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Giapeto e Iperione

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    Giapeto era nervoso. O meglio, nervosismo era l'equivalente parola umana che avrebbe dato al suo stato emotivo, ma il Titano non era esattamente sicuro su quello che provava; paura? No, non aveva paura, non di questo. Non aveva paura in generale in verità, non era fatto per provarne sebbene nella sua vita come Szymon avesse conosciuto il freddo morso; l'unica cosa che Giapeto poteva conoscere era timore per considerevoli minacce alla sua incolumità, null'altro.
    E poi Iperione era suo fratello, per le stelle, non poteva avere paura di lui. No, sapeva che Iperione aveva concluso il suo risveglio con tempistiche più o meno identiche alle sue, ed erano essenzialmente tornati insieme alla Torre Nera; sperava che il risveglio del fratello fosse stato meno rocambolesco del suo, quantomeno, ma non avevano ancora avuto occasione di parlare e riunirsi dopo tutto questo tempo.
    Aveva parlato con chi c'era, con Crono e con Prometeo, con gli innumerevoli nipoti che aveva da parte di Oceano e Teti (sebbene gliene mancassero ancora un migliaio da riabbracciare), doveva ancora rivedere le figlie di Mnemosine, Helios ed Eos, ma non sembravano esserci altri, quantomeno nella prossimità della loro base. Deludente e doloroso, si sarebbe aspettato di trovare più parti della sua famiglia, ma a quanto pare c'erano state pericolose e strane circostanze che avevano coinvolto tutti; sé stesso in primis, a quanto pareva. No, no, no. Non ci avrebbe pensato ora, quella era un'intera enorme scatola di mal di testa che avrebbe scoperchiato un altro giorno.
    Per ora andava bene sapere che i suoi laboratori erano come li aveva lasciati, i suoi esemplari perlopiù intatti, e la sua famiglia sulla via del ritorno; importava solo questo al momento, magari avrebbe potuto dare una mano a cercare i suoi altri nipoti dispersi, era ben equipaggiato allo scopo e avrebbe voluto dare qualche gioia ai fratelli e sorelle ancora addormentati.

    Qual era l'argomento del momento? Ah, Iperione, giusto. Stava arrivando lì a quanto pareva, si sarebbero incontrati per la prima volta dopo il loro risveglio. Ciò gli provocava... emozioni. Di sicuro.
    Era contento di rivederlo, esattamente come sarebbe stato contento di rivedere chiunque altro di ritorno dal sonno eterno nel Tartaro, ma Iperione era uno di quelli con cui aveva avuto un rapporto a dir poco conflittuale; Giapeto tendeva a essere particolarmente pragmatico nel suo agire, noncurante dei sacrifici fatti se i guadagni ottenuti superavano le perdite, mentre il Sole voleva sempre e comunque cercare di limitare perdite e salvare tutti. Estremamente riduttivo pensare alle loro differenze in quel modo, c'erano un'infinità di altre microscopiche meccaniche e interazioni tra le loro vite infinite e paradigmi, ma era una sintesi come un'altra. Stelle, ricordava lo sguardo che gli aveva riservato quando aveva preso a produrre Khaos, non dei momenti felici quelli.
    Eppure restava sempre suo fratello, lo amava più della sua stessa vita e avrebbe rischiato l'annichilimento per lui, lo aveva sicuramente fatto nelle infinite guerre che aveva combattuto al suo fianco. Non le ricordava tutte in verità, sebbene fosse a buon punto nel suo risveglio c'erano comunque degli enormi spezzoni che gli mancavano, ma sapeva abbastanza per essere quantomeno funzionale come Titano.
    C'erano tante cose ad agitarsi in lui, sebbene si fosse stabilizzato dai primi momenti nel suo risveglio, non era ancora nel pieno delle sue facoltà; tante stranezze a cui abituarsi e poco tempo per farlo, avrebbero dovuto fronteggiare di nuovo orde senza numero di Corrotti e chissà quant'altro.
    Quasi come ai vecchi tempi.

    Camminava, passeggiando nervosamente a destra e sinistra, i piedi poggiati su un pavimento di puro arcobaleno sotto il quale si stagliava un paesaggio di infinita bellezza: un cielo chiaro e limpido, nuvole sotto di lui che si intersecavano in dune ondulate in una distesa a perdita d'occhio, e le luci multicolore che gli carezzavano la pelle. Blu chiaro contro riflessi di un sole cangiante, il vento che gli scompigliava capelli bianchi e brillanti come la luce di una nana bianca, e occhi del rosso più ardenti.
    Non aveva indosso la Soma, solo una semplice veste bianca che contrastava ancora di più con l'accozzaglia quasi casuale di colori che portava; era sicuramente peculiare, ma di certo non la cosa più strana ad aver graziato i pavimenti della Torre Nera.
    Pensò.
    L'ultimo momento che avevano passato insieme era stato... non dei migliori. Quando i loro corpi originali erano stati distrutti, e le loro essenze sigillate; non ricordava l'avvenimento in sé, ma poteva immaginare che fosse stata quella l'ultima circostanza in cui erano stati insieme. Chissà se lui lo ricordava, chissà se aveva offerto sé stesso per primo alla spada del boia per provare a risparmiare gli altri, chissà cosa ricordava; sapeva chi era Giapeto e cosa aveva fatto? Ricordava il bene che aveva compiuto nel nome della famiglia, i momenti felici che avevano condiviso, soli contro tutto, o aveva nella mente solo le immagini degli orrori che aveva portato nel nome dell'evoluzione e dell'efficacia? O non ricordava proprio nulla, il suo risveglio troppo prematuro, le sue memorie ancora sopite.
    Ecco che cosa temeva, di guardare negli occhi del fratello e di constatare indifferenza. Peggio, disprezzo.
    Si fermò, raddrizzandosi sulla schiena, passandosi distrattamente la mano per ravvivarsi i capelli; un gesto istintivo, umano e inconsulto, non ne aveva bisogno, avrebbe semplicemente potuto desiderare che i suoi capelli si sistemassero, ma era ancora un'abitudine da spezzare.

    Avrebbe comunque avuto risposta ai suoi timori a breve.



    hmbt2ep

    narrato | parlato | pensato
    SOMA Non indossata, integra
    FISICAMENTE
    MENTALMENTE
    RIASSUNTO AZIONI

    IAR
    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


    Evocazione


    Tecniche



    Edited by Luke¬ - 1/4/2024, 23:15
     
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    Il risveglio di Magnus non era stato un semplice tornare alla coscienza; era stato come riemergere da un abisso profondo e oscuro, una rinascita che portava con sé il peso di mille soli. Ogni frammento della sua anima si sentiva allo stesso tempo esultante e oppresso, un paradigma di emozioni che rifletteva la dualità della sua stessa esistenza come Iperione, il titano che aveva giurato di proteggere e custodire l'ordine dell'universo. Era un risveglio segnato dalla nostalgia e dal dolore, poiché, nella sua solitudine, si rendeva dolorosamente conto che molti dei volti amati, molti dei compagni di un tempo, non erano più al suo fianco. Questa consapevolezza gli straziava il cuore come spade di ghiaccio, una sofferenza acuta che si intrecciava con il calore del suo spirito indomito.

