Saint Seiya Final  - I Cavalieri dello Zodiaco - Full Professional RpG by Forum

Posts written by Lyga

  1. .

    I suoi occhi rimanevano chiusi ma erano aperti quelli della sua mente e del suo spirito.
    Tra lei e Daya non vi fu nessuna parola, nessun addio, nessun ringraziamento. Avevano comunicato ad un livello così profondo da far perdere significato alla parola coscienza.
    Dove iniziava quella di Gaelle e finiva quella di Daya?
    Ma poteva ancora dirsi coscienza? Le loro coscienze vibravano con l'armatura d'oro della vergine.
    E questo bastava.
    Si sarebbe incontrati alla fine. O all'inizio di questo viaggio ma quello che aveva imparato, quello che ora portava dentro di sé era qualcosa di nuovo.
    Si erano incontrati alla Fine e all'Inizio.

    Crossroads



    All'incrocio tra due vie, Gaelle aveva scoperto l'Illuminazione stessa, al centro del quale era emersa spiritualmente rinnovata.
    Non ha più una tunica tinta con i colori del bianco e del rosso, non ha più la musica e la danza intorno e con sé.
    Il ritmo lo scandiva lei. Con respiro, battito e un piede davanti all'altro.
    Era come ascoltare B.B King. Caldi, incisivi, il mondo aveva un suono del tutto diverso, i colori erano di tonalità più vive e calde e nella sua mente risuonava Lucille con le sue corde pizzicate.
    Persino quando di fronte vi fu il suo grande nemico nulla scosse l'animo caldo e quieto di Gaelle.
    Il sorriso di rimando.
    Rimane seduto su morbidi cuscini, aspettando la sua preda. Sorride conscio che nessuno avrebbe potuto toglierla dalle mani.


    «21 mani. Per 21 pezzi della mia anima?»


    Ogni volta una mano diversa aveva strappato un pezzo della sua anima per potersi sfamare. Quelle stesse mani avevano trucidato il suo popolo.
    La rabbia non era nient'altro che una goccia. Vederlo seduto su quei cuscini le dava solo tristezza.
    Per la condizione abbietta in cui si trovava. Per l'illusione della vittoria, della depravazione, del potere, di credere di stare seduto beatamente tra guanciali di seta mentre invece erano solo pezzi di sterco di una cloaca.
    Papa Legba era con lei.
    All'incrocio tra i mondi, dove il terreno sfiora lo spirituale, Gaelle avrebbe portato la giustizia dell'editto degli spiriti su suo nemico


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    Papa Legba ouvre baye pou mwen, Ago eh! Papa Legba ouvre baye pou mwen, Ouvre baye pou mwen, Papa Pou mwen passe. Le’m tounnen map remesi Lwa yo!



    Il suo popolo era sempre con lei. Come con lei erano le anime di coloro che non si erano arrese al destino impostogli da quelle mani.
    E la sua mente si sarebbe fatta ancora più vasta. Una mente capace di creare illusioni e miraggi, di poter confondere, far perdere il proprio nemico su strade invisibili e condurlo ovunque per far si che la sua mente si perdesse in un limbo dove ci sarebbero state solo le sue mani a guidarlo.
    La sua mente si espanse per costruire la quinta teatrale perfetta: sulla fronte della mambo sarebbe comparso il simbolo di Ogun, l'Orisha della guerra e del ferro.
    La mano di Gaelle avrebbe indicato Atavaka e dal veve sarebbero sorti decine e decine di macheti illusori ricoperti di psicoplasma che avrebbero nascosto al loro interno il potere di teletrasportare il suo avversario contro la sua volontà.
    Il Machete era l'arma di Ogun che si usava nei riti per propiziarsi il favore del Dio della Guerra
    L'intento era di nascondere nell'illusione il reale intento: se avessero colpito lo avrebbero teleportato in ogni direzione, continuando a traslarlo in direzioni che non seguivano nessuno schema, totalmente caotiche per tentare di fargli perdere la cognizione del sopra e del sotto, del destra e della sinistra, non dandogli più riferimenti visivi.
    Poi entrambi le mani si sarebbero alzate.
    La sua mente si sarebbe fatta forza telecinetica. Una forza capace di manovrare la materia.
    Di manovrare persino la mosca Atavaka.

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    Running, on our way
    Hiding, you will pay
    Dying one thousand deaths
    SEEK AND DESTROY



    Cercarlo.
    Distruggerlo.
    Tentare di afferralo, torcere il suo corpo e poi sbatterlo a terra, tentando di schiacciarlo come si fa con una mosca su di un vetro.
    Con tutta la forza che possedeva. Con tutta la violenza necessaria.
    Ma soprattutto con il segreto desiderio di poterlo continuare a distruggere.
    21 mani per 21 pezzi di anima.
    21 mani per 21 torture.
    21 mani per un popolo.
    Due mani per farlo essere mosca.




    CITAZIONE
    ENERGIA: ?

    STATUS CLOTH: Integra e Indossata [Grado 7]

    STATUS FISICO:

    TECNICHE UTILIZZATE:

    ABILITÀ: Teletrasporto, Psicoplasma, Illusioni Ambientali, Psicocinesi

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    nessuna frase, nessuna chiacchiera solo botte.
    Uso illusioni ambientali + psicoplasma per creare il veve di Ogun e formare l'illusione di decine e decine di macheti - arma sacra dell'Orisha - per ricoprirli di psicoplasma e caricarli dell'abilità teleport.
    Li faccio partire a mitraglia con l'intento di colpire il caro atavaka e tpparlo a random nello spazio come una pallina da flipper[AD].
    Ricorro a piscocinesi per acchiapparlo, stritolarlo per poi sbatterlo a terra, a mò di SLAP VIOLENTO, a tutta forza[AF]
  2. .

    Capire tutto questo non era possibile. Lei voleva solo Atavaka in questo momento ma dimenticandosi di cosa comportava incamminarsi su questa strada.
    A dire la verità le sarebbe andato bene tutto, se solo questo avesse potuto stringere il cerchio portando quel figlio di una vacca incenerita sempre più vicino a lei.
    Male.
    Ma per capirlo doveva affrontare un altro tipo di viaggio.


    «Cintura, Corona sono tutti nomi uguali per me. Persino queste cose sulla mia pelle. Che t'aspetti da me?
    Le costellazioni ci proteggono? Ma che cazzo...»


    Si cazzo. E anche vaffanculo avrebbe detto. Era dentro un frullatore colmo di dolore, disperazione, odio, vendetta, volontà di fare qualcosa, il destino del mondo, forze così antiche da perdersi in ere prima di concetti basilari, una chiamata al dovere e a proteggere e infine quella cosa che apparve dal nulla.
    La luce che irradiava investì la figura di Gaelle che ne venne investita e colmata spiritualmente e fisicamente.
    La luce dorata accese la sua pelle d'ebano di toni caldi, mentre i suoi occhi si spalancarono alla vista di tale miracolo.
    Ma più che definirlo tale non lo poteva capire. Non riusciva a comprendere quanto vi fosse d'importante in quell'armatura, cosa significasse e quale ne fosse il peso di chi la indossasse. Per lei era un'armatura, con le fattezze di una donna in preghiera, che brillavano di una luce così intensa che dovette mettersi una mano di fronte al volto e solo allora notò le stelle sul suo corpo, che pulsavano di una luce profonda e intensa, come se l'essenza cosmica dentro di lei entrasse in risonanza con quella dell'armatura.
    Come se fossero un tutt'uno ed ora potessero ascoltare il cuore l'una dell'altra scoprendo che pulsavano all'unisono.
    Si guardò le sue mani sentendo l'energia scuotersi e divampare dentro di lei con una forza che non riusciva, ancora, a spiegarsi. Una forza che cresceva ancora d'intensità.
    Il suo respiro si fece più intenso, più profondo, gli occhi non bruciavano più per quella luce che sembrava quasi accarezzarla dolcemente. Sentiva quell'armatura nel profondo della sua anima, tra le pieghe più recondite quella luce illuminava Gaelle mettendola a nudo del tutto con i suoi difetti e pregi.
    Guardò prima Anita poi l'armatura che sembrava essere fatta di luce solidificata, tanto risplendeva, tanto si fondeva con essa e tanto brillava come se la portasse dentro di lei.



    Ricorda, figlia del giorno e della notte, che ogni incrocio della vita porta in sé una scintilla di verità. Segui quella scintilla, poiché sarà la stella che guida il tuo cammino attraverso i labirinti del mondo.



    Adesso le parole di Kalfou Limyè apparivano chiare. Le sue dita danzarono tra la luce, cercando quasi di afferrarla, facendo si che le ombre che si formavano avevano forme indefinite.
    Forse voleva solo sentire una carezza sulla sua mano, forse voleva cercare di ricordare la mano di sua nonna, forse stava solo tergiversando davanti ad una scelta che, nonostante la luce, sembrava avere più oscurità e tenebre.
    Però...

    Scattò verso l'armatura toccandola.
    Non pensò a null'altro. Finché dal pensiero non fosse passata all'azione avrebbe ristagnato come una pozzanghera che si asciughi lontano dall'oceano della verità.
    Poi quella visione. Prese tutta se stessa.


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    Mediante l'elevazione interiore e la padronanza di sé, il saggio edifichi un'isola che l'alluvione non possa sommergere



    Cos'è capire se stessi?
    Cos'è il mondo?
    Cos'è trascendere?
    L'essere umano camminava su un sentiero sconosciuto, oscuro, non sapendo dove esso lo avrebbe condotto. Il male e il bene erano a fianco a lui, ogni strada poteva condurre all'uno o all'altro. Ogni strada condurre verso l'alto o in basso, ogni uomo divenire qualcos'altro oppure affondare sempre più in basso preda dei suoi istinti e della sua brama. Per un solo attimo nella sua mente risuonarono quelle parole e un immagine che, avvolta dalla luce, era lei stessa luce e guida.
    Un saggio.
    O qualcosa di più. La sua mente si era appena affacciata su un qualcosa che non riusciva a definire, né a spiegare né tanto meno a comprendere né con i sensi, né con lo spirito o la mente.
    Era come su di un fiore ancora chiuso che doveva aprire i suoi petali. La sua mente era ancora chiusa, il suo spirito accartocciato su se stesso, quella forza che sentiva montarle dentro a mò di Oceano doveva trovare il modo di essere incanalata, guidata, usata e i suoi passi sicuri anche nelle tenebre più fitte.
    La sua strada non era stata dritta, eppure l'aveva condotta fino a questo preciso istante, in un luogo lontano dai concetti di tempo e spazio, lontano da ciò che sapevamo percepire e spiegare.


    Non puoi viaggiare su una strada senza essere tu stesso la strada



    Una risposta ad una non domanda. Quel luogo era qualcos'altro. Come chi sedeva con le gambe incrociate, le mani poggiate sulle ginocchia, con il viso sereno e un aura che non era umana.
    Riconosceva gli spiriti, sentiva su di sé la loro presenza ma più si avvicinava a quell'uomo, o qualsiasi cosa fosse, più capiva che non lo fosse. Era immobile eppure in movimento. Tesi e Antitesi perfettamente bilanciate.
    Mai aveva sentito, percepito questo.
    Sua nonna era altro. Si. Anche sua nonna molte volte le sembrava lontana, distante, come se i suoi occhi vedessero cose diverse, come se la sua mente fosse su piani diversi, persino i suoi pensieri a volte le sembravano lontani, troppo lontani che poteva solo chiedersi se fossero reali.
    Ma erano momenti. Fugaci come l'aurora all'orizzonte, sua nonna in quei momenti le sembrava distante come galassie di cui non si potevano conoscere né il nome, né il dove, e poi tornava. Veloce come il Sula Fosca quando scendeva in picchiata per cacciare le sue prede.
    Un attimo.
    Il becco che si chiudeva, il pesce che si dimenava e di nuovo su nei cieli.
    Così faceva sua nonna: per un attimo si immergeva nelle profondità di pensieri e rivelazioni che portavano la sua mente ad essere in nessuno e in tutti i luoghi, ma poi quando riapriva i suoi occhi era sempre lei.
    Quell'uomo era diverso. Era la stessa sensazione che aveva quando sua nonna si immergeva in profondità nel mondo dei Loa e degli Orisha.
    Non era come loro...ma le sue mani potevano sfiorare i loro spiriti.

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    E invece di proseguire si fermò.

    «Gaelle benvenuta. Sono Daya per rispondere alla tua prima domanda.»

    Il silenzio tra i due. La donna voleva dire qualcosa, venne fermata ancora da quella voce.

    «Alla seconda ci troviamo in un luogo dove i nostri cosmi possano interagire e connettersi. È l'unico modo per far si che la tua strada ti conduca dove tutti quelli prima di te e che hanno ricevuto tale armatura, hanno percorso.
    Un percorso che l'uomo deve intraprendere senza paura alcuna.»


    «Quale percorso?»

    «Per scoprire la verità

    «Il capire se stessi e il mondo? Il tutto nel singolo e il singolo che fluisce nel tutto?»

    Un leggero sorriso su quel volto. Gli occhi continuavano a rimanere chiusi ma aveva la netta sensazione di essere nuda di fronte a lui. Che la sua anima fosse perfettamente di fronte a lui, che errori e virtù fossero in egual misura osservati eppure non vi erano incertezze nella voce, né rabbia, né ilarità.

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    «Molto di più di come l'hai spiegato, Gaelle.»




    E per la prima volta si mosse. O forse lo aveva già fatto? O forse aveva fatto entrambe le cose? Perché fu davanti a lei e le posò una mano sulla spalla.


    «Abbiamo tempo per la tua istruzione. Tua nonna ti ha insegnato molto ma si è fermata solo alla superficie dell'oceano. Tu andrai più in profondità.
    Ma c'è ancora tempo per questo. Una brocca si riempie goccia a goccia. Prima le risposte alle tue domande più importanti.
    Esatto importanti.
    Sono quelle che ti hanno condotto fino a qui. Mettiti seduta e ascolta.»


    Cos'era la parola in realtà? Cosa significava comunicare? Per la prima volta in vita sua lo stava facendo con se stessa. Quell'uomo le parlava con una tale intimità e profondità, come se le sue parole provenissero da una connessione cosmica profonda, una sensazione mai provata prima d'ora. Una sensazione che la portò a viaggiare nel tempo e lo spazio scoprendo più di quello che aveva chiesto, più di quello che si aspettava.
    I saint. Gli specter. Atlantide e Lemuria. Guerre per la supremazia e per la tirannia di contro uomini e donne votate ad uno scopo di giustizia e dovere, di proteggere chi non aveva la forza di farlo.
    Armature che proteggevano petti che facevano da scudo e da spada per l'umanità. Portavano la luce lì dove le tenebre cercavano di strisciare in questo mondo.
    Daya, Gold saint di Virgo, con voce tranquilla e grazie ai suoi poteri mentali, spiegò e mostrò le lotte di Athena contro Hades e Poseidone, dell'ideale di Lemuria e di come cadde Atlantide.
    Del potere degli 88 e di come le Dodici avevano in sé la forza del Sole, forgiate per essere non armi d'offesa ma di difesa, per guidare e servire mai per soverchiare o distruggere. Oltre all'armatura era il loro codice morale a brillare fulgido nel firmamento dell'infinito Universo: aiutare e sostenere l'umanità a elevarsi divenendo uno scudo contro forze oscure.


    «Questo è lo scopo dei saint quindi. Pensavo che fossero leggende. Certo c'è anche la classica frase che in ogni leggenda c'è un fondo di verità ma non questa verità

    «Anche se tu sei diversa come modi. Dì la verità. Non sono qui a giudicarti.»

    «Come faccio a proteggere il mondo se ancora sono legata alla vendetta? Al dolore che provo e alla sofferenza? Quando sono ancora egoista?»


    Una domanda da chi si accingeva a intraprendere una strada tortuosa. Infinita ma nel silenzio di quel luogo Gaelle avrebbe ascoltato se stessa per poi ritrovare quell'eco in ogni dove.
    Perché era questa la sua istruzione.
    Seduta davanti a quell'uomo si persero nel tempo e nello spazio.

    Cos'era la mente?
    Prima domanda.


    Non lasciare che la mente sia turbata da oggetti esterni né che si perda dietro le proprie idee. Sii libero da ogni attaccamento e da ogni timore. Questa è la via per superare la miseria del nascere e del morire.



    Le loro menti viaggiavano l'una verso l'altra e di contro Gaelle combatteva contro un uomo che aveva trasceso l'umanità avvicinandosi alla Verità.
    La sua mente era un Oceano infinito contro cui Galle si scontrava per poter cercare anche solo di rimanere ancorata in superficie.
    Un Oceano che ogni volta la rigettava a riva. La sua mente era una zattera scassata.
    Doveva prima di tutto capire la sua mente.
    Doveva capire se stessa in un modo così profondo da riuscire a solcare le onde della mente di quell'uomo.



    Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso il vero: non andare fino in fondo e non iniziare.




    La sua mente diveniva più vasta. Si era gettata dentro se stessa per poi riemergere e scoprire che non era ancora arrivata alla fine, ma anzi ogni volta, ad ogni respiro, si immergeva sempre di più riemergendo diversa.
    Gaelle non era slegata dalle emozioni.
    Anzi tutt'altro. Erano due sentieri completamente opposti ma che portavano tutte e due a quella Verità Trascendentale che era il fine dell'essere umano.
    Il Nirvana, ossia il totale abbandono dell’illusione che ci sia un sé o anima durevole e indipendente. Una persona illuminata era chiamata Arahant.
    La verità del sentiero verso la cessazione della sofferenza: Samyak-sam-buddha.
    Ma Gaelle aveva un sentiero che la conduceva per una strada non di accettare il Nirvana,quindi slegarsi da carne e sofferenza, per raggiungere la Verità libera dalle catene imposte e dalle gabbie dei cicli di vita e rinascita.
    Gaelle era e rimaneva profondamenteuna mambo. Quella che nelle dottrine orientali veniva chiamata bodhisattva .
    Era un oceano che accoglieva, che spingeva in avanti chi si trovava sulle sue acque affinché raggiungesse anche lui un orizzonte che era del tutto proprio.
    Il cerchio che Gaelle aveva costruito con la sua mente racchiudeva tutti loro e le loro sofferenze.
    La mambo stava accogliendo in sé il dolore, non rinuncia ad esso, ma lo faceva suo facendosi garante e protettrice di chi non aveva ancora la forza per incamminarsi sul sentiero della Verità.
    Era la sua forza.
    Il dolore del mondo.
    Prima ancora il suo villaggio e Haiti, ma ora la sua mente stava accogliendo tutto il dolore, affinché la sua forza se ne cibasse potendosi scontrare con esso divorandolo pezzo a pezzo.
    La Corruzione dilagava ma Gaelle sarebbe stata l'Oceano con cui si sarebbe scontrata.
    Non il dolore, la sofferenza, la non vita, non l'essere umano privato della sua umanità e reso un qualcosa di terribile, ma un Oceano placido e tranquillo, fatto di brezze leggere, con il lento sciabordio delle onde a cullare ognuno di loro.
    Il dolore lo accoglieva come un vecchio amico.
    Così come Atavaka si cibava del dolore altrui, Gaelle lo prendeva su di sé per proteggere tutti loro e al tempo stesso per scontrarsi contro il suo Nemico. Il dolore era quello che voleva? Allora sempre il Saint della Vergine avrebbe trovato sul suo cammino.


    La sua mente si immergeva sempre più, a fondo e senza paura, nell'Abisso del Mondo. Ogni volta comprendeva meglio i meccanismi della Materia e della Realtà potendo interagire con essa, non assoggettandola ma divenendo parte di essa, potendola deformare, piegare, potendo distruggerla del tutto o modellarla.


    Rumorosi sono i piccoli torrenti, il vasto oceano è silenzioso.



    Le loro menti si scontravano su infinite scacchiere, di infinite partite a scacchi. Ognuno dei due cercando di vincere sull'altro. Le loro menti anticipavano le mosse dell'altra. Infinite mosse e contromosse.
    Gaelle perdeva sempre. Eppure sorrideva.
    Una consapevolezza di se stessa maggiore ma sopratutto di quello che aveva intorno a lei.

    «Stavolta ci hai messo solo un milione di mosse per battermi.»

    All'inizio la batteva con una facilità enorme. Più la sua mente lambiva nuove sponde più era una scoperta che faceva restringere il suo cerchio, affinando le sue capacità, percependo ad un livello sempre più intimo la materia e il singolo.
    Sentendo il Tutto che riverbera nel Singolo.

    Noi siamo ciò che pensiamo. Tutto quello che siamo sorge dai nostri pensieri. I nostri pensieri costruiscono il mondo.




    I suoi pensieri plasmavano la Realtà disegnando su di essa miraggi e visioni.
    Riconoscere il vero dal falso. Ma sopratutto riconoscere il falso sé.
    La sua mente sapeva discernere potendo scostare il Velo di Maya di questo mondo.


