Brigitte sussultò. Tastò morbosamente la superficie su cui era sdraiata, sollevata dal fatto che fosse qualcosa di solido e lei non stesse precipitando come aveva creduto fino ad un istante prima. Udì a malapena il tonfo del metallo su metallo e la sua eco, coperti da un fischio così acuto e intenso da disorientarla e darle quasi la nausea. Provò ad aprire gli occhi, scoprendo con sorpresa che erano già ben aperti: tutto ciò che poteva vedere era un’unica macchia nera, il buio più totale. Rotolò su un fianco, avvertendo sul suo corpo il peso della sua Surplice. Inspirò lentamente, a fondo. Quel fischio maledetto non accennava a diminuire, le girava terribilmente la testa e dubitava sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi senza crollare di nuovo a terra. Allungò il braccio destro. Tastò ogni centimetro accanto a sé, battendo la mano con forza cercando inconsciamente di mascherare con il tonfo metallico quel rumore insopportabile. Non riuscì a raggiungere alcuna parete senza spostarsi, eppure immaginava che fosse un luogo chiuso, molto probabilmente artificiale, data la consistenza liscia del pavimento che aveva potuto toccare. Si trascinò in avanti facendo forza con le braccia, una, due, tre volte, sollevò il busto da terra, poi raggiunse finalmente quello che sembrava un angolo. Ci si accasciò contro di schiena, sedendosi ed appoggiando la testa all’indietro dove due pareti convergevano. Inspirò. Espirò. Il fischio sembrava diminuire d’intensità o, forse, era solo questione d’abitudine. Fatto sta che la mente di Brigitte cominciò a schiarirsi lentamente, permettendo a qualche pensiero di far breccia in essa.
Come cazzo era arrivata in un posto come quello? Difficile che si fosse ubriacata giù sulla Terra, ormai le uniche cose che valeva la pena di azzardarsi a bere abbondavano a casa sua. Casa sua. Che fosse un qualche angolo del Cielo di Venere in cui era finita senza che ne serbasse memoria? Un buio del genere, si disse, poteva trovarsi solo nei più profondi sotterranei della Deuxième, ma a giudicare dalle pareti levigate non poteva trattarsi di una delle grotte che lei stessa aveva creato. Forse, per qualche assurdo motivo, aveva usato la Chiave d’Oro per rinchiudere se stessa, ma per quale ragione? Partendo dal presupposto di una sbronza epocale, non era da escludere una totale assenza di logica nel suo operato. L’odore di chiuso era decisamente insopportabile e, inoltre, la poca aria a disposizione non l’aiutava a ragionare. Appoggiò la mano destra alla parete più vicina, poi chiuse gli occhi e cercò di entrare in sintonia con la Chiave. Fu allora che se ne rese veramente conto. Il silenzio. Oltre all’odioso fischio che continuava a perforarle il cervello, non poteva sentire assolutamente nulla. Silenzio di tomba, in quella stanza e nella sua testa. Di nuovo.
Brigitte fu assalita da un terribile, orrendo senso di déja vu. Ora, come era successo a New Orleans mesi prima, non riusciva a sentire la voce di nessuno dei suoi figli. Non un mormorìo, non un bisbiglio, neanche un impercettibile “maman”. Era sola, come allora, e non aveva previsto che ciò potesse accadere di nuovo. Aveva dato per scontato di averli portati in salvo definitivamente, di essere in salvo lei stessa, che essere entrati nelle grazie del loro Signore avrebbe significato la salvezza. Invece si ritrovava in quella pozza di buio a sforzarsi di non piangere. Provava la stessa paura di quella volta in mezzo alla città allagata, lo stesso senso di impotenza. Si portò le mani alla bocca, poi provò a respirare profondamente per cercare di scacciare i tremori e le lacrime inutilmente.
No… no, no, no no... Strinse le palpebre, serrò la mandibola e prese a chiamare mentalmente il nome del suo primogenito. Nessuna risposta, nemmeno il più debole dei sussurri.
Nibo…Si concentrò e provò a far ardere di più il proprio cosmo. Ne richiamò a sufficienza per creare una grande croce brillante davanti a sé, che servì ad illuminare buona parte della stanza. Era abbastanza grande da potersi muovere liberamente, ma lo spazio restava ridotto e, soprattutto, privo di porte o finestre. Di male in peggio. Creò una seconda croce accanto a sé, poi la spedì a tutta velocità lungo una delle pareti di fronte a lei. La vide scomparire all’impatto con il muro senza averlo scalfitto minimamente. Anzi, le era parso addirittura che non ci fosse nemmeno arrivata. Tentò di nuovo con un gruppo di nove croci, tutte indirizzate simultaneamente nello stesso punto. Identico risultato. Ringhiò un’imprecazione tra i denti. Iniziava a sospettare che, oltre quelle mura, il suo potere non potesse arrivare.
Nibo, rispondimi! NIBO!Urlò, sbattendo con forza il pugno alla parete accanto a sé. Il suono della sua voce rimbombò nella stanza vuota. Chiuse gli occhi, inspirò, avvertendo un bruciore alla gola e sotto le palpebre che preannunciava la sua resa al pianto.
Mamma, sono qui!Brigitte sussultò, riscuotendosi immediatamente. Corse incontro a suo figlio quasi prima di rendersi conto che era lì davvero, insieme a lei. Lo abbracciò, lo strinse al proprio petto così forte che le parve di sentire il suo respiro fermarsi per un istante. Si allontanò di un passo e lo guardò negli occhi.
