Praise be to the Great Worm

Addestramento: Miquella per Worm

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  1. Miquella
     
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    Specter di Hades
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    Mi trovavo nel mio ufficio, una struttura austera ma funzionale allestita vicino alla miniera di cobalto nel cuore del Congo. Il sole africano filtrava attraverso le finestre, gettando una luce cruda sulle carte e sui documenti sparsi sulla mia scrivania. La miniera, fonte inestimabile di risorse, era solo l'ultimo tassello del mio complesso piano, ottenuta dopo intense negoziazioni con il governo belga. Metodologie non propriamente ortodosse erano state impiegate, ma il fine giustificava i mezzi. Dopotutto, il potere richiede sacrifici, e io, Mr. Blackthorn, non ero estraneo a questo concetto.

    Luis, il mio assistente, mi scosse leggermente per attirare la mia attenzione. Il giovane stava diventando sempre più indispensabile nel navigare le acque tumultuose di questa impresa coloniale.

    « Sì, Luis? »

    Dissi, rivolgendo a lui uno sguardo che nascondeva la profondità dei miei pensieri. Dietro l'apparenza di un uomo d'affari, nascondevo la mia vera identità: uno spectre al servizio di Hades, incaricato di tessere l'influenza oscura del mio signore.

    « Signor Blackthorn, il team di estrazione ha segnalato un nuovo filone. E c'è una questione con le autorità locali che richiede la sua attenzione. »

    Annuii, prendendo i documenti. Ogni giorno presentava nuove sfide, ma anche nuove opportunità di espandere l'influenza del mio oscuro signore. La miniera non era solo una fonte di ricchezza materiale; era un punto di leva, un mezzo per esercitare potere su questo territorio e, a sua volta, su coloro che vi abitavano.

    « Risolvi la questione con le autorità. Usa i metodi che abbiamo discusso. È essenziale che manteniamo il controllo su questa operazione senza interferenze esterne. »

    Luis annuì, comprendendo la gravità della situazione. Non eravamo qui solo per il cobalto. Eravamo qui per tessere una rete di potere e influenza che si estendesse ben oltre i confini di questa miniera, ben oltre le selve e i deserti del Congo. Mi alzai, guardando fuori dalla finestra verso l'orizzonte lontano. La mia presenza in questo luogo, sotto questa identità, era una mossa calcolata nel grande gioco di scacchi tra le potenze oscure e le forze della luce. E mentre l'Africa si stendeva davanti a me, ricca di misteri e di risorse inesplorate, sapevo che ogni passo che facevo qui avvicinava il mio eterno signore, al suo obiettivo finale: un dominio che non conosceva confini, un potere che oscurava il sole stesso.

    Era giunto il momento per un'ispezione diretta all'interno delle miniere. Mi stavo dirigendo verso il cuore pulsante della mia operazione, un luogo di oscurità e di ricchezza, circondato da un mare di volti, il frutto dei miei sforzi e delle mie manipolazioni. Avevo radunato attorno a me un numero considerevole di lavoratori, un'impresa non da poco data la diversità delle tribù e delle culture presenti in questa regione del Congo. Tuttavia, la chiave per unire queste persone così disparate non era stata la forza o la coercizione, ma qualcosa di molto più sottile e potente: la loro fede, la loro religione. La cultura Bwiti, profondamente radicata tra gli indigeni, forniva il terreno fertile su cui avevo seminato i semi della mia influenza. La radice di Iboga, sacra per i loro rituali, era stata lo strumento attraverso cui avevo stretto il mio controllo. Somministrando grandi quantità di questa potente sostanza e "guidando" le loro visioni durante gli stati alterati di coscienza che ne seguivano, ero riuscito a trasformarmi nell'oggetto della loro devozione più assoluta.

    Questa non era solo una questione di chimica o di farmacologia; era un gioco di fede, di credenze e di potere. Combinando gli effetti allucinogeni della radice con la mia presenza, avevo creato un'immagine di me stesso come una figura divina, un messaggero degli dei. I capi religiosi, una volta convinti o soggiogati, divennero i miei più ferventi alleati, diffondendo la mia parola e i miei comandi come se fossero editti sacri. Man mano che i rituali si arricchivano con dosi sempre maggiori di Ibogaina, la dipendenza dei lavoratori non era solo fisica, ma diventava spirituale. Ogni visione, ogni sogno indotto dalla radice, li legava più strettamente a me, rinforzando la mia immagine come centro della loro esistenza religiosa e quotidiana. Ora, camminando tra loro, sentivo il peso dei loro sguardi, carichi di una venerazione che confinava con l'adorazione. Non erano più semplici lavoratori; erano seguaci, discepoli pronti a compiere la mia volontà senza un momento di esitazione o dubbio. La mia leadership era avvolta in un'aura di sacralità che nessuno osava contestare.

