[Trama] The Long Fall

Wild Youth → Black Aries

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    THE LONG FALL

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    3 { zona compromessa di 0.9km2 - bassa densità di presenza Corrotta - terreno collinare - due possibili insediamenti da setacciare }

    1 { priorità al recupero di esseri umani non-infetti }

    2 { concesso l'uso di armamenti di grado 3 su Corrotti }


    divider%20him10

    Note Master:
    Gli ordini ti arrivano direttamente attraverso le integrazioni IA del tuo cervello. Il tuo gruppo è composto solo da soldati con impianti (non vi mischiano mai con altra gente), ma solo tu hai un'integrazione cerebrale così avanzata. Gestisci la missione in autonomia. L'unica cosa degna di nota sarà un segnale (tipo interferenza) che per un attimo ti lascia del tutto disorientato prima di interrompersi. Dopo ogni uscita, i soldati "potenziati" come te vengono controllati da cima a fondo prima del ritorno agli alloggi assegnati, quindi alla fine della tua missione sai di doverti recare in una delle strutture assegnate per il check-up. Termina quando ci sei.



    Edited by Him3ros - 20/12/2023, 23:47
     
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    / The Long Fall /
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    758 aspetta, gli occhi socchiusi e la testa appoggiata alla parete, che l'aereo da Cargo scenda di quota.
    Non aveva fatto un solo gesto inutile dall'inizio del viaggio. Non aveva accavallato le gambe, non si era stropicciato gli occhi, non si era passato una mano tra i capelli.
    Attorno a lui i suoi compagni si passano mappe, scherzano, commentano il modo in cui hanno passato il loro ultimo giorno libero.
    «... allora mi ha detto, se non ti va bene te ne vai senza venire!» Conclude la sua storia Mykolas, seguito dalle risate degli altri soldati.
    «Beh, comunque hai avuto una serata più interessante della mia. Cazzo di virus intestinale. Sono rimasto alla base da solo con questo qui-» dice Kamiński indicando 758 «-che ha passato tutta la sera agli attrezzi e poi a letto a guardare il soffitto. »
    «Mi sa che la tazza del cesso ti ha fatto più compagnia!» Si intromette il cadetto Tadesse, un ragazzone alla sua prima missione.
    Tutti ridono. Tutti tranne 758 e Rockwell, il capitano operativo, intento a leggere un libro dalla copertina totalmente bianca.

    〈rilevato aumento pressione atmosferica〉
    〈preparati a scendere/buttarti〉
    〈controlla le armi/dotazioni〉


    758 riapre gli occhi.
    Estrae dalla fondina la pistola al plasma di Grado 3, controlla la sicura, toglie il caricatore e lo rimette. Infila di nuovo la pistola nella fondina, poi estrae il coltello dal fodero che tiene sulla gamba destra. È fatto di una lega di ferro e oricalco nero che lo rende resistente e sempre affilato. Lo fa passare di piatto sulla manica della tuta da combattimento, anche se è già così lucido da non essercene bisogno.
    Controlla ogni tasca della cintura. In ognuna c'è una granata diversa: a frammentazione, a impatto, incendiaria, fumogena. Fa passare le dita su ognuna, opportunamente distanti dalla spoletta.
    Nelle missioni con più densità di presenza Corrotta 758 aveva avuto anche un detonatore, da azionare per far esplodere tutte le granate insieme. I generali ripetono sempre che un buon soldato, quando è accerchiato, non si fa divorare. Muore portando con sé tutti i corrotti che ha attorno.
    758 ha visto più di un soldato morire così. Sa che, quando toccherà a lui, azionerà il detonatore prima ancora di ricevere un impulso dall'IA.
    Passa a controllare il paracadute sulla schiena. La corda di attivazione non si è annodata.

