broken sword, battered shield

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    Il bosco è freddo, oscuro, silenzioso. La Luna distesa sull'orizzonte dietro alle montagne di cui non sai il nome, disperso in un mondo dove tutto sembra perduto.

    Il focolare è mezzo spento, e nelle ombre della notte nel giaciglio accanto a te qualcosa fa gelare il tuo sangue più dell’inverno del tuo paese: Astrid non c’è.


    Non sai per quanto cammini, o quale direzione prendi, ma ti ritrovi in una splendida radura con il Sole del mattino alto nel cielo.


    Lei è lì, a giocare fra i fiori. La tua speranza. La tua ragione di Vita ora che tutto è distrutto.



    girl-17124346633051





    Ti vede, e ti saluta, correndo verso di te, ma a ogni passo qualcosa si rompe nella sua figura. Il rumore delle ossa che si contorcono spezzandosi e moltiplicandosi mentre il volto sorridente si trasfigura in una massa di tentacoli mista a denti da latte mentre una cacofonia di mille voci ti sussurra direttamente nel cervello



    Per te c'è ancora domani, papà.

    P̶e̴r̶ ̵t̷e̵ ̴c̴'̵è̴ ̴a̶n̶c̷o̵r̴a̵ ̸d̷o̴m̴a̶n̶i̶,̸ ̸p̷a̵p̵à̷.̴ ̵

    P̵̗͌e̸͉̕r̵̖̅ ̷̺̉t̵̤̒e̵͈͑ ̶͎̔c̵͔̏'̷̚͜è̵̖̃ ̴̭͆a̵̹̿n̴̉͜c̵̙̒ō̵͉r̴̙͊ä̷̭́ ̷̤̏d̷̺̆ọ̷̄m̷̳̉ą̴̉n̷̡͆ḯ̸̢,̶͈͋ ̴̘̈́p̸͔͋a̵̢͠ṕ̷̪à̵̘͐.̷̟͛ ̷̜́

    P̴̧̢̞̗̲͒̄̍̐è̴̖̒͝r̵̨̙̪̈́͂͜ͅ ̵̤̬̺̫͗̃͘͝ͅẗ̷̩̹̞̠́͊͛ḛ̵̡̮̰̔͋̈́ ̸̨̞̳̰̱̀͑̾̿͗c̶͇̮̼̰͊ͅ'̶̤̈͋ḙ̶̛̀͛͗̓ ̵̬̯͇̤̔̐͛̔͆͜ḁ̷͇̩̽̀̊n̴͔̙͎̤͚͛̿c̸͙̮͇̓̔̂̆̑ö̴͚͈̖͔̑̈́̈́͝ṛ̷̤͗̀͜ä̶̧̤̭̹͓́̎̉́͗ ̷̛̖̃̊d̴̘̑ͅo̴͖̐̆̇͝m̴̩̾̾̏á̵̦́̃͋͝ņ̴͙̙̹͔̓̅̎̐̿į̵̟̄̍̌̂̽,̸̼̺͑͗ ̷̭͓͈̃̄̚̕͝p̷̙̼͙̘̟̀́̔͒̈ạ̴̿̒͝p̵̢̮̦͗͋͛͜à̵̞̳͍̼̿̏̓͝.̵͇̍̌ ̴̭̹̥͎͐̀ͅ






    Il suono di una voce ti trascina via dall’ennesimo incubo, e la sensazione di lenzuola calde e soffici e il rumore in lontananza della quotidianità di una situazione che anche dopo qualche anno ti continua a sembrare aliena.

    Questo è il tuo domani.






    Angolo Master:


    Benvenuto al tuo addestramento.


    Il periodo è circa sei anni dopo l’Armageddon, hai una posto dove dormire a Rodorio e più o meno la vita lentamente sta iniziando a girare di nuovo.
    Descrivi la tua giornata, come sei sistemato, che persone hai conosciuto in questo periodo considerando che oltre agli abitanti OG della città e le guardia hai anche aspiranti saint e soprattutto tanti profughi come te.

    Concludi mentre ti avvii verso una struttura poco fuori i limiti della città, un piccolo convento ortodosso adibito a scuola e orfanotrofio per i ragazzini dove una donna ti sta aspettando per il tuo primo giorno di lavoro.



     
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    Eirik Johansen ~ 1


    Mi trovo avvolto dalle tenebre, immerso in una notte che sembra aver inghiottito ogni raggio di luce, ogni speranza. Il bosco attorno a me è silenzioso, ma è un silenzio carico, gravido di segreti antichi e dimenticati, che si sussurrano tra i rami spogli e le foglie morte. Ogni albero, ogni roccia sembra portare il segno di una distruzione che non ha nome, di un cataclisma che ha lasciato dietro di sé solo desolazione e rovina. La fiamma del nostro bivacco, che poc'anzi danzava allegra e vivace, ora è spenta, e mi ritrovo avvolto in un'oscurità così densa che sembra quasi avere peso, sembra quasi stringermi in una morsa gelida.

    Il cuore inizia a battermi all'impazzata quando mi accorgo che accanto a me, nel piccolo giaciglio che avevamo allestito, mia figlia Astrid non c'è più. Il panico si insinua nelle mie vene come veleno, un terrore puro e primitivo che mi spinge a chiamarla, ma la mia voce si perde nel nulla, assorbita dall'opprimente silenzio del bosco. Inizio a cercarla freneticamente, senza alcun senso della direzione, guidato solo dalla disperazione. I miei passi, incerti e affrettati, mi portano attraverso il bosco, ora fitto e impenetrabile, ora spettralmente vuoto.

    La ricerca sembra interminabile. Il tempo perde ogni significato, si dilata e si contrae in modo irregolare, mentre il paesaggio attorno a me cambia, muta, si trasforma in qualcosa di sempre più inquietante. Alberi che sembrano osservarmi con occhi nascosti tra le foglie, rocce che si modellano in forme bizzarre e minacciose. Tutto contribuisce ad aumentare il senso di terrore che mi attanaglia.

    E poi, quasi all'improvviso, tutto cambia. Emerge una radura, così improvvisa e inaspettata che per un momento mi fermo, incredulo. Il sole, in un contrasto stridente con la notte appena lasciata alle spalle, illumina ogni cosa con una luce abbagliante. Sembra impossibile, ma ci troviamo in pieno giorno. La radura è un'esplosione di vita: fiori dai mille colori sbocciano rigogliosi, l'aria è tiepida e profumata, un lieve venticello fa danzare l'erba alta. E lì, al centro di tutto, Astrid. La mia piccola Astrid, che corre felice, i capelli biondi che brillano alla luce del sole, un sorriso radioso sul suo viso.

    Un'onda di sollievo mi travolge, e per un attimo tutto il terrore, tutta la disperazione sembrano svanire. Mi avvicino, chiamandola, ansioso di stringerla a me, di assicurarmi che sia reale, che sia davvero lei. Ma mentre mi muovo verso di lei, qualcosa inizia a cambiare. La scena idilliaca inizia a distortsi, a trasformarsi in un incubo vivido e terrificante.

    Astrid? Il corpo di Astrid inizia una trasformazione agghiacciante, un orrore visivo che costringe ogni mia convinzione sulla realtà a sgretolarsi. La pelle, un tempo liscia e delicata come quella di ogni bambina, comincia a stirarsi e contorcersi in modi che sfidano ogni logica umana. Dalle sue membra, tentacoli spessi e scuri cominciano a erompere con violenza, strappandosi dalla carne come se cercassero disperatamente la libertà.

    I suoi occhi, prima ricolmi di quella pura gioia infantile, si trasformano in pozzi scuri e insondabili, perdendo ogni traccia di umanità. La sua bocca, da cui un tempo sgorgavano risate cristalline, si allarga in un ghigno orribile, disumano, che rivela file su file di denti aguzzi, come quelli di una bestia primordiale. Il processo di mutazione non si ferma alla sua forma fisica; la sua stessa essenza sembra cambiare, distorcendosi in un'aberrazione che non appartiene a questo mondo. La figura della mia bambina si dissolve, si frantuma in un'entità che più non posso riconoscere come mia figlia. È come se una forza oscura l'avesse inghiottita, rimpiazzando la sua innocenza con qualcosa di alieno e terrificante.

    Questi tentacoli, ora numerosi e onnipresenti, si muovono con un'intelligenza propria, esplorando l'aria intorno a lei, come se cercassero qualcosa, o qualcuno, a cui aggrapparsi. La loro pelle è di un nero lucido, ricoperta di una sostanza vischiosa che riflette la luce solare, creando riflessi macabri che danzano sulla loro superficie. La creatura che un tempo era Astrid si muove ora con una fluidità spaventosa, ogni movimento è calcolato, ogni azione è priva dell'innocenza che caratterizzava i suoi giochi.

    La sua voce, quando finalmente parla, non è più la dolce melodia di una bambina, ma un suono distorto e profondo, che risuona con un'eco inumana. P̵̗͌e̸͉̕r̵̖̅ ̷̺̉t̵̤̒e̵͈͑ ̶͎̔c̵͔̏'̷̚͜è̵̖̃ ̴̭͆a̵̹̿n̴̉͜c̵̙̒ō̵͉r̴̙͊ä̷̭́ ̷̤̏d̷̺̆ọ̷̄m̷̳̉ą̴̉n̷̡͆ḯ̸̢,̶͈͋ ̴̘̈́p̸͔͋a̵̢͠ṕ̷̪à̵̘͐.̷̟͛ ̷̜́ Le parole si trasformano in un presagio oscuro, pronunciate con un tono che non lascia spazio a speranza, ma solo a disperazione. In quel momento, mentre la creatura che un tempo era Astrid avanza verso di me con movimenti che non appartengono più a un essere umano, una consapevolezza crudele e definitiva si insinua nel mio cuore. Comprendo, con un dolore lancinante che mi strazia l'anima, che la mia bambina, la mia piccola Astrid, è sparita per sempre. Non è la mutazione del suo corpo a dirmelo, né le parole distorte che escono dalla sua bocca. È qualcosa di più profondo, un legame spezzato che nessun padre dovrebbe mai sperimentare. Mi rendo conto che anche se riuscissi a riportarla indietro, a strapparla da questa trasformazione orribile, nulla potrebbe mai cancellare il ricordo di questo momento, il ricordo di averla vista trasformarsi in un mostro.

    Il dolore si mescola alla disperazione, creando un vortice emotivo che mi risucchia, mi annienta. Mi sento impotente, vinto, come se ogni speranza di ritrovare la mia dolce Astrid fosse stata strappata via insieme alla sua umanità. Il legame indissolubile che ci univa, fatto di amore incondizionato, di risate condivise, di sguardi che solo un padre e una figlia possono scambiarsi, è irrimediabilmente compromesso. E in quel momento, una parte di me muore insieme alla consapevolezza che la mia bambina è sparita, inghiottita da un abisso di oscurità e terrore.

    Quando la creatura mi raggiunge, mi aspetto dolore, terrore, disperazione. Invece, ciò che segue è il vuoto, un nulla assoluto che sembra avvolgermi, isolarmi da ogni sensazione. È in questo vuoto che trovo un rifugio momentaneo dal dolore, una pausa dal terrore che mi ha consumato.

    Poi, all'improvviso, mi risveglio.

    Il risveglio nel mio letto, madido di sudore, è come tornare a galla da un mare in tempesta. Il battito del mio cuore rimbomba nelle orecchie, troppo forte, troppo reale. L'oscurità della mia camera sembra riflettere l'oscurità dell'incubo appena vissuto, ma è la solitudine a pesarmi di più. La consapevolezza che era solo un sogno non porta sollievo, perché il dolore, il senso di perdita, sono dolorosamente reali. Mi sento vuoto, come se l'incubo avesse eroso qualcosa dentro di me, lasciandomi meno intero, irrimediabilmente cambiato.

    E mentre mi sforzo di riprendere fiato, di calmarne il battito disordinato, un senso di tristezza profonda si insinua nel mio petto. È una tristezza che va oltre la paura di aver perso Astrid nell'incubo; è il dolore per la perdita di ogni innocenza, di ogni purezza che la sua figura rappresentava nella mia vita. Realizzo che, anche sveglio, la paura di perderla, in un modo o nell'altro, mi accompagnerà sempre. L'incubo ha lasciato una cicatrice, un segno indelebile che mi ricorderà sempre di quanto sia fragile la felicità, quanto prezioso il tempo che passiamo con le persone che amiamo.

    Resto lì, nel buio della mia stanza, cercando di ricomporre i frammenti del mio cuore infranto, sapendo che l'alba porterà una nuova giornata, ma non necessariamente il sollievo dal dolore che porto dentro. La lotta per mantenere viva la memoria di Astrid, per non lasciare che l'oscurità dell'incubo macchi la purezza del nostro legame, è nuovamente iniziata. E in questo momento di profonda tristezza, ricordo che ogni giorno è una sfida, un passo avanti nel tentativo di ritrovare la luce, la speranza, in un mondo che, dopo l'incubo, sembra irrimediabilmente più oscuro.

    ~

    Rodorio un tempo era un villaggio piuttosto accogliente. Situato ai piedi del Santuario, è incastonato in una valle verde, circondata da montagne imponenti, un paesaggio che richiama l'ideale di bellezza naturale della Grecia classica. L'Armageddon ha strappato via ogni segno di civiltà e impegno nel tener vive le tradizioni, eppure non è impossiibile scorgere la caratteristica architettura della tradizione ellenica, con strade acciottolate che serpeggiano tra edifici, raccontano alcuni superstiti, una volta costruiti in pietra locale e intonaco bianco, spesso accentati da travi in legno e balconi ornati di fiori colorati. Le case, con i loro tetti inclinati coperti di tegole rosse, si affacciavano su strade strette, creando un'atmosfera intima e accogliente. Le abitazioni erano tipicamente a uno o due piani, con porte e finestre in legno, e piccoli cortili interni o giardini dove gli abitanti coltivavano piante e fiori, testimoniando un legame profondo con la terra e le sue stagioni.

    Al centro del villaggio si trova ancora oggi una piazza principale, luogo di incontro per gli abitanti e fulcro delle attività comunitarie. Ormai adibito a campo profughi e colmo di tende di fortuna e abitazioni ricostruite al meglio, un tempo qui si potevano trovare piccole botteghe, caffè all'aperto e piccole chiese e templi minori, riflettendo la spiritualità poliedrica del nostro mondo. La piazza ospitava mercati, feste e riunioni, diventando il cuore pulsante di Rodorio, dove si intrecciavano le vite quotidiane degli abitanti.

    Rodorio non era solo un rifugio per i cavalieri in cerca di riposo o guarigione; era anche casa di artigiani, commercianti e famiglie, le cui generazioni hanno vissuto all'ombra del Santuario per secoli. Tra questi, vi era chi offriva servizi essenziali ai cavalieri e ai pellegrini: fabbri che riparavano qualunque cosa e qualunque metallo ordinario, guaritori e erboristi con conoscenze antiche di piante medicinali, nonché osti che offrivano riposo e ristoro.

    Non nego che, prima della devastazione su scala globale, avrei avuto una qualche difficoltà ad ambientarmi in un posto così lontano dalle mie tradizioni nordiche, dalla mia Oslo e da tutte le mie guadagnate facilità. Ora, invece, non potevo aspettarmi rifugio migliore. Con l'Armageddon Rodorio si è trasformata profondamente, diventando un luogo che riflette sia la resilienza umana sia le profonde cicatrici lasciate dalla catastrofe. Il paesaggio una volta idilliaco e le strade pittoresche del villaggio sono ora segnate dalla devastazione: edifici parzialmente crollati o completamente distrutti, strade dissestate e macerie sparse ovunque, testimoni del violento sconvolgimento che ha colpito la regione. Le case tradizionali, un tempo simbolo di un'esistenza tranquilla e legata alla bellezza naturale circostante, sono ora ridotte a ruderi o comunque rimesse su per garantire quanto meno un riparo sicuro agli abitanti rimasti. I tetti di tegole rosse sono crollati, le facciate in pietra e intonaco sono squarciate da crepe profonde o erose dalle fiamme, e i giardini un tempo curati sono ora ricoperti da detriti o trasformati in terreni aridi, dove la vegetazione fatica a riprendersi.

    Al posto del centro vivace del villaggio, con la sua piazza mercato e i caffè all'aperto, si ergono ora campi profughi estesi, un mare di tende di fortuna e ripari improvvisati. Questi accampamenti sono costituiti da materiali di recupero: teli di plastica, pezzi di metallo, tessuti e altri detriti trasformati in ripari contro gli elementi. La vita in questi campi è un po' dura, con le risorse scarse e le famiglie che lottano quotidianamente per ottenere cibo, acqua potabile e cure mediche.

    Nonostante la devastazione, Rodorio è anche un testimone della resilienza e della speranza umana. Tra le rovine, piccoli segni di ripresa e solidarietà emergono. Comunità di sopravvissuti si riuniscono per condividere risorse, organizzare squadre di ricerca e salvataggio, e costruire infrastrutture di base come pozzi d'acqua o cucine comunitarie. Artigiani e fabbri, le cui botteghe sono state distrutte, lavorano ora all'aperto, riparando utensili e creando oggetti necessari per la vita quotidiana nel campo.

    I bambini giocano tra le tende e le rovine, simbolo di una nuova generazione che cresce in un mondo radicalmente cambiato, ma che trova ancora spazio per la gioia e l'innocenza. Murali e simboli di speranza vengono dipinti sulle superfici ancora intatte, riflettendo il desiderio della comunità di guardare al futuro con speranza, nonostante le avversità.

    Rodorio, dopo l'Armageddon, è un luogo di contrasti profondi: distruzione e costruzione, disperazione e speranza, perdita e resilienza. È un microcosmo dell'umanità stessa, che lotta per ricostruire e trovare un nuovo significato nell'ombra di una catastrofe che ha cambiato il mondo per sempre.

