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cambio cloth per Lyga

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    La luna piena illuminava il cielo di Haiti, riversando la sua luce argentea sul peristilio, dove la comunità si era radunata in un silenzio rispettoso, la tensione palpabile nell'aria calda della notte. Gaelle, la sacerdotessa, stava al centro di tutto.Accanto a lei, i suoi fedeli collaboratori e sacerdoti minori, Jean-Paul e Marie-Ange, si muovevano con reverente precisione. Jean-Paul, con le sue mani esperte, disegnava sul suolo i complessi veve, simboli sacri di invocazione, utilizzando polveri colorate messe a disposizione dalla natura e dalla comunità. Marie-Ange, d'altra parte, preparava l'altare con offerte di fiori esotici, cibo, acqua e rum, ogni elemento un ponte tra i mondi, un messaggio agli Loa.

    Mentre il rituale iniziava, i tamburi, guidati dal veterano tamburinaio Lucien, iniziarono a battere, lenti all'inizio, poi sempre più veloci, un richiamo ancestrale che risvegliava qualcosa di profondo nell'anima di chi ascoltava. La comunità, seguendo il ritmo, iniziò a canticchiare, le loro voci elevandosi in un coro armonioso, potente. Gaelle iniziò la sua danza, i piedi scalzi che toccavano delicatamente la terra, risvegliando la vita sotto di essa. Ogni movimento era un racconto, una preghiera, un'invocazione. La sua danza era una narrazione visiva, che raccontava storie di nascita, morte, amore e guerra, ogni giro e movimento delle braccia un capitolo, un omaggio agli spiriti.

    Il clima si intensificò quando gli spiriti iniziarono a rispondere. La temperatura sembrava scendere, un vento freddo che soffiava improvvisamente, facendo tremare le foglie e vibrare le candele. Fu allora che Kalfou Limyè e Ezili Dlo, invocati con tanto fervore, si manifestarono, non tanto come apparizioni fisiche ma come un cambiamento nell'atmosfera, una presenza che ogni cuore poteva sentire.

    Kalfou Limyè, lo spirito del bivio illuminato, avvolse Gaelle con una luce soffusa, rassicurante. "Gaelle, camminatrice dei sentieri luminosi, ascolta la voce di Kalfou Limyè," disse, la sua voce una melodia che sembrava riflettere tutte le possibilità. "Il percorso davanti a te è bagnato dalla luce della saggezza e del discernimento. Cerca la chiarezza nei momenti di dubbio e lascia che la lanterna della conoscenza illumini la tua via attraverso le ombre del mondo."

    Ezili Dlo, la dea delle acque serene, mescolò le sue parole con quelle di Kalfou Limyè, aggiungendo fluidità e profondità al messaggio. "O figlia delle onde e delle correnti, il tuo viaggio è come il corso di un fiume," mormorò con una voce che sembrava ondeggiare come l'acqua. "Porta con te la mia benedizione, che le acque della vita ti guidino con dolcezza e ti offrano rifugio nei momenti di tempesta. Solo attraverso l'accettazione e la comprensione delle tue emozioni potrai navigare le grandi maree del destino."

    I due spiriti, con le loro parole intrecciate di luce e acqua, fornirono a Gaelle la guida per il suo viaggio. Le chiesero di abbracciare la verità con chiarezza e di fluire con la vita come un fiume, insegnandole che ogni decisione presa con saggezza e cuore aperto era un passo verso la sua vera illuminazione.

    "Ricorda, figlia del giorno e della notte," continuò Kalfou Limyè, la sua luce divenendo più calda e incoraggiante, "che ogni incrocio della vita porta in sé una scintilla di verità. Segui quella scintilla, poiché sarà la stella che guida il tuo cammino attraverso i labirinti del mondo."

    Ezili Dlo, con un tocco di mistero, aggiunse: "E non dimenticare, mia dolce acqua che scorre, che ogni lacrima e ogni onda porta con sé una lezione. Ascolta il canto delle acque, poiché in esse troverai la forza di superare ogni ostacolo e la pace per guarire ogni ferita."

    Il rituale raggiunse il suo culmine in un momento di perfetta unità, dove il confine tra il fisico e lo spirituale sembrava dissolversi. Gaelle, esaurita ma trionfante, terminò la sua danza, il suo respiro affannoso l'unico suono in un improvviso e profondo silenzio. Era stato un viaggio, una lotta, una celebrazione e un sacrificio, tutto in uno, un momento di connessione divina che avrebbe segnato l'inizio del suo cammino verso l'illuminazione. In quella notte, sotto il cielo di Haiti, Gaelle e la sua comunità avevano toccato l'eterno, danzando al confine tra mondi, tra la vita e qualcosa infinitamente più grande.

    Note del Master
    Molto bene caro, come ti avevo anticipato questo cambio cercherò di renderlo impegnativo sotto vari aspetti, del resto stiamo parlando di Virgo no? La traccia è abbastanza chiara, ma ti chiedo comunque di focalizzare l'attenzione su questo nuovo personaggio, sul suo ruolo (centrale) nella tua comunità. Questa notte, hai voluto fare questo rituale perché gli spiriti ti hanno parlato di una distruzione imminente e volevi agire. Tramite le parole che loro ti dicono, tu Gaelle le interpreti molto bene e capisci che devi iniziare un viaggio personale e di crescita. Conosci la prima tappa, gli spiriti sono stati chairi.

    Cosa voglio da questo post? Voglio conoscere Gaelle, vederla danzare e capire esattamente chi ho davanti. Per qualsiasi domanda, dubbio e bla bla scrivimi pure in privato.


     
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    Quanti anni sono passati?
    Ne hai memoria, Gaelle? Quando è iniziata la tua danza con gli spiriti? Quando avevi 8 anni e ne sentivi i sussurri o a 20 anni quando hai preso coscienza di tutto questo? Non che sia importante in effetti. Da bambina scapestrata, da ballerina con un mediocre talento, hai scoperto di possedere qualcosa. E quel qualcosa lo hai messo al servizio della comunità, non della tua famiglia, ma di persone sconosciute, di amici, di conoscenti, di Haiti stessa.
    Una tua responsabilità. Anche se non la volevi e quante volte ti sei nascosta tra le braccia di tua nonna; per paura, perché non capivi e, sentendoti sbagliata, hai cercato sempre di tacere, di mentire agli altri, dopo, ma prima di tutto a te stessa.

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    Guardarla ballare è ascoltare i nostri cuori parlare.



    La danza ha aiutato questa donna a coltivare i suoi sogni, a fuggire dal mondo, a far si che la propria fantasia divenisse movimento, che i piedi fossero una penna e la musica una pagina con cui poter capire se stessa. La responsabilità l'ha accettata prima di tutto con la danza. Perché? Perché la danza non insegnava solo col talento ma affiancava ad esso la grande vocazione, la tenacia, la determinazione, la disciplina, la costanza. Queste erano le cose che gli servivano per affrontare una responsabilità che non cercava, che non voleva ma che era sua.
    Così come le vesciche ai piedi non potevano non esserci, così la responsabilità andava accettata e presa. Aveva accettato il dolore delle vesciche, dei piedi dentro l'acqua ghiacciata, di tagli e sangue, di quando per fare un arabesque che fosse perfetto i suoi piedi sanguinarono nelle mezzepunte e nemmeno più li sentiva.
    Eppure quando il peso del corpo fu supportato da una sola gamba, mentre l'altra, con il ginocchio steso, allungata en arrière con le braccia, armoniche con il corpo, sono entrambe in allongé, ossia allungate e i suoi piedi disegnarono una linea perfetta dalla punta delle dita della mano che si trova in avanti fino alla punta del piede della gamba allungata indietro pianse di gioia.
    Non era stato facile, aveva dovuto sudare, impegnarsi, stirare i suoi muscoli al limite, far si che i suoi piedi risultassero leggeri eppure forti, come le zampe di un bellissimo cigno che sott'acqua continuavano a muoversi freneticamente, mentre il corpo sinuoso e perfetto sfiorava l'acqua.
    Lei lo faceva con l'aria, con i suoi muscoli, con la tenacia e l'abnegazione.
    Ma danzare per se stessa era semplice, danzare per la comunità fu più difficile, più stressante, più pesante perché sempre il dubbio di non esserne all'altezza ne marcava il cuore.
    Ma Haiti rimaneva con lei. Sua nonna era con lei. Ora non danzava per se stessa, fuggendo, nascondendosi in se stessa perché era un modo per dimenticare e sentirsi semplice.
    Poi il mondo divenne pazzo e ora danzava per uno scopo molto più grande. Più importante.
    La responsabilità e il potere non erano un fardello ma un dono da condividere con gli altri. Soprattutto con gli altri, perché senza di essi lei non sarebbe Gaelle. Senza sua Nonna non sarebbe una mambo, senza i suoi genitori non avrebbe capito se stessa. Senza nessuno di loro lei non sarebbe nulla.
    Il potere non poteva essere semplicemente goduto solo per i suoi privilegi, ma rendeva necessariamente i suoi detentori moralmente responsabili sia di ciò che sceglievano di farne sia di ciò che non riuscivano a farne.
    Il suo potere era per loro. La sua danza era per Haiti. Per la sua gente. Per la sua protezione.
    Questo era il suo fardello? No. Non lo era.
    Perché chiudendo i suoi occhi aveva permesso che i loro non si chiudessero alle tenebre. Che continuassero ad avere speranza. La sua danza era per quegli occhi, tristi, terrorizzati certo eppure non erano spenti.
    I suoi erano chiusi, certo, ma avrebbe barattato tutto affinché il suo popolo fosse al sicuro. Il suo potere non era nulla se non poteva usarlo per far star bene la sua gente e la distruzione sembrava arrivare senza che nulla e niente potesse fermarla.
    I Loa avevano parlato in una notte tranquilla e serena, mentre la sua casa in riva al mare si mischiava alla sabbia e le onde erano un ritmo che cullavano i suoi pensieri. Una bottiglia di rum, e l'Atlantico di fronte a lei. Le stelle erano così luminose, se solo avesse potuto aprire i suoi occhi avrebbe visto uno spettacolo grandioso. La natura del mondo non era inquinata ma com'era possibile che a tanta bellezza si mischiava in egual misura tanto orrore?
    Che domanda sciocca.
    Non c'era una risposta. C'era e basta. Forse erano proprio le stelle a ricordarci che in tutto quel pantano qualcosa di bello esisteva.
    Come una perla inaspettata.
    La mano si appoggiò al viso, i capelli lasciati liberi di danzare tra le brezze dell'Oceano, l'acqua salmastra, la sabbia e una bottiglia a metà. Era una serata serena eppure sentì qualcosa sulla sua pelle. Il vento aveva cessato di soffiare, le onde sembravano più lente e il loro rumore lontano.
    Il suo respiro stava divenendo più affannato, il cuore accelerava e i suoi occhi si erano aperti in altri mondi e le sue orecchie ascoltavano parole che non erano di questo mondo.
    Il mondo poteva essere distrutto. La distruzione sarebbe arrivata su ali d'uragano portando ovunque il tocco della morte. Cadde a terra. I suoi capelli le scivolarono sul volto, gocce di sudore macchiarono la sabbia, la bottiglia cadde.
    La cercò.

    «Mh...del buon rum sprecato.»

    Si sedette passandosi una mano tra i capelli. Giocò con la sabbia. Il dubbio. Cosa doveva fare?
    Si alzò e come sempre l'Atlantico, nella sua immensa tranquillità, le fece capire il modo.
    Doveva solo essere quello che era sempre stata.
    A modo suo.
    Non la più grande delle mambo, nemmeno la più giusta ma era lì e non avrebbe mai lasciato il suo popolo da solo, perché loro non l'avevano mai abbandonata.
    Si alzò. Aveva ancora il cuore accelerato, pompando sangue e volontà nelle vene. Si avvicinò all'Atlantico. Le sue onde accarezzavano le coste Haitiane, la sua brezza leggera portava l'odore dell'acqua salmastra, il vento soffiò, le onde si alzarono.
    Vi era un profumo che solo lei riusciva a cogliere, con gli occhi chiusi e le mani si mossero, raccogliendo a coppa una parte dell'oceano che le bagnò il viso.
    Un piede davanti all'altro, l'acqua accarezzò i suoi piedi e le caviglie. Era fredda, mentre affondò nella sabbia della sua terra sentendola tra le dita dei piedi e nella sua anima.

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    Il più piccolo sforzo non è perduto. Ogni piccola onda sull'oceano porta aiuto alla bassa marea o al flusso delle onde, ogni goccia di pioggia fa saltare qualche fiorellino, ogni lotta diminuisce il dolore umano








    Si alzò lasciando che la mantella cadesse per terra mentre i suoi piedi nudi sfioravano la sabbia e il fuoco si rifletteva sulla sua pelle d'ebano.
    I tatuaggi sulle mani si accendevano di toni arancio rossastri. I tamburi erano il ritmo del suo cuore. Gaelle sarebbe stata il tramite per i Loa. In gergo si diceva chevauché, cioè cavalcati. Perché i Loa prendevano possesso del corpo e dello spirito per potersi manifestare in questo mondo.
    I tamburi ritmavano la chiamata per i Loa, ogni ritmo, ogni danza era diversa così come erano diversi i Loa a cui si chiedeva aiuto.
    I tamburi continuavano, le percussioni si mischiavano al vento e alle onde, i piedi di Gaelle sfioravano, calpestavano la terra, la sabbia vorticava nel fuoco accedendosi come piccoli fuochi subito ghermiti dal vento che soffiava dall'Atlantico.
    Il vigore dei colpi di tamburo si armonizzavano con l'ardore della danza, favorendo la tensione della trance in modo tale che danza e spirito si connettessero con i Loa stessi facendo da tramite.
    Le ombre degli astanti e di Gaelle si muovevano sullo sfondo del maman, il tamburo maestro, con il bagét, una bacchetta di legno, per continuare a suonare il ritmo divinatorio.
    Alternativamente venivano battute membrana e il bordo dello strumento, mentre gli altri seguivano tale cacofonia con i simboli del veve dipinti su di essi.
    Gaelle continuava sempre di più a ballare, le sue mani e i suoi piedi formavano cerchi, i suoi capelli si mischiavano alla sabbia.
    I tamburi incalzavano e il suo cuore anche si era trasformato in un tamburo che batteva ad un ritmo più basso e spirituale.
    Il suo spirito, la sua carne, la sua mente tutto ciò che componeva l'essenza di Gaelle era diventata una cassa di risonanza affinché lo Spirito si manifestasse nel mondo.
    Il fuoco ardeva, i canti continuavano mentre le onde dell'Atlantico si mischiavano ad esse.
    Fuoco e sabbia vorticavano, ombre che si proiettavano lungo la spiaggia e gli occhi di chi cantava brillavano con i tizzoni scoppiettanti.
    Il cuore batteva. Le gambe scrivevano storie mentre le preghiere si mischiavano alla cera che cadeva dalle candele.
    Gaelle e il suo popolo furono un tutt'uno. Uniti nella preghiera e nell'invocazione. Spiriti che venivano suonati per richiamare i Loa dal loro mondo affinché guidassero e aiutassero.
    L'aria si fece fredda. La fiamma, dapprima guizzante, si era spenta mentre persino l'Oceano Atlantico si era ritirato in silenzio rispettoso e le sue onde solo una lenta nenia d'accompagnamento. Il rispettoso tributo ai Loa che si manifestarono nello spirito di chi li invocava.
    Toccata da queste presenze, Gaelle si fermò. Come un cervo colpito a morte dalla freccia del cacciatore.
    Si gettò terra e le sue ginocchia sprofondarono nella sabbia, mentre gocce di sudore le scendevano dal collo fino all'incavo tra i seni.
    I suoi occhi si aprirono su mondi diversi, mentre il suo cuore tripudiava gioia nel suo battito forsennato e il suo spirito si inchinava a Kalfou Limyè e Ezili Dlo.


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    «Sono qui.»



    Parole sussurrate mentre il suo respiro irregolare trovava pace nella luce rassicurante dei Loa.
    Le loro parole, diverse, eppure calde. La prima una melodia a cui il suo spirito si aggrappò trovando in essa nuovi ritmi e nuove strade, nuovi passi da fare.
    L'altra fu come una carezza di acque calme quando da piccola rimaneva a galla lasciandosi cullare dal ritmo quieto dell'Oceano.
    In quell'istante la bambina che era sempre stata e sempre resterà ebbe paura.
    Il timore di non essere capace, di non poter essere quello che loro tutti si aspettavano.

    «Sapete meglio di me cosa sono. Lascio a voi il mio cuore. La mia danza è sulla vostra melodia.»

    La responsabilità non era per tutti ma tutti noi, prima o poi, ne dovevano sopportare il peso e decidere cosa fare. Il dubbio faceva parte del percorso. Non sapere se quello che si stava facendo fosse giusto o sbagliato. Ma continuare a scorrere come il Rio Artibonito. Trovare la propria strada per poi sfociare nell'oceano mischiando le proprie acque a quelle infinite dell'essere.
    Si sentiva pronta?
    No.
    Nessuno lo era mai del tutto. Lei men che meno. Eppure doveva essere come il Rio Artibonito: continuare a scorrere fino a poter sfociare nel suo reale destino.
    In un momento di massima comunione Gaelle e Haiti stessa furono un tutt'uno che mischiarono i loro ritmi all'unico vero Ritmo. Melodie diverse, come effluenti, che si mischiavano ad un fiume sempre più grande che sarebbe sfociato in quell'Oceano di comunione e identità che i Loa vegliavano.
    Sapere cosa fare non era uguale a farlo però.

    «Cercherò di essere degna di questo. Per voi ma soprattutto per loro.»


    Si per loro. Nessun fiume poteva considerarsi tale senza il letto che lo ospitava, senza l'acqua che vi scorreva, senza gli affluenti e gli effluenti.
    Perché tutti insieme concorrevano a formare l'Oceano di una Comunità e per quella stessa comunità doveva continuare a scorrere.
    I suoi occhi tornarono chiusi e si alzò.
    Si guardarono tutti loro. Con lo spirito e il cuore. Corpo e mente. Il fuoco ridivenne caldo, guizzavano le sue lingue, mentre le braci scoppiettavano e il legno si consumava. l'Atlantico tornò a dormire, cullando e cullandosi con il ritmo delle sue onde che spazzavano il bagnasciuga. Tutti loro insieme.
    Lei un affluente piccolo del grande Fiume detto Vita.

