aria e in più il movimento vorticoso del suo colpo avrebbe perforato qualsiasi corazza di metallo, figuriamoci un sottile velo d'aria che la donna poteva frapporre.
    No, non ci sarebbe stata tregua. Boadicea avrebbe battuto colpo su colpo, ad aria avrebbe opposto aria, al veleno la sua forza di volontà. C'erano troppe cose in ballo per permettere a quella di sopravvivere in quel luogo.
    Per quanto tentasse di sgusciare via, la nostra rossa non gliel'avrebbe permesso; nulla l'avrebbe distolta dal suo intento.
    L'avrebbe impalata e poi si sarebbe preoccupata del veleno che le stava entrando in circolo.

    Abilità e Tecniche
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    ■ Livello energia reale: Rossa
    ■ Stato fisico: Affaticata (principio di Avvelenamento)
    ■ Stato mentale: Determinata
    ■ Stato Cloth: Indossata - integra
    uragano
    Stoccata dell'Uragano ~ Tecnica in Attacco.
    Boadicea concentra il cosmo sulla punta della sua lama, per portare una stoccata perforante. La tecnica di spada utilizzata per questo colpo consiste nel far roteare la lama e rilasciare il cosmo alla portata massima del livello consentito. Si crea così un effetto trivella dal potere penetrante devastante, che concentra tutto i danno in punta ma che riesce tuttavia ad essere micidiale anche ai lati, tanto da potere lasciare buchi ben al di sopra del diametro effettivo della spada. Data l'elevata rotazione, l'aria intorno alla spada sembra muoversi in un turbine, da qui il nome che Boadicea ha dato alla sua tecnica.
    vento
    Fendivento ~ Tecnica in Difesa.
    Caricando il cosmo nella sua lama, Boadicea è in grado di far vibrare il suo cosmo all'interno di essa, in modo da potere portare colpi cosmici a distanza, simili a fendenti che si propagano dal filo della sua arma. Il cavaliere è libero, lanciando fendenti in più direzioni, di deciderne la traiettoria con l'utilizzo dei movimenti delle braccia e dell'arma, concentrandoli in un punto o rilasciandoli nello spazio. La capacità distruttiva è impressionante, come anche la capacità di poterne utilizzare molti di seguito rispetto alla sua abnorme riserva di energia cosmica, e i colpi così prodotti sono in grado di raggiungere e tagliare qualsiasi cosa il suo livello cosmico gli permetta. Il nome della tecnica deriva appunto dal fatto che i fendenti affilati sembrano tagliare l'aria.


     
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  13. † Shen771 †
     
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    Protocandice osservò attentamente i movimenti della sua avversaria mentre questa, animata da un impeto fuori controllo, si apprestava a lanciare la sua prima vera offensiva. Con discreta facilità Boadicea aveva oltrepassato l’ostacolo della tempesta di vento venefico lanciatale contro dalla nemica, tuttavia non si era limitata ad incassare o parare il colpo, bensì aveva colto una serie di condizioni favorevoli che la ponevano ora in vantaggio da un punto di vista strategico. Creandosi un varco all’interno del vortico con il solo ausilio della spada che aveva in dotazione, la ragazza si era fiondata verso la sua preda, sfruttando una sorta di tunnel pressorio all’interno di un muro altrimenti invalicabile.
    Notevole, ma forse non abbastanza.
    L’astuzia della guerriera di Fedor non si basava soltanto sulla leggerezza delle sue vesti, che le permettevano di compiere scatti più agili rispetto a coloro che subivano l’intralcio delle armature, ma si fondava essenzialmente sul principio dello sfruttamento favorevole di ogni condizione. Se in quel momento ella era sospesa a mezz’aria, e si era cacciata in quella situazione di sua personale iniziativa, allora avrebbe di certo saputo come ovviare ad una potenziale situazione di pericolo, situazione che presto si presentò. Mentre la black saint procedeva a spada tratta in direzione dell’automa, quando questa era ormai a solo mezzo metro da terra, le bastò soltanto pronunciare la formula di rito, prima di liberare una parte del suo cosmo sintetico.