    E io, nella quiete opprimente di un Rodorio distrutta e ricostruita alla meglio, mi rendo conto che son trascorsi già sei anni. Sei.
    I miei giorni si susseguono tra le macerie di ciò che era un tempo un luogo pieno di vita e speranza. Ogni alba che mi sveglia dal sonno inquieta mi ricorda la realtà in cui mi trovo: un maestro improvvisato per bambini che la Corruzione ha reso orfani, uno dei tanti custodi delle speranze in un mondo che sembra aver dimenticato come sognare.

    La mia nuova esistenza si dipana in giornate fatte di piccoli gesti e grandi responsabilità. Insegno a questi giovani sopravvissuti non solo le basi dell'istruzione tradizionale, come la matematica e la lettura, ma anche le competenze necessarie per affrontare la vita in un mondo infranto. Gli insegno a pescare nelle acque torbide dei fiumi che ancora scorrono tra la vallata, a cacciare nelle foreste, entro i limiti all'interno del Santuario, che il cataclisma ha reso ancora più selvagge, a trovare acqua e a purificarla per renderla potabile. Ma soprattutto, cerco di insegnare loro a mantenere viva la speranza, a credere in un domani migliore, anche quando tutto sembra perduto.

    Tra i bambini che considero ormai come miei figli, ci sono alcuni che hanno lasciato un segno indelebile nel mio cuore. Alia, undici anni, occhi che hanno visto troppo, è diventata la mia destra; mi aiuta a gestire i piccoli, a distribuire il cibo, a tenere accesa la fiamma della comunità. Nikos, nove anni, con una passione per la meccanica che lo rende capace di riparare ciò che a molti sembrerebbe irrecuperabile, e Lys, cinque anni, il più piccolo, che mi segue come un'ombra, i suoi occhi pieni di ammirazione e fiducia incondizionata.

    Le mie giornate iniziano con l'alba e sono dense di insegnamenti, di giochi, di storie raccontate attorno al fuoco che accendiamo ogni sera. È in questi momenti che sento più forte il peso della responsabilità che grava sulle mie spalle: sono diventato il faro che guida questi bambini attraverso la tempesta, la roccia su cui possono trovare riparo.

    Non sono solo però in questo viaggio: Kael, un ex soldato, è al mio fianco, proteggendo la nostra piccola comunità con un coraggio che ammiro profondamente. Un tempo un guerriero valoroso al servizio di Atena, ha visto troppo dolore e troppa distruzione. Quando Rodorio fu devastata, si trovò a dover riscoprire il suo scopo in un mondo che sembrava aver perso ogni speranza. La sua abilità nel combattimento, un tempo impiegata per confrontarsi con i nemici più temibili, è ora dedicata a proteggere ciò che resta della nostra comunità. Ma Kael ha compreso che la difesa non può limitarsi al presente; deve anche preparare il futuro. Così, ha iniziato ad addestrare giovani che, nonostante la devastazione che li circonda, bruciano del desiderio di diventare Cavalieri al servizio della Dea, aspirando a indossare una delle sacre armature. L'addestramento che Kael offre non è solo fisico. Va ben oltre la semplice preparazione al combattimento. Insegna ai ragazzi il valore della disciplina, il significato profondo del sacrificio, e l'importanza della lealtà. Vuole che comprendano che essere un Cavaliere di Atena significa molto più che indossare un'armatura; significa portare avanti un ideale, difendere la giustizia e proteggere gli innocenti, anche a costo della propria vita.

    Tra i frammenti di Rodorio, Kael ha allestito un'area di addestramento. Utilizza quanto resta delle strutture per creare percorsi di allenamento, dove i giovani apprendisti possono mettersi alla prova, sviluppare la loro forza, la loro velocità e la loro abilità strategica. Ma, soprattutto, imparano a cadere e a rialzarsi, perché Kael insiste sul fatto che ogni caduta è una lezione, ogni sconfitta un'opportunità per crescere. Nonostante la gravità del compito che si è assunto, Kael sa trovare momenti di leggerezza. Le sue lezioni sono spesso intervallate da racconti delle sue avventure, delle battaglie che ha combattuto. Queste storie, ricche di eroismo ma anche di riflessioni, diventano per i giovani aspiranti Cavalieri fonte di ispirazione e di insegnamento. Kael vuole che capiscano che ogni Cavaliere ha affrontato momenti di dubbio e di paura, ma che è stato il coraggio di andare avanti, la fede nei propri ideali, a renderli veri eroi.

    Uno degli aspiranti Cavalieri che più si distingue sotto la guida di Kael è Orion, un ragazzo dallo spirito indomabile, che ha perso la sua famiglia nella stessa catastrofe che ha devastato Rodorio. In lui, Kael vede una determinazione che ricorda la sua, un potenziale che va solo indirizzato. Orion è quasi un figlio adottivo per Kael, che vede nell'impegno del ragazzo non solo la speranza per il futuro dei Cavalieri di Atena, ma anche una possibilità di redenzione per sé stesso, per le battaglie che non ha potuto vincere.

    L'opera di Kael, tuttavia, non si ferma all'addestramento fisico e morale. È profondamente convinto che il vero potere di un Cavaliere derivi dalla sua capacità di connettersi con il cosmo, la forza vitale che permea ogni cosa. Dedica quindi una parte significativa dell'addestramento all'ascolto interiore, all'apertura del cuore e della mente alle energie cosmiche. Vuole che i suoi allievi imparino a sentire il cosmo che li circonda, a dialogare con esso, perché solo così potranno aspirare a indossare una delle sacre armature e a diventare veri protettori dell'umanità sotto la guida di Atena.

    Appassiona persino me, che non sono più un ragazzino da tanto, tanto tempo.

    E poi c'è Sira, l'infermiera che ha trasformato una tenda in un rifugio per le ferite del corpo e dell'anima, offrendo conforto e speranza a chi ne ha più bisogno. Prima dell'Armageddon, lavorava in un ospedale della città, dove le sue abilità e la sua dedizione erano riconosciute da tutti. Quando il cataclisma ha sconvolto il mondo, ha visto crollare non solo le strutture fisiche intorno a lei, ma anche l'ordine sociale e sanitario che aveva dedicato la sua vita a sostenere. Tuttavia, invece di arrendersi alla disperazione, Sira ha trovato una nuova missione: aiutare a ricostruire non solo i corpi, ma anche gli spiriti di coloro che sono stati feriti dal caos.

    Con quello che ha potuto salvare dalle rovine dell'ospedale e con le donazioni sporadiche che arrivano dai Cavalieri sopravvissuti o da altre comunità, Sira ha allestito una tenda che funge da clinica improvvisata. Qui, con un misto di scienza medica e rimedi naturali, cura ferite, malattie e afflizioni. Ma la sua medicina va oltre il fisico. Sira possiede un raro dono di ascolto e di empatia che permette alle persone di aprirsi, condividere le loro storie, i loro dolori, trovando in lei non solo un'abile infermiera, ma una vera e propria guida spirituale. Sira sa che molte delle ferite che cura sono invisibili: la perdita, il trauma, il dolore dell'addio hanno lasciato cicatrici profonde nelle anime dei sopravvissuti. Così, oltre ai suoi doveri medici, dedica tempo a parlare con i suoi pazienti, a incoraggiarli, a far loro vedere oltre l'immediato orizzonte di sofferenza. Sotto la sua cura, molti trovano la forza di affrontare i loro demoni interiori, di trovare una nuova direzione nella vita, nonostante il mondo intorno a loro sia a pezzi.

    Una delle storie più toccanti legate a Sira è quella della piccola Elia, una bambina che ha perso la vista a causa di una scheggia volante durante uno degli attacchi che hanno devastato Rodorio. Sira ha preso a cuore il caso di Elia, dedicandole non solo le sue competenze mediche, ma anche il suo tempo personale. Ha insegnato alla bambina a navigare il mondo in modi che non richiedono la vista, a usare gli altri sensi per "vedere" il mondo intorno a lei. La loro relazione va ben oltre quella tra infermiera e paziente; Sira è diventata per Elia una figura materna, un faro di speranza e di sicurezza.

    Nonostante il peso delle responsabilità che porta sulle spalle, Sira mantiene un atteggiamento positivo, convinta che ogni piccolo gesto di cura contribuisca a tessere la trama di una nuova realtà per Rodorio. Crede fermamente nella resilienza dello spirito umano e nella capacità delle persone di ricostruire e rinascere, anche dalle situazioni più disastrose.

    La sua figura è diventata emblematica della capacità di Rodorio di resistere e rinascere. I suoi sforzi incansabili non solo aiutano a guarire le ferite del presente, ma gettano anche le fondamenta per una comunità più forte e più unita in futuro. Sira, con la sua infinita bontà e dedizione, dimostra che anche nei momenti più bui, l'umanità può trovare una via verso la luce, guidata dalla compassione e dall'amore incondizionato per il prossimo.

    Insieme, formiamo un nucleo inattaccabile, la prova vivente che anche nel dolore più profondo può nascere qualcosa di buono.

    La sera, quando il sole tramonta dietro le rovine del Santuario, ci ritroviamo attorno al fuoco. È il momento in cui la comunità si unisce, condividendo storie di tempi migliori, ma anche piani per il futuro. Racconto ai bambini delle gesta degli eroici Cavalieri del nostro Santuario, dei loro sacrifici per proteggere l'umanità, cercando di ispirare in loro la stessa forza e determinazione. Spero che, attraverso queste storie, possano trovare la luce anche nei momenti più bui. È chiaro che alcune di queste storia non corrispondano proprio alla realtà, dopotutto da semplice "civile" non ho accesso a tutte le reali informazioni in merito a certe questioni, ma negli anni ho imparato a produrre storie realistiche, con l'aiuto di Kael e Sira.

    E ogni notte, prima di abbandonarmi al caldo tepore del sonno, scrivo. Il mio diario, pieno di note, riflessioni, e disegni dei bambini, è il testimone silenzioso di questa nostra quotidianità. Ogni pagina è una testimonianza della nostra lotta per mantenere vivo il ricordo di ciò che eravamo e della speranza in ciò che potremmo diventare. È diventato il mio compagno più fidato, un luogo dove posso confidare i miei dubbi, le mie paure, ma anche i miei sogni per un futuro che mi ostino a credere possibile.

    Mi aiuta a tener viva la memoria della mia Astrid. La mia bambina.
    Ogni pagina custodisce un pezzo della mia anima, segnata irrimediabilmente dal sacrificio più grande che un padre possa affrontare: la perdita di sua figlia. La sua assenza è una ferita aperta che non smette mai di sanguinare, un vuoto incolmabile che tento disperatamente di colmare con parole incapaci di esprimere pienamente il mio dolore.

    Astrid era la mia luce, la speranza di giorni migliori, la promessa di un futuro che ora sembra irrimediabilmente perduto. Ricordo con straziante chiarezza il giorno del suo sacrificio, un atto crudele destinato a proteggermi, a donarmi forza in un mondo dilaniato dalla Corruzione. Un momento che frantumò il mio mondo, lasciandomi solo con il rimorso di non aver potuto fare nulla per salvarla. Il silenzio che seguì il suo sacrificio riecheggia ancora nelle mie orecchie, un monito costante della mia perdita.

    Nei momenti di solitudine, scrivo a lei, lettere che so non potrà mai leggere. Le racconto della vita a Rodorio, dei bambini che crescono sotto la nostra ala protettiva, delle piccole vittorie e delle grandi sfide che ancora ci attendono. Le confido i miei pensieri più intimi, le notti passate a scrutare il cielo alla ricerca di un segno del suo sorriso tra le stelle, i giorni in cui la mancanza della sua presenza si fa insopportabilmente palpabile.

    Queste pagine sono diventate il mio rifugio, un luogo dove posso affrontare il mio dolore, ma anche dove posso coltivare la speranza che il sacrificio di Astrid non sia stato vano. Rifletto sulla possibilità che la sua perdita possa essere stata il prezzo da pagare per un domani migliore per tutti noi, per un mondo dove tragedie simili non abbiano più ragione di esistere. Desidero che la memoria di Astrid serva da faro per la nostra comunità, un monito a non dimenticare mai il valore della vita e la necessità di lottare per un futuro dove il sacrificio umano non sia la risposta.

    Nel mio diario, mi impegno a tenere viva la memoria di mia figlia, non solo per me stesso ma anche per coloro che un giorno leggeranno queste pagine. Astrid non deve essere ricordata come una vittima, ma come simbolo di coraggio, speranza e della resilienza dell'animo umano. Attraverso le mie parole, tento di costruire un ponte tra il passato e il futuro, testimoniando il potere inestimabile dell'amore e della memoria contro le forze dell'oblio. Questo diario è il mio modo di lottare contro la perdita, di affermare che, nonostante tutto, il ricordo di Astrid brillerà eterno, guidandoci verso un domani dove l'amore trionfa sul dolore.

    ~

    Il risveglio da quell'incubo ricorrente mi lascia sempre un retrogusto amaro, un misto di sollievo per averlo sfuggito ancora una volta e di tristezza per i ricordi dolorosi che evoca. Le immagini di Astrid che si trasforma e si dissolve in un mostro mi perseguitano ancora, anche mentre la luce dell'alba filtra attraverso le fessure della tenda, annunciando l'inizio di un nuovo giorno. Oggi non mi aspetta la solita routine di insegnamenti e cure per i bambini di Rodorio; oggi inizio un nuovo capitolo, lavorando per questa donna ai confini della città.

    Mentre mi vesto, i miei pensieri sono rivolti a ciò che mi aspetta. Conosco bene il convento, un edificio che, nonostante le ferite inflitte dalla distruzione, rimane un baluardo di speranza e resistenza. Ma lavorare lì, contribuire attivamente al benessere e all'educazione dei bambini sotto la guida di questa donna, mi fa sentire come se stessi percorrendo un sentiero nuovo, illuminato da una luce diversa.

    Assicuro al mio fianco il coltello, più per abitudine che per reale necessità, e riempio lo zaino con tutto ciò che potrebbe servirmi: acqua, cibo, materiali didattici. Non dimentico il mio diario, testimone silenzioso del mio dolore e delle mie speranze, che intendo portare con me come un promemoria della forza che Astrid mi ha donato.

    Prima di lasciare il campo, scambio alcune parole con Kael. La sua presenza, la sua forza, mi rassicurano come sempre. Gli assicuro che sarò attento e che questo nuovo incarico non mi distoglierà dalla nostra missione comune: proteggere e educare i bambini di Rodorio, offrendo loro un barlume di normalità in un mondo capovolto dal caos. Dirigendomi verso il convento, sento il peso della responsabilità sulle mie spalle, ma anche l'emozione per questa nuova sfida. Non conosco particolarmente la donna che ha richiesto il mio aiuto, ma pare trattarsi di una figura materna per i molti orfani che ora chiamano il convento la loro casa. La mia speranza è di poter contribuire, anche solo in minima parte, al suo lavoro, portando le mie competenze e la mia esperienza a supporto di questa causa nobile.

    Il cammino verso il convento mi dà tempo per riflettere. Penso a come ogni passo mi allontani fisicamente dal campo, ma mi avvicini ancor di più alla comunità che stiamo cercando di ricostruire. Oggi non è solo il mio primo giorno di lavoro per questa donna; è un passo verso la realizzazione di un futuro migliore per tutti noi, un impegno a non lasciare che il sacrificio di Astrid sia stato vano. Con questi pensieri a guidarmi, avanzo determinato, pronto a intraprendere questo nuovo capitolo della mia vita a Rodorio.



    Eirik ~ Silver Scutum, IV ~ Energia Bianca


    Note ~ Non ho approfondito la figura della donna ma conto di farlo nel prossimo post, magari con qualche info in più nel caso :zizi:
     
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    La donna alza il braccio in cenno di saluto. I tratti mediterranei si muovono in un sorriso mentre avanza verso di te.

    I tuoi ragazzi te né hanno parlato, ma non la hai mai conosciuto personalmente anche e soprattutto perché il suo campo di studio umanista e archeologico raramente si incrociava con il tuo. Hazal era una ricercatrice e docente dell’università di Istanbul, ma come tutti l’Armageddon ha distrutto ogni possibilità di una vita come lo era in precedenza. Sia per le perdite di vite umane e legami, ma anche per quanto riguarda molte delle fondamentali.


    Ora con la sua famiglia vive a Rodorio esattamente come te, ma ha deciso che non era giusto che per i giovani orfani dell’orfanotrofio, o per i figli delle famiglie che stavano ricostruendo piano piano una parvenza di normalità o anche per adolescenti e adulti che non avevano concluso una istruzione adeguata di poter studiare e avere un luogo di ritrovo adeguato, non basandosi su lezioni a casa o piazza.



    Il signor Johansen, corretto? - dice con un sorriso luminoso e un dolce accento mentre ti porge la mano – la ringrazio per aver risposto alla mia chiamata, e per tutto quello che sta facendo per i ragazzini di Rodorio e il suo impegno nella comunità. Spero che accetterà l’incarico di aiutarmi con le lezioni, ma prego, le mostro il convento.



    Abbandonato da tempo, la struttura aveva ripreso nuova vita grazie al lavoro di tanta gente fra cui anche il marito della donna che ora era stato preso nel gruppo delle guardie cittadine come ti aveva accentato Kael. Tuttavia erano sotto organico, con letteralmente solo lei come insegnante fissa, e col numero di alunni che aumentavano, compresi molti di quelli che avevi già sotto la tua ala.



    Il futuro di questi ragazzi… ho una figlia, le voglio un bene dell’anima e per quanto sia una piccola palla di ottimismo che mi ha aiutato tanto a superare lo shock del… beh, di tutto, voglio che abbia un domani. Così come tutti.

    Accetterebbe quindi il lavoro di insegnante, per continuare a difendere quel futuro?






    Angolo Master:


    Ottimo, davvero molto bene mi piace quanto hai dato sulla caratterizzazione.

    L'unica cosa che consiglio (che hai già fatto, ma meglio ribadire) è non andare di caratterizzaione e inserire dettagli chiave su cose che sono palesemente in controllo del master. Di ogni cosa inserita da te narrativamente sei limitato solo dal setting, per PNG usati da me o da altri master consiglio di rimanere sempre vaghi per sicurezza.