Tesoro mio… Lo squadrò dalla testa ai piedi. Sembrava che fosse illeso, solo più pallido del solito, confuso ed impaurito quanto lei.
Stai bene? Cos’è successo? Dove sono gli altri?Lo incalzò. Lui scosse la testa.
Io… io non lo so. Non mi ricordo nulla… cos’è questo pos-Entrambi i Loa si accucciarono premendosi le mani sulle orecchie istintivamente quando un suono profondo, metallico e sgradevole interruppe le parole di Nibo. Era una voce innaturale, stridente, come se appartenesse ad una macchina, più che a una persona. Si era insinuata nelle loro menti di prepotenza, ferendoli ad ogni sillaba. Tutti e due ebbero l’impressione che somigliasse fin troppo a quella del corrotto infame che aveva imprigionato Nibo allo Spotted Cat, quel dannato necromante blasfemo.
Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Ma che minchia sta blaterando questo farabutto?Sibilò Brigitte, furiosa quanto spaventata. Il suo cuore aveva preso a battere con violenza, in fretta, lo sentiva martellare in gola mentre le sue gambe sembravano cedere poco a poco.
Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena.Quale magnanimità! La modestia incarnata, il tipo.
Per questo voglio darvi... Delle motivazioni. Per cosa combattereste... Fino alla fine?La penombra del lato opposto della stanza fu sostituita improvvisamente da una luce intensa proveniente da una delle due pareti di fronte ai Loa, che illuminò completamente la sala vuota. I due restarono abbagliati per un po’. Brigitte lasciò che la croce di cosmo si spegnesse, dopodiché si avvicinò alla parete splendente insieme a suo figlio. Sulla superficie videro riflessi i loro visi sconvolti e disorientati mentre si avvicinavano e toccavano quella sorta di specchio luminoso.
Sopra le loro teste, nell’immagine di fronte a loro, apparve una specie di punto nero da cui sembrò sgorgare una sostanza fluida e nera, come fosse oscurità liquida. Questa cominciò a scorrere in linee rette incorniciando insieme le loro figure e si spanse oltre fino a creare un reticolo irregolare, tale da sembrare che lo specchio si fosse frantumato silenziosamente in centinaia, migliaia di pezzi. In ogni sezione, grande o piccola che fosse, comparvero uno dopo l’altro innumerevoli volti di persona, alcuni riconoscibili, altri meno familiari, ma tutti con una cosa in comune: il panico che illuminava i loro occhi. Anche se Brigitte e Nibo non avevano mai visto alcune di quelle facce, sapevano perfettamente a chi appartenevano le loro anime in preda al terrore. Erano Loa della loro famiglia, tutti quanti. Linto, rannicchiato e scosso come il bambino di cui aveva le sembianze; Oussou, lucido come non era mai stato; i Marassa Jumeaux abbracciati l’uno all’altra. Poi ancora Zaranye, Limbo, Babaco, Plumaj, Ti Malis, Debas, Larenn, Defwa. Loraye e Masaka. Baron Kriminel, posseduto dalla sua folle ira, e Baron Secretaire, il cui storico contegno era stato ridotto in briciole. Alla fine, in mezzo al riflesso di madre e figlio primogenito, comparve anche quello del padre, Samedi, e di Espwa, che era l’ultima nata. I corpi di tutti i Guedé erano avvolti dalla stessa sostanza nera viscosa che vedevano scorrere nel retro dello specchio, spire infinite di tenebra solidificata che si avviluppavano intorno ai loro arti e risalivano fin sul torace e fino al collo come grottesche, rivoltanti imitazioni di serpenti , sempre più serrate.
I due Loa si strinsero l’un l’altro, ammutoliti, impotenti e increduli, incapaci di distogliere lo sguardo dal crudele spettacolo davanti ai loro occhi. Non potevano fare nulla per soccorrere coloro che amavano, tutto per il sadico piacere di quell’esaltato che li aveva rinchiusi là dentro. Avrebbe distrutto le loro esistenze solo e unicamente per pungolarli, e con esse avrebbe annientato la speranza di un futuro sereno insieme a loro nel nome della quale Brigitte aveva battezzato la sua ultima figlia.
L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato... L’ultima cosa che videro, prima che il buio calasse di nuovo nella stanza, furono quelle tenebre striscianti che inghiottivano uno dei due. Erano ignari di aver assistito reciprocamente alla fine dell’altro, senza rendersi conto dello strano scherzo che quello specchio aveva loro giocato. Brigitte tremava convulsamente, le mani strette come morse attorno alle braccia di suo figlio tanto forte da fargli male. Inspirò profondamente e un ringhio cupo le risalì lungo la gola.
BAAAAAAAAASTAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRDOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!L’urlo distorto e disumano echeggiò nell’oscurità, rimbalzando senza risposta tra una parete e l’altra.
Tira fuori le palle, vigliacco, perché giuro che saranno la prima cosa che ti farò ingoiare appena sarò uscita di qui! Ti trascinerò all’inferno con le mie stesse mani, dovessi creparci anch’io! Mi senti?!I suoi strepiti si alternarono ai suoi goffi tentativi di riprendere fiato. La sua voce spezzata e stridula tradiva tutta la sua furia e il suo terrore, insieme al desiderio omicida che le immagini nello specchio le avevano instillato. Avvertì a malapena il tocco di Nibo che la accoglieva in un abbraccio timoroso ma dolce, le sue carezze, le parole con cui tentava di calmarla e calmare se stesso. Nulla sarebbe servito ad placare sua madre, se non la vista di quel porco schifoso nella più squallida prigione dell’Ade fino alla fine dei suoi deprecabili giorni.