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    «Sarò il vostro Oceano.»





    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO:

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITà: Non possedute

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    danziamo con questo nuovo personaggio.
    Edit: ho invertito i due oceani sbagliandomi. E ho rivisto qualche refuso/errore ortografico


    Edited by Lyga - 22/2/2024, 17:17
     
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    ally across time | post II
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    All'alba, seguendo il richiamo degli spiriti senza esitazione, ti incammini verso il tuo primo destino in questo viaggio: il Bosco del Sussurro Eterno. Con ogni passo che ti avvicina ai suoi confini, l'aria diventa gelida, densa, una nebbia palpabile che sembra avvolgerti in un abbraccio gelido. Gli alberi che stanno a guardia di questo luogo sono come antichi custodi, le loro cortecce segnate da simboli misteriosi narrano storie dimenticate. Sotto la cupola delle loro fronde, un crepuscolo perenne oscura il cielo, trasformando il giorno in una notte senza stelle.

    Attraversando la soglia del bosco, vieni avvolto da un silenzio soffocante, un quieto vivere che pare fermarsi al tuo arrivo. Solo il battito del tuo cuore e il ritmo del tuo respiro osano sfidare l'atmosfera surreale che ti circonda. Il terreno, un letto di muschio e foglie decomposte, attutisce i tuoi passi, facendoti sentire un estraneo, un intruso in questo mondo dimenticato.

    Il Bosco del Sussurro Eterno ti accoglie con una vita tutta sua: liane che abbracciano gli alberi con desiderio, fiori che si schiudono al solo sfiorarli, emanando profumi che inebriano i sensi. Il silenzio è rotto solo da suoni distanti, il lamento di creature nascoste o il fruscio di qualcosa che ti sfugge appena alla vista.

    La luce che si insinua tra le foglie crea illusioni, ombre che ballano alla periferia della tua visione, sfiatando la tua percezione del reale. Camminare più in profondità nel bosco ti porta a udire i sussurri che danno nome a questo luogo; non parole, ma un canto di emozioni perdute, di ricordi che si intrecciano con i tuoi passi, di desideri e paure che sembrano nascere dall'anima stessa della foresta.

    Questo è il Bosco del Sussurro Eterno, un confine sottile tra sogno e realtà, dove ogni passo è una prova della tua essenza. Solo i coraggiosi, o forse i disperati, possono sperare di trovare qui la loro verità e, forse, una nuova luce.

    Il cammino si snoda davanti a te, un percorso che sembra tanto invitante quanto insidioso, avvolto da una nebbia che confonde mente e cuore. Ogni passo richiede più di una semplice decisione; richiede un viaggio interiore, un confronto con i fantasmi del passato che questa nebbia sembra portare alla luce, carichi di antiche sofferenze.

    E, alla fine di questo viaggio attraverso il cuore oscuro del bosco, la nebbia si apre come un sipario, rivelando una radura bagnata dalla luce incerta. Al suo centro, come un fantasma del passato, si erge la figura di Jean, l'amico che hai perso tanto tempo fa. "Gaelle," la sua voce ti raggiunge, carica di rimprovero e dolore, "dopo tutti questi anni, eccoti. Mi hai lasciato solo, hai dimenticato le promesse che ci legavano."

    Le sue parole sono un colpo diretto al cuore, risvegliando ricordi che speravi di aver sepolto. Questo confronto, temuto e inaspettato, ti mette di fronte alle tue verità nascoste. Come affronterai questo momento, come risponderai a queste accuse, potrebbe cambiare il corso del tuo viaggio e, forse, di te stesso.

    Note del Master
    Qui iniziato un po' a vedere di che pasta è fatta Gaelle. Al momento considerati semplicemente una mambo. Ha una certa connessione con gli spiriti, che tu puoi vedere, come se avessi una sorta di percezione spirituale ma non sei pratica col concetto di cosmo. La prima parte della quest è questo passaggio attraverso il sentiero, con spiriti ed entità psichiche che ti attaccano e cercano comunque di farti piombare in una sorta di depressione, cercando di riempire la tua testa e la tua anima di dubbi e domande. Gestisci questa parte, facendomi capire BENE come potresti gestire questi "attacchi" e mantenere Gaelle ancorata al suo desiderio di raggiungere l'illuminazione. Alla fine, arrivi in questa radura dove incontri Jean, un tuo vecchio amico della tribù sparito qualche anno fa, proprio per affrontare una prova simile alla tua all'interno di quella foresta e non è mai più tornato. Se lo desideri, crea pure un background a sto tipo, se no ci penso io senza problemi. Tu non sei certo la prima che intraprende questo percorso.

    Per dubbi, domande o perplessità sai dove trovarmi fra <3

     
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    ~ Seconda Casa dello Zodiaco ~

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    Bart, io non vedo nulla, di cosa stai parlando?

    Elena guardava Bartolomeo un po’ preoccupata, perché erano minuti che lui cercava di farle vedere qualcosa che non esisteva. L’aveva portata fuori dalla Seconda Casa, indicando un punto nel cielo sopra il Sesto Tempio dello Zodiaco.

    È lì, proprio lì, segui il mio dito.
    Sopra la casa che una volta era del Biondo.
    Dai, non è possibile che tu non riesca a vederla.


    Il Biondo, ovviamente, era Daya, il Gran Sacerdote che lo aveva preceduto, nonché il suo più grande amico. Un amico che non era più con loro al Grande Tempio, che si era dedicato anima e corpo alla lotta contro la Corruzione, fino a offrire in pegno la sua stessa esistenza per aiutare il mondo intero. Era ancora troppo doloroso per Bart parlare apertamente di quel suo compagno e maestro, che probabilmente in quel momento sosteneva in chissà quale modo la Luce di Gazka al Tempio della Prima Fiamma – o almeno così sperava –, ma almeno aveva imparato a nominarlo senza cadere nei dolorosi ricordi del passato.

    Per l’attuale Gran Sacerdote, invece, era incredibile, davvero inspiegabile che Elena non riuscisse a vedere quello che stava osservando lui in tempo reale. Era una luce, vivida e impossibile da non notare, che era partita dalla Casa della Vergine e stazionava sopra di essa. L’aveva percepita appena dopo cena, era subito corso fuori e non aveva avuto dubbi: quello, di qualunque natura fosse, era un segnale. Di cosa era difficile dirlo, ma era ancora più incredibile che solo lui lo potesse vedere. Il gigante aveva persino portato fuori i bambini in quella calda serata, ma anche loro mostrarono impazienza e disappunto per non riuscire a osservare quello che il loro papà era così intento a mostrargli.

    Papà, noi non vediamo niente.
    Dai, andiamo a letto così ci racconti una storia?


    Sconsolato per quella situazione, Bartolomeo sbuffò rumorosamente per la frustrazione, ma poi sfoggiò il suo miglior sorriso per accompagnare a letto i suoi pargoli.

    Certo figlioli, andiamo.

    Diede un bacio sulla fronte a Elena, che era ancora preoccupata per quella visione di Bart.

    Dormici sopra e vedrai che domani sarà tutto più chiaro, magari è solamente la stanchezza.

    Certo, la stanchezza e le innumerevoli botte che ultimamente aveva preso. Le missioni fuori dal Grande Tempio erano aumentate ultimamente, specialmente in quel di Asgard, e lui nel limite del possibile aveva cercato di partecipare a tutte. Forse era davvero la stanchezza accumulata, forse qualche botta in testa di troppo, o magari gli serviva veramente solo un po’ di riposo e una notte di sonno ininterrotto.

    Hai ragione Ele.
    Tranquilla che li porto a letto io.


    Sorrise a Elena, e le diede un bacio sulla fronte come sempre, come tutte le notti prima di andare a dormire. Si ritirarono all’interno della Seconda Casa, con i pargoli che già sbadigliavano e non vedevano l’ora di sentire la storia della buonanotte. Bartolomeo raccontò loro dell’ultima avventura ad Asgard, dei Drow, del mostro informe e del sacrificio eroico dell’Angelo Azrael. Ovviamente edulcorò alcuni elementi e ne esagerò altri, ma il succo della storia rimase inalterato. Ancora una volta avevano combattuto insieme ai loro amici e alleati per fermare la Corruzione e, anche se non l’avevano sconfitta definitivamente, almeno avevano vinto una battaglia importante. Arrivato alla fine del racconto, tutti erano già nel mondo dei sogni. Anche il gigante si spostò nel suo enorme letto – vista la stazza – che da tempo divideva con Elena.
    Com’erano carini insieme, ma non soffermiamoci oltre che sono timidi.

    La notte fu travagliata, il sonno andava e veniva, e l’immagine di quella luce nel cielo lo tormentò come un incubo lucido. Si svegliò di soprassalto la mattina presto, stanco come non mai, e la prima cosa che fece fu andare a controllare se fosse stato davvero solamente il frutto della sua immaginazione. Uscì dalla Seconda Casa, ma quella sorta di Bart-segnale (sì, prima, forse molto prima dell’Armageddon anche Bartolomeo era stato un ragazzino appassionato di supereroi, e qualche citazione debitamente modificata non fa mai male) era ancora lì.

    Dannazione, non posso ignorarlo.

    Era ormai chiaro che non potesse più far finta di nulla. Le aveva tentate tutte, aveva chiesto anche a qualcuno dotato di cosmo ma nulla, nessuno la vedeva se non lui. Non aveva le allucinazioni e non sembrava essere sotto qualche controllo mentale o illusorio, perché la sua rinomata resistenza lo avrebbe in qualche modo avvertito prima o poi, no?

    Ele...

    Si avvicinò a quella santa donna con cautela, perché non voleva abbandonarla di nuovo.

    Bart, vai.
    Se vedi ancora quella luce nel cielo sopra la Casa della Vergine, vai a vedere cos’è.
    Non puoi rimanere qui in questo stato, e magari potrebbe anche essere importante.


    Ovviamente lei aveva già capito tutto, quando mai non succedeva? Riusciva a leggerlo come un libro aperto, letto e riletto più volte.

    Grazie Ele, ma tornerò pre-...

    Si completavano addirittura le frasi a vicenda.

    Sì, tornerai presto, lo so.
    Adesso vai e saluta i ragazzi.


    Bartolomeo fece un sorriso così genuinamente innamorato e sdolcinato che avrebbe fatto venire la carie a chiunque li guardasse in quel momento. Lei gli accarezzò la guancia, lo abbracciò e lo spinse via con delicatezza per dare quell’ultimo incentivo a partire senza perdere tempo e senza sentirsi in colpa. Lui si sarebbe comunque sentito in colpa, quello era poco ma sicuro, ma era convinto che dovesse andare. Entrò nella Seconda Casa ben buttarsi addosso la prima cosa che trovò, cioè i soliti jeans e una maglietta pasticciata a caso dalle tempere dei pargoli.

    Ciao papaààà!

    Loro lo salutarono con la solita gioiosa veemenza, e lui rispose con altrettanto ardore. Poi, si caricò in spalla la sua Armatura – perché non si poteva mai sapere, aveva già rischiato abbastanza ultimamente – e ancora una volta Elena gli mise in mano l’anello di Teiwaz. Lui non protestò, perché sapeva che loro sarebbero rimasti al sicuro all’interno dell’ormai super-difeso Grande Tempio, e la salutò guardandola come se si fosse nuovamente innamorato per la prima volta.

    Grazie, ciao Ele!

    Un veloce e ulteriore bacio sulla fronte e Bartolomeo lasciò la Seconda Casa per dirigersi alla Terza, così da iniziare la scalata verso la Sesta. Ancora prima di raggiungerla, però, la luce in cielo cominciò a muoversi nonostante fosse pieno giorno, come se volesse attirare l’attenzione del Gran Sacerdote. Lui alzò lo sguardo, fissandola intensamente e proprio in quel momento...

    Che cosa sta...?!

    Per un attimo il suo pensiero e la sua lucidità andarono in completo blackout, ma fu sufficiente perché qualcosa s’imprimesse nella sua mente. Non riusciva a descrivere come, quando o perché, ma come per magia sapeva dove quella luce lo volesse condurre. Come la stella cometa per i tre Magi della Bibbia, anche quella luminosa apparizione aveva lo scopo di guidarlo da qualche parte.

    Oh beh, ok.

    Sappiamo bene che Bartolomeo non era uno dai grandi ripensamenti o dal timore dell’ignoto, quindi guardò il suo anello di Teiwaz e pensò esattamente a quello che la sua mente aveva appena visto, facendo scattare immediatamente il teletrasporto. La solita nausea gli salì dallo stomaco al primo strattone di quel viaggio istantaneo – preferiva di gran lunga gli spostamenti spirituali di Rigel, che erano più controllati per i suoi gusti – e cercò con tutte le forze di non rimettere la colazione. Con uno sforzo degno del Baluardo di Atena, il gigante evitò il disastro gastrico e in un istante giunse a destinazione.
    Ma qual era la destinazione?
    Difficile a dirlo, perché si trovava in un villaggio completamente morto. Tutto era devastato, le abitazioni rase al suolo e una strage di corpi morti ormai da tempo completava quell’immagine macabra. Al gigante buono si strinse il cuore a quella vista, anche se quel luogo sembrava versare in quelle condizioni da lungo tempo e non si trovava davanti a una recente catastrofe. Probabilmente era stata la Corruzione, magari poco dopo l’Armageddon, perché in molti avevano incontrato quel destino. In ogni caso, resistendo a quella visione, cercò di non perdere la concentrazione per capire meglio dove fosse finito. Non c’erano molti indizi, il clima era caldo ma leggermente diverso rispetto a quello della Grecia. Lì era molto più umido rispetto al Grande Tempio, ma a parte quello era difficile indovinare la nuova posizione.

    Bartolomeo prese, quindi, una scorciatoia per ottenere ulteriori informazioni e caricò entrambe le gambe per poi spiccare un salto di svariate centinaia di metri, guardandosi attorno nel processo. Vide molta acqua circondare quel luogo, quindi probabilmente si trovava su un’isola o su una penisola (?), ma non c’era nient’altro che gli fece capire esattamente dove fosse. Atterrò rumorosamente come un meteorite, creando un piccolo cratere a terra, per poi pulirsi dalla polvere e continuare a osservare i dintorni. Poco male, lo avrebbe scoperto a tempo debito. Adesso avrebbe dovuto...

    Oh oh, ci sono visite.
    Magari posso chiedergli dove sono finito.


    I pensieri del Gran Sacerdote su quel luogo s’interruppero improvvisamente, perché intravide in lontananza una figura ammantata di bianco che stava camminando verso di lui. Ignorando come suo solito qualsiasi pericolo, si era già messo in mente che quella persona potesse essere la sua personale guida.

    jpg

    Ciao, io sono Bart.
    Sai per caso dirmi dove ci troviamo?
    Credo di essermi perso.


    La sua voce era roboante, la sua sfacciataggine leggendaria, la sua mano si levò in alto per salutare, ma quella poteva davvero essere l’unica occasione per capire dove quella strana luce proveniente dalla Sesta Casa lo aveva portato. Quindi perché tirarsi indietro? Eh certo, presentiamoci al primo sconosciuto, che arriva in quel villaggio avvolto dal mistero, come se fosse davvero il capogruppo di una gita organizzata.
    Perdonatelo, è il solito Bart.

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    BARTOLOMEO - GOLD TAURUS [VIII] - ENERGIA SUPREMA
    lhWsVkb

    Riassunto:
    Hello :kuku: Non guardate me, perché non è colpa mia e non ne so niente :mke:

    Condizioni:
    Ottime.

    Tecniche:
    -

    Abilità:
    -

    NARRATO - PARLATO - PENSATO - TELEPATIA - BAMBINI - ELENA

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    Bosco Del Sussurro Eterno.
    Così è questa la tua meta. Il sussurro degli spiriti nella tua anima sono stati chiari e i passi, lenti e misurati, ti conducono lì dove non avresti mai pensato di poter arrivare.
    Ma come molti passi che hai fatto in questa vita vero Gaelle? Quanti passi hai fatto e non avresti mai lontanamente pensato di poterli fare? Quante volte ti sei girata, stupita, della strada che avevi percorso e, titubante, guardavi quella di fronte chiedendoti se fosse stata fortuna oppure talento il fatto di poter essere lì, in quel preciso istante con tutta quella strada fatta.
    Sei sempre stata dubbiosa, piccola mia. Non un eroina, figuriamoci, ma una donna con poche certezze su te stessa. Orgogliosa ma sempre impaurita del primo passo.
    Il dubbio di non essere pronta, capace, intelligente, in grado di poter davvero farlo.
    Ma il coraggio quello non ti è mai mancato.
    Cammini in questo bosco, con i piedi che calpestano l'erba e l'odore di alberi mischiato a quel gelo che ti avvolge facendoti fermare. E quel Bosco diventa come quando entrasti per la prima volta in una scuola di danza.
    Avevi osservato, speranzosa e invidiosa, chi entrava, chi ballava, le borse, così come le mezze punte che alcune portavano al collo, camminando di fretta, salutando madri o nonni e entrando quelle sale silenziose che si sarebbero riempite di musica e respiri affannati, di urla e di sudore che gocciolava su parquet perfetti, specchi silenziosi e neutrali di passioni ma anche di fallimenti.
    Come il tuo. Avevi il cuore, certo, ma non i piedi. Amare qualcosa non significa poterla avere. Amarla non significa esserci portato. La si può fare certo, perché tutto si può fare, ma non riuscire in tutto.
    E ora respiri, tesoro mio, respiri come quel giorno che entrasti in sala. Non più piccola ma nemmeno un adulta, titubante, incerta, con l'ansia di non riuscire, di non essere in grado; i tuoi occhi che passavano sulle altre: corpi longilinei, il collo del piede tirato, così curvo che la sua linea prolungava quella della gamba dando armonia a tutta la figura.
    Piedi e gambe leggeri e al tempo stesso forti, che rendevano quelle figure eteree, slanciate, come pennellate d'acquarello.
    Ci volle tempo, vero? Per riuscire a non essere solo una linea incerta e sgraziata, ma precisa e leggera. Ma mai a raggiungere quella delicatezza – come cristallo – che avevano le sue compagne.
    Ma tentare non significa fallire. Il fallimento può sempre arrivare ma se non si prova allora è peggio, molto peggio.
    Aveva fallito.
    Il suo corpo, così sinuoso, così profondamente conturbante non poteva essere una leggera pennellata.
    Non era Salomè. La sua danza non inebriava, né tanto meno apriva a mondi nuovi perché le sue forme catturavano l'attenzione non i suoi piedi.
    Ma in questo aveva preso da sua madre e da sua nonna e quelle stesse forme, che molte le invidiavano, non le apprezzò perché furono la causa a non poter essere una ballerina di danza classica.
    Ma scoprì come la danza non si esauriva in un développé, nell'attitude, grand battement, relevé, plié, le pirouettes, il rond de jambe e molti altri. Non era solo elementi decodificati ma unità tra mente, corpo e spirito. Non si ballava per la ricerca della tecnica o della perfezione ma per esprimersi.
    Danzare significava muoversi nello spazio per armonizzarsi con il creato e con gli altri.

