I SETTE: LUXURIA

L'Alcova

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  1. La Corruzione
     
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    I SETTE

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    C’è una lieve foschia attorno alla Casa Fucsia: a decine di metri di distanza non è possibile scorgerne del tutto le forme. Qualche spigolo, una piccola guglia aggraziata qua e là…
    Solo quando si è a due passi dall’ingresso si può abbracciare l’intera figura. E’ una palazzina snella, a pianta semicircolare come alcuni battisteri dell’Italia centrale, con sottili colonne liberty ad incorniciare, più che sorreggere, un pronao ampio solo pochi passi al di sopra del quale, incisa su un frontone troppo nuovo per essere autentico, è incisa una singola parola:

    Luxùria

    contornata dalle vezzose effigi di un giovane e una giovane, a mezzobusto, ciascuno ad un lato del nome della Casa. Sorridono ambigui, come ad ammonire e al tempo stesso ad invitare.
    Ora che si può osservare meglio la costruzione, ci si accorge che non è realmente graziosa come poteva sembrare: il liberty non è davvero tale ma più una strana imitazione, con troppo di artificioso e un’armonia forzata e stanca. Il materiale stesso in cui è costruito l’edificio non è la pietra, come ci si aspetterebbe, ma un qualche tipo di cemento armato, stuccato alla bell’e meglio e verniciato con un colore fucsia che colpisce come un pugno; le finestre coperte da grate sono in realtà schermi televisivi, gli stessi che il visitatore troverebbe anche all’interno. Tali schermi sono vivi, e mostrano giovanotti prestanti e truccati, ragazze decadenti la cui età spazia entro limiti troppo ampi per ciò che stanno facendo: i continui amplessi, se dapprima attirano la vista e aguzzano gli appetiti, dopo poco stancano i sensi degli osservatori meno depravati, in un continuo eccesso di morbosità. Il coacervo di membra che si aggroviglia e si dipana incessante su giacigli simili a triclini romani, ma più verosimilmente lettini da centro massaggi con lenzuola di seta, appare quasi forzato, ben oltre il limite del buon gusto.
    Addentrandosi e salendo (poiché la Casa si sviluppa soprattutto verso l’alto, e in effetti è costruita su quattro piani) si incontra un crescendo, un climax che coinvolge opere d’arte visiva, una ronzante colonna sonora anni ’70 in filodiffusione, installazioni in tubi al neon, e l’immancabile fucsia sulle pareti, sui soffitti, sul pavimento; e qua e là un braccio, una gamba tornita, un seno appare per un istante e poi viene inghiottito di nuovo dall’ombra. Una risata secca e senza allegria sferza l’aria mentre ci si avvicina agli appartamenti della padrona.
    All’ultimo piano vi è una grande sala, arredata come una camera da letto lussuosa e sovrabbondante, ricca di broccati e sete nere, cuscini di piume, una toilette di quelle che si trovavano nei camerini dei teatri del vecchio mondo, e svariate alcove minori. Su una di queste due giovani corrotti, una fanciulla ed un fanciullo di circa quindici anni, giacciono abbracciati, i visi turbati.

    “Verranno presto, Signora?”

    La Padrona finisce di truccarsi e si alza dalla toilette, incede verso il letto come se passeggiasse sulla Croisette di Cannes, raccoglie un tumbler pieno di un liquido ambrato dal comodino, si inumidisce appena le labbra troppo piene, guarda fuori dalla finestra di fronte.

    “Verranno, tesoro mio. Ma non preoccupatevi. Qui non c’è pericolo. Non permetterei che vi si facesse del male.”
    Si volta, in un trionfo di riccioli biondi, gli occhi scintillanti ed euforici:

    “Siete troppo belli!”
    E’ vero. Almeno in apparenza. Basta però guardare negli angoli bui, nelle zone del viso dove l’ombra non è raggiunta dalle luci delle lampade a led, per riconoscere i segni della Corruzione: la biologia originaria dei due ragazzi è già morta da tempo, ma è necessaria una buona capacità di osservazione per accorgersi che la loro avvenenza è solo superficiale.
    Ben più arduo è scoprire l’inganno nella donna che fa loro da anfitrione. Le forme piene, il profilo sensuale, le pose e ogni parola che esce flautata dalla sua bocca invitano a lasciarsi andare. Nemmeno lo fa apposta, Anjelica: potrebbe trattenersi dall’ammaliare le persone, se lo volesse, ma l’incanto che getta su chi la ascolta le riesce naturale quanto il respiro. E non è forse per quello che vive? Per incantare, come su un eterno palcoscenico sul quale il sipario non cala mai?
    “Venite, cavalieri di Athena. Venite da me, e giochiamo insieme”
    mormora, seguitando a bere. Le sue splendide e ben proporzionate membra, fasciate da un’armatura fucsia come la Casa che presidia, fremono sotto le lastre metalliche: la battaglia sarà per lei l’ennesima recita… non pensa neppure che i Saints resisteranno più di tanto. Non vede l’ora di farli entrare nella sua corte di schiavi.


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10 replies since 1/5/2016, 22:22   401 views
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