    Aum cinge passato, presente, futuro e tutto ciò che esiste oltre il passato, presente e futuro




    Gaelle stava pervenendo alla realizzazione conoscitiva dell'assoluto. I segreti del microcosmo e della coscienza espandendosi oltre i limiti della razionalità e del pensato, oltre i sensi e il conosciuto.
    Parlare con Daya e gli spiriti non era più a livello superficiale ma intimo e profondo che sembrava che gli uni si fondessero nell'altro senza conflitto. Come affluenti di un fiume che ne ingrossano sempre di più il corso per poi sfociare nell'Oceano Infinito.
    Raggiungere il Mokṣa, cioè la liberazione che la svincola dai legacci del corpo e della mente, per elevarla ad una condizione spirituale superiore non grazie a se stessa, né al suo talento - grezzo - ma alla comunità e alla responsabilità. Il potere, insegnamento datole da suo padre, non è mai da raggiungere solo per se stessi, perché significherebbe non fare null'altro che rimanere fermi senza miglioramento alcuno.
    Era la responsabilità a spingerla al miglioramento continuo, in un luogo dove e tempo e spazio non esistevano, in un luogo dove nell'intimità dell'Aum si fondevano le coscienze.

    Per la prima volta parlava con gli spiriti potendo sentire la loro forza e i loro pensieri con chiarezza. Poteva vedere il Mondo Spirituale aprirsi davanti a lei.
    Era in perfetta sintonia tra la sua mente e il suo spirito. Se con la mente comprendeva la Realtà e se stessa nella sua relazione con esso, era con il suo spirito che poteva immergersi nelle profondità più segrete dell'Universo.
    Accanto a quell'uomo, Gaelle parlava con Papa Legba in un modo che nemmeno sua nonna aveva mai fatto. Non aveva più bisogno di cavalcare, di sentire i tamburi e la musica, le bastava solo espandere il suo spirito e lo avrebbe trovato in ogni dove. Nella pianta. In una roccia.
    Nell'aria.
    Sentiva il loro sussurro ma non le faceva più paura come da bambina, non sentiva più la necessità di scappare, né li sentiva lontani da sé. Erano con lei sempre.
    E il suo spirito riusciva a connettersi con il loro potendo finalmente parlare senza più vincoli. E pianse ancora.
    Pianse e rise.

    «Vivere oltre la morte è possibile?
    La morte non è la fine di tutto, ma al più un cambiamento... »


    Parlare con Daya e i Loa le permetteva di interrogarsi su significati profondi.
    Ad ogni cerchio che superava, ad ogni passo che faceva su una scala infinita, restringeva sempre più le sue percezioni risultando chiaro il significato e la missione a cui era chiamata.
    Ma che sentiva ora suo.
    Chiamata e risposta si erano fuse insieme.

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    Il tuo compito è scoprire qual è la tua missione e dedicartici con tutto il tuo cuore.



    «Tutti possono raggiungere la verità, quindi. Era la tua filosofia Daya? La mia missione sarà anche questa. Non ho più il mio popolo anche se sono sempre con me, qui accanto a me, intorno a me, ma sarà l'umanità il mio popolo. Li aiuterò a giungere alla verità, li difenderò, accoglierò i loro dolori e sofferenza per darmi la forza necessaria di affrontare il Male.
    Ho perso ad Haiti, ho perso il mio popolo ma non voglio più perdere nessun altro. Le mie mani non perderanno più nessuno. Lo giuro



    Sentire nel fruscio d'erba lo spirito di Olorun, viaggiare tra i campi di grano illuminati dal Sole. Accogliere dentro di sé la Vita nelle sue molteplici forme, sentire il respiro di Tutto farsi suo.
    Far si che il suo spirito sia ovunque e al tempo stesso in nessun luogo.
    Esplorare mondi spirituali così diversi, osservare mentre Daya la riportava da quest'altra parte ogni volta che il suo spirito si avventurasse in luoghi troppi oscuri.
    Avere il controllo su se stessa significava avere il controllo sul proprio spirito e sulla morte stessa.
    Atavaka la stava distruggendo a poco a poco, il suo spirito era cibo per quel maledetto eppure era totalmente suo. Ora lo capiva. Non respirava più con il corpo. Respirava con la sua anima e i suoi occhi erano aperti su mondi invisibili che ora gli apparivano chiari
    Nessuno poteva averne potestà.
    La morte le aveva fatto sempre paura, vivere per poi morire, per poi spegnersi del tutto dimenticata da tutto e tutti. La sua casa venduta, altre persone avrebbero camminato nelle sue stanze, usato la sua cucina, forse avrebbero buttato giù i muri creando altri spazi, la sua macchina venduta, lei dimenticata su di un comodino in una foto di famiglia che poi sarebbe andata dentro uno scatolone a prendere polvere in qualche cantina o soffitta.
    Ma la morte era cambiamento.
    Accettare il cambiamento che viene dalla fine? Ma se questa non fosse la fine ma solo una via diversa? Se il corpo non fosse nient'altro che un anticipazione di quello che si potrebbe fare?
    Gaelle meditava su concetti e insegnamenti mentre il suo spirito si fondeva con il Tutto, accogliendo in sé il dolore più intimo e segreto degli spiriti.
    La sua anima, prima divisa nel grande angelo guardiano e nel piccolo angelo guardiano, ora erano completamente sue. Non più divise ma un tutt'uno. Non più slegate dal suo controllo ma in suo pieno possesso. Nessun bokor avrebbe potuto rubarla, imprigionarla, avere su di lei possesso.
    Daya era divenuto il suo met tet. Una guida. Una protezione.
    Su sentieri invisibili l'accompagnava per poi lasciarla andare libera quando fu pronta.
    La meditazione era dentro di lei. La parola di Daya l'aveva colmata ma al tempo stesso l'aveva resa vuota. Perché solo così avrebbe potuto fare il suo viaggio libera da preconcetti e dogmi, dal potere della vista o da quello della parola.
    Il suo spirito era in comunione con i Loa e gli Orisha e da essi traeva forza e sostanza.
    Richiamava la loro forza, danzava con loro per la prima volta. Ne sentì le parole che erano ruscelli che scorrevano nella sua anima e nella sua mente mentre lei si tuffava in loro facendo viaggi nel tempo e nello spazio.

    Ora vedeva con gli occhi di un gatto.
    Mentre rimaneva a gambe incrociate con le mani rilassate sulle cosce. Non aveva bisogno di null'altro per essere felice. Ora era sulle coste della sua terra e sentiva la brezza dell'Oceano.
    Era felice.
    Ora si tuffava in dimensioni sconosciute guardando al di là del conosciuto, andando oltre al di là dello spazio conosciuto, come se le galassie si restringessero sempre di più divenendo biglie tra le sue dita, scoprendo porte invisibili che la conducevano in regni e mondi così diversi da loro da non riuscire a descriverli, ma solo a sentirli con l'animo e la mente.

    «Chi sei tu?»
    «Mi sono posta la stessa domanda. Sono la nipote di una mambo? Sono una donna? Un allieva? Un insegnante? Sono un Saint? O solo un essere umano? Chi sono?
    Alla fine, sono tutto questo. E non lo sono.»


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    Sono Gaelle






    Seduti l'uno a fianco all'altra i loro cosmi risuonavano per aule e luoghi silenziosi. I loro spiriti erano in armonia assoluta tra di loro, con loro e insieme al Tutto.
    Le loro menti si scontravano su piani d'esistenza diversi entrambi senza proferire parola alcuna.
    Una lotta silenziosa.
    Le loro menti. Il loro spirito. Non c'era né sconfitta, né vittoria. Ad ogni scontro entrambi continuavano a salire su questa scala infinita di perfezione.
    Gaelle riusciva a comprendere sempre più in profondità i meccanismi e le regole della Realtà e come queste interagissero con il corpo, nostra prima funzione con cui poter essere in questo mondo.
    Capì come spezzare questo legame potendo annientare corpo e sensi, gettando la mente prima e poi lo spirito in un buio totale.
    L'una di fronte all'altra l'Inizio e la Luce si scontravano con la Fine e le Tenebre.
    Nei loro cosmi risuonavano il Suono dell'Inizio ma anche il Silenzio della Fine.
    La Tesi e l'Antitesi che si scontravano creando lo Yin e lo Yang con loro due ad essere i punti diversi, equidistanti, di pari forza e d'intensità.
    Interdipendenti, origine reciproca, l'uno non può esistere senza l'altro. Così come Gaelle confluiva in Daya, così faceva quest'ultimo con i loro cosmi che dialogavano in una comunione profonda e indissolubile.
    La loro meditazione non era possibile descriverla, perché nulla poteva essere letto dai loro volti ma solo i loro cosmi e la loro mente viaggiavano acuendosi sempre di più, affilandosi sempre di più compenetrando i misteri del mondo e di se stessi scoprendo la Verità. Ma ad ogni gradino fatto, subito un altro appariva.
    Perché camminavano senza fermarsi mai in questo ciclo perenne di perfezione continua lì dove Daya lasciava le emozioni, Gaelle le accoglieva.
    Entrambi esempi.
    Entrambi con lo scopo di far giungere la Verità all'uomo schiavo di se stesso, incarcerato tra gabbie e sbarre invisibili. Una missione.
    Lì dove Daya mai si era inchinato ad Athena ma collaborando affinché l'umanità potesse tutta giungere alla verità, Gaelle si fa forza dei deboli e di chi non aveva la forza per affrontare questo percorso. Continuando a salire diveniva come l'onda che solca l'Oceano. Diveniva corrente con cui far partire la nave – mente – dell'uomo in questo viaggio che lo avrebbe visto protagonista di se stesso, libero e pronto a giungere non alla fine ma ad un perpetuo inizio.
    Gaelle non era l'arrivo. Gaelle era il punto di partenza.
    Athena un esempio non l'obbiettivo.
    E insieme continuavano a salire.



    Daya la colpiva. La gettava nel Rikudo Rinne, la trasportava su galassie sconosciute, ai confini dell'Universo eppure lei ritornava. Più forte. Più matura. Consapevole.
    L'una accanto all'altro le loro menti si scontravano.
    Tempo e spazio si piegavano intorno a loro, ormai meri accessori con cui interagire piegandoli alle loro esigenze e ai loro scopi.
    Più non domandava quando e se fosse pronta.
    Più non domandava.
    Meditava osservando e ascoltando.

    In un mondo al di la di tempo e spazio, al di là di luogo e dove, al di là di Tutto, uniti dal cosmo e dall'Arayashiki, Gaelle continuava a meditare su se stessa. Sempre più si liberava dal ciclo di vita e rinascita facendo si che la sua Ottava Coscienza si espandesse all'infinito.
    La sua anima fluiva costantemente nella Vita in un legame continuo con tutti gli altri esseri viventi. Atavaka era lontano.
    Lontano come le stelle. Lontano come le galassie che ancora si dovevano formare.
    Non era più importante.
    Il tempo sarebbe giunto.
    Non vi era fretta, non vi era ansia, vi era solo il lento respiro mentre il suo cosmo si faceva sempre più quieto e vasto.



    E in un determinato momento Gaelle si alzò. L'armatura d'oro era su di sé semplicemente come lo fu alzarsi. Lo era sempre stata su di sé oppure era comparsa nel momento in cui, alzandosi, aveva compreso che il suo tempo fosse giunto?
    Si alzò e respirò mentre l'armatura brillava. Stava su di lei alla perfezione così come perfetto era l'atto del respirare.
    Un semplice atto, naturale e mai scontato, così quell'armatura stava su di lei e ne sentì la forza pervaderla come un secondo respiro intenso quanto il suo.
    L'armatura e Gaelle erano unite. Così come la sua mente con il Tutto.
    Si alzò perché sapeva che era il momento di farlo. Adesso e non prima.
    Ora e non dopo.

    Un altro respiro.
    Intenso non come il primo. Unico.
    un passo davanti all'altro. E chissà quanti altri ne sarebbero seguiti.
    Chissà quanti altri gradini vi sarebbero stati.

    «È sempre stato così bello respirare?»




    CITAZIONE
    ENERGIA: ?

    STATUS CLOTH: Integra e Indossata [Grado 7]

    STATUS FISICO:

    TECNICHE UTILIZZATE:

    ABILITÀ:

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    è stato difficile...e non so se potevo fare meglio di così. Ma ogni versione dello scritto, ogni immagine, ogni descrizione, non mi soddisfaceva mai appieno.
    ma credo che questa sia discreta, credo. ai posteri la sentenza ma mi sono davvero divertito a ruolare così e in questo modo.
    Ty zi
  3. .
    Ecco ora mi è chiaro il tutto.
    Io l' avevo inteso che arrivando a 4 turni potevo sparare più e più volte. Cannando il tutto a quanto pare.
    Grazie ancora per le delucidazioni :metal:
  4. .
    CITAZIONE
    Le Tecniche Straordinarie sono quelle tecniche che sono più efficaci di tecniche simili. La Galaxian Explosion ad esempio è in grado di generare un effetto distruttivo superiore ad una normale esplosione cosmica, i fendenti di Excalibur sono fendenti cosmici più potenti di fendenti normali etc...
    Le tecniche straordinarie che generano attacchi cosmici puri, simulano gli effetti di Cosmo Poderoso con Aura Soverchiante.
    Le tecniche straordinarie elementali, ove non specificato, simulano gli effetti dell'Elemento Straordinario, quindi dispongono di tutte le caratteristiche straordinarie dell'elemento.
    In generale, oltre alle tecniche di puri attacchi cosmici, tutte le tecniche straordinarie simulano l'abilità straordinaria.

    Ok grazie mille. mea culpa l'avevo persa io.

    CITAZIONE
    Le tecniche speciali no, perché per usare la specializzazione devi creare tecniche apposite. Puoi naturalmente combinare la specializzazione con le altre abilità, tipo una scarica di energia mentale che priva dei sensi etc...

    Chiarissimo ora :riot:

    CITAZIONE
    è possibile lanciare la stessa più volte, sempre a turno 4 per sfruttare la massima potenza, o sono legato ad un solo utilizzo?

    Qui, spiegandomi male io, volevo solo sapere se potevo lanciarle a spam da turno 4 in poi senza perdere l'effetto di cosmo soverchiante.

    CITAZIONE
    Il Tenbu Horin è una tecnica che non può funzionare con la meccanica AD+AF, cioè dell'attacco in combo, perché non segue i principi che guidano le combo. Una combo la usi per rendere più difficile evitare un colpo, tenere immobile uno per togliergli i sensi con lo spirito non ha senso :zizi:

    Quindi, dato per certo che con la parte illusoria puoi fare quello che ti pare, il Tenbu Horin puoi descriverlo - ad esempio - così:
    Versione A: Colpo Spirituale che toglie un senso alla volta e ciao
    Versione B: Combinazione Difesa e Attacco, cioè consumi in un colpo le azioni di difesa e di attacco. In questo caso blocchi tutto con la telecinesi e poi privi dei sensi.

    Non avevo pensato a usarla come difesa+attacco sinceramente, grazie del consiglio :riot:
    Per il resto è tutto ora più chiaro grazie mille
  5. .
    Buonsalve a tutti
    apro il topic per chiedere un paio di delucidazioni sulle tecniche di gold virgo che mi sono venute spulciandomi i vari manga ecc

    Ungyo: in next dimension viene specificato che le tenebre oltre a distruggere ogni cosa trasportano il bersaglio in un'altra dimensione. la tecnica è possibile descriverla come unione di tenebra + dimensioni quindi?
    La tenebre rimangono con le proprietà dell'abilità oscurità senza nessun effetto particolare è giusto?

    Angyo: è un esplosione di luce e basta? Non posso descrivere che al suo interno hanno una caratteristica pari alle radiazioni? l'esempio che mi viene è simile all'abilità luce di Teia. sarebbe fattibile?

    La loro forza ed espansione sul campo di battaglia è sempre strettamente legata sempre e solo all'effetto di cosmo soverchiante se lanciata a turno 4, giusto?
    è possibile lanciare la stessa più volte, sempre a turno 4 per sfruttare la massima potenza, o sono legato ad un solo utilizzo?

    Ma il dubbio maggiore e se a queste tecniche speciali, anche il tenma kofuku, si possa unire la specializzazione spirito annichilimento e quindi tentare di togliere i sensi ai propri avversari.

    Altro dubbio è su come poter sviluppare il tenbu horin di virgo.
    farlo pari al manga, con tutti i rismi del caso, mi sembra impossibile, ma avevo pensato di sfruttare le illusioni complete per creare l'ambiente illusorio, oltre agli occhi di virgo che si aprono, le copie ecc ecc. un ambiente al cui interno vi sia l'abilità tempo+psicocinesi per rallentarne i movimenti/bloccarlo tutto questo come AD+SUPPORTO, per poi dare la botta spirituale, con specializzazione annessa, pura e diretta come AF.
    Sarebbe fattibile? se avete consigli sparate pure senza problemi.
    Ty :riot:
  6. .
    Utente: Lyga
    PG: Gaelle
    Scheda: X
    Energia: Viola, In cambio
  7. .


    Quante volte, in una vita, possiamo essere distrutti? Quante volte lo si dice che siamo arrivati al nostro limite? Che siamo spezzati? Che non abbiamo più nulla per cui vivere, lottare o sognare?
    Cos'è la disperazione?

    «NON CI SONO PIÙ»


    «MORTI»


    «DIVORATI»


    «PERCHÈ CREDEVANO IN LEI»



    Crollò.
    Accartocciata su se stessa. Svuotata da qualsiasi cosa. E urlò.
    Non era però normale. Era rauco. Che si graffiò le corde vocali, che sentì la gola bruciare eppure continuò. Fregandosene se non avesse più potuto parlare. Aveva perso le parole. Aveva perso il suo popolo. Aveva perso tutto.
    Era in ginocchio con le mani nella terra, mentre veniva bagnata da lacrime miste a saliva; i singhiozzi scuotevano quel corpo che un tempo era stato quello di Gaelle. Bello, sensuale, maledettamente femminile che tra donne e uomini riscuoteva un notevole successo, eppure ora non era nulla di più che di meno che un foglio accartocciato su se stesso, dove era stata scritta una storia di merda.
    Merda come lei.

    I'll build you back somehow





    E come?
    Ma soprattutto: voleva ricostruirsi?
    Cosa gli rimaneva? Non aveva più la sua casa, sua madre, suo padre, la sua famiglia.

    «NONNA!»

    Anche lei? Non era lì. Non era stata lì a salvarli. Non era stata lì a combattere con loro, a tenere le loro mani.
    Il pensiero che non avrebbe più potuto vedere sua nonna fu la spadata che non solo tagliò la sua anima, ma penetrò a fondo nel suo cuore spezzandolo e sentì qualcosa in gola. Un nodo. Non riusciva a respirare, si teneva il petto colpendo ripetutamente, ossessivamente il terreno. Voleva farsi male. Voleva scaricare quel dolore che, troppo pesante da sostenere, la stava schiacciando.
    Ora tentava di ricordare il volto si usa nonna, la sua voce, tentava di ricordare quando entrava a casa sua fischiando dalla strada e aspettando che lei uscisse dal balcone salutandola.

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    Credo che senza di lei non sarei la persona che sono oggi; senza di essi forse la mia vita non sarebbe riuscita a diventare più di un inesatto abbozzo



    Sua nonna era il centro del suo mondo. Sua nonna era sua madre. Sua amica, sua sorella era quella che cercava quando tutto andava bene, quando tutto andava male, quando si confidava, quando le portava la spesa e quando la andava a prendere per Natale.
    Quando litigavano e quando ridevano.
    Quando bevevano insieme davanti all'Oceano.
    Lei c'era sempre stata. Come fare a passare il resto della vita senza averla? Senza averle detto addio?

    I’ve been so lost since you’ve gone
    Why not me before you?
    Why did fate deceive me?
    Everything turned out so wrong
    Why did you leave me in silence?



    «NO»


    «NO»


    «NO»


    «NO»



    Non lo voleva accettare!
    Non era stata lì. Gli avevano strappato sua nonna. La sua famiglia. Lei pezzo a pezzo. Ma di lei non gliene fregava un cazzo!
    Il suo popolo, la sua famiglia, i suoi affetti dov'erano? Dov'era il tramonto sulle coste con i pescatori che tornavano, dov'erano le musiche e i tamburi rituali?


    «è tutta colpa mia»


    «non sono stata capace»


    «non sono degna»


    «NO»




    Tra i singhiozzi queste parole ripetute ossessivamente mentre rimaneva lì a terra stretta in se stessa, nel suo dolore, in quei stessi ricordi che ora la ferivano sapendo che non sarebbero tornati. Che non avrebbe più potuto danzare con loro, che non avrebbe più potuto aprire la porta di casa sua, che quello che era stato il suo mondo, fino a poco tempo prima, lo avevano distrutto e che la causa di tutto questo era solo e soltanto sua.
    Non poteva sopportarlo.
    Rimase in ginocchio, con il terriccio a sporcargli il viso, con le mani che affondavano nei muscoli delle cosce e lo sguardo per terra, assente, lontano.
    E sollevò infine lo sguardo...

    «Non ti credo...»