    Tuttavia, tra le ombre di quella perdita, c'erano luci che rifiutavano di spegnersi – la presenza di Elios ed Eos, pilastri di costanza nel tumultuoso mare della sua esistenza. Il pensiero che i suoi figli fossero ancora con lui, che avesse ancora degli alleati nella battaglia eterna tra luce e oscurità, accendeva una fiamma di gratitudine nel profondo del suo essere, un fuoco che scaldava il freddo vuoto lasciato dall'assenza degli altri. Ma con la luce veniva l'ombra, e il calore interiore di Magnus era un fuoco che minacciava di consumarlo dall'interno. Era il calore di un desiderio ardente, di una volontà incrollabile di portare avanti la sua missione, nonostante il prezzo che ogni giorno si trovava costretto a pagare.

    E in quella lotta interiore, nel cuore di quell'incendio emotivo, c'era la consapevolezza che un incontro lo attendeva – un confronto con Giapeto, suo fratello. Giapeto, con cui aveva condiviso tanto, dalla stessa origine divina alle battaglie combattute spalla a spalla, ma anche dissidi profondi e visioni del mondo divergenti. Era un incontro carico di significato, un momento che avrebbe potuto rivelare nuove verità o riaprire vecchie ferite. Nel suo cuore, il calore di Magnus non era solo la fiamma del guerriero, ma anche il calore di un amore profondo, viscerale per la sua famiglia – un amore che, nonostante tutto, continuava a pulsare forte come il cuore stesso dell'universo. Era un calore che superava ogni divergenza, che si sforzava di trovare, anche nella discordia, un ponte verso la riconciliazione.

    E così, mentre si preparava ad incontrare Giapeto, Magnus si trovava in un crocevia di emozioni: il dolore per i fratelli perduti, la gratitudine per quelli rimasti, l'ansia per il futuro e, più di tutto, quel calore implacabile che definiva ogni aspetto del suo essere, che lo spingeva sempre, inesorabilmente, verso il suo destino. Era il calore di un titano destinato a lottare, a proteggere, a sopravvivere – non solo per sé stesso, ma per tutto l'universo che aveva giurato di custodire.

    Magnus, avanzava verso il luogo dell'appuntamento con un portamento che sfidava la gravità stessa. La sua figura imponente si stagliava contro il paesaggio cosmico, un titano in un mondo di meraviglie celesti. Indossava soltanto pantaloni e una canottiera bianca, così immacolata da sembrare tessuta con la luce di stelle cadenti. Il tessuto aderente delineava ogni curva e angolo del suo fisico scolpito, un'opera d'arte forgiata non da mani mortali ma dal fuoco della creazione stessa. La sua andatura era quella di un essere che aveva calpestato pianeti, che aveva attraversato i vuoti tra le galassie con la stessa facilità con cui un uomo attraversa la strada. Ogni passo era carico di una storia millenaria, di battaglie combattute e vittorie conquistate, di perdite sofferte e lezioni apprese. Il calore che emanava da lui era quello di un sole, intenso e inarrestabile, una forza della natura che non conosceva eguali.

    Mentre avanzava, Magnus posava lo sguardo su un panorama che avrebbe tolto il respiro a qualsiasi mortale: sotto di lui, un pavimento di arcobaleno, un ponte tra il reale e l'irreale, rifletteva le luci di mille soli distanti, un caleidoscopio di colori che danzavano al ritmo del cosmo. Era un cammino fitto di meraviglie, che solo esseri come lui potevano percorrere senza timore, ma che portava anche il peso dell'isolamento che la sua natura divina gli imponeva.

    Nei suoi occhi, si leggeva un abisso di emozioni: c'era la determinazione indomabile di chi sa di portare sulle spalle il fardello della custodia dell'universo, ma anche un'ombra di tristezza, il rimpianto per quelle battaglie che non avevano portato pace. Il suo sguardo era un ponte tra il passato e il futuro, tra la nostalgia di ciò che era stato e la speranza di ciò che ancora poteva essere.

    E mentre si avvicinava al luogo dell'incontro, il suo cuore batteva al ritmo di un antico tamburo, un eco delle pulsazioni primordiali dell'universo. Ogni battito era un richiamo, un richiamo alla battaglia, all'amore, alla vita stessa. Era il suono del destino che si avvicinava, del tempo che si piegava alla volontà di esseri la cui esistenza era intrecciata con il tessuto stesso della realtà.

    Quando finalmente fu davanti a Giapeto, il tempo sembrò sospendersi, il respiro dell'universo trattenersi in un momento di attesa silenziosa. Iperione guardò il fratello, riconoscendolo nonostante le ere e le distanze, riconoscendo in lui un pezzo della propria anima dispersa nel tempo. Con un gesto che conteneva secoli di storie non raccontate, allungò la mano e la appoggiò sulla spalla di Giapeto, un contatto che era più di un semplice saluto, era un riconoscimento, una riconciliazione senza parole.

    "Mio caro fratello," disse Iperione, la voce carica di un'affettuosità profonda e sincera, vibrante di quell'amore indistruttibile che solo legami così antichi possono conoscere. "Quanto tempo è passato, quante stelle sono nate e morte da quando ci siamo visti l'ultima volta. Ma non importa quanto lunghe possano essere le ere o quanto profonde le divergenze, sappi che il legame che ci unisce è incrollabile, eterno come il cosmo stesso."

    Le sue parole erano un fiume caldo, un flusso di emozioni pure che cercavano di colmare il vuoto delle separazioni passate. "Oggi, voglio solo parlare con te, ritrovare un pezzo di noi che il tempo sembrava aver portato via."

    Era un momento di vulnerabilità e forza, un'intimità che solo due esseri legati dal sangue delle stelle potevano condividere. Nel cuore di Iperione, nel cuore del titano, ardeva una fiamma inestinguibile, un fuoco di amore e devozione per la sua famiglia, per suo fratello. Era un calore che nulla poteva sopprimere, un calore che, in quel momento, era tutto ciò che contava.

    narrato • "parlato"pensato| telepatia |
    casta Titani
    fisicamente a posto
    mentalmente desideroso di riunirsi con la sua famiglia
    riassunto azioni Niente di particolare: arrivo, tocco e dico bella fratello

    Gurthang
    Iperione, il Titano del Sole e dei Cieli, incarna la personificazione del vero guerriero. La sua soma, uno spadone mastodontico, rappresenta integralmente l'essenza di ciò che lui stesso simboleggia. Iperione può manifestare fisicamente uno spadone colossale composto dallo stesso materiale della sua soma. Quest'arma imponente, dal design non convenzionale, si distingue per la sua grandezza e lo spessore fuori dal comune. Vista frontalmente, l'arma assume una forma triangolare, ampia alla base e si restringe verso l'estremità superiore, culminando in una punta affilata. Ciò che la rende unica è una cavità circolare situata a circa metà della sua lunghezza. L'impugnatura, straordinariamente lunga, conferisce una notevole manovrabilità, a patto che chi la maneggi ne possieda la forza sufficiente anche solo per sollevarla. La sezione dell'arma è spessa e dalla forma romboidale. Come la sua soma, l'arma è nera come la pece. La caratteristica cavità al centro dello spadone, quando Iperione intende evocare il suo potere massimo, si carica di vento solare, emanando l'aspetto di un sole in miniatura. Dal punto di vista pratico, Iperione può richiamare l'arma in qualsiasi momento e usarla per annientare i suoi nemici. La robustezza dello spadone, paragonabile a quella della sua soma, la consacra come una delle armi più potenti dell'universo. Il Titano, con maestria, può sfruttare lo spadone per orchestrare i suoi attacchi, lanciando fendenti di vento solare e dunamis che si propagano nell'aria, sottolineando la sua formidabile abilità nel combattimento cosmico.