    Quel gelo la investì scacciando questi pensieri. Era da tempo che non pensava più ai passi fatti nel passato. Strano che proprio adesso aveva collegato questo a quando, da adolescente, varcò la sala di danza. Sentì freddo alle estremità delle dita.
    Come quel giorno.
    Pensava di essere capace di controllarsi, ormai. Ma chi nasce tondo non può morire quadrato e lei ha sempre paura di fare il primo passo. Prima deve farsi corrodere dai dubbi che mettono in luce la sua anima e la sua volontà. È come se essere dubbiosa, titubante sulla soglia della scelta le permettesse di potersi guardare e guardare meglio così di poter fare quel passo con cognizione di causa e volontà. Non perché schiava delle decisioni altrui ma solo delle sue.
    E un passo fu davanti all'altro, attutito da quel letto di muschio e foglie decomposte che sembrano quasi voler soffocare ogni suono che non fosse benaccetto in questo luogo. Nulla doveva disturbare la sacralità di un luogo al confine tra reale e fantasia, tra Materiale e Immateriale, tra veglia e sogno.
    E per la prima volta la sua figura fu come quelle pennellate d'acquarello che tanto invidiava alle sue compagne quando le loro gambe disegnavano linee che raccontavano storie.
    Si fermò per un attimo. Le sue mani sulla corteccia di un albero dal fusto grande quanto due uomini.
    Antico, forse, eppure era lì con le sue fronde a ghermire il vento dell'atlantico e le sue radici a scavare la terra di Haiti per trovare nutrienti mentre rimenava lì, certo silente, ma la sua presenza parlava anche senza che il suo linguaggio si capisse.

    aa9ff0e72e8b954955537e00538a9efb
    Rising up through the air
    Up ahead in the distance
    I saw a shimmering light
    My head grew heavy and my sight grew dim
    I had to stop for the night



    Lì sulla soglia di un viaggio sconosciuto vi erano percezioni e cose lontane, vi erano sussurri e una nebbia che accarezzava le sue caviglie mentre il freddo sgusciava risalendo sulle gambe provocandole un brivido. Il suo respiro più profondo mentre la mano rimase sulla corteccia.
    Un' àncora.
    Sentire un contatto rimanendo sulla soglia sapendo che senza un passo nulla si sarebbe mosso.
    Lasciò l'albero e si perse tra le fronde di quegli alberi, dove la luce si mischiava all'ombra.


    I passi si fecero incerti.

    «Dare tutto e non ricevere in cambio mai niente »


    «Mi resta solo il caos »



    Cosa ti resta Gaelle?
    Cosa sei venuta a fare in questo cazzo di posto, sperduto, lontano da tutti, da tutto, dal confortevole abbraccio di tua nonna e dalle risate della tua famiglia.
    Sei qui come mambo.
    Mambo cosa significa' Chi ti ha mai dato questo titolo, se di titolo si può parlare di un qualcosa che non t'appartiene e mai lo hai voluto.

    «Piangevi di notte»


    «la paura ancora adesso ti scava dentro. Tu hai sempre paura.»




    Si.
    La paura la provi ancora adesso.
    Quando il Mondo fu al collasso e tu non sapevi cosa fare. Guardavi tua nonna proteggere quello di cui era sua responsabilità. Allora ti maledicesti.
    Tua Nonna poteva morire perché non volevi prenderti la responsabilità di un potere che ti faceva paura. Ed ora con quale diritto ti arrogavi questa responsabilità?
    Ti sei nascosta.
    Ti sei ingannata e ingannato.

    «Il mondo fa troppo chiasso»



    Una carezza?
    Lo era davvero? Si girò di scatto.
    Si faceva chiasso questo mondo, lo diceva sempre. Sua madre faceva chiasso, i professori e tutte quelle parole del cazzo che continuavano a ripetere senza aver mai visto quello che c'era dall'altra parte.
    Nemmeno a scuola riusciva a smettere di vedere.

    «Sei stata una ribelle»


    «Perché era la corazza che ti serviva»



    Così aveva una scusa.
    Si fermò. Qualcosa c'era. Intorno a lei. Sussurri così diversi da quelli a cui era abituata. C'erano.
    Attorno a lei.
    La paura. La depressione. Il dubbio.
    Le fughe urlando.
    Il non sentirsi capiti.
    Le parole urlate a sua nonna.
    Sua madre e la sua preoccupazione. Il villaggio.
    Per una bambina di 8 anni tutto questo era troppo. Fu troppo anche a 14 anni. Di amici ne aveva pochi e forse nemmeno quei pochi poteva considerarli tali.
    Schifosi opportunisti.
    Erano amici di Gaelle o amici della mambo che poteva diventare?
    Gaelle era il tramite per sua Nonna.



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    «Sbaglio sempre io.»






    Una Gaelle bambina che sbagliava o pensava di sbagliare.
    E la Gaelle donna ridivenne come quella bambina che cercava nella danza il proprio posto nel mondo. Un mondo che non era come quello che guardavano gli altri. E cadde.
    Non la prima.


    NON L'ULTIMA




    i dubbi erano sempre stati parte di lei. Ma crescere significava dare risposta a quei dubbi. Trovare le risposte non era facile e forse non erano nemmeno quelle più giuste ma erano giuste per lei.
    Aveva sbagliato.
    Troppo.
    Ma era una bambina in un mondo vasto come l'Oceano.
    Quei sussurri scavavano la sua corazza e le sue certezze costruite negli anni.
    Perché gli sbagli servivano a costruire chi saremmo stati. Costruivano non il nostro passato ma il futuro e il presente.
    Sussurri che la conoscevano. Oh si...la conoscevano fin troppo bene. E in fondo quello che eravamo stati non potevamo cambiarlo. Né l'odio che provammo. Né la solitudine.


    «Scappa. La mambo è tua Nonna.»


    «lascialo a lei.»




    Faceva male. Il suo cuore faceva male.
    Ricordi riaffioravano con il peso delle parole che portavano con sé. Un macigno.
    Sabbie mobili che l'avevano presa trascinandola dentro se stessa e i suoi errori. Ma sapeva, e quanto lo sapeva, che fu stupida ma era solo una bambina. Non una giustificazione ma non si può di certo cambiare ciò che era stato fatto e detto.
    Poteva solo fare tesoro dei suoi errori. Perché era lì?
    Ripetilo, Gaelle.
    Ripetetelo sempre dentro di voi. Perché l'Oceano spazza qualunque cosa, portando i relitti del nostro cuore ovunque e lontani dalle spiagge che chiamiamo casa. Ci scuote, ci sbalza ovunque ed è lì che dobbiamo tenerci aggrappati a quel poco che rimane della nostra vita.
    Scoprendo che è quello più saldo, più forte e più vero. Perché è la parte che ci aiuta quando tutto è tempesta.
    Quando la depressione e la paura sono sussurri così dolci da essere miele e noi mosche che ci affoghiamo dentro.

    «Avete ragione. Sono stata sopratutto questo.
    Ma ero una bambina.»


    Nel passato. Una bambina.
    Non una donna.

    «Non è facile esserlo in un mondo normale figuriamoci quando vedi cose che gli altri non vedono. Quando senti parole, quando su di te già hai una responsabilità Mi sono sentita chiusa. Tutto già prestabilito.»


    Non aveva scelta. Doveva ballare su una musica che non era la sua. E lo doveva fare con una palla di cemento da 80kg attaccata ai piedi.
    Pensava che la vita fosse più semplice. Voleva fare le sue scelte. Voleva sbagliare. Voleva la sua strada non questa.

    «Il passato non lo posso cambiare, né le parole che ho detto.»


    Ma quella bambina non doveva esserlo. Era immatura, non aveva ancora attraversato l'Oceano. La prima volta era normale cadere, così come fu normale quando la prima onda la sbalzò dal suo windsurf in quell'estate torrida di quando aveva 15 anni.
    Aveva equilibrio ma non aveva la padronanza del mezzo.
    Nessuno nasce con la conoscenza.
    Si sbaglia perché si deve acquisire conoscenza ed esperienza. Eppure sua madre era lì di notte.
    Suo padre la tirò su rimettendola sul surf, sua nonna sorrideva mentre preparava i dolci raccontando di come il nonno la corteggiasse di nascosto dai suoi fratelli.
    Si...era stata una bambina e non tutti furono perfetti. Ma non lo fu nemmeno lei.
    Eppure fare qualcosa con quello che avevamo era nostra responsabilità.
    Suo padre rimaneva lì, con le braccia conserte, a guardarla mentre risaliva sul surf per riprendere il vento. Un'altra onda e lui era ancora lì. Non la perdeva mai di vista.
    Sua madre sopportò e il sorriso ci fu sempre. Anche quando le lacrime rigavano il volto di quella bambina con un dono che era solo un fardello. Un macigno che la rendeva strana. e lei non aveva mai avuto un carattere che affrontava le cose di petto.
    Chissà perché ricordava quell'estate.
    esattamente quella.
    Nemmeno le piaceva il windsurf, ma aveva la curiosità di provarlo e l'Oceano mise alla prova la sua curiosità. Le onde la rigettavano a riva, il vento le strappava la vela di mano, il mare era immenso e doveva imparare non a temerlo ma a rispettarlo.

    Suo padre rimaneva lì a guardarla sempre. Ogni volta le sue mani a riprenderla, con quel windsurf sgangherato.

    L'Oceano e le sue onde ancora a spazzarla via.
    Si era sempre rialzata grazie a qualcuno.
    Quelle parole a spazzare via le sue certezze ma non c'era suo padre oggi.
    Cadde ancora. Freddo.

    Però ricordava quell'estate. Quando ci riuscì a cavalcare le onde con i venti tra i capelli e la spuma tra le dita dei piedi.
    Ricordava il sorriso di suo padre e il suo saluto dalla spiaggia. Sempre lì.
    Sul bagnasciuga, sempre ritto come una quercia, sempre attento anche adesso che le onde e i venti erano un mezzo per correre sull'Oceano e sentirsi un po' più libera. Un po più Gaelle.
    Lui rimaneva sempre lì. Perché cadere lo potevamo fare sempre.
    Anche con tutta l'esperienza di questo mondo.

    L'OCEANO SPAZZA SEMPRE TUTTO E TUTTI
    È IL SUO MODO DI GIOCARE. TU GIOCA A TUA VOLTA E RESISTI ALLE ONDE.




    Quel vecchio pazzo di Baptiste. Per lui l'Oceano era come una donna. Amava mettere alla prova chi aveva l'ardire di cavalcarlo.
    Si rialzò. Tenendosi stretta il suo passato, i suoi errori, le sue paure, i suoi dubbi ma doveva essere come suo padre quella lontana estate di quasi venticinque anni fa.
    Non perdere di vista quello che aveva di più caro. Doveva essere come sua nonna che attese una donna bambina difendendoli durante la fine del mondo.

    «Non voglio che le vostre onde mi fermino.»

    Ecco che la lezione di suo padre fu più chiara ancora.
    Bisogna esserci quando si cade ma bisogna esserci anche prima della caduta. Perché l'onda può essere più forte, più subdola e anche con l'esperienza si può cadere.
    Sempre.
    Mai perdere di vista quello che avevamo di più caro. Anche sapendolo, anche sapendoci pronti ad affrontarlo non bisognava mai scordarsi di questo.
    Lei doveva essere come suo padre sul bagnasciuga.
    Era lì perché aveva qualcosa da portare a termine. Un compito. Affidato solo a lei.
    Lei era come un padre per quelli che le avevano affidato tutto.
    Lei era una mambo.
    Ma prima fu una bambina.
    Prima fu una ragazzina impaurita che cercava la sua strada in un mondo strano.
    Ora era una donna consapevole dei suoi doveri. Consapevole dei suoi errori. Ma sopratutto dei perché stava resistendo a quelle onde.
    Consapevole che il passato rimaneva tale ma non impediva di rialzarsi.
    E di tentare di cambiare le cose.
    Di migliorare.
    Perché essere una mambo era una responsabilità.
    Come lei fu una delle responsabilità di suo padre.

    E TUTTI LORO, LA SUA






    Si alzò affrontando quelle onde.
    Perché la responsabilità è un potere ben più grande di questi sussurri. Perché quella responsabilità era la sua forza. Era come quel windsurf di quando fu giovane.
    Resistere alle onde,cavalcarle perché una mambo non può arrendersi.
    Non ne ha diritto.
    La forza del suo popolo era con lei. E se la tenne stretta continuando a camminare, resistendo, rialzandosi, riprendendo fiato, non dimenticandosi mai di quella spiaggia di troppi anni fa.

    Certo che continuare a camminare, addentrandosi sempre di più nel Bosco del Sussurro Eterno, nome fin troppo calzante, non fu facile.
    Quei sussurri continuavano, e sarebbero stati eterni se non si fosse tenuta stretta quello che le avevano insegnato, accettando gli errori del passato e scendendo a patti con se stessa e con la responsabilità. Camminare non curva come sotto un peso, ma tenendo lo sguardo dritto di fronte a sé.
    In fondo l'uomo era sempre proiettato in avanti...

    Anche quando, di fronte a sé, ha un muro?


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    «Jean...»




    Si fermò come se fosse stata colpita al cuore.
    Si apre la radura di fronte a lei, si apre come una quinta teatrale perfetta per poter passare dall'Atto I all'Atto II.
    Una perfetta successione senza strappo alcuno, melodiosa da sembrare irreale, emozionante da fermarle il respiro, da farle venire il magone. Perché doveva fermare le lacrime?
    Sentiva i singhiozzi scuoterla da dentro.
    Li ricacciò al di dentro dell'anima con violenza e rabbia.
    Vederlo lì...

    «Sei davvero tu?»

    la rabbia di non esserci stata quando servì davvero.
    Uno dei suoi migliori amici.
    Lui scriveva canzoni e lei ci ballava sopra. Era un modo per entrambi di sfuggire ai propri fardelli personali.

    Hai costruito un amore ma questo amore è finito
    il tuo piccolo pezzo di paradiso si è trasformato in oscurità




    Non riusciva ad ascoltarla quella canzone, forse perché le metteva tristezza, forse perché mostrava quello che si annidava in Jean. Il sordido parassito di una depressione che lei non voleva vedere.
    Come quando fece finta di essere la sua ragazza per difenderlo dalle troppi voci che giravano sul suo conto.
    Voci che, in tempi diversi e con maturità differenti, non sarebbero state chissà cosa. Ma non erano quelle voci il problema ma la sua famiglia.
    Forse perché la normalità è negli occhi di chi la vive non di chi la osserva.
    A Gaelle non era nemmeno interessato, e su questo la sua famiglia fu più aperta e accogliente di quella di Jean.
    Una famiglia che considerava sua. Qualcuno con cui sfogarsi, con cui sentirsi vicino, perché avere troppa sensibilità è un bene ma che troppo facilmente può diventare un cappio.
    Erano ragazzi.
    Avevano i loro sogni e i loro pesi, le loro paure, i loro primi amori, le loro prime onde che li buttavano giù.
    Ognuno a suo modo cercava di resistere ma nessuno di loro fu sincero con l'altro.
    Non completamente.


    «Sono diventate parte di me.»

    La depressione, il non sentirsi capiti fino in fondo, il fuggire lontano per potersi creare un'altra strada, cercando quella spiaggia che potevamo chiamare casa dopo essere stati naufraghi in un oceano oscuro.
    Ma i pezzi che erano stati strappati e portati chissà dove furono troppi. Furono così pesanti e così insostituibili che a poco a poco quei pezzi divennero buchi nel suo animo, così profondi da inghiottirlo per sempre.
    Erano giovani.
    Lei più fortunata nei rapporti famigliari, lui no. Ma rincorrere questa stessa prova?
    Lo capiva.
    Era anche un modo per sentirsi apprezzato. Per avere il suo posto in questo mondo. Dopo tanto tempo a sentirsi solo forse la rivincita contro quella stessa vita la voleva ardentemente.

    «Avevamo promesso di esserci sempre.
    Di raccontarci tutto...ma io non sono stata sincera con te, né tu con me. Sei andato via ed io ero troppo presa dal mio fardello personale per capire, completamente, te. Le tue paure. Sopratutto quella bestia immonda detta depressione.»


    L'immaturità di una ragazza che si affaccia ai grandi problemi della vita, che cerca di navigare senza bussola in un oceano vasto come questo.
    La bussola non l'avevamo mai con noi, potevamo solo navigare a vista cercando di prendere le decisioni migliori in quel momento. Ma non c'era un modo migliore piuttosto che un altro.
    Era sempre così difficile vivere.
    E per Jean divenne angoscia e oscurità.

    «Ti ho anche maledetto, per tanto tempo.
    Perché potevi parlarmene, perché ti potevi fidare ma con quale diritto te lo avrei chiesto?
    Oggi, con un'altra testa e un'altra maturità so che avrei dovuto ascoltarti di più e mettere da parte le mie paure per poter vedere le tue.
    Dovevamo solo parlare...o forse solo suonare e danzare come facevamo a casa mia con i dolci presi da mamma e papà che ti chiedeva di rimanere a cena...»


    Fu anche questo che le insegnò la vita. Che bisogna saper ascoltare se stessi e gli altri. Che essere da soli non faceva nient'altro che affogarci nell'oscurità che c'era, purtroppo, in ognuno di noi.