    Ritornando al post, la donna si chiama Hazel ed è la madre del mio attuale PG, anche lei è un insegnante e ho pensato che sarebbe stato carino un team up fra voi due XD

    Descrivi la tua visita alla struttura, cosa provi e ovviamente se accetti o meno.


    Se accetti, puoi continuare con un montage dove narri qualche scena di insegnamento e rapporto con i ragazzini fino ad arrivare a una lezione all'aperto nei pressi di un antico tempio greco dedicato a un eroe senza nome con i ragazzini che ronzano e fanno domande. Concludi con Hazel che sembra preoccupata da qualcosa.


    Se non accetti, dillo semplicemente e poi mi inventò qualcosa nel prossimo post ;)



     
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    Raggiungo finalmente il luogo dell'incontro concordato, trovando la donna già ad aspettarmi. Strizzo un po' gli occhi per mettere a fuoco la sua figura, poi concludo di conoscerla già. La signora Hazel mi saluta con un cenno della mano, i suoi occhi profondi raccontano di notti insonni e di giornate cariche, ma il suo sorriso conserva ancora la traccia di un ottimismo indomito. È una donna di statura media, con un portamento eretto che le conferisce un'aria di dignità nonostante il caos circostante. La sua blusa azzurra, dal taglio semplice ma elegante, si abbina armoniosamente ai pantaloni neri di fattura sobria, e il cinturone alla vita non solo definisce la sua figura, ma sembra simboleggiare la sua capacità di mantenere insieme le cose in un mondo che cade a pezzi. I suoi capelli scuri sono raccolti in una treccia che le scende lungo un fianco, fermata da un fermaglio d'oro che, nell'austerità del campo, appare come un raro segno di normalità preservata.

    Signora Hazel, inizio, stringendole la mano con rispetto. ho avuto modo di notarla l'altro giorno mentre osservavo Nikos e Orion nella vecchia piazza del villaggio. Erano così concentrati a correre che quasi non ho notato sua figlia, che li sfrecciava accanto, una vera forza della natura. Le parole mi escono spontanee, e mentre le pronuncio, l'immagine di quella ragazzina che correva libera e selvaggia mi strappa un sorriso.

    La signora Hazel ascolta, e un velo di malinconia le attraversa lo sguardo. Sì, è la mia piccola tempesta. Dice, con un misto di orgoglio e preoccupazione. Ma parliamo di noi. Sono venuta a conoscenza del suo background matematico, Eirik. Un campo affascinante, anche se ben lontano dai miei studi umanistici e archeologici. Proprio per questo, ho una proposta per lei.

    Avevo sentito parlare tanto di Hazel dagli altri profughi, giù a Rodorio: portava in sé la profondità e la complessità di un mondo che sembra sia stato strappato via dalle pagine di un libro antico. La sua vita, prima che l'Armageddon stravolgesse ogni certezza, era dedicata agli ampi corridoi e alle sale solenni dell'Università di Istanbul, dove le sue lezioni sull'umanistica e l'archeologia attiravano menti curiose, assetate di conoscenza. Una donna che ha viaggiato attraverso le parole scritte, esplorando epoche e civiltà lontane con la facilità con cui altri percorrono le strade della propria città. Un'erudita, una studiosa, una ricercatrice appassionata, Hazel aveva dedicato la sua vita all'insegnamento e alla scoperta, aiutando i suoi studenti a svelare i segreti nascosti nel sottosuolo e nei testi polverosi, portando alla luce la saggezza dei secoli passati.

    La sua transizione da docente universitaria a insegnante e mentore in un orfanotrofio di fortuna a Rodorio è stata dettata non dalla scelta, ma dalla necessità. Eppure, nonostante la violenza del destino che l'ha colta, mi sembra che la sua dignità e la sua passione per la conoscenza non hanno mai vacillato. Anche in mezzo al disordine e alla precarietà, ha saputo trovare un senso, una direzione, e, soprattutto, ha mantenuto viva la sua vocazione di educatrice. La sua figura, con la sua treccia nera fermata dal fermaglio d'oro, è diventata un punto di riferimento per i ragazzi del villaggio, un simbolo di come la cultura e la civiltà possano sopravvivere anche alle prove più dure.

    E mentre parla, mi rendo conto che nonostante le nostre discipline diverse, condividiamo un terreno comune nel desiderio di sapere e di insegnare. Con un gesto eloquente, mi indica il convento dietro di noi e mi chiede se posso immaginare di affiancarla nell'insegnamento, di diventare il suo partner in questo viaggio educativo. Non ci sono altri maestri disponibili, spiega, e io non posso più gestire da sola tutti questi bambini, soprattutto in materie per cui non mi reputo qualificata.

    Guardo oltre lei, verso il convento che sta per diventare la nostra aula. Non posso fare a meno di pensare che ogni mattonella, ogni panca, ogni libro è un baluardo contro la barbarie che abbiamo vissuto. E mentre la mia mente vaga tra i ricordi e le possibilità, osservo la struttura con occhi nuovi.

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    Il convento è un edificio di pietra grigia, resistente al tempo e alle catastrofi. La struttura si erge solenne e silenziosa, sfidando il caos che ha consumato il mondo al di fuori delle sue antiche mura. Le volte alte e maestose raccontano una storia di fede e rifugio, una storia che ora si trasforma per abbracciare un nuovo capitolo di speranza e conoscenza. Entrando, il suono dei nostri passi rimbomba sul pavimento di pietra liscio, consumato dal passaggio di innumerevoli piedi prima dei nostri. Osservo le finestre: alcune sono prive di vetri, altre ancora mantengono frammenti di vetrate colorate che catturano la luce del sole, proiettando macchie di colore sui banchi di legno allineati di fronte a un altare trasformato in cattedra. Ogni banco, inciso con i nomi di bambini che cercano di lasciare il segno in questo mondo incerto, è una testimonianza della sete di apprendere che non è stata spezzata.

    I muri mostrano affreschi sbiaditi, scene di santi e protettori che sembrano vegliare sui nuovi inquilini del luogo. Alcuni spazi sono stati adibiti a biblioteca, dove scaffali di fortuna reggono libri recuperati, impilati con cura quasi devozionale. Qui, tra queste mura che hanno visto preghiere e ora vedranno lezioni, mi colpisce l'energia che si respira, una miscela di reverenza e rinnovamento. La signora Hazel mi guida attraverso i corridoi, mostrandomi piccole stanze adibite a uffici o a luoghi di ritrovo informali. Ogni angolo è stato sfruttato, ogni spazio è stato trasformato per accogliere la sua missione educativa. In una stanza, un piccolo laboratorio di scienze si improvvisa, con strumenti rudimentali che testimoniano l'ingegnosità dei sopravvissuti. In un'altra, mappe stese sulle pareti indicano non solo geografie terrestri, ma anche i paesaggi dell'animo umano che cerchiamo di esplorare.

    Mentre camminiamo, sento la presenza invisibile di coloro che hanno camminato qui prima di noi, i monaci che una volta hanno trovato solitudine e comunione tra queste mura. Ora è a noi che spetta il compito di trovare e nutrire un senso di comunità, di portare avanti una tradizione di conoscenza in un mondo che rischia di dimenticare la sua importanza.

    Usciamo all'aria aperta, e la signora Hazel mi rivolge nuovamente la sua domanda. La brezza mattutina mi accarezza il viso mentre rifletto. Osservo i bambini che giocano tra le rovine del villaggio, liberi e spensierati nonostante il peso del mondo che portano sulle spalle. Penso alla resilienza di Rodorio, che continua a essere un porto sicuro in un mare di incertezze. Penso alla responsabilità che sento nei confronti di questi giovani spiriti, al dovere di sostenerli, educarli, prepararli.

    Dopo una pausa che mi sembra sospesa nel tempo, annuisco. Accetto, dico con una voce che tradisce il mio impegno. Insegnerò con lei, Signora Hazel. E insieme, guideremo questi ragazzi verso un futuro che speriamo sia luminoso quanto il passato che cercano di ricordare.

    Accettando questo incarico, non accetto solo un lavoro, accetto una missione: quella di essere un faro nella nebbia per questi bambini, quella di contribuire, con tutto ciò che ho, alla costruzione di un nuovo mondo che sorga dalle ceneri dell'Armageddon. E mentre il sole sale sempre più alto, segnando l'inizio della nostra giornata, sento che la decisione che ho appena preso non è solo per me o per la signora Hazel, ma per tutti noi, per Rodorio e per la speranza che continua, ostinata, a fiorire tra le sue rovine.

    ~

    Ogni mattina, prima che il sole tocchi il picco del suo arco celeste, mi avvio verso il convento. Il cammino è un rituale, una processione solitaria tra le rovine che un tempo formavano le strade di Rodorio, ora non più che sentieri in un labirinto di memoria e distruzione. Con ogni passo, mi preparo mentalmente alle sfide didattiche che mi attendono, alle menti curiose dei ragazzi che aspettano di essere plasmate, educate, consolate.

    Arrivato al convento, il peso delle sue mura di pietra grigia sembra sollevarsi da me, sostituendo il senso di devastazione con uno di scopo. L'ingresso al convento è come attraversare un portale verso un altro mondo: qui, la corruzione e il caos sembrano distanti, tenuti a bada dalla forza silenziosa dell'istruzione e della speranza.

    Le lezioni iniziano con i rituali consueti: una preghiera per alcuni, un momento di silenzio per altri, un attimo di raccolta interiore che serve a ricordarci che, nonostante tutto, siamo ancora qui, ancora capaci di apprendere, di sognare, di crescere. Poi, mentre mi giro verso i ragazzi, vedo nei loro occhi l'aspettativa del giorno. Sono io a dare il via alle loro giornate, e porto questa responsabilità con orgoglio e trepidazione.

    Tra i miei studenti c'è il piccolo Theo, un ragazzino con un'insaziabile sete di sapere che fa sempre brillare i suoi occhi di un entusiasmo contagioso. Oggi, mentre esploriamo le meraviglie della geometria, vedo la scintilla di comprensione nel momento in cui traccia con precisione gli angoli di un triangolo sul suo quaderno.

    Signor Eirik, mi chiama, guardi, ho diviso la figura in due triangoli rettangoli più piccoli! La sua intuizione mi porta a spiegare il teorema di Pitagora, e mentre parlo, vedo l'illuminazione nei volti degli altri ragazzi: siamo tutti collegati da un invisibile filo di conoscenza che si tesse nella stanza.

    In un angolo, c'è Elise, che lotta con le equazioni. Le sue dita seguono le mie sulla lavagna mentre disegno numeri e variabili. La sua frustrazione è palpabile, ma poi, come un lampo attraversa il cielo di tempesta, arriva la comprensione, e il suo sorriso rischiarato è il mio più grande premio.

    Una giornata al convento è costellata di momenti simili, di piccole vittorie e grandi rivelazioni. E ci sono anche i momenti difficili, quando la realtà del mondo esterno irrompe nel nostro rifugio sacro. Una volta, durante una lezione di storia, un ragazzo, Marco, ha lasciato cadere il libro con un tonfo sordo, e all'improvviso il suono ha echeggiato come un colpo di cannone nelle orecchie di tutti noi. Per un istante, gli incubi della guerra ci hanno raggiunto, e ho dovuto porre da parte i miei appunti per abbracciare i ragazzi in un cerchio di conforto.

    Ma il tempo scorre, e con esso le lezioni si susseguono, fino a che il sole inizia il suo viaggio verso il tramonto, e noi concludiamo un altro giorno di apprendimento. Le risate e i racconti si intrecciano mentre lasciamo il convento, e ogni risata, ogni scherzo, ogni domanda lasciata sospesa nell'aria è una testimonianza della nostra resilienza.

    Oggi, come ogni giorno, lascio il convento con un senso di speranza rinnovata. Ogni lezione impartita, ogni domanda risposta, ogni curiosità soddisfatta è una pietra posata sul sentiero verso un futuro che siamo determinati a costruire. Nonostante l'ombra dell'Armageddon si allunghi ancora sul nostro mondo, noi, nel nostro piccolo convento trasformato, continuiamo a lottare per un domani che speriamo sia pieno di luce e di possibilità. Questa è la mia vita ora, insegnare, apprendere, vivere ogni giorno come se fosse un dono prezioso, perché in un mondo che ha visto così tanta distruzione, ogni istante di normalità è un tesoro da custodire.

    ~

    La freschezza dell'alba accarezza la mia pelle mentre mi dirigo verso le rovine di un antico tempio greco, che serve da sfondo insolito e maestoso per le lezioni di oggi. Questo luogo, una volta casa di divinità e di preghiere, è ora un'aula a cielo aperto per i miei studenti, un palcoscenico naturale dove la storia prende vita sotto il calore del sole mattutino.

    La luce gioca tra le colonne spezzate e le pietre erose, ricordando la grandezza perduta di un'epoca che sembra troppo grande e troppo lontana per essere contenuta nei libri di storia che maneggiamo ogni giorno. I ragazzi, i miei giovani discepoli della conoscenza, si aggirano tra le macerie con uno spirito di esplorazione che invidiai in segreto. La curiosità è una fiamma che arde vivace in ciascuno di loro, nonostante le ombre che la vita ha già gettato sul loro cammino.

    Oggi la lezione è dedicata a un eroe dell'antichità, il cui nome è stato perduto nel tempo, ma le cui gesta sopravvivono nella tradizione e nella mitologia. Questo eroe, di cui parliamo oggi, comincio, sedendomi su un frammento di colonna caduta, non era un semidio o un figlio favorito degli dei. Era, come ciascuno di voi, un essere umano, con tutte le fragilità e le forze che ci caratterizzano.

    Le loro figure si dispongono in un semicerchio davanti a me, alcuni seduti sui resti di pietre lavorate, altri in piedi, con lo sguardo che segue le mie mani mentre gesticolo, raccontando la storia dell'eroe. Le sue sfide non erano solo quelle delle battaglie, ma anche quelle del cuore e della mente. Affrontò mostri, sì, ma anche dilemmi morali che mettevano alla prova il suo spirito.

    Theo si avvicina con esitazione. Signor Eirik, ma come fece a non perdere la speranza di fronte a tali sfide? La sua domanda è un'eco delle loro storie personali, di sfide che ben conoscono.

    Sapeva che ogni prova era un passo verso la saggezza, rispondo, e che anche nel cuore della disperazione, ci sono lezioni da imparare, forze da scoprire. La speranza è una scelta, Theo, una fiamma che possiamo scegliere di tenere accesa, anche quando il vento cerca di soffiarla via.

    I ragazzi annuiscono, contemplando la lezione intrisa nelle loro anime. La discussione si anima, le loro domande si susseguono, affilate e penetranti come i raggi del sole che filtrano attraverso gli alberi.

    Ma un eroe può anche fallire, non è vero? interviene Sofia, una ragazza con gli occhi che riflettono la profondità del mare.

    Certamente, ammetto, e spesso è nel fallimento che l'eroe, o chiunque di noi, trova la sua vera forza. Fallire non è la fine del percorso, ma parte del viaggio verso qualcosa di più grande.

    La lezione procede, e mentre discutiamo dell'eroe e delle sue imprese, sento un cambiamento nell'aria, un sussurro sottile che mi distrae. Alzo lo sguardo e là, in lontananza, vedo la signora Hazel. La sua postura, di solito così composta, ora è piegata dall'ansia, e la distanza tra noi è punteggiata da un'urgenza che non so interpretare.

    Concludo la lezione con parole che spero possano rimanere impresse nei cuori dei ragazzi. Ricordate, ogni uomo può essere un eroe, con le sue azioni, con le sue parole, con le scelte che fa ogni giorno. Anche voi potete essere eroi, nel vostro piccolo, in questo mondo che ci chiede di essere coraggiosi ogni giorno.

    I ragazzi si disperdono lentamente, ancora assorti nei pensieri e nelle storie dell'antico eroe, mentre io, con passo rapido, mi avvio verso Hazel. Il cuore mi batte in petto per l'impellenza di scoprire che cosa abbia turbato così profondamente la sua solita calma. Signora Hazel! La chiamo già da lontano, che cosa è successo?


    Eirik ~ Silver Scutum, IV ~ Energia Bianca


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    Non riesco più a trovare tre dei bambini – disse. La faccia era pallida, gli occhi non ti guardavano ma vibravano in ogni direzione come per cercare un qualunque segno della loro presenza – Rob, Senna e Nikolai.

    Erano insieme a noi, un po’ indietro ma a distanza di occhio e ora non li vedo da nessuna parte.




    Se ti giri, puoi vedere che Hazel aveva ragione e mancavano all’appello quei tre ragazzini. I più avventurosi, esploratori e pronti a cacciarsi nei guai. Chissà nelle loro menti e discorsi innocenti ma comunque segnati da così tanti avvenimenti cosa li ha spinti ad allontanarsi.

    Rodorio era sicura così come tutta la zona del Santuario, ma molti pericoli, anche più mondani, potevano essere incontrarti allontanandosi man mano dai sentieri battutti dalle pattuglie. Rovine pericolanti, burroni nascosti dalla macchia mediterranea, foreste che andavano infittendosi e facendo perdere la via ai viandanti.

    Forse non cosi tanto per uomini e donne adulti, ma bambini?



    La lezione è terminata. Prendi gli alunni e portali alla scuola. Lì chiama qualcuno per perlustrare e cercarli… io andrò a cercarli.



    Stringe le mani sulle sue spalle con decisione mentre fissava un sentiero che andava verso un bosco dove li avete visti l'ultima volta guardare alcune statue rotte. Era decisa, convinta che sia la scelta giusta. Non iniziare subito la ricerca potrebbe farli allontanare ancora di più se il loro giro di esplorazione li avesse portati a perdersi, o peggiorare la situazione se fosse successo qualcosa di grave.

    E non avrebbe mai dato questa responsabilità sulle tue spalle.



    Donna coraggiosa… ma tu sei sopravvissuto vagando per boschi ancora più pericolosi.

    E non hai nessuno da cui ritornare.






    Angolo Master:


    Okay, sono arrivati i guai.

    Già normalmente è terrificante perdere di vista dei bambini, figuriamoci durante un mondo post apocalittico.