    Ichor
    Essere un Titano comporta un'eredità divina, una dote che nessun altro può vantare. Il sangue di Iperione, al contrario del cremisi umano, assume varie sfumature di azzurro, oscillando tra il turchese e il blu scuro. La peculiarità di questo sangue divino risiede nella sua ricchezza di dunamis, un'energia cosmica che lo pervade. Ciò fa sì che il sangue di Iperione guarisca lentamente e costantemente le ferite di lieve entità. Che si tratti di tagli, ematomi o fratture, nel tempo queste scompaiono grazie al potere lenitivo del suo stesso sangue. Tuttavia, in combattimento, questa capacità non garantisce la guarigione di ferite gravi o invalidanti, a meno che non si attivi il suo potere attivo. In tal caso, amalgamando sia l'azione offensiva che difensiva, Iperione può concentrare una notevole quantità di dunamis nel suo sangue. Facendo ciò (un'abilità utilizzabile solo una volta in un duello), ha la possibilità di curare i danni fisici o eventuali stati alterati (come la perdita di sensi, problemi al sistema nervoso o avvelenamento). Oltre a ciò, l'Ichor conferisce a Iperione l'immortalità, facendo sì che ogni imperfezione fisica del suo corpo prima del risveglio svanisca con il tempo. Il suo sangue, inoltre, può essere impiegato per curare gli altri o dar vita a oggetti inanimati, trasformandoli in obbedienti servitori (only GdR). In questo modo, il potere di Iperione si estende oltre il campo di battaglia, influendo sulla vita e sulla creazione stessa.


    Vento Solare
    Iperione, nella sua veste di Dio del Sole, possiede la straordinaria abilità di richiamare a sé tutta la potenza di quell'astro che è fondamentale per la vita sulla terra. Il suo potere si concretizza nel richiamare o creare dal nulla il "potere di Helios", un vento solare in grado di spazzare via ogni cosa e di bruciare con una fiamma più intensa di qualsiasi altra. Questo potente dono divino si suddivide in due elementi distinti: aria e fuoco. Il controllo di Iperione sull'elemento vento è praticamente totale. Può richiamare grandi quantità di vento o manipolare quello già presente sul campo di battaglia, generando proiettili d'aria, potenti tornadi o esplosioni devastanti liberando aria compressa. La sua maestria nel controllo del vento gli permette di alterarne la pressione e la direzione, ma va oltre, variando anche la composizione dell'ossigeno nell'aria o generando fenomeni come l'evaporazione dei liquidi. La sua abilità con il vento estende anche la possibilità di simulare il volo sfruttando le correnti, utilizzare getti d'aria senza riuscire a raggiungere l'abilità piena, è inoltre possibile accelerare i movimenti senza poter mai raggiungere il potere espresso da chi possiede per esempio l'agilità straordinaria. D'altra parte, il controllo sull'elemento fuoco, seppur meno vasto rispetto al vento, merita rispetto. Attraverso la sua capacità, Iperione può innalzare la temperatura tramite l'espansione del suo cosmo, creando fiamme in varie forme, che esse siano fruste, proiettili o sfere. Ha la facoltà di avvolgersi di fiamme o infiammare la sua arma per eseguire attacchi ardenti. Pur non raggiungendo la stessa maestria del vento, non è raro vederlo creare sfere infuocate per annientare i suoi avversari. Entrambi gli elementi, essendo di tipo aeriforme, vantano una straordinaria duttilità e si distinguono per la loro manovrabilità eccezionale. A ciò si aggiunge la possibilità di combinare vento e fuoco per generare il Vento Solare, una fusione che offre spettacolari risultati. Iperione può così creare tornadi di vento che ustionano e fanno evaporare il sangue, lame di vento infuocate o sfere di fuoco che implodono, seminando distruzione per chilometri.


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    Il comportamento che Giapeto aveva con la sua famiglia era notevolmente diverso rispetto a quello che aveva con il resto delle entità che avevano l'onore di condividere i suoi spazi.
    Inizialmente, agli albori della propria esistenza, non sapeva perché considerasse quelle altre undici entità così importanti, così fondamentali: perché avesse timore per la loro incolumità, perché volesse proteggerli tutti a ogni costo, perché senza di loro l'universo gli sembrasse meno bello e radiante. Poi, in seguito, capì esattamente perché: era amore. Li amava tutti, dal primo all'ultimo, più di ogni altra cosa nel creato e li avrebbe protetti con ogni stilla della sua essenza. Non c'era niente di più e niente di meno. Cose estremamente complesse, i pensieri e le emozioni di creature così distaccate da ogni concezione di normalità, difficile dare una definizione ad una parola come amore negli infiniti modi in cui una mente altra lo concepisce.
    Iperione non era cambiato per nulla dai primi momenti della sua infanzia, un relativamente piccolo muro di fiamme e santimonia che, tuttavia, era sempre così maledettamente testardo; eppure era la sua più grande qualità, la tenacia incrollabile che l'aveva fatto ergere a Campione del suo popolo e protettore degli innocenti. Anche ora, davanti ai suoi occhi in quel corpo umano, era radiante; esattamente come sarebbe sempre dovuto essere, per quanto ridotto nella forza, il suo spirito si ergeva incrollabile come il primo momento in cui l'aveva visto. Ricordò, Giapeto, un tempo lontano e un universo molto differente in una guerra combattuta per il diritto di vivere una realtà più buona e giusta, il primo momento in cui erano scesi insieme sul campo di battaglia; aveva pensato che Iperione non sarebbe mai caduto, che proteggeva, davvero, tutto quello che aveva alle sue spalle oltre che a distruggere ciò che aveva davanti. Nelle sue vite umane si era atteggiato a paladino della giustizia, a guerriero del bene, non aveva davvero la più pallida idea di cosa significasse davvero fregiarsi di quei titoli.

    Fratello.
    Disse, quando vide la forma fisica di Iperione, ma in verità aveva già percepito il suo arrivo da ben prima. Era difficile non notarlo, suo fratello era estremamente roboante nella sua canzone, le sue note lo seguivano in uno spartito di perfetto ordine, come una falange pronta scendere in guerra.
    Quando Iperione poggiò la mano sulla sua spalla, quando gli si rivolse alla sua maniera, quando nel suo sguardo vide riflesso un amore che neanche lo scorrere degli eoni aveva potuto cancellare, sentì qualcosa, un qualcosa che nelle sue vite umane non aveva mai davvero provato. Gioia, difficilmente descrivibile a parole, di essere davvero a casa e di non doversi mai più sentire solo; non era più l'unico in cima a quella montagna, non era più sperduto nel buio dello spazio senza che nessuno potesse anche solo alzare lo sguardo nella sua direzione, non era più costretto a cantare in mezzo a chi era sordo o di cercare di indicare la via ai ciechi. Non era più prigioniero di sciocche ideologie, impantanato in uno stagno di inefficienza, poteva davvero fare una differenza. E sarebbero tornati tutti insieme, presto.
    Non avrebbe avuto bisogno di gesti fisici per comunicare a suo fratello quanto fosse felice, la lingua dei Titani già comprendeva una totale condivisione di pensiero e emozione, eppure questa sua nuova condizione era un misto di antiche certezze e nuovi problemi. Avvertì qualcosa tirare ai bordi del suo volto, in prossimità delle guance e, prima di poter capire esattamente cosa gli stava succedendo, si ritrovò a sorridere.
    Izydor aveva sorriso spesso, ma erano gesti vuoti e privi di sentimento, perché semplicemente non aveva le giuste connessioni con chi lo circondava. Ora? Ora era con chi davvero era meritevole di affetto, di amore, di tutto il suo supporto.