    -Lettura del codice genetico: ultimata. Gatling.-

    Sbilanciò il corpo in avanti, portando le mani verso la spada ed accusando il taglio dell’arma come se si trattasse di una carezza. La lama baciò la carne fino ad imbrattarsi del colore del sangue, ma mentre questo accadeva dai piedi dell’automa generò un potente ed istantaneo getto d’aria compressa, che slanciò la donna facendole percorrere un movimento ascendente e discendente semicircolare e portandola alle spalle dell’avversaria, ancora impegnata nell’offensiva impetuosa.
    Di nuovo vento, ma stavolta sotto forma di lame taglienti e pregne del sangue fresco che sgorgava dalle mani ferite, dunque intriso di veleno. Ad una distanza così breve sarebbe stato impresa assai ardua ingegnare una difesa e metterla in atto, oppure parimente schivare l’attacco a raggio medio. Le sferzate, in totale dieci, dovevano travolgere il corpo di Boadicea nella sua interessa, senza lasciare varchi dove essa potesse eventualmente ripiegare.
    L’impassibilità che Protocandice mostrava dinanzi al dolore era quasi inumana, seppure plausibile dal punto di vista biologico: ad ella erano stati bloccati i recettori del dolore, così che qualsiasi fosse stato il danno inferto al suo corpo, seppur grave, non avrebbe causato il panico della sofferenza. Una mente razionale e lucida fino alla morte, quasi come il suo creatore.

     
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    David Guetta feat. Sia ~ Titanium
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    U