    Avete più o meno una zona dove pensate che si sono allontanati i tre, e Hazel dice che andrà lei, ma sappiamo che l'add è tuo non suo quindi do per scontato che decidi di fare a cambio.

    Descrivi la tua cerca con piccoli indizi lasciati involontariamente dai tre che ti spingono abbastanza lontano dalla zona "sicuramente sicura", inoltrandoti in un bosco fino a quando non vedi quello che sembra un antico posto di guardia completamente in disuso.

    Fra le macerie, dietro un muro, i bambini si stanno nascondendo da qualcosa di enorme. Molto umana, ma quasi bestiale nelle sue movenze mentre cerca annusando fra le pietre e le mura mezze cadute.

    Ai tuoi piedi, fra i durei, senti sotto la suola delle tue scarpe un vecchio scudo arruginito.

    Cosa fai? Ti faccio presente che non hai cosmo.

    Ma quei bambini sono in pericolo.



     
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    Non appena Hazel pronuncia quelle parole, sento il sangue gelarmi nelle vene. Tre bambini scomparsi — Rob, Senna e Nikolai. La notizia risuona nella mia mente come un tamburo di guerra, portando con sé un senso di urgenza che conosco fin troppo bene. I loro nomi mi echeggiano nelle orecchie mentre osservo Hazel. Il suo viso è teso, la paura dipinta su ogni linea e sfumatura. La sua voce, seppur ferma, non riesce a nascondere il tremore dell'ansia.

    I più avventurosi, mormoro quasi per conto mio, riflettendo su quelle parole. Era vero, quei tre erano sempre stati i primi a tuffarsi in ogni nuova impresa, spinti da una curiosità insaziabile e da un coraggio che molti adulti avrebbero invidiato. Dove li hai visti l'ultima volta, Hazel? Le chiedo, cercando di mantenere la calma, di essere il punto fermo che lei ora necessita.

    Alla sua indicazione, i miei occhi seguono il sentiero che si snoda verso il bosco, lo stesso che ora sembra inghiottire ogni speranza con le sue ombre minacciose. Le statue rotte di cui parla Hazel erano vicino a un'area che conosco bene, un luogo dove la natura ha iniziato a reclamare ciò che era stato una volta un vivace luogo di incontro. Ricordo di aver pensato più volte quanto quel sito fosse affascinante e insidioso al tempo stesso.

    Hazel inizia a muoversi verso il sentiero, il suo passo rapido e deciso, ma la fermo, posando una mano sulla sua spalla. Lascia che vada io, le dico con fermezza. Conosco quei sentieri meglio di chiunque altro qui, e tu hai bisogno di rimanere per coordinare le cose da qui. Organizzerò una squadra di ricerca e partirò immediatamente.

    Vedo l’esitazione nei suoi occhi, il conflitto tra il desiderio di agire e il riconoscimento della logica nelle mie parole. Alla fine, annuisce, la tensione sul suo viso si allenta leggermente. Grazie, Eirik. Stai attento. risponde, la sua voce impregnata di gratitudine mista a preoccupazione.

    Mi volto verso gli altri ragazzi, cercando di trasmettere una calma che non sento. Venite, dobbiamo andare a scuola, dico loro, cercando di mascherare la mia preoccupazione mentre li guido via dal sito. Una volta raggiunta la scuola, parlo rapidamente con alcuni degli adulti più capaci, organizzando una squadra di ricerca efficace e determinata. Rob, Senna e Nikolai sono scomparsi, spiego con urgenza. Sono stati visti l'ultima volta vicino al vecchio sito delle statue. Dobbiamo agire rapidamente.

    Mentre i volontari si radunano, prendo rapidamente l'essenziale per la ricerca: una torcia, una bussola, acqua extra, e alcune bende. Ogni preparativo è accompagnato da una crescente sensazione di responsabilità; non posso permettermi errori.

    Allora, partiamo subito. comando, guidando il gruppo verso i sentieri che si diramano dal convento verso la foresta. La mia mente è tesa, concentrata su ogni dettaglio del percorso che abbiamo davanti. Conosco bene questi boschi, ho camminato su questi sentieri innumerevoli volte, ma oggi ogni passo sembra pesare di più, ogni fruscio delle foglie suona come un segnale.

    Il sole era già alto quando partimmo, la luce filtrava attraverso le fronde degli alberi, disegnando chiazze di luce e ombra sul sentiero polveroso che conduceva alla foresta. Ogni passo che facevamo sembrava risuonare troppo forte nel silenzio, come se anche la natura trattenesse il fiato nell'attesa. I ragazzi, Rob, Senna e Nikolai, erano noti per la loro irrefrenabile curiosità e spesso esploravano i confini consentiti, ma questa volta avevano chiaramente superato ogni limite accettabile.

    Il sentiero si snodava sinuoso, conducendoci sempre più in profondità nella foresta. Gli alberi si facevano più fitti e l'aria più fresca e umida con il progredire della nostra marcia. Ad ogni svolta, scrutavo l'ambiente circostante in cerca di qualsiasi segno che potesse indicarci la direzione presa dai bambini.

    Il primo indizio fu una sciarpa leggera, appartenente a Senna, impigliata nei rovi bassi lungo il sentiero. Era strappata su un lato, segno che si era liberata di fretta per continuare la sua corsa. Hanno preso questa direzione, dico al gruppo, indicando il sentiero che si biforcava verso una zona più ombreggiata della foresta. La tensione era palpabile; ogni piccolo suono, il fruscio di un animale tra le foglie, il canto lontano di un uccello, sembrava carico di significati nascosti.

    Proseguiamo, seguendo il sentiero meno battuto, dove le impronte sulla terra morbida diventavano più evidenti. C'erano tracce di passi piccoli, frenetici, affiancati da altri più decisi e profondi, probabilmente di Nikolai, il più grande e audace del trio.

    Quando troviamo la borraccia di Rob, capisco che dovevamo essere vicini. Era abbandonata vicino a un grosso masso, il coperchio ancora aperto. Il mio cuore batteva all'impazzata mentre immaginavo le scene che potevano essersi svolte qui. Forse, in un momento di riposo, Rob aveva messo giù la borraccia per raccogliere qualcosa o semplicemente per prendere fiato, e poi, spinto dalla curiosità o da un improvviso spavento, l'aveva lasciata lì, dimenticata.

    Ora il sentiero diventava sempre più irto e selvaggio. Le radici degli alberi serpeggiavano attraverso il terreno come vene sporgenti, rendendo il cammino incerto e pericoloso. Le foglie sopra di noi si intrecciavano in una fitta canopia che filtrava la luce del sole in una danza di chiaroscuri che giocava sulla terra. Nonostante la bellezza selvaggia del luogo, l'ansia per la sicurezza dei bambini appesantiva ogni mio passo. Decido di accelerare il passo, guidando il gruppo con maggiore urgenza. Dobbiamo fare attenzione ma muoverci velocemente, dico, cercando di bilanciare la necessità di prudenza con la fretta di trovare i bambini. Ogni tanto chiamavamo i loro nomi, sperando in una risposta che ci guidasse direttamente a loro.

    Ad un certo punto, notiamo un altro indizio: una piccola figura di plastica, appartenente a Nikolai, che lui portava sempre con sé per fortuna. Era abbandonata su una piccola sporgenza di terra, quasi nascosta da alcune foglie secche. Era chiaro ora che i bambini avevano attraversato quel tratto, forse inseguendo qualcosa o esplorando più di quanto avessero pianificato.

    Infine, il sentiero ci conduce a un antico posto di guardia, i suoi resti erosi dal tempo ma ancora maestosi nella loro decadente grandezza. Era un luogo che evocava storie di tempi passati, di guardie che vegliavano sui confini di antichi regni. Dietro un muro parzialmente crollato, scorgo Rob, Senna e Nikolai. I loro visi sono tesi, gli occhi spalancati dalla paura mentre osservano qualcosa che non riesco a vedere. Seguo il loro sguardo e il mio cuore si ferma: una figura alta e imponente, dalle movenze quasi bestiali, sta annusando tra le pietre e le mura mezze cadute, cercando qualcosa, o qualcuno.

    La creatura che ci troviamo davanti, e che tiene in ostaggio i tre ragazzi supera ogni definizione di gigantesco che avrei potuto immaginare. Mentre ci nascondiamo nell'ombra delle sue enormi dimensioni, la mia mente cerca freneticamente di comprendere ciò che i miei occhi stentano a credere. È un essere di proporzioni mitologiche, i suoi arti sono lunghi e snodati, artigliati come quelli di una bestia preistorica, eppure la sua postura ricurva le conferisce un aspetto quasi umano, una grottesca parodia di un uomo.

    La sua pelle sembra fatta di cortecce e muschio, quasi a mimetizzarsi con l'antica foresta che ci circonda. Mi chiedo se sia un camuffamento naturale o il risultato di anni trascorsi in questo luogo incontaminato. Le sue spalle si curvano in avanti, e una testa disproporzionatamente grande pende in basso, occhi vuoti e neri che scrutano i dintorni con un'intelligenza che non riesco a definire. Osservo, il cuore che mi batte in gola, mentre la sua grande bocca si apre in una smorfia che potrebbe essere una specie di sorriso, o un ghigno.

    I muscoli delle sue braccia e delle sue mani tese sono visibili sotto la superficie della pelle, ogni movimento è una dimostrazione di potenza che il solo pensiero mi gela il sangue. Artigli affilati come rasoi scintillano debolmente nella luce filtrata dal fogliame sopra di noi, suggerendo la facilità con cui potrebbe strappare, distruggere, annientare.

    Complimenti, ragazzi, avete proprio esagerato. Tornate. Tutti. A casa. Qui ci penso io. Gli uomini esitano, i loro occhi spalancati fissano la creatura poi me, incapaci di muoversi. Ma tu... inizia uno di questi, la sua voce un sussurro tremante. Lo interrompo con un gesto deciso della mano. Io ho già perso tutto una volta; non posso permettere che succeda di nuovo. Non qui. Non a Rodorio, la nostra nuova casa. Le mie parole sono un misto di comando e supplica. Voi avete famiglie, avete qualcuno che vi aspetta. Io... io ho solo loro da proteggere. E voi.

    Reluttanti, il gruppo comincia a muoversi, lanciandomi sguardi indietro pieni di paura e preoccupazione. Assicuro loro che tutto andrà bene, anche se dentro di me cresce la tempesta dell'incertezza.

    Quando sono abbastanza lontani, mi volto nuovamente verso la creatura. Mi trovavo solo ora, di fronte a una situazione che metteva a dura prova ogni fibra del mio essere. I tre bambini, erano ancora nascosti dietro il muro diroccato, tremanti e incapaci di muoversi per paura di attirare l'attenzione della bestia. La loro immobilità era un coltello che mi lacerava l'anima. Dovevano sentirsi così isolati, così vulnerabili, e la mia incapacità di raggiungerli fisicamente amplificava la mia frustrazione e la mia ansia. Per placare i loro timori e far loro sapere che non erano soli, inizio a fischiettare dolcemente una melodia che spesso canticchiavo durante le lezioni per calmare la classe. Era una melodia semplice ma dolce, che speravo potesse portare un po' di conforto ai loro cuori impauriti. Sto qui, non temete, ho sussurrato abbastanza forte perché il vento portasse le mie parole ai loro orecchi senza attirare l'attenzione del predatore.

    Intanto, la creatura, con occhi che bruciavano di una fame primordiale, continuava a cercare, il suo naso alzato nell'aria per captare ogni possibile sentore. Dovevo pensare in fretta a un modo per distrarla e indirizzarla lontano dai bambini. Ma solo in quel momento, mi rendo conto di aver tralasciato un particolare. Sotto i miei piedi, la terra celava un segreto, un ricordo di epoche eroiche ormai svanite nel tempo. Sento la resistenza metallica e, chinandomi, scopro un oggetto che riaccendo per un attimo nella mia memoria le lezioni di storia che tanto amavo insegnare. Era uno scudo, non uno qualunque, ma un oplon greco, la cui superficie era ormai consumata dalla ruggine, ma le cui linee ancora parlavano della nobiltà del suo creatore.

    Mentre le mie dita percorrono la superficie corrosa, immagini di guerrieri e battaglie si affollano nella mia mente. Posso quasi sentire l'eco dei loro clamori, il tonfo sordo dei loro scudi che si scontravano, il rimbombo del metallo e il calpestio ritmato dei loro stivali sulla terra. Nel mezzo di questo antico bosco, circondato da macerie di una civiltà che una volta dominava il mondo conosciuto, non potevo fare a meno di sentirmi parte di qualcosa di più grande di me. Questo scudo, testimone di tante vite e storie, ora giaceva nelle mie mani, un ponte tra il passato e il presente.

    Mi alzo, impugnando con rispetto lo scudo. Di fronte a me, la creatura continua a cercare, ignara della mia scoperta. La sua presenza è così inquietante e maestosa, ricordo di quanto la Corruzione possa essere spaventosa nella sua unicità. Con lo scudo al mio fianco, mi concentro sulla creatura, cercando di decifrare i suoi movimenti, di prevedere il suo comportamento. Dovevo attirarla lontano dai bambini senza esporre nessuno di noi a un pericolo maggiore. Dovevo essere astuto come Ulisse, valoroso come Achille, deciso come Leonida.

    Decido quindi di sfruttare lo scudo non solo come difesa ma come diversivo. Avrei iniziato a picchiarlo con un sasso, creando un ritmo costante e intrigante. La creatura, attratta dal suono, avrebbe probabilmente distolto lo sguardo dai bambini e iniziato a spostarsi nella mia direzione. Mi sarei dunque allontanato cautamente, mantenendo la distanza ma assicurandomi di tenere la sua attenzione fissa su di me. Ogni passo sarebbe stato misurato, ogni movimento calcolato per non provocare un attacco improvviso. Se avessi attirato la sua attenzione e la creatura fosse venuta in mia direzione, io mi sarei diretto verso una parte di quell'antico posto di guardia, dove le colonne cadute creano un labirinto di pietre e ombre. Sembrava un luogo dove potermo muovermi agilmente, sfruttando il terreno a mio vantaggio. Una volta lì, avrei sicuramente pensato ad una via d'uscita, ma intanto i bambini si sarebbero trovati fuori dalla sua portata.


    Eirik ~ Silver Scutum, IV ~ Energia Bianca


    Note ~ Lasciato al condizionale ovviamente, non ho voluto esagerare con le ipotesi per non scontrarmi con la tua idea per il prossimo post, spero di non aver fatto errori!
     
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    [La creatura si ferma, prima incuriosita da quello strano fischiettare e poi dal rumore ritmico della pietra sullo scudo che hai preso in prestito da chissà quale antico soldato morto da tempo.

    Lascia stare i bambini e con passo che va quasi a tempo con il tuo battito inizia a seguirti… per poi aprire di scatto delle fessure tipo sacche sulla sua testa mostrando decine e decine di occhi con innumerevoli pupille che roteando si concentrano su di te.



    T̶̠͗̈́i̷̟̔̓ ̴̘͒v̴̝̻͊ę̴̾͝d̴̲͂͠i̸͛͜ă̶̞͈m̷̦̄o̴̰͖͑̚ – sussurra quasi divertita in una miriade di voci differenti, muovendosi di scatto verso di te in direzione del labirinto di colonne. Fai perdere facilmente le tracce mentre la figura scatta rompendo e facendo volare via i cumuli di rovine, cercandoti con urla stridule e doppie… fino a quando non senti altri urla.


    Il gruppo che ti aveva seguito poco prima correva in tua direzione, con alcuni decisamente feriti con sangue che scorreva giù, e molte teste che mancavano all’appello.

    Signor Eir… cough! - uno cerca di dirti qualche cosa, ma un tentacolo affilato gli taglia di netto la testa, mostrano un altro corrotto dietro di loro che lentamente gli sta inseguendo, attirato dal rumore e da questa concentrazione di persone in questa parte della foresta.

    Per quanto uomini coraggiosi e valorosi, poco potevano contro questa improbabile casualità. Forse rimanendo insieme avreste potuto gestire meglio la situazione. Ma ora non c’era spazio che non per agire e capire come salvare la tua e la loro di vita.



    L’unica via che riesci a scorgere è una sorta di piccola scarpata di roccia poco distante che ha una apertura naturale abbastanza stretta da far passare una persona alla volta. Se può avere una via di fuga non lo puoi sapere, ma meglio di niente.


    I sopravvissuti del gruppo scappano la dentro, lasciandoti dietro armato del tuo scudo con i due mostri corrotti che stanno caricando in tua direzione. Il più grande ti sta per lanciare un pugno dritto verso la tua testa mentre il più piccolo una sferzata di tentacolo dritta al braccio.



    La situazione sembra senza speranze, con te che morirai qui e ora senza poter salvare nessuno.


    Eppure, sai che non può finire così.

    Devi dimostrare cosa hai dentro di te.
    Cosi puoi ottenere con questa determinazione granitica che ti spinge a ergerti davanti a ogni difficoltà.

    Ad avere un domani.


    Come un piccolo Sole, una stella brilla dentro di te.
    Anche solo per un attimo, potrai fare un miracolo.






    Angolo Master:


    Sei riuscito ad allontanare il corrotto dai bambini, bene.

    Ora ti sta inseguendo, insieme a un suo collega attirato dal tuo gruppo che si stava allontanando e che ne ha già fatti fuori vari. Come scritto nel post, l'unica via di fuga che riesi a vedere e questa specie di scarpata di roccia fra gli alberi, una parete con un passaggio ababstanza largo da far passare una persona alla volta. Non riuscite a vedere una uscita, ma lì forse siete in trappola mentre fuori sicuramente siete morti.

    Tu chiudi il gruppo e rendendoti conto di come la situazione sia brutto, con i mostri che ti attaccano uno con un pugno alla testa e l'altro con un colpo di tentacol al braccio. Ma inizia in qualche modo a risvegliare dentro di te, anche solo per un attimo, una scintilla di cosmo che ti permette di fare una azione di difesa e una di offesa NON AUTOCONCLUSIVA come se disponessi del cosmo ad ENERGIA GIALLA.
    Consideralo quindi come un mini-duello di un post (quindi descrivi come ti difendi e come attacchi).