    Maledizione, fratello.
    Portò la destra sulla mano di Iperione, stringendola nella sua, mentre levò la sinistra, chiusa a pugno, e la fece impattare contro il petto dell'altro Titano. Un gesto di affetto, declinato nella loro nuova e umana condizione, un piccolo pegno del legame che avevano condiviso guardandosi le spalle, l'uno la salvezza dell'altro nei momenti lontani della Seconda Guerra degli Eterni, di un qualcosa che era insito nella loro stessa natura di Pilastri della Realtà. Stelle, quanto mi sei mancato.
    Pensandoci bene non era passato poi troppo tempo dall'ultima volta in cui si erano visti, le ere le avevano trascorse dormendo, costretti dai sigilli nel Tartaro, eppure... tante cose erano cambiate. In loro e nel mondo, certe cose in meglio, come Crono, e altre decisamente in peggio.
    Tanto è stato distrutto e altrettanto abbiamo perso. Il pensiero di non essere soli è uno dei pochi conforti che ci sono concessi in questi giorni oscuri.
    Alcune cose invece erano rimaste le stesse, come il testone che aveva davanti in quel momento. La realizzazione lo fece sorridere ancora di più; era davvero identico a come lo ricordava. Le sue note si levarono, mondate di infondati timori e paure non sue, legandosi ad una melodia che scorreva inesorabile come il loro incedere. Doveva sperare, pian piano, che le cose sarebbero migliorate; la speranza era il dono più grande che avevano fatto all'universo, era strano pensare di averne lasciata poca per sé.
    Come stai tu, fratello mio? Abbiamo lasciato un mondo d'oro, per tornare in un'era di fango e morte, il frutto delle nostre fatiche ormai disfatto. Non deve essere facile per te.

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    FISICAMENTE
    MENTALMENTE
    RIASSUNTO AZIONI

    IAR
    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


    Evocazione


    Tecniche



    Edited by Luke¬ - 1/4/2024, 23:16
     
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    iperione spadone {VIII} energia blubrothers2
    Nella Torre Nera, un luogo che trascendeva le concezioni ordinarie di spazio e tempo, al centro vibrante del Multiverso, due figure titaniche si trovavano di fronte. Erano Giapeto e Iperione, fratelli non solo per sangue divino ma anche per destino, legati da una trama di storie intrecciate nelle stelle e nelle ombre dei mondi senza fine. La Torre stessa era un enigma, un punto d'incontro per tutte le realtà possibili e immaginabili, una struttura che si ergeva solida e misteriosa, un faro di certezza in un mare di possibilità caotiche. La sua presenza era tanto rassicurante quanto inquietante, poiché conteneva in sé i segreti di innumerevoli universi, ognuno con le proprie leggi, i propri eroi, i propri demoni.

    Giapeto, avendo accettato il contatto e le parole del fratello, stava di fronte a Iperione, la sua figura arrogante ed eterna. C'era una gravità in lui, un senso di profondità che andava oltre ogni comprensione; era come se ogni sua parola, ogni suo gesto fosse in grado di modellare la realtà stessa. Di fronte a lui, Iperione, il Dio del Sole, irradiava una luce che andava oltre il visibile; era un bagliore di speranza, di forza, di un amore ardente che bruciava come il cuore stesso delle stelle. Il suo sorriso era una benedizione, un gesto che portava con sé la promessa di albe senza fine e di crepuscoli ricchi di storie non ancora raccontate.

    La Torre Nera, con le sue innumerevoli porte, sembrava osservare i due fratelli, testimone silenziosa di questo ritrovo tanto atteso. Lì, dove il Multiverso si incontrava e si fondeva, dove ogni realtà poteva trovare un punto di congiunzione, Giapeto e Iperione sembravano finalmente a casa, finalmente al loro posto, come due pezzi di un puzzle cosmico che trovavano la loro giusta collocazione.

    "Ogni percorso che abbiamo intrapreso, ogni battaglia che abbiamo combattuto, ogni perdita che abbiamo sofferto... tutto ci ha portato a questo momento, a questa riconciliazione sotto il tetto del Multiverso." Le parole echeggiavano nella Torre, mescolandosi con l'eco di miliardi di altre storie, di altri incontri e separazioni. Eppure, in quel momento, non c'erano altre storie che contassero; c'era solo il riconoscimento tra due esseri che, nonostante le divergenze, nonostante le distanze cosmiche e i disaccordi temporali, rimanevano uniti da un legame indistruttibile.

    Attorno a loro, la realtà sembrava esultare, come se la presenza dei due titani avesse rivelato una verità nascosta da tempo immemorabile. In quella luogo, dove il finito incontrava l'infinito, Giapeto e Iperione stavano insieme, testimoni di un universo in continua evoluzione, custodi di un amore che, come la stessa Torre, resisteva al di là del tempo e dello spazio.

    Con un movimento che sembrava tracciare le armonie nascoste del cosmo, aprì il palmo della mano e, quasi per incanto, due calici si materializzarono dall'aria vibrante di magia e mistero. Non erano semplici recipienti, ma oggetti di una bellezza eterea, forgiati dalle stesse forze che tessono i sogni e le stelle. Pieni fino all'orlo di nettare divino, i calici brillavano di una luce propria, riflettendo storie non raccontate e echi di celebrazioni passate.

    Con un gesto fraterno e solenne, Iperione invitò Giapeto a unirsi a lui in questo rituale antico quanto il tempo stesso. "Fratello," disse con una voce che era come il ruggito lontano di supernove morenti, "brindiamo alla nostra riunione, alla nostra famiglia, e al destino che ancora una volta ha intrecciato i nostri cammini."

    "A dire il vero, fratello mio," continuò, le parole fluttuanti con la gravità di stelle nascoste, "non è la prima volta che mi risveglio. Mi è già capitato qualche volta, per esempio, quando ho accompagnato nostro fratello Crono in questa realtà. Insieme a tuo figlio e mia figlia, abbiamo creato le basi affinché, tutto questo fosse possibile."

    Nella sua voce c'era un tono di reminiscenza, come se stesse sfogliando le pagine di un libro scritto nell'alba dei tempi. Le storie di Eos e Prometeo, risuonavano nel cuore di Iperione con un sentimento di incommensurabile orgoglio. Avevano costruito, protetto, e ispirato, e lui, come un padre che osserva i suoi figli superare le proprie aspettative, non poteva fare a meno di sentirsi gonfio di una fierezza quasi tangibile.

    Il tempo sembrava stendersi come un tappeto sotto i piedi delle divinità nella Torre Nera, mentre Iperione, condivideva pezzi del suo passato con Giapeto. I suoi occhi scintillavano di una luce riflessiva, tinteggiata da un'ombra di soddisfazione e orgoglio. Il suo sguardo, vasto come il cosmo, rivelava un mare di emozioni profonde mentre parlava dei momenti che avevano segnato i suoi risvegli dal lungo sonno divino.

