TOTAL WAR TOURNAMENT

Prologo

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    Sei circondato da tenebre.
    L'ultima cosa che ricordi è un fischio assordante che ti rimbomba nelle orecchie e che anche adesso, ripensandoci, ti ferisce l'udito. Una cosa certa è che stai indossando la tua armatura, eppure non hai la minima idea di dove ti trovi. Puoi provare a fare esplodere il tuo cosmo, a trasformarti in elemento o utilizzare qualsiasi potere a tua disposizione, non funzionerà nulla: l'unica cosa che potrai scoprire è che ti trovi in una stanza cubica di circa 5x5 mq, dalle pareti lisce e fredde che nessun attacco può scalfire.
    Sei lì da cinque minuti più o meno, quando una strana voce ti risuona nella mente, facendoti ancora del male. La voce è distorta, metallica, né maschile, né femminile.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?


    Una parete improvvisamente si illumina, annebbiando la vostra vista temporaneamente. In un secondo momento riconoscete che quello che avete davanti si tratta invero di un grosso specchio, grosso quanto una parete, che lentamente comincia a mostrarvi delle immagini...Dell'unica cosa per cui mettereste in gioco tutto il vostro eessere per cui morireste, che sta correndo ora, su quello schermo, un grande pericolo.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...


    Lo specchio diventa oscuro di nuovo, lasciandoti ancora una volta al buio. Una porta si aprirà solo quando arriverà il momento di combattere...

    JzbxoG5


    Benvenuti nel Torneo per i 10 anni del Final!
    Per i giocatori blu e under blu: avete tempo per scrivere il vostro post di esordio seguendo questa traccia fino a domenica 29 Gennaio. Gli over blu dovranno attendere nuovi ordini. Per tutte le domande, vi rimando in dissertazioni o in privato.
    Rispondo ad alcune domande che potrebbero sorgere:
    Dovete postare in questo thread, nessun ordine da seguire.
    Ovviamente non avete limite di battute.
    Ogni giocatore si trova nella stanza, solo. Non avete possibilità alcuna di dialogo fra i vostri pg, anche perchè siete ignari della presenza degli altri, dato che la struttura non vi dà modo di percepire il cosmo altrui.
    La vostra salute, a parte il mal di testa, è il condizioni ottimali.
    La vostra armatura è completamente integra.
    Che la portiate al momento in cui sentite il fischio e perdete coscienza (siete voi a stabilirlo) è irrilevante.
    Il soggetto in pericolo è ovviamente a vostra discrezione, come il pericolo che corre. Si, questo implica off game che la visione è fasulla, ma il vostro pg la considera reale, e molto. Poi....chissá!


    Edited by *Susu* - 28/1/2017, 19:16
     
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  2. » Black Star
     
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    Total War Tournament

    » Black Star

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    Forse per qualche errore nella progettazione nella sua mente, forse per motivi ancora più misteriosi, Black Star ha una incapacità particolare: fare sogni mentre dorme. O meglio, non è minimamente in grado di ricordare anche solo una singola immagine di ciò che il suo cervello elabora e produce mentre è addormentato. Chiude gli occhi, passa il tempo, li riapre e per lui non è passato che un momento. Una sorta di macchina del tempo per viaggiare fino alla successiva giornata di allenamenti.
    Comodo, semplice, privo di dettagli inutili o potenziali distrazioni. Persino la sua mente è come cristallo liscio e privo di irregolarità.
    Eppure, quando si risveglia, potrebbe quasi giurare di trovarsi in un sogno.
    Immerso nelle tenebre, disteso su quello che sembra un pavimento liscio, come sospeso nel nulla, l'unica sua percezione è il tatto, che oltre al pavimento gli fa sentire il peso quasi confortante della sua cloth addosso. Perchè addormentarsi in un luogo simile e con la sua armatura indossata? Tutto questo non ha senso.
    Riflette, cercando di portare alla memoria gli ultimi avvenimenti, nella speranza di trovare una spiegazione tra i suoi ricordi.
    Niente, tutto è confuso, immagini, sensazioni, odori. Solo un fischio talmente forte da perforargli la testa, tanto che gli orecchi ancora sembrano doloranti al solo pensiero.

    -GLADOS?-

    La sua voce sembra un tuono in quel silenzio assoluto, ma rispetto a quel fortissimo fischio è quasi piacevole. Cerca di chiamare il super-computer di bordo, come è abituato a fare quando si ritrova in situazioni a lui nuove. Silenzio. Nessuna risposta.
    Capisce che non ha senso chiamare ancora, GLADOS non ha mai bisogno di essere chiamata due volte per ottenere una risposta. Adesso è sicuro al 100% di non essere a bordo della sua nave, il che significa che qualcuno deve aver perso i sensi altrove.
    Allarmato, si alza con agilita in un singolo e fluido movimento, come se l'armatura non costituisca il minimo ostacolo addosso a lui, e una volta in piedi tenta vanamente di intravedere qualcosa in quell'oscurità totale.
    Non potendosi affidare alla vista, tenta con un altro dei suoi sensi: il sesto, il cosmo.
    Metodicamente, crea una scheggia di cristallo sospesa a mezz'aria ad ognuno dei suoi punti cardinali, che fa poi muovere in linea retta, sondando la profondità di quelle tenebre. Quasi contemporaneamente, tutte quante le schegge incontrano un muro lungo in cammino e cadono per terra. Si tratta di una piccola stanza completamente buia. Dopo aver provato anche sopra di sé, constata anche la presenza del soffitto.

    -Osate rinchiudermi!? NON DI NUOVO-

    Ha passato metà della sua esistenza rinchiuso in un contenitore, osservato e studiato. Non sopporta che l'esperienza possa ripetersi, non adesso che ha risvegliato il suo pieno controllo sul suo cosmo!
    Una violenta spinta telecinetica si abbatte sulla parete davanti a lui. Non sembra succedere niente.
    Lui è il soldato perfetto, un guerriero nato!
    Un secondo attacco, altrettanto infruttuoso.
    La rabbia si sta impadronendo del ragazzo, ma prima che possa tentare qualsiasi altra azione, una voce risuona direttamente nella sua testa. Non sembra umana, è metallica e tagliente, profondamente distorta, ancora più robotica di quella di GLADOS.

    -Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?-

    Che cosa significa? Il mondo divorato? E chi è che sta venendo ad incontrarlo? Troppe domande. Ma è soprattutto quella finale a mandare un brivido lungo la schiena del giovane.

    -Fatti vedere! Avanti!-

    Parla senza alzare la voce, adesso è sicuro che ci sia qualcuno o qualcosa ad ascoltarlo. Non riceve nessuna risposta, ma un lampo di luce lo acceca momentaneamente. Quando gli occhi finiscono di abituarsi, davanti a sé non ha più una buia parete, ma una sorta di superficie riflettente, in cui vede se stesso. Anche lì è in piedi, immerso nell'oscurità, sembra confuso e si guarda attorno. Quello che inizialmente ha pensato essere un riflesso in realtà sembra più una sorta di visione. Dalle tenebre alle sue spalle, improvvisamente, la lunga lama di una falce emerge lentamente senza che il Black Star della visione se ne accorga. Mani scheletriche sorreggono l'arma, come se la morte stessa la stia impugnando. Il colpo è pronto ad essere vibrato.
    Black non riesce a scollare gli occhi da quell'immagine, come paralizzato, nemmeno per guardarsi le spalle. Una goccia di sudore gli scende dalla fronte.
    La voce lo fa sussultare quando riprende a parlare.

    -L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...-

    La lama cala con uno scatto, ma prima che il colpo raggiunga il collo del ragazzo la visione svanisce, lasciandolo di nuovo da solo nelle tenebre. Con il cuore che batte all'impazzata, si porta una mano al collo, come per controllare che sia ancora attaccato.
    Il messaggio è chiaro. Ciò per cui combatterebbe fino alla fine, con ogni mezzo ad ogni costo è se stesso. La posta in gioco è indubbiamente la sua stessa vita.
    Se lo scopo è farlo combattere con tutto il suo impegno, sicuramente lo hanno raggiunto. Nulla lo avrebbe fermato fino alla fine di quel "gioco". Niente e nessuno.

    6sZ7AfQ

    Nome ★ Black☆Star
    Energia ★ Blu
    Cloth ★ Black Aries
    Status Cloth ★ Indossata - Perfetta
    Status Fisico ★ Perfetto
    Status Psicologico ★ Teso

    Riassunto ★ //

    ABILITA’ ★ CRISTALLO NERO
    La furia istintiva di Black Star, unita al suo cosmo, si manifesta al suo comando sotto forma solida, tramutando il suo intento omicida, la sua ira e più in generale tutte le sue emozioni più violente in un cristallo nero come la notte e incredibilmente duro. Questo cristallo, non solo è una incredibile arma di offesa e difesa grazie alla sua durezza incomparabile ad uno costrutto generato da un cosmo di pari livello, ma possiede qualità nascoste che lo rendono ancora più temibile sia in attacco che come protezione. Essendo generato da pensieri ed emozioni tanto violente, esso è anche in grado di schermare da tecniche che tentano di agire sulla mente, come illusioni e controlli mentali, ma anche violenti attacchi contro la mente di Black Star. Inoltre, un avversario troppo incauto, potrebbe scoprire che, toccando con qualsiasi parte del corpo quel materiale, si troverebbe attraversato da un violentissimo shock nervoso, che si tradurrebbe in dolore e spossatezza mentale, con conseguente disorientamento e debolezza.

    ★ TELECINESI
    La volontà di Black Star, grazie al cosmo, è capace anche di modificare il mondo attorno a lui, imponendosi sul regolare corso degli eventi. I comandi che impartisce alla materia vengono eseguiti; se ordina ad un masso di sollevarsi esso lo fa, se un avversario deve piegarsi al suo cospetto una violentissima pressione lo schiaccerà al suolo. Al suo volere, la materia può esplodere o comprimersi, spostarsi o rimanere immobilizzata, essere scagliata in cielo o premuta per terra fino a ridursi in polvere. In termini pratici, questo potere rende anche Black Star capace di levitare, deviare colpi diretti a lui o persino respingerli e utilizzare l’intero campo di battaglia come un’estensione di sé.

    ★ TELEPATIA Con un minimo di concentrazione e cosmo, Black riesce a fare a meno della comunicazione verbale e ad accedere alla forma superiore di dialogo: quello tra menti. Nel remoto caso che il suo pensiero sia rivolto a qualcuno all'infuori di se stesso, può direttamente parlare direttamente con la mente di quest'ultimo, con uno scambio di informazioni immensamente più rapido ed efficiente del normale parlare, nonché più discreto.


    TECNICA //
     
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    C'ho i pugni nelle mani!

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    Aprì gli occhi in mezzo all’oscurità. Non aveva idea di dove fosse e l’ultima cosa che ricordava era un fischio talmente forte da fargli male. Il solo pensiero gli provocò una fitta ai timpani. Provò ad alzarsi in piedi e si sentì incredibilmente pesante. Non si era accorto di avere l’armatura del minotauro addosso. La accarezzò partendo dal petto e controllando che ogni singolo pezzo fosse al suo posto, senza crepe. Sembrava che tutto fosse in ordine ma non era troppo sicuro.
    Mise le mani per terra, sul gelido pavimento, e procedette a tentoni. Nell’oscurità totale non aveva nessun modo per riconoscere lo spazio intorno a sé e l’unica cosa che poteva fare era esplorare. Nel mentre aveva mille domande in testa a cui non sapeva rispondere. Non conosceva il luogo dove era finito, non conosceva neanche il motivo di quell’oscurità, e non sapeva perché il suo ultimo ricordo fosse così doloroso per i suoi timpani.

    “Dove sono finito …”

    La sua mente era ancora così confusa. C’erano tante cose nella sua mente che non riusciva a riordinare, producendo un vortice di pensieri caotici. La battaglia dell’Ade, Ares che combatteva con lui, Pandora in pericolo … c’era qualcosa di reale o si era sognato il momento in cui si era trafitto il petto? Sentì una fitta al cervello e portò la mano destra sulla fronte.
    Riuscì a raggiungere la parete liscia e fredda. Provò a capire quanto fosse resistente scagliando un potente destro. Non riuscì manco a scalfirla, con il risultato di produrre un forte rumore provocato dal cozzare dell’armatura con il muro. Avrebbe voluto l’udito dei pipistrelli per capire se fosse in una stanza o in un corridoio e orientarsi in quell’oscurità così fitta. Vista la situazione, era probabile che fosse imprigionato da qualche parte.
    Non aveva senso cercare una via d’uscita, era una lezione che aveva imparato duramente quando viveva nel labirinto. Se era stato messo in una prigione, con la sua armatura, non gli avrebbero mai permesso di avere intorno delle mura deboli che non potessero contenerlo. Qualcuno sarebbe impazzito in una situazione simile ma non lui. Era abituato a rimanere nel completo silenzio, immerso nell’oscurità, con delle catene che non gli permettevano di muoversi. Si sedette a gambe incrociate e chiuse gli occhi in attesa. Prima o poi avrebbe scoperto perché si trovava lì.

    Non tardò ad arrivare la voce metallica che spiegò per filo e per segno la sua situazione. Strinse i denti quando la udì. Il solo sentirla gli provocava la nausea. Aprì gli occhi e venne investito da una luce intensa. Mise la mano destra di fronte a sé e solo dopo qualche secondo riuscì ad abituarsi abbastanza da capire quale immagine stesse trasmettendo il suo rapitore. La motivazione era proprio di fronte ai suoi occhi. Era reale? Non poteva saperlo.
    Pandora, imprigionata, lo sguardo verso di lui, fuori dallo specchio. Non implorava, non appariva spaventata, non era nel carattere di quella splendida e angelica figura. Sapeva che aveva bisogno di lui e poteva leggerlo nei suoi occhi. Era viva. Strinse i pugni e rimase ad osservare la donna che gli aveva dato un’opportunità, uno scopo nella sua miserevole vita, imprigionato nel suo essere una bestia. Avvicinò entrambe le mani allo specchio, accarezzando la sua superficie.

    «Mia signora … vi troverò e metterò fine a tutto questo. Farò quello che non ho saputo fare nell’Ade. Lo giuro …»

    Disse a bassa voce, come se lei e soltanto lei potesse udirlo. Aveva la sua motivazione per combattere e nessuno si sarebbe potuto mettere tra lui e Pandora. Non avrebbe più permesso che qualcuno potesse farle del male. Ogni suo avversario avrebbe conosciuto la sua ascia.
    Lo schermo scomparve e lui tornò nell’oscurità totale. Sentì l’ira crescere ma Pandora non aveva bisogno della sua rabbia. Aveva bisogno che lui vincesse ogni combattimento. Ritornò a quello che gli sembrava essere il centro della stanza. Prese un lungo respiro e si mise di nuovo a gambe incrociate sul pavimento freddo. Chiuse gli occhi e tornò in attesa. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto trovare la pazienza di attendere il suo momento. Era davvero come una volta, quando aspettava che suo padre facesse aprire le porte della sua prigione e lo scagliasse contro i fanciulletti che gli mandavano in sacrificio. Da un momento all’altro la porta si sarebbe aperta e lui l’avrebbe attraversata con sommo rammarico per il suo sfidante …

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    narrato ♦ parlatopensatoparlato altri

    Status Fisico; ♦ Ottimale
    Status Psicologico: ♦ Calmo
    Status Cloth: ♦ Perfetto

    Riassunto Azioni: ♦ Modrock, il minotauro del mito, è abituato alla prigionia e non la teme. La odia ma conosce la pazienza. Sa quali sono le regole e sa che non senso sfondarsi le mani su pareti fatte per contenerlo. Per quanto bestiale, la prigionia è il mondo dove è nato e non lo sconvolge più di tanto. Attende il suo momento.