    n attimo.
    Un attimo la vita ti corre davanti.
    Un attimo in cui pensi che stai per perdere tutto.
    Rivedi le gioie e i dolori, i piccoli piaceri e le grandi gesta.
    Boadicea era riuscita nella titanica impresa di spazzare via l'odiata donna, che alla fine si era rivelata essere un androide.
    Forse era davvero quella la differenza fra le due. Boadicea, dopo tutto, era umana, mentre quella donna possedeva parti meccaniche nel suo corpo, che la rendevano una trappola mortale.
    I congegni furono attivati, la spire di morte tessute da qualcuno che non aveva la benchè minima concezione di etica o morale, erano state strette, come la spada nelle membra della donna.
    Quell'arma era l'unico strumento che aveva Boadicea per difendersi, e quando ormai la carcassa l'aveva inglobato, si sentì persa.
    Un attimo era tutto quello che gli rimaneva,
    Un attimo in cui la disperazione può prendere il sopravvento.
    Un attimo in cui le ore nere si affacciano.
    Boadicea ripensò alla sua nascita nel buio, alle persone che aveva incontrato e con cui si era scontrata. La sua era stata una breve vita, eppure piena di domande ed emozioni.
    Lei non se l'era immaginato, ma anche un essere come lei poteva provarle. Le erano semplicemente cascate addosso, come pioggerella fine, e lentamente l'avevano cambiata.
    C'era la piccola Bellarouge dietro di lei, e rischiava di essere coinvolta.
    Lei, frutto acerbo di un mondo malato, non meritava di morire in quel modo, come un sacco di patate gettate sul suolo.
    La bimba gli aveva lasciato molto di più del suo padre putativo, molto di più della prima, la sua madre biologica. Gli aveva insegnato che a questo mondo c'è qualcosa per cui vale la pena di lottare.
    Lei, un essere nato per puro capriccio ed apparentemente senza scopo alcuno, aveva trovato una ragione. Non avrebbe permesso che quella ragione si disperdesse come petali nel vento.
    Aveva un attimo.
    Un attimo in cui poteva urlare di essere viva.
    Un attimo in cui poteva affermare ciò che c'era di buono sulla terra.
    Un attimo per agire.
    Furono le ragioni che l'avevano portata davanti a quella caverna, più che l'istinto, a muovere le sue mani. Erano tutte e due sull'elsa e iniziò a fare forza, dando tutta se stessa in quello sforzo.
    La spada inizio lentamente a disincastrarsi, per quanto in verità il tempo intorno a lei andava avanti velocissimo. La deflagrazione già stava illuminando tutto intorno alle due quando, la lama prese il suo corso, forse proprio a causa dell'atto estremo della rivale, che aveva sacrificato la sua integrità allo scopo.
    Da spada a scudo, un vortice nero di metallo e cosmo, pronto a frapporsi fra lei e l'esplosione. Aveva gli occhi chiusi Boadicea, era come tenere il timone di una piccola imbarcazione nel pieno di un uragano, ma ci si aggrappo con tutta se stessa.
    Stava creando un punto di tranquillità, e non per se stessa, ma per la piccola che aveva dietro.
    L'esplosione si divise davanti a lei, creando un cono abbastanza grande da contenere la piccola, ma non abbastanza per tutto il suo corpo.
    Quando l'esplosione terminò, il suo atto eroico si palesò sulla boscaglia ormai devastata.
    Era stata sblazata più in là dall'impatto, terminando la sua corsa con la schiena su un masso che spuntava dal terreno. La sua armatura era ormai ridotta ad un ammasso di crepe che a stento si tenevano insieme.
    Sebbene la parte centrale del torso e del viso furono prese solo secondariamente dall'esplosione, aveva le mani e le gambe totalmente ustionate, ed ogni respiro era uno strazio di dolore.
    Si alzò come poteva, aggrappandosi alla bene e meglio alla roccia, strisciandoci sopra, straziandosi sopra; un colpo di tosse e un rivo di sangue lungo gli angoli delle labbra.
    Non poteva finire così, doveva assicurarsi che la bambina stesse bene.
    Nell'incertezza della vista offuscata, fece qualche passo strisciando, un inferno di dolore poichè era inevitabilmente rotta in più punti.
    Ma doveva continuare ad andare avanti, ancora qualche passo.
    Poco più in là c'era la sua spada, conficcata nel terreno, anche lei ormai crepata, e per un fortunato caso si era conficcata nel terreno davanti alla bambina, quasi come se volesse proteggerla. Forse i discorsi dei due non erano del tutto sbagliati, e la sua spada e la sua armatura avevano esaudito il suo desiderio di proteggere più la bambina che se stessa, e per quel breve attimo in cui erano state d'accordo, avevano compiuto un piccolo miracolo.
    La bimba pareva dormire, con il respiro regolare, serena. Forse l'effetto del veleno era svanito insieme alla sua avversaria, ma non poteva saperlo. Lei si sentiva così uno straccio che non poteva distinguere nulla di giusto nelle sue sensazioni.
    Boadicea arrivò al nero manico dell'arma e vi si appoggio di peso per dare sollievo al suo corpo.
    Non sapeva se poteva andare avanti così, ma doveva; stava scalando il suo personalissimo Golgota per la redenzione. Usò la spada come bastone, fino ad arrivare alla parete rocciosa nella quale si apriva la caverna.
    Si appoggiò un altro momento, perchè era dura anche solo camminare in quelle condizioni.
    Si sorprese a sorridere, per la volontà che stava dimostrando in quei momenti. Aveva fatto una promessa alla piccola e al nonno. Aveva preso su di se il peso dei loro sogni e delle loro speranze, e adesso quel peso si stava facendo sentire su tutto il suo corpo.
    Se c'era una speranza per lei, e se quella speranza aveva compiuto il miracolo di salvare la piccola Bellarouge, allora c'era una speranza per il mondo.
    Con quel sentimento nel cuore, la rossa si fece scivolare nella penombra della caverna, accompagnata da inquietante ticchettio metallico.
    Nera e appoggiata al muro sembrava un'ombra; l'unica testimonianza del suo passaggio la scia di sangue che si stava lasciando dietro.

    Abilità e Tecniche
    png

    ■ Livello energia emessa/pecepita: Viola
    ■ Stato fisico: braccio e fianco sinistro feriti e sanguinanti. Mani e gambe seriamente ustionate e danneggiate. Resto del corpo lievemente ustionato. Una o più costole rotte, probabile danno ad organi interni.
    ■ Stato mentale: Dolorante, Ovattato.
    ■ Stato Cloth: Molto danneggiata.

    silenzio
    Schermo di Ghiaccio~ Tecnica in difesa
    Boadicea fa roteare velocemente la sua arma carica di cosmo davanti a se tenendola per l'elsa, alla velocità massima consentitagli dal suo livello di potenza. In questo modo il movimento circolare della lama crea una barriera costituita da cosmo e dalla sua stessa lama, che si frappone fra lei e i colpi sia cosmici che fisici dell'avversario. Il movimento della lama intrisa di cosmo sembra frapporre fra Boadicea e colui che gli sta davanti, uno schermo semitrasparente simile a del ghiaccio oscuro, pur non avendone le proprietà fisiche. Tuttavia questa tecnica non ha solo scopo difensivo. Cambiando la velocità di rotazione, Boadicea può fare in modo che la sua barriera faccia passare qualcosa, tranciando quello che vi passa, anche energia in virtù della carica della spada. Oltretutto, se la rotazione non è perpendicolare, può avere lo stesso effetto di una lama rotante.