    Poi, il suo sguardo, ancora ricolmo delle storie del passato, si posò su Giapeto, e la curiosità dipinse nuove sfumature nella tela del suo espressione. "Tu, piuttosto, come è stato il tuo risveglio? Io ho guidato una comunità in salvo, che poi è diventata parte del mio popolo." Le sue parole erano sincere, un invito a condividere segreti e storie, un ponte gettato tra due anime che avevano attraversato eoni separati.

    Iperione aspettava, il suo interesse non era una mera cortesia, ma un desiderio vero di comprendere, di scoprire i sentieri che Giapeto aveva percorso nei labirinti del tempo. Era un invito a dipanare i fili del destino che avevano tessuto le loro esistenze in maniere diverse eppure, in qualche modo, parallele.

    narrato • "parlato"pensato| telepatia |
    casta Titani
    fisicamente a posto
    mentalmente vuole sapere che ha combinato il fratello
    riassunto azioni niente di particolare, un brindisi e si parla

    Gurthang
    Iperione, il Titano del Sole e dei Cieli, incarna la personificazione del vero guerriero. La sua soma, uno spadone mastodontico, rappresenta integralmente l'essenza di ciò che lui stesso simboleggia. Iperione può manifestare fisicamente uno spadone colossale composto dallo stesso materiale della sua soma. Quest'arma imponente, dal design non convenzionale, si distingue per la sua grandezza e lo spessore fuori dal comune. Vista frontalmente, l'arma assume una forma triangolare, ampia alla base e si restringe verso l'estremità superiore, culminando in una punta affilata. Ciò che la rende unica è una cavità circolare situata a circa metà della sua lunghezza. L'impugnatura, straordinariamente lunga, conferisce una notevole manovrabilità, a patto che chi la maneggi ne possieda la forza sufficiente anche solo per sollevarla. La sezione dell'arma è spessa e dalla forma romboidale. Come la sua soma, l'arma è nera come la pece. La caratteristica cavità al centro dello spadone, quando Iperione intende evocare il suo potere massimo, si carica di vento solare, emanando l'aspetto di un sole in miniatura. Dal punto di vista pratico, Iperione può richiamare l'arma in qualsiasi momento e usarla per annientare i suoi nemici. La robustezza dello spadone, paragonabile a quella della sua soma, la consacra come una delle armi più potenti dell'universo. Il Titano, con maestria, può sfruttare lo spadone per orchestrare i suoi attacchi, lanciando fendenti di vento solare e dunamis che si propagano nell'aria, sottolineando la sua formidabile abilità nel combattimento cosmico.


    Ichor
    Essere un Titano comporta un'eredità divina, una dote che nessun altro può vantare. Il sangue di Iperione, al contrario del cremisi umano, assume varie sfumature di azzurro, oscillando tra il turchese e il blu scuro. La peculiarità di questo sangue divino risiede nella sua ricchezza di dunamis, un'energia cosmica che lo pervade. Ciò fa sì che il sangue di Iperione guarisca lentamente e costantemente le ferite di lieve entità. Che si tratti di tagli, ematomi o fratture, nel tempo queste scompaiono grazie al potere lenitivo del suo stesso sangue. Tuttavia, in combattimento, questa capacità non garantisce la guarigione di ferite gravi o invalidanti, a meno che non si attivi il suo potere attivo. In tal caso, amalgamando sia l'azione offensiva che difensiva, Iperione può concentrare una notevole quantità di dunamis nel suo sangue. Facendo ciò (un'abilità utilizzabile solo una volta in un duello), ha la possibilità di curare i danni fisici o eventuali stati alterati (come la perdita di sensi, problemi al sistema nervoso o avvelenamento). Oltre a ciò, l'Ichor conferisce a Iperione l'immortalità, facendo sì che ogni imperfezione fisica del suo corpo prima del risveglio svanisca con il tempo. Il suo sangue, inoltre, può essere impiegato per curare gli altri o dar vita a oggetti inanimati, trasformandoli in obbedienti servitori (only GdR). In questo modo, il potere di Iperione si estende oltre il campo di battaglia, influendo sulla vita e sulla creazione stessa.


    Vento Solare
    Iperione, nella sua veste di Dio del Sole, possiede la straordinaria abilità di richiamare a sé tutta la potenza di quell'astro che è fondamentale per la vita sulla terra. Il suo potere si concretizza nel richiamare o creare dal nulla il "potere di Helios", un vento solare in grado di spazzare via ogni cosa e di bruciare con una fiamma più intensa di qualsiasi altra. Questo potente dono divino si suddivide in due elementi distinti: aria e fuoco. Il controllo di Iperione sull'elemento vento è praticamente totale. Può richiamare grandi quantità di vento o manipolare quello già presente sul campo di battaglia, generando proiettili d'aria, potenti tornadi o esplosioni devastanti liberando aria compressa. La sua maestria nel controllo del vento gli permette di alterarne la pressione e la direzione, ma va oltre, variando anche la composizione dell'ossigeno nell'aria o generando fenomeni come l'evaporazione dei liquidi. La sua abilità con il vento estende anche la possibilità di simulare il volo sfruttando le correnti, utilizzare getti d'aria senza riuscire a raggiungere l'abilità piena, è inoltre possibile accelerare i movimenti senza poter mai raggiungere il potere espresso da chi possiede per esempio l'agilità straordinaria. D'altra parte, il controllo sull'elemento fuoco, seppur meno vasto rispetto al vento, merita rispetto. Attraverso la sua capacità, Iperione può innalzare la temperatura tramite l'espansione del suo cosmo, creando fiamme in varie forme, che esse siano fruste, proiettili o sfere. Ha la facoltà di avvolgersi di fiamme o infiammare la sua arma per eseguire attacchi ardenti. Pur non raggiungendo la stessa maestria del vento, non è raro vederlo creare sfere infuocate per annientare i suoi avversari. Entrambi gli elementi, essendo di tipo aeriforme, vantano una straordinaria duttilità e si distinguono per la loro manovrabilità eccezionale. A ciò si aggiunge la possibilità di combinare vento e fuoco per generare il Vento Solare, una fusione che offre spettacolari risultati. Iperione può così creare tornadi di vento che ustionano e fanno evaporare il sangue, lame di vento infuocate o sfere di fuoco che implodono, seminando distruzione per chilometri.