    Abilità: ♦ I pugni nelle mani, Resistenza straordinaria, Grand Axe

    Tecniche:


     
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    Brigitte sussultò. Tastò morbosamente la superficie su cui era sdraiata, sollevata dal fatto che fosse qualcosa di solido e lei non stesse precipitando come aveva creduto fino ad un istante prima. Udì a malapena il tonfo del metallo su metallo e la sua eco, coperti da un fischio così acuto e intenso da disorientarla e darle quasi la nausea. Provò ad aprire gli occhi, scoprendo con sorpresa che erano già ben aperti: tutto ciò che poteva vedere era un’unica macchia nera, il buio più totale. Rotolò su un fianco, avvertendo sul suo corpo il peso della sua Surplice. Inspirò lentamente, a fondo. Quel fischio maledetto non accennava a diminuire, le girava terribilmente la testa e dubitava sarebbe riuscita ad alzarsi in piedi senza crollare di nuovo a terra. Allungò il braccio destro. Tastò ogni centimetro accanto a sé, battendo la mano con forza cercando inconsciamente di mascherare con il tonfo metallico quel rumore insopportabile. Non riuscì a raggiungere alcuna parete senza spostarsi, eppure immaginava che fosse un luogo chiuso, molto probabilmente artificiale, data la consistenza liscia del pavimento che aveva potuto toccare. Si trascinò in avanti facendo forza con le braccia, una, due, tre volte, sollevò il busto da terra, poi raggiunse finalmente quello che sembrava un angolo. Ci si accasciò contro di schiena, sedendosi ed appoggiando la testa all’indietro dove due pareti convergevano. Inspirò. Espirò. Il fischio sembrava diminuire d’intensità o, forse, era solo questione d’abitudine. Fatto sta che la mente di Brigitte cominciò a schiarirsi lentamente, permettendo a qualche pensiero di far breccia in essa.

    Come cazzo era arrivata in un posto come quello? Difficile che si fosse ubriacata giù sulla Terra, ormai le uniche cose che valeva la pena di azzardarsi a bere abbondavano a casa sua. Casa sua. Che fosse un qualche angolo del Cielo di Venere in cui era finita senza che ne serbasse memoria? Un buio del genere, si disse, poteva trovarsi solo nei più profondi sotterranei della Deuxième, ma a giudicare dalle pareti levigate non poteva trattarsi di una delle grotte che lei stessa aveva creato. Forse, per qualche assurdo motivo, aveva usato la Chiave d’Oro per rinchiudere se stessa, ma per quale ragione? Partendo dal presupposto di una sbronza epocale, non era da escludere una totale assenza di logica nel suo operato. L’odore di chiuso era decisamente insopportabile e, inoltre, la poca aria a disposizione non l’aiutava a ragionare. Appoggiò la mano destra alla parete più vicina, poi chiuse gli occhi e cercò di entrare in sintonia con la Chiave. Fu allora che se ne rese veramente conto. Il silenzio. Oltre all’odioso fischio che continuava a perforarle il cervello, non poteva sentire assolutamente nulla. Silenzio di tomba, in quella stanza e nella sua testa. Di nuovo.

    Brigitte fu assalita da un terribile, orrendo senso di déja vu. Ora, come era successo a New Orleans mesi prima, non riusciva a sentire la voce di nessuno dei suoi figli. Non un mormorìo, non un bisbiglio, neanche un impercettibile “maman”. Era sola, come allora, e non aveva previsto che ciò potesse accadere di nuovo. Aveva dato per scontato di averli portati in salvo definitivamente, di essere in salvo lei stessa, che essere entrati nelle grazie del loro Signore avrebbe significato la salvezza. Invece si ritrovava in quella pozza di buio a sforzarsi di non piangere. Provava la stessa paura di quella volta in mezzo alla città allagata, lo stesso senso di impotenza. Si portò le mani alla bocca, poi provò a respirare profondamente per cercare di scacciare i tremori e le lacrime inutilmente.

    No… no, no, no no...

    Strinse le palpebre, serrò la mandibola e prese a chiamare mentalmente il nome del suo primogenito. Nessuna risposta, nemmeno il più debole dei sussurri.

    Nibo…

    Si concentrò e provò a far ardere di più il proprio cosmo. Ne richiamò a sufficienza per creare una grande croce brillante davanti a sé, che servì ad illuminare buona parte della stanza. Era abbastanza grande da potersi muovere liberamente, ma lo spazio restava ridotto e, soprattutto, privo di porte o finestre. Di male in peggio. Creò una seconda croce accanto a sé, poi la spedì a tutta velocità lungo una delle pareti di fronte a lei. La vide scomparire all’impatto con il muro senza averlo scalfitto minimamente. Anzi, le era parso addirittura che non ci fosse nemmeno arrivata. Tentò di nuovo con un gruppo di nove croci, tutte indirizzate simultaneamente nello stesso punto. Identico risultato. Ringhiò un’imprecazione tra i denti. Iniziava a sospettare che, oltre quelle mura, il suo potere non potesse arrivare.

    Nibo, rispondimi! NIBO!

    Urlò, sbattendo con forza il pugno alla parete accanto a sé. Il suono della sua voce rimbombò nella stanza vuota. Chiuse gli occhi, inspirò, avvertendo un bruciore alla gola e sotto le palpebre che preannunciava la sua resa al pianto.

    Mamma, sono qui!

    Brigitte sussultò, riscuotendosi immediatamente. Corse incontro a suo figlio quasi prima di rendersi conto che era lì davvero, insieme a lei. Lo abbracciò, lo strinse al proprio petto così forte che le parve di sentire il suo respiro fermarsi per un istante. Si allontanò di un passo e lo guardò negli occhi.

    Tesoro mio…

    Lo squadrò dalla testa ai piedi. Sembrava che fosse illeso, solo più pallido del solito, confuso ed impaurito quanto lei.

    Stai bene? Cos’è successo? Dove sono gli altri?

    Lo incalzò. Lui scosse la testa.

    Io… io non lo so. Non mi ricordo nulla… cos’è questo pos-

    Entrambi i Loa si accucciarono premendosi le mani sulle orecchie istintivamente quando un suono profondo, metallico e sgradevole interruppe le parole di Nibo. Era una voce innaturale, stridente, come se appartenesse ad una macchina, più che a una persona. Si era insinuata nelle loro menti di prepotenza, ferendoli ad ogni sillaba. Tutti e due ebbero l’impressione che somigliasse fin troppo a quella del corrotto infame che aveva imprigionato Nibo allo Spotted Cat, quel dannato necromante blasfemo.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi.

    Ma che minchia sta blaterando questo farabutto?

    Sibilò Brigitte, furiosa quanto spaventata. Il suo cuore aveva preso a battere con violenza, in fretta, lo sentiva martellare in gola mentre le sue gambe sembravano cedere poco a poco.

    Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena.

    Quale magnanimità! La modestia incarnata, il tipo.

    Per questo voglio darvi... Delle motivazioni. Per cosa combattereste... Fino alla fine?

    La penombra del lato opposto della stanza fu sostituita improvvisamente da una luce intensa proveniente da una delle due pareti di fronte ai Loa, che illuminò completamente la sala vuota. I due restarono abbagliati per un po’. Brigitte lasciò che la croce di cosmo si spegnesse, dopodiché si avvicinò alla parete splendente insieme a suo figlio. Sulla superficie videro riflessi i loro visi sconvolti e disorientati mentre si avvicinavano e toccavano quella sorta di specchio luminoso.

    Sopra le loro teste, nell’immagine di fronte a loro, apparve una specie di punto nero da cui sembrò sgorgare una sostanza fluida e nera, come fosse oscurità liquida. Questa cominciò a scorrere in linee rette incorniciando insieme le loro figure e si spanse oltre fino a creare un reticolo irregolare, tale da sembrare che lo specchio si fosse frantumato silenziosamente in centinaia, migliaia di pezzi. In ogni sezione, grande o piccola che fosse, comparvero uno dopo l’altro innumerevoli volti di persona, alcuni riconoscibili, altri meno familiari, ma tutti con una cosa in comune: il panico che illuminava i loro occhi. Anche se Brigitte e Nibo non avevano mai visto alcune di quelle facce, sapevano perfettamente a chi appartenevano le loro anime in preda al terrore. Erano Loa della loro famiglia, tutti quanti. Linto, rannicchiato e scosso come il bambino di cui aveva le sembianze; Oussou, lucido come non era mai stato; i Marassa Jumeaux abbracciati l’uno all’altra. Poi ancora Zaranye, Limbo, Babaco, Plumaj, Ti Malis, Debas, Larenn, Defwa. Loraye e Masaka. Baron Kriminel, posseduto dalla sua folle ira, e Baron Secretaire, il cui storico contegno era stato ridotto in briciole. Alla fine, in mezzo al riflesso di madre e figlio primogenito, comparve anche quello del padre, Samedi, e di Espwa, che era l’ultima nata. I corpi di tutti i Guedé erano avvolti dalla stessa sostanza nera viscosa che vedevano scorrere nel retro dello specchio, spire infinite di tenebra solidificata che si avviluppavano intorno ai loro arti e risalivano fin sul torace e fino al collo come grottesche, rivoltanti imitazioni di serpenti , sempre più serrate.

    I due Loa si strinsero l’un l’altro, ammutoliti, impotenti e increduli, incapaci di distogliere lo sguardo dal crudele spettacolo davanti ai loro occhi. Non potevano fare nulla per soccorrere coloro che amavano, tutto per il sadico piacere di quell’esaltato che li aveva rinchiusi là dentro. Avrebbe distrutto le loro esistenze solo e unicamente per pungolarli, e con esse avrebbe annientato la speranza di un futuro sereno insieme a loro nel nome della quale Brigitte aveva battezzato la sua ultima figlia.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...

    L’ultima cosa che videro, prima che il buio calasse di nuovo nella stanza, furono quelle tenebre striscianti che inghiottivano uno dei due. Erano ignari di aver assistito reciprocamente alla fine dell’altro, senza rendersi conto dello strano scherzo che quello specchio aveva loro giocato. Brigitte tremava convulsamente, le mani strette come morse attorno alle braccia di suo figlio tanto forte da fargli male. Inspirò profondamente e un ringhio cupo le risalì lungo la gola.

    BAAAAAAAAASTAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRDOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!

    L’urlo distorto e disumano echeggiò nell’oscurità, rimbalzando senza risposta tra una parete e l’altra.

    Tira fuori le palle, vigliacco, perché giuro che saranno la prima cosa che ti farò ingoiare appena sarò uscita di qui! Ti trascinerò all’inferno con le mie stesse mani, dovessi creparci anch’io! Mi senti?!

    I suoi strepiti si alternarono ai suoi goffi tentativi di riprendere fiato. La sua voce spezzata e stridula tradiva tutta la sua furia e il suo terrore, insieme al desiderio omicida che le immagini nello specchio le avevano instillato. Avvertì a malapena il tocco di Nibo che la accoglieva in un abbraccio timoroso ma dolce, le sue carezze, le parole con cui tentava di calmarla e calmare se stesso. Nulla sarebbe servito ad placare sua madre, se non la vista di quel porco schifoso nella più squallida prigione dell’Ade fino alla fine dei suoi deprecabili giorni.

    DIVISORE

    VEVE
    NOME ♦ Brigitte Lacroix
    ENERGIARossa
    SURPLICE ♦ Loa Guedé {IV}
    STATUS SURPLICE ♦ Intatta, indossata
    STATUS FISICO ♦ Ottimo
    STATUS PSICOLOGICOTILT

    RIASSUNTO AZIONI ♦ Crisi di nervi :ehsi:
    ABILITÀ
    Elle est pour toi, maman, pour toi que j’aime tant
    [Régénération]
    Brigitte è in grado di attingere alla forza vitale dei suoi figli spirituali. L’energia che le trasmettono le consente di rigenerarsi continuamente, impedendole di invecchiare e permettendole di guarire più rapidamente del normale. Durante la guarigione, il suo corpo emana piccole scintille violacee fino al completamento del processo.

    Mes amis viennent de l’Au-Delà
    [Évocation]
    Il legame tra Brigitte e la sua famiglia adottiva è abbastanza forte da consentirle di ricevere aiuto immediato da uno dei suoi membri qualora ne avesse bisogno.

    TECNICHE
    Le Cauchemar de la Croix
    Brigitte utilizza il cosmo per creare nove croci, dai bracci di due e un metro e mezzo, che hanno funzione difensiva ed offensiva.
    Le croci, ruotando in verticale a grande velocità, sono sufficienti a proteggere fino a tre persone in maniera efficace (almeno tre a testa). Possono essere utilizzate anche come arma, poiché il lato più lungo risulta tagliente lungo i bordi e la punta inferiore è acuminata. Se le croci sono sufficienti, è possibile usarle per entrambi gli scopi nell'arco di un solo turno.
    Nel caso uno dei figli di Brigitte sia presente sul campo, quest'ultimo può apportare il proprio contributo alla tecnica infondendo le croci con il suo potere, aggiungendo al danno che infliggerebbero normalmente effetti secondari diversi a seconda dell'evocazione che interagisce con esse. Il cosmo dei Guedé può essere sommato alle croci anche durante la difesa, se ciò può essere utile a rafforzarla: ad esempio, l'aggiunta del potere di Nibo può rendere le croci efficaci anche per contrastare attacchi spirituali.

    EVOCAZIONE
    Nibo, le Veilleur

    Nibo è il maggiore dei figli di Brigitte e del Barone. Ha il potere di richiamare e controllare spiriti dispersi a cui non è stata data sepoltura, plasmandoli in forma liquida ed utilizzandone il potere per proteggersi o ferire altre anime.
    Anima appartenuta al primo uomo ucciso, fu risparmiato per pietà dai due primi Loa Guedé e sottratto agli Inferi a patto di servire Hades per il resto della sua esistenza. È uno dei pochi Guedé in grado di ricordare la propria esistenza mortale. Gentile e paziente, è il punto di riferimento principale dei suoi fratelli come guida durante il passaggio dalla morte alla loro nuova esistenza.
    Il suo corpo attuale è quello di un ventenne alto e smilzo di carnagione chiara, con una massa di capelli ricci scuri e disordinati, sopracciglia folte, occhi verdi. Normalmente indossa pantaloni e trench in pelle nera, una canotta corta di colore viola, stivali e diversi gioielli, tra cui una collana di ametista, orecchini pendenti di brillanti ed un piercing all’ombelico. Il suo occhio destro è coperto da un monocolo con lente scura di forma tondeggiante.