    «Hai cercato questa strada ma la tua qual era? Davvero, però. Io la mia la sto ancora cercando ma riesco a sopportare quello che vedo allo specchio ogni mattina.
    Ecco perché sei stato parte del mio peso e ti chiedo perdono anche se non cambia nulla. Non cambia il passato, non cambia il futuro.
    Ma oggi lo capisco...»

     
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    Jean, con quei suoi occhi dorati che incatenano l'attenzione, e i lunghi capelli castani che cadono liberi lungo le spalle, incarna un'immagine che oscilla tra il familiare e l'arcana. Indossa vesti semplici, quasi monastiche, ma il suo corpo, costellato di tatuaggi e marchi a fuoco, parla di dolori e gioie indecifrabili.

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    Siede con un'aura di calma impenetrabile, ascoltando le tue parole, Gaelle. Ma poi, si muove con una fluidità che sembra appartenere più al sogno che alla realtà. Si avvicina, il confine tra voi due diventa un soffio, un'inesistente barriera d'aria. Con un gesto che è dolce quanto è ferreo, solleva il tuo mento, obbligandoti a incontrare il suo sguardo. La sua voce, un filo di miele nel silenzio, ti incatena con una dolcezza che risuona con una forza che sembra impossibile da contrastare: "Guardami," ti sussurra, "vedi attraverso gli occhi che hai ferito."

    E in quel momento, la realtà si frantuma come vetro sotto un colpo secco. La tua mente, Gaelle, viene catapultata in un orrore che va oltre la comprensione: una palude oscura, un abisso di melma e disperazione. Ogni passo è un calvario; il fango nero ti succhia verso il basso, risucchiandoti nella sua fredda, umida presa. La nudità non è solo l'assenza di vestiti, ma l'esposizione della tua anima, vulnerabile e tremante di fronte all'oscurità che ti circonda.

    Davanti a te, emergendo come un presagio dall'abisso, si erge una creatura di incubi, un demone dalla pelle più buia della notte stessa. Sei paia di ali maestose e terribili si dispiegano, specchi adornano queste ali come gemme maledette, ciascuno riflettendo una versione distorta di te, in realtà alternative dove il dolore, il rimorso, e la paura ti definiscono.

    La creatura si libra in volo, gli artigli distesi verso di te, minacciando di strappare via non solo la carne ma ogni frammento di speranza e luce dentro di te.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.





    Note del Master
    Senza che tu possa fare nulla, vieni trasportata in quest'incubo. Per ora, Gaelle dovrà affrontare l'incubo e le paura che Jean ti vuole mostrare. Considera, per farti capire che Jean ti ha lanciato un Fantasma Diabolico per intenderci. Prima che questo demone ti assalga però, senti nella tua testa un ritornello. È una vecchia canzone che ballavate te e lui quando eravate giovani e innocenti. Ricordando quei versi, che ti escono come se fossero la cosa più naturale del mondo, capisci che non sei una donna inerme e indifesa e puoi fare qualcosa.

    Considera come se fossi in grado di usare il Cosmo e la Telecinesi e, beh che dire un demone con ali fatte di specchi sta per attaccarti e azzannarti per fare scempio del tuo corpo. Agisci e combatti come se fosse un normale scontro. Vorrei che ci fosse una prima parte introspettiva, poi una seconda parte in cui dai un senso al perché Gaelle non può fermarsi adesso e sblocchi questi due poteri.



     
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    Jean non lo riconosci.
    Non è quel ragazzo spaesato, sperduto, timido e amico che avevi conosciuto nella tua gioventù. È qualcos'altro.
    Un qualcosa di distante.
    Troppo.
    Allungando una mano non saresti riuscita mai a cogliere la sfumatura di quegli occhi dorati, né le gioie e i dolori che viaggiavano sulla sua pelle raccontando una storia con un linguaggio a te indecifrabile.
    Jean era alieno.

    Non siamo pronti ad accettare ciò che si trova fuori da questo mondo se prima non riusciamo ad accettare tutto ciò che lo popola



    Ma soprattutto se non accettiamo noi stessi. Se non riusciamo a convivere con quello che eravamo stati. Una bella merda.
    Vedere Jean, non riuscire a riconoscerlo, vederlo distante nei modi, nell'atteggiamento, guardare quegli occhi perdendosi in alieni sfumature dorate che trasmettevano null'altro che il freddo, che non riusciva a colmare, ormai, quella distanza di sentimenti e di vita.
    Una vita ben diversa. Con scelte ben diverse.
    La distanza ormai era troppa.
    Ma quella dell'anima, perché quella fisica si chiuse fra di loro come una porta sbattuta con troppa violenza.
    Era ancora frastornata, istupidita da quello che le era apparso davanti, incredula se credere ai suoi sensi o se la sua mente ormai fosse divenuta un sussurro flebile.
    Il suo movimento fu fluido e anche innaturale, azzerando tutto ciò che vi fosse tra di loro e il tocco, dolce e ferroso al tempo stesso, colmò la distanza divenendo l'unica cosa fra di loro.
    E i ricordi riaffiorarono, come bolle in un calice, anche in questo momento.
    Alzando gli occhi, incontrando i suoi, la sensazione di lontananza e alienazione si mischiò a quelli che ricordava sovrapponendosi in un immagine caotica.
    Era Jean ma non lo era al tempo stesso. Non quello che lei aveva conosciuto, non quello che la giovane Gaelle ascoltava mentre suonava cercando di combattere i propri demoni.
    Non era quel tocco delicato e timido, pauroso e incerto. Le sue dita erano delicate ma trasmettevano il duro del ferro non la morbidezza di un animo gentile.
    Come dure, affilate e velenose furono le sue parole.
    E nei suoi occhi la realtà si frantuma. Schegge di vetro impazzite che turbinano attorno a lei, attorno ai due, che vorticano impazzite attorno a Gaelle stessa che non può far altro che rimanere ferma.
    I suoi occhi sono dentro Jean, schiava e succube di quegli stessi occhi mentre la Realtà si sfalda.
    Liquido argentato che scorre via attraversandola, diventando altro.
    La sua Realtà non è più. Negli occhi di Jean, la sua disperazione, la sua oscurità plasmano un nuovo mondo.
    La melma e l'oscurità sono questo mondo. Un pantano dove affoga. Più si muove più affonda.
    sabbie Mobili che l'afferrano, la trascinano in basso, in disperati abissi vuoti e silenziosi dove le sue paure l'accolgono.
    Erano lì. Attendevano in silenzio.

    66165d993b3eea8148cf4351b447151e
    Egoista.
    La tua dolcezza è il veleno dolce come il miele



    Gaelle la mambo del suo polo non era null'altro che una bambola rotta. Spezzata in più punti, puntaspilli affondavano nella sua anima facendola affogare nella sua inettitudine.
    Per molto tempo aveva mentito a se stessa ma sopratutto agli altri. Aveva invidiato, aveva sfruttato chiunque per poter colmare un vuoto che sentiva dentro. No.
    Non era il vuoto. Era la paura. Quella stessa paura che la faceva svegliare di soprassalto la notte ma non potendo dire la verità.
    Sussurri che cercò di scacciare con il frastuono della danza. Con il frastuono della musica.
    Con qualsiasi cosa potesse farle dimenticare la verità.
    Si lei era fuggita dalla verità per poi mettersi i panni della santa, di una donna migliore di quella che fosse in realtà. Jean era il suo incubo. Era la sua paura. Il suo fallimento.
    Con la sua sola presenza aveva incrinato, spezzato e infine gettato via le sue certezze che così salde non erano mai state in realtà. Si era costruita un castello di sabbia utile per facciata, ma così fragile che era bastato un soffio, quel sussurro di ferro che divenne per lei tornado.
    Spazzando la menzogna mostrò il mostro sotto il letto.
    L'egoismo.
    Il menefreghismo.
    Jean aveva chiesto aiuto? No.
    Ma c'era bisogno di dirlo? Non poteva capirlo e basta' Poteva guardarlo, poteva interessarsi di più, senza essere presa troppo da se stessa.
    credere che i suoi fossero gli unici problemi. Non un'amica. Non una donna.
    Solo qualcosa che si arrampicava per sopravvivere. Facile.
    Questo era.
    Questo aveva fatto.
    Nuda dalla menzogna con cui aveva cucito la sua realtà ora doveva affrontarla e pagarne le conseguenze.
    Cercò di gridare ma il silenzio fu risposta. Affondava. Le mani in alto a cercare quegli stessi appigli, stupidi e vani, con cui aggrapparsi per non affogare. Ma non c'erano. Non c'erano mai stati.
    Oggi pagava nella maniera più terribile di tutte.
    Nuda e fragile spariva nel nero dell'inconsistenza e dell'ignavia.
    Aveva detto cose ma senza crederci. No...le aveva dette rispettando un copione perché questo doveva fare per colmare il vuoto.
    Non potendo sfuggirli aveva cercato di fermarsi e fare quello che ci si aspettava da lei.
    Pece attorno a lei, melma e liquami la tenevano ferma mentre il mostro si ergeva di fronte a lei.

    E là, senza più muoversi, rimane esso a guardare, fermo sul busto oscuro, come se fosse al limitar dell'uscio dell'anima di Gaelle.
    Disegnano nessun ombra su nessun pavimento, mentre gli specchi di cui le sei paia di ali sono adorne, rimandano deformi Gaelle.
    Come anime che da quell'ombra lunga ed enorme come il vuoto di questo mondo non potranno mai essere libere.
    Gaelle che era schiava delle sue paure, dei suoi errori, della sua disperazione, del proprio tormento interiore che non conduceva null'altro che alla fine di se stessa.
    Alla gabbia che, sancita dagli specchi, aveva posto su di lei la fine della storia.
    E più si dibatteva, più urlava, più il nero liquame l'avviluppava stringendole le forme, soffocandola costringendola a guardare ancora e ancora quello che doveva essere.
    Il vero mostro.


    I know the things you wanted, they're not what you have
    With all the people talkin', it's drivin' you mad
    If I was standin' by you, how would you feel?




    Sprofondare e basta. Più guardava quegli specchi e più riconosceva se stessa in ogni linea, in ogni lacrima, in ogni ferita e sangue versato, in ogni oncia di disperazione, rannicchiata in un angolo o urlando spaccandosi le nocche al muro.

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    «Ecco la verità che nascondevo. Questo è quello che sono.»



    Andò in frantumi. La voce poco più di un flebile sussurro, parole esalate con l'ultimo respiro prima di essere soffocate dal dolore e dallo sbaglio. Non si dibatte più. Frantumi come scintille illuminano il buio prima di essere ghermiti dallo stesso, attratti come un predatore famelico.
    Un attimo e tutto è di nuovo tenebra.
    La creatura si libra in volo, come falco a ghermire la preda.
    Artigli pronti a dilaniarla, a strappare luce e speranza, a farla diventare orrendo pasto con le sue ossa a sciogliersi in questo mondo divenendo parte di questo dolore e agonia.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    All'ultimo si era ricordata di questo vecchio ritornello.
    Ironia della sorte lo ballavano quando erano solo ragazzi. Dolce.
    Sarebbe sprofondata con un lieve sorriso sulle labbra. Una morte dolce come una mosca che affoghi nel miele.
    Almeno la sorte era stata quasi magnanima.
    Chiuse gli occhi.
    Non voleva vedere, voleva essere cullata da questo dolce ricordo che tenne dentro di sé per poterle far affrontare la morte.


    Eppure qualcosa pulsò. Era come una spinta.
    Era come l'onda che si infrangesse ancora e ancora sulla battigia. Era lenta ma costante. Onda dopo onda la sbattevano alla riva del giudizio e della vita. Onda dopo onda lavavano via la lordura che l'aveva avviluppata.
    Era il movimento costante di chi l'aveva accompagnata nel suo percorso.
    Perdersi e ritrovarsi?
    Oppure solo continuare a scorrere. Sapendo che gli ostacoli fanno parte di questo percorso, ma lei veniva spinta ancora e ancora. Come quel fiume che punta all'Oceano.
    Lei aveva perso. Era scappata. Aveva paura e ancora l'aveva eppure l'onda non smetteva di spingerla.
    Quella lenta canzone la scuoteva dall'interno dell'anima dove si nascondeva una scintilla primordiale appartenente all'uomo nella sua interezza lucente ma anche nella sua maledetta tenebra.
    Il suo animo si era perso. Il suo animo si era ritrovato. Ma l'onda non l'aveva mai lasciata.
    Continuando a sospingerla in avanti.
    Ancora e ancora.
    Come il fiume che continua a scavare il suo percorso. A fermarsi davanti all'ostacolo per poi ritentare ancora e ancora fino a quando un nuovo percorso nasce e il viaggio continua.


    Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
    se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
    se sai incontrarti con il Successo e la Sconfitta
    e trattare questi due impostori allo stesso modo.
    Se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
    Distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui,
    o guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
    e piegarti a ricostruirle con strumenti usurati.



    Tutto questo era è e sarebbe stata sempre.
    Aveva perso le mani di molti, di tanti altri le aveva ritrovate. Essere un Oceano aveva detto.
    Ma come poteva esserlo se rimaneva solo una pozzanghera misera? Doveva bere da quella stessa pozzanghera per migliorare.
    Perché chi eravamo non ci costringeva a rimanere tali. Accettarsi e continuare a scorrere. La lenta musica continuava a pulsare dentro di lei e i ricordi riaffiorarono, non solo scuri e grigi ma ora avevano colori e sapori e suoni.
    Non più l'angoscia del pianto o della tristezza di una stanza piena e vuota allo stesso tempo ma vi erano tavoli e risate, vi erano cose belle per le quali vivere.
    Accogliere tristezza e dolore mischiate alla gioia e alle risate come l'acqua fredda si incontra con quella calda, come l'onda scava la costa, come il fiume cerca l'Oceano nonostante la montagna davanti a lui.

    Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
    dando valore a ognuno dei sessanta secondi,
    tua è la Terra e tutto ciò che contiene



    I suoi occhi erano chiusi ma erano al tempo stesso aperti. Aperti sui ricordi, chiusi per poterli vedere meglio, aperti su quell'abominio che stava cadendo in picchiata verso di lei.
    Tutto era fermo e al tempo stesso si muoveva.
    Il cuore batteva, l'onda cresceva.
    Un secchio non poteva contenere l'acqua dell'Oceano così lei doveva ampliarsi, doveva diventare l'oceano perché l'aveva promesso a loro.
    Perché Jean era una sua responsabilità e non poteva lasciarlo così.
    Ma sopratutto non poteva lasciare Haiti. Non poteva lasciare il suo popolo e chi aveva affidato tutto a lei.
    L'onda ora era il suo cuore. I ritmi si sovrapposero divenendo una cosa sola.

    Constant movement is our life
    Can't stop no more, not until we die
    We long for more eternity, and maybe there's another life
    This one is short, no matter how you try



    Doveva guardare il suo nemico negli occhi, guardare le Gaelle disperate perché solo così avrebbe potuto riprendersi se stessa.
    Far montare, onda dopo onda, il ritmo che aveva dentro il cuore fino a farlo diventare un maremoto senza freni.
    Trasportata dall'onda ora doveva essere lei a guidarla.
    Il suo viaggio...aveva dimenticato i perché era lì. Jean faceva parte del passato e il passato non poteva e doveva avere presa su di noi e le scelte che potevamo fare.
    Poteva essere una di quelle Gaelle eppure non lo era.
    Poteva essere tutt'altro, poteva aver venduto se stessa elquello che era vivendo nella menzogna eppure non lo aveva fatto. Ogni passo, giusto e sbagliato, l'aveva condotta ad oggi, a qui, in questa battaglia prima con se stessa e il passato e ora con il presente per poter proseguire.
    Come un fiume che trova la montagna, scavando a fondo nella roccia per poter vedere il cielo che vi era dall'altra parte, la donna doveva continuare.
    Lo aveva promesso.
    Ognuno di noi metteva piede in un inferno perché è spinto da qualcosa. E questo qualcosa è estraneo alla propria volontà. A volte si era costretti a farlo dalle altre persone o dal contesto in cui si viveva. Però per quelli che si spingevano così oltre lo vedevano in un modo molto diverso. Lo vivevano sulla loro pelle, sulla loro anima eppure non si fermavano. Tra fuoco e fiamme, tra dolore e sbagli riuscivano a vedervi qualcosa al di là di quell’inferno stesso. Una speranza? Oppure un altro inferno ancora.
    Non c'era una risposta perché

    Questo lo sapeva solo chi continuava ad avanzare come l'onda che si infrangeva all'infinito sulla costa.



    Lei non era un onda.

    «È la natura di una cosa che conta. Non la sua forma.»

    La sua natura non era quella delle forme malefiche che quel bastardo le stava facendo vedere.

    LEI ERA L'OCEANO



    E sentì dentro infinite onde che si accavallavano le une sulle altre. Onde come palazzi che ricadevano fragorose dentro di lei in infiniti scrosci e boati.
    Onde che si piegavano su se stesse e tra spuma e acqua sentiva il ribollir di un oceano d'energia dentro di lei.
    Sentì la sua determinazione tornare, le onde avevano lavato la lordura e la dimenticanza, l'avevano riportata alla terraferma non più persa per acqua insondabili e aliene.
    L'artiglio scese.
    Le braccia si sollevarono.
    Quella forza era dentro di lei, la sentiva pulsare, con un fragore impetuoso, con un ritmo violento, doveva danzare a questo ritmo. Il suo corpo muoversi con esso e per esso, assecondare l'onda e il suo frastuono. Sentire la sua potenza e lasciarsi andare ad essa. Cavalcare la sua forza sentendo ogni movimento, sentendo gli schizzi d'acqua sulla pelle, non avendone paura ma portandole il rispetto dovuto.
    Per poi scoprire che l'onda era lei.
    L'impatto.
    Le braccia si fecero onde che impattarono contro gli artigli. Il boato come il frastuono dei fiordi.
    Quell'energia traboccò divenendo scudo contro gli artigli dell'abominio.
    La preda si scopriva non debole.
    Il falco non avrebbe avuto lauto e agevole pasto.
    Oppose questa forza all'attacco, come scoglio di contro all'onda feroce; digrignò i denti, mentre sentì la potenza dell'essere venire scaraventata su di lei che si oppose con le sue forze, mentre le gambe divennero di ferro per resistere alla forza d'urto.
    Per la prima volta stava dando sfogo alla sua rabbia. Da tanto tempo che non si arrabbiava. Da tanto tempo che non lottava per qualcosa che sentiva suo e suo soltanto.
    Non voleva arretrare. Guardò l'abominio con gli occhi aperti, voleva inchiodarsi nella memoria quest'attimo, la sua forma, cos'era per non essere più manchevole. Per ricordarsi fino alla morte questo giorno.
    Il colpo la spazzò via, la ferì su entrambe le braccia e il petto.
    Sentì il fuoco delle ferite bruciare la sua pelle, il dolore e il sangue. Cercò di risollevarsi mentre il mondo girava. Il respiro affannato come quando cadeva durante le prove nella sala di danza che puzzava di sudore, sangue, cera e abnegazione mista a quella volontà di provare e riprovare ancora fino a quando i muscoli diventavano cemento armato.
    Il respiro affannoso.
    Sollevò lo sguardo.
    Era lì. Ancora.