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    Anticamente l'idea di bere non li avrebbe mai neppure sfiorati. Nei loro corpi originali, nella pienezza assoluta del supremo potere di cui disponevano, i Titani erano completamente slegati dalle necessità e dai ragionamenti degli esseri inferiori; non avevano bisogno di nutrimento per sostentarsi, né necessitavano di brindare per trasmettere simbologie insite nell'importanza del loro incontro. No, avrebbero semplicemente conferito all'altra parte il concetto di estremo compiacimento in una riunione che lungamente era stata attesa e tanto sarebbe bastato: tale era la perfezione dei loro pensieri, la forza di chi può semplicemente desiderare un qualcosa e renderla realtà.
    Eppure in questo strano futuro erano, chi più e chi meno, estremamente più umani rispetto ai rispettivi punti di partenza. A Giapeto la cosa non piaceva per niente, e infatti faceva grandi sforzi per separare gli istinti mortali che ancora aveva dall'essenza superna che definiva il nucleo del Titano, eppure erano lì; quei riflessi della carne, quegli inconsulti spasmi di pensieri e idee che non avrebbero dovuto essere più dopo il suo risveglio, sarebbero rimasti lì e non se ne sarebbero andati nell'immediato futuro. Tanto valeva conviverci pacificamente per quanto possibile. In fin dei conti Giapeto, più di tutti, era adatto a concettualizzare questo nuovo stato della sua esistenza, lui che per propria natura era sempre diverso e migliore rispetto al sé stesso di pochi istanti prima: la loro condizione attuale era una tappa sgradita, ma purtroppo necessaria, nel processo evolutivo che li avrebbe portati a andare oltre i vincoli su di loro imposti e ritornare all'apice del proprio giusto potere, e forse anche superarlo.
    E in quel momento l'idea di celebrare il loro ritorno tracannando qualcosa di estremamente forte gli piaceva particolarmente, specialmente se quel qualcosa fosse stato in grado di spegnergli il cervello per qualche minuto. Aveva bisogno di smettere di pensare e farlo nella maniera letterale, ossia spegnendo il suo cervello, era un qualcosa dalla quale difficilmente avrebbe potuto recuperare.
    Purtroppo, per quanto elevata dalla sua natura, la forma umana aveva delle serie limitazioni.

    I nostri figli si sono davvero dati da fare in nostra assenza. Se c'è una, tra le cose che abbiamo creato, ad essere davvero buona e giusta sono indubbiamente loro.
    Sincera contentezza per le azioni di Prometeo e sua nipote a parte, quello di risvegli precedenti era un argomento estremamente sensibile per il Titano. Sapeva che Iperione era stato strumentale per assicurare il ritorno di Crono, e con ogni probabilità anche il fratello era consapevole del... precedente inquilino nel quale l'essenza primordiale di Giapeto si era riversata. Non era un'argomento del quale aveva piacere a parlare, e non l'avrebbe fatto se non gli fosse stato chiesto direttamente; semplicemente non considerava parte di sé quell'ammasso di pezzi di ricambio corrotti da Erebo e Angra Mainyu. Aveva compiuto certamente dei gesti degni di nota, ma che erano contrari agli imperativi assoluti cui il Titano delle Dimensioni si atteneva; simili in certi versi, totalmente opposti per altri, era nella sua stessa natura odiare con tutto sé stesso il simbolo di un passato che non poteva più controllare o influenzare. I suoi pensieri al riguardo erano complessi, ostili e molto poco piacevoli. Ma non avrebbe permesso a quei pensieri infelici di inquinare le note di un bel momento.
    Prese un sorso di quello che gli era stato offerto, brindando assieme ad Iperione. Non aveva effettivamente idea di cosa ci fosse in quella brodaglia ma era quantomeno buona; molto alcolica a quanto pareva, un umano sarebbe finito all'ospedale con un sorso, ma la loro costituzione consentiva i due figli di Urano di concedersi cose che per i comuni mortali erano impensabili. Avrebbe potuto provare a identificare la cosa, ma Giapeto non era particolarmente curioso o schizzinoso in materie di cibo; finché aveva un buon sapore ed era presente in quantità industriali gli andava bene.

    Niente di particolare.
    Fu tentato di lasciar morire lì quel tentativo che Iperione aveva fatto di informarsi sulle circostanze del suo ultimo risveglio, ma quello non era un umano a cui poter dare una risposta da fatina zen e liberarsi dai guai con "le mie vie sono misteriose". Iperione era suo fratello, ed essere fratelli significa poter contare sull'aiuto reciproco anche nei momenti più oscuri e difficili; ovvio, non era niente di tutto questo, era semplicemente e forse umanamente imbarazzato dalla cosa.
    Sospirò, o meglio trasmise a suo fratello nella musica con cui comunicavano una lunga nota strascicata che rappresentava non sconforto, ma un attimo di artefatta esitazione nel confessare certi avvenimenti. Alzò lo sguardo dal bicchiere, fissandolo negli occhi con l'espressione di chi sta per confidare il proprio segreto più imbarazzante; poi pronunciò la fatidica rivelazione.
    Ero un Saint. In entrambe le mie vite.
    Schioccò la lingua sotto il palato in un gesto di frustrazione e disappunto. Era imbarazzante che un'essere pragmatico e dedito ai risultati come Giapeto potesse essersi fatto intortare da quella sciocca massa di buonismo e incompetenza; era comprensibilmente inconsapevole della vera natura dell'esistenza, della magnitudine dell'inadeguatezza degli ideali portati avanti dai Cavalieri di Atena, eppure da qualcuno che portava il suo genoma si sarebbe aspettato un po' più di pensiero autonomo e discernimento.
    Per due volte, sempre con la stessa armatura. Cavaliere d'Argento della Bussola. Ma ci pensi? Io, un Saint? Ridacchiò tra sé e sé, con una vaga punta di esasperazione ad immaginarsi l'assurdità della questione dall'esterno; non avrebbero potuto renderla più assurda nemmeno a provarci.

    Poi tutte le specifiche sono una storia complicata: ero due gemelli, morti l'uno dopo l'altro prima di potersi risvegliare completamente, quindi abbiamo dovuto arrangiarci in una situazione d'emergenza. Io sono una sorta di... mh... chiamiamola fusione tra i due. Devo ancora mettere le mani su quello che ha rischiato di ammazzarmi, ma è un progetto in corso.

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    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


    Evocazione


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    Iperione ascoltava con attenzione profonda le parole del fratello Giapeto. La modalità di comunicazione tra i Titani era qualcosa di unico, incomprensibile per le altre razze. Non richiedeva l'uso di parole: i Titani si interfacciavano attraverso un'intesa profonda, quasi un'intreccio di coscienze, che sfuggiva alla logica umana. La loro forma esclusiva di dialogo era il "Canto della Creazione", un metodo di comunicazione che solo essi potevano comprendere appieno, con una connessione talmente intima e potente che nessun altro essere poteva afferrarne l'essenza. Iperione si rammentava nitidamente le discussioni che sua sorella Mnemosine aveva spesso sollevato riguardo la peculiarità di questa lingua, sempre appoggiata nei suoi ragionamenti arditi da Febe. Era bello ricordare quei momenti, quando tutti erano svegli e uniti.

    Questi pensieri suscitarono in Iperione un senso di tristezza, che probabilmente Giapeto aveva notato. Tuttavia, per lui, questo era un dettaglio marginale. Iperione era un essere di limpida chiarezza, estraneo alle menzogne o alla falsità, specie nel rapporto con la sua famiglia. Guardando e ascoltando suo fratello, percepiva tuttavia un sentimento di stranezza. Qualcosa, nelle profondità di Giapeto, sembrava turbarlo in modo significativo, e affrontare certi argomenti sembrava causargli un certo malessere.

    Ma Iperione lo ascoltò senza mai interromperlo, attento sia alle sue parole che al canto che emanava da lui. Con un sorriso, cercò di trasmettere la splendente bellezza del sole, come se volesse illuminare una notte oscura e profonda, priva di stelle, una comunicazione che solo un Titano poteva capire e che Giapeto aveva sicuramente interpretato come un tentativo di rassicurazione.

    "Le semplicità, sai, non hanno mai fatto breccia nel tuo spirito, fratello mio," cominciò Iperione, la sua voce un misto di scherno affettuoso e nostalgia. "Voglio però discutere di una questione di vitale importanza: i Giganti risvegliati. Non parlo di Drago di Perla, ma degli umani geneticamente compatibili."