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    Johanna si tenne la testa per qualche istante. Il ricordo di quel fischio ancora rimbalzava tra le pareti del suo cranio, provocandole fitte di dolore al solo pensarci. Strinse gli occhi, cercando di raccogliere i suoi pensieri. Si mosse intorno a tentoni, constatando la dimensione della sua "cella", in assenza di un termine migliore. Era poco più grande della sua stanza delle calzature di Atlantide, e abituata com'era alla vastità del suo palazzo Johanna cominciò a sentirsi leggermente claustrofobica.

    Cccacchio - Un'altra fitta le attraversò il cervello, facendo schioccare gli innesti di orialco e corallo all'interno del suo cervello. Johanna non avrebbe mai pensato di sentire fisicamente il suono del suo cervello sfrigolare, e non era piacevole ora che ne conosceva la sensazione.
    Ok, riordiniamo le idee, pensò Johanna. Il Khala rimase silenzioso in attesa, nemmeno la coscienza collettiva dei precedenti seadragon aveva qualcosa da aggiungere in materia, a parte l'ovvia situazione di trovarsi intrappolati. Nessuno ricordava come ci fossero finiti ne dove fossero, ma decisero che farsi prendere dal panico non era la scelta giusta. Ricordavano un fischio assordante ed improvviso, quello sì, ma nient'altro. Johanna si mise le mani ai fianchi, rendendosi conto di avere indosso la sua scale. Quando l'aveva indossata? Chiuse l'elmo per controllare le strumentazioni in sovrimpressione nel suo campo visivo ma nulla, le immagini erano distorte e non fornivano nessun dato coerente. Lo riaprì e ritornò ad analizzare la situazione. Accarezzò le pareti, cercando di capire quale fosse il muro e quale fosse la porta. Non voleva sprecare energie su di una parete quando bastava sfondare la porta. Cominciò ad ardere il suo cosmo in preparazione alla sua fuga rocambolesca, preparandosi psicologicamente all'idea di una infinità di guardie pronte ad aspettarla di fuori.
    I poteri c'erano ancora tutti, constatò. In qualche modo si era aspettata il contrario. Saggiò le pareti con qualche colpetto cercando di capire quale avesse il vuoto dietro, niente. Provò a dare un pugno con tutta la sua forza, intrisa del suo cosmo. Il colpo rimbombò per la stanza come un tuono e una fitta di dolore attraversò il braccio a partire dalla mano fino alla spalla, ma niente. Nemmeno un segno. Scrollò la mano per scacciare via il dolore, valutando le sue opzioni. Provò a colpire le altre quattro tre pareti, pavimento e soffitto, senza risultati. Quella non era una cella che poteva essere sfondata, sembrava fatta apposta per contenerla. La possibilità di aprire un portale per la dimensione oscura e fuggire in esso fu forte, ma non essendo in grado veramente di viaggiare attraverso quel luogo infernale in modo sicuro, Johanna preferì evitare. L'occasione di fuggire si sarebbe presentata di sicuro. Se qualcuno l'aveva messa lì dentro voleva qualcosa da lei, non le sembrava probabile che l'avrebbero semplicemente lasciata lì a morire di fame e sete. Anche Syphon concordava con quella teoria. Chiunque la avesse catturata lo aveva fatto con un motivo ben preciso. Tuttavia nessuno di loro aveva idea del COME. Nonostante ci fossero guerrieri molto più forti di lei, Johanna non riusciva ad accettare il fatto ch non solo si trovasse lì senza poter dire nulla sulla cosa, ma anche che non ricordasse assolutamente come fosse finita lì. Che diavolo era successo? Che cos'era quel fischio che le aveva sfracellato il cervello al punto da farla svenire nelle sue stanze?

    Dopo quella che le parve una eternità una voce cominciò a risuonare nella testa. Una voce aliena, non riconoscibile o riconducibile a qualcuno a lei noto. Neppure il Khala riconobbe nulla. Non che ci stessero pensando molto, impegnati com'erano ad affrontare le fitte che attraversarono il sistema nervoso di Johanna ad ogni sillaba pronunciata da quella voce.
    La prima parte del suo discorso le apparve altamente improbabile, non poteva esistere qualcosa in grado di divorare il mondo in modo così impunito. Si rifiutava semplicemente di crederlo, la sua logica e il modo in cui vedeva il mondo glielo impedivano. Fu come puntare il dito verso il cielo e dirle "verde" mentre ci si trova sotto una immensa distesa azzurra. Non aveva semplicemente senso. Nemmeno la corruzione era riuscita a fare qualcosa del genere, stava venendo trattenuta dai guerrieri di tutti gli schieramenti. E poi c'erano gli dei, come Poseidone, come Athena, come Gea. Che il mondo fosse stato divorato semplicemente non poteva esistere per Johanna, la cosa entrò in un orecchio ed uscì dall'altro.

    Per cosa combatterebbe Johanna fino alla fine? Facile, pensò lei piegando le labbra in una smorfia di disgusto alla domanda. Per sua figlia, per Atlantide.
    La parete a cui si era appoggiata al momento si illuminò con tanta forza da abbagliarla completamente. Arretrò alla cieca, inciampando nei suoi passi e cadendo sulle natiche con un tonfo secco. L'impatto mandò una scarica di dolore lungo la sua schiena. Si portò le mani agli occhi con un lamento strozzato e frustrato. La situazione stava cominciando a darle pesantemente sui nervi.
    Quando la vista tornò a funzionare Johanna vide che quella non era una parete, ma uno specchio che ne occupava tutta la superficie. Johanna vide il proprio riflesso per qualche istante, prima che esso cominciasse a distorcersi e mostrare altro.

    L'immagine impiegò qualche istante a diventare completamente nitida e riconoscibile, e quando ciò accadde il cuore di Johanna si fermò per un istante, la sua mente inciampò nei pensieri che si accavallarono in quel momento. Per un istante Johanna smise di vivere. Sua figlia Diana era lì in quello specchio, davanti a lei. I suoi abiti atlantidei stracciati, macchiati di sangue vecchio. Il suo esile corpo penzolava da catene nere chiuse attorno ai suoi polsi. Il volto era gonfio e le parti scoperte di pelle dimostravano ematomi giallognoli.

    NO NO NO NO DIANA CHE COSA LE HAI FATTO BASTARDO?? - Gridò Johanna a pieni polmoni, gattonando verso la parte e usandola come supporto per mettersi in piedi. Le lacrime rigavano il suo volto, una reazione emotiva immediata e violenta. Incontrollabile. Quello era il suo punto debole, nemmeno la ferrea disciplina atlantidea e il Khala potevano frapporsi tra lei e la possibilità che sua figlia fosse in pericolo. Cominciò a picchiare il pugno sullo specchio, inutilmente.

    NO NO NO!! - Delle figure incappucciate entrarono nel campo visivo, appoggiando su di un tavolo metallico un involto di cuoio. Johanna lo vide venire srotolato e rivelare una fila scintillante di orribili strumenti. Johanna capì fin troppo bene che si trattavano di oggetti di tortura. lame orribili, ricurve, pinze. Johanna continuò a battere i pugni sullo specchio, come se la sua rabbia e la sua violenza potessero sfondare quella barriera.

    DIANA TIENI DURO MAMMA STA ARRIVANDO!! - Con una lentezza quasi religiosa, uno degli uomini prese una delle lame più piccole e affilate e cominciò ad avvicinarsi a Diana.

    NO NO NO NOOOO VAI VIA DA MIA FIGLIA BASTARDO TI AMMAZZO TI AMMAZZO! - Le immagini sparirono e tornò il buio.
    Con il buio tornò la voce nella sua testa. Non sapeva se tutto quello che aveva visto era vero, poteva essere benissimo un trucco, Johanna lo sapeva. Non era impossibile sapere di sua figlia, anche lo spectre contro cui aveva combattuto aveva fatto qualcosa tipo leggere la sua mente per scoprirlo.
    Ma Johanna NON era disposta ad accettare il rischio che tutto ciò fosse vero. Non esisteva, non era possibile. Se avesse avuto la garanzia che tagliandosi la gola Diana sarebbe stata di nuovo libera, Johanna lo avrebbe fatto senza esitazione.
    In quel frangente tuttavia, doveva stare al gioco del suo carceriere. Esausta, cadde in ginocchio, con la fronte appoggiata allo specchio buio.

    Ridammi mia figlia... - Sussurrò. Rimase a lungo a singhiozzare contro lo specchio fino a quando inarcò il collo e portò le mani al volto, emettendo un unico lungo suono lamentoso, simile ad un ululato. Poi rimase in silenzio per un tempo indefinito.

    Inspirò a fondo, e scivolando sulle ginocchia si portò al centro della stanza, sedendosi sui talloni, con le mani fermamente appoggiate a metà coscia e coi gomiti larghi. Espirò. Unì i pugni tra le ginocchia separate per definire la distanza giusta, poi rimise le mani al loro posto. Inspirò. Espirò. Portò le mani al volto e creando un po' di acqua si pulì gli occhi gonfi e brucianti. Riportò le mani al loro posto. Ogni singolo movimento venne fatto con precisione marziale, senza pensiero, solo memoria muscolare. Superato lo shock iniziale e sfogata la sua dispreazione, Johanna, forte di decine di migliaia di anni di esperienza inculcate nella sua memoria dal Khala, cominciò a calmarsi.
    Uccidere un numero indefinito di eventuali sconosciuti - la voce aveva parlato al plurale - solo per avere la conferma che sua figlia fosse al sicuro o meno? Le sembrava un prezzo più che ragionevole.
    Si piegò in avanti e appoggiò le mani a terra, indici e pollici uniti. Appoggiò la fronte nel triangolo così formatosi.

    Poseidone, mio signore. Chiedo perdono per l'egoismo per cui compirò questa orribile violenza. Per ora la madre deve venire prima del Primarca. - Alzò la testa. Inspirò. Tornò a sedersi sui talloni e tenere le mani sulle cosce. Espirò. Johanna Derham, anni fa era una postina. Le mancavano i vecchi tempi. Creò un riferimento temporale nella sua testa dettato dalla regolare frequenza dei suoi respiri di diaframma. Pieni e costanti.
    Cominciò a ripassare tutti gli ottocento movimenti che uccidono.
    Attese nel buio.


    nYDvwNh

    Johanna Derham
    Sea Dragon [VII] - Energia Blu

    Stato fisico - Ottimo

    Riassunto azioni - //

    Abilità -

    Tecniche -


    Edited by ~Gabriel~ - 26/1/2017, 02:07
     
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  6. Saïtama
     
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    ❍ Total War Tournament ❍
    « Parlato » ° Pensato ° Narrato

    Quel giorno ricordarono il terrore della sua dominazione.. persero l'onore della vergogna di vivere nella loro gabbia..



    Buio.
    Buio ovunque i suoi occhi provassero a scrutare.
    Nulla si riusciva a vedere, così come a udire o a percepire.
    Totale silenzio, a parte quel fastidioso fischio nei timpani che non gli dava tregua.
    La testa gli faceva maledettamente male, come se qualcuno si stesse divertendo a trapanargli la scatola cranica; non capiva cosa fosse successo, dove si trovasse o come diavolo fosse finito li.
    La sensazione era simile a uno di quei devastanti dopo sbornia che ti frullavano il cervello una volta sveglio, anche se non ricordava di averci dato dentro alzando eccessivamente il gomito.
    Eppure si sentiva uno schifo, come se lo avessero shakerato per bene mandandogli in confusione le capacità percettive.

    « Merda... che male... »


    I suoi ricordi erano confusi, anzi, se doveva essere onesto non ricordava un granché, benché provasse a fare mente locale.
    Che stesse sognando?
    Che fosse solo un bizzarro scherzo prodotto dalla sua mente?
    Al momento elaborare una qualche teoria gli riusciva difficile, doveva prima riprendere possesso di se stesso.
    Era ancora sdraiato su quella pavimentazione, percepiva il corpo pesante come un macigno.
    Quando era avvenuta la sua vestizione?
    Perché indossava la sua surplice?
    Altri quesiti a cui non sapeva dare risposta, sentendosi come il bizzarro personaggio di uno di quei giochi sadici di cui era l’inconsapevole protagonista.
    Cercò di rialzarsi: si sentiva legato, lento e impacciato nell'eseguire movimenti fluidi con la solita agilità che lo contraddistingueva.
    Dopo un paio di tentativi, infine riuscì a rimettersi in piedi per procedere a una prima esplorazione dell’ambiente, seppur non sapesse come potersi orientare e quanto fosse ampio quello spazio.

    « Nasir… »


    Istintivamente pronunciò il nome del suo superiore.
    L'ultima cosa in ordine cronologico che rimembrava era l'essere stato convocato per far ritorno nel Canvas e più precisamente su Mercurio, ma oltre a ciò, nient’altro.
    Più provava a spremersi le meningi, e più l'unica cosa che otteneva era un mal di testa ancora più forte.
    Che fosse un test a cui inconsapevolmente stava venendo sottoposto?
    Una sorta di malia friggicervello per vedere quanto fosse migliorato?
    Quanto si fosse raffinato.
    Quel sadico vampiro era capace di tutto.
    Ancora rammentava quanto fosse stato difficile convincerlo la prima volta, figuriamoci che cosa si sarebbe dovuto aspettare ora.
    Sempre se si fosse trattato del cielo longevo.

    2ailduv


    Lentamente stava riprendendo coscienza e comprensione, ma ancora non a un livello sufficiente per poter riordinare le idee e estrapolare qualche informazione.
    Anche un brandello di ricordo sarebbe stato utile a fare più chiarezza, ma nulla, il niente più assoluto; non gli rimaneva altro da fare che usare un altro approccio per capirci qualcosa di più, dato che quell’oscurità così fitta non gli permetteva di vedere a un palmo dal naso.
    Se i suoi occhi e i suoi sensi era fuori uso, o meglio, non idonei a quell’ambiente, avrebbe usato altri mezzi per superare il momentaneo impedimento e farsi breccia nelle tenebre.

    « Pensare che il buio possa fermare un pipistrello è proprio da stupidi… »


    Aveva i suoi fidi strumenti su cui fare affidamento per orientarsi e capire quanto quello spazio fosse grande, oltre a cercare la via di uscita.
    Se ce ne fosse stata una.
    Il buio era un alleato dei pipistrelli e non un nemico, da che mondo è mondo questo si sapeva, e grazie a ciò avrebbe magistralmente risolto il rebus.
    Anche in una situazione simile la sua arroganza non riusciva ad essere sopita: era consapevole del fatto di ritrovarsi immerso in un elemento che non poteva ostacolarlo.
    Alzando un braccio, richiamò diversi costrutti affinché ognuno si dirigesse in una precisa direzione; doveva capire quanto spazio gli fosse stato concesso; doveva stravolgere quella situazione trasformando il suo stato di recluso in dominatore incontrastato di quello spazio.
    Solo i più forti potevano adattarsi.
    Un sorriso sprezzante nell’ostentare fiera sicurezza nei suoi mezzi, convinto che a breve tutto si sarebbe risolto per il meglio, ma qualcosa sembrava avere altri piani per lui, decidendo di sgretolare ogni sua certezza guardando in faccia la realtà.
    Vi fu solo misero fallimento una volta che i pipistrelli incontrarono quelle solide mura: al sol contatto percepì essi disgregarsi e diventare non più di polvere cosmica.