    Verità o menzogna che fosse, il dolore era qualcosa di palpabile. Vedere il suo popolo distrutto e divorato spezzò la sua volontà forse perché, nel profondo, lo sentiva.
    Forse lo aveva capito quando li vide su questa scogliera, spiriti silenti tra infiniti altri. Lo aveva sempre saputo.
    Eppure allontanò questo pensiero perché Anita, la scogliera, tutto questo potevadoveva essere falso.
    Non poteva essere reale.
    Non lo accettava.
    farlo significava accettare il suo ennesimo fallimento. Come Mambo.
    Resto così. Svuotata.
    Alzò i suoi sguardi ad un cielo che non esisteva.
    Quanto avrebbe voluto sua nonna ora. Le sue parole, la sua saggezza, la sua esperienza. Lei non aveva né la prima né tanto meno la seconda.
    Guardò Anita in quell'unico occhio dorato dove si riflette la saggezza di chi ha visto cicli di vita e morte ripetersi innumerevoli volte, e che ora si si posava con gravità di chi conosceva il peso del destino.
    Una gravità e un peso che quell'occhio dava anche a lei. Sua nonna cosa avrebbe fatto?
    Il dolore va accettato. Vita e morte sono il ciclo della Realtà, materiale e spirituale si fondano per concretizzare la Realtà e far si che vi potevamo essere.
    Vedere gli spiriti era un dono e una responsabilità. Vederli significava poter attraversare l'Invisibile per poter osservare lo scorrere della Realtà, capendo i meccanismi che l'animavano.
    Il Mondo Spirituale e quello materiale si sfioravano ma non potevano essere nell'uno o nell'altro. Gli Spiriti avevano il loro mondo e in quello dovevano restare, per potersi manifestare nel materiale avevano bisogno di un medium.
    un qualcosa che collegasse le due realtà per permettere di fluire o nel primo o nel secondo mantenendo coscienza di sé.
    E lo scorrere del tempo e dello spazio era sicuramente diverso tra l'uno e l'altro. Ma quanto di quello che diceva Anita poteva credere?
    E respirò.
    Gli insegnamenti di sua nonna tornarono come le onde dell'Oceano placide, dopo la tempesta del dolore.
    Ascoltare il proprio respiro, la propria anima in relazione con i Loa e la comunità. Tutti loro rimanevano uniti, tutti loro legati, la mambo garantiva che i fili del passato, del presente e del futuro del suo popolo non si perdessero mai; che il respiro dei Loa fossero per sempre con loro, che la spiritualità dei propri antenati restasse la malta con cui costruire la loro comunità giorno per giorno, secolo dopo secolo.
    Sentire il respiro dei Loa che si fa tutt'uno con il suo e al tempo stesso scoprire che il suo conteneva quello di tutti loro. E che nessuno era così diverso dall'altro.
    Sua Nonna le aveva detto che essere una Mambo significava custodire e proteggere.
    Ma soprattutto ascoltare.


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    Non devi vedere ma osservare.
    Non devi sentire ma percepire.



    Dovette respirare a fondo. Lo schiaffo che aveva ricevuto da Anita sotto forma di parole dure e taglienti le accesero qualcosa dentro.
    Atavaka. Cintura Dorata. Il peso che grava su di te.

    Si alzò con ancora le lacrime che rigavano il suo volto. Si alzò sotto il peso della sconfitta, sotto il peso della consapevolezza che non aveva fatto nulla ancora.
    Anita rimaneva un mistero eppure voleva crederle.
    Doveva vincere il ciclo. Spezzarlo e liberarsi.

    «Vorrei tanto non crederti. Vorrei prenderti a pugni così forte da spaccarti la faccia fino a quando non mi romperei le mani.
    Vorrei tanto non crederti...vorrei tanto sputarti in faccia a te e quell'altro. Vorrei tanto fare qualcosa


    Sputò quell'ultima frase con odio. Verso se stessa.

    «Ma troppo di quello che dici non mi sembra stupido.
    Perché anche se il tuo racconto è improbabile è l'unica cosa di sensata adesso e qui.
    Ho sentito più volte la mia anima come se si lacerasse. Ho visto quella cosa attaccarmi. Atavaka...uno dei servi di Hades...»


    Hades il dio greco della morte? Stupore? E di cosa? Quando esseri mostruosi avevano stuprato questo mondo continuando a marciare sul suo cadavere divorandone la poca carne ancora attaccata alle ossa, si stupiva di sentire Hades?

    «Quell'Atavaka assomiglia al Babako. Anche lui ha sempre fame...forse...»

    Scacciò il pensiero.

    «È mio.»

    I suoi occhi erano un misto tra rabbia, dolore, odio e ferrea volontà. Era una donna spezzata eppure continuava, nonostante i lutti e il dolore, nonostante i sbagli e la pochezza della sua anima, ad avanzare.
    Guardò gli spiriti, si ricordò della chiamata dei Loa.

    E non dimenticare, mia dolce acqua che scorre, che ogni lacrima e ogni onda porta con sé una lezione. Ascolta il canto delle acque, poiché in esse troverai la forza di superare ogni ostacolo e la pace per guarire ogni ferita.




    La Corona Dorata era la sua ricerca era quello per cui aveva iniziato tutto questo. In un mondo devastato una luce, seppur flebile, che si accendeva nell'oscurità più tetra.
    Ascoltare le acque. Ascoltare il respiro del suo popolo. Quel fiume che ora scorreva lontana da lei eppure vicino. Poteva sentirne il lento scrosciare ancora nei suoi pensieri, poteva vedere ancora i loro visi scorrergli tra i ricordi di quando il mondo non era una landa desolata e la vita, placida e sonnolenta, continuava il suo corso lontano dai clamori della Storia e da lotte di Eroi.

    «Io senza di loro non sono nulla. Sono solo una goccia nell'infinito. Ma mia nonna credeva in me, mia madre anche. Tutti loro. Mi hanno fatto mambo per una ragione. Vedo i loro volti eppure sembrano quieti nonostante l'orrore dei loro ultimi momenti.
    Forse potranno dimenticare io mai. Hanno creduto in me in tutti questi anni e hanno aspettato da soli mentre io ero qui.
    Avrei voluto parlarci un ultima volta. Avrei voluto dirgli che tutto quello che sono stati, le loro vite, le loro storie non finiscono ma sono dentro di me , vivranno con me accompagnandomi.»


    Consolazione di poco. Erano morti lasciandola sola. Ma il loro respiro sarebbe stato il suo. Queste erano state le ultime lacrime versate. Questi occhi si aprivano su questo mondo per l'ultima volta. Gli avrebbe tenuti per sempre per poter vedere il velo, per poter osservare la Realtà e poter vedere quando Atavaka si sarebbe mostrato di nuovo. E solo allora li avrebbe aperti.

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    PER POTERLO GUARDARE, PER OSSERVARE COME SI SAREBBE CONTORTO E VENDICARE IL SUO POPOLO



    Non avrebbe dimenticato. Il suo nemico peggiore. Il più odiato, il più detestato ma non era oggi la sua vendetta.
    Oggi doveva salvare se stessa da quello stesso nemico che la stava divorando. Oggi doveva divorare lei stessa questo Abisso. Lo doveva scacciare per sempre. Annientare con tutta la forza che poteva avere, con la sua anima a pezzi, con quegli occhi senza più lacrime, con la sua voce roca dalle urla, con il viso rigato dalle lacrime.

    «Ci sono ancora troppe cose che non capisco. I servi di Hades per esempio. Cos'è la Corona Dorata e perché ha scelto una come me. Troppe domande anche su di te. Ma al momento quello che mi preme e non farmi divorare perché io sono la depositaria delle anime e del popolo di Haiti. Io sono Gaelle la mambo di Haiti, come mia nonna prima di me, come sua madre prima di lei.»

    Lo disse con una convinzione che non pensava di avere.

    Qual è la ricchezza più alta di una persona?
    La convinzione è la ricchezza più alta di una persona.



    Si era risposta da sola. La convinzione era la più grande risorsa che una persona potesse avere. Non convincersi di essere Bondye ma che sapere chi eravamo e cosa potevamo fare si poteva creare un miracolo.
    Per la prima volta si era chiamata Gaelle, La Mambo non solamente Gaelle. Per la prima volta accettava se stessa con una convinzione che non lasciava spazio al dubbio.
    Le lacrime avevano reso le sue ciglia lucide, si asciugò la bocca con il dorso della mano e raddrizzò la schiena.
    Ed è allora che qualcosa succede.
    Il corpo d'ebano di Gaelle è come la volta celeste che si poteva guardare alla sera dal peschereccio scassato, con quel motore che si ingolfava, vecchio come Baptiste che diceva sempre che le cose vecchie durano perché attaccate alla vita.
    Quel vecchio matto non lo aveva mai cambiato cercandone sempre i pezzi di ricambi con una perizia e una pazienza invidiabili.
    Eppure quando stavano lì, in mezzo all'Oceano, con il rumore delle onde, con il cielo stellato sopra di loro allora quel vecchio brontolone di motore sembrava un ruggito.
    E la pelle di Gaelle assomigliò al cielo notturno mentre brillavano punti di luce, come stelle che illuminavano le acque dell'Oceano ed ora brillavano sulla sua pelle con una luce quasi innaturale.
    La costellazione della Vergine.
    Sulla sua pelle comparvero le stelle di una delle più grandi costellazioni del cielo. Gaelle era quello stesso cielo dove brillavano Spica e le altre stelle che la formavano.
    Baptiste di solito faceva commenti sconci sulla costellazione della Vergine a lei non importava. Quell'uomo amava le donne non più della sua barca però, ma osservarla dalla sua barca, quando il cielo era sereno e il mare placido era una bella sensazione. Un ricordo che brillava dentro di lei come al pari di Spica.
    Miracolo, destino o chissà che cosa Gaelle aveva già fatto la sua scelta nelle lacrime e nella convinzione che le avevano dato la determinazione di spezzare questo ciclo assurdo che la vedeva prigioniera in questo limbo.
    Guardò le sue mani e quella costellazione sulla sua pelle e respirò così profondamente che cercò di accarezzare gli spiriti del suo popolo un ultima volta.
    Un passo avanti. I pugni chiusi.

    «Dove trovo Atavaka? »

  8. .

    Il silenzio come risposta, lì su quella scogliera persa tra le nebbie. Gaelle rimaneva a fissare il vuoto, sia spirituale che fisico delle proprie azioni che non sortivano effetto alcuno.
    La disperazione era sabbie mobili: più tentava più affondava. Voleva salvarli.
    Stupida e patetica.
    Vedeva svanire le persone che aveva conosciuto, sentiva lame affondare nella sua carne ma senza lasciare ferite perché quelle dell'anima erano più difficili da guarire. Patetica perché non aveva la forza di poterlo fare, in un viaggio in un Oceano infido e sconfinato, senza nessuna luce, lei rimaneva come una zattera in preda alla tempesta.
    Poteva solo resistere e vincere la disperazione. Eppure affondava sempre di più.
    Le anime cadevano ed erano come le lacrime che non riusciva più a versare.
    Questa era la forza del dubbio, questo era come si sentiva: seppur credeva in se stessa, seppur stesse cercando di salire, ora si era fermata non riuscendo a scorgere una via.
    Doveva fare di più.
    Resistere e spingersi oltre. Ma preda del dubbio non ci sarebbe mai riuscita. Doveva guardare oltre le verità degli occhi.
    Oltre le sue verità, per poter vedere la strada. In questo mondo tutto era oscurità. Come fare per portare la luce' Come fare affinché la sua brillasse?
    Nemmeno gli spiriti dei suoi antenati, nemmeno i Loa, le parlavano. Lei era davvero sola. L'Oceano di questa storia la stava mettendo alla prova, la zattera che era Gaelle doveva affrontare le sue onde e vincere la tempesta ma per farlo doveva andare oltre.
    Oltre il dubbio, oltre la certezza, oltre Gaelle stessa.
    Si guardò attorno conscia della propria inutilità e che non era ancora un Oceano ma una goccia che si perdeva in un Infinito.

    Poi una presenza.
    L'aveva avvertita? O l'aveva immaginata?
    Era lì. Un dubbio o una certezza? Nemico o amico?
    Quell'aura accarezza Gaelle e per la prima volta non come un pugno, la sente sulla sua pelle, l'avverte con quello che rimane del suo spirito e della sua mente.
    Antica.
    Non appartiene a questo luogo. Lo sa. Lo avverte eppure non lo saprebbe spiegare il modo in cui è sicura di questo.




    Una donna. Anche se forse in un posto come questo concetti come il sesso o il genere potrebbero fondersi, acquistarne altri di significati, ma i suoi occhi la vedono come tale e questo, al momento le basta. Capelli rossicci e corti il viso è un enigma che accentua il dubbio sulla sua figura:la parte destra scoperta, viene mostrata senza indugio, con una pelle liscia, iridescente quasi. La sinistra è il mistero della figura stessa: una cicatrice la nasconde. Il dazio da pagare per essere e non essere in questo e negli altri mondi? Quanti misteri solo in quel volto, quante storie in quell'unico, magnetico, occhio dai colori dorati che la guardano con un'intensità che fende Gaelle, il tempo e lo spazio.
    Poi parlò e sembrò sapere cosa fosse tutto questo.

    «Perchè?»

    Una domanda di chi è assetato. Di conoscenza?
    Di risposte. Per riuscire a capire, per poter vedere. Non tanto per il potere che derivi dalla risposta ma più per osservare meglio questa storia. I suoi occhi si stavano aprendo per la prima volta su di un mondo che non conosceva, guidata dai Loa e dalla volontà sua e del suo popolo, eppure era ancora cieca. In un mondo di buio quelle poche risposte erano fiaccole che si accendevano in questo mondo per non farla perdere.

    Non c'è risposta comunque; c'è una mano che si alza, un gesto delicato ma al tempo stesso fermo. Gli spiriti sono richiamati da questo gesto, non più attratti dall'abisso ma da quella mano e danzano attorno a loro. Lei non ha questo potere, questa figura si. Il suo gesto è come se li salvasse, mentre lei aveva scavato quel terreno umido con le proprie mani sfogando rabbia e frustrazione. Aveva ancora del terriccio tra le unghie. Ma quella mano era riuscita a richiamarli, forse a salvarli, di certo ora erano attorno a loro due non più solo ombre. Non sono più un qualcosa che si muove verso il Nulla per sparire per sempre.
    In loro vi sono gli echi di un passato strappato troppo presto.
    Un eco che danza con i sentimenti di Gaelle.
    Verità terribile.
    Non può fare nulla, non è nelle sue forze salvarli, riportare tutto all'inizio cancellandolo con un colpo di spugna. No.
    Rimangono echi del passato e vivono nei suoi ricordi. Non sono nient'altro che questo ora.
    La loro voce, le litigate, le risate, la vita che si era mischiata con la sua rimanevano un ricordo da custodire. Loro erano, purtroppo, solo questo.
    La domanda successiva è peggiore.
    La voce è rauca. L'ansia è palpabile. La fa eppure una parte di lei non vorrebbe sentire la risposta.
    E sicuramente tenterà di scacciarla via.
    E con essa il dubbio che forse doveva rimanere al suo villaggio e proteggerli.
    Il dubbio che tutto questo non sarebbe avvenuto se lei fosse stata con loro.

    «Chi li ha strappati alla vita?»

    Ed insieme a questa domanda scavò qualcos'altro di più subdolo: lei avrebbe avuto la forza di proteggerli?

    «Mi chiedi di fare una scelta.
    Ma come farla se più mi addentro più altri soffrono? Ho questa forza? Oppure è tutto l'ennesimo inganno di qualche demone?
    Tu sei la verità o la menzogna?»


    E a questa domanda, purtroppo, poteva rispondere solo Gaelle stessa. La scelta implicava anche questo: non fidarsi ma riuscire a trovare la strada nonostante il dolore. Capire in che modo proteggere chi ancora credeva in lei, chi ancora aveva posto sulle sue spalle i sogni e le speranze più segrete del loro cuore.
    Ora li vedeva attorno a lei. Un passato che non poteva prendere, solo ricordare. E faceva male.
    Gli attimi fuggono via presto. La vita è fatta di pennellate così veloci che ci scordiamo delle precedenti, a volte pensiamo che le dobbiamo ancora fare quando invece siamo andati oltre a dipingere la nostra vita.
    Non ce ne rendiamo conto solo quando, per un momento, ci guardiamo attorno.
    Quando in questa corsa sfrenata, inciampiamo e cadiamo. Allora ci rendiamo conto di quanto abbiamo perso, di quanto tempo è passato, che molto è diventato un ricordo cambiando noi e il nostro modo di vivere e pensare.
    Però rimane lì: nella profondità di chi siamo, il ricordo vive dandoci la consapevolezza che tutto è un attimo flebile.
    Tentò di prenderli, come se non volesse separarsene, una bambina che non accetta la verità delle cose ma il passato non si afferra, l'eco è solo il suono che lo fa battere dentro di noi per sempre.
    Dipendeva da noi se ascoltarlo o chiuderlo per sempre.
    Ma ogni eco del passato è servito a creare la musica con cui danzavamo oggi. Gaelle non era la donna che fuggiva dall'eco dei Loa, dalle responsabilità preda dei suoi dubbi e angosce.
    Era una donna che aveva fatto una scelta.

    «Che tu sia Dio o un demone cosa importa? L'unica certezza sono i passi che ho fatto fino ad oggi.
    Loro sono quell'eco che non scorderò mai. Quando mi perderò ancora saranno loro a ricordarmi la strada.»


    Guardò il suo popolo.

    «Ognuno di loro mi ricorda chi sono stata e chi sono. Chi potrò essere dipenderà solo da me. Ogni volto è una parte che forma la mia anima. Se sono, oggi, Gaelle e sono qui lo devo a loro.
    Le loro anime mi accompagneranno per sempre perché non dimenticherò nessuno di loro. Sono Gaelle grazie a loro.
    Le proteggerò anche dalla dimenticanza se è necessario, anche da questo abisso. Se questo non è il loro posto le proteggerò da tutto e tutti. Quello che sono stati vivrà dentro di me.»


    Un debito che non sarebbe bastata una vita a ripagare. Ma spendere la propria vita in loro favore forse sarebbe bastato.

    «Ho dubbi su di te, su questo posto, persino se quello che vedo o sento sia reale. Ma non ho dubbi sui Loa, sulla voce del mio popolo. Mi hanno mandato qui per uno scopo.
    In questo viaggio la risposta al perché sono qui, la dovrò dare solo ed esclusivamente io.
    Ci sono strade che non danno la risposta, il senso di tutto ma troviamo solo la nostra. Forse quella più importante. Perché da il significato alla strada percorsa, all'eco del nostro passato in relazione al loro eco
    Il senso di tutto non serve a volte...»


    Guardò quella misteriosa donna nel suo unico splendido, alienante, profondo occhio dorato e guardò le anime del suo popolo vorticare attorno a loro non più attratti dall'Abisso della Dimenticanza.
    Forse non si avrebbe avuto la comprensione del Tutto ma già comprendere se stessi, in risposta a quel tutto, poteva fare la differenza.

    «Mi fido di te? No. Non mi fido nemmeno di questo posto.
    Chi o cosa sei non è nemmeno importante adesso. Sei qui per uno scopo solo ed esclusivamente tuo.
    E in che modo io rientro nel tuo scopo? Qualsiasi cosa tu sia non sei davanti a me per nulla.»


    Anche se non si fidava? Sopratutto perché non si fidava. O rimaneva ferma per sempre in questo luogo o seguiva la corrente cercando di farla sua.
    Le anime continuavano a ricordarle il passato in modo da non perdere di vista il futuro.

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    «Sono Gaelle.
    Tu chi sei e perché sei qui?»


  9. .

    Il lento incidere dei suoi passi.
    I piedi nudi mentre si sorreggeva ad una precisa volontà. Ma fino a quanto questa volontà avrebbe resistito? Il dubbio...tanto umano, tanto deleterio, quanto importante nel cammino. Provare il dubbio significava farsi le domande, non avendo certezze assolute ma solo una spinta verso capire, sempre più in profondità, noi stessi.
    In questo luogo, tetro, oscuro, alienante Gaelle stava provando dubbi che mai le avevano sfiorato la mente e l'anima, combatteva ponendo se stessa davanti ma spinta dalla corrente del suo popolo.
    Doveva avere certezze?
    Il primo dubbio.
    Doveva dimostrarsi inflessibile, infallibile, assolutamente capace di cavalcare qualsiasi onda in una perfezione? Voleva essere perfetta? serviva davvero?
    La terra rimaneva umida sotto i suoi piedi, penetrando tra le dita dei piedi ad ogni passo; eppure non le dava fastidio. Camminare a piedi nudi era come danzare: avvertiva tutto, si avvertivano le più piccole vibrazioni risalire dalla pianta fino al polpaccio, avvertiva il terreno di questo mondo a metà tra il suo e quello degli spiriti.
    I suoi passi si perdevano tra la bruma, mentre il vento smuoveva i suoi capelli. Per un momento si fermò.
    Il dubbio di tornare indietro o procedere ancora. Sebbene la volontà fosse forte rimaneva dubbiosa di chi o cosa doveva essere.
    Forse perché non vedeva i suoi passi che l'avevano condotta fino a qui. Perduti tra la bruma, così come i suoi nella vita e nelle scelte fatte.
    Ma non serviva vederli, serviva ricordare. Perché quei passi erano stati fatti si con la certezza ma anche e sopratutto con quella sottile patina che il dubbio posava sul futuro.
    Ed era proprio quella patina che si doveva togliere con la certezza di volerlo fare.
    Gaelle doveva dubitare; il dubbio per lei era un atteggiamento di ricerca, di esplorazione: la certezza, soprattutto quella ideologica o dogmatica, potevano forse renderla più forte, integerrima, inflessibile e in un certo senso più felice, perché la certezza porta con sé la legge. Così è così sarà, ma a che costo?
    Essere sempre sicuri e perdere quello che ci spingeva, così come ora, ad andare avanti. La rinuncia a dubitare, esplorare, e quindi pensare.
    Ecco la sua certezza: continuare a dubitare e a pensare e al tempo stesso affrontare quello che dietro la bruma si nascondeva.
    Ricordando i passi fatti.
    Ecco cos'era oggi Gaelle: una donna che con i suoi dubbi e le certezze continuava ad avanzare su un infinita scala a chiocciola.
    Sapere di non sapere.
    Per poter continuare ad accogliere in sé l'Oceano.