    Si fermò un attimo, riflettendo sulle parole e sulle implicazioni di ciò che stava per condividere. Poi, con un tono più serio e carico di significato, continuò: "Una donna umana, Nadia è il suo nome, si è trovata, per un capriccio del destino, nel luogo esatto al momento perfetto. Sotto la guida di Aracne, ha attraversato la soglia della capsula di Grazione e si è fusa con il nostro Gigante. È un evento tanto raro quanto pericoloso."

    Con una pausa pensosa, come se cercasse le parole giuste per spiegare un concetto complesso, Iperione proseguì: "Questo processo, sai, è intriso di pericoli e le probabilità di riuscita erano minime. Tuttavia, l'incidenza dei Caduti ha aggravato la situazione, aumentando i miei timori, soprattutto ora che la minaccia della Corruzione umana sembra pronta a scatenare un assalto devastante."

    La sua espressione si fece più distante, mentre rifletteva su quanto il suo corpo umano ancora lottasse per accettare la sua vera natura titanica. "Queste preoccupazioni, per quanto possano sembrare pesanti, sono solo l'eco di un'umanità che sta lentamente sfumando dentro di me. Col tempo, anche questi sentimenti svaniranno. Ma per ora, è così."

    Iperione cambiò tono, come se stesse rivelando un segreto profondo e personale: "Ma ciò che mi ha realmente scosso è il legame che ho percepito con l'ospite di Grazione. È possibile, Giapeto, che tutto questo sia reale? Lei mi ha detto di essere stata guidata, eppure, da Aracne non ho ricevuto alcuna conferma ulteriore."

    Il timbro di Iperione divenne riflessivo, quasi preoccupato. "Ci sono molte incognite in questa vicenda, e come ben sai, nell'universo non esistono coincidenze. Ogni evento è frutto di un disegno ben più grande e intricato."

    Con un sospiro, concluse: "Spero che il risveglio di Ladon sia stato meno travagliato. Ho sentito voci inquietanti su Crio e le sue gesta recenti, e prego affinché siano solo pettegolezzi senza fondamento."

    narrato • "parlato"pensato| telepatia |
    casta Titani
    fisicamente a posto
    mentalmente nostalgia canaglia
    riassunto azioni ma sti giganti???

    Gurthang
    Iperione, il Titano del Sole e dei Cieli, incarna la personificazione del vero guerriero. La sua soma, uno spadone mastodontico, rappresenta integralmente l'essenza di ciò che lui stesso simboleggia. Iperione può manifestare fisicamente uno spadone colossale composto dallo stesso materiale della sua soma. Quest'arma imponente, dal design non convenzionale, si distingue per la sua grandezza e lo spessore fuori dal comune. Vista frontalmente, l'arma assume una forma triangolare, ampia alla base e si restringe verso l'estremità superiore, culminando in una punta affilata. Ciò che la rende unica è una cavità circolare situata a circa metà della sua lunghezza. L'impugnatura, straordinariamente lunga, conferisce una notevole manovrabilità, a patto che chi la maneggi ne possieda la forza sufficiente anche solo per sollevarla. La sezione dell'arma è spessa e dalla forma romboidale. Come la sua soma, l'arma è nera come la pece. La caratteristica cavità al centro dello spadone, quando Iperione intende evocare il suo potere massimo, si carica di vento solare, emanando l'aspetto di un sole in miniatura. Dal punto di vista pratico, Iperione può richiamare l'arma in qualsiasi momento e usarla per annientare i suoi nemici. La robustezza dello spadone, paragonabile a quella della sua soma, la consacra come una delle armi più potenti dell'universo. Il Titano, con maestria, può sfruttare lo spadone per orchestrare i suoi attacchi, lanciando fendenti di vento solare e dunamis che si propagano nell'aria, sottolineando la sua formidabile abilità nel combattimento cosmico.


    Ichor
    Essere un Titano comporta un'eredità divina, una dote che nessun altro può vantare. Il sangue di Iperione, al contrario del cremisi umano, assume varie sfumature di azzurro, oscillando tra il turchese e il blu scuro. La peculiarità di questo sangue divino risiede nella sua ricchezza di dunamis, un'energia cosmica che lo pervade. Ciò fa sì che il sangue di Iperione guarisca lentamente e costantemente le ferite di lieve entità. Che si tratti di tagli, ematomi o fratture, nel tempo queste scompaiono grazie al potere lenitivo del suo stesso sangue. Tuttavia, in combattimento, questa capacità non garantisce la guarigione di ferite gravi o invalidanti, a meno che non si attivi il suo potere attivo. In tal caso, amalgamando sia l'azione offensiva che difensiva, Iperione può concentrare una notevole quantità di dunamis nel suo sangue. Facendo ciò (un'abilità utilizzabile solo una volta in un duello), ha la possibilità di curare i danni fisici o eventuali stati alterati (come la perdita di sensi, problemi al sistema nervoso o avvelenamento). Oltre a ciò, l'Ichor conferisce a Iperione l'immortalità, facendo sì che ogni imperfezione fisica del suo corpo prima del risveglio svanisca con il tempo. Il suo sangue, inoltre, può essere impiegato per curare gli altri o dar vita a oggetti inanimati, trasformandoli in obbedienti servitori (only GdR). In questo modo, il potere di Iperione si estende oltre il campo di battaglia, influendo sulla vita e sulla creazione stessa.


    Vento Solare
    Iperione, nella sua veste di Dio del Sole, possiede la straordinaria abilità di richiamare a sé tutta la potenza di quell'astro che è fondamentale per la vita sulla terra. Il suo potere si concretizza nel richiamare o creare dal nulla il "potere di Helios", un vento solare in grado di spazzare via ogni cosa e di bruciare con una fiamma più intensa di qualsiasi altra. Questo potente dono divino si suddivide in due elementi distinti: aria e fuoco. Il controllo di Iperione sull'elemento vento è praticamente totale. Può richiamare grandi quantità di vento o manipolare quello già presente sul campo di battaglia, generando proiettili d'aria, potenti tornadi o esplosioni devastanti liberando aria compressa. La sua maestria nel controllo del vento gli permette di alterarne la pressione e la direzione, ma va oltre, variando anche la composizione dell'ossigeno nell'aria o generando fenomeni come l'evaporazione dei liquidi. La sua abilità con il vento estende anche la possibilità di simulare il volo sfruttando le correnti, utilizzare getti d'aria senza riuscire a raggiungere l'abilità piena, è inoltre possibile accelerare i movimenti senza poter mai raggiungere il potere espresso da chi possiede per esempio l'agilità straordinaria. D'altra parte, il controllo sull'elemento fuoco, seppur meno vasto rispetto al vento, merita rispetto. Attraverso la sua capacità, Iperione può innalzare la temperatura tramite l'espansione del suo cosmo, creando fiamme in varie forme, che esse siano fruste, proiettili o sfere. Ha la facoltà di avvolgersi di fiamme o infiammare la sua arma per eseguire attacchi ardenti. Pur non raggiungendo la stessa maestria del vento, non è raro vederlo creare sfere infuocate per annientare i suoi avversari. Entrambi gli elementi, essendo di tipo aeriforme, vantano una straordinaria duttilità e si distinguono per la loro manovrabilità eccezionale. A ciò si aggiunge la possibilità di combinare vento e fuoco per generare il Vento Solare, una fusione che offre spettacolari risultati. Iperione può così creare tornadi di vento che ustionano e fanno evaporare il sangue, lame di vento infuocate o sfere di fuoco che implodono, seminando distruzione per chilometri.