    ° Ma che cazz!?!?!?! °


    Una rabbia incontrollabile prese possesso appena comprese il nulla di fatto, rifiutandosi di accettare una simile costrizione; chiunque fosse a tenere le redini di quel passatempo o esperimento, non aveva fatto i conti con la sua ostinazione.
    Lo sciocco che pensava di riuscire a tenerlo richiuso in quel posto merdoso si sarebbe presto reso conto di cosa fosse capace.
    Una tempesta non si poteva tenere reclusa.
    Ripeté nuovamente l’azione precedente, ma aumentando esponenzialmente il numero rispetto a prima.
    Voleva far ricorso a mezzi decisamente più drastici.

    « E’ solo una questione di numero… e io posso fare affidamento su un fottuto esercito. »


    In ogni direzione un nugolo nero si sarebbe abbattuto contro un preciso obiettivo, dando vita a una ritorsione estremamente violenta; stormi intrisi di cosmo instabile per scatenare potenti detonazioni una volta a contatto.
    L’obiettivo era chiaro e semplice: abbattere le pareti a furia di bombardarle e aprirsi con la forza un varco.
    Ne avrebbe fatto macerie di quel posto.
    Le sue grida di frustrazione accompagnarono quella mitragliata incessante, sentendosi al pari di un vulcano che stava eruttando.
    Anche lo stesso destino si sarebbe dovuto inchinare alla sua furia.
    Chi si inchinò però in realtà fu solo lui, non potendo ignorare quella sgradevole sensazione che gli stava dilaniando la testa.

    -Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?-

    « Figlio di put… HAAAAAAAAAA! »

    D’un tratto una voce metallica si annidò nella sua mente, costringendolo a interrompere l’azione a causa di quel malessere invasivo.
    Un’esperienza profondamente sfiancante e dolorosa, come se degli uncini stessero cercando di conficcarsi nel cervello.
    Poi tutto si fece bianco provocandogli momentanea cecità.
    Una luce accecante investì lo specter annebbiandogli la vista per qualche istante, fino a quando, solo una volta riabituatosi dopo un leggero e iniziale bruciore agli occhi, poter osservare l’angosciante visione del Canvas venire letteralmente fagocitato da una nube nera.
    Cosa diavolo stava riflettendo quella parete tramutata in un gigantesco specchio?
    Il suo Dio, il potente mietitore, che veniva alla fine annientato da quel cancro nero?
    Non era possibile che fosse stato raggiunto dalla corruzione. Non ci voleva credere.
    Eppure la visione era chiara: la fine di tutto.
    Hades era la sua certezza di vittoria, ma senza la sua forza che ne sarebbe stato di lui?
    Addio scappatoia da una vita miserevole. Addio ai sogni di gloria. Addio a quella possibilità di curarsi totalmente da quell'infezione chiamata umanità.
    Solo il baratro lo avrebbe atteso, e con esso la sua epurazione.
    Gli occhi si sgranarono, la bocca cominciò a tremare per lo sgomento mentre rivoli di sudore discesero lungo la fronte.
    Fece fatica anche a deglutire, come se avesse un groppo in gola.
    Così il corpo come la mente era sotto forte stress.
    Non aveva mai provato una simile sensazione di disperazione mista a smarrimento; per quanto una parte di lui fosse conscia che si trattasse solo di semplici immagini, il pensiero che quella predizione potesse realizzarsi lo annichilì.
    Anzi, lo pietrificò del tutto.

    « N..n.. n.. n no… no.. non…p..p..può… ess… essere… »


    Non riuscì a fare altro che balbettare.
    Cosa stava succedendo? Era andato completamente in tilt.
    In un istante tutta la sua fierezza era stata ridotta in frantumi.
    L’arrogante e sfrontato Aeglos pietrificato dalla paura, quasi da pisciarsi addosso.
    Mai gli era capitato di provare un simile sgomento misto a impotenza – neanche durante la sua merdosa infanzia tra abusi e violenze -, eppure, nel mentre osservava lo svolgersi, non poté fare a meno di provare ciò.
    Le immagini che seguirono furono anche peggio.
    Uno scenario talmente catastrofico da desiderare di accecarsi con le sue stesse mani: se avesse avuto un punteruolo si sarebbe cavato gli occhi per non essere costretto ad osservare neanche un ulteriore fotogramma.
    I vari cieli sbriciolarsi come qualcosa di fragile e usurato; i più potenti guerrieri venire annientati con una facilità imbarazzante; quella massa nera inghiottire ogni cosa accrescendo inesorabilmente la sua mole senza risparmiare alcunché; i restanti specter venire smembrati come carne da macello.
    LA TOTALE ESTINZIONE DI UN DIO E IL SUO SEGUITO.
    A un certo punto non poté fare a meno di cadere in ginocchio manifestando arrendevolezza.
    Le gambe cedettero inesorabilmente, come colpite da una fragilità improvvisa non potendo evitare di genuflettersi.
    Sconsolato, osservava se stesso venire ingabbiato da quell’entità che non riusciva a comprendere di cosa esattamente fosse fatta: sembrava fumo ma allo stesso tempo pece.
    Una sorta di simbionte famelico che non lasciava alcuna traccia di esistenza dopo il suo passaggio.

    ....


    All’improvviso la visione si interruppe prima che potesse osservare la conclusione di quel nefasto evento, anche se non gli risultò difficile immaginare l’inesorabile e terrificante epilogo a cui era destinato.
    Il buio riprese possesso della stanza riportandolo alla realtà, ma non poté fare a meno di rimanere ancora in ginocchio con le mani poggiate sul freddo pavimento per potersi riprendere dal forte stato di shock a cui era stato sottoposto - gli occhi sbarrati erano il chiaro segnale di come la sua psiche fosse stata violentemente turbata, rivivendo ancora, e ancora, e ancora quell’orrore che aveva appena osservato e vissuto, in un certo senso.
    Si trattava solo di un'illusione? Di un gioco perverso per mandargli in pappa il cervello?
    Eppure gli era sembrato tutto così maledettamente reale. Non poteva essere solo una messa in scena.
    Un fondo di verità doveva esserci.
    A che pro altrimenti essere sbattuto in quella sottospecie di tugurio?
    Le parole di quella voce metallica non smettevano di essere ripetute nella sua testa come un mantra.

    -L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...-


    Era palese il significato: combattere fino alla fine per salvaguardare ciò a cui più tenesse, e per lui la cosa più cara era la necessità di preservare quel posto che poteva dare un senso alla sua esistenza, oltre che garantirgli un futuro.
    La sua vita era aggrappata alla stessa sopravvivenza di Hades.
    Non vi era possibilità di scelta, solo affrontare le avversità con la giusta crudeltà e spietatezza che lo contraddistinguevano.
    Riportandosi in piedi, il suo sguardo venne come resettato, pervaso nuovamente da granitica sicurezza o forse solo furente istinto omicida.
    Chiunque si fosse trovato davanti sarebbe stato abbattuto senza alcuna pietà.

    « E sia… »




    zDZV9R2


    aeglos ~ surplice di Bat {IV} ~ en. rossa

    mente ~ Turbato
    fisico ~ Illeso
    cloth ~ Intatta e indossata

    abilità ~
    [agilità straordinaria]
    Come ogni assassino che si rispetti, Aeglos è stato donato di un agilità sovrumana che lo rende capace di movenze fuori dall'ordinario.
    Silente e celere in ogni suo movimento, lo spectre di Bat può raggiungere la sua velocità limite molto più rapidamente di altri avversari pari energia che non siano dotati dello stesso talento. Di conseguenza, sarà possibile per lo spectre schivare o agire in maniera più repentina dimostrandosi una vera spina nel fianco: in questo modo i suoi movimenti risulteranno più difficili da seguire persino dai pari energia, a meno che non si disponga della stessa abilità o dei Sensi Acuti.
    Grazie a ciò si sarà capaci di creare immagini residue, simili ad ologrammi, che potranno essere usate come supporto per confondere il nemico. Questi ologrammi però potranno nascere solo a seguito di un movimento alla massima velocità (con tutte le conseguenze che ne deriveranno) duplicando esattamente ogni azione dello spectre (non si tratterà quindi né d'illusioni, né di salvataggi automatici come un Teleport, ma solo di normali diversivi).

    [pipistrelli]
    Prerogativa di Aeglos è quella di creare e controllare speciali Pipistrelli Cosmici dalle fattezze non diverse da quelli reali.
    Questi animali accompagnano ogni momento di vita dello spectre, dimostrando di essere per lui dei compagni fedeli e affidabili in ogni utilizzo.
    Questo profondo legame gli consente di richiamare un numero variabile di questi animali - da un singolo di essi fino a veri e propri stormi - che si ergeranno in sua difesa o in caso contrario, venire utilizzati per offendere o per condividere ciò che essi vedono o sentono così da essere in ogni momento prontamente informato.
    Da sentinelle ad esploratori, fino a vere e proprie armi da utilizzare in battaglia tramite i loro canini pronunciati o mediante l'emissione di ultrasuoni in grado di attaccare direttamente il sistema nervoso del nemico.

    note ~




    Edited by Saïtama - 26/1/2017, 16:34
     
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    Hermes non sapeva dove fosse di preciso, forse stava dormendo o era morto, si trovava nel bel mezzo dell’oscurità come se avesse avuto una lunga battaglia.
    Non era sicuro del perché fosse finito lì e di chi l’aveva portato, e non si ricordava bene cosa stesse facendo prima, forse era stato prelevato da qualcuno che voleva giocargli un brutto scherzo.

    “Dove sono, cosa mi è successo?”

    Il giovane si svegliò confuso non vide niente, decise di far luce espandendo il suo cosmo, vide che aveva indosso la sua Glory, ma vide chiaramente che si trovava all’interno di una stanza cubica di circa cinque metri per quattro.
    Si domandò cosa ci facesse volle provare ad aprire un’uscita ma non ci riuscì, fece dei tentativi cercando di buttare giù le pareti con i suoi pugni cosmici, però sembrava proprio che non funzionasse. I muri erano indistruttibili, voleva uscire da quel buco, ma era tutto inutile, si sentiva disperato, appoggiò una mano alla parete e tirò un pugno con foga.

    “Maledizione, che diavoleria è mai questa? Fatemi uscire!”

    Tutto inutile, con il palmo di una mano sentiva che la parete era fredda come il marmo mentre echeggiava ancora quella voce assordante e metallica.
    Disse che aveva divorato il mondo e le vite che nessuno era andato a cercarlo, visto che c’erano paladini scarsi, ed era venuto lui a farlo cercando quindi di metterli alla prova. Hermes a quelle parole e al fatto, che questa presenza pensasse che nel mondo ci fossero ”paladini scarsi”, avrebbe voluto proprio vederlo in faccia e dimostrargli quanto si sbagliava, ma a quanto pare per ora non era possibile, sentì rabbia in lui.
    In fine la voce concluse facendo una domanda retorica che chiedeva per quale motivo combattesse, subito dopo una parete della stanza si illuminò di una luce bianca e abbagliante.
    Hermes non vide nulla per un secondo, poi riprese la vista e vide davanti a lui uno specchio grande quanto una parete, in cui si mostrò l’immagine della cosa più importante che aveva il giovane ex Oplite.
    Una donna con una tunica e capelli mossi biondi, che correva su una scala che portava verso una città posta su un monte ormai distrutto, come aveva potuto vedere quando era andato a recuperare la chiave per la città Sacra. La donna la conosceva, era Artemide e la città anche, era Olimpia, la città degli dei che un tempo dominava il monte sacro. L’aveva vista bruciare all’ora come in quel momento, oscurata dalle tenebre della corruzione che stavano cercando di catturare anche la sua dea e quando lo fecero la trasformarono in un'essenza maligna.
    Hermes strinse un pugno con rabbia nel vedere quell'immagine, ma non scoppiò in un moto d'ira, poiché aveva già visto in passato tale visione, rappresentava chiaramente il motivo che lo spingeva a combattere, lui voleva salvare Artemide e ristabilire gli equilibri che c’erano prima della caduta degli dei, e la ricostruzione di Olimpia era importante. Hermes era un protettore divino che, non solo rappresentava un eroe, ma che man mano lo stava sempre più diventando, assumendone ogni responsabilità e doveri. Non era più un semplice oplite, un pezzo della scacchiera da sacrificare, adesso era importante.
    Il ragazzo con astio strinse i denti, mentre quella voce tremolante e misteriosa disse che l’unico modo per liberarsi era giocare fino in fondo, e aveva ragione, quindi Hermes si sarebbe preparato a “giocare”, per la salvezza di Artemide dell’Olimpo.






    pfeo4



    narrato;parlato""; pensato°° & monologhi<<>>,telepatia<<>> Parlato Esterno .




    Dati & Riassunti

    Nome:Hermes
    Stato fisico:buono
    Stato Psicologico:buono.
    Armatura:Gloria Di Icaro [liv. 4]
    Stato armatura:intatto
    Energia:Energia Verde
    scheda: Hermes




    Riassunto












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    Il torpore di Irina viene interrotto da un dolore intenso alla testa, generato dal riverbero di qualche fastidioso fischio non dissimile dal ronzio che lei era solita scatenare sui suoi avversari.

    Si portò una mano alla fronte per scoprire il freddo contatto della sua silver cloth sulla cute, aprendo gli occhi ed alzandosi di scatto come era solita fare in seguito ad uno dei suoi numerosi incubi, la giovane si scoprì circondata dalle tenebre, i suoi occhi scuri, solcati da profonde occhiaie non riuscivano a distinguere nulla intorno a lei, non vi era differenza tra il tenere gli occhi aperti o chiusi e la giovane seppe presto cosa fare.

    Sollevando il braccio destro generò una piccola sfera di cosmo che proiettò un'intensa luce argentea nell'ambiente, rivelando una stanza ristretta e cubica di circa cinque metri quadri, una struttura essenziale che venne arricchita dallo spettacolare gioco di luci derivate dal riflesso della luce cosmica sull'armatura della giovane che diede vita ad un caleidoscopio di luci su ogni parete ad ogni movimento della silver saint che cercò di ragionare su ciò che stava accadendo.

    Era comparsa improvvisamente in una specie di prigione ed indossava l'armatura oltre a non sembrare per nulla ferita, non aveva idea di come vi fosse arrivata o se addirittura fosse stata lei stessa ad indossare la cloth della musca, forse era caduta in una trappola nemica durante una missione ma non ricordava nulla di tutto ciò, sapeva solo di essere prigioniera e molto probabilmente che qualcuno la teneva d'occhio.