    Ed è con questa certezza che Gaelle osservò la scogliera.


    La processione era lenta, silenziosa come se non fosse di questo mondo, come apparizione dal nulla. I suoi occhi seguivano la lunga fila fatta da uomini e donne, anziani e bambini che camminavano verso la fine della scogliera. Nessuna incertezza, nessun suono, come se il vento li attraversasse, come se ogni cosa non potesse più importargli, né desiderio, né certezza o dubbio.
    Solo il lento avanzare verso il bordo della scogliera. L'unica cosa che importava.


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    Emergere da un abisso e rientrarvi – non è forse questo, la Vita?




    Si gettavano nel Nulla sparendo in esso, inghiottiti dall'invisibile bocca di un mostro che rimaneva in attesa, lenta ma inesorabile, sotto di loro.
    Chi sono? Cosa fanno loro qui? Sono morti? Quindi lo era anche lei...
    A cosa, quindi, doveva credere adesso? A se stessa? A Jean? La processione, incurante di lei, continua il suo lento dispiegarsi nella salita. Vede quelle persone gettarsi e qualcosa fa male.
    Fa male? Perché si ferma, come per riprendere fiato, e un'altra fitta la coglie. Ma non è un dolore nel corpo. Il respiro diventa più difficile, persino il cuore accelera di colpo, sembra di stare trascinando un peso invisibile ed ora la sensazione della terra umida sotto i suoi piedi, svanisce a poco a poco.
    C'è solo questa fatica.
    E maledetta fu dopo.
    Perché avvicinandosi quella fatica le impedì di correre.



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    In quella fila silenziosa vi erano anche chi conosceva. E l'angoscia si impadronì di lei.
    Urlò.
    Fanfan. Il vecchio pescatore. Di solito prendeva da lui del buon pesce appena pescato. Sua madre la mandava all'alba, quando le barche tornavano e le reti venivano gettate sul porto, insieme alle cassette di pesce fresco per venderlo al mercato. Uomini duri, che puzzavano di sudore e salsedine, che avevano mani dure come le corde che arrotolavano per ancorare le barche al porto.
    Con volti duri e le braccia come remi.
    Molte volte era rimasta a guardare lui e la sua barca, a sentirlo parlare di vecchie storie e di leggende.
    Fu lui a farle venire la passione per il mare, per le onde, quando la portò in barca per la prima volta. Voleva vedere questa sconfinata distesa d'azzurro, sentire le onde sbattere contro la chiglia, il vento sulla pelle, l'odore del sale.
    Il pesce tra le reti, mentre lo mettevano nelle cassette, per poterlo vendere e quelle parole ripetute sempre come un mantra: ”mai più del dovuto, mai meno del necessario”.
    il mare rispetta chi lo rispetta, così come non si prende mai più di quello che serve per vivere. Il pesce sfamava il suo popolo ma non se ne doveva abusare perché vivere in armonia con ciò che ci circondava faceva si che gli uni e gli altri potessero coesistere beneficiando entrambi.
    Le aveva imparato questo: il rispetto e il vivere in armonia con gli altri, rispettando il loro modo di vivere così come lui rispettava il mare e anche le sue paurose impennate di rabbia improvvisa.
    Le sue mani tenevano quelle di Nadia e Ti Jean.
    No!
    Poteva forse accettare la morte di Fanfan ma anche quella de due piccoli orfani?
    Imprecò mentre correva. Urlò ancora. Nulla. Sembrava che nulla potesse arrivare a disturbarli nella loro lenta risalita ma inesorabile discesa.
    I due piccoli erano stati accolti dal vecchio pescatore per onorare la morte del suo amico. Figlio di pescatori faceva la guardia costiera.
    Morto per salvare chi era in difficoltà. Il mare sa essere terribile e a volte è una bestia spietata: non guarda in faccia a nessuno rovescia imbarcazioni, navi, yacht, ricchi o poveri non è importante. Chiunque solchi le sue onde accetta tacitamente che non proverà pietà per nessuno semmai gonfiasse le sue onde e i venti divenivano uragano.
    Prima ancora la madre.
    Ora loro.
    Non era giusto.

    Ma cos'era giusto? Il fatto che erano due bambini' Il fatto che fossero stati già toccati dalla bruttura della vita? Che ora che avevano trovato un po' di pace e Farfan quei figli che non avrebbe mai potuto avere, si trovavano qui per lanciarsi nel Nulla sparendo in esso?
    Perché? Cosa davvero stava accadendo? Illusione o Realtà'
    domande si accavallavano l'une sulle altre, riempivano la sua mente come bolle in un calice, eppure solo il suo respiro sentiva, il suo cuore che batteva e doveva correre.
    Inciampò. La veste era sporca di terriccio, lo aveva anche tra i capelli ma non riuscì a raggiungerli.
    Li vide, stretti come sempre, lanciarsi e sparire dalla sua vista.
    L'ultima immagine che si frapponeva alle infinite altre che aveva nei suoi ricordi: che giocavano, con Farfan a prendersi cura delle reti e loro ad osservarlo con i piedi che giocavano che giocavano con il mare, mentre le barche dondolavano accompagnando il moto delle onde.
    C'era felicità, finalmente, per loro. Dopo la tempesta quella quiete che rendeva il cielo splendente e limpido, l'aria frizzante e respirare così intensamente da sembrare il primo respiro libero dopo l'apnea della disperazione.
    Cadde.
    Di nuovo quella fitta. Il dolore. L'affanno. Sembrava che avesse corso con tutte le sue forze per ore, persino le gambe erano diventate di cemento armato.
    Si rialzò.
    Nei suoi occhi i loro occhi. Grandi e pieni di una fiducia incrollabile. Anche adesso. Anche prima del balzo che gli fece assomigliare a piccole stelle cadenti che si perdevano nell'infinito.
    Ora poteva vederli chiaramente.
    Era il suo popolo.
    Mireille e Jules stretti in un ultimo abbraccio. Anime che non potevano essere separate, unite così nella vita ora. Una fiamma con due lingue guizzanti.
    Avevano tessuto e colorato stoffe che raccontavano la storia del suo popolo, dei suoi dolori e delle sue gioie, mani che come quegli stessi fili si erano intrecciati per sempre raccontando la loro storia, le loro vicissitudini, dolori e gioie di una vita come infinite altre.
    Non c'era eroismo solo una quotidianità che lei amava. Perché le cose piccole non sono necessariamente meno importanti. Anche il semplice filare può essere importante.
    Perché lo facevano insieme. Perché anche litigando quelle mani non si sfilavano mai l'una dall'altra.
    Anche questo faceva parte del suo mondo. della sua quotidianità. Ed ora non c'era più.
    Corse ancora.
    Più di prima.
    Non voleva perdere altri. Non voleva che il suo popolo fosse qui. E poi perché? Cosa poteva fare lei ora?
    Nessuna risposta. Solo il silenzio che come una tomba chiudeva le sue domande lasciandole sepolte dentro di lei.
    Era vicino alla vetta.

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    La prima parte della tenebra è la più densa – poi la luce comincia tremando a farsi strada.



    la vecchia guardatrice. Amica di sua nonna. Sboccata, amante degli uomini – sua nonna le raccontava che da giovane era svelta di lingua sia nella rabbia che nell'amore, discreta bevitrice ma conosceva segreti che nemmeno sua nonna ne aveva mai sentito parlare.
    Insieme avevano protetto il villaggio quando il mondo cadde nella disperazione e in questa Tenebra malsana, continuò a proteggere il villaggio facendo di tutto, più del necessario, più di quello che le sue forze potevano sopportare eppure mai la sentì abbattersi.
    Né prima né dopo questa pazzia. Anche adesso si ricordava dell'ultima bevuta fatta insieme, del suo essere sboccata, dei suoi racconti di gioventù -a volte erano sempre gli stessi ma era giusto così, di come si conobbero lei e sua nonna.
    Di una vita spesa per la comunità e per il bene degli altri.
    Essere una guaritrice lo devi avere dentro, perché ti devi dare senza mai chiedere nulla.
    L'impegno a favore della vita, il rispetto di chi soffre. Non è qualcosa che scegli, ma che vieni scelto e che liberamente decidi se accettare tale responsabilità.
    Il resto sono solo cazzate. Salvare una vita è un qualcosa che ti cambia, così come perderla. Potevi fare di più? Potevi essere più attento? Non si smette mai di esserlo.


    Il manto con i colori della terra e del cielo dopo la tempesta, le copre il corpo; i suoi piedi la fanno avanzare lenta e misurata come mai lo era stata in vita.
    La sua espressione serena, di contro a quell'accigliata con cui l'aveva conosciuta, quasi illuminata da una luce interiore.
    Ogni suo passo non aveva fretta, i suoi occhi guardavano fissi davanti a sé vivi e accessi come le stelle che si specchiavano nell'Atlantico, mentre si avvicina al precipizio. Accettava tutto questo? Accettava questo destino senza un suono, solo con quel viso sereno e quegli occhi brillanti?
    Poi il vuoto la inghiotte.
    Lei e quegli occhi lucenti.
    Raggiunge il precipizio. Guarda in giù. Non vede nulla se non un vuoto, lo stesso che sente nella sua anima.
    Il suo popolo accettava tutto questo? Con tale serenità? Ma lei non poteva farlo.
    Perché?
    Appunto. Non c'era un perché. Non riusciva a capirlo. Aveva solo freddo, aveva solo un anima a pezzi e quel dolore l'abbracciò stretta. Nei suoi occhi non vi era la serenità fulgida di Roseline.
    I suoi occhi non riuscivano a piangere, il dolore era troppo che nemmeno le lacrime bastavano per scioglierle il nodo in gola che aveva, quel senso di vuoto che le aveva ghermito il petto. La bocca era impastata, strinse il terreno con le mani, come se volesse spaccarsi le unghie.
    Urlò al Vuoto.
    Urlò verso tutto questo come se qualcosa potesse rispondergli. Il suo popolo era qui in sacrificio? Morivano nel mondo degli spiriti scomparendo per sempre?
    Urlò ancora.

    P E R C H È




    Cos'era certezza? Cos'era il dubbio?
    Non lo sapeva più.
    Ma nel dubbio vi era una certezza: il suo popolo non doveva sacrificarsi. Non era il loro tempo. Non era il momento di farlo.
    Il dubbio era se lo stavano facendo per lei o per qualcun altro. Traviati o corrotti?
    In tutto questo vi era solo una certezza lei era lì.

    «No...non perché? La domanda è cosa volete da me e da loro?»

    Se questo mondo era l'inizio del regno degli spiriti allora perché camminava in esso pur rimanendo fedele a se stessa, alle sue certezze, ai suoi dubbi?
    Il suo popolo invece camminava verso il Vuoto svuotato da ogni cosa.
    Era giusto?
    I morti devono andare dall'altra parte ma non voleva crederci che erano tutti morti.

    Si rialzò da quel terreno umido e stavolta lo fece con una certezza granitica: in questo mondo l'unica certezza


    RIMANEVA LEI




    Il dubbio era all'interno del perché il suo popolo era lì.
    Che fosse opera di quel demone oppure illusione nel dubbio, oscurità, la certezza, <i>luce, doveva continuare ad essere.
    Ogni sacrificio, ogni volta che il suo popolo si gettava dentro l'abisso, qualcosa le strappava l'anima.
    Il dubbio.
    La certezza dovevano essere i suoi pugni e la sua volontà.
    Guardati da ciò che ti circonda, guardati da ciò che è reale e ciò che non lo è. Questo luogo è pieno di pericoli.


    Si mise davanti a quella scogliera. La sfida. Al vento? A chiunque. Oa nessuno. Importava? No. Le nocche sbiancarono.
    Se fosse servito avrebbe distrutto questo. Si sarebbe lanciata lei stessa perché se la volevano bastava che glielo dicessero.
    Una Mambo non accetta sacrificio alcuno che non sia il suo.

    «Ma qualsiasi cosa vogliate, chiunque voi siate, a chiunque io stia parlando, Dio o Demone, Loa o Guedè...»

    Nel dubbio di questa storia la certezza erano i passi che l'avevano condotta qui.
    Nel dubbio di questo mondo rispondeva la certezza di Gaelle.
    Al dubbio che aveva dentro rispondeva la sua volontà di proseguire. Di proteggere chi stava dando tutto per questo cammino.
    Perché l'Abisso è un mostro che divora ogni certezza. Perché questa scogliera rappresenta nonla fine di un viaggio.
    Non il suo né del suo popolo.

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    «Io sono qui.»



    E questa era l'unica sua certezza.

  10. .

    «Ti amo perché sono io

    Amaterasu o Harlan erano solo significati, nomi, pennellate di colore su di una tela molto più grande, parole di una storia più grande di loro, che si legavano a miliardi di altre ma che alla fine, risalendo sempre di più, portavano ad un unicum.
    I loro cuori avevano iniziato i loro battiti all'Inizio. Avrebbero esalato il loro ultimo respiro alla Fine.
    Amaterasu amava Chernobog e così fece Harlan con Audatia perché legati da qualcosa di più grande che si perdeva nell'atto della Creazione di entrambi.

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    Unmei no akai ito




    Un filo che li legava da qui alla Fine di Tutto. Un filo rosso. Un filo che non poteva essere spezzato da qualunque forza vi fosse in questo universo. Forse nemmeno da G.E.A stessa, loro madre e creatrice.

    «Mi ami perché sei tu, no? I sentimenti non ti appartengono dici ma non è così. Accogli tutto dentro di te. Queste anime, i loro sogni, la rabbia e l'amore che avevano dentro, speranze, paura. Li custodisci dentro di te per questo non fai trapelare i tuoi. Non ti è permesso.
    La Fine è chiudere un libro, il libro che tutti noi abbiamo scritto con le nostre azioni e lo conosci bene. Meglio anche di chi l'ha scritto. Perché, come un attento bibliotecario, li conservi qui e qui »


    Sfiorò prima la sua mente e poi il cuore.

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    «Quindi non dimentichi nulla. Tutte queste anime e il loro lento suono sono il ritmo del tuo cuore. Giusto o sbagliato, indegno o degno, non conta nulla per te. Sono uguali. E come tale giudichi e osservi accogliendo tutti noi qui allo stesso modo. Anche se non sei d'accordo con me, tu puoi leggere il libro che ho scritto fino ad oggi e capire ogni sfumatura.
    Giudicalo e fai le tue scelte.»



    Per Amaterasu era questo il ruolo di Chernobog. Un ruolo ben peggiore, ben più pesante del suo. L'Inizio non aveva remore, non aveva responsabilità se non di se stesso, se non della propria imprevedibilità. Libero anche dalle convenzioni, libero dal potere, libero da tutto e tutti poteva soffiare ovunque come il vento, scorrere nelle più profonde cavità del Creato, guardare l'Abisso colmandolo della propria risata sfrontata di chi vive e respira per la prima volta, con quell'energia tumultuosa che scorreva a dare sostanza e forma al Tutto.
    Ma Chernobog era lì quando tutto questo finiva e diventava solo silenzio. Con ancora troppo da dire, da fare ma soprattutto la cosa ben più terribile che rimaneva come macigno sulle sue spalle: emettere il giudizio quando non si voleva lasciare tutto questo.
    Aggrappandosi con le unghie e con i denti, con la rabbia e l'odio, con la paura e l'ansia terribile di aver finito, detto tutto; il libro chiudersi per sempre e rimanere ricordi che col tempo si sarebbero affievoliti per poi spegnersi del tutto nel gran firmamento del Cielo di G.E.A. Ma quelle piccole stelle rimanevano brillanti negli occhi di Chernobog che le conservava dentro di sé, non dimentico della loro luce e del loro spegnersi alla Fine.
    Accarezzò le sue mani, sapendo tutto questo, avendolo visto, mani fredde che conoscevano l'acciaio e le urla ma mai una carezza perché non vi potevano essere. Eppure oggi quelle mani accarezzavano la sua barba, le sue parole erano lievi perché la Morte non è truce, non è sguaiata a volte è dolce, a volte è calda e ci lasciamo tra le sue braccia con un sorriso misto al salato delle lacrime.
    Chernobog era tutto questo e lo accettava, lo comprendeva fin dentro le pieghe più recondite della sua anima.

    «葉見ず花見ず – hamizuhanamizu
    Il suo significato è le foglie non vedono i fiori, i fiori non vedono le foglie


    Si lasciò andare al suo tocco, guardandola in quegli occhi, rivedendo Audatia che si confondeva con la figura di Amaterasu e quel volto che fu di Harlan.

    «Io e te a volte siamo lontani seppur vicini.
    Siamo come il manjushage, il giglio del ragno rosso. Le sue foglie e i suoi fiori non s'incontrano mai...purtroppo. »


    E come tutte le leggende asiatiche, anche qui si diceva che Amaterasu tagliò i due eletti che, incontrandosi di nascosto, amandosi segretamente, avevano trasgredito all'ordine dell'Imperatrice.
    Così i fiori e le foglie del Giglio del Ragno Rosso erano destinati a non incontrarsi mai.
    Verità? Leggenda? Negli occhi arcobaleno dell'Imperatrice non si sapeva distinguere se quel purtroppo era un ammissione di colpa o se vi fosse altro.

    «Eppure grazie al gambo loro ci sono. Si guardano, si osservano e insieme fanno questo spettacolo che mi ha sempre affascinato.
    Non s'incontrano mai? Eppure partono loro stessi da una stessa matrice. Si incontrano in luoghi dove la vista non può vedere, dove solamente se guardi davvero puoi vedere la Realtà.
    Io e te siamo come questo fiore.
    E non potrò mai sparire finché ci sei tu a conservarmi nel tuo cuore.
    Così come questo vale per te. Finché ci sono io tu non sarai mai troppo lontana da me.»


    Le sfiorò i lineamenti del volto, il contorno degli occhi, le sopracciglia perdendosi tra i suoi capelli.

    «Io non sparisco mai. Mi prendo solo una pausa per dormire. »

    Le sue mani andarono alla collana che portava al collo.
    Yasakani no Magatama. Quella collana era qualcosa a cui si era legata da tempo. Vuoi per ricordo, vuoi perché amò le mani che la forgiarono e il significato che portavano con sé. Il modo umano per definire la sua sovranità degli elementi.
    Pietre preziose che adornavano il capo dell'Imperatrice della Creazione.
    Per poter spiegare questo alcuni fabbri crearono questo capolavoro. Magatane di oro e argento purissimo, rubini e zaffiri che brillavano di una luce che sembrava accendersi in ognuna di esse, passando dall'una all'altra in un modo innaturale.
    Era come guardare un arcobaleno, era come se avessero tentato di imbrigliare la luce e il colore degli occhi dell'Araldo della Creazione.
    Ogni gemma brillava di rimando all'altra.

    «Questa è per te.
    Così se mai non dovessi esserci forse non porterai tutta questa morte.
    E se non dovessi esserci, guiderai la mia corte nella battaglia contro la Corruzione. Credo che tu possa fare molto di più di quello che potrei fare io. E se porterai questa collana ci sarò anche io vicino a te.
    In ricordo di tutti loro che sono morti e dei troppi che verranno qui ancora a causa di tutto questo.
    Ricorda che sei il martello della madre. Il Giudice Ultimo, la tua parola è potente. Portiamo tutti loro tra le braccia della madre e che questo mondo si ricordi che si regge sulle nostre spalle e di nessun altro.
    Fai quello che reputi giusto io sarò con te ovunque. Tra infinite vite, in infiniti universi questo filo mi ricondurrà sempre da te e non sarai mai sola in tutto quello che affronterai. É una promessa.»


    Harlan fu Amaterasu. Cercando Chernobog. La slamandra si tramutò in Drago per poter ritornare da suo fratello, suo amante, suo amico.
    Suo Tutto. E così sarebbe stato fino a che questa Realtà non si sarebbe squassata del tutto.
    Chissà forse Amaterasu era già sul viale verso Ama No Iwato, forse il sole fino a quel momento splendente nel cielo, si stava lentamente spegnendo andando a dormire al di là dell'orizzonte.

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    E mai lo sarebbe stato. E prendendo le mani di Chernobog iniziò a danzare.
    Perché così fu quando aprì i suoi occhi nella Creazione, così fu quando incontrò gli elementi, così era quando combatteva con Kusanagi.
    Danzare sul filo dell'acciaio, sul vento, sulle onde, danzando tra i guizzi del fuoco e lo smottamento della terra.
    Danzare. All'inizio non lo sapeva fare...poi imparò in un tempo in cui era più giovane e più stupida.
    Quando cercava un quid che non avrebbe mai trovato perché non era nel suo destino, nella sua creazione trovarlo ma solo sfiorarlo per poi ricominciare.