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    La tua cura per gli altri è sempre stata tra le tue migliori qualità, insieme all'idealismo sfrenato. Lascia la freddezza e il pragmatismo a me, non ti si addicono.
    Giapeto parlò con un tono che era scherzoso, ma non troppo. Sapeva che Iperione avrebbe colto esattamente cosa intendeva, e gli dispiaceva sinceramente che anche lui stesse trovando difficoltà nel conciliare la sua vera natura con gli strascichi di mortalità che tutti loro si trascinavano dietro. Eppure era giusto ricordare, anche lui avrebbe dovuto farlo, che i loro paradigmi si erano riversati in quei contenitori per un motivo; erano affini, semplicemente, all'essenza più profonda del Titano. Izydor e Szymon erano parti di lui, per quanto lo detestasse, e altrettanto valeva per Iperione.
    Se non ci fosse stata quest'affinità di base, non sarebbero mai potuti tornare. E il Titano del Sole, più di tutti loro, era decisamente buono e idealista; non gli avrebbe fatto cruccio l'essere fedele alla sua natura, né fatto scherno dei suoi comprensibili dubbi e perplessità. Era il suo modo per fargli capire che, per Giapeto, non c'era davvero niente da cambiare nel fratello.
    Erano già perfetti così.

    Poi passò alle novità sui Giganti, cose che aveva già avuto modo di valutare in maniera sufficientemente approssimativa data la natura dei suoi ultimi impegni. Sapeva che Grazione si era risvegliato, fondendosi direttamente con un'umana compatibile, non era invece a conoscenza del coinvolgimento di Aracne; la cosa gli fece emettere una nota alta e fischiettante, una piccola melodia sorpresa, prima di considerare effettivamente che cosa intendeva dire Iperione con quella preoccupante serie di novità e che cosa gli stesse chiedendo.
    E' possibile, ma le probabilità che un umano possa interfacciarsi direttamente con uno Spartoi e uscirne illeso sono infinitesimali.
    Sebbene tutti i Dodici fossero abili in letteralmente qualunque cosa volessero, c'era chi, tra loro, aveva certe affinità. Vuoi per vicinanza con il paradigma o per preferenza personale, la specializzazione di Giapeto era per l'appunto nella genetica; dopotutto era stato lui in prima persona a lavorare sul progetto dei Giganti, degli Spartoi sapeva di tutto e di più.
    La sua psiche avrebbe dovuto essere completamente sopraffatta da quella di Grazione, nel caso migliore. In quello peggiore avremmo avuto un altro abominio da abbattere.

    O questa donna è incredibilmente fortunata ad aver trovato l'unico Gigante completamente compatibile con lei, o qualcosa l'ha protetta e la sta proteggendo tutt'ora. Lei dice di essere stata guidata da Aracne, e io credo che ci creda, ma penso ci sia qualcosa sotto che ancora non ci è chiaro. Con queste entità in gioco non si è mai troppo attenti.
    Guardò Iperione, e il suo sguardo valse più mille note. Avrebbe sicuramente potuto scoprire molto di più su questa strana compatibilità se avesse avuto modo di operare direttamente questa donna e estrapolarne il corredo genetico in via diretta, facendo un confronto diretto col suo DNA prima che ricevesse le ovvie mutazioni che venivano con il contatto con uno Spartoi. Avrebbe avuto bisogno dell'aiuto di Crono, per riavvolgere il tempo attorno a campioni prescelti e riportarli al loro stato originale per un confronto, ma era una cosa nelle loro possibilità.
    Restava da capire se gli sarebbe stato chiesto di applicare la sua scienza sulla donna.

    Ancora ti sorprendi per Crio? Sul serio, dai. Rise, note alte e scoppiettanti come un rullo di tamburi che portavano con esse ricordi di infinite altre circostanze in cui il Titano delle Galassie non aveva mostrato la benché minima decenza o controllo nelle proprie azioni, preso nell'eterna gara che aveva contro la propria sua stessa noia. Giapeto lo capiva, in un certo qual modo, neanche lui si faceva troppo costringere da barriere artefatte e tendeva a fare... cose. Quantomeno il Titano delle Dimensioni, in genere, pensava alle conseguenze.
    Di tanto in tanto.

    Ma siccome stiamo parlando di Ladon, c'è qualcosa che devo mostrarti.
    Giapeto poggiò le mani l'una sull'altra, concentrando la sua Dunamis in mezzo ad esse in un lampo di materiale nero e semiliquido; un brandello infinitesimale di essenza divina che, tramite i sistemi della Soma, scaricò in forma visibile un pacchetto di dati che si espanse verso l'alto quando il Titano aprì le mani.

    DNA_Featured

    Questa era la completa rappresentazione, in scala visiva, della mappa genetica di Callisto, la pilota di Ladon. Aveva avuto modo di acquisire quei dati analizzando campioni presi dalla ragazza di nascosto e confrontandoli con i dati che già erano in loro possesso, ricostruendo una rappresentazione perfetta del suo DNA, per fugare qualche suo dubbio su di lei.
    La ragazza è entrata in contatto con il materiale genetico di Ladon in maniera... diciamo casuale, ma ha dimostrato buona compatibilità con loro. Fin qui tutto normale, seppur fortunato.
    Giapeto alzò le dita, piccole scintille di Dunamis illuminarono dei punti specifici nella mappa, punti infinitesimali nel programma della Vita che solo un qualcuno di profondamente familiare con il codice di partenza avrebbe potuto decifrare. Dopotutto gli umani erano stati scritti da un codice che partiva da Giapeto, su di loro sapeva tutto quello che c'era da sapere.

    Ignora le alterazioni nei valori, sono dovute a protesi, impianti vari e il fatto che sia un cervello psionicamente attivo.
    La soddisfazione di poter parlare con un altro Titano era, soprattutto, di non dover tradurre le cose che voleva dire in termini comprensibili per l'altro; la limitatezza degli umani era oggettivamente deprimente, ogni tanto era bello potersi esprimere con la consapevolezza di trovare comprensione dall'altra parte.
    Guarda qui. Giapeto ingrandì la proiezione nei punti che aveva delimitato, mostrando che i pezzi di DNA della ragazza erano in uno stato di attiva mutazione, un qualcosa che ne stava alterando la natura. Erano piccole modifiche, quasi irrilevanti, ma stavano avvenendo. Lentamente, una stringa di codice per volta, ma stavano avvenendo.
    Ora, è troppo presto per determinare la causa di queste alterazioni e quale sarà il punto conclusivo, tuttavia ho due ipotesi: la prima è che sono normali e imprevedibili conseguenze del contatto con Ladon, che la stanno avvicinando al Gigante.

    Sorrise, gli occhi gli brillavano di pura eccitazione.
    La seconda...

    Iperione sapeva a che cosa si riferiva.

    hmbt2ep

    narrato | parlato | pensato
    SOMA Non indossata, integra
    FISICAMENTE
    MENTALMENTE
    RIASSUNTO AZIONI

    IAR
    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


    Evocazione


    Tecniche

     
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