    La domanda che si pose era quindi molto semplice mentre sfiorava una delle pareti con le dita per farsi un'idea del materiale di cui fosse composta, scoprendola liscia e fredda, per quale motivo l'avevano tenuta in vita e cosa potevano volere da lei?

    Quando provò ad immettere del cosmo nella parete notò che quest'ultimo veniva come assorbito, colpirla con forza sarebbe stato inutile senza il supporto del cosmo, grazie ad esso poteva spaccare una pietra con una mano, ma senza non era che un comune essere umano e quella parete era abbastanza robusta per una ragazza minuta come lei.

    Era ovvio che chiunque l'avesse rapita avesse pensato ad una persona dotata di microcosmo e questo rendeva ancora più importante scoprire cosa volessero questi tizi da lei perché di sicuro non si trattava di una festa a sorpresa.

    Difatti invece di uno scoppio di coriandoli e dell'improvvisa comparsa di volti amichevoli e di una deliziosa torta, Irina si trovò invece a cadere in ginocchio sotto l'effetto di un nuovo attacco d'emicrania, derivato dal fastidioso suono di una voce misteriosa che rispose ad alcune delle domande che si era posta generandone però di nuove.

    Il bastardo aveva accennato all'aver divorato il mondo e questo la portò a pensare immediatamente ad una qualche incarnazione senziente della Corruzione, il male che l'aveva costretta a deviare considerevolmente dai suoi propositi di vendetta sui black saint, senza contare che ancora temeva che in quel giorno fatidico parte di quella corruzione le fosse entrata in corpo visto che tutti coloro che ne avevano subito l'influenza erano già scomparsi da un pezzo a partire dal suo maestro Suikyo.

    La voce misteriosa aggiunse che avrebbe dato a qualcuno la possibilità d'incontrarlo e questo significava che non era l'unica a cui stava parlando, aldilà dell'implicazione del fatto che quel tipo potesse aver rapito altri cavalieri di Athena, Irina sentì ribollire il sangue nelle vene all'idea di essere nuovamente una pedina nel gioco di quel bastardo non diversamente da tutte le volte in cui si era palesato al Grande Tempio attraverso i suoi scagnozzi.

    Sforzandosi di combattere il terribile dolore alla testa e di urlare al massimo delle sue capacità, la giovane saint della mosca esclamò:

    ”SE VUOI GIOCARE ANCORA CON LA MIA VITA, ABBI ALMENO LA DECENZA DI RIVOLGERTI DIRETTAMENTE A ME, BRUTTO BASTARDO!”

    Le emozioni della silver saint furono talmente forti da portarla ad impiegare il cosmo senza volerlo per amplificare la propria voce e questo finì per creare un eco che rimbalzò di parete in parete mentre ad ogni rimbalzo delle onde sonore la spinta cinetica da esse generate veniva assorbita assieme al cosmo di cui erano intrise, lasciando nuovamente Irina sola ed al buio.

    Come in risposta, una parete s'illuminò di fronte alla ragazza, abbagliandola per qualche istante prima di tramutarsi nella superficie di uno specchio, riflettendosi in esso, Irina notò con orrore la sua pelle coprirsi di una spessa corteccia in maniera non dissimile a come era accaduto durante il primo attacco della Corruzione al Grande Tempio.

    Irina_corrotta



    Irina spalancò gli occhi per l'orrore e si ritrasse dall'immagine inciampando all'indietro, in quel momento il riflesso di ciò che era divenuta scomparve per lasciare il posto a numerosi cavalieri neri sconosciuti che la guardarono beffarda, nessuno di loro aveva partecipato all'attacco al villaggio ma sembrava che quello specchio avesse rilevato i volti di alcuni dei nemici sui quali intendeva vendicarsi, sembrava quasi che lo specchio stesse scavando a fondo tra i suoi pensieri prima di decidere cosa mostrarle come motivazione.




    Il timore di essere stata infettata dalla corruzione e la consapevolezza di non essere riuscita a portare avanti i suoi propositi di vendetta erano protagonisti dei suoi incubi ma non era qualcosa che le avrebbe dato una motivazione adeguata e così lo specchio scavò ancora più a fondo, mostrandole l'immagine di una ragazza graziosa dai corti capelli castani della quale conosceva bene il sorriso, accompagnata da cinque bambini molto familiari anche se più grandi di qualche anno dall'ultima volta in cui li aveva visti.

    Gli occhi di Irina si riempirono istantaneamente di lacrime e si sentì troppo debole per rialzarsi, rimanendo in ginocchio di fronte alle immagini e sussurrando debolmente:

    ”Karina...”

    La ragazza era Karina Ureche, la sua più grande amica durante l'infanzia, un'amica che aveva perduto il giorno in cui un gruppo di black saint aveva deciso di invadere il suo pacifico villaggio nella Valacchia, intrattenendosi per giorni con la morte e le sofferenze degli abitanti culminate in un gesto di indicibile crudeltà del quale ancora portava i segni alla base del collo, ovvero nel punto d'uscita del palo di legno con il quale l'avevano trafitta e lasciata lentamente a morire, un destino sovvertito solo dall'arrivo di Suikyo che l'aveva salvata ed istruita nell'uso del cosmo.

    Dei sei fratellini adottivi dei quali si prendeva cura, la giovane aveva visto morire il piccolo Petru, colpito a morte da un cavaliere nero ma non aveva mai più rivisto gli altri.

    Aveva sempre pensato che Karina ed i suoi fratellini fossero morti assieme a molti degli abitanti del villaggio nell'attacco iniziale dei cavalieri neri, non li aveva mai visti tra i prigionieri e non credeva che qualcuno potesse fuggire senza alcun potere cosmico, eppure la possibilità che fossero riusciti a salvarsi la riempì di una gioia e di una speranza del tutto nuove, emozioni che giacevano nel fondo del suo cuore tormentato e sofferente, sepolte negli ultimi anni dal dolore per la perdita della sua vecchia vita, per tutta la violenza e gli orrori ai quali aveva assistito e dei quali si era resa partecipe da quando aveva ripreso conoscenza dopo le cure di Suikyo.

    Ma quel sentimento si tramutò presto in agitazione quando vide le espressioni di Karina e dei suoi fratellini tingersi di paura, arretravano da un pericolo misterioso ed indicibile, potevano essere delle creature corrotte o qualcuno spregevole tanto quanto i black saint che avevano distrutto il suo villaggio, non importava, Irina ritrovò il vigore e sentendo l'adrenalina rimettere sull'attenti ogni fibra del suo corpo, si rimise in piedi e corse il più vicino possibile a quell'immagine battendovi inutilmente i pugni contro e gridando:

    ”NON POSSO DELUDERLI ANCORA!”

    Non ottenendo nessun risultato, la giovane piombò in ginocchio piangendo a capo chino di fronte all'immagine statica di tutto ciò che rimaneva della sua famiglia in grave pericolo, doveva fare uno sforzo per ragionare, per non rimanere invischiata in quel gioco crudele e recuperare il controllo delle sue emozioni.

    Irina si tirò su lentamente, asciugandosi gli occhi e voltando le spalle all'immagine, sarebbe stato troppo bello se Karina e gli altri fossero stati ancora vivi, riunirsi a loro forse avrebbe potuto portarla a recuperare qualcosa della persona che era stata in passato ed a sentirsi nuovamente viva, non più incastrata tra i doveri come saint e quelli richiesti dalla sua vendetta, ma doveva ricordare che quelle immagini erano prodotte da un nemico insidioso che amava giocare col proprio cibo e non era per questo una fonte affidabile.

    Sentì una nuova fitta alla testa quando quel bastardo tornò a parlare, questa volta si fece forza per non cadere a terra, per resistere, si appoggiò allo specchio dietro di sé e si concentrò sul suo obiettivo.

    Sia che Karina ed i suoi fratellini fossero stati ancora vivi o meno e sia che fossero stati realmente in pericolo, per lei era vitale raggiungere quel tipo, scoprire la verità in merito alla sua famiglia ed ottenere informazioni vitali su di lui.

    Era chiaro che avesse dei piani per il vincitore ma una volta giunta di fronte a lui avrebbe avuto delle risposte e se quel bastardo era di parola, anche la sua libertà, fondamentale per riuscire a ritrovare la sua famiglia e per avvisare il Grande Tempio dell'identità del nemico che si nascondeva dietro alla Corruzione.

    Per fare questo avrebbe dovuto combattere e far valere il peso delle proprie motivazioni sopra a quello degli altri, schiacciare i loro corpi ed i sentimenti per coloro ai quali tenevano più che a loro stessi, sarebbe stato uno scontro di volontà e di determinazione e l'unica cosa che poteva sperare, era che i suoi avversari vestissero tutti di nero e che nessuno di loro venisse dal Grande Tempio.

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    A-ahh.....maledizione!



    Non aveva ancora aperto gli occhi ma la sua testa sembrava come esplodere da un momento all'altro. Un tremendo fischio gli rimbombava dentro come un fastidiosissimo Tv sound test mentre a malapena provava a muoversi.
    Distaccò la guancia dal freddo pavimento cercando contemporaneamente di aprire gli occhi, anche se in quel momento anche un gesto cosi istintivo sembrava essere faticoso. Poggiò entrambi i palmi sul terreno per cercare di dare una spinta decisiva per sollevarsi definitivamente ma quest'ultima venne meno quando si rese conto che pur spalancando gli occhi non riusciva a vedere completamente nulla. "Sentiva" di essere riuscito a spalancare completamente le palpebre e più non riusciva a vedere nulla più quell'istinto primordiale lo portava ad aprirli ulteriormente sperando di poter intravedere un minimo di luce da un momento all'altro. Ancora nulla. Si sollevò definitivamente sulle ginocchia e quel suono massacrante finalmente sembrava lasciar spazio ad un silenzio tombale. Sentire il peso della propria surplice lo rassicurava, nonostante fosse più legato a lei come un simbolo più che una vera armatura. Decise dunque di mantenere la calma e richiamare a sè il proprio cosmo creando una debole fiamma sul palmo della propria mano destra rivolto verso l'alto. Immediatamente riuscì a fare luce intorno a lui rivelando un bel niente, tuttavia ebbe la sicurezza di non esser diventato cieco tutto ad un tratto. Il pavimento anonimo nello stile non regalava punti di riferimento e non rimase altro al giovane specter che alzarsi in piedi e provare ad esplorare la zona. La fiamma ardeva poco sopra la propria mano come una torcia, accompagnando Ray nell'oscurità totale come un fedele compagno.

    Si sollevò in piedi sgranchendosi un po le gambe per scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di torpore lungo tutto il corpo. Per quanto ne sapeva poteva esser rimasto privo di sensi per giorni interi, provava con tutte le proprie forze a ricordare l'ultima cosa fatta prima di ritrovarsi in quel luogo oscuro, ma colto quasi da un'amnesia temporanea non riusciva a ricordare nulla.
    Non avendo punti di riferimento iniziò a farsi strada in avanti a piccoli passi cercando di guardare bene dove metteva i piedi. Dopo qualche metro per poco non impattò contro una parete dalla trama identica al pavimento, poi poggiando il palmo sinistro su di essa ne sfiorò la superficie mentre decise di spostarsi verso destra, come a cercare di capire meglio il tipo di struttura in cui si trovava con l'obiettivo della continua ricerca di un qualsiasi punto di riferimento. Dopo pochi passi la storia non cambiò, finendo per ritrovarsi in un angolo ed un'altra parete identica sembrava proseguire perpendicolarmente. A quel punto si agitò inevitabilmente decidendo di sveltire il passo e ripetere la stessa cosa impattando con un'altra parete, poi un'altra ed un'altra ancora. Probabilmente fece il giro di quella che sembrava una stanza più volte avendo conferma di ritrovarsi in una stanza pressocché cubica dato che tra un angolo e l'altro gli sembrò di percorrere la stessa distanza, priva di porte e finestre ma abbondante di quell'anonima superficie liscia e fredda. Decise dunque di lanciare una fiammata abbastanza estesa verso l'alto rivelando anche lì la stessa superficie. Era completamente isolato, eppure in qualche modo doveva esserci finito lì dentro, se in qualche modo era riuscito ad entrarci doveva poter uscire nella stessa maniera. Ray odiava fortemente ritrovarsi in quelle situazioni, amava avere sempre il controllo su tutto ciò che lo circondava e quella sensazione d'inutilità lo uccideva.

    Iniziò a ripercorrere freneticamente l'intero perimetro della stanza alla ricerca di un qualche tipo di mattonella, leva o simbolo arcano che potesse dargli un qualche indizio per poter uscire, ovviamente fallendo miseramente. Il cuore iniziò a battergli all'impazzata, agitato da quella struttura claustrofobica che puntava a scoraggiare ogni tentativo di fuga. Ad un tratto la voce di qualcuno ruppe il silenzio inesorabile di quel posto, una voce metallica di qualcuno di cui era impossibile distinguerne il sesso.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?

    Cos-



    In quello stesso momento la parete di fronte all'ex saint s'illuminò accecandolo temporaneamente. La mano destra andò a coprire il viso permettendo ai suoi occhi di abituarsi gradualmente all'intensità di quella luce che s'imponeva su tutta la stanza. Dopo qualche secondo la fonte di quel bagliore si rivelò essere uno specchio, un enorme specchio grande quanto tutta la parete che iniziò pian piano a riflettere delle immagini. Un'iride, nera come la pece. Poi l'inquadratura sembrava quasi allontanarsi sempre di più ma lentamente, descrivendo il contorno di quell'occhio visivamente stanco e lievemente arrossato. Delle lunghe ciglia completarono il quadro di quei occhi bellissimi ma apparentemente sofferenti. L'inquadratura si allargò ancora mostrando i graziosi lineamenti di quella che sembrava una giovane ragazza dai 20 ai 25 anni circa, dei lunghi capelli castani le poggiavano sulla fronte e sulle spalle, mentre dei piccoli graffi sparsi rovinavano quel viso innocente.
    Le immagini dello specchio mostrarono finalmente quasi l'intera figura mentre Ray cercava di scrutarne ogni dettaglio, sorpreso da quella visione. Era legata con le braccia dietro la schiena, seduta al centro di una stanza buia visibilmente sotto shock.
    Ad un tratto l'attenzione dello spettro della fenice ricadde su un particolare, apparentemente inutile ma a lui fece un certo effetto. Una cicatrice a forma di "V" rovesciata lunga pochi centimetri presente sulla spalla sinistra. In pochi secondi quella banale cicatrice divenne addirittura un simbolo per Ray associandolo rapidamente ad un ricordo passato. Sgranò gli occhi per poi lasciar viaggiare la mente fino a tornare indietro nel tempo, riportando alla luce un ricordo sepolto da qualche parte nella mente del giovane da chissà quanto tempo. Un'esplosione di immagini confuse e rapidissime invasero i suoi pensieri in maniera del tutto casuale e disordinata. Il brainstorming di ricordi che doveva sopportare sembrava quasi fargli del male, riuscendo a fatica a sopportare la gigantesca mole d'informazioni come l'aggrovigliarsi di più vite parallele. Poi ad un tratto tutto sembrò andare pian piano al suo posto come un antico manufatto meccanico al termine del suo assemblaggio. Come un gigantesco puzzle le immagini smisero di mescolarsi per poi andare uno ad uno a comporre quel ricordo d'infanzia. Giulia! Era questo il nome della sua sorellina. Quell'inconfondibile cicatrice sulla spalla era il simbolo dell'incoscienza di due bambini che rischiarono inutilmente la vita per colpa di uno stupido gioco. Aveva deciso di addossarsi completamente la colpa per quello sfregio sul corpo di sua sorella, giurando di proteggerla da chiunque avrebbe solo pensato di farle del male, un giuramento che credeva fino a quel giorno di non aver mantenuto. La credeva morta insieme al resto della sua famiglia. Quando ebbe la possibilità di ritornare nel suo paesino d'origine dopo l'addestramento da saint diede per scontato la morte di tutti i suoi cari dato che l'intera zona sembrava rasa al suolo da un tornado.
    Adesso però era lì, quella cicatrice che tanto odiava era l'unica cosa a dargli la possibilità di riconoscere sua sorella dato che l'ultima volta che l'aveva vista aveva appena dodici anni.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...