    «Danziamo un'ultima volta tra i Sakura...»
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    «E l'Higanbana.»


  11. .

    Tutto quello che vediamo,quello che sembriamo, non è che un sogno dentro un sogno.



    Gaelle era il sogno di qualcuno? Non era che la protagonista, o la comparsa, di chi ora dormiva nel proprio letto lasciando che i sogni formassero nuovi mondi e nuove storie?
    Quel mondo si sgretolava, come quell'essere.
    Tutto è in frantumi, schegge come stelle che attraversavano spazi indefiniti in eoni di tempo. Cade in ginocchio sentendo freddo. Un freddo innaturale, la mano appoggiata a terra, l'altra a tenersi il petto. Non riusciva a respirare, si sentiva come vuota, si sentiva come se qualcuno l'avesse strappata, come se la stiracchiasse sempre di più sentendo che qualcosa si strappava lungo bordi indefiniti del suo essere.
    Come se ritagliassero sempre più quello che fosse, quella cosa che ora sputava un grumo di saliva e muco, tossendo senza sosta chiamata Gaelle
    E tutto muta intorno a lei, dentro di lei, come se in questa gabbia fatta di vetri e specchi i sogni fossero divenuti incubi o peggio come se chi stava sognando di colpo si fosse svegliato.
    Eppure rimane il dolore. Rimane questo freddo che fa si che le sue dita siano come stalagmiti, persino portarle sotto le ascelle non serve, persino cercando di sfregarle l'una contro l'altra non attenua quel freddo e questa stanchezza.
    Sul suo corpo non vi sono ferite...ma quante ne abbia ricevuto il suo spirito rimane un mistero. Questa era una prova non solo fisica ma spirituale; il suo spirito, la sua determinazione, la volontà e quanto per queste fosse disposta a perdere, a rischiare erano messe alla prova.
    Aveva scelto non il potere ma qualcosa di molto più complesso e difficile. Aveva scelto di incamminarsi su di un cammino che l'avrebbe portata sempre più a fondo se stessa e a quello che era stata, per poter diventare qualcos'altro.
    Un percorso di crescita fatto di sofferenza ma anche di volontà. Salire gli scalini di una scala invisibile per portarla...non lo sapeva.
    Poteva solo mettere un piede davanti all'altro andando in avanti. Anche adesso.
    Il mondo era il suo...sperava fosse il suo. Quanto tempo era passato? Chi era lei adesso? Era la stessa? Era qualcos'altro? Un'altra persona?
    Il respiro affannoso. Lo sforzo si fa sentire, persino mettere a fuco questo mondo è difficile, persino riuscire a pensare sembra uno sforzo al di là della sua portata.
    E alzando gli occhi trova i suoi. Ma questa volta li vede. Li sente su di sé e dentro di lei. Vede l'iride specchiandocisi dentro, mentre i ricordi affiorano come spruzzi di stelle in quegli stessi occhi di chi era stato suo amico.
    Che è ancora il suo amico. La persona con cui aveva curato le sue ferite, la persona con cui parlare, di prenderla per mano quando cadeva e quando i singhiozzi gonfiavano la gola.
    Jean era di nuovo lì. Anche se non era questo il suo posto e forse non lo era mai stato. Forse questo mondo lo aveva schiacciato, forse lui stesso lo aveva fatto con la sua depressione, con la sua sensibilità. E il mondo lo aveva ripagato con il gelo del silenzio e della noncuranza.
    Chissà come sarebbe andata se lei avesse fatto le scelte giuste.
    Ma esistevano giuste?
    O forse solo intenzioni perfette?

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    «Ora sei tu. Ora ti vedo



    E divenne egoista, mentre le lacrime rigavano le sue guance lavando la disperazione e portando via con sé, come un fiume fa con i detriti, i dubbi e le colpe.
    Strinse la sua mano perché ora che lo aveva ritrovato non voleva lasciarlo.
    Perchè?
    Era così dannatamente ingiusto che proprio adesso, proprio ora dovessero di nuovo separarsi per sempre. Ora che si erano di nuovo sfiorati, ora che le loro anime, seppur labile e per un momento, avevano danzato insieme. Ma leggeri e delicati come acquarelli su di una tela ruvidi, come il tocco delle labbra di lui sulle sue e chiuse gli occhi per un momento con la paura che riaprendoli non vi fosse più.
    I singhiozzi e le lacrime sono violenti come tempesta.
    Come se avesse bisogno di questo. Troppo a lungo le aveva tenute dentro di sé e, ora libere finalmente di straripare, portavano via con sé il dolore che silenziosamente aveva lasciato che covasse dentro di lei, mettendosi una maschera e lasciando andare la vera se stessa.
    La vera Gaelle era la donna che teneva la mano del suo amico piangendo con un sorriso misto al sale delle lacrime, scossa dai singhiozzi.

    «Sarai con me fino all'ultimo. T raggiungerò alla fine dei giorni e berremo ancora insieme.»

    E strinse quella mano più forte mentre Jean stava sparendo, come se il suo essere fosse fatto di sabbia e ad ogni colpo di vento ne portasse via un pezzo sempre di più. Eppure non lasciò nemmeno adesso quella mano, neppure adesso smise di piangere.
    La malinconia era miele mischiato all'aceto. La gioia mista alla tristezza. Una lacrime scendere ad accarezzare il lieve sorriso sul suo viso.

    The ocean, it weeps today
    A breeze from the distance is calling your name
    Unfurl your black wings and wait
    Across the horizon, it's coming to sweep you away
    It's coming to sweep you away
    Let the wind carry you home
    Jean, fly away




    Le dita che si sfiorano mentre Jean non c'è più.
    Ma era davvero Jean o era un illusione? Forse quello prima non lui, non il suo Jean che sparendo aveva ancora una volta pensato a lei e non a se stesso. Come troppe volte aveva fatto nella vita.
    Quanti ancora dovevano perdere tutto per lei?
    Quanti ancora dovevano farle da scudo per permetterle di essere?

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    «Con queste mani, con le mie scelte mai fatte, rimandate, con la mia incapacità e paura ho causato questo.»



    Le responsabilità esigeva un dazio da pagare quando non era presa sul serio, il potere che sorgeva da essa doveva essere sfruttato secondo coscienza e con maturità assolute. Perché da ogni non scelta molti potevano essere quelli che soffrivano. L'inettitudine di pochi non doveva coinvolgere chi non 'entrava nulla con la nostra ignavia.
    Jean aveva pagato...ed ora di fronte a lei si dipanavano due strade.
    Scelte che non aveva mai fatto era il momento in cui questo luogo le metteva di forza di fronte a sé.


    Da bambina aspettavi, guardando lontano. Ma sapevi da sempre che saresti tu mentre gli altri giocavano divertendosi lontani dalla responsabilità che già gravava sulle tue spalle.
    Da giovane, la notte rimanevi sveglia a pensare a tutte le cose che avresti cambiato, persino te stessa, ma poi si era rivelato solo un sogno dentro un altro.
    Non scappare




    Si alzò a fatica. Il pugno serrato. Questo luogo, qualsiasi cosa fosse, in qualsiasi mondo, universo si trovasse lo avrebbe lasciato.
    Si guardò le mani, mani che ora dovevano afferrare la scelta farla propria e difenderla fino alla morte e oltre.
    Alzò lo sguardo alla scelta. Il suo potere era cresciuto. Non era un sogno lo sentiva dentro di lei, lo aveva avvertito netto che pulsava all'unisono con il suo cuore, perfetti entrambi in armonia assoluta. Il suo cuore era la musica su cui quel potere danzava; il ritmo dell'uno era il passo dell'altro.
    Gli spiriti dei suoi antenati, della sua famiglia, i Loa l'avevano accompagnata fino a qui. Haiti e il suo popolo le avevano affidato la propria speranza che veniva inghiottita da un abisso in cui non riuscivano più a discernere la sua luce.
    Il suo compito quale doveva essere? Questo luogo cosa voleva da lei? Dove doveva essere condotta?
    Ma per la prima volta voleva davvero essere come il suo windsurf e farsi trasportare dal vento seguendo il suo soffio? Voleva davvero questo o voleva per una volta essere lei il vento e governarlo secondo la propria volontà?
    Farsi spingere e al contempo spingere...

    essere come un onda che spinge ma senza l'oceano non può essere. Questo luogo la stava distruggendo, la stava martoriando, aveva usato Jean o Jean era chiuso in questo luogo schiavo di se stesso e delle sue paure?
    Cos'era reale' Cos'era il sogno e l'illusione?
    Ora non poteva farsi spingere dagli altri. Non poteva ascoltare il canto dei Loa, non poteva cercare sua nonna e sua madre doveva fare affidamento su se stessa e sul suo potere. Doveva essere onda e oceano contemporaneamente.

    Forgia te stessa
    Dalla Polvere
    Ferro



    O forgiava se stessa, muovendosi oltre questa Gaelle che aveva costruito negli anni, o si sarebbe persa in se stessa e in questo mondo per sempre. Il potere, qualsiasi cosa fosse, era dentro di lei e domandarsi i perché proprio adesso o perché in questo mondo e ora sarebbero state domande fuorvianti e senza risposta.
    Il potere arriva quando si è pronti. E lei non lo era. Non fino adesso.
    Quel potere andava usato. Andava non preservato ma spolpato fino all'osso e anche oltre per proteggere, per combattere, perché era scappata ma ora non poteva e voleva più farlo.
    Svincolarsi da quello che era stata, dalle catene che si era imposto e scorrere. Oceano e Onda.

    DAL SOGNO SVEGLIARSI PER GUARDARE LA REALTÀ OLTRE IL VELO



    I suoi occhi dovevano essere questo.
    Illuminare.
    I pericoli, l'oscurità, continuare a discernere la verità dalla menzogna per continuare a spingersi in avanti, salire sempre di più, facendo si che Haiti venga protetto e il suo popolo la seguisse.
    Forse rimaneva egoista. Forse lo faceva per Jean, forse era un cammino di redenzione, di purificare il suo peccato, ma avrebbe sfruttato tutto quello che aveva, tutta la forza che poteva generare il suo cuore, persino i suoi sbagli, persino il veleno che la vita gli aveva iniettato con aghi invisibili, con l'amore, con l'esempio, con la forza del suo popolo e degli spiriti.
    Tutto questo faceva parte di lei e lo avrebbe usato.

    SOTTERRA I TUOI DEMONI E ABBATTI I MURI



    Al di sotto della sua anima, un milione di voci in questo buio stavano urlando di fermarsi ora.
    E guardò quella scogliera.

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    Gli occhi erano ancora rossi, ancora le lacrime non si erano asciugate sul suo viso, ancora la paura di questo luogo, di quell'essere le accarezzava la schiena con un punteruolo fatto di ghiaccio e dubbio. Ancora il primo passo.
    La scelta era davanti a lei così come lo fu per Ercole al bivio della sua vita. Per divenire eroe o semplice uomo.
    Ma Ercole era figlio di Dei, lei era solo una donna semplice, con una normalissima storia eppure questo potere era suo, venuto a lei ed ora doveva scegliere. Il dubbio e l'incertezza questa era la prima prova.
    Con queste ci aveva convissuto era ora di liberarsene.
    Il respiro fu più profondo dell'ultimo. Ma fu libero.
    Per la prima volta non era il vento del dubbio a guidarla, ora era lei a muoversi come quando da bambina cavalcava le onde con suo windsurf...tutto era sempre stato in mano sua. Ma non aveva fatto altro che non muoversi. Così facendo il vento l'aveva portata ovunque.
    Sbagliando.
    Il mondo era caduto da qualcosa che era emersa da chissà quale buco infernale, i mostri che si combattevano , lo stesso che aveva affrontato, si annidavano oltre la luce, lì in un oscurità peciosa. Doveva avere quel tipo di forza.
    Doveva essere quella luce. Poter illuminare i demoni e <i>vederli
    Si diceva che se guardavi nell'abisso alla fine era l'abisso che guardava dentro di te. Abusata questa citazione. Per dire che guardare il nero non era facile, perché si è riguardati a propria volta. Ma non superficialmente ma all'interno. Lei l'aveva vista sempre come un modo per non scappare. Bisognava affrontare il nero che c'era fuori e quello che avevamo all'interno. Se scappavi dal primo il secondo si fortificava. Bisognava solo guardare l'abisso ma anche quello che avevamo dentro e sostenere lo sguardo di entrambi.
    lei voleva quella forza.
    Guardare l'abisso e sostenere lo sguardo, lasciando che la guardasse al di dentro rimanendo accecato dalla luce che portava. Perché erano state proprio le tenebre, che aveva conosciuto, il dolore, lo sbaglio a fortificarla sempre di più.

    «Dominerò i mostri nella mia testa e in ogni luogo. Sarà così che ritornerò in questo mondo devastato.
    Bisogna essere una luce perché senza tutti si perdono. Qualcuno deve continuare a tenere accesa questa fiamma.»




    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO:
    Danni Alti + Medi a spirito

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITÀ: Cosmo, Telecinesi, Illusioni Ambientali

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    Scelgo la scogliera. Andiamo in fondo all'abisso e cerchiamo di riemergere
  12. .

    La creatura immonda, con i suoi specchi e la sua carcassa di fetore e oscenità è la paura che si manifesta davanti a noi, dura e cruda. Maledetta. Senza fronzoli, senza miele ad addolcire il gusto di merda che raschia la gola facendoci vomitare.
    Gaelle affrontava quello che, sordido, aveva attecchito nel suo cuore, come un cancro in attesa di poterla divorare.
    O di poter riemergere dal fondo.
    Perché questa lotta non era contro un nemico ma contro se stessa, contro quelle che erano state le sue azioni passate che, nel bene e nel male, avevano forgiato la donna di oggi. Ma non le aveva mai permesso di uscire, di darsi il tempo di ricordare, di darsi il tempo per scendere a patti con se stessa. Aveva solo fatto finta di nulla, continuando a fingere che le sue ferite si fossero rimarginate e invece non era mai riuscita ad essere più di una ragazzina spaventata.
    Le paure erano state così subdole che avevano solo aspettato il momento in cui la sua vulnerabilità fosse al limite, per poi spezzarla e farla andare in frantumi.
    Jean era stato solo il sasso con cui rompere questo sottile vetro che lei aveva creato che rimandava l'immagine che lei voleva. Non quella reale. L'Illusione di lei.
    Quella partorita dalla sua mente per poter resistere, per poter proseguire. Fingere e convincersi che l'illusione fosse reale...sulle prime ancora sapeva che dietro lo specchio vi era la verità ma poi, col tempo e l'abitudine, persino l'illusione si era fatta granitica e la sua mente, ma sopratutto l'anima, credevano che fosse stato sempre così.
    Più semplice il giudizio. Più clemente la corte. Più leggera la pena.
    Ma non c’era fine all’illusione. La vita rimaneva un susseguirsi di stati d’animo, come se fosse un filo di perle, che quando si passava attraverso di essi, si dimostravano essere delle lenti colorate che dipingevano il mondo con le loro tinte, ciascuno mostrando solo quello che era contenuto nel suo raggio focale.
    Un raggio molto piccolo. Ma che si faceva mondo in alcuni casi e ci inglobava fino ad inghiottirci.
    Ma spalancando la camera degli orrori che per troppo tempo aveva chiuso, facendo finta di nulla, ora e oggi stava combattendo proprio con quei stessi demoni.

    Silently we wander
    Into this void of consequence
    My shade will always haunt her
    But she will be my guiding light



    Ma a volte l'Illusione è peggiore. A volte non è solo dentro di noi ma al di fuori. A volte plasma la nostra Realtà, le nostre sensazioni facendoci ballare al suo ritmo, mentre una risata accompagna i nostri dolori. L'Illusione è sopratutto l'inganno.
    Un'arte sottile. Un'arte che usa le nostre paure, le nostre inclinazioni, le nostre piccole crepe per poterci far sprofondare in un pantano sudicio e nero.
    Gaelle combatteva ma, come una marionetta, era stata mossa da mani e braccia invisibili. Le sue lacrime da una mano, la sua rabbia dall'altra, la sua battaglia da un'altra ancora. Quinta teatrale perfetta per tale spettacolo di merda dove far danzare Gaelle facendola sprofondare e poi toglierli tutto.
    Anche la speranza di essere lei a decidere i passi di tale melodia.
    Come templi d'oro che si sgretolano, le sue certezze si fanno vacue e i suoi occhi rimangono fissi di contro a mani che suonano melodie dove il suo libero arbitrio veniva soffocato dolcemente.

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    Se danzi col diavolo, il diavolo non cambia. E' il diavolo che cambia te



    E quando l'inganno si mostrò, quando le maschere caddero, cadde anche lei.
    Tutto è in frantumi ma l'unica cosa che sembra non andare in frantumi è quella canzone nella sua testa, quel cuore che batte, questa sensazione di onda che si accavalla all'infinito divenendo maremoto.
    Le mani sorgono dall'ombra inquietante che si sono fatte grembo materno per nasconderle alla sua vista, per farla sprofondare ancora più in basso in quella disperazione che questo posto trasuda, accarezzando viscido la sua pelle d'ebano.
    E lei cade.

    Non c'è eroismo in questa storia. Non c'è bellezza. Non c'è nulla di più che la crudezza dei colpi che saettano verso di lei come a volerle strappare carne e anima. Pietà è un significante sconosciuto, lei è solo una bambola di pezza usata per gli scopi di chissà quale entità.
    Sente qualcosa afferragli la gamba, farle perdere l'equilibrio e poi solo le mani. Troppe. Tante.
    Sembrano colmare il suo mondo, lo soffocano, soffocano lei e il battito del suo cuore. Una diga che ferma il dirompente flusso dell'oceano che è il suo cuore.
    La sua mente captò il pericolo. Si propagò nello spazio insieme a quell'energia che continuava a montarle dentro per creare come scudi su scudi.
    Barriere intorno a lei e al suo corpo per fermare l'attacco. Per rallentare i colpi, poterli deviare, poter resistere quel tanto che basta per non sprofondare ancora.
    Ma non per lei ma per loro. Perché questa era la sua responsabilità, era il suo potere, era il suo patto sociale che aveva scelto quando accettò questa strada.
    Perché l?oceano per essere ha bisogno del fiume. Ha bisogno di ogni singola goccia d'acqua. L'Oceano è solo un contenitore affinché Tutta L'Acqua Possa Scorrere.
    Doveva resistere.
    Per loro.
    Per lei.
    Per Jean.
    Per sua nonna.
    Per tutti quelli che aveva perso. Per quelli incontrati. Per quelli dimenticati. Per quelli che ancora rimanevano nella sua vita. Lei era una mambo.
    Il vodou non era solo una religione era un modo di vivere la spiritualità. Era così debole?
    Una mano chiusa a pugno. La vide. Ma quando si abbatté su di lei fece andare in frantumi la sua coscienza.
    Sentì il suo peso sulle sue braccia già ferite,sentì il dolore essere una scarica su tutto il suo corpo, sentì la sua coscienza andare via.
    Si sentì come svuotata da ogni energia, da ogni volontà come se l'oceano che era la sua anima si fosse seccato e al suo posto non ci fosse null'altro che un arido deserto.
    Crepe sulla roccia che un giorno accoglieva l'acqua del suo popolo, così il suo corpo era piegato e spezzato. Una ferita sanguinolenta sulla tempia sinistra, mentre il sangue le scendeva lento sul viso a macchiarlo di rosso. La sua pelle aveva lividi, le sue ossa erano piegate o rotte, respirare faceva male e l'incoscienza era un abbraccio così caldo da divenire conforto e suadente al tempo stesso.
    La proteggeva dal dolore, dalle lacrime che si erano seccate sulle guance che si mischiavano ora al sangue che le scendeva dal taglio sulla tempia.
    Come poteva vincere?
    Ma lo voleva davvero?
    Voleva solo chiudere i suoi occhi e lasciarsi andare del tutto, cullata dall'incoscienza come onde calme che la portavano al largo verso un orizzonte sereno dove il sole, quieto, sonnecchiava sulla linea dell'oceano mischiando cielo e acqua e i suoi raggi infiammavano le onde come se fuoco e acqua fossero tutt'uno.

    E nell'incoscienza l'incubo prese forma.
    Macchia scura su quell'orizzonte sereno che si allargò a ricoprire tutto con il suo livore e come un pus tutto contamina.
    Anche lei ne era vinta e sopraffatta.

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    Ālavaka



    Qualsiasi guedè fosse era al di là delle sue possibilità. Non era all'altezza di proteggere Haiti. Non era all'altezza di poter prendere il posto di sua nonna, non era capace di poter fronteggiare l'inganno e la paura che albergavano nel suo cuore, come poteva tentare di sconfiggere questo?
    Baron Samedi le aveva mandato contro il suo cacciatore.
    Le aveva mandato il segugio più brutale che non l'avrebbe mai lasciata andare fino a quando non avrebbe succhiato, oltre al midolle, persino l'anima dalle sue ossa. Si sarebbe cibato di lei e delle sue speranze lasciandola marcire nell'indifferenza del nero, ridotta solo a pochi brandelli di quello che fu.
    Patetica.
    Grigia mambo senza ricordo se non l'ultimo e il più brutale.
    Quello che i suoi occhi ormai stanchi stavano vedendo.
    Spezzata.
    Spogliata di qualsiasi cosa.