    «Un'altra volta. Ancora...non è finita la musica.»

    Questo dolore non era nulla a quando i suoi piedi sanguinavano e doveva ballare il giorno dopo, quando i muscoli del piede erano così stressati e duri che stenderlo del tutto faceva male, come se avesse degli aghi roventi da balia conficcati fino al polpaccio e ai muscoli tibiali.
    Il respiro affannato, il dolore alle braccia, il sangue e quel gusto ferroso in bocca eppure la musica continuava dentro di lei, eppure l'onda non s'arrestava.
    Gaelle era un oceano che continuava a gonfiarsi, a muggire di rabbia.
    Era come l'Atlantico quando spazzava le coste di Haiti...respirava affannosamente. Il suo corpo lo aveva sentito in tutta la sua possanza quell'artigliata maledetta.
    Si toccò il petto. Era difficile anche alzare le braccia. Facevano male e le ferite al petto bruciavano maledettamente eppure quello che non riusciva a smettere di pensare era che voleva fermare quel bastardo.
    Lo voleva stritolare con le sue mani riducendo in pezzi quegli specchi e le deformità penose che, come maledetti gioielli di una corona, brillavano ancora davanti ai suoi occhi.
    Le sue braccia, il suo corpo, lei con l'interezza della sua essenza voleva stritolarlo e lo guardò ancora.
    Il respiro.
    Ancora uno.
    Lei e il suo nemico esistevano ora, come da ragazza esisteva solo lei e i passi di danza.
    La sbarra e le mezze punte. Le prove, continuare a ricercare la perfezione del movimento, continuare e continuare fino a che non fosse perfetto e naturale come il respirare.
    Ancora un'altra volta.
    I suoi occhi fissi nell'altro. Dentro l'altro.
    La sua mente lo voleva bloccare.
    Non seppe dire perché lo pensò. Non seppe dire perché qualcosa dentro di lei le diceva che era possibile. Non era superstizione, non era più leggenda, erano come le antiche storie sui bokor che potevano muovere con la mente oggetti e cose. Che agivano nell'ambiente circostante potendolo influenzare.
    Non erano leggende. Non erano dicerie.
    Qualcosa dentro di lei, questa forza che sentiva ribollirle dentro, era reale.
    La sua mente voleva tentare di fluire in quel mondo per tentare di diventare gabbia e catene inchiodando quel bastardo sul posto. Tentare di farlo rimanere bloccato sul posto, come se quelle ali di colpo portassero centinaia di catene pesanti ciascuna svariate tonnellate.
    Per poi stritolarlo come se fosse sotto una pressa idraulica.
    Questa potenza telecinetica l'avrebbe sfruttata per rendere questo pensiero reale.
    Sollevò le sue mani, come se stessero schiacciando qualcosa. Come se potesse avere il corpo di quel bastardo tra le sue mani, per tentare di sentire le sue ossa rompersi e la sua carne spappolarsi, diventando una frattaglia informe.
    Si la sua mente voleva tentare di schiacciarlo come in una morsa, come sotto una pressa tentando di rompergli le ossa, spappolandogli viscere e muscoli semmai ne avesse avuti. E guardarlo. I suoi occhi sarebbero divenuti gli specchi in cui poteva guardarsi soffrire. In cui poteva contorcersi dal dolore ripagandolo con il suo stesso veleno.
    Facendogli bere lo stesso calice di merda con cui l'aveva ingozzata fino ad un attimo prima.


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    La morte può avermi, quando mi guadagnerà.





    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO: Danni medi da taglio su entrambe le braccia e sulla parte alta del petto

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITà: Cosmo, Telecinesi

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    DIFESA: Grazie allo sblocco del cosmo e della telecinesi, Gaelle sfrutta il primo per potersi creare una barriera di cosmo sulle braccia, poste ad X davanti a lei, intercettando l'artigliata ma vendo sbalzata indietro perché ancora poco pratica e avvezza al controllo del cosmo, quindi anche la difesa non può essere perfetta oltre che fatta pochi istanti prima.
    Questo la porta a subire danni di entità medi sotto forma di ferite da taglio su braccia e parte alta del petto.

    ATTACCO: sfrutto la telecinesi a mò di blocco per tentare di fermare il mio nemico, impedendogli il movimento. Non essendo capace di usare appieno questo potere, opto per farlo in modo molto generico. Lo sfrutto in modo da creare come una pressa che tenti di limitarne i movimenti[ATTACCO DEBOLE]
    Poi passa a schiacciarlo completamente come se tentasse di torcergli, strizzare l'intero corpo[ATTACCO FORTE]
     
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    Gaelle, mentre il tuo attacco, carico di ispirazione e determinazione, trova il suo bersaglio, un cambiamento sconvolgente si manifesta davanti ai tuoi occhi. La figura che stavi affrontando, un riflesso di paure e oscurità, inizia a frammentarsi come uno specchio colpito da una forza invisibile. I pezzi si disperdono, rivelando la cruda verità: ciò che stavi combattendo non era altro che un'illusione, un inganno forgiato dalle profondità della tua mente.

    Ma il pericolo non è ancora scongiurato. Nel momento di questa rivelazione, una sensazione fredda e inquietante ti avvolge; senti qualcosa, una mano, che da dietro cerca di afferrare la tua gamba. Non è un tentativo di trattenerti, ma piuttosto di sbilanciarti, di far perdere a te, il controllo e la concentrazione. Le mani, emergendo da un'ombra ancora indefinita, si scagliano verso di te in una raffica violenta e precisa. Colpiscono con intenzione mirata – spalle, gambe, vicino alle giunture, la gola – cercando di disarticolare la tua resistenza, di spezzare il tuo spirito combattivo. Sono colpi calcolati, progettati per infliggere il massimo dolore e disorientamento. E poi, l'assalto finale: una mano spietata e potente si abbatte dall'alto, mirando alla tua testa con l'intenzione di frantumarla, di spingerti giù, oltre il limite del dolore fisico, mirando a spezzarti sia nel corpo che nell'anima.

    Questa violenta tempesta di attacchi proviene da una singola entità, una creatura che fluttua sopra la palude nera alle tue spalle, un essere che incarna i tuoi peggiori incubi e le tue paure più profonde. Ma ricorda, Gaelle, tu non sei sola in questo momento di oscurità. La canzone del tuo cuore, quella melodia di illuminazione e rinascita, è ancora con te, pulsando forte come un faro nella notte. È tempo di raccogliere tutta la tua forza interiore, di affrontare questa oscurità con la luce della tua risolutezza e del tuo coraggio.

    La battaglia che stai affrontando è dura, ma la tua volontà è più forte. Usa quella canzone, quel canto del cuore che è in te, come scudo e come spada. Lascia che ti guidi attraverso l'oscurità, verso la luce della verità e della liberazione.

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    Note del Master
    Proseguiamo in questa piccola dimostrazione di potere. La creatura che "attacchi" è solo un'illusione, e presto si rivela quello che è il tuo vero nemico. Una mano cercada di sbilanciarti (diversivo), una decina invece cercano di pugnarti MALE (AD), mentre un'altra dall'alto prova a sfracassarti la scatola cranica e farti sprofondare con la testa nella palude.

    Sblocchi le illusioni ambientali.



     
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    La creatura immonda, con i suoi specchi e la sua carcassa di fetore e oscenità è la paura che si manifesta davanti a noi, dura e cruda. Maledetta. Senza fronzoli, senza miele ad addolcire il gusto di merda che raschia la gola facendoci vomitare.
    Gaelle affrontava quello che, sordido, aveva attecchito nel suo cuore, come un cancro in attesa di poterla divorare.
    O di poter riemergere dal fondo.
    Perché questa lotta non era contro un nemico ma contro se stessa, contro quelle che erano state le sue azioni passate che, nel bene e nel male, avevano forgiato la donna di oggi. Ma non le aveva mai permesso di uscire, di darsi il tempo di ricordare, di darsi il tempo per scendere a patti con se stessa. Aveva solo fatto finta di nulla, continuando a fingere che le sue ferite si fossero rimarginate e invece non era mai riuscita ad essere più di una ragazzina spaventata.
    Le paure erano state così subdole che avevano solo aspettato il momento in cui la sua vulnerabilità fosse al limite, per poi spezzarla e farla andare in frantumi.
    Jean era stato solo il sasso con cui rompere questo sottile vetro che lei aveva creato che rimandava l'immagine che lei voleva. Non quella reale. L'Illusione di lei.
    Quella partorita dalla sua mente per poter resistere, per poter proseguire. Fingere e convincersi che l'illusione fosse reale...sulle prime ancora sapeva che dietro lo specchio vi era la verità ma poi, col tempo e l'abitudine, persino l'illusione si era fatta granitica e la sua mente, ma sopratutto l'anima, credevano che fosse stato sempre così.
    Più semplice il giudizio. Più clemente la corte. Più leggera la pena.
    Ma non c’era fine all’illusione. La vita rimaneva un susseguirsi di stati d’animo, come se fosse un filo di perle, che quando si passava attraverso di essi, si dimostravano essere delle lenti colorate che dipingevano il mondo con le loro tinte, ciascuno mostrando solo quello che era contenuto nel suo raggio focale.
    Un raggio molto piccolo. Ma che si faceva mondo in alcuni casi e ci inglobava fino ad inghiottirci.
    Ma spalancando la camera degli orrori che per troppo tempo aveva chiuso, facendo finta di nulla, ora e oggi stava combattendo proprio con quei stessi demoni.

    Silently we wander
    Into this void of consequence
    My shade will always haunt her
    But she will be my guiding light



    Ma a volte l'Illusione è peggiore. A volte non è solo dentro di noi ma al di fuori. A volte plasma la nostra Realtà, le nostre sensazioni facendoci ballare al suo ritmo, mentre una risata accompagna i nostri dolori. L'Illusione è sopratutto l'inganno.
    Un'arte sottile. Un'arte che usa le nostre paure, le nostre inclinazioni, le nostre piccole crepe per poterci far sprofondare in un pantano sudicio e nero.
    Gaelle combatteva ma, come una marionetta, era stata mossa da mani e braccia invisibili. Le sue lacrime da una mano, la sua rabbia dall'altra, la sua battaglia da un'altra ancora. Quinta teatrale perfetta per tale spettacolo di merda dove far danzare Gaelle facendola sprofondare e poi toglierli tutto.
    Anche la speranza di essere lei a decidere i passi di tale melodia.
    Come templi d'oro che si sgretolano, le sue certezze si fanno vacue e i suoi occhi rimangono fissi di contro a mani che suonano melodie dove il suo libero arbitrio veniva soffocato dolcemente.

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    Se danzi col diavolo, il diavolo non cambia. E' il diavolo che cambia te



    E quando l'inganno si mostrò, quando le maschere caddero, cadde anche lei.
    Tutto è in frantumi ma l'unica cosa che sembra non andare in frantumi è quella canzone nella sua testa, quel cuore che batte, questa sensazione di onda che si accavalla all'infinito divenendo maremoto.
    Le mani sorgono dall'ombra inquietante che si sono fatte grembo materno per nasconderle alla sua vista, per farla sprofondare ancora più in basso in quella disperazione che questo posto trasuda, accarezzando viscido la sua pelle d'ebano.
    E lei cade.

    Non c'è eroismo in questa storia. Non c'è bellezza. Non c'è nulla di più che la crudezza dei colpi che saettano verso di lei come a volerle strappare carne e anima. Pietà è un significante sconosciuto, lei è solo una bambola di pezza usata per gli scopi di chissà quale entità.
    Sente qualcosa afferragli la gamba, farle perdere l'equilibrio e poi solo le mani. Troppe. Tante.
    Sembrano colmare il suo mondo, lo soffocano, soffocano lei e il battito del suo cuore. Una diga che ferma il dirompente flusso dell'oceano che è il suo cuore.
    La sua mente captò il pericolo. Si propagò nello spazio insieme a quell'energia che continuava a montarle dentro per creare come scudi su scudi.
    Barriere intorno a lei e al suo corpo per fermare l'attacco. Per rallentare i colpi, poterli deviare, poter resistere quel tanto che basta per non sprofondare ancora.
    Ma non per lei ma per loro. Perché questa era la sua responsabilità, era il suo potere, era il suo patto sociale che aveva scelto quando accettò questa strada.
    Perché l?oceano per essere ha bisogno del fiume. Ha bisogno di ogni singola goccia d'acqua. L'Oceano è solo un contenitore affinché Tutta L'Acqua Possa Scorrere.
    Doveva resistere.
    Per loro.
    Per lei.
    Per Jean.
    Per sua nonna.
    Per tutti quelli che aveva perso. Per quelli incontrati. Per quelli dimenticati. Per quelli che ancora rimanevano nella sua vita. Lei era una mambo.
    Il vodou non era solo una religione era un modo di vivere la spiritualità. Era così debole?
    Una mano chiusa a pugno. La vide. Ma quando si abbatté su di lei fece andare in frantumi la sua coscienza.
    Sentì il suo peso sulle sue braccia già ferite,sentì il dolore essere una scarica su tutto il suo corpo, sentì la sua coscienza andare via.
    Si sentì come svuotata da ogni energia, da ogni volontà come se l'oceano che era la sua anima si fosse seccato e al suo posto non ci fosse null'altro che un arido deserto.
    Crepe sulla roccia che un giorno accoglieva l'acqua del suo popolo, così il suo corpo era piegato e spezzato. Una ferita sanguinolenta sulla tempia sinistra, mentre il sangue le scendeva lento sul viso a macchiarlo di rosso. La sua pelle aveva lividi, le sue ossa erano piegate o rotte, respirare faceva male e l'incoscienza era un abbraccio così caldo da divenire conforto e suadente al tempo stesso.
    La proteggeva dal dolore, dalle lacrime che si erano seccate sulle guance che si mischiavano ora al sangue che le scendeva dal taglio sulla tempia.
    Come poteva vincere?
    Ma lo voleva davvero?
    Voleva solo chiudere i suoi occhi e lasciarsi andare del tutto, cullata dall'incoscienza come onde calme che la portavano al largo verso un orizzonte sereno dove il sole, quieto, sonnecchiava sulla linea dell'oceano mischiando cielo e acqua e i suoi raggi infiammavano le onde come se fuoco e acqua fossero tutt'uno.

    E nell'incoscienza l'incubo prese forma.
    Macchia scura su quell'orizzonte sereno che si allargò a ricoprire tutto con il suo livore e come un pus tutto contamina.
    Anche lei ne era vinta e sopraffatta.

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    Ālavaka



    Qualsiasi guedè fosse era al di là delle sue possibilità. Non era all'altezza di proteggere Haiti. Non era all'altezza di poter prendere il posto di sua nonna, non era capace di poter fronteggiare l'inganno e la paura che albergavano nel suo cuore, come poteva tentare di sconfiggere questo?
    Baron Samedi le aveva mandato contro il suo cacciatore.
    Le aveva mandato il segugio più brutale che non l'avrebbe mai lasciata andare fino a quando non avrebbe succhiato, oltre al midolle, persino l'anima dalle sue ossa. Si sarebbe cibato di lei e delle sue speranze lasciandola marcire nell'indifferenza del nero, ridotta solo a pochi brandelli di quello che fu.
    Patetica.
    Grigia mambo senza ricordo se non l'ultimo e il più brutale.
    Quello che i suoi occhi ormai stanchi stavano vedendo.
    Spezzata.
    Spogliata di qualsiasi cosa.


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    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    E ancora quella musica nel suo cuore. Spogliata delle certezze cosa rimaneva se non quella musica?
    Spogliata della sua essenza rimaneva quello che era davvero?

    Anche i più bravi commettono errori. I migliori se ne assumono la responsabilità. Ricordatelo Gaelle



    Ricordare.
    Che cosa? I rimpianti? I dubbi? Le poche certezze? Oppure accettarsi e accettare gli sbagli come prove per poter camminare? Anche adesso era una prova in effetti. Ma più contro un mostro, contro quel mostro che si annidava in profondità del suo cuore. Quegli stessi sbagli che ora si erano mostrarti. Ogni mano uno sbaglio.
    Ogni colpo il dolore che aveva evitato fuggendo.
    Non doveva guardare più al di fuori ma al di dentro.
    Doveva affrontare se stessa, doveva affrontare il mostro perché se non riusciva ad andare avanti nemmeno adesso poteva sperare di riuscire ad uscirne da questo inferno.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.




    L'onda non doveva arrestarsi. Nell'Oceano di se stessa doveva immergersi per trovare il suo fondo, la sua fine e la sua rinascita attraverso una nuova consapevolezza. Lei e il suo popolo fluivano l'una nell'altro.
    I Loa, Haiti, lei stessa erano l'Oceano che continuava a fluire costantemente. Tutto interagiva costantemente con ogni altra, esercitando una profonda influenza reciproca. Prendersi per mano e danzare facendo si che ogni cuore batta con l'altro, che il ritmo di uno sia la fine e l'inizio del ritmo dell'altro.
    Non doveva essere l'Oceano che inghiotte e accoglie. Non solamente questo doveva essere. Perché non sarebbe riuscita ad accrescere, accrescersi e a migliorare.
    Era stata passiva. La verità è che pensando di divenire l'Oceano che accoglieva Haiti e il suo popolo sarebbe bastato.
    No.
    Ora era chiaro che per vincere doveva vincere se stessa. Doveva non perdonarsi ma accettare gli sbagli e farli essere coscienza con cui aiutarsi nel percorso. Poter capire le responsabilità e aiutare senza essere passiva ama attiva nel suo incidere.
    L'Onda era tale perché vi era l'Oceano a formarla. Lei doveva continuare a cavalcare per avere una nuova percezione di sé

    un ingranaggio per agire in modo benefico anche nelle vite altrui.