    Ovviamente termini dopo la tua azione di attacco.

    p.s. Ancora niente Gravità o Elettricità, ma puoi usare il cosmo per combattere con lo scudo se vuoi anche se alla fine del post sarà rotto e inutilizzabile.

    Enjoy



     
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    Per un attimo, la creatura sembra quasi incuriosita da quel suono insolito, un rumore che forse echeggiava come lontani tamburi di guerra nei suoi ricordi genetici. Il suo camminare cadenzato rispecchiava il battito ansioso del mio cuore, un passo dopo l'altro, come se ogni movimento fosse coreografato da un direttore invisibile. E poi, con un movimento repentino, quei segni che credevo fossero cicatrici sulla sua testa si aprono, rivelando dozzine di occhi, ciascuno con tante pupille che si girano e si concentrano su di me. È come se ogni occhio possa vedere una parte di me, come se insieme formino un essere capace di scrutare ogni angolo della mia anima.

    T̶̠͗̈́i̷̟̔̓ ̴̘͒v̴̝̻͊ę̴̾͝d̴̲͂͠i̸͛͜ă̶̞͈m̷̦̄o̴̰͖͑̚ Sussurra con una voce che è un coro di echi, una cacofonia che ronza attorno a me come un vento portatore di storie dimenticate. La sua risata mi sembra quasi divertita, come se giocasse con me in un gioco crudele che solo lei può comprendere pienamente. Si muove verso di me con una grazia che è tanto terrorizzante quanto affascinante, passando tra le colonne del tempio come un'ombra fra le luci. Non posso permettere che i bambini vengano scoperti, così mi sposto più velocemente che posso, usando il labirinto di colonne a mio vantaggio. Devo far perdere le mie tracce, guidare la creatura lontano da loro.

    Ma mentre mi muovo con cautela, urla giungono da dietro di me. Queste mi raggiungono, acute e penetranti, fendendo l'aria carica di una quiete illusoria che aveva regnato appena un attimo prima. Sono strilli strazianti che si conficcano nel profondo del mio essere, facendo echeggiare il terrore nelle mie ossa e congelando il sangue nelle vene. Mi immobilizzo, colto di sorpresa dall'improvviso coro di disperazione, e la consapevolezza di ciò che quegli urli significano scatena un istinto primordiale di difesa.

    Giro su me stesso verso l'origine di quel caos infernale, i sensi all'erta. La foresta, una complice silenziosa del nostro viaggio fino a questo tragico punto di svolta, è ora trasformata nel palcoscenico di un massacro. Il gruppo, che poco fa era ancora alla mia vista, incolume e intento a mettersi in salvo, ora si disperde in una fuga caotica, come un branco di cervi smarriti spinti dalla terribile certezza di essere braccati. Con i miei occhi vedo gli sventurati che corrono verso di me, il loro stato è disastroso: corpi martoriati, abiti intrisi di rosso vivo. Il terreno è una tela macchiata dai segni della loro agonia. Mi accorgo, con un nodo alla gola, che ci sono meno volti di quanti ne contassi prima, meno anime da salvare. Amici, conoscenti, semplici compagni di viaggio, sono stati strappati dalla vita, ridotti a meri numeri di un bilancio di guerra.

    Signor Eir... la voce di uno di loro si leva in un sospiro, carica di dolore e di un messaggio incompleto. Non fa in tempo a finire, perché un tentacolo affilato, emanazione di una creatura malefica che ci dà la caccia, lo colpisce con un colpo secco e brutale, troncando il flusso delle sue parole così come la sua esistenza. La testa cade, e con essa, ogni parola che avrebbe potuto dirmi.

    Vedo apparire, come un'ombra dietro l'ultimo frammento di luce, un altro mostro corrotto, richiamato dal clamore e dalla vita che ancora palpitava in questo angolo remoto della foresta. La mia mente vacilla nell'elaborare questa crudele ironia del destino: esseri tanto forti e nobili resi preda di una malvagità improvvisa e devastante.

    Il mio stomaco si contorce mentre la realtà della carneficina mi investe come un pugno. Ma nel profondo del mio animo, in quel luogo dove la paura non ha ancora estinto la fiamma della speranza, so che non posso cedere alla disperazione. Devo agire, e devo farlo adesso, perché non c'è spazio per l'indugio, non c'è tempo per l'incertezza. La salvezza di ciò che resta di noi, di ciò che ancora può essere salvato, dipende dalle decisioni che prenderò in questi brevi, tragici istanti. Con un misto di terrore e risolutezza che forse non sapevo di avere, mi metto in movimento. Ogni passo che compio è gravato dal peso delle vite che sono nelle mie mani, dal peso del futuro che ancora deve essere scritto nelle pagine della nostra storia. E mentre il terrore cerca di soffocarmi la gola, dentro di me cresce una forza che mai avrei creduto possibile. Sentire le urla, vedere il sangue, osservare la distruzione mi ha risvegliato, mi ha trasformato. Ora, di fronte all'impensabile, di fronte all'incubo che si sta svolgendo davanti ai miei occhi, non ho altra scelta che incarnare l'eroe di cui ho parlato nelle mie lezioni, di diventare l'uomo di cui Rodorio ha bisogno.

    E mentre faccio fronte all'orrore, vedo la creatura che si avvicina. È un essere di proporzioni inimmaginabili, una forma che sfida la ragione: un mostro intessuto di muscoli e tenebre, con tentacoli che si alzano come colonne di un tempio oscuro al cielo, becchi alla loro estremità che gocciolano di un liquido viscido e lucido come olio. I suoi arti posteriori sono pilastri deformi che reggono una massa che sembra sfidare le leggi della fisica, e il suo incedere è un rimbombo sordo che risuona nel mio petto.

    Mi osserva, e io osservo lui, un'entità che trascende la comprensione umana, una manifestazione di un incubo che credevo confinato alle pagine dei libri di mitologia. Il mio respiro si fa affannoso, il panico bussa ai confini della mia determinazione, ma io lo respingo, perché so che la paura non può dominarmi ora.

    Ora Urlo, e la fuga dalla seconda creatura inizia.
    Una fuga disperata, infinita, estenuante ma vitale. E in questa tumultuosa fuga dal caos, i miei occhi scansionano freneticamente l'ambiente per una via di fuga, una scappatoia, una speranza. E allora la vedo, quasi nascosta alla vista da una cortina di rampicanti e fogliame: una scarpata di roccia. Il mio cuore, per un battito, s'immobilizza — è un varco stretto, appena abbastanza largo per un uomo, una ferita nella facciata della foresta che potrebbe condurre alla salvezza o alla rovina.

    La mia voce si alza, forte e chiara, sopra il fragore della paura che ci avvolge. Verso la scarpata! urlo, puntando verso il varco con la mano che non stringe lo scudo. Ora, muovetevi! Non è un consiglio, è un comando, la certezza che, tra la certa morte alle nostre spalle e l'incognita davanti, l'incognita è la scelta che dobbiamo fare. La mia mente calcola rapidamente la distanza, il tempo che ci vorrà per raggiungerla, la vulnerabilità di un gruppo in fuga. Mi giro per assicurarmi che gli altri mi stiano seguendo. Gli sguardi che incrocio sono colmi di terrore, ma anche di fiducia. Fiducia in me, nell'uomo che ha assunto il comando nel momento di maggiore disperazione. Inizio a correre verso la scarpata, facendo segno a tutti di seguirmi. Corro come non ho mai corso, i miei polmoni bruciano per lo sforzo, le gambe mi spingono in avanti con una forza che sembra nascere dalla stessa terra sotto di noi. Sento gli altri dietro di me, il rumore dei loro passi disordinati, il suono della loro lotta per la vita.

    Raggiungiamo la base della scarpata, e l'apertura nel terreno ci accoglie come la bocca di un gigante che dorme. Un per uno, aiuto i miei compagni a salire, incoraggiandoli, spingendoli, tirandoli su quando necessario. Ogni membro del gruppo che passa è un altro piccolo trionfo, un altro destino sottratto alle grinfie della creatura che ci insegue. Infine, quando l'ultimo di loro è al sicuro oltre il passaggio stretto, mi volto per affrontare i nostri inseguitori. Mi piazzo davanti al varco, lo scudo sollevato, il corpo pronto. Sono l'ultimo baluardo tra loro e la creatura, raggiunta poi dalla prima, tra la vita e una morte certa. La mia determinazione è un muro invisibile che si alza insieme allo scudo, e in quello sguardo, nell'attimo prima che la battaglia cominci, sono tutto ciò che si frappone tra la mia gente e la distruzione.

    Con la scarpata alle mie spalle e il terreno irregolare sotto i piedi, sto lì, in trepida attesa. I miei occhi sono fissi sulla creatura colossale che si staglia davanti a me, un leviatano di un'era dimenticata, e sull'altra più piccola, con i suoi tentacoli che sibilano nel vento come bandiere di guerra. La creatura più grande inalza il suo braccio, e con la maestosità di un monte che si sgretola, sferra un pugno. Il tempo sembra rallentare mentre il colpo si avvicina, e io, con l'ultimo barlume di energia, sollevo lo scudo. La mia mente è in tumulto, un vortice di paura e risolutezza. Le vibrazioni dell'attacco mi scuotono fino al midollo, ma reggo. Reggo perché non posso fare altrimenti.

    Nel frangente in cui respingo l'attacco, un altro pericolo sfreccia verso di me: un tentacolo nero, lucido e affilato, punta al mio braccio scoperto. Sentire l'aria tagliata dal suo movimento è come ascoltare il fischio di una freccia – sai che sta arrivando, sai che potrebbe essere la fine.

    Il colpo mi colpisce al braccio, una morsa di dolore che tenta di strapparmi via la tenacia, ma proprio in quell'istante un'immagine di Astrid, mia figlia, lampeggia davanti ai miei occhi, e con essa il ricordo di una promessa non detta, di una protezione che trascende l'esistenza stessa.

    [FLASHBACK] Il sole tramonta dolcemente sulle terre di casa, tinge il cielo di un arancione acceso che riflette la quiete del giorno che finisce. Il profumo dell'erba tagliata si mescola con quello della terra umida sotto i nostri piedi. Astrid, la mia piccola, corre verso di me tra le spighe di grano, le sue risate cristalline si diffondono nell'aria come musica. I suoi capelli, più dorati della luce del sole che sta per spegnersi, fluttuano al vento mentre le sue braccine si aprono in cerca di un abbraccio.

    Mi piego per accoglierla e la sollevo, facendola girare in aria. Papà, dice con la voce piena di quella fiducia incrollabile che solo i bambini posseggono, sei il più forte di tutti, vero? Gli occhi grandi e speranzosi cercano i miei, cercano quella conferma che per lei è quanto di più importante possa esistere.

    Rido, il cuore pieno di un amore così grande che mi pare possa scoppiare. Certo che lo sono, rispondo, e sai perché? Perché ho la super forza che mi dai tu ogni giorno. La metto giù delicatamente e mi accovaccio per essere al suo livello, per guardarla negli occhi. E tu, principessa, sei la mia piccola eroina. La tua risata e il tuo amore mi rendono l'uomo più coraggioso del mondo.

    Astrid ride ancora e mi abbraccia forte, con tutta la forza che i suoi piccoli bracci possono esprimere. Tu brilli, papà, come un Sole! E quando sei con me, non ho paura di niente! esclama con una sicurezza che mi scuote l'anima. Le sue parole, così semplici e così pure, sono il mio baluardo contro ogni avversità.

    Quel momento, immerso nella luce dorata del crepuscolo, con il sorriso di mia figlia come il più splendente dei faro, si incide nella mia memoria. È un ricordo che porterò sempre con me, che brilla come un faro anche ora, quando le tenebre sembrano chiudersi intorno.

    Ogni volta che la paura tenta di sopraffarmi, ogni volta che il dubbio cerca di insinuarsi, ripenso a quella serata, a quelle parole. Astrid ha creduto in me, e ora è il mio turno di onorare quella fede, di essere l'uomo che lei sapeva che ero, l'uomo che devo essere per tutti coloro che contano su di me. [FLASHBACK]

    In quell'istante di disperazione, con la vita che penzola sul filo dell'abisso, chiudo gli occhi per una frazione di secondo. Mi trovo di nuovo in quell'infinito campo dorato, dove la risata di Astrid riempie l'aria, dove lei mi guarda con occhi pieni di assoluta fiducia. Brilli come un Sole, papà, dice, e quelle parole risuonano in me con la potenza di un mantra. Il ricordo di Astrid è più di un semplice flash nella mia mente; è un fuoco che arde, è il nucleo del mio spirito che rifiuta di arrendersi. I bambini del convento, i sopravvissuti di Rodorio, ciascuno di loro mi guarda con la stessa fiducia che Astrid aveva in me. Sono tutti figli miei ora, tutti aspettano che il loro Sole li illumini attraverso l'oscurità.

    Cos'è... questa sensazione? Vengo travolto da un insolito calore, e la mia mente comincia a riempirsi di strani pensieri. Che si tratti del Cosmo? La sorgente di vita, il fuoco interiore che risiede in ogni essere vivente. L'energia che trascende la fisica, un potere che si risveglia nel cuore quando si è sotto pressione, quando si lotta con passione e si protegge ciò che è caro. In questo momento di prova definitiva, posso sentire anzi, sento il cosmo dentro di me, come se il legame con mia figlia e la sua fede incrollabile avessero acceso la scintilla che dormiva nelle profondità della mia anima.

    Perché poteva trattarsi soltanto di questo.

    Il cosmo si risveglia come una stella che esplode nel firmamento, un nuovo sole che scaccia la notte. Il calore cresce nel mio petto, diffondendosi in ogni fibra del mio essere. Sento il flusso della sua energia riempire ogni angolo del mio corpo, ogni pensiero della mia mente. I miei muscoli tremano non più di paura, ma di potenza incontenibile. Apro gli occhi, e il mondo mi appare diverso: i colori sono più vivi, l'aria pulsa con la promessa di un potere inesplicato.

    Con il cosmo che fiammeggia dentro di me, mi erigo fiero, di fronte alle creature. La paura si è trasformata in una determinazione di ferro. Sento il cosmo fluire nei miei arti, incanalando la mia volontà in un atto di difesa e di sfida.

    Il dolore nel braccio è acuto, reale, ma il ricordo di Astrid mi avvolge come una corazza. Sono Eirik, il padre di Astrid, l'uomo che lei credeva fosse il più forte del mondo. E in questo momento, con le vite di così tanti che dipendono da me, non posso permettermi di essere meno di quello che lei vide in me.

    Con un ruggito che attinge da un luogo profondo e primordiale, respingo il dolore e la paura. Con uno scatto improvviso, ruoto il corpo, spostando lo scudo in una posizione che mi protegge, che diverte l'affondo della creatura e mi dà la possibilità di contrattaccare.

    In questo scontro disperato, la volontà di proteggere il mio gruppo, i bambini, Rodorio – tutto ciò che mi rimane – diventa la mia forza, la lama del mio spirito. E in questo momento, sono tutte le cose che mia figlia ha detto di me: forte, coraggioso, un bagliore nel buio, un Sole che sfida la notte. E non cederò, perché nel ricordo di Astrid, nel suo sorriso che conservo dentro di me, ho trovato il motivo per lottare fino all'ultimo respiro.

    Il dolore lancinante del braccio ferito è un promemoria crudo della mortalità che mi lega a questo mondo terreno, ma ora, nel pieno del cosmo che ribolle nel mio petto, sento quella mortalità trasfigurarsi in qualcosa di simile all'invincibilità. La pelle mi brucia con il potere delle stelle antiche, e nei miei orecchi rimbomba il coro del cosmo, quella melodia universale che solo i guerrieri di Atena possono comprendere.

    L'agilità concessa dal cosmo mi aveva fatto schivare l'affondo del tentacolo con una grazia impensabile solo istanti prima. Sono un danzatore nel bel mezzo di una battaglia cruenta, un acrobata che sfugge alla morsa della morte con un'astuzia conferita dalla luce delle costellazioni. Lo scudo che tengo però, che una volta fu mio baluardo e arma, ora mostra i segni delle sue battaglie ultime. I colpi subiti ne hanno frantumato l'integrità, lasciandomi con due metà spezzate. Ma nel cuore del conflitto, ogni pezzo rotto è un'opportunità, un'arma forgiata dalla necessità e dal desiderio impellente di protezione.

    Sento il calore del cosmo avvolgermi, ed è come se il mio corpo si muovesse con la memoria di mille battaglie passate. Con un urlo che è una dichiarazione di sfida e di sfida, prego perché il cosmo si incanali nelle mie vene, e la forza che ne deriva mi renda più leggero, più rapido, quasi sovrannaturale. I miei movimenti sono una danza furiosa, un balletto di vendetta e coraggio. Lancio le due metà spezzate dello scudo come dischi volanti, con l'intento di recidere le radici stesse dell'oscurità che minaccia di inghiottirci. Ogni lancio è preciso, ogni movimento è fluido, guidato dalla luce della mia rabbia e dalla precisione della mia speranza.

    Il primo frammento vola, tagliente come la lama più affilata, girando nell'aria con una traiettoria calcolata per colpire la bestia colossale al collo, nel punto in cui la carne diventa vulnerabile. La seconda metà segue un sentiero simile, mirato al compagno più piccolo ma altrettanto mortale, la sua traiettoria una promessa di fine.

    Sono ora in attesa, il mio corpo teso in ascolto. L'azione non è conclusa, la battaglia non è vinta, ma ho mosso le mie pedine con la destrezza di chi conosce profondamente il gioco della guerra. Sento il cosmo pulsare attorno a me, una tempesta che attende di esplodere nel suo pieno potenziale. E mentre aspetto di vedere l'esito delle mie azioni, so che, qualunque sia il risultato, ho risposto all'appello del destino con tutto ciò che avevo, con ogni fibra del mio essere. Ho risposto come un guerriero, come un padre, come un uomo che ha scelto di essere una luce, un Sole, per tutti coloro che ha giurato di proteggere.