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    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    E ancora quella musica nel suo cuore. Spogliata delle certezze cosa rimaneva se non quella musica?
    Spogliata della sua essenza rimaneva quello che era davvero?

    Anche i più bravi commettono errori. I migliori se ne assumono la responsabilità. Ricordatelo Gaelle



    Ricordare.
    Che cosa? I rimpianti? I dubbi? Le poche certezze? Oppure accettarsi e accettare gli sbagli come prove per poter camminare? Anche adesso era una prova in effetti. Ma più contro un mostro, contro quel mostro che si annidava in profondità del suo cuore. Quegli stessi sbagli che ora si erano mostrarti. Ogni mano uno sbaglio.
    Ogni colpo il dolore che aveva evitato fuggendo.
    Non doveva guardare più al di fuori ma al di dentro.
    Doveva affrontare se stessa, doveva affrontare il mostro perché se non riusciva ad andare avanti nemmeno adesso poteva sperare di riuscire ad uscirne da questo inferno.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.




    L'onda non doveva arrestarsi. Nell'Oceano di se stessa doveva immergersi per trovare il suo fondo, la sua fine e la sua rinascita attraverso una nuova consapevolezza. Lei e il suo popolo fluivano l'una nell'altro.
    I Loa, Haiti, lei stessa erano l'Oceano che continuava a fluire costantemente. Tutto interagiva costantemente con ogni altra, esercitando una profonda influenza reciproca. Prendersi per mano e danzare facendo si che ogni cuore batta con l'altro, che il ritmo di uno sia la fine e l'inizio del ritmo dell'altro.
    Non doveva essere l'Oceano che inghiotte e accoglie. Non solamente questo doveva essere. Perché non sarebbe riuscita ad accrescere, accrescersi e a migliorare.
    Era stata passiva. La verità è che pensando di divenire l'Oceano che accoglieva Haiti e il suo popolo sarebbe bastato.
    No.
    Ora era chiaro che per vincere doveva vincere se stessa. Doveva non perdonarsi ma accettare gli sbagli e farli essere coscienza con cui aiutarsi nel percorso. Poter capire le responsabilità e aiutare senza essere passiva ama attiva nel suo incidere.
    L'Onda era tale perché vi era l'Oceano a formarla. Lei doveva continuare a cavalcare per avere una nuova percezione di sé

    un ingranaggio per agire in modo benefico anche nelle vite altrui.



    Non fuggire ma diventare parte. Non isolarsi ma accogliere.
    La sua mente doveva aprirsi così come lei al Tutto, capendo che gli sbagli erano stati i mattoni con cui aveva costruito questa Gaelle. Diversa dalla precedente ma uguale. Perché essere una mambo significava anche questo.

    Abbracciare il tuo scopo, con la pazienza e il sacrificio che ne derivano, vuol dire assicurarti che verrà il tuo giorno



    «Oggi...»

    Era quel giorno.
    Aveva il corpo a pezzi, aveva il gusto ferroso in bocca, la gente girava e la sensazione del vomito non la lasciava. Il mondo era diventato caotico ma lei rimaneva, doveva rimanere, un punto fisso.
    Sputò per terra un grumo di sangue e saliva, mentre la tosse le scuoteva i polmoni e da terra alzò il suo sguardo.
    Lui era lì. Pronto a divorarla. Lei doveva essere pronta a fronteggiarlo per la prima volta libera dai legacci imposta da se stessa. Libera di far fluire l'onda del suo cuore.
    Libera.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    Per trovare la luce, alla fine della notte doveva passare per questo liquame. Doveva attraversare tutto questo.
    E come poter attraversare il diluvio?
    Attraverso la convinzione si poteva attraversare il diluvio.
    Lasciarsi andare all'onda, lasciar fluire questa energia. Non sfruttarla ma facendosi sfruttare, farsi spingere in avanti placidamente.
    Essere uno strumento per gli altri e per farlo doveva superare i suoi limiti e lui.
    La sua mente era intatta, la sua forza anche doveva solo affidarsi ad essa e lasciarsi spingere.
    I veve erano dentro di lei, la forza dei Loa la guidavano.
    La magia nera...un tempo credeva alla superstizione. Impossibile che qualcuno potesse guidare le cose con la forza del pensiero o praticare la magia.
    Eppure lei stava facendo lo stesso.
    Doveva solo varcare la soglia. Un conto è sapere la strada giusta, altra cosa è imboccarla, vero Gaelle?

    Cercò di rimettersi in piedi. Di uscire dal pantano. La ferita alla testa, il sangue, il dolore, la smorfia di rabbia e di dolore mischiati insieme. Il pugno sinistro chiuso e stretto; il peso è sull'altra gamba, zoppica, fitte di dolore eppure gli occhi fissi su di lui.
    La magia delle mambo, per spaventare, per irretire, per traviare, lasciare che i loa la cavalcassero insieme alla sua forza.
    Quella magia la usò per fargli credere che le sue ferite fossero più gravi del previsto. Orchestrare una quinta teatrale al solo atto di fargli credere di aver già vinto. Voleva che vedesse il sangue, voleva che la ferita alla testa fosse più grave, che le ossa del braccio sinistro spuntassero di fuori.
    Gaelle doveva essere alla sua mercè. Tentare di fargli credere un'altra realtà delle cose.
    Da quelle stesse ferite provenire quasi un sibilo. Da esse apparire braccia mostruose. Come se quelle stesse ferite fossero il grembo di qualcosa di mostruoso che da sempre era stato dentro di lei.
    Decine di braccia, alcune mostruose, muscolose con una pelliccia irsuta a coprire le vene che pulsavano, con acuminati artigli che tentarono di saettare addosso al suo nemico, per stringerlo, bloccarlo iniziare a colpirlo.
    Come se fossero gli arti di Azeto e Baka. Gli spiriti dei defunti, che si nutrivano di sangue, furiosi, senza pietà alcuna.
    L'inganno. Questo era il suo intento. Sfruttare la sua forza mentale per far si che i suoi occhi vedessero solamente quello che lei voleva.
    Far si che il mondo si plasmasse a seconda della volontà di Gaelle.
    Poi lasciò andare la sua forza.
    Fece si che l'inganno si sciolse per mostrare la verità dietro il Velo di Maya che aveva usato.
    Ripagarlo con la stessa moneta.
    Il braccio sinistro si mosse, lasciando andare la sua forza telecinetica per tentare di colpirlo alla testa. Il movimento fu da sinistra a destra per simulare uno schiaffo a distanza. La sua forza telecinetica guidata da quel movimento avrebbe tentato di impattare con forza su quel cranio immondo.
    Per tentare di fracassare sia cranio che superbia e farlo desistere da ogni scopo.
    Lo schiaffo di una madre? No. Lo schiaffo di chi sentenzia e ordina.
    Uno schiaffo pieno di sdegno e rabbia.




    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO: Danni medi da taglio su entrambe le braccia e sulla parte alta del petto.
    Ferita da urto danni medi sulla parte alta del corpo, con alcune costole incrinate, lussazioni ginocchio sinistro e spalla destra. Trauma cranico lieve con concussione e conseguente confusione, vista annebbiata.

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITÀ: Cosmo, Telecinesi, Illusioni Ambientali

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    DIFESA: Gaelle non è una guerriera, in primis, quindi quello che sta affrontando la coglie impreparata. Oltre alla scoperta dell'illusione è la situazione che di per sé la rende ancora più vulnerabile, oltre alla sua scarsa conoscenza del combattimento.
    Per questo entra il DIV, sbilanciandola crea i presupposti per cui l'AD entra e fa male.
    Ricorrendo a telecinesi e cosmo cerca di parare i colpi che scendono a grandinata, creando uno scudo attorno a lei, le braccia vanno a coprire i punti più importanti come petto e testa, e si rannicchia in posizione difensiva come farebbero nell'MMA, per limitare i danni dell'atterramento con conseguente raffica di colpi. L'AF arriva con forza ma riesce a resistere grazie a questo scudo telecinetico ma la lascia con varie ematomi, lussazioni e un bel colpo in testa.

    ATTACCO: Illusioni Ambientali come AD+DIV. Creo un illusione ambientale di Gaelle stessa che ha delle ferite molto più profonde e gravi di quelle che ha in realtà. Questo è per fargli abbassare la guardia, fargli credere che la sua offensiva abbia avuto successo. In questo stato creo delle braccia mostruose in più che fuoriescono dalla sua schiena che tentano di acchiappare l'atavaka di turno e di pugnarlo male.
    L'AF carico di telecinesi la mano destra e colpisco da sinistra verso destra con un mega schiaffone telecinetico a distanza. Usando il movimento della mano per guidare la forza telecinetica, cerco di colpire il volto e spappolargli la scatola cranica scaricandogli questa forza sul cranio.
  13. .

    Jean non lo riconosci.
    Non è quel ragazzo spaesato, sperduto, timido e amico che avevi conosciuto nella tua gioventù. È qualcos'altro.
    Un qualcosa di distante.
    Troppo.
    Allungando una mano non saresti riuscita mai a cogliere la sfumatura di quegli occhi dorati, né le gioie e i dolori che viaggiavano sulla sua pelle raccontando una storia con un linguaggio a te indecifrabile.
    Jean era alieno.

    Non siamo pronti ad accettare ciò che si trova fuori da questo mondo se prima non riusciamo ad accettare tutto ciò che lo popola



    Ma soprattutto se non accettiamo noi stessi. Se non riusciamo a convivere con quello che eravamo stati. Una bella merda.
    Vedere Jean, non riuscire a riconoscerlo, vederlo distante nei modi, nell'atteggiamento, guardare quegli occhi perdendosi in alieni sfumature dorate che trasmettevano null'altro che il freddo, che non riusciva a colmare, ormai, quella distanza di sentimenti e di vita.
    Una vita ben diversa. Con scelte ben diverse.
    La distanza ormai era troppa.
    Ma quella dell'anima, perché quella fisica si chiuse fra di loro come una porta sbattuta con troppa violenza.
    Era ancora frastornata, istupidita da quello che le era apparso davanti, incredula se credere ai suoi sensi o se la sua mente ormai fosse divenuta un sussurro flebile.
    Il suo movimento fu fluido e anche innaturale, azzerando tutto ciò che vi fosse tra di loro e il tocco, dolce e ferroso al tempo stesso, colmò la distanza divenendo l'unica cosa fra di loro.
    E i ricordi riaffiorarono, come bolle in un calice, anche in questo momento.
    Alzando gli occhi, incontrando i suoi, la sensazione di lontananza e alienazione si mischiò a quelli che ricordava sovrapponendosi in un immagine caotica.
    Era Jean ma non lo era al tempo stesso. Non quello che lei aveva conosciuto, non quello che la giovane Gaelle ascoltava mentre suonava cercando di combattere i propri demoni.
    Non era quel tocco delicato e timido, pauroso e incerto. Le sue dita erano delicate ma trasmettevano il duro del ferro non la morbidezza di un animo gentile.
    Come dure, affilate e velenose furono le sue parole.
    E nei suoi occhi la realtà si frantuma. Schegge di vetro impazzite che turbinano attorno a lei, attorno ai due, che vorticano impazzite attorno a Gaelle stessa che non può far altro che rimanere ferma.
    I suoi occhi sono dentro Jean, schiava e succube di quegli stessi occhi mentre la Realtà si sfalda.
    Liquido argentato che scorre via attraversandola, diventando altro.
    La sua Realtà non è più. Negli occhi di Jean, la sua disperazione, la sua oscurità plasmano un nuovo mondo.
    La melma e l'oscurità sono questo mondo. Un pantano dove affoga. Più si muove più affonda.
    sabbie Mobili che l'afferrano, la trascinano in basso, in disperati abissi vuoti e silenziosi dove le sue paure l'accolgono.
    Erano lì. Attendevano in silenzio.

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    Egoista.
    La tua dolcezza è il veleno dolce come il miele



    Gaelle la mambo del suo polo non era null'altro che una bambola rotta. Spezzata in più punti, puntaspilli affondavano nella sua anima facendola affogare nella sua inettitudine.
    Per molto tempo aveva mentito a se stessa ma sopratutto agli altri. Aveva invidiato, aveva sfruttato chiunque per poter colmare un vuoto che sentiva dentro. No.
    Non era il vuoto. Era la paura. Quella stessa paura che la faceva svegliare di soprassalto la notte ma non potendo dire la verità.
    Sussurri che cercò di scacciare con il frastuono della danza. Con il frastuono della musica.
    Con qualsiasi cosa potesse farle dimenticare la verità.
    Si lei era fuggita dalla verità per poi mettersi i panni della santa, di una donna migliore di quella che fosse in realtà. Jean era il suo incubo. Era la sua paura. Il suo fallimento.
    Con la sua sola presenza aveva incrinato, spezzato e infine gettato via le sue certezze che così salde non erano mai state in realtà. Si era costruita un castello di sabbia utile per facciata, ma così fragile che era bastato un soffio, quel sussurro di ferro che divenne per lei tornado.
    Spazzando la menzogna mostrò il mostro sotto il letto.
    L'egoismo.
    Il menefreghismo.
    Jean aveva chiesto aiuto? No.
    Ma c'era bisogno di dirlo? Non poteva capirlo e basta' Poteva guardarlo, poteva interessarsi di più, senza essere presa troppo da se stessa.
    credere che i suoi fossero gli unici problemi. Non un'amica. Non una donna.
    Solo qualcosa che si arrampicava per sopravvivere. Facile.
    Questo era.
    Questo aveva fatto.
    Nuda dalla menzogna con cui aveva cucito la sua realtà ora doveva affrontarla e pagarne le conseguenze.
    Cercò di gridare ma il silenzio fu risposta. Affondava. Le mani in alto a cercare quegli stessi appigli, stupidi e vani, con cui aggrapparsi per non affogare. Ma non c'erano. Non c'erano mai stati.
    Oggi pagava nella maniera più terribile di tutte.
    Nuda e fragile spariva nel nero dell'inconsistenza e dell'ignavia.
    Aveva detto cose ma senza crederci. No...le aveva dette rispettando un copione perché questo doveva fare per colmare il vuoto.
    Non potendo sfuggirli aveva cercato di fermarsi e fare quello che ci si aspettava da lei.
    Pece attorno a lei, melma e liquami la tenevano ferma mentre il mostro si ergeva di fronte a lei.

    E là, senza più muoversi, rimane esso a guardare, fermo sul busto oscuro, come se fosse al limitar dell'uscio dell'anima di Gaelle.
    Disegnano nessun ombra su nessun pavimento, mentre gli specchi di cui le sei paia di ali sono adorne, rimandano deformi Gaelle.
    Come anime che da quell'ombra lunga ed enorme come il vuoto di questo mondo non potranno mai essere libere.
    Gaelle che era schiava delle sue paure, dei suoi errori, della sua disperazione, del proprio tormento interiore che non conduceva null'altro che alla fine di se stessa.
    Alla gabbia che, sancita dagli specchi, aveva posto su di lei la fine della storia.
    E più si dibatteva, più urlava, più il nero liquame l'avviluppava stringendole le forme, soffocandola costringendola a guardare ancora e ancora quello che doveva essere.
    Il vero mostro.


    I know the things you wanted, they're not what you have
    With all the people talkin', it's drivin' you mad
    If I was standin' by you, how would you feel?




    Sprofondare e basta. Più guardava quegli specchi e più riconosceva se stessa in ogni linea, in ogni lacrima, in ogni ferita e sangue versato, in ogni oncia di disperazione, rannicchiata in un angolo o urlando spaccandosi le nocche al muro.

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    «Ecco la verità che nascondevo. Questo è quello che sono.»



    Andò in frantumi. La voce poco più di un flebile sussurro, parole esalate con l'ultimo respiro prima di essere soffocate dal dolore e dallo sbaglio. Non si dibatte più. Frantumi come scintille illuminano il buio prima di essere ghermiti dallo stesso, attratti come un predatore famelico.
    Un attimo e tutto è di nuovo tenebra.
    La creatura si libra in volo, come falco a ghermire la preda.
    Artigli pronti a dilaniarla, a strappare luce e speranza, a farla diventare orrendo pasto con le sue ossa a sciogliersi in questo mondo divenendo parte di questo dolore e agonia.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    All'ultimo si era ricordata di questo vecchio ritornello.
    Ironia della sorte lo ballavano quando erano solo ragazzi. Dolce.
    Sarebbe sprofondata con un lieve sorriso sulle labbra. Una morte dolce come una mosca che affoghi nel miele.
    Almeno la sorte era stata quasi magnanima.
    Chiuse gli occhi.
    Non voleva vedere, voleva essere cullata da questo dolce ricordo che tenne dentro di sé per poterle far affrontare la morte.


    Eppure qualcosa pulsò. Era come una spinta.
    Era come l'onda che si infrangesse ancora e ancora sulla battigia. Era lenta ma costante. Onda dopo onda la sbattevano alla riva del giudizio e della vita. Onda dopo onda lavavano via la lordura che l'aveva avviluppata.
    Era il movimento costante di chi l'aveva accompagnata nel suo percorso.
    Perdersi e ritrovarsi?
    Oppure solo continuare a scorrere. Sapendo che gli ostacoli fanno parte di questo percorso, ma lei veniva spinta ancora e ancora. Come quel fiume che punta all'Oceano.
    Lei aveva perso. Era scappata. Aveva paura e ancora l'aveva eppure l'onda non smetteva di spingerla.
    Quella lenta canzone la scuoteva dall'interno dell'anima dove si nascondeva una scintilla primordiale appartenente all'uomo nella sua interezza lucente ma anche nella sua maledetta tenebra.
    Il suo animo si era perso. Il suo animo si era ritrovato. Ma l'onda non l'aveva mai lasciata.
    Continuando a sospingerla in avanti.
    Ancora e ancora.
    Come il fiume che continua a scavare il suo percorso. A fermarsi davanti all'ostacolo per poi ritentare ancora e ancora fino a quando un nuovo percorso nasce e il viaggio continua.


    Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
    se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
    se sai incontrarti con il Successo e la Sconfitta
    e trattare questi due impostori allo stesso modo.
    Se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
    Distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui,
    o guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
    e piegarti a ricostruirle con strumenti usurati.



    Tutto questo era è e sarebbe stata sempre.
    Aveva perso le mani di molti, di tanti altri le aveva ritrovate. Essere un Oceano aveva detto.
    Ma come poteva esserlo se rimaneva solo una pozzanghera misera? Doveva bere da quella stessa pozzanghera per migliorare.
    Perché chi eravamo non ci costringeva a rimanere tali. Accettarsi e continuare a scorrere. La lenta musica continuava a pulsare dentro di lei e i ricordi riaffiorarono, non solo scuri e grigi ma ora avevano colori e sapori e suoni.
    Non più l'angoscia del pianto o della tristezza di una stanza piena e vuota allo stesso tempo ma vi erano tavoli e risate, vi erano cose belle per le quali vivere.
    Accogliere tristezza e dolore mischiate alla gioia e alle risate come l'acqua fredda si incontra con quella calda, come l'onda scava la costa, come il fiume cerca l'Oceano nonostante la montagna davanti a lui.

    Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
    dando valore a ognuno dei sessanta secondi,
    tua è la Terra e tutto ciò che contiene



    I suoi occhi erano chiusi ma erano al tempo stesso aperti. Aperti sui ricordi, chiusi per poterli vedere meglio, aperti su quell'abominio che stava cadendo in picchiata verso di lei.
    Tutto era fermo e al tempo stesso si muoveva.
    Il cuore batteva, l'onda cresceva.
    Un secchio non poteva contenere l'acqua dell'Oceano così lei doveva ampliarsi, doveva diventare l'oceano perché l'aveva promesso a loro.
    Perché Jean era una sua responsabilità e non poteva lasciarlo così.
    Ma sopratutto non poteva lasciare Haiti. Non poteva lasciare il suo popolo e chi aveva affidato tutto a lei.
    L'onda ora era il suo cuore. I ritmi si sovrapposero divenendo una cosa sola.