    Non fuggire ma diventare parte. Non isolarsi ma accogliere.
    La sua mente doveva aprirsi così come lei al Tutto, capendo che gli sbagli erano stati i mattoni con cui aveva costruito questa Gaelle. Diversa dalla precedente ma uguale. Perché essere una mambo significava anche questo.

    Abbracciare il tuo scopo, con la pazienza e il sacrificio che ne derivano, vuol dire assicurarti che verrà il tuo giorno



    «Oggi...»

    Era quel giorno.
    Aveva il corpo a pezzi, aveva il gusto ferroso in bocca, la gente girava e la sensazione del vomito non la lasciava. Il mondo era diventato caotico ma lei rimaneva, doveva rimanere, un punto fisso.
    Sputò per terra un grumo di sangue e saliva, mentre la tosse le scuoteva i polmoni e da terra alzò il suo sguardo.
    Lui era lì. Pronto a divorarla. Lei doveva essere pronta a fronteggiarlo per la prima volta libera dai legacci imposta da se stessa. Libera di far fluire l'onda del suo cuore.
    Libera.

    Nel profondo del mare nuoto, nel cielo volo,
    Ogni battito del mio cuore, è un passo per la salvezza.
    Prendiamoci per mano, danziamo, al ritmo della libertà,
    Per trovare la luce, alla fine della notte.



    Per trovare la luce, alla fine della notte doveva passare per questo liquame. Doveva attraversare tutto questo.
    E come poter attraversare il diluvio?
    Attraverso la convinzione si poteva attraversare il diluvio.
    Lasciarsi andare all'onda, lasciar fluire questa energia. Non sfruttarla ma facendosi sfruttare, farsi spingere in avanti placidamente.
    Essere uno strumento per gli altri e per farlo doveva superare i suoi limiti e lui.
    La sua mente era intatta, la sua forza anche doveva solo affidarsi ad essa e lasciarsi spingere.
    I veve erano dentro di lei, la forza dei Loa la guidavano.
    La magia nera...un tempo credeva alla superstizione. Impossibile che qualcuno potesse guidare le cose con la forza del pensiero o praticare la magia.
    Eppure lei stava facendo lo stesso.
    Doveva solo varcare la soglia. Un conto è sapere la strada giusta, altra cosa è imboccarla, vero Gaelle?

    Cercò di rimettersi in piedi. Di uscire dal pantano. La ferita alla testa, il sangue, il dolore, la smorfia di rabbia e di dolore mischiati insieme. Il pugno sinistro chiuso e stretto; il peso è sull'altra gamba, zoppica, fitte di dolore eppure gli occhi fissi su di lui.
    La magia delle mambo, per spaventare, per irretire, per traviare, lasciare che i loa la cavalcassero insieme alla sua forza.
    Quella magia la usò per fargli credere che le sue ferite fossero più gravi del previsto. Orchestrare una quinta teatrale al solo atto di fargli credere di aver già vinto. Voleva che vedesse il sangue, voleva che la ferita alla testa fosse più grave, che le ossa del braccio sinistro spuntassero di fuori.
    Gaelle doveva essere alla sua mercè. Tentare di fargli credere un'altra realtà delle cose.
    Da quelle stesse ferite provenire quasi un sibilo. Da esse apparire braccia mostruose. Come se quelle stesse ferite fossero il grembo di qualcosa di mostruoso che da sempre era stato dentro di lei.
    Decine di braccia, alcune mostruose, muscolose con una pelliccia irsuta a coprire le vene che pulsavano, con acuminati artigli che tentarono di saettare addosso al suo nemico, per stringerlo, bloccarlo iniziare a colpirlo.
    Come se fossero gli arti di Azeto e Baka. Gli spiriti dei defunti, che si nutrivano di sangue, furiosi, senza pietà alcuna.
    L'inganno. Questo era il suo intento. Sfruttare la sua forza mentale per far si che i suoi occhi vedessero solamente quello che lei voleva.
    Far si che il mondo si plasmasse a seconda della volontà di Gaelle.
    Poi lasciò andare la sua forza.
    Fece si che l'inganno si sciolse per mostrare la verità dietro il Velo di Maya che aveva usato.
    Ripagarlo con la stessa moneta.
    Il braccio sinistro si mosse, lasciando andare la sua forza telecinetica per tentare di colpirlo alla testa. Il movimento fu da sinistra a destra per simulare uno schiaffo a distanza. La sua forza telecinetica guidata da quel movimento avrebbe tentato di impattare con forza su quel cranio immondo.
    Per tentare di fracassare sia cranio che superbia e farlo desistere da ogni scopo.
    Lo schiaffo di una madre? No. Lo schiaffo di chi sentenzia e ordina.
    Uno schiaffo pieno di sdegno e rabbia.




    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO: Danni medi da taglio su entrambe le braccia e sulla parte alta del petto.
    Ferita da urto danni medi sulla parte alta del corpo, con alcune costole incrinate, lussazioni ginocchio sinistro e spalla destra. Trauma cranico lieve con concussione e conseguente confusione, vista annebbiata.

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITÀ: Cosmo, Telecinesi, Illusioni Ambientali

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    DIFESA: Gaelle non è una guerriera, in primis, quindi quello che sta affrontando la coglie impreparata. Oltre alla scoperta dell'illusione è la situazione che di per sé la rende ancora più vulnerabile, oltre alla sua scarsa conoscenza del combattimento.
    Per questo entra il DIV, sbilanciandola crea i presupposti per cui l'AD entra e fa male.
    Ricorrendo a telecinesi e cosmo cerca di parare i colpi che scendono a grandinata, creando uno scudo attorno a lei, le braccia vanno a coprire i punti più importanti come petto e testa, e si rannicchia in posizione difensiva come farebbero nell'MMA, per limitare i danni dell'atterramento con conseguente raffica di colpi. L'AF arriva con forza ma riesce a resistere grazie a questo scudo telecinetico ma la lascia con varie ematomi, lussazioni e un bel colpo in testa.

    ATTACCO: Illusioni Ambientali come AD+DIV. Creo un illusione ambientale di Gaelle stessa che ha delle ferite molto più profonde e gravi di quelle che ha in realtà. Questo è per fargli abbassare la guardia, fargli credere che la sua offensiva abbia avuto successo. In questo stato creo delle braccia mostruose in più che fuoriescono dalla sua schiena che tentano di acchiappare l'atavaka di turno e di pugnarlo male.
    L'AF carico di telecinesi la mano destra e colpisco da sinistra verso destra con un mega schiaffone telecinetico a distanza. Usando il movimento della mano per guidare la forza telecinetica, cerco di colpire il volto e spappolargli la scatola cranica scaricandogli questa forza sul cranio.
     
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    Gaelle, la realtà intorno a te subisce una trasformazione tumultuosa, come se un velo fosse stato strappato via dal mondo dei sogni, rivelando la cruda verità dell'esistenza. La creatura, un tempo minaccia avvolta in ombre e terrore, si dissolve sotto l'effetto del tuo coraggioso assalto, lasciandoti in una quiete inaspettata, spezzata solo dal frantumarsi di quel sogno oscuro, simile a uno specchio che si rompe in innumerevoli frammenti.

    Riaprendo gli occhi, o forse tornando da un viaggio che sembrava estendersi oltre i confini della realtà, trovi davanti a te Jean. La trasformazione nel suo essere è palpabile: la minaccia si è dissolta, lasciando posto a una tristezza profonda, un dolore così puro e intenso che risuona dentro di te, vibrando con una nota di incomprensibile perdita. Le sue mani, ancora dolcemente posate sul tuo volto, conferiscono un'umanità al momento che ti avvolge in un'aura di malinconia.

    Mentre la sua figura inizia a svanire, come se fosse richiamata verso una dimensione che non appartiene né a te né a questo luogo, senti il tocco leggero delle sue labbra sulle tue. Un bacio carico di addio, di dolore e di un abbandono che lacera l'anima. "Non ancora Gaelle, non ancora amica mia," sussurra con una voce che trasuda sincerità e una profonda tristezza. "Guardati da ciò che ti circonda, guardati da ciò che è reale e ciò che non lo è. Questo luogo è pieno di pericoli."

    Le sue parole si insinuano nel tuo cuore, lasciandoti un'eredità di cautela e di consapevolezza. Mentre la sua presenza svanisce come nebbia al sole, ti ritrovi sola nella radura, avvolta in un silenzio che pesa come una rivelazione. Davanti a te, due sentieri si disvelano, offrendo una scelta che pesa con la gravità delle decisioni non prese.

    Uno si snoda verso una scogliera stretta, sospesa sopra un mare oscuro e inquietante, le cui acque sembrano celare segreti e minacce nell'abisso sottostante. L'altro conduce a una foresta, ma non una qualsiasi: ogni albero, ogni foglia riflette la realtà come uno specchio, promettendo verità ma anche il rischio di perdersi nelle proprie riflessioni e illusioni.

    Gaelle, davanti a questa biforcazione del destino, il peso della scelta grava sulle tue spalle. Ricorda le parole di Jean, il suo avvertimento intriso di affetto e preoccupazione. Ogni sentiero porta con sé le sue sfide e i suoi insegnamenti. Il percorso della scogliera potrebbe insegnarti la forza di fronteggiare le paure più oscure, di affrontare l'ignoto e trovare la luce anche nelle profondità più tenebrose. La foresta degli specchi potrebbe offrirti l'opportunità di confrontarti con te stessa, di sfidare le tue verità e scoprire ciò che si nasconde dietro le apparenze. Il momento è arrivato, Gaelle. Quale sentiero sceglierai? La scelta non è solo tra due percorsi, ma tra due parti di te, tra due visioni del mondo. Prendi un momento, ascolta il battito del tuo cuore, e scegli il cammino che risuona con la tua anima.

    Note del Master
    Bene, intramezzo mentre decidi che cosa fare. Hai davanti a te, una scelta abbastanza importante su come proseguire. Vorrei un post, in cui ragion su ciò che ti sta succedendo e mano a mano, che prendi consapevolezza di ciò che ti circonda e del tuo potere, cominci a farti delle domande. Dove sei? Cos'era Jean?

    I danni che hai subito da "Atavaka" sono di natura "spirituale" diciamo, considerali come tali, non hai segni sul tuo corpo. Bon, post di intramezzo e, poi proseguiremo per la prossima destinazione.



     
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    Tutto quello che vediamo,quello che sembriamo, non è che un sogno dentro un sogno.



    Gaelle era il sogno di qualcuno? Non era che la protagonista, o la comparsa, di chi ora dormiva nel proprio letto lasciando che i sogni formassero nuovi mondi e nuove storie?
    Quel mondo si sgretolava, come quell'essere.
    Tutto è in frantumi, schegge come stelle che attraversavano spazi indefiniti in eoni di tempo. Cade in ginocchio sentendo freddo. Un freddo innaturale, la mano appoggiata a terra, l'altra a tenersi il petto. Non riusciva a respirare, si sentiva come vuota, si sentiva come se qualcuno l'avesse strappata, come se la stiracchiasse sempre di più sentendo che qualcosa si strappava lungo bordi indefiniti del suo essere.
    Come se ritagliassero sempre più quello che fosse, quella cosa che ora sputava un grumo di saliva e muco, tossendo senza sosta chiamata Gaelle
    E tutto muta intorno a lei, dentro di lei, come se in questa gabbia fatta di vetri e specchi i sogni fossero divenuti incubi o peggio come se chi stava sognando di colpo si fosse svegliato.
    Eppure rimane il dolore. Rimane questo freddo che fa si che le sue dita siano come stalagmiti, persino portarle sotto le ascelle non serve, persino cercando di sfregarle l'una contro l'altra non attenua quel freddo e questa stanchezza.
    Sul suo corpo non vi sono ferite...ma quante ne abbia ricevuto il suo spirito rimane un mistero. Questa era una prova non solo fisica ma spirituale; il suo spirito, la sua determinazione, la volontà e quanto per queste fosse disposta a perdere, a rischiare erano messe alla prova.
    Aveva scelto non il potere ma qualcosa di molto più complesso e difficile. Aveva scelto di incamminarsi su di un cammino che l'avrebbe portata sempre più a fondo se stessa e a quello che era stata, per poter diventare qualcos'altro.
    Un percorso di crescita fatto di sofferenza ma anche di volontà. Salire gli scalini di una scala invisibile per portarla...non lo sapeva.
    Poteva solo mettere un piede davanti all'altro andando in avanti. Anche adesso.
    Il mondo era il suo...sperava fosse il suo. Quanto tempo era passato? Chi era lei adesso? Era la stessa? Era qualcos'altro? Un'altra persona?
    Il respiro affannoso. Lo sforzo si fa sentire, persino mettere a fuco questo mondo è difficile, persino riuscire a pensare sembra uno sforzo al di là della sua portata.
    E alzando gli occhi trova i suoi. Ma questa volta li vede. Li sente su di sé e dentro di lei. Vede l'iride specchiandocisi dentro, mentre i ricordi affiorano come spruzzi di stelle in quegli stessi occhi di chi era stato suo amico.
    Che è ancora il suo amico. La persona con cui aveva curato le sue ferite, la persona con cui parlare, di prenderla per mano quando cadeva e quando i singhiozzi gonfiavano la gola.
    Jean era di nuovo lì. Anche se non era questo il suo posto e forse non lo era mai stato. Forse questo mondo lo aveva schiacciato, forse lui stesso lo aveva fatto con la sua depressione, con la sua sensibilità. E il mondo lo aveva ripagato con il gelo del silenzio e della noncuranza.
    Chissà come sarebbe andata se lei avesse fatto le scelte giuste.
    Ma esistevano giuste?
    O forse solo intenzioni perfette?

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    «Ora sei tu. Ora ti vedo



    E divenne egoista, mentre le lacrime rigavano le sue guance lavando la disperazione e portando via con sé, come un fiume fa con i detriti, i dubbi e le colpe.
    Strinse la sua mano perché ora che lo aveva ritrovato non voleva lasciarlo.
    Perchè?
    Era così dannatamente ingiusto che proprio adesso, proprio ora dovessero di nuovo separarsi per sempre. Ora che si erano di nuovo sfiorati, ora che le loro anime, seppur labile e per un momento, avevano danzato insieme. Ma leggeri e delicati come acquarelli su di una tela ruvidi, come il tocco delle labbra di lui sulle sue e chiuse gli occhi per un momento con la paura che riaprendoli non vi fosse più.
    I singhiozzi e le lacrime sono violenti come tempesta.
    Come se avesse bisogno di questo. Troppo a lungo le aveva tenute dentro di sé e, ora libere finalmente di straripare, portavano via con sé il dolore che silenziosamente aveva lasciato che covasse dentro di lei, mettendosi una maschera e lasciando andare la vera se stessa.
    La vera Gaelle era la donna che teneva la mano del suo amico piangendo con un sorriso misto al sale delle lacrime, scossa dai singhiozzi.

    «Sarai con me fino all'ultimo. T raggiungerò alla fine dei giorni e berremo ancora insieme.»

    E strinse quella mano più forte mentre Jean stava sparendo, come se il suo essere fosse fatto di sabbia e ad ogni colpo di vento ne portasse via un pezzo sempre di più. Eppure non lasciò nemmeno adesso quella mano, neppure adesso smise di piangere.
    La malinconia era miele mischiato all'aceto. La gioia mista alla tristezza. Una lacrime scendere ad accarezzare il lieve sorriso sul suo viso.

    The ocean, it weeps today
    A breeze from the distance is calling your name
    Unfurl your black wings and wait
    Across the horizon, it's coming to sweep you away
    It's coming to sweep you away
    Let the wind carry you home
    Jean, fly away




    Le dita che si sfiorano mentre Jean non c'è più.
    Ma era davvero Jean o era un illusione? Forse quello prima non lui, non il suo Jean che sparendo aveva ancora una volta pensato a lei e non a se stesso. Come troppe volte aveva fatto nella vita.
    Quanti ancora dovevano perdere tutto per lei?
    Quanti ancora dovevano farle da scudo per permetterle di essere?

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    «Con queste mani, con le mie scelte mai fatte, rimandate, con la mia incapacità e paura ho causato questo.»



    Le responsabilità esigeva un dazio da pagare quando non era presa sul serio, il potere che sorgeva da essa doveva essere sfruttato secondo coscienza e con maturità assolute. Perché da ogni non scelta molti potevano essere quelli che soffrivano. L'inettitudine di pochi non doveva coinvolgere chi non 'entrava nulla con la nostra ignavia.
    Jean aveva pagato...ed ora di fronte a lei si dipanavano due strade.
    Scelte che non aveva mai fatto era il momento in cui questo luogo le metteva di forza di fronte a sé.


    Da bambina aspettavi, guardando lontano. Ma sapevi da sempre che saresti tu mentre gli altri giocavano divertendosi lontani dalla responsabilità che già gravava sulle tue spalle.
    Da giovane, la notte rimanevi sveglia a pensare a tutte le cose che avresti cambiato, persino te stessa, ma poi si era rivelato solo un sogno dentro un altro.
    Non scappare




    Si alzò a fatica. Il pugno serrato. Questo luogo, qualsiasi cosa fosse, in qualsiasi mondo, universo si trovasse lo avrebbe lasciato.
    Si guardò le mani, mani che ora dovevano afferrare la scelta farla propria e difenderla fino alla morte e oltre.
    Alzò lo sguardo alla scelta. Il suo potere era cresciuto. Non era un sogno lo sentiva dentro di lei, lo aveva avvertito netto che pulsava all'unisono con il suo cuore, perfetti entrambi in armonia assoluta. Il suo cuore era la musica su cui quel potere danzava; il ritmo dell'uno era il passo dell'altro.
    Gli spiriti dei suoi antenati, della sua famiglia, i Loa l'avevano accompagnata fino a qui. Haiti e il suo popolo le avevano affidato la propria speranza che veniva inghiottita da un abisso in cui non riuscivano più a discernere la sua luce.
    Il suo compito quale doveva essere? Questo luogo cosa voleva da lei? Dove doveva essere condotta?
    Ma per la prima volta voleva davvero essere come il suo windsurf e farsi trasportare dal vento seguendo il suo soffio? Voleva davvero questo o voleva per una volta essere lei il vento e governarlo secondo la propria volontà?
    Farsi spingere e al contempo spingere...

    essere come un onda che spinge ma senza l'oceano non può essere. Questo luogo la stava distruggendo, la stava martoriando, aveva usato Jean o Jean era chiuso in questo luogo schiavo di se stesso e delle sue paure?
    Cos'era reale' Cos'era il sogno e l'illusione?
    Ora non poteva farsi spingere dagli altri. Non poteva ascoltare il canto dei Loa, non poteva cercare sua nonna e sua madre doveva fare affidamento su se stessa e sul suo potere. Doveva essere onda e oceano contemporaneamente.