    Eirik ~ Silver Scutum, IV ~ Energia Gialla


    Note ~ Spero di aver azzeccato le dinamiche di gioco, nel caso scrivimi pure!
     
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    Scorgi qualcosa nelle due creature, qualcosa che nella loro aliena coscienza che non riesce ad essere chiara come potrebbe in un essere umano o anche un animale, ma a te sembra sorpresa quando la morte non ti prende con il loro attacco, e come il tuo scudo rotto diventa un’arma nelle tue mani.


    Non è cosi resistente, ma l’impatto da solo è in grado di provocare danni visibili a entrambi i corrotti che cadono a terra pesantemente. Gli schizzi di sangue nero spillano ovunque, sporcando i tronchi degli alberi e l’erba attorno in un astratto quadro di morte.


    Sei vivo, come non mai in anni. Ti sembra che ti sei ricordato come si vede e ci sente dopo una vita al buio e con cotone attorno alla testa… ma è una sensazione passeggera. Immediatamente i muscoli del tuo corpo iniziano a farti male, cosi come il braccio martoriato.


    Hai risvegliato il cosmo, ma solo per un istante… e ora ritorni un umano normale, dopo aver stretto un Sole fra le tue mani.



    Ghghghiii.. ghghghgiiii…




    Un verso ti penetra le orecchie. Il sangue dagli alberi e dal terreno come una melma striscia verso i due corpi che in spasmi sconnessi si muovono l’uno verso l’altro unendosi e rialzandosi in una orrida combinazione fra i due. Ferito, ma ancora vivo, con il sangue nero che come una nebbia malsana inizia a penetrare nelle tue narici e bocca a ogni respiro, cosi nella tua pelle.

    Ti gira la testa, inizi a vedere doppio e la stanchezza si unisce a spasmi ai muscoli… questo è il vero potere di un Corrotto, caos della vita che porta a orrori senza fine.


    Le grida di felicità degli uomini alle tue spalle però ti fa sperare. Almeno loro hanno trovato una uscita, si sono forse salvati. Il tempo che hai usato è stato utile, il miracolo che hai compiuto non sprecato. Quali pensieri potresti avere? Sollievo? Paura? Rimorso?


    Gli artigli della belva corrotta cadono su di te, veloci, quasi non li vedi, e…
















    Le dita cadono. Cosi come la mano e parte del suo avambraccio.


    Il mostro si gira e qualcosa, talmente veloce che non riesci e percepirla, disegna una linea nera sulla sua testa che si divide in due parti perfette senza neanche spillare sangue.


    L’ultima cosa che vedi prima di perdere i sensi sono gli occhi ambrati di una donna e un sorriso sadico. Qualcosa te la fa rendere ancora più spaventosa dell’essere appena morto.

    gwendar-17136500142681



    Good On Ya, mate!
    Certo che meni duro per essere un pivellino!
    Gwhahahahahahah!!! Ci sarà da divertirsi.





    […]






    Le familiari luci della sala di un ospedale ti accolgono nuovamente. Sei fasciato delle tue ferite, e qualsiasi cosa stesse accadendo a causa del sangue di quelle belve, ha smesso.
    Ma, continui a sentirti strano dopo aver assaporato per pochi attimi la presenza del cosmo dentro di te. Come una mancanza, una parola sulla punta della lingua che non ti viene.

    Tuttavia, prima che tu possa fare o dire niente, uno scricchiolio di una sedia attira la tua attenzione, cosi come una donna familiare, seduta scomposta mente dondolava in modo poco elegante ondeggiando una lattina di una sottomarca di birra.



    Hoi mate! Dormito bene? - sorseggia la birra gustandone il gusto, per poi porgertela - ne vuoi un po'? Il risveglio cosmico può essere una grande rottura, ma c'è di peggio... come schiattare a causa di quei mostri.

    Non preoccuparti, sia i mocciosi che i tizi che non sono stati sventrati stanno bene. Grazie la dea o chi per lei che mi trovavo nei paragi, Gwhahahahahahah!!!



    Posa tutte le gambe della sedia sul pavimento, interrompendo quel rumore ritmico e fastidioso. Ti guarda fissa, con i suoi occhi ambrati da predatrice in modo quasi affabile anche se non prometteva niente di buono.


    Il nome è Gwenda, se te lo chiedi. Se ti chiedi altro, spara pure.





    Angolo Master:


    I tuoi attacchi hanno effetto, ma il risveglio cosmico è temporaneo e quindi dopo un po' perdi l'energia gialla e ritorni un essere umano normale, pronto a subire danni velenosi dai corrotti fusi insieme tipo megazord.

    Grazie al cielo ti salva una tizia poco raccomandabile, prima che tu vada KO e ti risvegli in ospedale con la suddetta tipa.

    Ovviamente, interagisci come meglio credi, ricorda solo che sei relativamente ferito e senza cosmo.



     
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    Nel fragoroso silenzio che segue la tempesta della battaglia, mi ritrovo con il petto che si solleva e si abbassa in affannosi respiri. La mia ultima speranza si è materializzata nel volo delle due metà del mio scudo, che ha colpito con precisione inaudita. Guardo, quasi incredulo, mentre le due figure imponenti, che poco fa sembravano imbattibili, vacillano sotto l'impatto delle lame improvvisate. I colpi hanno trovato il loro bersaglio, squarciando la pelle dura come la corazza di un guerriero antico, lasciando che un liquido oscuro e denso si riversi sul suolo.

    Sembra sangue, ma è nero come l'inchiostro della notte più scura, un fluido che si addice a queste aberrazioni della natura. Le creature cadono, i loro corpi colossali che si scontrano con il terreno in un tuono sordo. Restano immobili, e per un istante, il mio cuore osa sperare nella vittoria, nella conclusione di questa battaglia infernale. Ma la realtà di questa guerra si impone ancora una volta; la sensazione del cosmo che si era risvegliato nel mio petto, quella luce calda e confortante, comincia a sbiadire, a dissolversi come nebbia al mattino. Con la scomparsa di quel calore, la forza che mi ha sostenuto, che mi ha guidato attraverso lo scontro, svanisce. Un'ombra si insinua nelle mie vene, un gelo che segue il sentiero del dolore lasciato dall'affondo del tentacolo avvelenato.

    Sento le mie gambe tremare, un tremore sottile ma incessante che si diffonde. Il mio respiro diventa faticoso, ogni inspirazione è un lavoro, ogni espirazione una conquista. La ferita brucia con un ardore maligno, e intorno ad essa la pelle assume un colorito innaturale, le vene si disegnano in rilievo, pulsanti di un veleno che si propaga con una lentezza crudele. La stanchezza mi invade, una pesantezza che aggroviglia i miei pensieri e annebbia la vista. La testa mi gira, e l'ambiente intorno a me si muove in onde, come il mare in tempesta.

    Il sangue nero continua a sgorgare dalle carcasse delle creature abbattute, e con un orrore crescente, osservo le pozzanghere oscure iniziare a muoversi. Non si disperdono nel terreno, come mi sarei aspettato, ma si aggregano, si attraggono, come metallo al magnete. Lentamente, con una volontà propria, convergono verso un unico punto, si alzano in colonne liquide, una danza macabra e viscida. Davanti ai miei occhi increduli e stanchi, le colonne di sangue si fondono, diventano carne, si ristrutturano in un'entità ancora più orripilante di quelle che le hanno precedute. È un essere che sfida ogni legge naturale, un'abominazione di tentacoli e arti, con le ferite che ora sembrano bocche fameliche. La creatura che si erge ora davanti a me è un incubo vivente, un amalgama delle sue precedenti forme, più grande, più forte, un chimera di oscurita e furia. La sua statura è monumentale, sovrasta gli alberi che prima la nascondevano. Ogni tentacolo è ricoperto di quell'inchiostro vitale che sembra pulsare con una vita propria. Le ferite che ho inferto ora sembrano occhi, orribili sfere che mi fissano con un odio primordiale. La sua bocca è una voragine senza fine, denti come spade pronte a strappare, a distruggere.

    E io mi trovo qui, il guerriero stanco, il cosmo che mi ha abbandonato, il corpo che si arrende al veleno. La mia vista si annebbia ulteriormente, e con essa, l'ultima scintilla della speranza sembra vacillare. Ma nel profondo del mio cuore, un fuoco si rifiuta di spegnersi. È alimentato dal ricordo di Astrid, dalla sua fede in me, dalle promesse non pronunciate di protezione e perseveranza. Respiro profondamente, cercando di ignorare il dolore e la debolezza che minacciano di sopraffarmi.
    Il mostro davanti a me si muove, i suoi movimenti sono fluidi nonostante l'imponenza del suo nuovo corpo, una sinfonia di distruzione che si prepara ad esplodere in violenza. Ogni suo passo scuote la terra, e il suono è come il battito di un cuore oscuro e corrotto. Osservo questa nuova creatura, questa fusione di terrore, e sento dentro di me una ribellione, un rifiuto di cedere.

    Non posso permettere che questo sia la fine. Non qui, non ora, non con il ricordo di mia figlia che mi guarda, credendo in me, nel mio coraggio, nella mia forza. Stringo i pugni, ignoro il dolore che grida per attenzione, e con uno sforzo di volontà, cerco di raccogliere quel che resta del mio cosmo interiore. È un barlume, una fiammella tremolante nel vento, ma è tutto ciò che ho. Concentro la mia attenzione su quella scintilla, la nutro con ogni ricordo felice, con ogni momento di amore e di gioia che ho condiviso con Astrid, con i bambini del convento, con la gente di Rodorio. Li vedo nei miei pensieri, sento le loro voci, i loro sorrisi, la loro fiducia. E quella scintilla cresce, alimentata dalla determinazione di non deluderli, di essere l'uomo che mi hanno creduto di essere. Poi, con un'ultima riserva di forza, mi spingo in avanti. Il mio corpo può essere debole, ma il mio spirito arde brillante come il Sole di cui parlava Astrid. Con un grido che sfida il destino stesso, affronto la creatura. Non ho armi, non ho scudi, ma ho il mio spirito, il mio cosmo che, anche se debole, brilla con la promessa di lotta e resistenza.

    Affronto il mostro, muovendomi con tutto il coraggio che posso radunare. Ogni passo è un atto di sfida, ogni movimento una dichiarazione di guerra contro il buio che cerca di inghiottirci.
    Non so se sarò in grado di sconfiggere tale abominazione, ma so che non retrocederò, che combatterò fino all'ultimo respiro per proteggere ciò che amo, per onorare la memoria di mia figlia e per mantenere la luce che ha visto in me.

    Questo è il mio destino, il mio cammino scelto, il mio combattimento. Con il cosmo che brilla debolmente ma ostinatamente dentro di me, mi lancio contro la notte, contro il mostro, contro la fine, armato solo della mia volontà di non cedere mai.

    Stavolta, però, sono in errore.

    Non riesco a muovere un altro passo… La battaglia raggiunge intanto il suo apice disperato. La creatura, con un moto che incarna tutta la sua orribile grazia, estende un arto massiccio verso di me. Mi preparo, il corpo teso come l'arco di un guerriero, pronto a ricevere il colpo e a difendermi con l'ultima goccia di forza che mi rimane. Ma accade qualcosa di inaspettato: le dita del mostro vengono recise da una forza invisibile, come se la lama di un samurai avesse colpito con precisione chirurgica. Il sangue nero zampilla con violenza, macchiando il mio viso e lasciandomi senza fiato. La creatura emette un grido di dolore e sorpresa, un urlo che sembra strappare il cielo in due, e si gira bruscamente, come se avesse percepito la presenza dell'aggressore invisibile. I suoi movimenti disperati scuotono l'aria, e io non posso fare altro che seguire con lo sguardo la sua attenzione verso qualcosa che sbuca dalla sua mostruosa schiena.

    Come se una penna animata da uno spirito impetuoso disegnasse sul corpo del mostro, una linea si materializza sulla sua pelle. E netta, precisa e, per un istante, non c'è altro che quella marcatura. Poi, con la teatralità propria di uno show animato, quella linea si apre, dividendo la creatura in due metà perfette che si rovesciano al suolo con un clangore che echeggia nel silenzio che segue. Il mondo intorno a me diventa un tripudio di colori e suoni, come se stessi vivendo l'apice di un anime in cui il bene combatte il male in una lotta epica. Il suono del mostro che cade a terra è accompagnato da una sinfonia di effetti speciali che solo la mente può generare. Le due metà della creatura, sconfitte, giacciono ora a terra, immobili, e il terreno attorno si tinge di nero del loro sangue malefico.

    Mi ritrovo così, stordito e vacillante sull'orlo della perdita di conoscenza, il peso della battaglia e del veleno che scorre nelle mie vene mi trascina giù, verso il buio che chiama. Ma prima che il mondo intorno a me si dissolva, una figura emerge dalla foschia della mia coscienza che vacilla.

    Lei è lì, una presenza tanto inaspettata quanto salvifica, una figura umana che sembra strappata dalle pagine di una graphic novel. Con un cappello a falde larghe che getta ombre sui suoi lineamenti affilati, un sorriso sfacciato che le solca il volto e occhi color ambra che brillano di un'intensità che sembra catturare ogni raggio di luce, la sconosciuta mi guarda. Le sue labbra si muovono, pronunciando parole che il mio udito indebolito non riesce a cogliere. La sua voce è come un sussurro che si perde nel vento, una melodia dolce che mi sfugge. I suoi occhi non lasciano il mio sguardo, e nel suo sguardo intravedo una promessa, un messaggio che il mio cuore intuisce ma la mia mente non riesce a decifrare.

    E poi, il buio. Il mondo intorno a me sfuma, la figura enigmatica diventa una macchia stocata, e mi lascio andare all'inconsapevolezza, sprofondando in un'oscurità che mi avvolge come un mantello, portandomi lontano dal dolore, lontano dalla lotta, lontano...

    [FLASHBACK] La luce dell’alba filtra attraverso le tende sottili, disegnando striature dorate sulla pelle di mia moglie, Ylva, che riposa ancora, avvolta nelle coperte. Rimango a contemplarla per un momento, il suo respiro tranquillo è la musica più dolce, la melodia che ha accompagnato le mie giornate migliori. La luce gioca tra i suoi capelli come un artista che sceglie i fili per il suo prossimo capolavoro, ed io, in silenzio, mi sento il più fortunato degli spettatori.

    Mi distacco con cautela dal suo calore, muovendomi silenziosamente per non disturbare il suo riposo. Con passi lievi raggiungo la porta della camera di Astrid, socchiusa, e spio attraverso lo spiraglio. Lei è là, la nostra stella, avvolta nel suo mondo di sogni. I suoi giocattoli sono sparsi sul pavimento, testimonianza delle avventure della sera prima, e il suo morbido orsacchiotto giace accanto a lei, fedele guardiano notturno.

    Un sorriso mi si dipinge sul volto mentre mi avvicino al suo lettino. Lei si muove un po’, forse intrappolata in un sogno, forse conscia del mio sguardo protettivo. Mi inginocchio accanto a lei, poso una mano sui suoi capelli e sussurro, Buongiorno, prinsesse.

    Astrid si stira pigramente, gli occhi ancora appesantiti dal sonno. Papà? la sua voce è un filo di seta. Già alzato? La sua manina cerca la mia, un gesto così naturale che mi stringe il cuore.

    Si, piccola. rispondo, sorridendo. Sai, le stelle non dormono mai troppo, e nemmeno i papà. Lei ride a quel pensiero, e in quel suono trovo la conferma che ogni giorno che inizia è un dono prezioso.

    Ylva appare sulla soglia, il viso illuminato da un sorriso tenero. Lasciate che anche le mamme entrino nel regno delle stelle, dice, e la sua voce è calda come l'abbraccio che mi aspetta. Ci alziamo insieme, una famiglia in un momento perfetto di pace, ignari delle tempeste che ci aspettano fuori da quella stanza, fuori da quel tempo sospeso che siamo riusciti a creare.

    Ylva si avvicina, e con la grazia che la contraddistingue, raccoglie Astrid tra le braccia in un abbraccio che è il nostro rifugio sicuro. Come ha dormito la nostra piccola guerriera? chiede lei, con un tono giocoso che fa brillare gli occhi di Astrid.

    Bene! esclama Astrid, e il suo entusiasmo mattutino è contagioso. Ho sognato che volavo tra le stelle, e tu, mamma, eri la regina della luna, e papà era il guardiano del sole!

    Noi tre, custodi del cielo, rispondo io, ingigantendo la fantasia di mia figlia, volendo credere, se solo per un attimo, che il nostro amore potesse davvero elevare noi stessi e la nostra piccola famiglia a simili altezze celestiali.

    Ylva ci guarda, uno sguardo che contiene tutto l’amore del mondo. E allora, re e regina del cielo, che ne dite di una colazione da campioni per celebrare i nostri titoli nobiliari? La sua proposta è accolta da un’esclamazione di gioia da parte di Astrid, e da un sorriso complice da parte mia.

    Scendiamo insieme, con Astrid che racconta con fervore ogni dettaglio del suo sogno, e Ylva che annuisce e sorride, tessendo nella trama del nostro quotidiano quelle piccole magie che lo rendono unico. La cucina si riempie dei suoni e dei profumi della mattina: il bollitore che fischia, il pane che tosta, la marmellata che si spalma su una fetta croccante.

    La vita è così, penso, mentre ci sediamo tutti insieme al tavolo. È fatta di questi momenti di normalità e felicità condivisa, un'ancora che ci tiene saldi quando le acque si fanno agitate.
    Ogni sorriso di Astrid, ogni sguardo di Ylva, è un ricordo che si incide nel mio cuore, un tesoro che porto con me attraverso le tempeste della vita.

    Oh, Ylva, Astrid…[FLASHBACK]

    La coscienza si fa strada attraverso il torpore che avvolge i miei sensi, rompendo la barriera dell’inconsapevolezza con la delicatezza di una brezza mattutina che scivola attraverso una finestra socchiusa. Apro gli occhi, lentamente, e la luce soffusa e bianca di quella che sembra essere una stanza d’ospedale mi accoglie in un abbraccio gelido e asettico.