    Constant movement is our life
    Can't stop no more, not until we die
    We long for more eternity, and maybe there's another life
    This one is short, no matter how you try



    Doveva guardare il suo nemico negli occhi, guardare le Gaelle disperate perché solo così avrebbe potuto riprendersi se stessa.
    Far montare, onda dopo onda, il ritmo che aveva dentro il cuore fino a farlo diventare un maremoto senza freni.
    Trasportata dall'onda ora doveva essere lei a guidarla.
    Il suo viaggio...aveva dimenticato i perché era lì. Jean faceva parte del passato e il passato non poteva e doveva avere presa su di noi e le scelte che potevamo fare.
    Poteva essere una di quelle Gaelle eppure non lo era.
    Poteva essere tutt'altro, poteva aver venduto se stessa elquello che era vivendo nella menzogna eppure non lo aveva fatto. Ogni passo, giusto e sbagliato, l'aveva condotta ad oggi, a qui, in questa battaglia prima con se stessa e il passato e ora con il presente per poter proseguire.
    Come un fiume che trova la montagna, scavando a fondo nella roccia per poter vedere il cielo che vi era dall'altra parte, la donna doveva continuare.
    Lo aveva promesso.
    Ognuno di noi metteva piede in un inferno perché è spinto da qualcosa. E questo qualcosa è estraneo alla propria volontà. A volte si era costretti a farlo dalle altre persone o dal contesto in cui si viveva. Però per quelli che si spingevano così oltre lo vedevano in un modo molto diverso. Lo vivevano sulla loro pelle, sulla loro anima eppure non si fermavano. Tra fuoco e fiamme, tra dolore e sbagli riuscivano a vedervi qualcosa al di là di quell’inferno stesso. Una speranza? Oppure un altro inferno ancora.
    Non c'era una risposta perché

    Questo lo sapeva solo chi continuava ad avanzare come l'onda che si infrangeva all'infinito sulla costa.



    Lei non era un onda.

    «È la natura di una cosa che conta. Non la sua forma.»

    La sua natura non era quella delle forme malefiche che quel bastardo le stava facendo vedere.

    LEI ERA L'OCEANO



    E sentì dentro infinite onde che si accavallavano le une sulle altre. Onde come palazzi che ricadevano fragorose dentro di lei in infiniti scrosci e boati.
    Onde che si piegavano su se stesse e tra spuma e acqua sentiva il ribollir di un oceano d'energia dentro di lei.
    Sentì la sua determinazione tornare, le onde avevano lavato la lordura e la dimenticanza, l'avevano riportata alla terraferma non più persa per acqua insondabili e aliene.
    L'artiglio scese.
    Le braccia si sollevarono.
    Quella forza era dentro di lei, la sentiva pulsare, con un fragore impetuoso, con un ritmo violento, doveva danzare a questo ritmo. Il suo corpo muoversi con esso e per esso, assecondare l'onda e il suo frastuono. Sentire la sua potenza e lasciarsi andare ad essa. Cavalcare la sua forza sentendo ogni movimento, sentendo gli schizzi d'acqua sulla pelle, non avendone paura ma portandole il rispetto dovuto.
    Per poi scoprire che l'onda era lei.
    L'impatto.
    Le braccia si fecero onde che impattarono contro gli artigli. Il boato come il frastuono dei fiordi.
    Quell'energia traboccò divenendo scudo contro gli artigli dell'abominio.
    La preda si scopriva non debole.
    Il falco non avrebbe avuto lauto e agevole pasto.
    Oppose questa forza all'attacco, come scoglio di contro all'onda feroce; digrignò i denti, mentre sentì la potenza dell'essere venire scaraventata su di lei che si oppose con le sue forze, mentre le gambe divennero di ferro per resistere alla forza d'urto.
    Per la prima volta stava dando sfogo alla sua rabbia. Da tanto tempo che non si arrabbiava. Da tanto tempo che non lottava per qualcosa che sentiva suo e suo soltanto.
    Non voleva arretrare. Guardò l'abominio con gli occhi aperti, voleva inchiodarsi nella memoria quest'attimo, la sua forma, cos'era per non essere più manchevole. Per ricordarsi fino alla morte questo giorno.
    Il colpo la spazzò via, la ferì su entrambe le braccia e il petto.
    Sentì il fuoco delle ferite bruciare la sua pelle, il dolore e il sangue. Cercò di risollevarsi mentre il mondo girava. Il respiro affannato come quando cadeva durante le prove nella sala di danza che puzzava di sudore, sangue, cera e abnegazione mista a quella volontà di provare e riprovare ancora fino a quando i muscoli diventavano cemento armato.
    Il respiro affannoso.
    Sollevò lo sguardo.
    Era lì. Ancora.

    «Un'altra volta. Ancora...non è finita la musica.»

    Questo dolore non era nulla a quando i suoi piedi sanguinavano e doveva ballare il giorno dopo, quando i muscoli del piede erano così stressati e duri che stenderlo del tutto faceva male, come se avesse degli aghi roventi da balia conficcati fino al polpaccio e ai muscoli tibiali.
    Il respiro affannato, il dolore alle braccia, il sangue e quel gusto ferroso in bocca eppure la musica continuava dentro di lei, eppure l'onda non s'arrestava.
    Gaelle era un oceano che continuava a gonfiarsi, a muggire di rabbia.
    Era come l'Atlantico quando spazzava le coste di Haiti...respirava affannosamente. Il suo corpo lo aveva sentito in tutta la sua possanza quell'artigliata maledetta.
    Si toccò il petto. Era difficile anche alzare le braccia. Facevano male e le ferite al petto bruciavano maledettamente eppure quello che non riusciva a smettere di pensare era che voleva fermare quel bastardo.
    Lo voleva stritolare con le sue mani riducendo in pezzi quegli specchi e le deformità penose che, come maledetti gioielli di una corona, brillavano ancora davanti ai suoi occhi.
    Le sue braccia, il suo corpo, lei con l'interezza della sua essenza voleva stritolarlo e lo guardò ancora.
    Il respiro.
    Ancora uno.
    Lei e il suo nemico esistevano ora, come da ragazza esisteva solo lei e i passi di danza.
    La sbarra e le mezze punte. Le prove, continuare a ricercare la perfezione del movimento, continuare e continuare fino a che non fosse perfetto e naturale come il respirare.
    Ancora un'altra volta.
    I suoi occhi fissi nell'altro. Dentro l'altro.
    La sua mente lo voleva bloccare.
    Non seppe dire perché lo pensò. Non seppe dire perché qualcosa dentro di lei le diceva che era possibile. Non era superstizione, non era più leggenda, erano come le antiche storie sui bokor che potevano muovere con la mente oggetti e cose. Che agivano nell'ambiente circostante potendolo influenzare.
    Non erano leggende. Non erano dicerie.
    Qualcosa dentro di lei, questa forza che sentiva ribollirle dentro, era reale.
    La sua mente voleva tentare di fluire in quel mondo per tentare di diventare gabbia e catene inchiodando quel bastardo sul posto. Tentare di farlo rimanere bloccato sul posto, come se quelle ali di colpo portassero centinaia di catene pesanti ciascuna svariate tonnellate.
    Per poi stritolarlo come se fosse sotto una pressa idraulica.
    Questa potenza telecinetica l'avrebbe sfruttata per rendere questo pensiero reale.
    Sollevò le sue mani, come se stessero schiacciando qualcosa. Come se potesse avere il corpo di quel bastardo tra le sue mani, per tentare di sentire le sue ossa rompersi e la sua carne spappolarsi, diventando una frattaglia informe.
    Si la sua mente voleva tentare di schiacciarlo come in una morsa, come sotto una pressa tentando di rompergli le ossa, spappolandogli viscere e muscoli semmai ne avesse avuti. E guardarlo. I suoi occhi sarebbero divenuti gli specchi in cui poteva guardarsi soffrire. In cui poteva contorcersi dal dolore ripagandolo con il suo stesso veleno.
    Facendogli bere lo stesso calice di merda con cui l'aveva ingozzata fino ad un attimo prima.


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    La morte può avermi, quando mi guadagnerà.





    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO: Danni medi da taglio su entrambe le braccia e sulla parte alta del petto

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITà: Cosmo, Telecinesi

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    DIFESA: Grazie allo sblocco del cosmo e della telecinesi, Gaelle sfrutta il primo per potersi creare una barriera di cosmo sulle braccia, poste ad X davanti a lei, intercettando l'artigliata ma vendo sbalzata indietro perché ancora poco pratica e avvezza al controllo del cosmo, quindi anche la difesa non può essere perfetta oltre che fatta pochi istanti prima.
    Questo la porta a subire danni di entità medi sotto forma di ferite da taglio su braccia e parte alta del petto.

    ATTACCO: sfrutto la telecinesi a mò di blocco per tentare di fermare il mio nemico, impedendogli il movimento. Non essendo capace di usare appieno questo potere, opto per farlo in modo molto generico. Lo sfrutto in modo da creare come una pressa che tenti di limitarne i movimenti[ATTACCO DEBOLE]
    Poi passa a schiacciarlo completamente come se tentasse di torcergli, strizzare l'intero corpo[ATTACCO FORTE]
  14. .

    Bosco Del Sussurro Eterno.
    Così è questa la tua meta. Il sussurro degli spiriti nella tua anima sono stati chiari e i passi, lenti e misurati, ti conducono lì dove non avresti mai pensato di poter arrivare.
    Ma come molti passi che hai fatto in questa vita vero Gaelle? Quanti passi hai fatto e non avresti mai lontanamente pensato di poterli fare? Quante volte ti sei girata, stupita, della strada che avevi percorso e, titubante, guardavi quella di fronte chiedendoti se fosse stata fortuna oppure talento il fatto di poter essere lì, in quel preciso istante con tutta quella strada fatta.
    Sei sempre stata dubbiosa, piccola mia. Non un eroina, figuriamoci, ma una donna con poche certezze su te stessa. Orgogliosa ma sempre impaurita del primo passo.
    Il dubbio di non essere pronta, capace, intelligente, in grado di poter davvero farlo.
    Ma il coraggio quello non ti è mai mancato.
    Cammini in questo bosco, con i piedi che calpestano l'erba e l'odore di alberi mischiato a quel gelo che ti avvolge facendoti fermare. E quel Bosco diventa come quando entrasti per la prima volta in una scuola di danza.
    Avevi osservato, speranzosa e invidiosa, chi entrava, chi ballava, le borse, così come le mezze punte che alcune portavano al collo, camminando di fretta, salutando madri o nonni e entrando quelle sale silenziose che si sarebbero riempite di musica e respiri affannati, di urla e di sudore che gocciolava su parquet perfetti, specchi silenziosi e neutrali di passioni ma anche di fallimenti.
    Come il tuo. Avevi il cuore, certo, ma non i piedi. Amare qualcosa non significa poterla avere. Amarla non significa esserci portato. La si può fare certo, perché tutto si può fare, ma non riuscire in tutto.
    E ora respiri, tesoro mio, respiri come quel giorno che entrasti in sala. Non più piccola ma nemmeno un adulta, titubante, incerta, con l'ansia di non riuscire, di non essere in grado; i tuoi occhi che passavano sulle altre: corpi longilinei, il collo del piede tirato, così curvo che la sua linea prolungava quella della gamba dando armonia a tutta la figura.
    Piedi e gambe leggeri e al tempo stesso forti, che rendevano quelle figure eteree, slanciate, come pennellate d'acquarello.
    Ci volle tempo, vero? Per riuscire a non essere solo una linea incerta e sgraziata, ma precisa e leggera. Ma mai a raggiungere quella delicatezza – come cristallo – che avevano le sue compagne.
    Ma tentare non significa fallire. Il fallimento può sempre arrivare ma se non si prova allora è peggio, molto peggio.
    Aveva fallito.
    Il suo corpo, così sinuoso, così profondamente conturbante non poteva essere una leggera pennellata.
    Non era Salomè. La sua danza non inebriava, né tanto meno apriva a mondi nuovi perché le sue forme catturavano l'attenzione non i suoi piedi.
    Ma in questo aveva preso da sua madre e da sua nonna e quelle stesse forme, che molte le invidiavano, non le apprezzò perché furono la causa a non poter essere una ballerina di danza classica.
    Ma scoprì come la danza non si esauriva in un développé, nell'attitude, grand battement, relevé, plié, le pirouettes, il rond de jambe e molti altri. Non era solo elementi decodificati ma unità tra mente, corpo e spirito. Non si ballava per la ricerca della tecnica o della perfezione ma per esprimersi.
    Danzare significava muoversi nello spazio per armonizzarsi con il creato e con gli altri.

    Quel gelo la investì scacciando questi pensieri. Era da tempo che non pensava più ai passi fatti nel passato. Strano che proprio adesso aveva collegato questo a quando, da adolescente, varcò la sala di danza. Sentì freddo alle estremità delle dita.
    Come quel giorno.
    Pensava di essere capace di controllarsi, ormai. Ma chi nasce tondo non può morire quadrato e lei ha sempre paura di fare il primo passo. Prima deve farsi corrodere dai dubbi che mettono in luce la sua anima e la sua volontà. È come se essere dubbiosa, titubante sulla soglia della scelta le permettesse di potersi guardare e guardare meglio così di poter fare quel passo con cognizione di causa e volontà. Non perché schiava delle decisioni altrui ma solo delle sue.
    E un passo fu davanti all'altro, attutito da quel letto di muschio e foglie decomposte che sembrano quasi voler soffocare ogni suono che non fosse benaccetto in questo luogo. Nulla doveva disturbare la sacralità di un luogo al confine tra reale e fantasia, tra Materiale e Immateriale, tra veglia e sogno.
    E per la prima volta la sua figura fu come quelle pennellate d'acquarello che tanto invidiava alle sue compagne quando le loro gambe disegnavano linee che raccontavano storie.
    Si fermò per un attimo. Le sue mani sulla corteccia di un albero dal fusto grande quanto due uomini.
    Antico, forse, eppure era lì con le sue fronde a ghermire il vento dell'atlantico e le sue radici a scavare la terra di Haiti per trovare nutrienti mentre rimenava lì, certo silente, ma la sua presenza parlava anche senza che il suo linguaggio si capisse.

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    Rising up through the air
    Up ahead in the distance
    I saw a shimmering light
    My head grew heavy and my sight grew dim
    I had to stop for the night



    Lì sulla soglia di un viaggio sconosciuto vi erano percezioni e cose lontane, vi erano sussurri e una nebbia che accarezzava le sue caviglie mentre il freddo sgusciava risalendo sulle gambe provocandole un brivido. Il suo respiro più profondo mentre la mano rimase sulla corteccia.
    Un' àncora.
    Sentire un contatto rimanendo sulla soglia sapendo che senza un passo nulla si sarebbe mosso.
    Lasciò l'albero e si perse tra le fronde di quegli alberi, dove la luce si mischiava all'ombra.


    I passi si fecero incerti.

    «Dare tutto e non ricevere in cambio mai niente »


    «Mi resta solo il caos »



    Cosa ti resta Gaelle?
    Cosa sei venuta a fare in questo cazzo di posto, sperduto, lontano da tutti, da tutto, dal confortevole abbraccio di tua nonna e dalle risate della tua famiglia.
    Sei qui come mambo.
    Mambo cosa significa' Chi ti ha mai dato questo titolo, se di titolo si può parlare di un qualcosa che non t'appartiene e mai lo hai voluto.

    «Piangevi di notte»


    «la paura ancora adesso ti scava dentro. Tu hai sempre paura.»




    Si.
    La paura la provi ancora adesso.
    Quando il Mondo fu al collasso e tu non sapevi cosa fare. Guardavi tua nonna proteggere quello di cui era sua responsabilità. Allora ti maledicesti.
    Tua Nonna poteva morire perché non volevi prenderti la responsabilità di un potere che ti faceva paura. Ed ora con quale diritto ti arrogavi questa responsabilità?
    Ti sei nascosta.
    Ti sei ingannata e ingannato.

    «Il mondo fa troppo chiasso»



    Una carezza?
    Lo era davvero? Si girò di scatto.
    Si faceva chiasso questo mondo, lo diceva sempre. Sua madre faceva chiasso, i professori e tutte quelle parole del cazzo che continuavano a ripetere senza aver mai visto quello che c'era dall'altra parte.
    Nemmeno a scuola riusciva a smettere di vedere.

    «Sei stata una ribelle»


    «Perché era la corazza che ti serviva»



    Così aveva una scusa.
    Si fermò. Qualcosa c'era. Intorno a lei. Sussurri così diversi da quelli a cui era abituata. C'erano.
    Attorno a lei.
    La paura. La depressione. Il dubbio.
    Le fughe urlando.
    Il non sentirsi capiti.
    Le parole urlate a sua nonna.
    Sua madre e la sua preoccupazione. Il villaggio.
    Per una bambina di 8 anni tutto questo era troppo. Fu troppo anche a 14 anni. Di amici ne aveva pochi e forse nemmeno quei pochi poteva considerarli tali.
    Schifosi opportunisti.
    Erano amici di Gaelle o amici della mambo che poteva diventare?
    Gaelle era il tramite per sua Nonna.



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    «Sbaglio sempre io.»






    Una Gaelle bambina che sbagliava o pensava di sbagliare.
    E la Gaelle donna ridivenne come quella bambina che cercava nella danza il proprio posto nel mondo. Un mondo che non era come quello che guardavano gli altri. E cadde.
    Non la prima.


    NON L'ULTIMA




    i dubbi erano sempre stati parte di lei. Ma crescere significava dare risposta a quei dubbi. Trovare le risposte non era facile e forse non erano nemmeno quelle più giuste ma erano giuste per lei.
    Aveva sbagliato.
    Troppo.
    Ma era una bambina in un mondo vasto come l'Oceano.
    Quei sussurri scavavano la sua corazza e le sue certezze costruite negli anni.
    Perché gli sbagli servivano a costruire chi saremmo stati. Costruivano non il nostro passato ma il futuro e il presente.
    Sussurri che la conoscevano. Oh si...la conoscevano fin troppo bene. E in fondo quello che eravamo stati non potevamo cambiarlo. Né l'odio che provammo. Né la solitudine.


    «Scappa. La mambo è tua Nonna.»


    «lascialo a lei.»




    Faceva male. Il suo cuore faceva male.
    Ricordi riaffioravano con il peso delle parole che portavano con sé. Un macigno.
    Sabbie mobili che l'avevano presa trascinandola dentro se stessa e i suoi errori. Ma sapeva, e quanto lo sapeva, che fu stupida ma era solo una bambina. Non una giustificazione ma non si può di certo cambiare ciò che era stato fatto e detto.
    Poteva solo fare tesoro dei suoi errori. Perché era lì?
    Ripetilo, Gaelle.
    Ripetetelo sempre dentro di voi. Perché l'Oceano spazza qualunque cosa, portando i relitti del nostro cuore ovunque e lontani dalle spiagge che chiamiamo casa. Ci scuote, ci sbalza ovunque ed è lì che dobbiamo tenerci aggrappati a quel poco che rimane della nostra vita.
    Scoprendo che è quello più saldo, più forte e più vero. Perché è la parte che ci aiuta quando tutto è tempesta.
    Quando la depressione e la paura sono sussurri così dolci da essere miele e noi mosche che ci affoghiamo dentro.

    «Avete ragione. Sono stata sopratutto questo.
    Ma ero una bambina.»


    Nel passato. Una bambina.
    Non una donna.

    «Non è facile esserlo in un mondo normale figuriamoci quando vedi cose che gli altri non vedono. Quando senti parole, quando su di te già hai una responsabilità Mi sono sentita chiusa. Tutto già prestabilito.»


    Non aveva scelta. Doveva ballare su una musica che non era la sua. E lo doveva fare con una palla di cemento da 80kg attaccata ai piedi.
    Pensava che la vita fosse più semplice. Voleva fare le sue scelte. Voleva sbagliare. Voleva la sua strada non questa.

    «Il passato non lo posso cambiare, né le parole che ho detto.»


    Ma quella bambina non doveva esserlo. Era immatura, non aveva ancora attraversato l'Oceano. La prima volta era normale cadere, così come fu normale quando la prima onda la sbalzò dal suo windsurf in quell'estate torrida di quando aveva 15 anni.
    Aveva equilibrio ma non aveva la padronanza del mezzo.
    Nessuno nasce con la conoscenza.
    Si sbaglia perché si deve acquisire conoscenza ed esperienza. Eppure sua madre era lì di notte.
    Suo padre la tirò su rimettendola sul surf, sua nonna sorrideva mentre preparava i dolci raccontando di come il nonno la corteggiasse di nascosto dai suoi fratelli.
    Si...era stata una bambina e non tutti furono perfetti. Ma non lo fu nemmeno lei.
    Eppure fare qualcosa con quello che avevamo era nostra responsabilità.
    Suo padre rimaneva lì, con le braccia conserte, a guardarla mentre risaliva sul surf per riprendere il vento. Un'altra onda e lui era ancora lì. Non la perdeva mai di vista.
    Sua madre sopportò e il sorriso ci fu sempre. Anche quando le lacrime rigavano il volto di quella bambina con un dono che era solo un fardello. Un macigno che la rendeva strana. e lei non aveva mai avuto un carattere che affrontava le cose di petto.
    Chissà perché ricordava quell'estate.
    esattamente quella.
    Nemmeno le piaceva il windsurf, ma aveva la curiosità di provarlo e l'Oceano mise alla prova la sua curiosità. Le onde la rigettavano a riva, il vento le strappava la vela di mano, il mare era immenso e doveva imparare non a temerlo ma a rispettarlo.

    Suo padre rimaneva lì a guardarla sempre. Ogni volta le sue mani a riprenderla, con quel windsurf sgangherato.

    L'Oceano e le sue onde ancora a spazzarla via.
    Si era sempre rialzata grazie a qualcuno.
    Quelle parole a spazzare via le sue certezze ma non c'era suo padre oggi.
    Cadde ancora. Freddo.