    ...G-Giulia!



    Corse disperatamente verso lo specchio poggiando entrambe le mani su di esso. La osservava. Era completamente sotto shock quando ad un tratto quei occhi stanchi trovarono la forza di spalancarsi e subito dopo l'immagine svanì, lasciando Ray nella totale oscurità.

    N-NO! GIULIA! FAMMI USCIRE! FAMMI USCIRE SUBITO FIGLIO DI PUTTANA!

    La furia di Ray si abbatteva su quella parete colpendola ripetutamente con entrambi i pugni serrati e ricoperti di fuoco restituendo al mittente soltanto deboli scintille e nulla di più. Gli occhi lucidi appannarono la sua vista ed un senso di debolezza prese il sopravvento su di lui, entrambi i palmi delle mani non riuscirono a mantenere la presa per sostenere il suo corpo privo del sostegno delle gambe che pian piano lo accompagnarono ad inginocchiarsi davanti a quella parete. Nonostante la forte disperazione non pianse, trattenne a stento le lacrime sostenuto dalla forte rabbia che provava in quel momento. Aveva ritrovato sua sorella che credeva morta da anni e subito dopo l'avevano nuovamente allontanata da lui. Provava la terribile sensazione di un arto mozzato, quella sensazione che i medici definiscono con il nome di dolore fantasma.

    A7JJH6vnarrato ♦ parlato<<pensato>>parlato altri



    GUrUBol

    NOME ♦ Rayven - Scheda
    ENERGIAVerde
    CLOTH ♦ Bronze Surplice della Fenice {II}
    STATUS FISICO ♦ Ok.
    STATUS PSICOLOGICO ♦ Un mix tra rabbia e disperazione
    STATUS CLOTH ♦ Indossata.

    NOTE ♦ ///

    ABILITA'
    ~Padronanza del fuoco
    Lo spectre della fenice ha la capacità di accellerare bruscamente il moto atomico della materia intorno a se. Questo gli permette di creare e manipolare il fuoco a proprio piacimento. La massima temperatura raggiungibile è direttamente proporzionale alla grandezza del cosmo stesso in quanto piu ci si spinge a temperature alte, maggiore dovrà essere il dispendio di energia da utilizzare.

    TECNICHE



     
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    “Vaffanculo.”

    Kas si destò da quello che gli sembrò un sogno. Non ricordava nulla di quanto accaduto prima, istintivamente pensò di essersi preso una delle sue solite sbornie, di quelle che ti lasciano stecchito ed attecchito, quasi in fin di vita. Si sbagliava di grosso. Inizialmente fece tutti i riti di passaggio verso un migliore stato di salute. Gli capitava assai spesso di avere il mal di testa post-sbronza, ma questo era diverso. Il dolore era così lancinante che lo costrinse a mettersi seduto a gambe incrociate e massaggiarsi le tempie. Qui iniziò a notare il primo problema. Sentiva il freddo metallico della surplice sotto i polpastrelli e questo era un male. Non ricordava di aver indossato la corazza e lui, nonostante fosse un cazzone di prima categoria, non andava mai a bere (troppo) in servizio, intaccava la sua morale da guerriero che deve scalare le vette. Non fece in tempo a collegare gli eventi prima del buio che una seconda fitta gli attraversò il cervello. Come un fischio.

    “…”

    Ora iniziava a ricordare. Non si era ubriacato. Era andato in missione semplice, classico giro di ronda, e poi… aveva sentito un assordante fischio per poi ritrovarsi in quel luogo. Il russo alzò lo sguardo vispo, scosso da quella scoperta, ed iniziò a fissare il luogo. Solamente in quel momento notò che era rinchiuso in una stanza senza porte né finestre. Sicuramente Sherlock Holmes non sarebbe stato per nulla contento delle doti deduttive del Basilisco. Con uno scatto tentò di alzarsi, ma traballò per la velocità dei movimenti. Strabuzzò gli occhi, che nel frattempo si erano abituati all’ombra, e digrignò i denti puntando i piedi per terra pur di non cadere, quel maledetto fischio tornava a gracchiare nella sua mente sotto forma di ricordo fastidioso, come una scheggia che si conficca sotto le unghie. Anche se la si estrae rimane quella sensazione dolorosa e fastidiosa che non ti da pace. Iniziò a dare attenzione al luogo circostante, riuscendo a capire che si trattava di una semplice, quanto misera, stanza.

    “Che cazzo significa questo? È uno scherzo, vero? Grim lo so che sei stato tu. Kazue è troppo palo-in-culo per organizzare burle del genere, anche se lo stile minimal mi ricorda la sua acidità.”

    Sottolineò l’ultima parola in falsetto, come se a dirla fosse stata la spectre di Balrog. Stava tentando di convincersi che si trattava di un miserabile scherzo, perché l’alternativa era ben peggiore. Prigioniero di non si sa bene che cosa. Non si sa bene di chi. La calma non era la dote migliore del guerriero infernale, quindi passarono giusto una mezza dozzina di secondi prima che facesse esplodere il cosmo in un vortice di vento velenoso. Gli attacchi andarono ad esplodere a 360°, contro tutte le pareti presenti, con la speranza di ottenere qualcosa. Il risultato fu quello più odiato da Yad: il nulla. Odiava quando le sue azioni non sortivano effetto, aveva bisogno di una reazione, di una conseguenza netta e ben visibile. Quella dannata stanza lo irritava. Decise allora di andarci giù duro.

    “Fatemi uscire di qui, subito? Sennò vengo lì e vi uccido.”

    Bingo. Stava iniziando a perdere le staffe e quella frase-paradosso era il primo sintomo del suo nervosismo crescente. Camminò sul posto per qualche istante prima di lanciare un poderoso urlo e caricare a capo chino il primo muro disponibile per prenderlo a testate urlando.

    “STUPIDA. PARETE. PERCHÉ. NON. CROLLI. EH. PERCHÉ. OGNI. COSA. CHE. FACCIO. DEVE. FALLIRE.”

    Ogni pausa nella frase equivaleva ad una testata data dal frustratissimo Kasimir e non accennava neanche lontanamente a fermarsi, con il solo risultato di ampliare ulteriormente il suo già grave mal di testa. Avrebbe continuato volentieri, ignorando la sua stessa incolumità se non fosse stato per quella dannatissima voce.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?

    Kas si ritirò e si mise nel centro esatto della stanza aprendo e chiudendo le mani per frenare la voglia omicida che gli stava salendo in quel momento. Le parole del misterioso individuo si stagliarono nella mente del russo, ma questi era troppo incazzato per dare peso a tutto quanto. Avrebbe potuto fare le sue supposizioni e, magari, interrogarsi sulle intenzioni di quella creatura, ma lui era Kasimir. Una creatura semplice e guidata dal mero istinto. Anche se ci fu qualcosa che colpì l’araldo di Hades. Quel qualcosa per cui valga la pena combattere. Non riuscì a fare nulla se non togliersi l’elmo e massaggiarsi la fronte con la mano libera, adesso il mal di testa stava aumentando, ma per i troppi pensieri.

    “E adesso che altro c’è?”

    Si ritrovò la vista annebbiata da una fortissima luce e rimase con i palmi delle mani sugli occhi, con l’intento di massaggiarseli, per un po’ prima di avere il coraggio di guardare la fonte luminosa. Quando finalmente si diede la giusta spinta motivazionale notò lo specchio. Una superficie liscia e riflettente che prendeva l’intera parete e a questo punto il soldato degli Inferi inclinò il capo inarcando un sopracciglio, era definitivo: non ci stava più capendo niente. La fortuna volle che il mal di testa iniziò ad affievolirsi, anche se di poco. Troppe emozioni tutte insieme. I suoi nervi, comunque, rimasero tesi. C’era sotto qualcosa e subito lo notò quando lo specchio iniziò a mandare immagini, non riflessi. Era una sorta di grande televisore da cui poter vedere uno spettacolo che fu in grado di dargli duplici sensazioni.

    Zoya, sua figlia, viva, in salute, anche se ferita. Con un gruppo di superstiti mentre tentavano di scappare da un attacco della corruzione. Kas si ritrovò la mascella spalancata senza sapere come e corse immediatamente verso la figura impressa nella parete. Era lei. Era Zoya e quello era il messaggio più nitido sul fatto che la ragazza fosse effettivamente viva. Si ritrovò ad accarezzare quella rappresentazione grafica senza rendersene conto, il suo cuore fece un tuffo di mille metri. Stava avendo la consapevolezza definitiva che la sua figlioccia fosse ancora in vita… ma per quanto? Immediatamente prese coscienza della situazione. Era sopravvissuta fino a quel momento, ma quell’orda poteva essere mortale. Doveva fare qualcosa a tutti i costi. Deglutì il vomito che gli era salito alla gola, orrore e felicità erano due emozioni che non andavano facilmente a braccetto. Tirò qualche pugno all’immagine e si lasciò andare ad un breve episodio di pianto singhiozzato. Era come se un grosso peso fosse appena stato tolto dallo stomaco.

    “FAMMI USCIRE DI QUI. FACCIO QUEL CHE CAZZO TI PARE, OK?”

    Inarcò la schiena urlando al soffitto, senza ricevere risposta. Ma la programmazione non era terminata. L’immagine di Zoya in fuga venne messa a metà schermo. Sulla seconda metà apparve una seconda immagine che colpì ugualmente lo spectre. Per quanto lui fosse convinto di avere una famiglia composta da una sola figlia… non era vero. In vita se lo era sempre rimproverato: di essere troppo “carnale”, di affezionarsi e creare legami importanti con la gente, magari anche si sopravvalutarli. In fin dei conti molti non ritenevano neanche che qualcosa come l’amicizia potesse realmente esistere. Eppure, nella sua morale malata, in vita c’era qualcosa che contava più di tutto per il russo: la famiglia. Zoya era la sua vecchia famiglia, di quando era in vita.

    Ma la sua seconda famiglia, anche quella, era in pericolo.

    Sul monitor si vedevano indistintamente due spectre che Kas si divertiva a torturare con le sue cazzate e con le sue burle da idiota. Grim e Kazue. Gashadokuro e Balrog, ridotti in fin di vita e con le surplici crepate in più parti. Non avrebbe mai ammesso una cosa del genere, ma quei due facevano parte della sua seconda famiglia. Aveva stretto legami di amicizia con molti spectre, ma solo con quei due aveva condiviso missioni e situazioni disperate, c’era un certo feeling e per Kas era stato semplice prenderli mentalmente sotto la sua ala protettiva. Kas non disse niente e non si rese neanche conto di star lacrimando ancora. Era una situazione odiosa. Entrambe le sue famiglie stavano correndo un rischio e lui non poteva fare NIENTE per aiutarle. Doveva solamente trovare il modo più semplice per uscire di lì.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...

    Stavolta non ebbe nessuna reazione alla voce metallica. Rimase in silenzio a ponderare su quelle parole dicendo addio al riflesso di Zoya e dei suoi amici. Per il russo non ci fu neanche un attimo di esitazione. Rimasto al buio aveva avuto l’unica cosa che gli serviva. Un modo per uscire da quel buco. Un modo per arrivare ad ottenere quello che voleva, la possibilità di arrivare in soccorso ai suoi cari… anche se a quel punto avrebbe dovuto compiere una seconda scelta.

    “A quello penserò dopo. Devo pensarci dopo.”

    Si tirò due schiaffi per riprendersi e cacciò via le lacrime come meglio poté. C’era bisogno di combattere, qualcosa in cui lui eccelleva, od almeno così la pensava. Era l’ora di far vedere chi fosse il migliore e lui non si sarebbe arreso facilmente, aveva qualcosa per cui combattere e avrebbe dato la vita pur di riuscire nel suo intento. Serrò i pugni ed attese, a breve avrebbe cominciato la battaglia della vita. Forse solamente una delle tante, ma le avrebbe combattute tutte con il medesimo obiettivo: vincere.

    0bmN207
    Narrato • PensatoParlato altruiParlato

    Nome Kasimir Yad
    Energia Rossa
    Cloth Surplice del Basilisco (IV)
    Stato della Cloth Indossata.
    Condizioni Fisiche Ottime.
    Condizioni Psichiche Too much feelings.

    Note Kas ed i suoi traumi parte: OVER 9000

    Abilità
    CITAZIONE
    ♦ Vento Velenoso ♦
    Il Basilisco, una creatura la cui anche sola presenza può essere letale. Difatti la capacità principe dello Specter è quella di poter levare, con la semplice volontà, grandi folate di vento capaci di creare poderosi vortici. Il vento però non è una comune brezza, bensì è denso del veleno della creatura di cui Kasimir porta la Surplice. Il vento violaceo che si innalza quando Yad lo vuole è pregno di questa letale sostanza. E' la maledizione ed il pregio del Basilisco, una creatura che genera attorno a sé solamente terra bruciata e dove l'erba non cresce più rigogliosa. La morte è compagna del servo di Hades che, con un solo battito d'ali, potrebbe portare morte e pestilenza se solo lo desiderasse. Lentamente la salute di chi viene colpito da questa letale capacità peggiora man a mano che più vi rimane esposto. Tra i sintomi possiamo trovare la paralisi, il graduale indebolimento, gravi problemi al sistema circolatorio e via via fino ad arrivare alla morte della vittima (only GdR).

    Tecniche
    CITAZIONE




     
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    - Dadi, sei tu?
    - Pensavo fossi più forte di così, è stata una giornata buttata.


    Apro gli occhi perplessa, voci diverse - che sembrano essere solo nella mia testa - mi svegliano da quello che sembra essere il risultato di qualcosa di non programmato. Un fischio atroce mi ferisce il cervello, pensandoci è l'ultima cosa che mi ricordo: il fischio.