    Sono immerso in una confusione di lenzuola candide e muri dipinti di una sterilità impenetrabile, una vista che contrasta crudelmente con le immagini di caos e distruzione che affollano la mia mente. Ogni parte del mio corpo grida di un dolore sordo e persistente, mentre il respiro si trascina fuori dai polmoni in sibili faticosi.

    Mi esamino, lento e tentennante, riconoscendo il peso delle bende che avvolgono il mio corpo, fasce che sembrano tenere insieme non solo la mia carne ferita ma anche i frammenti della mia memoria. Mi muovo cautamente, e con ogni minimo spostamento, le fasciature stringono, ricordandomi le mie battaglie recenti. Sono un mosaico di medicazioni: una benda avvolge il mio torace, un’altra stabilizza il mio braccio colpito, ormai privo del veleno ma ancora pulsante di un formicolio strano, come se il flusso del mio sangue avesse ritrovato una via dimenticata.

    Il mio sguardo vagabonda, incerto, sulla stanza. È troppo pulita, troppo ordinata, quasi un insulto alla tumultuosa battaglia che ho lasciato alle spalle. Mi chiedo dove mi trovo. Sono ancora a Rodorio, o in un luogo sospeso tra realtà e fantasia? La domanda mi rimbalza in testa mentre il sibilo del monitor accanto a me sembra scandire il passaggio di ogni incerto secondo.

    La stanza è silenziosa, troppo silenziosa, dopo il fragore delle grida e lo strepito delle armi. Eppure, in questa quiete sovrana, sento ancora il braccio pulsare, testimone muto del formicolio che mi attraversa la pelle. La sensazione velenosa è svanita, sostituita da un fastidio che non riesco a interpretare, un segnale che il mio corpo invia e che mi sfugge. Forse è il cosmo che ancora danza in me, o forse è solo il riflesso di una luce che si è già spenta.

    Con la mente annebbiata dai farmaci e dal dolore, cerco di costruire un ponte tra il qui e l’ora e il ricordo sfocato della battaglia. I miei pensieri sono tronchi di un albero abbattuto, frammenti di legno che galleggiano alla deriva su un fiume torbido. La mia memoria cerca di afferrare le immagini sfuggenti, di dare loro un ordine, una forma, ma vengono interrotte da uno scricchiolio.

    È il suono di una sedia che si muove a destra del mio letto. Ruoto la testa con precauzione, sentendo le fitte di dolore percorrermi la spina dorsale. Lei è lì, la figura che mi ha salvato, o così credo. Seduta con un’aria di rilassata attenzione, le sue mani giacciono in grembo, e il suo sguardo è fermo su di me. Sotto il suo cappello a larghe falde si cela un sorriso che non capisco se sia di compassione o di complicità, e quegli occhi color ambra brillano di una luce che non so definire.

    Mi parla, e anche se le parole non riescono a raggiungere la superficie della mia coscienza, le sue labbra si muovono in una danza che sembra gentile. Un ronzio nelle mie orecchie mi impedisce di afferrare il significato delle sue parole, e mi aggrappo al filo della sua voce come un naufrago si aggrappa a una corda lanciata da una nave di passaggio. La tensione abbandona il mio corpo quando mi dice che i bambini e gli uomini del mio gruppo, quelli che sono rimasti, sono al sicuro. Un ondata di sollievo mi invade, ma non riesce a spazzare via la nebbia del dubbio e dell'incertezza. Mi presento a lei, ma il mio nome esce con la diffidenza di chi non sa se si sta esponendo a un amico o a un nemico. Mi chiamo Eirik, dico, e la mia voce è un filo teso di prudenza e di esitazione. Tento di cambiare posizione nel letto, cercando una forma di comfort che mi è negata. Il dolore mi assale con la ferocia di un predatore che attende il momento propizio per attaccare. Un grido strozzato mi sfugge dalle labbra e per un attimo la stanza oscilla intorno a me in un vortice di colori sfumati e suoni ovattati.

    Quando il dolore si ritira, lasciandomi sudato e esausto, fisso nuovamente la figura misteriosa.
    Chi sei? chiedo con una voce che ora è un sussurro affaticato. E perché eri lì, nel bosco?
    Eri un caso fortuito o c'è qualcosa di più?
    Le domande sono un fiume che mi scorre dalla bocca senza sosta, ma non cerco risposte;
    voglio solo sapere, comprendere.
    Mentre i pensieri corrono disordinati, le esprimo la mia gratitudine con un cenno del capo.
    Grazie per avermi salvato. sussurro. Nella mia mente si fanno strada i volti dei bambini che mi aspettano, delle famiglie delle vittime che meritano di conoscere la verità. Ogni viso è un monito che non posso ignorare, una responsabilità che mi grava sulle spalle come una croce che ho scelto di portare. Il gran sacerdote aspetterà probabilmente il mio resoconto, le mie parole per far luce sulle ombre di questo terribile evento. Devo parlargli delle vite perdute, delle speranze spezzate, ma anche del coraggio e della forza dimostrata da coloro che sono sopravvissuti. Devo rendere omaggio a chi non ce l'ha fatta e onorare il sacrificio che hanno compiuto, difendendo Rodorio e i suoi abitanti fino all'ultimo respiro.

    Un brivido mi percorre la schiena all'idea di alzarmi da questo letto, di affrontare quelle famiglie, di guardare negli occhi quei bambini.
    La promessa che vedo in loro, la stessa che un tempo vidi negli occhi di Astrid, mi impone di fare tutto ciò che è in mio potere per assicurare che il loro futuro non sia oscurato dallo stesso destino.
    E mentre ripenso al cosmo, alla sensazione straordinaria che mi ha attraversato come un fiume in piena, so che farei qualsiasi cosa per tornare a provare quel senso di potenza, di connessione. Mi sentivo vicino ad Astrid come non mai, e la luce di quella esperienza ha accarezzato la mia anima con una dolcezza che ora mi sembra un sogno irraggiungibile.

    Gwenda, sussurro il nome della mia salvatrice, ancora non del tutto certo se sia reale o se la mia mente, annebbiata dal dolore e dal veleno, abbia creato un bizzarro angelo custode per aiutarmi a superare l'insormontabile. Ma qualsiasi cosa sia stata, le sono debitore.
    Una serie di fitte mi corre lungo la spina dorsale quando cerco di muovermi, di trovare una posizione che non mi laceri il corpo con il dolore.
    Ma non c'è tregua, e mi costringo a stare fermo, a resistere all'impulso di alzarmi e di correre verso il convento, di assicurarmi con i miei occhi che tutti stiano bene.
    Devo vederli… sibilo attraverso denti stretti, la preoccupazione per i bambini e per i miei uomini che diventa quasi palpabile. Devo parlare con le famiglie… assumermi le mie responsabilità… Le parole si fanno più flebili, la fatica mi invade come un'ondata, e sento la consapevolezza scivolare via di nuovo verso un buio che stavolta sembra più dolce, meno spaventoso. Prima di cedere, lascio che un ultimo pensiero si formi nella mia mente: il desiderio di sentir fluire il cosmo in me un'altra volta, di provare ancora quella vicinanza a mia figlia, quel senso di completezza che mi ha dato la forza di combattere contro l'oscurità.

    E con quel desiderio che si attorciglia al mio cuore, mi lascio andare al richiamo del riposo, sperando di trovare nel sonno la chiave per risvegliare quel potere che ora mi sembra così lontano, ma che so di portare dentro, aspettando il momento giusto per risplendere ancora.


    Eirik ~ Silver Scutum, IV ~ Energia Gialla


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    i have no idea what i'm doing

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    Ridacchiando, la donna si alzò dalla sedia, non guardandoti negli occhi ma fuori dalla finestra.


    Un tempo ero altro. Ora sono una ranger al servizio del Grande Tempio.

    Non che la cosa mi piaccia, ma ora come ora loro hanno bisogno di qualche mano extra e io di un posto dove stare e qualche soldo. E lavorare con gli alchimisti neri o Atlantide non mi va. Non sono affidabili, mgari pagano meglio ma guai a non seguire tutte quelle loro stronzate.



    Poggia una mano sulla finestra per aprirla, chiudendo gli occhi e assaporando la luce calda diretta sulla pelle come potrebbe fare una lucertola o un serpente - Perché ero lì penso si risponda da solo: al momento tutti i big del Santuario con le loro armature pacchiane sono a fare altro e io ero a perlustrare i margini della zona sicura.

    Salvare gente che si spinge troppo oltre o rari corrotti che si avvicinano troppo dentro è quello che mi mette il pane a tavola. Se poi quello che vuoi chiamare destino si è messo in mezzo –
    ridacchiò – non penso che abbia l’aspetto di un profeta o di Frate Indovino, no Eirik?

    E non ringraziarmi… come detto, con questo ci vivo.




    Poi si blocca, e ti guarda questa volta. Come intuendo quello che stai pensando e quello che vuoi fare. Non muove un muscolo, ma annuisce alla tua richiesta, per poi lasciarti solo nella stanza in compagnia del tuo riposo e dei tuoi pensieri.


    Il giorno dopo, non sai come, ti sei già ripreso e Gwenda si fa trovare fuori alla clinica. Ti accompagna personalmente a trovare le famiglie di quelle persone morte. Non sai perché non ti abbia solamente indicato chi erano o dove abitavano.
    Forse voleva vedere che tipo di persona sei, o forse semplicemente non aveva di meglio da fare.


    Alcuni, non fanno storie e accettano le tue scuse, addirittura dicendoti di non preoccuparti e che sanno che il pericolo in questo mondo esiste anche dove si pensa di essere più al sicuro.
    Altri, non sono cosi gentili, e ti accusano di aver messo a repentaglio inutilmente la vita dei loro cari.


    E, senza neanche accorgersene, il Sole inizia a tramontare su Rodorio.



    Bene mate, direi che abbiamo completato la lista – disse Gwen, stiracchiandosi poco elegantemente – non so se la cosa ti abbia fatto stare bene o meno. A me solitamente non lo fa.

    La gente non vuole belle parole con dei fiocchetti sopra. Vuole andare a dormire la sera sapendo che il compagno, il pargolo, l’amico e il conoscente non finiscano sotto gli artigli di quei cosi.



    Ti lancia un bigliettino tipo dardo, che riesci a prendere facilmente. Il foglietto ha l'effige di alcuni serpenti con un indirizzo (o meglio, una indicazione per arrivare da qualche parte). Su due piedi, ti sembra una piccola casa in prossimità dell'inizio dei boschi, vero il limite nord-occidentale della zona più remota del villaggio.


    Insegnare ai bambini? Completamente cool. Quei mocciosi rischierebbero di mettersi pastelli dentro al naso per avere idee colorate, qualcuno che li controlli ha senso.

    Ma anche per qualche secondo, il cosmo si è risvegliato dentro di te
    – si toglie il cappello, grattandosi la testa nel darti le spalle mentre salta su un muretto stando in equilibrio – un po’ uno spreco a insegnare solo le frazioni.

    Se vuoi, posso aiutarti a concretizzare e stabilizzare questa cosa… completamente gratis.

    In cambio… magari un aiuto durante le mie battute di caccia. Uno che mi guarda la schiena senza essere distratto troppo dal mio divino lato B può essermi utile, gawawawawawawa!!!

    Se ci stai, domani arriva a casa mia.


    Cya, mate!



    E dicendo questo, senza neanche ce tu te ne possa accorgertene, in un battito di ciglia sparisce dalla tua vista, lasciandoti solo nella sera che avanza.






    Angolo Master:


    Ti risponde e il giorno dopo ti accompagna a incontrare le persone che hai chiesto.

    A fine giornata, ti propone un affare: ti insegna a usare il cosmo e lei si becca manodopera gratis per la sua attività di vigilanza dei confini di Rodorio.

    Se accetti, finisci quando arrivi a questa casetta (immagine indicativa).



     
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    Mi sveglio con il senso inquietante che qualcosa si è definitivamente spostato all'interno del mio essere. La pesantezza che ha oscurato la mia carne e il mio spirito è svanita, sostituita da una leggerezza che non osavo sperare di poter sentire di nuovo. È come se il mio corpo, in una sola notte, avesse compiuto mesi di guarigione. Ogni muscolo, ogni tendine, e soprattutto il braccio che il giorno prima era segnato dal veleno di quel mostro, sembra non solo recuperato, ma rinforzato, pervaso da una vitalità che non ricordo di aver mai posseduto.

    Mi siedo sul bordo del letto, cercando di fare il punto della situazione. Gwenda mi ha parlato, i suoi dettagli sulla sua vita come ranger, sul suo distacco dalle regole ferree del Santuario, e la sua considerazione sui pericoli degli alchimisti neri e i primarchi di Atlantide. Tutto ciò fa eco nella mia mente, ma sembra già così lontano. Verifico la mia capacità di camminare, di muovermi, e quando sono sicuro di poter lasciare la clinica, lo faccio senza indugio. Ma appena metto piede fuori, la trovo ad aspettarmi. Gwenda è lì, come se sapesse che questo è il momento in cui ho bisogno di lei. Mi ricorda il mio dovere, quello di affrontare le famiglie delle vittime. È un peso che devo sollevare da solo, ma lei insiste per accompagnarmi, e io non ho la forza di rifiutare un supporto che in quel momento mi sembra così indispensabile.

    Mi ritrovo quindi a percorrere il cammino tortuoso che conduce alle case di quelle famiglie, e mi rendo conto che è un viaggio che vorrei non dover mai affrontare. Al mio fianco, Gwenda cammina con una serietà insolita che la rende quasi irriconoscibile rispetto all'anima libera e irriverente che ho conosciuto. Lei conosce questo percorso, l'ha già percorso molte volte in passato, eppure ogni passo sembra pesare come se fosse il primo. Le case si susseguono una dopo l'altra, e con ogni porta che si apre, mi trovo di fronte allo sguardo di chi ha perso una parte del proprio cuore. Alcuni occhi sono pieni di lacrime, altri di una tristezza troppo profonda per manifestarsi con il pianto. Mi sforzo di trovare le parole giuste, ma la verità è che non esistono parole giuste per queste occasioni.

    Poi, arriviamo alla casa che mi era stata indicata con un tono carico di esitazione. La famiglia Hansen, mi aveva detto Gwenda, sarà la più difficile. Non aveva torto.

    La porta si apre e ci troviamo di fronte un uomo di mezza età con il volto scolpito dalla fatica e dagli anni, e una donna, forse sua moglie, con gli occhi già gonfi di pianto. Li saluto con rispetto, il cuore che mi batte così forte da far male. Sono Eirik Johansen comincio, la voce che mi trema nonostante i miei sforzi.
    La reazione è immediata e aspra. Irresponsabile! urla l'uomo, e ogni sillaba è un'accusa, un pugnale che si affonda nella mia carne. Li hai condotti alla morte, hai lasciato che seguissero il tuo orgoglio piuttosto che la ragione!

    Le parole mi colpiscono, e in un istante, ogni difesa che avevo costruito si sgretola. Il disagio che provo è tangibile, una colpa che mi si avvolge intorno come una nebbia densa. Mi sento esposto, nudo di fronte a una verità che temevo ma non volevo accettare.

    Gwenda rimane al mio fianco, una presenza silenziosa che mi offre un barlume di sostegno. Cerco di rispondere, di spiegare che ogni decisione è stata presa con il bene dei ragazzi in mente, che non avrei mai intenzionalmente condotto nessuno alla rovina.

    Ma l'uomo non vuole ascoltare, e le sue parole continuano a colpirmi senza sosta. Eroico, eh? sibila con amarezza. Ora ti senti un eroe dopo tutto questo? Ogni parola è una spina, ogni accusa una conferma delle mie peggiori paure. Sento il peso di ogni scelta, di ogni passo che ho fatto e che ha portato a questo momento. Lottando per mantenere la compostezza, mi scuso, la voce spezzata dalla commozione. Non c'è scusa che possa riparare alla vostra perdita, ammetto, e vivrò con questo peso per il resto della mia vita.

    Con uno sforzo sovrumano, mi trascino fuori dalla loro vista, sentendo il giudizio della famiglia Hansen che mi segue come un'ombra. Gwenda non dice nulla, ma la sua mano si posa brevemente sulla mia spalla, un gesto di conforto che non cancella il dolore ma mi aiuta a portarlo. Mentre mi allontano dalla loro casa, sento gli occhi di Gwenda su di me, e non so se pensare che anche lei sia lacerata dalla situazione, mascherando le sue reazioni con una determinazione di facciata, oppure se è ciò che semplicemente spero, nel tentativo di alleggerire per quanto possibile il dolore. Il silenzio che ci avvolge è pesante, ma necessario, poiché non ci sono parole per riempire l'abisso creato dalla tragedia.

    Il sole tramonta, tingendo il cielo di arancione e porpora, un quadro che sembra beffarsi del dolore che porto nel cuore. Una decisione si forma dentro di me: devo fare di più, essere di più per questa comunità. Per i bambini che aspettano un domani migliore, per le famiglie che hanno perso i loro cari, per me stesso.

    E mentre Gwenda scompare nel crepuscolo, lasciandomi con un indirizzo e una proposta, sento il peso di ogni possibilità e ogni scelta ancora non fatta gravare su di me. La sera si insinua tra gli alberi e i tetti di Rodorio, portando con sé un fresco che scompiglia le ultime note calde del giorno. Continuo a camminare, solo ora, verso la periferia del villaggio dove la foresta comincia a reclamare il suo dominio. Le istruzioni di Gwenda sono chiare nella mia tasca, un promemoria della decisione che ancora pende sul mio capo.

    Mi dirigo verso quella che sarà l’ultima casa per oggi, l’ultimo santuario di dolore che dovrò visitare. Una famiglia che ha perso non solo un figlio, ma una figlia nella battaglia. Bussare a questa porta richiede ogni briciola di coraggio che mi rimane. La porta si apre, e il viso che mi guarda non è segnato da rabbia, ma da una tristezza così profonda che mi fa vacillare sulle gambe. Parlo lentamente, con una voce che spero trasmetta la profondità del mio dispiacere e la sincerità del mio cuore. Non ci sono parole di condanna qui, solo lacrime silenziose e un dolore condiviso che sembra unire me e questa famiglia in un abbraccio di lutto. Faccio loro le mie condoglianze, ma dentro di me, una tempesta si agita con venti di domanda e di rimorso.