    Però ricordava quell'estate. Quando ci riuscì a cavalcare le onde con i venti tra i capelli e la spuma tra le dita dei piedi.
    Ricordava il sorriso di suo padre e il suo saluto dalla spiaggia. Sempre lì.
    Sul bagnasciuga, sempre ritto come una quercia, sempre attento anche adesso che le onde e i venti erano un mezzo per correre sull'Oceano e sentirsi un po' più libera. Un po più Gaelle.
    Lui rimaneva sempre lì. Perché cadere lo potevamo fare sempre.
    Anche con tutta l'esperienza di questo mondo.

    L'OCEANO SPAZZA SEMPRE TUTTO E TUTTI
    È IL SUO MODO DI GIOCARE. TU GIOCA A TUA VOLTA E RESISTI ALLE ONDE.




    Quel vecchio pazzo di Baptiste. Per lui l'Oceano era come una donna. Amava mettere alla prova chi aveva l'ardire di cavalcarlo.
    Si rialzò. Tenendosi stretta il suo passato, i suoi errori, le sue paure, i suoi dubbi ma doveva essere come suo padre quella lontana estate di quasi venticinque anni fa.
    Non perdere di vista quello che aveva di più caro. Doveva essere come sua nonna che attese una donna bambina difendendoli durante la fine del mondo.

    «Non voglio che le vostre onde mi fermino.»

    Ecco che la lezione di suo padre fu più chiara ancora.
    Bisogna esserci quando si cade ma bisogna esserci anche prima della caduta. Perché l'onda può essere più forte, più subdola e anche con l'esperienza si può cadere.
    Sempre.
    Mai perdere di vista quello che avevamo di più caro. Anche sapendolo, anche sapendoci pronti ad affrontarlo non bisognava mai scordarsi di questo.
    Lei doveva essere come suo padre sul bagnasciuga.
    Era lì perché aveva qualcosa da portare a termine. Un compito. Affidato solo a lei.
    Lei era come un padre per quelli che le avevano affidato tutto.
    Lei era una mambo.
    Ma prima fu una bambina.
    Prima fu una ragazzina impaurita che cercava la sua strada in un mondo strano.
    Ora era una donna consapevole dei suoi doveri. Consapevole dei suoi errori. Ma sopratutto dei perché stava resistendo a quelle onde.
    Consapevole che il passato rimaneva tale ma non impediva di rialzarsi.
    E di tentare di cambiare le cose.
    Di migliorare.
    Perché essere una mambo era una responsabilità.
    Come lei fu una delle responsabilità di suo padre.

    E TUTTI LORO, LA SUA






    Si alzò affrontando quelle onde.
    Perché la responsabilità è un potere ben più grande di questi sussurri. Perché quella responsabilità era la sua forza. Era come quel windsurf di quando fu giovane.
    Resistere alle onde,cavalcarle perché una mambo non può arrendersi.
    Non ne ha diritto.
    La forza del suo popolo era con lei. E se la tenne stretta continuando a camminare, resistendo, rialzandosi, riprendendo fiato, non dimenticandosi mai di quella spiaggia di troppi anni fa.

    Certo che continuare a camminare, addentrandosi sempre di più nel Bosco del Sussurro Eterno, nome fin troppo calzante, non fu facile.
    Quei sussurri continuavano, e sarebbero stati eterni se non si fosse tenuta stretta quello che le avevano insegnato, accettando gli errori del passato e scendendo a patti con se stessa e con la responsabilità. Camminare non curva come sotto un peso, ma tenendo lo sguardo dritto di fronte a sé.
    In fondo l'uomo era sempre proiettato in avanti...

    Anche quando, di fronte a sé, ha un muro?


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    «Jean...»




    Si fermò come se fosse stata colpita al cuore.
    Si apre la radura di fronte a lei, si apre come una quinta teatrale perfetta per poter passare dall'Atto I all'Atto II.
    Una perfetta successione senza strappo alcuno, melodiosa da sembrare irreale, emozionante da fermarle il respiro, da farle venire il magone. Perché doveva fermare le lacrime?
    Sentiva i singhiozzi scuoterla da dentro.
    Li ricacciò al di dentro dell'anima con violenza e rabbia.
    Vederlo lì...

    «Sei davvero tu?»

    la rabbia di non esserci stata quando servì davvero.
    Uno dei suoi migliori amici.
    Lui scriveva canzoni e lei ci ballava sopra. Era un modo per entrambi di sfuggire ai propri fardelli personali.

    Hai costruito un amore ma questo amore è finito
    il tuo piccolo pezzo di paradiso si è trasformato in oscurità




    Non riusciva ad ascoltarla quella canzone, forse perché le metteva tristezza, forse perché mostrava quello che si annidava in Jean. Il sordido parassito di una depressione che lei non voleva vedere.
    Come quando fece finta di essere la sua ragazza per difenderlo dalle troppi voci che giravano sul suo conto.
    Voci che, in tempi diversi e con maturità differenti, non sarebbero state chissà cosa. Ma non erano quelle voci il problema ma la sua famiglia.
    Forse perché la normalità è negli occhi di chi la vive non di chi la osserva.
    A Gaelle non era nemmeno interessato, e su questo la sua famiglia fu più aperta e accogliente di quella di Jean.
    Una famiglia che considerava sua. Qualcuno con cui sfogarsi, con cui sentirsi vicino, perché avere troppa sensibilità è un bene ma che troppo facilmente può diventare un cappio.
    Erano ragazzi.
    Avevano i loro sogni e i loro pesi, le loro paure, i loro primi amori, le loro prime onde che li buttavano giù.
    Ognuno a suo modo cercava di resistere ma nessuno di loro fu sincero con l'altro.
    Non completamente.


    «Sono diventate parte di me.»

    La depressione, il non sentirsi capiti fino in fondo, il fuggire lontano per potersi creare un'altra strada, cercando quella spiaggia che potevamo chiamare casa dopo essere stati naufraghi in un oceano oscuro.
    Ma i pezzi che erano stati strappati e portati chissà dove furono troppi. Furono così pesanti e così insostituibili che a poco a poco quei pezzi divennero buchi nel suo animo, così profondi da inghiottirlo per sempre.
    Erano giovani.
    Lei più fortunata nei rapporti famigliari, lui no. Ma rincorrere questa stessa prova?
    Lo capiva.
    Era anche un modo per sentirsi apprezzato. Per avere il suo posto in questo mondo. Dopo tanto tempo a sentirsi solo forse la rivincita contro quella stessa vita la voleva ardentemente.

    «Avevamo promesso di esserci sempre.
    Di raccontarci tutto...ma io non sono stata sincera con te, né tu con me. Sei andato via ed io ero troppo presa dal mio fardello personale per capire, completamente, te. Le tue paure. Sopratutto quella bestia immonda detta depressione.»


    L'immaturità di una ragazza che si affaccia ai grandi problemi della vita, che cerca di navigare senza bussola in un oceano vasto come questo.
    La bussola non l'avevamo mai con noi, potevamo solo navigare a vista cercando di prendere le decisioni migliori in quel momento. Ma non c'era un modo migliore piuttosto che un altro.
    Era sempre così difficile vivere.
    E per Jean divenne angoscia e oscurità.

    «Ti ho anche maledetto, per tanto tempo.
    Perché potevi parlarmene, perché ti potevi fidare ma con quale diritto te lo avrei chiesto?
    Oggi, con un'altra testa e un'altra maturità so che avrei dovuto ascoltarti di più e mettere da parte le mie paure per poter vedere le tue.
    Dovevamo solo parlare...o forse solo suonare e danzare come facevamo a casa mia con i dolci presi da mamma e papà che ti chiedeva di rimanere a cena...»


    Fu anche questo che le insegnò la vita. Che bisogna saper ascoltare se stessi e gli altri. Che essere da soli non faceva nient'altro che affogarci nell'oscurità che c'era, purtroppo, in ognuno di noi.

    «Hai cercato questa strada ma la tua qual era? Davvero, però. Io la mia la sto ancora cercando ma riesco a sopportare quello che vedo allo specchio ogni mattina.
    Ecco perché sei stato parte del mio peso e ti chiedo perdono anche se non cambia nulla. Non cambia il passato, non cambia il futuro.
    Ma oggi lo capisco...»

  15. .

    Quanti anni sono passati?
    Ne hai memoria, Gaelle? Quando è iniziata la tua danza con gli spiriti? Quando avevi 8 anni e ne sentivi i sussurri o a 20 anni quando hai preso coscienza di tutto questo? Non che sia importante in effetti. Da bambina scapestrata, da ballerina con un mediocre talento, hai scoperto di possedere qualcosa. E quel qualcosa lo hai messo al servizio della comunità, non della tua famiglia, ma di persone sconosciute, di amici, di conoscenti, di Haiti stessa.
    Una tua responsabilità. Anche se non la volevi e quante volte ti sei nascosta tra le braccia di tua nonna; per paura, perché non capivi e, sentendoti sbagliata, hai cercato sempre di tacere, di mentire agli altri, dopo, ma prima di tutto a te stessa.

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    Guardarla ballare è ascoltare i nostri cuori parlare.



    La danza ha aiutato questa donna a coltivare i suoi sogni, a fuggire dal mondo, a far si che la propria fantasia divenisse movimento, che i piedi fossero una penna e la musica una pagina con cui poter capire se stessa. La responsabilità l'ha accettata prima di tutto con la danza. Perché? Perché la danza non insegnava solo col talento ma affiancava ad esso la grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza. Queste erano le cose che gli servivano per affrontare una responsabilità che non cercava, che non voleva ma che era sua.
    Così come le vesciche ai piedi non potevano non esserci, così la responsabilità andava accettata e presa. Aveva accettato il dolore delle vesciche, dei piedi dentro l'acqua ghiacciata, di tagli e sangue, di quando per fare un arabesque che fosse perfetto i suoi piedi sanguinarono nelle mezzepunte e nemmeno più li sentiva.
    Eppure quando il peso del corpo fu supportato da una sola gamba, mentre l'altra, con il ginocchio steso, allungata en arrière con le braccia, armoniche con il corpo, sono entrambe in allongé, ossia allungate e i suoi piedi disegnarono una linea perfetta dalla punta delle dita della mano che si trova in avanti fino alla punta del piede della gamba allungata indietro pianse di gioia.
    Non era stato facile, aveva dovuto sudare, impegnarsi, stirare i suoi muscoli al limite, far si che i suoi piedi risultassero leggeri eppure forti, come le zampe di un bellissimo cigno che sott'acqua continuavano a muoversi freneticamente, mentre il corpo sinuoso e perfetto sfiorava l'acqua.
    Lei lo faceva con l'aria, con i suoi muscoli, con la tenacia e l'abnegazione.
    Ma danzare per se stessa era semplice, danzare per la comunità fu più difficile, più stressante, più pesante perché sempre il dubbio di non esserne all'altezza ne marcava il cuore.
    Ma Haiti rimaneva con lei. Sua nonna era con lei. Ora non danzava per se stessa, fuggendo, nascondendosi in se stessa perché era un modo per dimenticare e sentirsi semplice.
    Poi il mondo divenne pazzo e ora danzava per uno scopo molto più grande. Più importante.
    La responsabilità e il potere non erano un fardello ma un dono da condividere con gli altri. Soprattutto con gli altri, perché senza di essi lei non sarebbe Gaelle. Senza sua Nonna non sarebbe una mambo, senza i suoi genitori non avrebbe capito se stessa. Senza nessuno di loro lei non sarebbe nulla.
    Il potere non poteva essere semplicemente goduto solo per i suoi privilegi, ma rendeva necessariamente i suoi detentori moralmente responsabili sia di ciò che sceglievano di farne sia di ciò che non riuscivano a farne.
    Il suo potere era per loro. La sua danza era per Haiti. Per la sua gente. Per la sua protezione.
    Questo era il suo fardello? No. Non lo era.
    Perché chiudendo i suoi occhi aveva permesso che i loro non si chiudessero alle tenebre. Che continuassero ad avere speranza. La sua danza era per quegli occhi, tristi, terrorizzati certo eppure non erano spenti.
    I suoi erano chiusi, certo, ma avrebbe barattato tutto affinché il suo popolo fosse al sicuro. Il suo potere non era nulla se non poteva usarlo per far star bene la sua gente e la distruzione sembrava arrivare senza che nulla e niente potesse fermarla.
    I Loa avevano parlato in una notte tranquilla e serena, mentre la sua casa in riva al mare si mischiava alla sabbia e le onde erano un ritmo che cullavano i suoi pensieri. Una bottiglia di rum, e l'Atlantico di fronte a lei. Le stelle erano così luminose, se solo avesse potuto aprire i suoi occhi avrebbe visto uno spettacolo grandioso. La natura del mondo non era inquinata ma com'era possibile che a tanta bellezza si mischiava in egual misura tanto orrore?
    Che domanda sciocca.
    Non c'era una risposta. C'era e basta. Forse erano proprio le stelle a ricordarci che in tutto quel pantano qualcosa di bello esisteva.
    Come una perla inaspettata.
    La mano si appoggiò al viso, i capelli lasciati liberi di danzare tra le brezze dell'Oceano, l'acqua salmastra, la sabbia e una bottiglia a metà. Era una serata serena eppure sentì qualcosa sulla sua pelle. Il vento aveva cessato di soffiare, le onde sembravano più lente e il loro rumore lontano.
    Il suo respiro stava divenendo più affannato, il cuore accelerava e i suoi occhi si erano aperti in altri mondi e le sue orecchie ascoltavano parole che non erano di questo mondo.
    Il mondo poteva essere distrutto. La distruzione sarebbe arrivata su ali d'uragano portando ovunque il tocco della morte. Cadde a terra. I suoi capelli le scivolarono sul volto, gocce di sudore macchiarono la sabbia, la bottiglia cadde.
    La cercò.

    «Mh...del buon rum sprecato.»

    Si sedette passandosi una mano tra i capelli. Giocò con la sabbia. Il dubbio. Cosa doveva fare?
    Si alzò e come sempre l'Atlantico, nella sua immensa tranquillità, le fece capire il modo.
    Doveva solo essere quello che era sempre stata.
    A modo suo.
    Non la più grande delle mambo, nemmeno la più giusta ma era lì e non avrebbe mai lasciato il suo popolo da solo, perché loro non l'avevano mai abbandonata.
    Si alzò. Aveva ancora il cuore accelerato, pompando sangue e volontà nelle vene. Si avvicinò all'Atlantico. Le sue onde accarezzavano le coste Haitiane, la sua brezza leggera portava l'odore dell'acqua salmastra, il vento soffiò, le onde si alzarono.
    Vi era un profumo che solo lei riusciva a cogliere, con gli occhi chiusi e le mani si mossero, raccogliendo a coppa una parte dell'oceano che le bagnò il viso.
    Un piede davanti all'altro, l'acqua accarezzò i suoi piedi e le caviglie. Era fredda, mentre affondò nella sabbia della sua terra sentendola tra le dita dei piedi e nella sua anima.

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    Il più piccolo sforzo non è perduto. Ogni piccola onda sull'oceano porta aiuto alla bassa marea o al flusso delle onde, ogni goccia di pioggia fa saltare qualche fiorellino, ogni lotta diminuisce il dolore umano








    Si alzò lasciando che la mantella cadesse per terra mentre i suoi piedi nudi sfioravano la sabbia e il fuoco si rifletteva sulla sua pelle d'ebano.
    I tatuaggi sulle mani si accendevano di toni arancio rossastri. I tamburi erano il ritmo del suo cuore. Gaelle sarebbe stata il tramite per i Loa. In gergo si diceva chevauché, cioè cavalcati. Perché i Loa prendevano possesso del corpo e dello spirito per potersi manifestare in questo mondo.
    I tamburi ritmavano la chiamata per i Loa, ogni ritmo, ogni danza era diversa così come erano diversi i Loa a cui si chiedeva aiuto.
    I tamburi continuavano, le percussioni si mischiavano al vento e alle onde, i piedi di Gaelle sfioravano, calpestavano la terra, la sabbia vorticava nel fuoco accedendosi come piccoli fuochi subito ghermiti dal vento che soffiava dall'Atlantico.
    Il vigore dei colpi di tamburo si armonizzavano con l'ardore della danza, favorendo la tensione della trance in modo tale che danza e spirito si connettessero con i Loa stessi facendo da tramite.
    Le ombre degli astanti e di Gaelle si muovevano sullo sfondo del maman, il tamburo maestro, con il bagét, una bacchetta di legno, per continuare a suonare il ritmo divinatorio.
    Alternativamente venivano battute membrana e il bordo dello strumento, mentre gli altri seguivano tale cacofonia con i simboli del veve dipinti su di essi.
    Gaelle continuava sempre di più a ballare, le sue mani e i suoi piedi formavano cerchi, i suoi capelli si mischiavano alla sabbia.
    I tamburi incalzavano e il suo cuore anche si era trasformato in un tamburo che batteva ad un ritmo più basso e spirituale.
    Il suo spirito, la sua carne, la sua mente tutto ciò che componeva l'essenza di Gaelle era diventata una cassa di risonanza affinché lo Spirito si manifestasse nel mondo.
    Il fuoco ardeva, i canti continuavano mentre le onde dell'Atlantico si mischiavano ad esse.
    Fuoco e sabbia vorticavano, ombre che si proiettavano lungo la spiaggia e gli occhi di chi cantava brillavano con i tizzoni scoppiettanti.
    Il cuore batteva. Le gambe scrivevano storie mentre le preghiere si mischiavano alla cera che cadeva dalle candele.
    Gaelle e il suo popolo furono un tutt'uno. Uniti nella preghiera e nell'invocazione. Spiriti che venivano suonati per richiamare i Loa dal loro mondo affinché guidassero e aiutassero.
    L'aria si fece fredda. La fiamma, dapprima guizzante, si era spenta mentre persino l'Oceano Atlantico si era ritirato in silenzio rispettoso e le sue onde solo una lenta nenia d'accompagnamento. Il rispettoso tributo ai Loa che si manifestarono nello spirito di chi li invocava.
    Toccata da queste presenze, Gaelle si fermò. Come un cervo colpito a morte dalla freccia del cacciatore.
    Si gettò terra e le sue ginocchia sprofondarono nella sabbia, mentre gocce di sudore le scendevano dal collo fino all'incavo tra i seni.
    I suoi occhi si aprirono su mondi diversi, mentre il suo cuore tripudiava gioia nel suo battito forsennato e il suo spirito si inchinava a Kalfou Limyè e Ezili Dlo.


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    «Sono qui.»



    Parole sussurrate mentre il suo respiro irregolare trovava pace nella luce rassicurante dei Loa.
    Le loro parole, diverse, eppure calde. La prima una melodia a cui il suo spirito si aggrappò trovando in essa nuovi ritmi e nuove strade, nuovi passi da fare.
    L'altra fu come una carezza di acque calme quando da piccola rimaneva a galla lasciandosi cullare dal ritmo quieto dell'Oceano.
    In quell'istante la bambina che era sempre stata e sempre resterà ebbe paura.
    Il timore di non essere capace, di non poter essere quello che loro tutti si aspettavano.

    «Sapete meglio di me cosa sono. Lascio a voi il mio cuore. La mia danza è sulla vostra melodia.»

    La responsabilità non era per tutti ma tutti noi, prima o poi, ne dovevano sopportare il peso e decidere cosa fare. Il dubbio faceva parte del percorso. Non sapere se quello che si stava facendo fosse giusto o sbagliato. Ma continuare a scorrere come il Rio Artibonito. Trovare la propria strada per poi sfociare nell'oceano mischiando le proprie acque a quelle infinite dell'essere.
    Si sentiva pronta?
    No.
    Nessuno lo era mai del tutto. Lei men che meno. Eppure doveva essere come il Rio Artibonito: continuare a scorrere fino a poter sfociare nel suo reale destino.
    In un momento di massima comunione Gaelle e Haiti stessa furono un tutt'uno che mischiarono i loro ritmi all'unico vero Ritmo. Melodie diverse, come effluenti, che si mischiavano ad un fiume sempre più grande che sarebbe sfociato in quell'Oceano di comunione e identità che i Loa vegliavano.
    Sapere cosa fare non era uguale a farlo però.

    «Cercherò di essere degna di questo. Per voi ma soprattutto per loro.»


    Si per loro. Nessun fiume poteva considerarsi tale senza il letto che lo ospitava, senza l'acqua che vi scorreva, senza gli affluenti e gli effluenti.
    Perché tutti insieme concorrevano a formare l'Oceano di una Comunità e per quella stessa comunità doveva continuare a scorrere.
    I suoi occhi tornarono chiusi e si alzò.
    Si guardarono tutti loro. Con lo spirito e il cuore. Corpo e mente. Il fuoco ridivenne caldo, guizzavano le sue lingue, mentre le braci scoppiettavano e il legno si consumava. l'Atlantico tornò a dormire, cullando e cullandosi con il ritmo delle sue onde che spazzavano il bagnasciuga. Tutti loro insieme.
    Lei un affluente piccolo del grande Fiume detto Vita.

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    «Sarò il vostro Oceano.»





    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO:

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITà: Non possedute

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    danziamo con questo nuovo personaggio.
    Edit: ho invertito i due oceani sbagliandomi. E ho rivisto qualche refuso/errore ortografico


    Edited by Lyga - 22/2/2024, 17:17
764 replies since 24/4/2018
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