    Dunque cosa stavo facendo? Ero al Bosco? Sì, no, no ero tornata al Tempio Nero, ho chiamato Kendra ma non ha risposto. E poi? Poi il fischio e ho visto tutto nero, forse sono svenuta. Che qualcuno abbia attaccato il Tempio? E chi, come?

    Mi tappo le orecchie con le mani, cercando di alleviare quel fastidio che man mano va scemando. Il buio è denso e mi avvolge, non riesco a vedere a un palmo dal naso e mettendomi seduta, mi accorgo di non essere legata. Sorrido, nonostante non abbia idea del luogo in cui sono, non sono prigioniera e questo mi solleva. Mi metto in piedi e a tentoni tento di capire la planimetria del posto, quando riesco a toccare una parete comincio a seguirla, se sono stata intrappolata ci sarà da qualche parte una maniglia o comunque uno spiraglio di qualcosa eppure nulla sembra turbare il liscio e perfetto equilibrio di quella stanza che sembra essere perfettamente integra e senza possibilità di fuga. Ho persino provato a bussare cercando di trovare delle zone vuote su cui concentrare la forza eppure niente, non ho voglia di sprecare cosmo e fatica cercando di liberarmi da qualcosa che molto probabilmente è più forte di me.

    Nell'ultimo anno da cavaliere di Gea mi sono resa conto delle stranezze che popolano questa terra, farmi domande e impazzire dietro a delle soluzioni razionali non era da me, avevo imparato a prenderne atto. La cosa strana è che passandomi una mano sul petto, per saggiare la presenza dell'armatura, che avevo addosso quando ho sentito quel fischio sulla porta del Tempio, mi accorgo che essa è perfettamente integra. Nemmeno una piccola crepatura, la cosa mi lascia perplessa visto che l'ultima volta che avevo affrontato dei corrotti mi era saltato via un pezzo.

    - È arrivato il tempo della caccia? Sono una preda?

    Mi muovo girando intorno alla stanza, ormai conscia della dimensione della stessa, le mani dietro la schiena, borbottando e riprendendo tutto ciò che avevo fatto prima di aver sentito il fischio. Sono così da quasi cinque minuti quando una voce metallica, appuntita e fastidiosa mi rimbomba nella testa cogliendomi di sorpresa. Mi porto le mani a tappare le orecchie, cercando di mascherare il fastidio che mi provoca quel suono.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?


    Nemmeno il tempo di elaborare la frase che una delle pareti improvvisamente si illumina, accecandomi per qualche secondo e lasciandomi a vedere a macchie per qualche minuto, mi avvicino strizzando gli occhi per cercare di capire cosa diavolo fosse. Rimango sorpresa quando mi accorgo che si tratta di una sorta di specchio che mi restituisce l'immagine di una me terribilmente spaesata e accecata, quando però la vista si adatta a quella luce riesco a distinguere quello che in realtà viene trasmesso.

    L'immagine di me nella stanza, cambia per lasciare il posto a una serie di immagini - come se fosse una trasmissione video - che cominciano a scorrere lentamente prima, come a farmi assaporare ogni momento, e poi sempre più velocemente, per soffermarsi per qualche istante su alcune in particolare. La prima è Siri, l'ultima volta che l'avevo vista, con la sua voce squillante che mi racconta di una sua lezione all'università, per passare al momento in cui avevo identificato il suo cadavere martoriato e mutilato; la mia cattura a Molde, l'addestramento al Polo e l'incontro con Jerome, tutte le persone che avevo incontrato fino a quel momento, il mio ritorno a Bergen e l'incontro con Ju della Bilancia Nera che mi consola in quella locanda.

    - Sopravvivere è l’unico modo che abbiamo per renderli ancora vivi. E sopravvivere è forse l’unica cosa che possiamo fare, almeno persone come noi. Tutto ciò che abbiamo perso, purtroppo, non lo riavremo. Ma se vogliamo ancora sperare di creare qualcosa di nuovo, dobbiamo andare avanti. Non mi arrenderò all’idea che tutto sia finito qui, e forse non dovresti farlo neanche tu.

    Poi la mano nera, la corruzione che avanza e comincia a macchiare dapprima l'ambiente, lasciandolo marcire, poi la figura del cavaliere nero. Arrossisco e indietreggio, tra il preoccupato e il sorpreso. La cosa strana è che non credevo che potesse avermi segnato così tanto l'incontro con lui, ci ripensavo ogni tanto eppure riascoltando quella frase, mi resi conto per la prima volta di qualcosa. Forse più degli spiriti dei boschi martoriati dalla corruzione, forse anche più del mio compito di eletto.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...

    La voce di prima mi assorda nuovamente, con quella sua inclinazione terribile e sbagliata. Batto i pugni sullo specchio che si spegne, lasciandomi preda di un misto di sensazioni su cui avrei preferito indagare nell'intimità della mia casa piuttosto che vederlo in quel modo così esplicito.

    Giocare, lottare e morire, chiunque fosse stato l'artefice di quel rapimento si trattava solo di divertimento. Sorrisi decisa, mentre stringevo i pugni doloranti per la botta di prima, avrei giocato e sarei uscita per prenderlo a calci.


    jTpFXa8
    narrato • parlatopensatoparlato altri

    Status Fisico top
    Status Mentale confusa, decisa
    Stato Darian indossata, integra

    Riassunto Azioni Prende atto della situazione, non spreca energie a sclerare contro delle pareti. Cerco di riprendere una storyline della pg e niente, se l'accolla.

    Abilità
    CITAZIONE
    Basic Istinct •
    Il suo rapporto con la natura è stretto, il lavoro e la caccia l'hanno resa più incline al prestare attenzione ai particolari e a sviluppare al meglio i sensi a disposizione. Non sempre la vista mostra per vero ciò che si vede e allora bisogna affidarsi all'olfatto, al tatto, all'udito e a volte persino al gusto. Riesce ad elaborare in fretta gli stimoli esterni di qualsiasi natura essi siano, non come una predizione vera e propria di ciò che sta per avvenire ma più quanto una sensazione molto forte, dando la possibilità di reagire di conseguenza.

    CITAZIONE
    Nera è la notte •
    In tutti i suoi inseguimenti, la parte migliore è stata l'attesa della sua preda al buio. Regolando il respiro, andando a crearsi una bolla di calma interiore, riesce a creare e a manipolare l'oscurità circostante, riuscendo così a prendere di sorpresa o ad attaccare i suoi bersagli. Le ombre possono assumere svariate consistenze e stati fisici e venire plasmate in più di una forma, il loro contatto reca un dolore fisico leggermente maggiore di quanti siano i danni realmente apportati, pur se rilevanti. Le sue ombre scottano, lasciando una traccia di leggera ustione in chi le subisce

    Tecniche ///



    Edited by D o r c a s - 28/1/2017, 15:08
     
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    « TOTAL WAR TOURNAMENT »
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    I

    Nel buio, Kazue inspirò profondamente prima di aprire gli occhi. Contemplò il muro di oscurità intorno a lei con calma, ascoltando i lievi cigolii della Surplice a ogni suo respiro.
    Non aveva paura. Aveva smesso di avere paura nel momento in cui si era resa conto che Hades non l'avrebbe abbandonata, finché avrebbe continuato a combattere, a vivere, a esistere per lui. Il fatto di avere l'armatura indosso lo dimostrava.

    Anche se al Re, quelle vesti cominciavano a stare strette.

    Percepiva l'ambiente chiuso intorno a sé, abbastanza largo per distendersi e alzarsi, se lo avesse voluto. Ma lei era seduta, le gambe incrociate e le mani posate sull'armatura, i lunghi capelli scuri che scendevano in una cascata nera sul metallo dei pettorali. Prendeva coscienza con ciò che le stava intorno e, nel mentre, faceva mente locale su quanto era successo.
    Ricordava la prova. La conclusione di essa. L'estensione del gioco di Mephistopheles e quello di Hades, due paia di occhi vigili su di lei e sul percorso che stava affrontando...in attesa di un suo errore.
    Poi un fischio assordante, che a un certo punto aveva smesso di udire ma continuava a percepire a causa del dolore che le causava: il volto di Kazue si contrasse involontariamente, le sembrava ancora di sentirlo riecheggiare dentro di lei.

    Il libro le comparve tra le mani, levitando a pochi centimetri dalle sue dita magre, che contemplarono la conferma di quanto stava pensando: non aveva nulla da dirle. Aveva imparato a non fare sempre affidamento su di esso, in quanto a volte il presente portava momenti che, molto semplicemente, non potevano essere spiegati se non quando diventavano già storia.

    « Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine? »

    Il pugno si rilassò lentamente mentre le ultime sillabe di quella strana voce si spegnevano nella sua mente. Kazue dentro di sé quasi sorrise, anche se nessuna emozione particolare le attraversò il volto: aveva già subito un gioco del genere e non aveva intenzione di farsi cogliere ancora impreparata. Aveva parlato di un "voi": questo significava che c'erano altri nella sua condizione. E che aveva divorato il mondo e sconvolto vite...ma quali?

    Da dove veniva, l'essere che sperava davvero di contenerli così a lungo in quella gabbia? Il Re la guardò, calma e impassibile di fronte all'ennesimo gioco, e dopo un tempo immemorabile si sentì di sorridere: immaterialmente, accanto a lei, qualcosa si distorse e una mano le accarezzò il volto senza sfiorarlo.

    « Hai fatto una lunga strada, allora. Chiunque tu abbia rinchiuso qui, doveva essere uno spettacolo interessante. »

    La parete di fronte a lei si illuminò e, per un tempo che le parve discretamente non necessario, Kazue contemplò se stessa. Sapeva già del proprio aspetto, di quanto era cambiata durante ciò che le era accaduto...ma era necessario e le stava bene così. Incontrò il proprio sguardo e vide il riflesso azzurro che le attraversò le iridi per un istante, dandole la conferma che il Re stava guardando - e venendo guardato - insieme a lei.

    Quello che vide da una parte la atterrì, dall'altra la rese felice. Era seduta in un mondo spoglio, dove le cose stavano ancora per nascere e altre erano già nate da tempo. Alberi contorti cercavano di afferrare il confine tra cielo e terra e tutto era soffuso di una luce irreale, che proveniva dall'interno.
    Accanto a lei, la figura nera e informe, fatta di lingue d'ombra e occhi azzurri, era ritta in piedi senza toccare terra. Si fissarono a lungo, mentre dentro entrambi cresceva un senso di inquietudine e lontananza, come un filo lentamente teso fra qualcosa che fino a pochi istanti prima era profondamente connesso.

    E quando entrambi realizzarono il vuoto che avevano dentro, la vide portarsi una mano al petto e boccheggiare, continuando a fissarlo con una forza inesorabile, supplicandolo di non staccarsi da lei. Il Re la vide farlo e fu come cessare di esistere di nuovo.
    Di nuovo, sentì il dolore della perdita che lo attanagliava, qualcosa che aveva sanato millenni prima sacrificando tutto per riavere l'infinito.
    Lei era in piedi e l'eco del suo grido muto gli si spense dentro insieme alla visione dello specchio.


    « L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato... »

    Kazue respirava a fatica, le dita che spasmodicamente cercavano di stringere qualcosa dentro di sé senza riuscirci. Per un attimo, prima che l'oscurità tornasse, era certa di aver visto lui fare lo stesso, ma ciò che la rendeva confusa e irritata era il battito del proprio cuore, che le riempiva le orecchie come un tonante uragano.
    Aveva avuto la sensazione che qualcosa le stesse venendo strappato via, ma le sfuggiva qualcosa. La risposta era a pochi centimetri, lo sapeva. Mancava pochissimo alla risoluzione del problema, alla quadratura del cerchio, al momento in cui finalmente si sarebbe sentita completa.

    E fino a che quel preciso istante si fosse concluso, avrebbero dilaniato il mondo intero.

    MsGxe2m
    narrato ● il Re ● « parlato » ● pensato ● × telepatia ×

    Riassunto azioni ● Sviluppo la traccia e chi deve capire, capisca.


    cSUIgYW
    Nome ● Kazue Satō
    EnergiaRossa
    Surplice ● Balrog {V}
    Status Surplice ● Indossata, intatta
    Status Fisico ● Ottimo
    Status Psicologico ● Bring it on.

    Oggetti e Abilità
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    Tecniche
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    Quando riacquistò le sue facoltà sensoriali si ritrovò immerso nell'oscurità, con i postumi di un forte quanto fastidioso stridio che ancora gli echeggiava nel cervello, ultimo retaggio di ciò che ricordava prima di essere svenuto.
    Lentamente riprese la posizione eretta, barcollando con passo incerto in quel buio più totale.
    Sentì con la punta delle dita una parete, sfiorandola continuò a camminare seguendola, ma ben presto realizzò che era stato imprigionato: una misteriosa cella lo costringeva.

    Dove mi trovo? Che cos'è successo ? Che cosa significa tutto questo ?

    Iniziò a riflettere, mentre l'ansia e la paura lo assalivano, mentre si dimenava girando su se stesso, mentre la rabbia prendeva il sopravvento.
    La mano chiusa a pugno saettò con una violenza quasi selvaggia contro la parete che lo fronteggiava.
    La forza del colpo era disumana, ma i suoi sensori tattili captarono che il colpo non aveva sortito il minimo effetto.

    e così è tutto inutile ?

    Era facile per lui perdere il controllo, lasciarsi andare alla rabbia più profonda, ma doveva controllarsi e ci riuscì con il pragmatismo e la logica.
    Se era vivo doveva esserci una ragione... altrimenti perchè non era stato ucciso ?

    Si lasciò scivolare con la schiena contro la parete, sedendosi a terra con le gambe incrociate, in posizione di meditazione.
    Il suo unico occhio era spalancato e acuminato come una lama come se volesse perforare quell'oscurità.
    Se non poteva fare nulla per scappare, tanto valeva mettersi comodi e aspettare.
    Preoccuparsi di qualsiasi cosa che poteva essere così incerta e imprevedibile vista la situazione era del tutto inutile se non controproducente.
    Nella peggiore delle ipotesi sarebbe stato ucciso e lui non temeva di morire, altrimenti la soluzione del mistero si sarebbe presentata da sola.
    Il suo respiro era regolare, ora era calmo e più in pace che mai, quasi si stava divertendo a poltrire nell'oscurità dopo un intera vita caratterizzata dal ritmo sfrenato della battaglia e dall'adrenalina a mille.

    Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?

    Non fece tempo a gustarsi quegli attimi di pace che la voce lo mise sull'attenti.
    Una luce bianca fortissima lo accecò per un istante.
    Lentamente il suo occhio si adeguò al nuovo livello di luminosità della stanza vedendo la parete avanti a sè mostrare la sua figura in pericolo.

    L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato...

    Sorrise compiaciuto, con la serenità di chi non ha nulla da perdere.