    Gwenda non è qui a vedermi uscire da questa casa, l’anima appesantita, il cuore spezzato. Cammino sotto il cielo che ora si è fatto scuro, le stelle che emergono sono lontane e fredde. Il suo biglietto mi pesa come un macigno. La sua proposta, l’addestramento nell’uso del cosmo e l’affiancamento nel suo lavoro di ranger, mi sembrano ora più reali e urgenti. In questa notte solitaria, la lotta interiore per decidere se accettare o meno si fa più aspra.

    Rifletto sulle parole di Gwenda, sulla sua osservazione acuta riguardo al risveglio del cosmo dentro di me. Un segno che non posso ignorare. Un segno che, forse, Astrid, in qualche modo, ha contribuito a scatenare. E se quella fosse la strada per rimanere in contatto con lei, per sentirla ancora vicino a me? Mi sento strappato in due: da una parte, il desiderio di ritirarmi in una vita di quieto insegnamento, di proteggere Rodorio dall’interno; dall’altra, la spinta ad esplorare questo nuovo aspetto di me stesso, questo cosmo che ho solo sfiorato e che ora potrebbe significare una nuova via per proteggere coloro che amo.

    E la mattina seguente, gli ultimi passi verso la capanna di Gwenda sono i più difficili che abbia mai fatto. La sua dimora si rivela nella luce del sole, esattamente come descritta nel biglietto. È una casetta incantevole, il tetto ricoperto di muschio e il camino in pietra che mi suggerisce calore e vita. Un piccolo orto curato, pieno di colori al primo chiarore di questa giornata, circonda la casa, insieme a strumenti di lavoro che parlano di una vita quotidiana semplice e autentica.

    Osservo le finestre illuminate e penso a Gwenda, al suo equilibrio su quel muretto, alla sua sparizione così improvvisa e misteriosa. Sento l’eco delle mie stesse risate con Astrid e Ylva, la calma della nostra casa, e ora questo nuovo, inatteso capitolo che si apre davanti a me. Respiro profondamente, sentendo l’aria fresca della mattina riempire i miei polmoni, e con essa, una decisione si forma. Passo dopo passo, mi avvicino alla porta di Gwenda, pronto ad accettare la sua proposta, a intraprendere questo viaggio incerto verso una comprensione più profonda del cosmo e verso ciò che ancora posso diventare. Con una mano tremante, busso alla porta, pronto per tutto ciò che mi aspetta oltre quella soglia.

    Silver Scutum, IV ~ Energia Gialla


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    Ti avvicini alla porta, e lo senti.

    Nuovamente, esattamente come lo hai avvertito con i Corrotti, il senso di morte e di pericolo. Del domani che on può sorgere perché sei impotente a fare qualsiasi cosa, indifeso come un bambino se non peggio.

    Ti basta per ricordare quello che avevi dimenticato e rifarlo tuo come un gesto meccanico, e il Cosmo si accende nuovamente dentro di te. Il tempo è come se rallentasse nella tua coscienza con la luce delle Stelle che in qualche modo ti rende fulmineo nei ragionamenti e percezioni, a cui senti di poter far seguire azioni rapide e potenti.

    Lo vedi: un fendente di energia che disintegra la porta in un turbine di schegge di legno, che si dirige in direzione dei tuoi piedi per ferire i legamenti e limitare la tua mobilità, mentre con un movimento rapido una figura esce fuori dalla abitazione portandosi alla tua destra, cosi vicina che può sussurrti nell'ocecchio con il suo pesante accento dell’outback australiano.



    Ci sono molti modi di risvegliare il cosmo… ma le situazioni di vita o di morte è il migliore – sibila con un ghigno Gwenda, mentre l’energia si concentra nel suo pugno, che si sta dirigendo verso il tuo stomaco – traccia una linea fra chi può davvero e chi soccomberà alla prima difficoltà. Vediamo se ciò che hai fatto è stato un caso o meno mate!!! COMBATTI!!!


    L'azione è brutale, veloce, più una violenta esecuzione che un insegnamento, ma sai che puoi in qualche modo difenderti, mentre duochi di Sant'Elmo iniziano a svilupparsi attorno alle tue mani, scariche di elettricità che mostrano come la ranger ha ragione e non solo il Cosmo è ritornato in te, ma si sta anche plasmando in nuovi orizzonti di potere.





    Angolo Master:


    Okay, unica nota del post: reazioni di altri pg o png non controllati da te rientrano nella regola di lealtà è autoconclusività. Le famiglie delle vittime sono state gestite benissimo perché hai spaziato nel canovaccio dato, ma con Gwenda quando le hai fare un gesto di "consolazione" sei andato oltre a quello che ti ho detto che avrebbe fatto.


    Ora passiamo a mazzate e sistema di combattimento:

    Mentre ti avvicini alla porta, Gwenda la fa saltare con un fendente cosmico (azione diversiva) per distrarti in modo tale da tentare un attacco alle gambe per limitare i tuoi movimenti (attacco debole) per poi spostarsi vicino a te e tentare di tirare un pugno nel tuo stomaco (attacco forte).

    Tuttavia, il tuo istinto ti ha fatto rievsgliare in pianta stabile il cosmo ad ENERGIA GIALLA e soprattutto ora sei in grado anche di usare l'abilità FULMINE. Gwenda è a ENERGIA GIALLA come te come te (quindi potenza e velocità più o meno uguale).

    Difenditi con le regole del combattimeno (quindi descrizi una azione difensiva, descrivendo lealmente i danni che potresti subire) e poi decidi, se vuoi attaccare, come in modo non autoconclusivo.

    Enjoy.




     
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    Mi avvicino alla porta con una cautela istintiva, quasi come se i miei nervi fossero già tesi in attesa di un segnale di pericolo. E in effetti, come un sussurro sinistro portato dal vento, lo sento. Una sensazione ghiacciata che si insinua nei miei pensieri, un avvertimento ancestrale che grida alla presenza di morte e pericolo. È una minaccia invisibile ma palpabile, che si arrampica lungo la mia spina dorsale e congela il sangue nelle mie vene.

    Il ricordo della battaglia con i Corrotti mi balena nella mente: l’odore acre della paura, il sibilo della morte che si aggira furtiva, pronta a cogliere l’ignaro. Ecco che le stesse emozioni di allora mi assalgono nuovamente, facendo sì che dimentichi le riserve, il dubbio, l’esitazione.

    Con un gesto quasi dimenticato ma inscritto nella memoria del mio corpo, risveglio il cosmo. Sentire il suo risveglio dentro di me è come accogliere un vecchio amico che non vedi da tempo. Il cosmo mi avvolge, una cascata di stelle che scendono su di me, e sento il tempo distendersi, dilatarsi, rallentare fino a diventare un mare calmo in cui posso navigare con percezioni acute e pensieri fulminei. Vedo l’energia, una lama invisibile e minacciosa, formarsi davanti a me e avanzare con intenzioni letali. Disintegra la porta con una furia silenziosa, trasformandola in una tempesta di schegge che si dirigono verso di me con precisione chirurgica. Il mio istinto reagisce prima ancora che la coscienza abbia elaborato un piano. Mi sposto, veloce come il pensiero, un passo di danza nella coreografia della sopravvivenza.

    Ma una figura emerge dall’abitazione con la velocità di un predatore: è Gwenda, e la sua vicinanza è così improvvisa che il suo respiro mi sfiora l’orecchio. Il suo accento è grezzo, marcato, più di quanto possa ricordare in quel momento. Ci sono molti modi di risvegliare il cosmo… ma le situazioni di vita o di morte è il migliore, sibila con un ghigno che posso percepire anche senza vederlo.

    Il suo pugno è energia pura, concentrata, una dichiarazione di guerra tanto quanto una lezione. Mi sfida, un ultimatum lanciato con la violenza del suo attacco. Vediamo se ciò che hai fatto è stato un caso o meno, mate!!! COMBATTI!!!

    L’azione è diretta e senza fronzoli, una crudele dimostrazione di realtà. Ma non sono più il discepolo impotente di ieri. Il cosmo che mi avvolge risponde al suo attacco, e con un movimento che è tanto reazione quanto volontà, canalizzo la mia energia. Attorno alle mie mani si formano due corone di fuoco di Sant’Elmo, bagliori di elettricità che danzano e crepitano con vita propria.

    Sono il segno che Gwenda aveva ragione: non solo il cosmo è tornato in me, ma sta esplorando nuovi sentieri di potenza. Le scariche elettriche sono l’espressione tangibile di una forza che pensavo di aver perso, ma che ora si manifesta con una vivacità che mi sorprende. Un segnale del cosmo che mi dichiara suo vassallo. La sorpresa mi si dipinge in volto, un misto di meraviglia e comprensione improvvisa. Sento il potere che score nelle mie vene, un flusso inarrestabile di energia che mi connette alle stelle, ai misteri che da tempo immemorabile dominano i cieli notturni sopra di noi.

    Mi guardo le mani, fasciate dalle scintille danzanti, e per un istante, l'ebbrezza del potere mi fa vacillare. Questa forza è un'estensione della mia volontà, ma anche un essere indomabile che ora si è svegliato in me. Questo potenziale elettrico, che una volta avrei giudicato non più che un fenomeno naturale lontano e distaccato, ora sembra mio da comandare. La consapevolezza di questo potere è così acuta che quasi mi toglie il fiato.

    C’è un brivido che mi percorre la schiena, una sensazione che si fa strada nella mia mente con la ferocia di una verità ineludibile: questo potere, quanto è pericoloso? Potrei incanalare questa energia per proteggere, ma quanto facilmente potrebbe sfuggire al mio controllo e distruggere?
    Mi guardo attorno, quasi mi aspetto di vedere il mondo intorno a me deformarsi sotto la pressione invisibile del cosmo. Il terreno sotto i miei piedi, gli alberi che mi circondano, tutto sembra inaspettatamente fragile, suscettibile alla minima scintilla del mio nuovo potenziale.

    Una parte di me, quella radicata nel mio ruolo di protettore, di maestro, si aggrappa all’idea di usare questa forza con saggezza e precauzione. Un’altra parte, quella scossa dalla battaglia e dal risveglio del cosmo, è elettrizzata dall’idea di esplorare questi nuovi orizzonti, di sfidare i limiti di ciò che pensavo fosse possibile. Mentre scintille azzurrine continuano a svilupparsi attorno alle mie mani, realizzo che la loro bellezza è bilanciata da una ferocia latente. Sono l’emanazione di un cosmo che non fa distinzioni tra creazione e distruzione. Ogni scintilla è un promemoria che ora porto un’arma di potenza sconfinata, e che ogni mia scelta ha il potenziale di lasciare un segno indelebile sull’universo che mi circonda.

    Mi sorprendo a pensare a Gwenda, al suo ghigno, alla sua sfida. Quanto di questo potere ha già esplorato lei? Quanto sa già della sua pericolosità? E ora, di fronte alla sua prossima mossa, mi rendo conto che questo è il momento in cui devo scegliere: lasciarmi sopraffare da questo fuoco che ho invocato, o padroneggiarlo, e forse, attraverso esso, trovare un nuovo cammino per la mia vita e per quelli che proteggo.

    Sono pronto. Il pugno di Gwenda si carica di una luce che sfida il crepuscolo, un bagliore che annuncia un pericolo imminente. Non è solo un attacco; è una dichiarazione di guerra, un sussurro del cosmo che sta per esplodere in violenza. Lo vedo, una stella cadente in un cielo notturno, diretto al mio stomaco con la certezza di un destino ineluttabile.
    Mi preparo all'impatto, le mani alzate davanti a me, avvolte in un turbine di scintille elettriche generate dal cosmo. Le scariche zampillano dalle mie dita come serpenti di luce, pronti a intercettare il colpo. Non fuggo, non devio.
    Affronto il pugno con un misto di terrore e determinazione. La forza del colpo è titanica, l'energia che si concentra nel pugno di Gwenda è l'essenza stessa del cosmo, e quando mi colpisce, il dolore è indescrivibile. È come essere colpiti da un fulmine, il potenziale elettrico che si frappone tra me e il pugno non fa che aumentare la forza dell'urto, anziché diminuirla. Sento le costole cedere sotto la pressione, un dolore acuto si irradia attraverso il mio addome, e il respiro mi viene strappato dai polmoni in un colpo solo.

    Vengo sbalzato indietro, i miei piedi perdono contatto con il terreno e mi ritrovo a volare attraverso l'aria prima di schiantarmi a terra con un peso che sembra incatenarmi al suolo.
    L'impatto scuote ogni fibra del mio essere, e per un momento, tutto ciò che posso fare è giacere lì, cercando di riorganizzare i miei pensieri frantumati, di ricomporre il caos nella mia mente.
    Il dolore è una fiamma che lambisce ogni mio pensiero, ma in quel fuoco trovo una nuova determinazione. Rifiuto di essere sopraffatto, di essere la vittima di questa prova crudele. Con fatica mi rialzo, il cosmo che ancora pulsa dentro di me è un richiamo a non cedere, a non abbandonarmi alla disperazione.
    Decido di abbandonarmi completamente al nuovo potere che sento bruciare sotto la pelle. E con un balzo, alimentato dalla furia e dal cosmo, mi lancio all'attacco, la mia offensiva inizia con un colpo apparentemente debole verso Gwenda.
    Non è un gesto di resa, ma una tattica di distrazione, un mezzo per guadagnare un attimo di vantaggio.

    Il mio pugno vola verso di lei, un pugno deliberatamente morbido e impreciso, destinato a farle abbassare la guardia. E una finta, un'esca, e nell’ipotesi che lei si muova per rispondere al mio attacco, le scariche elettriche che emanano dalle mie mani diventano più intense, più selvagge.
    Apro la danza con un movimento circolare, portando un calcio basso verso le sue ginocchia, cercando di farle perdere l'equilibrio. La mia manovra iniziale è un'ombra di ciò che sto pianificando. È il preludio di una sinfonia di violenza che ho intenzione di comporre.

    E ora, con il cosmo che canta con me, passo alla vera offensiva. La mia mano destra, caricata di potere elettrico e bruciante di energia stellare, si scaglia in un diretto che mira al centro del suo petto. Con questa mossa, intendo non solo rispondere al suo attacco, ma dimostrare che non sono solo un sopravvissuto delle difficoltà: sono un guerriero del cosmo, forgiato attraverso le prove e ora temprato nel fuoco della battaglia.

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    Note ~ Pipponi a parte, procedo così: schivo l’attacco debole con un salto, e mi difendo dall’attacco forte ponendo le mani intrise di cosmo ed elettricità davanti, ma almeno all’inizio (ho considerato inesperienza e novità da parte di Eirik) subisco tragicamente il colpo, ipotizzando che potesse rompermi seriamente qualcosa se non avessi avuto il cosmo :zizi: Poi, sfruttando una finta come diversivo, miro alle ginocchia con un calcio basso (debole) per poi mirare al petto con un pugno di cosmo ed elettricità (forte).
     
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    Gwenda ridacchia, mentre velocemente pone la sua mano davanti al tuo pugno, solo per fischiare di approvazione appena nota come la manca volontariamente. Abbassa lo sguardo osservando il tuo calcio e non avendo tempo di potersi muovere, lo subisce cadendo all’indietro mentre il tuo pugno arriva diretto al suo petto.

    La donna incrocia le braccia davanti al suo sterno mentre il suo cosmo color smeraldo illumina gli avambracci con riflessi quasi metallici, ma la caduta e la mancanza di equilibrio non aiutano e anche se riesce a bloccare l’urto del tuo pugno le scariche elettriche passano attraverso di lei facendola urlare.

    Cadendo per terra, rotola all’indietro sul terreno, rialzandosi e mostrando piccole bruciature sulla sua pelle, abbassando le braccia in una posizione di riposo.



    A quanto pare forse non morirai alla prima ronda – dice con un ghigno. Lo percepisci ora il suo cosmo, come un’aura attorno alla suo corpo – ma devi fare molto di più di così se vuoi essere davvero utile la fuori. Di gente col cosmo il Santuario è pieno… ma non basta. Un punto di partenza, niente più...


    I sentimenti di predazione e lotta sono scolpiti in quella energia, con una forte consapevolezza che sta giocando con te come farebbe un lupo con un cucciolo per vedere quanto può tirare fuori le zampe. Poi scatta, veloce, con il braccio destro a mò di spada pronto a trapassarti da parte a parte se ti avesse colpito, dritto verso il tuo petto. Le stelle brillano dentro la lama affilata dentro il suo arto, di lei, bramose della lotta.


    … e non tutti possono partire, mate! Se vieni sconfitto qui con me, non avrai mai speranza di fare ciò che vuoi in questo mondo, gwawawawawawahahahah!

    Dopo, indipendentemente dal risultato del colpo, sarebbe saltata sul posto per farti un veloce doppio calcio sulla faccia per tentare di stordirti, per poi ricadere dritta davanti a te, pronta a rispondere alla tua reazione.





    Angolo Master:


    Buona configurazione dei tuoi attacchi e di come hai gestione dell'attacco forte. Un può meno attacco debole: parità di energia tranne rari casi è quasi impossibile "scansare" totalmente un attacco. Se l'hai posta come "scanso l'attacco debole ma per questo sono sbilanciato e subisco di più il forte" è da segnalare meglio :zizi: Un esempio di come si subisce a pari energia l'ho mostrato con Gwenda (il diversivo ha effetto quindi subisce lo sbilanciamento e deve difendersi in una posizione scomoda).

    Ora, in questo turno non ci sono diversivi, leti ti carcica con un affondo del suo braccio cioperto di cosmo tagliente (attacco forte) e poi indipendentemente da quello che succede, salta sul posto e cerca di tirarti un doppio calcio in faccia per stordirti.

    Stesse energie e abilità, enjoy.



     
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