    Forgia te stessa
    Dalla Polvere
    Ferro



    O forgiava se stessa, muovendosi oltre questa Gaelle che aveva costruito negli anni, o si sarebbe persa in se stessa e in questo mondo per sempre. Il potere, qualsiasi cosa fosse, era dentro di lei e domandarsi i perché proprio adesso o perché in questo mondo e ora sarebbero state domande fuorvianti e senza risposta.
    Il potere arriva quando si è pronti. E lei non lo era. Non fino adesso.
    Quel potere andava usato. Andava non preservato ma spolpato fino all'osso e anche oltre per proteggere, per combattere, perché era scappata ma ora non poteva e voleva più farlo.
    Svincolarsi da quello che era stata, dalle catene che si era imposto e scorrere. Oceano e Onda.

    DAL SOGNO SVEGLIARSI PER GUARDARE LA REALTÀ OLTRE IL VELO



    I suoi occhi dovevano essere questo.
    Illuminare.
    I pericoli, l'oscurità, continuare a discernere la verità dalla menzogna per continuare a spingersi in avanti, salire sempre di più, facendo si che Haiti venga protetto e il suo popolo la seguisse.
    Forse rimaneva egoista. Forse lo faceva per Jean, forse era un cammino di redenzione, di purificare il suo peccato, ma avrebbe sfruttato tutto quello che aveva, tutta la forza che poteva generare il suo cuore, persino i suoi sbagli, persino il veleno che la vita gli aveva iniettato con aghi invisibili, con l'amore, con l'esempio, con la forza del suo popolo e degli spiriti.
    Tutto questo faceva parte di lei e lo avrebbe usato.

    SOTTERRA I TUOI DEMONI E ABBATTI I MURI



    Al di sotto della sua anima, un milione di voci in questo buio stavano urlando di fermarsi ora.
    E guardò quella scogliera.

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    Gli occhi erano ancora rossi, ancora le lacrime non si erano asciugate sul suo viso, ancora la paura di questo luogo, di quell'essere le accarezzava la schiena con un punteruolo fatto di ghiaccio e dubbio. Ancora il primo passo.
    La scelta era davanti a lei così come lo fu per Ercole al bivio della sua vita. Per divenire eroe o semplice uomo.
    Ma Ercole era figlio di Dei, lei era solo una donna semplice, con una normalissima storia eppure questo potere era suo, venuto a lei ed ora doveva scegliere. Il dubbio e l'incertezza questa era la prima prova.
    Con queste ci aveva convissuto era ora di liberarsene.
    Il respiro fu più profondo dell'ultimo. Ma fu libero.
    Per la prima volta non era il vento del dubbio a guidarla, ora era lei a muoversi come quando da bambina cavalcava le onde con suo windsurf...tutto era sempre stato in mano sua. Ma non aveva fatto altro che non muoversi. Così facendo il vento l'aveva portata ovunque.
    Sbagliando.
    Il mondo era caduto da qualcosa che era emersa da chissà quale buco infernale, i mostri che si combattevano , lo stesso che aveva affrontato, si annidavano oltre la luce, lì in un oscurità peciosa. Doveva avere quel tipo di forza.
    Doveva essere quella luce. Poter illuminare i demoni e <i>vederli
    Si diceva che se guardavi nell'abisso alla fine era l'abisso che guardava dentro di te. Abusata questa citazione. Per dire che guardare il nero non era facile, perché si è riguardati a propria volta. Ma non superficialmente ma all'interno. Lei l'aveva vista sempre come un modo per non scappare. Bisognava affrontare il nero che c'era fuori e quello che avevamo all'interno. Se scappavi dal primo il secondo si fortificava. Bisognava solo guardare l'abisso ma anche quello che avevamo dentro e sostenere lo sguardo di entrambi.
    lei voleva quella forza.
    Guardare l'abisso e sostenere lo sguardo, lasciando che la guardasse al di dentro rimanendo accecato dalla luce che portava. Perché erano state proprio le tenebre, che aveva conosciuto, il dolore, lo sbaglio a fortificarla sempre di più.

    «Dominerò i mostri nella mia testa e in ogni luogo. Sarà così che ritornerò in questo mondo devastato.
    Bisogna essere una luce perché senza tutti si perdono. Qualcuno deve continuare a tenere accesa questa fiamma.»




    CITAZIONE
    ENERGIA: Non Posseduta

    STATUS CLOTH: Non posseduta

    STATUS FISICO:
    Danni Alti + Medi a spirito

    TECNICHE UTILIZZATE: Non possedute

    ABILITÀ: Cosmo, Telecinesi, Illusioni Ambientali

    FASE DI COMBATTIMENTO E NOTE:
    Scelgo la scogliera. Andiamo in fondo all'abisso e cerchiamo di riemergere
     
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    Gaelle, i tuoi piedi sono radicati sulla terra umida di questo luogo sacro, avvolto da una bruma che sembra sospesa tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Di fronte a te, la scogliera emerge come un gigante dormiente, il suo respiro fatto di vento e nebbia. E nel tuo cuore, un tumulto di emozioni che si scontra con l'incredulità di ciò che i tuoi occhi vedono. La processione di persone che si getta nel vuoto sembra non conoscere fine, e tra queste figure, riconosci volti familiari, ognuno portatore di storie intessute nel tessuto del tuo villaggio, storie haitiane che respirano attraverso di te.

    Lì vedi Fanfan, il vecchio pescatore che conosceva il mare meglio di chiunque altro. Con passo deciso, guida verso il precipizio la piccola Nadia e Ti Jean, orfani che aveva preso sotto la sua ala protettiva dopo che una tempesta aveva portato via i loro genitori. I loro occhi, grandi e pieni di una fiducia incrollabile, si chiudono per l'ultima volta al salto, scomparendo nella nebbia come gocce in un oceano infinito.

    Poco distante, si delineano le sagome di Mireille e Jules, la coppia di artigiani che con le loro mani abili hanno tessuto e colorato stoffe che raccontavano la storia del tuo popolo, dei suoi dolori e delle sue gioie. I loro corpi si avvinghiano in un ultimo abbraccio, un'immagine di amore eterno che si spezza nel momento in cui toccano il velo tra i mondi.

    Mentre la processione delle anime continua il suo tragico viaggio verso l'eternità, i tuoi occhi si posano su Roseline, l'anziana guaritrice del tuo villaggio, la cui presenza è stata per anni un faro di speranza e saggezza. La sua figura, avvolta in un mantello che porta i colori della terra e del cielo dopo la tempesta, avanza con una calma sovrannaturale verso il bordo della scogliera. Roseline, che ha trascorso una vita ad ascoltare i sussurri della natura e a curare le ferite del corpo e dell'anima con rimedi tramandati dagli antenati, ora sembra guidata da una visione che solo lei può vedere. La sua espressione è serena, quasi illuminata da una luce interiore, mentre si avvicina al precipizio, accettando con pace un destino che sfugge alla comprensione.

    Il momento in cui Roseline si lascia cadere nel vuoto è un frammento di tempo sospeso, una quiete che racchiude il tumulto di un'intera esistenza. La sua figura si dissolve nella nebbia come se fosse stata inghiottita da un altro mondo, lasciando dietro di sé un'eco di mistero e una domanda inespressa che aleggia nell'aria fredda.

    Questi volti, Gaelle, sono l'eco della tua comunità, il battito pulsante di un villaggio che ora sembra avvolto nell'ombra di un mistero insondabile. Ogni figura che riconosci e che svanisce davanti ai tuoi occhi ti strappa un pezzo dell'anima, lasciandoti a domandarti il perché di tale sacrificio.

    Note del Master
    Non ho alcuna nota da scrivere. Ma la pregno, mi dica un po' cosa ha da dire lei.



     
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    Il lento incidere dei suoi passi.
    I piedi nudi mentre si sorreggeva ad una precisa volontà. Ma fino a quanto questa volontà avrebbe resistito? Il dubbio...tanto umano, tanto deleterio, quanto importante nel cammino. Provare il dubbio significava farsi le domande, non avendo certezze assolute ma solo una spinta verso capire, sempre più in profondità, noi stessi.
    In questo luogo, tetro, oscuro, alienante Gaelle stava provando dubbi che mai le avevano sfiorato la mente e l'anima, combatteva ponendo se stessa davanti ma spinta dalla corrente del suo popolo.
    Doveva avere certezze?
    Il primo dubbio.
    Doveva dimostrarsi inflessibile, infallibile, assolutamente capace di cavalcare qualsiasi onda in una perfezione? Voleva essere perfetta? serviva davvero?
    La terra rimaneva umida sotto i suoi piedi, penetrando tra le dita dei piedi ad ogni passo; eppure non le dava fastidio. Camminare a piedi nudi era come danzare: avvertiva tutto, si avvertivano le più piccole vibrazioni risalire dalla pianta fino al polpaccio, avvertiva il terreno di questo mondo a metà tra il suo e quello degli spiriti.
    I suoi passi si perdevano tra la bruma, mentre il vento smuoveva i suoi capelli. Per un momento si fermò.
    Il dubbio di tornare indietro o procedere ancora. Sebbene la volontà fosse forte rimaneva dubbiosa di chi o cosa doveva essere.
    Forse perché non vedeva i suoi passi che l'avevano condotta fino a qui. Perduti tra la bruma, così come i suoi nella vita e nelle scelte fatte.
    Ma non serviva vederli, serviva ricordare. Perché quei passi erano stati fatti si con la certezza ma anche e sopratutto con quella sottile patina che il dubbio posava sul futuro.
    Ed era proprio quella patina che si doveva togliere con la certezza di volerlo fare.
    Gaelle doveva dubitare; il dubbio per lei era un atteggiamento di ricerca, di esplorazione: la certezza, soprattutto quella ideologica o dogmatica, potevano forse renderla più forte, integerrima, inflessibile e in un certo senso più felice, perché la certezza porta con sé la legge. Così è così sarà, ma a che costo?
    Essere sempre sicuri e perdere quello che ci spingeva, così come ora, ad andare avanti. La rinuncia a dubitare, esplorare, e quindi pensare.
    Ecco la sua certezza: continuare a dubitare e a pensare e al tempo stesso affrontare quello che dietro la bruma si nascondeva.
    Ricordando i passi fatti.
    Ecco cos'era oggi Gaelle: una donna che con i suoi dubbi e le certezze continuava ad avanzare su un infinita scala a chiocciola.
    Sapere di non sapere.
    Per poter continuare ad accogliere in sé l'Oceano.

    Ed è con questa certezza che Gaelle osservò la scogliera.


    La processione era lenta, silenziosa come se non fosse di questo mondo, come apparizione dal nulla. I suoi occhi seguivano la lunga fila fatta da uomini e donne, anziani e bambini che camminavano verso la fine della scogliera. Nessuna incertezza, nessun suono, come se il vento li attraversasse, come se ogni cosa non potesse più importargli, né desiderio, né certezza o dubbio.
    Solo il lento avanzare verso il bordo della scogliera. L'unica cosa che importava.


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    Emergere da un abisso e rientrarvi – non è forse questo, la Vita?




    Si gettavano nel Nulla sparendo in esso, inghiottiti dall'invisibile bocca di un mostro che rimaneva in attesa, lenta ma inesorabile, sotto di loro.
    Chi sono? Cosa fanno loro qui? Sono morti? Quindi lo era anche lei...
    A cosa, quindi, doveva credere adesso? A se stessa? A Jean? La processione, incurante di lei, continua il suo lento dispiegarsi nella salita. Vede quelle persone gettarsi e qualcosa fa male.
    Fa male? Perché si ferma, come per riprendere fiato, e un'altra fitta la coglie. Ma non è un dolore nel corpo. Il respiro diventa più difficile, persino il cuore accelera di colpo, sembra di stare trascinando un peso invisibile ed ora la sensazione della terra umida sotto i suoi piedi, svanisce a poco a poco.
    C'è solo questa fatica.
    E maledetta fu dopo.
    Perché avvicinandosi quella fatica le impedì di correre.



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    In quella fila silenziosa vi erano anche chi conosceva. E l'angoscia si impadronì di lei.
    Urlò.
    Fanfan. Il vecchio pescatore. Di solito prendeva da lui del buon pesce appena pescato. Sua madre la mandava all'alba, quando le barche tornavano e le reti venivano gettate sul porto, insieme alle cassette di pesce fresco per venderlo al mercato. Uomini duri, che puzzavano di sudore e salsedine, che avevano mani dure come le corde che arrotolavano per ancorare le barche al porto.
    Con volti duri e le braccia come remi.
    Molte volte era rimasta a guardare lui e la sua barca, a sentirlo parlare di vecchie storie e di leggende.
    Fu lui a farle venire la passione per il mare, per le onde, quando la portò in barca per la prima volta. Voleva vedere questa sconfinata distesa d'azzurro, sentire le onde sbattere contro la chiglia, il vento sulla pelle, l'odore del sale.
    Il pesce tra le reti, mentre lo mettevano nelle cassette, per poterlo vendere e quelle parole ripetute sempre come un mantra: ”mai più del dovuto, mai meno del necessario”.
    il mare rispetta chi lo rispetta, così come non si prende mai più di quello che serve per vivere. Il pesce sfamava il suo popolo ma non se ne doveva abusare perché vivere in armonia con ciò che ci circondava faceva si che gli uni e gli altri potessero coesistere beneficiando entrambi.
    Le aveva imparato questo: il rispetto e il vivere in armonia con gli altri, rispettando il loro modo di vivere così come lui rispettava il mare e anche le sue paurose impennate di rabbia improvvisa.
    Le sue mani tenevano quelle di Nadia e Ti Jean.
    No!
    Poteva forse accettare la morte di Fanfan ma anche quella de due piccoli orfani?
    Imprecò mentre correva. Urlò ancora. Nulla. Sembrava che nulla potesse arrivare a disturbarli nella loro lenta risalita ma inesorabile discesa.
    I due piccoli erano stati accolti dal vecchio pescatore per onorare la morte del suo amico. Figlio di pescatori faceva la guardia costiera.
    Morto per salvare chi era in difficoltà. Il mare sa essere terribile e a volte è una bestia spietata: non guarda in faccia a nessuno rovescia imbarcazioni, navi, yacht, ricchi o poveri non è importante. Chiunque solchi le sue onde accetta tacitamente che non proverà pietà per nessuno semmai gonfiasse le sue onde e i venti divenivano uragano.
    Prima ancora la madre.
    Ora loro.
    Non era giusto.

    Ma cos'era giusto? Il fatto che erano due bambini' Il fatto che fossero stati già toccati dalla bruttura della vita? Che ora che avevano trovato un po' di pace e Farfan quei figli che non avrebbe mai potuto avere, si trovavano qui per lanciarsi nel Nulla sparendo in esso?
    Perché? Cosa davvero stava accadendo? Illusione o Realtà'
    domande si accavallavano l'une sulle altre, riempivano la sua mente come bolle in un calice, eppure solo il suo respiro sentiva, il suo cuore che batteva e doveva correre.
    Inciampò. La veste era sporca di terriccio, lo aveva anche tra i capelli ma non riuscì a raggiungerli.
    Li vide, stretti come sempre, lanciarsi e sparire dalla sua vista.
    L'ultima immagine che si frapponeva alle infinite altre che aveva nei suoi ricordi: che giocavano, con Farfan a prendersi cura delle reti e loro ad osservarlo con i piedi che giocavano che giocavano con il mare, mentre le barche dondolavano accompagnando il moto delle onde.
    C'era felicità, finalmente, per loro. Dopo la tempesta quella quiete che rendeva il cielo splendente e limpido, l'aria frizzante e respirare così intensamente da sembrare il primo respiro libero dopo l'apnea della disperazione.
    Cadde.
    Di nuovo quella fitta. Il dolore. L'affanno. Sembrava che avesse corso con tutte le sue forze per ore, persino le gambe erano diventate di cemento armato.
    Si rialzò.
    Nei suoi occhi i loro occhi. Grandi e pieni di una fiducia incrollabile. Anche adesso. Anche prima del balzo che gli fece assomigliare a piccole stelle cadenti che si perdevano nell'infinito.
    Ora poteva vederli chiaramente.
    Era il suo popolo.
    Mireille e Jules stretti in un ultimo abbraccio. Anime che non potevano essere separate, unite così nella vita ora. Una fiamma con due lingue guizzanti.
    Avevano tessuto e colorato stoffe che raccontavano la storia del suo popolo, dei suoi dolori e delle sue gioie, mani che come quegli stessi fili si erano intrecciati per sempre raccontando la loro storia, le loro vicissitudini, dolori e gioie di una vita come infinite altre.
    Non c'era eroismo solo una quotidianità che lei amava. Perché le cose piccole non sono necessariamente meno importanti. Anche il semplice filare può essere importante.
    Perché lo facevano insieme. Perché anche litigando quelle mani non si sfilavano mai l'una dall'altra.
    Anche questo faceva parte del suo mondo. della sua quotidianità. Ed ora non c'era più.
    Corse ancora.
    Più di prima.
    Non voleva perdere altri. Non voleva che il suo popolo fosse qui. E poi perché? Cosa poteva fare lei ora?
    Nessuna risposta. Solo il silenzio che come una tomba chiudeva le sue domande lasciandole sepolte dentro di lei.
    Era vicino alla vetta.