    Note e Riassunto
    Per fermare me ci vuole BEN AFFLECK♥.




    Edited by WandefullStar - 21/3/2013, 14:40
     
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  15. † Shen771 †
     
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    ProtoCandice balzò esattamente dove voleva, nel momento in cui lo desiderava ed alla velocità che aveva ritenuto ottimale. Tutto era stato calcolato con minimale precisione per fare in modo che quella macchina perfetta potesse assolvere al suo compito nel migliore dei modi possibili, senza possibilità di commettere errori. Affrontava un avversario degno della fama di chi era stato addestrato sull’isola della Regina Nera, ma ciò che appariva non evidente era che, a prescindere dall’ostacolo, certi tipi di organismi sono stati creati per raggiungere uno scopo al quale non possono sottrarsi.
    Una sorta di aut aut che imponeva scelte e reazioni canonicamente non etiche.
    La reazione di Boadicea fu quella che poteva essere definita “istintiva”, e lo stesso organismo umano gli aveva concesso, per mezzo di una potente scarica di adrenalina, di poter annebbiare ogni riflessione per dare sfogo alla sua natura animalesca e prodigarsi in una vera e propria bordata d’impatto distruttiva. Il movimento della sua spada fu certamente fluente, eppure la carica offensiva che aveva impresso in una tale strategia aveva azzerato ogni possibilità di una successiva reazione difensiva. E dopotutto era sensato: quello doveva essere il colpo di grazia che avrebbe dovuto porre fine alla disputa.

    -Protocollo 02145: start.-

    Quando le due guerriere furono occhi negli occhi per l’ultima volta prima che le scintille sul filo della lama potessero tramutarsi in pura devastazione, la Black Saint avrebbe potuto notare una singolare circostanza: l’avversaria l’attendeva a braccia aperte, assolutamente non intenzionata a porre una qualche sorta di rimedio alla situazione che la stava per travolgere. Sarebbe stata ridotta in cenere, allora perché non tentare un’azione disperata? La ragione era che l’androide era stata mandata lì per quel motivo. Un’arma come tante, il piccolo pedone di una scacchiera del quale, per fare scacco matto, si può pure fare a meno.
    La deflagrazione avvenne, micidiale, e brandelli di carne misti a piccoli circuiti metallici si distaccavano dal corpo della marionetta producendo suoni sinistri; ciononostante il suo volto non era corrotto dal dolore, distaccato e freddo come lo era stato sino a quel momento. Non una parola, non un lamento: dalla schiena della cyber-donna generò una corrente che la spinse attraverso il muro di energia innalzato da Boadicea, accogliendone l’intera durezza quasi si trattasse di una semplice folata di vento. In pochi attimi la valicò, spezzando l’assedio che martoriava le sue ossa per affrontarne un altro, l’ultimo.
    Lasciò che il suo corpo venisse trafitto allo stomaco dalla spada della guerriera nera, ma in questo modo la bloccò, e quando ancora ella doveva compensare il dispendio energetico causato da un attacco tanto importante, si lasciò esplodere.

    -Missione terminata.-

    Fu l’ultima cosa che disse prima che il rumore dell’ordigno interno al suo corpo coprisse ogni altro suono. Sembrava pronta l’apocalisse, ma a quell’apocalisse Boadicea doveva in qualche modo sopravvivere se voleva completare la sua di missione. E non solo lei era stata interessata dal disastro: la piccola Belarouge era in pieno raggio d’azione e lei, a differenza dei cavalieri supportati dagli dei, non avrebbe avuto assolutamente scampo.
    Non sembravano esserci via di scampo.





    Sorprendimi :zizi:
    Se riesci a far tutto, avviati verso la galleria dalla quale è entrata Protocandice. In lontananza sentirai soltanto il rumore metallico di macchine in azione.
    Buon post!
     
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14 replies since 11/10/2012, 09:49   257 views
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