    Mentre scendevo nelle profondità della miniera, circondato da queste anime che avevo piegato al mio volere, sapevo che il successo della mia missione era assicurato. Ogni colpo di piccone, ogni carriola di cobalto estratto, non era solo un avanzamento della mia agenda terrena, ma un rafforzamento del mio dominio spirituale. Era questa la vera potenza: non solo controllare le menti e i corpi, ma infondere nelle profondità dell'anima umana il seme inestirpabile della devozione. E mentre le ombre della miniera si allungavano attorno a noi, un sorriso freddo e calcolatore si disegnò sul mio volto. La mia rete si stava espandendo, non solo attraverso il Congo, ma nelle stesse fibre del tessuto spirituale di questo mondo. E non c'era nulla, né uomo né dio, che potesse fermarmi ora.

    Mentre avanzavo attraverso i tortuosi sentieri scavati all'interno della miniera, il rumore delle attività estrattive riempiva l'aria, un coro incessante di lavoro e di sudore. Luis, sempre affidabile, si muoveva al mio fianco, un faro di competenza in mezzo al caos controllato degli scavi. La vera prova del mio controllo non era nella supervisione quotidiana, ma nel modo in cui gestivo le situazioni impreviste, come quella che si stava svolgendo in una zona leggermente isolata degli scavi. Un curioso si era intrufolato, un giornalista inglese, la cui presenza non era prevista né desiderata. Catturato dai miei uomini, il suo volto tradiva un misto di paura e speranza mentre cercava di formulare scuse e giustificazioni per la sua intrusione.

    Lo osservai con interesse, valutando la situazione. I miei uomini attendevano un mio segnale, pronti a eseguire qualsiasi mio comando. Mi avvicinai al giornalista, osservando la paura nei suoi occhi. Con un sorriso, gli accarezzai il volto in un gesto che avrebbe potuto sembrare di conforto a un osservatore esterno.

    « Andrà tutto bene. »

    Poi, voltandomi verso i miei schiavi, le mie parole furono definitive, cariche di un potere oscuro.

    « Che la sua anima torni alla terra. »

    Era un comando semplice, ma carico di significato, un verdetto pronunciato con la calma di chi sa di non poter essere contestato. Il destino del giornalista era segnato. La sua fine sarebbe stata un messaggio, un monito per chiunque osasse interferire con i miei disegni. Ma non sarebbe stata solo questo. La sua morte sarebbe diventata parte di un rituale, uno spettacolo macabro destinato a rafforzare ulteriormente il mio controllo sui lavoratori. Sotto i miei ordini, i miei uomini condussero il giornalista verso il centro di un cerchio formatosi rapidamente. La cerimonia che seguì fu tanto terribile quanto sacra ai loro occhi, alimentata dalle credenze che avevo instillato in loro. Mentre la vita lasciava il corpo del giornalista, i lavoratori, sotto l'effetto delle radici di Iboga, iniziarono a consumare le carni dell'uomo, unendo in un gesto atroce il nutrimento del corpo a quello dello spirito. Osservai il rituale dalla mia posizione elevata, un dio oscuro che contempla la sua creazione. Questo momento di barbarie, mascherato da sacralità, era il cemento che legava i miei uomini a me, che li teneva avvolti nelle catene dell'obbedienza e della paura.

    Erano le quattordici e il mio giro di ispezione nelle miniere era terminato. Mentre mi allontanavo dal cuore pulsante di questo complesso sottoterra, i suoni del lavoro svanivano lentamente, sostituiti dalle voci dei miei sudditi. Le loro parole fluttuavano nell'aria calda e polverosa, un coro che si alzava forte e chiaro tra le colline e le valli di questo terreno strappato alla natura.

    « Lisan al Gaib »



    I loro toni erano carichi di venerazione e paura, un misto di emozioni che si fondevano in un canto potente, una litania che risuonava contro le pareti di pietra e cielo. Ogni ripetizione del mio nome, ogni invocazione della mia grandezza, era un mattone in più nel tempio della mia potenza, un ulteriore legame che li vincolava a me, il loro dominatore non solo terreno ma quasi divino. Con il coro ancora echeggiante alle mie spalle, ritornai nelle mie stanze private. Seduto alla mia scrivania, con le mani incrociate davanti a me, riflettevo sulla giornata e sulle mosse future. Il controllo sulla miniera era completo, ma la mia vista era già proiettata oltre, verso nuovi orizzonti, nuove conquiste. L'energia estratta da queste terre era solo il preludio di una partita ben più grande, un piano che avrebbe visto il mio potere estendersi ben oltre i confini di questa nazione, di questo continente.

     
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