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    La prima parte della tenebra è la più densa – poi la luce comincia tremando a farsi strada.



    la vecchia guardatrice. Amica di sua nonna. Sboccata, amante degli uomini – sua nonna le raccontava che da giovane era svelta di lingua sia nella rabbia che nell'amore, discreta bevitrice ma conosceva segreti che nemmeno sua nonna ne aveva mai sentito parlare.
    Insieme avevano protetto il villaggio quando il mondo cadde nella disperazione e in questa Tenebra malsana, continuò a proteggere il villaggio facendo di tutto, più del necessario, più di quello che le sue forze potevano sopportare eppure mai la sentì abbattersi.
    Né prima né dopo questa pazzia. Anche adesso si ricordava dell'ultima bevuta fatta insieme, del suo essere sboccata, dei suoi racconti di gioventù -a volte erano sempre gli stessi ma era giusto così, di come si conobbero lei e sua nonna.
    Di una vita spesa per la comunità e per il bene degli altri.
    Essere una guaritrice lo devi avere dentro, perché ti devi dare senza mai chiedere nulla.
    L'impegno a favore della vita, il rispetto di chi soffre. Non è qualcosa che scegli, ma che vieni scelto e che liberamente decidi se accettare tale responsabilità.
    Il resto sono solo cazzate. Salvare una vita è un qualcosa che ti cambia, così come perderla. Potevi fare di più? Potevi essere più attento? Non si smette mai di esserlo.


    Il manto con i colori della terra e del cielo dopo la tempesta, le copre il corpo; i suoi piedi la fanno avanzare lenta e misurata come mai lo era stata in vita.
    La sua espressione serena, di contro a quell'accigliata con cui l'aveva conosciuta, quasi illuminata da una luce interiore.
    Ogni suo passo non aveva fretta, i suoi occhi guardavano fissi davanti a sé vivi e accessi come le stelle che si specchiavano nell'Atlantico, mentre si avvicina al precipizio. Accettava tutto questo? Accettava questo destino senza un suono, solo con quel viso sereno e quegli occhi brillanti?
    Poi il vuoto la inghiotte.
    Lei e quegli occhi lucenti.
    Raggiunge il precipizio. Guarda in giù. Non vede nulla se non un vuoto, lo stesso che sente nella sua anima.
    Il suo popolo accettava tutto questo? Con tale serenità? Ma lei non poteva farlo.
    Perché?
    Appunto. Non c'era un perché. Non riusciva a capirlo. Aveva solo freddo, aveva solo un anima a pezzi e quel dolore l'abbracciò stretta. Nei suoi occhi non vi era la serenità fulgida di Roseline.
    I suoi occhi non riuscivano a piangere, il dolore era troppo che nemmeno le lacrime bastavano per scioglierle il nodo in gola che aveva, quel senso di vuoto che le aveva ghermito il petto. La bocca era impastata, strinse il terreno con le mani, come se volesse spaccarsi le unghie.
    Urlò al Vuoto.
    Urlò verso tutto questo come se qualcosa potesse rispondergli. Il suo popolo era qui in sacrificio? Morivano nel mondo degli spiriti scomparendo per sempre?
    Urlò ancora.

    P E R C H È




    Cos'era certezza? Cos'era il dubbio?
    Non lo sapeva più.
    Ma nel dubbio vi era una certezza: il suo popolo non doveva sacrificarsi. Non era il loro tempo. Non era il momento di farlo.
    Il dubbio era se lo stavano facendo per lei o per qualcun altro. Traviati o corrotti?
    In tutto questo vi era solo una certezza lei era lì.

    «No...non perché? La domanda è cosa volete da me e da loro?»

    Se questo mondo era l'inizio del regno degli spiriti allora perché camminava in esso pur rimanendo fedele a se stessa, alle sue certezze, ai suoi dubbi?
    Il suo popolo invece camminava verso il Vuoto svuotato da ogni cosa.
    Era giusto?
    I morti devono andare dall'altra parte ma non voleva crederci che erano tutti morti.

    Si rialzò da quel terreno umido e stavolta lo fece con una certezza granitica: in questo mondo l'unica certezza


    RIMANEVA LEI




    Il dubbio era all'interno del perché il suo popolo era lì.
    Che fosse opera di quel demone oppure illusione nel dubbio, oscurità, la certezza, <i>luce, doveva continuare ad essere.
    Ogni sacrificio, ogni volta che il suo popolo si gettava dentro l'abisso, qualcosa le strappava l'anima.
    Il dubbio.
    La certezza dovevano essere i suoi pugni e la sua volontà.
    Guardati da ciò che ti circonda, guardati da ciò che è reale e ciò che non lo è. Questo luogo è pieno di pericoli.


    Si mise davanti a quella scogliera. La sfida. Al vento? A chiunque. Oa nessuno. Importava? No. Le nocche sbiancarono.
    Se fosse servito avrebbe distrutto questo. Si sarebbe lanciata lei stessa perché se la volevano bastava che glielo dicessero.
    Una Mambo non accetta sacrificio alcuno che non sia il suo.

    «Ma qualsiasi cosa vogliate, chiunque voi siate, a chiunque io stia parlando, Dio o Demone, Loa o Guedè...»

    Nel dubbio di questa storia la certezza erano i passi che l'avevano condotta qui.
    Nel dubbio di questo mondo rispondeva la certezza di Gaelle.
    Al dubbio che aveva dentro rispondeva la sua volontà di proseguire. Di proteggere chi stava dando tutto per questo cammino.
    Perché l'Abisso è un mostro che divora ogni certezza. Perché questa scogliera rappresenta nonla fine di un viaggio.
    Non il suo né del suo popolo.

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    «Io sono qui.»



    E questa era l'unica sua certezza.

     
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    Gaelle, mentre la disperazione avvolge il tuo cuore come un manto freddo e inesorabile, senti all'improvviso un cambiamento nell'aria, una presenza che non appartiene a questo mondo di sofferenza e perdizione. Ti volti, e lì, quasi materializzandosi dal nulla, appare una figura che irradia un'aura di tranquillità e sapienza antica.



    La donna che ora si trova accanto a te non sembra completamente legata alla realtà del luogo. È come se le sue radici affondassero in un altro tempo, o forse in un altro modo di essere. I suoi capelli corti e rossici incorniciano un viso che è un enigma: la parte destra scoperta mostra una pelle liscia, quasi iridescente alla luce incerta che filtra attraverso la nebbia, mentre la sinistra è velata, nascosta da ciò che potrebbe essere una cicatrice o un segno del suo passaggio tra mondi diversi. Il suo unico occhio visibile dorato, ti guarda con un'intensità che sembra attraversare il tempo e lo spazio.

    La sua presenza è allo stesso tempo rassicurante e misteriosa, e la sua voce, profonda e melodiosa, rompe il silenzio con parole che portano il peso di esperienze inimmaginabili. "È una sensazione terribile," ammette, guardando le anime che continuano a lanciarsi dalla scogliera. "L'ho provato migliaia di volte, e fa sempre male."

    Mentre parla, estende una mano e, come per magia, richiama verso di sé gli spiriti del tuo villaggio. Le figure, che prima sembravano inevitabilmente attratte verso il precipizio, ora aleggiano come fuochi fatui intorno a voi due. Appaiono come sfere luminose che lentamente rivelano la loro vera natura: sono gli abitanti del tuo villaggio, trasformati in echi di un passato che sembra sia stato strappato via troppo presto.

    "Sono echi del passato, echi di un tempo dimenticato," continua la donna, la sua voce un filo di malinconia mista a rassegnazione. "Non puoi salvarli, ormai sono andati oltre e non c'è niente che tu possa fare. Puoi provarci, sforzarti ma l'unica cosa che ti rimane è il ricordo, il ricordo di cosa essi hanno rappresentato per te."

    Si ferma, lasciando che le parole si depositino nell'aria, dando tempo al tuo cuore di assimilare la verità dolorosa che ti ha rivelato. Poi, con una gravità che sembra colorare ulteriormente il momento di una solennità sacra, aggiunge: "Il velo è stato strappato, ti trovi in una sorta di limbo, se così lo vogliamo chiamare, tra la vita e la morte. Tra la realtà e la dimenticanza. Puoi unirti a loro, o seguire un percorso differente."

    Gaelle, mentre stai lì, con il cuore pesante e l'anima lacerata dal dolore, la scelta giace davanti a te, così tangibile eppure così ineffabile. Questa donna, il cui spirito sembra danzare tra le dimensioni, ti ha offerto una via che potrebbe condurti attraverso il velo del dolore verso una comprensione più profonda di ciò che significa realmente perdere, e forse, di ciò che significa anche ritrovare.

    Note del Master
    Oh però, che accade qua? Niente che vuole ammazzarti? Nessuna merda all'orizzonte? Io comincerei a preoccuparmi.



     
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    Il silenzio come risposta, lì su quella scogliera persa tra le nebbie. Gaelle rimaneva a fissare il vuoto, sia spirituale che fisico delle proprie azioni che non sortivano effetto alcuno.
    La disperazione era sabbie mobili: più tentava più affondava. Voleva salvarli.
    Stupida e patetica.
    Vedeva svanire le persone che aveva conosciuto, sentiva lame affondare nella sua carne ma senza lasciare ferite perché quelle dell'anima erano più difficili da guarire. Patetica perché non aveva la forza di poterlo fare, in un viaggio in un Oceano infido e sconfinato, senza nessuna luce, lei rimaneva come una zattera in preda alla tempesta.
    Poteva solo resistere e vincere la disperazione. Eppure affondava sempre di più.
    Le anime cadevano ed erano come le lacrime che non riusciva più a versare.
    Questa era la forza del dubbio, questo era come si sentiva: seppur credeva in se stessa, seppur stesse cercando di salire, ora si era fermata non riuscendo a scorgere una via.
    Doveva fare di più.
    Resistere e spingersi oltre. Ma preda del dubbio non ci sarebbe mai riuscita. Doveva guardare oltre le verità degli occhi.
    Oltre le sue verità, per poter vedere la strada. In questo mondo tutto era oscurità. Come fare per portare la luce' Come fare affinché la sua brillasse?
    Nemmeno gli spiriti dei suoi antenati, nemmeno i Loa, le parlavano. Lei era davvero sola. L'Oceano di questa storia la stava mettendo alla prova, la zattera che era Gaelle doveva affrontare le sue onde e vincere la tempesta ma per farlo doveva andare oltre.
    Oltre il dubbio, oltre la certezza, oltre Gaelle stessa.
    Si guardò attorno conscia della propria inutilità e che non era ancora un Oceano ma una goccia che si perdeva in un Infinito.

    Poi una presenza.
    L'aveva avvertita? O l'aveva immaginata?
    Era lì. Un dubbio o una certezza? Nemico o amico?
    Quell'aura accarezza Gaelle e per la prima volta non come un pugno, la sente sulla sua pelle, l'avverte con quello che rimane del suo spirito e della sua mente.
    Antica.
    Non appartiene a questo luogo. Lo sa. Lo avverte eppure non lo saprebbe spiegare il modo in cui è sicura di questo.




    Una donna. Anche se forse in un posto come questo concetti come il sesso o il genere potrebbero fondersi, acquistarne altri di significati, ma i suoi occhi la vedono come tale e questo, al momento le basta. Capelli rossicci e corti il viso è un enigma che accentua il dubbio sulla sua figura:la parte destra scoperta, viene mostrata senza indugio, con una pelle liscia, iridescente quasi. La sinistra è il mistero della figura stessa: una cicatrice la nasconde. Il dazio da pagare per essere e non essere in questo e negli altri mondi? Quanti misteri solo in quel volto, quante storie in quell'unico, magnetico, occhio dai colori dorati che la guardano con un'intensità che fende Gaelle, il tempo e lo spazio.
    Poi parlò e sembrò sapere cosa fosse tutto questo.

    «Perchè?»

    Una domanda di chi è assetato. Di conoscenza?
    Di risposte. Per riuscire a capire, per poter vedere. Non tanto per il potere che derivi dalla risposta ma più per osservare meglio questa storia. I suoi occhi si stavano aprendo per la prima volta su di un mondo che non conosceva, guidata dai Loa e dalla volontà sua e del suo popolo, eppure era ancora cieca. In un mondo di buio quelle poche risposte erano fiaccole che si accendevano in questo mondo per non farla perdere.

    Non c'è risposta comunque; c'è una mano che si alza, un gesto delicato ma al tempo stesso fermo. Gli spiriti sono richiamati da questo gesto, non più attratti dall'abisso ma da quella mano e danzano attorno a loro. Lei non ha questo potere, questa figura si. Il suo gesto è come se li salvasse, mentre lei aveva scavato quel terreno umido con le proprie mani sfogando rabbia e frustrazione. Aveva ancora del terriccio tra le unghie. Ma quella mano era riuscita a richiamarli, forse a salvarli, di certo ora erano attorno a loro due non più solo ombre. Non sono più un qualcosa che si muove verso il Nulla per sparire per sempre.
    In loro vi sono gli echi di un passato strappato troppo presto.
    Un eco che danza con i sentimenti di Gaelle.
    Verità terribile.
    Non può fare nulla, non è nelle sue forze salvarli, riportare tutto all'inizio cancellandolo con un colpo di spugna. No.
    Rimangono echi del passato e vivono nei suoi ricordi. Non sono nient'altro che questo ora.
    La loro voce, le litigate, le risate, la vita che si era mischiata con la sua rimanevano un ricordo da custodire. Loro erano, purtroppo, solo questo.
    La domanda successiva è peggiore.
    La voce è rauca. L'ansia è palpabile. La fa eppure una parte di lei non vorrebbe sentire la risposta.
    E sicuramente tenterà di scacciarla via.
    E con essa il dubbio che forse doveva rimanere al suo villaggio e proteggerli.
    Il dubbio che tutto questo non sarebbe avvenuto se lei fosse stata con loro.

    «Chi li ha strappati alla vita?»

    Ed insieme a questa domanda scavò qualcos'altro di più subdolo: lei avrebbe avuto la forza di proteggerli?

    «Mi chiedi di fare una scelta.
    Ma come farla se più mi addentro più altri soffrono? Ho questa forza? Oppure è tutto l'ennesimo inganno di qualche demone?
    Tu sei la verità o la menzogna?»


    E a questa domanda, purtroppo, poteva rispondere solo Gaelle stessa. La scelta implicava anche questo: non fidarsi ma riuscire a trovare la strada nonostante il dolore. Capire in che modo proteggere chi ancora credeva in lei, chi ancora aveva posto sulle sue spalle i sogni e le speranze più segrete del loro cuore.
    Ora li vedeva attorno a lei. Un passato che non poteva prendere, solo ricordare. E faceva male.
    Gli attimi fuggono via presto. La vita è fatta di pennellate così veloci che ci scordiamo delle precedenti, a volte pensiamo che le dobbiamo ancora fare quando invece siamo andati oltre a dipingere la nostra vita.
    Non ce ne rendiamo conto solo quando, per un momento, ci guardiamo attorno.
    Quando in questa corsa sfrenata, inciampiamo e cadiamo. Allora ci rendiamo conto di quanto abbiamo perso, di quanto tempo è passato, che molto è diventato un ricordo cambiando noi e il nostro modo di vivere e pensare.
    Però rimane lì: nella profondità di chi siamo, il ricordo vive dandoci la consapevolezza che tutto è un attimo flebile.
    Tentò di prenderli, come se non volesse separarsene, una bambina che non accetta la verità delle cose ma il passato non si afferra, l'eco è solo il suono che lo fa battere dentro di noi per sempre.
    Dipendeva da noi se ascoltarlo o chiuderlo per sempre.
    Ma ogni eco del passato è servito a creare la musica con cui danzavamo oggi. Gaelle non era la donna che fuggiva dall'eco dei Loa, dalle responsabilità preda dei suoi dubbi e angosce.
    Era una donna che aveva fatto una scelta.

    «Che tu sia Dio o un demone cosa importa? L'unica certezza sono i passi che ho fatto fino ad oggi.
    Loro sono quell'eco che non scorderò mai. Quando mi perderò ancora saranno loro a ricordarmi la strada.»


    Guardò il suo popolo.

    «Ognuno di loro mi ricorda chi sono stata e chi sono. Chi potrò essere dipenderà solo da me. Ogni volto è una parte che forma la mia anima. Se sono, oggi, Gaelle e sono qui lo devo a loro.
    Le loro anime mi accompagneranno per sempre perché non dimenticherò nessuno di loro. Sono Gaelle grazie a loro.
    Le proteggerò anche dalla dimenticanza se è necessario, anche da questo abisso. Se questo non è il loro posto le proteggerò da tutto e tutti. Quello che sono stati vivrà dentro di me.»


    Un debito che non sarebbe bastata una vita a ripagare. Ma spendere la propria vita in loro favore forse sarebbe bastato.

    «Ho dubbi su di te, su questo posto, persino se quello che vedo o sento sia reale. Ma non ho dubbi sui Loa, sulla voce del mio popolo. Mi hanno mandato qui per uno scopo.
    In questo viaggio la risposta al perché sono qui, la dovrò dare solo ed esclusivamente io.
    Ci sono strade che non danno la risposta, il senso di tutto ma troviamo solo la nostra. Forse quella più importante. Perché da il significato alla strada percorsa, all'eco del nostro passato in relazione al loro eco
    Il senso di tutto non serve a volte...»


    Guardò quella misteriosa donna nel suo unico splendido, alienante, profondo occhio dorato e guardò le anime del suo popolo vorticare attorno a loro non più attratti dall'Abisso della Dimenticanza.
    Forse non si avrebbe avuto la comprensione del Tutto ma già comprendere se stessi, in risposta a quel tutto, poteva fare la differenza.

    «Mi fido di te? No. Non mi fido nemmeno di questo posto.
    Chi o cosa sei non è nemmeno importante adesso. Sei qui per uno scopo solo ed esclusivamente tuo.
    E in che modo io rientro nel tuo scopo? Qualsiasi cosa tu sia non sei davanti a me per nulla.»


    Anche se non si fidava? Sopratutto perché non si fidava. O rimaneva ferma per sempre in questo luogo o seguiva la corrente cercando di farla sua.
    Le anime continuavano a ricordarle il passato in modo da non perdere di vista il futuro.

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    «Sono Gaelle.
    Tu chi sei e perché sei qui?»


     
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