    Resta solo l'ultimo pezzo del suo equipaggiamento.
    Muove avanti e indietro le gambe meccaniche, alzando e abbassando le ginocchia. Il collegamento neuronale è responsivo come dovrebbe. I suoi impianti sono stati controllati e riparati nell'ultimo check-up, e funzionano ancora bene. Un calcio ben assestato con quelle gambe può far schizzare via la testa di un corrotto di basso livello.
    Ha finito. Torna nella posizione di partenza ma questa volta tiene gli occhi aperti, fissi sul portellone.
    Un gracchiare delle casse fa presagire una comunicazione importante. I soldati smettono di parlottare e spostano lo sguardo sul capitano operativo.
    «Stiamo sorvolando l'area. Preparatevi bellezze, si va in scena.» Comunica all'altoparlante la voce squillante di Peralez, una dei migliori piloti della DQI. Record personale: 0 schianti mortali.
    «L'avete sentita. Smettetela di cazzeggiare e preparatevi.» Il capitano operativo Rockwell chiude il libro che stava leggendo e lo infila nello zaino, poi passa in rassegna i suoi uomini. Si sofferma per un secondo su 758, e annuisce compiaciuto.
    «La missione è semplice. I droni dall'alto hanno rilevato segni di attività biologica, ma anche una presenza corrotta in avvicinamento. Ci lanciamo, mettiamo in sicurezza l'area, facciamo atterrare Peralez e portiamo via i sopravvissuti. Se siete in pericolo lanciate un razzo segnalatore e vi veniamo a prendere. E fate come ▒▒▒▒▒▒ e controllate il paracadute. Se un altro dei miei uomini si schianta a terra giuro che mollo tutto e divento un sacerdote di Atena.» Gli occhi di Rockwell si spostano su Tadesse, il cadetto che è già stato preso in simpatia dal gruppo.
    «Tu sei alla prima missione, giusto? Beh, ora di mettere le ali. Sei il primo.» E si avvicina al portellone per aprirlo.
    Tadesse deglutisce.

    0qVuOPt


    L'atterraggio è morbido, a poco più di un chilometro dal presunto accampamento.
    La zona è un piccolo paese collinare, con case fatiscenti e una vegetazione che ha iniziato a invadere ogni cosa.
    Lì i droni da ricognizione hanno rilevato tracce di corruzione, e ai soldati basta camminare poco per trovarli. In strada ci sono segni di lotta, bossoli a terra, un machete e qualcosa di carbonizzato che non si capisce se sia organico o meno.
    Un materiale simile a pece copre la terra, a poca distanza da resti umani e sangue secco. Il liquido scuro crea una scia che va verso l'accampamento.
    758 si abbassa e allunga un dito verso il liquido denso e scuro. Tutte le tute dei soldati sono studiate per isolare il corpo dalle infezioni, e quella di 758 consente un passaggio di informazioni con l'IA.
    〈analisi materia in corso〉
    〈risultati: sangue corrotto 78% sangue umano 22% tipo B Rh−〉
    〈decadimento cellulare alle fasi iniziali〉
    〈minacce/bersagli ancora vicini〉

    758 alza due dita e le muove in avanti, in un cenno al capitano. Non sono lontani da loro.
    «Bene. Attiriamo quei bastardi, vediamo se riusciamo a salvare qualche vita. Conoscete la procedura.» Dice Rockwell, indossando il paio di grosse cuffie che porta al collo. In breve tutti i suoi uomini lo imitano.
    Prende una granata dalla cintura, e la lancia verso il tetto già mezzo sfondato di una casa nelle vicinanze.

    Il boato arriva ovattato alle orecchie di 758 mentre la polvere dei calcinacci si solleva in aria.
    Il rumore e la loro attività biologica dovrebbe riuscire a convincere almeno qualcuno dei corrotti a fermarsi e a raggiungerli. Si tolgono le cuffie, si dispongono a ventaglio come nelle esercitazioni, e iniziano ad avanzare.
    758, su una delle due ali esterne, tiene d'occhio le finestre e le porte delle case.
    In meno di dieci minuti c'è un contatto. Poi un altro e un altro ancora. Sono dei corrotti minori, già feriti, rimasti indietro. Vengono eliminati in fretta dai proiettili al plasma che fanno esplodere loro il cervello - o quello che ne resta.
    «Caaazzo che roba. Che schifo.» Commenta il cadetto Tadesse, pulendosi sull'erba gli stivali imbrattati dal liquido nero.
    Nessuno risponde o commenta. Anche se nessuno di loro è 758, tutti sono concentrati, in tensione. Corde di violino che sanno che un errore può essere fatale.
    Iniziano a vedere fumo in lontananza, appena dall'altra parte della collina. Si sente rumori di spari, poi un'esplosione grossa e una più piccola.
    Tutti accelerano il passo, fino a quando quasi non corrono.