    « Accetto il giochino ... e non vedo l'ora di fare la tua conoscenza! »

    Esclamò divertito anche se l'ultima parte della frase venne pronunciata quasi come una minaccia.
    Tutto tornò avvolto nell'oscurità, l'unica cosa che sembrava brillare era l'iride verde del suo occhio, carica di energia e rabbia verso chi si era permesso di violare la sua libertà, l'unica cosa a cui teneva veramente.
     
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    [TOTAL WAR] TOURNAMENT
    LANCE H. VAN HANDEROT • ENERGIA VERDE • CHIMERA IV

    POST I
    status fisico • normale
    status mentale • bo', è esploso.
    adamas • integra, indossata

    Riaprì gli occhi al buio, circondato da un'oscurità talmente papabile e viva da togliere la vista anche al più acuto dodici-decimi dell'universo; tuttavia, il ragazzo notò subito che la vista non fosse l'unico senso che gli desse problemi: un sibilo divenne presto un fischio, o meglio il ricordo di esso, ma era talmente ben radicato nel suo cervello che faceva ancora un male cane. Fu portandosi le mani negli orifizi delle orecchie cercando di coprirli, di stapparseli, di compiere tutte le azioni in suo potere per togliersi di dosso quel fastidioso dolore che si accorse di essere all'interno dell'Adamas: sotto ed attorno a sé si muoveva placido ma presente il liquido color arancione che fluiva come aria nei suoi polmoni, mentre ai polsi, alle caviglie ed attorno alla vita aveva le estroflessioni metalliche tipiche della modalità di combattimento del mecha. Catturato dalla sorpresa e da anche un po' di panico com'era non si era accorto in tutto quel tempo di come i suoi movimenti fossero ben mimati dal suo robot. Capitalizzò avido su quella splendida scoperta e per prima cosa accese sulla sua mano destra un fuoco non troppo modesto per capire e comprendere dove si trovasse: non era stupido e, ben consapevole del fatto che uscire dal Labirinto fosse praticamente un offrirsi spontaneo alle bocche di certi leoni dalle più svariate abilità, la prima cosa che gli passò per la testa fu di essere finito in una trappola mentale di qualche avversario ben più forte di lui. Fu in quel momento che gli si formò in testa il ricordo di essere andato in missione per cercare superstiti, ma dopo aver messo uno o due piedi fuori da quella che da qualche anno era diventata la sua nuova casa era come sparito e l'unica cosa che rimaneva di lui era solo un singolo, regolare ed assordante fischio.
    Tra i suoi pensieri notò intanto grazie al fuoco le dimensioni e la forma di quella stanza, un cubo senza uscite parecchio grande, talmente tanto che l'Adamas sembrava un semplice uomo in una stanza come un'altra se rapportato alle dimensioni delle pareti. Prova a distruggere la struttura all'interno dando fondo all'imponente forza fisica che le sue dimensioni gli davano, ma ogni pugno non aveva altro effetto se non accarezzare la parete; in cinque minuti circa provò di tutto, ma per quanto provasse a tagliare, sfondare o bruciare i muri rimanevano ben eretti, solidi nella loro ironia. Se non altro, pensò rapidamente per consolarsi, non è più buio.

    "Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine?"
    La voce risuonò con la stessa foga di un bassotuba scatenato a cinque millimetri dalle orecchie, la testa improvvisamente vittima di un effetto simile ad una delle tante sbornie che era solito prendersi da qualche settimana a quella parte. Faticò ad ascoltare con attenzione cosa quelle potenti parole stessero articolando, troppo occupato a coprirsi le orecchie, a contenersi la testa per paura che esplodesse, distinguendo sul momento solo alcuni dei suoni immersi in quella marea di sensazioni; il quadro si completò da solo nella sua testa solo dopo qualche secondo, quando la vista gli era stata nuovamente sottratta da un'inondazione improvvisa di luce. Cercò di rispondere alla sua maniera mentre già tentava di proteggere un altro organo con le sue mani.
    "NO GALACTUS, NON LE VOGLIO LE TUE CARAMELLE. ALTRIMENTI POI MAMMA" e con "mamma" intendeva Bibiane "MI SCULACCIA!"
    Si strofinò i bulbi più volte per far sparire le macchioline colorate sfarfallanti comparse dopo quello stupro visivo, ed una volta risolto quell'improvviso disagio si accorse di come una parete fosse un enorme specchio in cui l'Adamas spiccava al centro anche se in maniera modesta. Tuttavia, in un secondo momento si accorse come davanti a lui fosse rimasto ancoro timido una piccolo punto luminoso, come una stella in un cielo notturno. Lance si avvicinò incuriosito alla parete, arrivando talmente vicino da poter toccare quel punto che comunque sembrava lontano chilometri e chilometri; si avvicinava lentamente però quell'oggettino così distante, a poco a poco prendendo sempre più forma, più lineamenti, più colori: nella pura luce si accese una fiammella color rosso sulla sua sommità, e con l'avanzare dell'oggettino le fiammelle divennero due, poi tre e quattro, fino a diventare una folta chioma rossa, fluente e luminosa.
    Qualsiasi uomo direbbe che è impossibile riassumere il proprio mondo in modo tale da farlo stare in una stanza, ma in quell'occasione Lance si sentì come svuotato di ogni pensiero e ricordo, fermandosi ad esistere in quella stanza: la rivedeva di nuovo, finalmente.
    Rivedeva di nuovo la sua Beth, ed il suo mondo tornò a respirare.
    Sorrideva mentre camminava verso di lui con il suo lungo vestito di seta bianco anch'esso illuminato -cosa che le dava un certo aspetto angelico-, i capelli lasciati liberi ed i piedi nudi. Era talmente bella che Lance perse di vista la propria immagine robotica e, istintivamente, allungò un braccio per toccarla, venendo bruscamente bloccato dalla consistenza del muro. Voleva abbracciarla, voleva di nuovo amarla, e preso dall'entusiasmo, dall'eccitazione e da un pizzico di ingenuità si dimenticò che fino a qualche momento fa aveva tentato invano in tutti i modi di uscire da lì, iniziando ad analizzare la superficie del muro per trovare una fessura, una porta, qualcosa che potesse ricondurla a lei.
    Fu in quel momento che un pensiero gli balenò tremendo nella testa: con ora entrambe le mani attaccate al muro in cerca di risposte, si appoggiò alla parete con la consapevolezza che quella donna era stata uccisa, che quel suo amore era morto. Morta. Non poteva essere reale, non poteva esserlo; in fondo, è solo un trucco si disse. Si, è solo un trucco.
    "No..."
    Una voce ormai diventata familiare quando entrava all'interno dell'Adamas lo scosse da quel freddo torpore, riattirandolo involontariamente sull'immagine di Beth davanti a se. Era ancora più vicina al muro, quasi attaccata, il dolce palmo che coincideva con la fredda membra destra del suo fidanzato; cercava di infondere coraggio al suo uomo ed il suo volto sembrava dire che fosse tutto ok, che qualsiasi cosa sarebbe andata per il verso giusto.
    Lance vedeva solo Beth perché non gli importava davvero di altro: uno sano di mente avrebbe desiderato che quel mondo, quell'Apocalisse non fosse mai accaduta, ma non lui; uno un po' più sveglio avrebbe chiesto infinito potere, talmente tanto da poter riportare in vita i morti, ma non lui; avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa, ma quella era l'unica cosa che non tradiva i suoi veri desideri, o meglio il suo vero desiderio.
    Rivedere anche solo un giorno, anche solo un'ora Beth. Per lui quella donna era talmente luminosa da rendere quell'oceano di nero che lo attorniava un'isola felice in cui spendere l'esistenza; forse era amore, forse anche ossessione, ma non gli importava per niente ormai: scivolò nei suoi occhi, il tempo giusto per fargli dimenticare qualsiasi cosa.
    Ma poi ecco un nuovo concorrente in gioco, terribile e maligno, una presenza oscura chiamata Destino: dall'oscurità dietro Beth comparve una gigantesca mano violacea, spinosa, le unghie lunghe, taglienti e giallastre, che con forza prese la ragazza e per qualche secondo la stritolò possente, facendola urlare di dolore.
    "BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA, NON OSARE!"
    Improvvisamente accecato dall'ira cominciò a colpire con sempre più forza lo specchio inscalfibile, ogni suo tentativo sempre più vano.
    Beth scomparve infine nell'oscurità ma non prima di aver guardato a lungo negli occhi dell'Adamas e, quindi, in quelli di Lance: cercava aiuto.
    "L'unico modo per sapere se tutto ciò è vero, e per tornare liberi, è giocare fino alla fine. Non vedo l'ora di conoscere il fortunato..."
    Lo specchio era tornato nuovamente buio, ma Lance non ci diede neanche troppa importanza: era diventato un vero e proprio diavolo pronto a uccidere pur di salvare Beth dalle grinfie di qualsiasi mostro, inferno o dio che quel piano dell'esistenza potesse offrire.
    "YOU'RE GONNA HAVE A BAD MOTHERFUCKING TIME, MOTHERFUCKER."
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    Edited by Lance. - 28/1/2017, 18:10
     
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    IL TORNEO♦ Post 1
    I Vrykul usavano produre una sostanza alcolica con dei grossi tuberi amari chiamati Stüss, che venivano cotti e lasciati fermentare per mesi in gigantesche botti di legno fino al momento della distillazione, quando un sapiente mastro mezzogigante aggiungeva aromi e spezie e ricavava dalla poltiglia marrone risultata dalla fermentazione un liquido denso e ambrato dall'odore pungente e intenso: lo Stüsswrå, letteralmente dal Vrykul "vino di Stüss".
    La sbronza da Stüsswrå, della quale Ingrid era campionessa imbattuta all'interno del suo clan, dava dei postumi simili alla situazione in cui si trovava in quel momento. Ci mise un po' per passare dal sorriso ebete ma compiaciuto di chi si complimenta con sé per avere ingurgitato 4 galloni di un superalcolico di 90° (malgrado gli effetti sul fisico devastanti), alla realizzazione che tutti i mastri distillatori di Stüsswrå erano morti per mano del clan degli Scorticadraghi. Istintivamente e ancor prima di alzarsi da terra dove era stesa a pancia in su, richiamò nella sua mano destra il piccolo Mjöllnir, sentendolo arrivare immediatamente, constatando che era proprio accanto a lei. Ingrid si strinse intorno alla sua gigantesca arma percependo una sensazione di tremenda costrizione, oltre l'odioso mal di testa che le stava trapanando il cervello.

    No preocupa te, picolo Mjöllnir. Noi forse ieri sera bevuto? No. Fato a bote con Yeti? - fece una piccola pausa e annuì brevemente - Probabile. Yeti del cazo. Adeso Ingrid ci tira fuori da qui.

    Ingrid tentò di alzarsi nel buio più totale, inciampando goffa nell'asta di Mjöllnir e vi riuscì solo dopo alcuni tentativi. Siccome non vedeva nulla strinse il pugno sinistro caricandolo di una piccola quantità di elettricità per vedere dove fosse, ma servì a ben poco: appena capì di trovarsi costretta in una stanza di piccole dimensioni a malapena sufficienti a contenere lei e il suo martello gigante, cominciò a perdere la pazienza. La sua mente andó immediatamente indietro nel tempo, a quando era stata costretta in una gabbia da dei piccoli mezzelfi maghi, iniziando così la sua avventura che l'avrebbe portata a diventare la prescelta del suo signore Thor. La rabbia le ribollì in corpo velocemente, concentrandosi nel suo pugno che continuava sempre di più ad accumulare energia elettrica fino a quando Ingrid lo sferró dinanzi a sé, non ottenendo però l' effetto sperato. La carica infatti illuminò per pochi istanti la stanza per poi disperdersi sotto forma di piccole saette lungo la superficie dei muri. Ingrid allora afferrò il piccolo Mjöllnir con entrambe le mani, preparandsi all'attacco.

    SE TU SEI ELFOFINOCHIO E INGRID TROVA TE, PERCHÉ TROVA, TI FA SALTARE GLI O-

    Non ebbe il tempo di finire la frase che ottenne una risposta, seppure assurda e priva di senso come poteva apparire in quel momento.

    « Ho divorato il vostro mondo e sconvolto le vostre vite. E nessuno è venuto a cercarmi! Il vostro mondo ha dei paladini molto scarsi. Per questo, vengo io da voi. Consideratelo un dono: vi sto dando la possibilità di incontrarmi, ma devo sincerarmi che ne valga veramente la pena. Per questo voglio darvi...Delle motivazioni. Per cosa combattereste...Fino alla fine? »

    E tu chi cazo esere?

    Uno spiraglio di luce si aprì improvvisamente e fu allora che Ingrid cominciò a colpire la parete col piccolo Mjöllnir in maniera incessante, ottenendo però solo un frastuono immane che andò a peggiorare il suo già tremendo mal di testa.

    TU FA USCIRE INGRID! NO FREGA CAZO DI CHI SEI! INGRID TROVA TE E TI SPEZA! IN...Oh per ochi di Odino! Thor!

    L'immagine che si era andata a delineare sulla parete era invero quella del Signore di Ingrid, Thor, a lei più caro che Odino stesso. Lui era proprio come l'aveva visto nelle sue apparizioni più recenti, bello e fiero con l'intero Mjöllnir nella mano destra, grandioso in tutta la sua possenza. Ma qualcosa gli stava accadendo: la pestilenza che aveva colpito Mezzafaccia e tutto il clan degli Scorticadraghi lo stava contagiando, fino a farlo diventare come loro...Un mostro.

    NO! TU NO TOCA THOR! TU LASCIA STARE LUI!

    Questo bastò per fare uscire Ingrid fuori di senno. Cominciò di nuovo a colpire il muro con la sua arma, ignorando il fatto che non stava provocando la benché minima scalfitura. Le sue parole erano scandite con rabbia dai colpi di martello miste a scariche elettriche.
    MALEDETO...ELFOFINOCHIO...SE...IO...TROVA...TE...IO...AMAZA...TUTTA...TUA...FAMILIA...BRUCIO...CADAVERI...E...PISCIO...SU....LORO....RESTI!!!

    A nulla servirono i fortissimi colpi o i numerosi improperi rivolti al famigerato Elfo o chi per lui, solo dopo una lunga sequela di entrambi Ingrid si arrese, gettandosi in ginocchio aggrappata al suo martello.

    Thor una volta salva Ingrid. Thor rende Ingrid grande gueriera.

    Disse col fiatone, rimanendo a guardare dinanzi a sé quella parete integerrima che non aveva ceduto neanche sotto il peso della sua furia.

    Ora Ingrid salva Thor.
    Nesuno rinchiude più Ingrid.


    Pronunciò esausta, ma salda nella sua determinazione.
    Il pensiero della sua prigionia e di come la sua storia fosse iniziata era ancora vivo, forse troppo, nella sua mente. Le sembrò di vivere quei momenti, con la differenza che ora aveva tanto potere in più, una gigantesca arma al suo fianco, e il suo Dio da salvare.
    ABILITA'
    TECNICHE
    scheda {x}


    Edited by *Susu* - 29/1/2017, 11:27
     
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