    Arrivano che nell'accampamento la battaglia sta infuriando.
    Odore di carne bruciata, grida, lamenti, e a terra i corpi di uomini, donne, bambini e corrotti minori.
    Quelli più grossi sono ancora in vita, e stanno demolendo l'accampamento. È chiaro che le guardie di quel posto non sono sufficienti, che non hanno addestramento e strumentazione adatta per una minaccia del genere.
    Rockwell si lancia, scarta, scivola dietro a uno di loro che sta dilaniando le carni di un vecchio. Il suo fucile d'assalto esplode in un lampo luminoso, lasciando un buco in mezzo al tronco del corrotto.
    〈cinque minacce di livello lambda rilevate〉
    〈approccia dalla distanza〉
    〈combatti per sopravvivere/morire in fretta〉

    758 è il secondo a muoversi dopo Rockwell. Approfitta della sua manovra per portarsi al lato dello stesso corrotto, che sta per caricare il capitano operativo. Prende la mira con la pistola, facendo esplodere tre colpi in rapida successione. Il primo manca, gli altri due vanno a segno. Uno colpisce la nuca deforme del corrotto, l'altro la sua spalla.

    È enorme. Probabilmente è alto tre metri, chinato in avanti, più simile a una belva che a un orso.
    Dalle ferite esce copiosamente la stessa materia simile a pece. Lancia un grido di sofferenza, ma non si ferma. Rockwell riesce a malapena a trovare riparo dietro a un pozzo, che viene fatto a pezzi dagli artigli del corrotto. Sta per caricare nuovamente e per afferrare il capitano operativo, quando un proiettile gli porta via il suo occhio destro e lo fa indietreggiare.
    Mykolas lo colpisce altre due volte dall'alto: è il più bravo tiratore del gruppo.
    758 prende la mira mentre il corrotto cerca di rialzarsi, carica il colpo al plasma, e lo neutralizza.
    Sposta subito lo sguardo sul resto dell'accampamento, per localizzare la minaccia più vicina. Gli altri soldati ne hanno già eliminato un altro, mentre le guardie dell'accampamento cercano di tenere a bada con i lanciafiamme gli altri tre.
    758 si sposta verso quello più isolato, che sta riuscendo a rompere la formazione e il muro di fuoco in cui li stanno chiudendo. Rockwell lo segue e gli fornisce fuoco di copertura.

    Tadesse lancia una granata esplosiva verso quel corrotto.
    758 si ferma sul posto, fa un balzo all'indietro, e si porta le braccia incrociate davanti alla faccia. La granata esplode a mezz'aria tra lui e il corrotto ed entrambi vengono sbalzati all'indietro. 758 atterra su un fianco e sente il rumore di una costola che si incrina. Rotola per un metro, sente sulle braccia il calore generato dalla granata e attenuato solo in parte dalla tuta.
    «Che cazzo fai!» Grida Rockwell a Tadesse. Inizia a sparare al corrotto, che è stato più veloce a riprendersi di 758. Lo sta caricando, approfittando dello spazio creato dalla granata per uscire dalla portata dei lanciafiamme.
    〈pericolo〉
    〈colpisci spara salvati〉

    Da terra, senza provare a rialzarsi, 758 fa esplodere quattro colpi, mirando come può alle gambe del corrotto. Un proiettile riesce a colpire al ginocchio, facendolo barcollare ormai a pochi balzi da lui.
    Rockwell continua a fare fuoco, e a lui si aggiunge l'SMG di Kamiński. Tadesse, con un colpo caricato al massimo del fucile da precisione, abbatte e neutralizza la minaccia.

    758 segue il protocollo in caso di ferite in azione.
    Si allontana dalla zona dello scontro trovando riparo dietro a un cancello, valuta l'entità dei danni e stabilisce che può continuare. Respira a fondo e inserisce un nuovo caricatore.
    Tutti gli uomini sono impegnati contro i due corrotti di livello lambda rimasti. Solo le guardie del posto e Mykolas dall'alto tengono a bada come possono i corrotti minori.
    758 sa che contro minacce del genere basta un solo proiettile ben mirato. Li colpisce uno dopo l'altro. Uno di loro crolla riverso sopra il corpo di una donna a cui stava divorando l'addome.
    Si avvicina alla donna, che sta gorgogliando e soffocando nel suo stesso sangue, e spara in fronte anche a lei. Sente il grido di una bambina da dietro a una finestra. In casi del genere non c'è più ritorno. Quando si entra a contatto così con la corruzione si muore: o per le ferite, o per l'infezione. Ha fatto il suo dovere e ha impedito che si trasformasse. Se fosse stata cosmodotata, o un soldato, il protocollo sarebbe stato diverso. Ma era solo una madre.

    Ritorna a sparare. Ancora e ancora.
    L'accampamento è ridotto a un guscio vuoto, nero, carbonizzato. Tutto quello che aveva quella gente è perso per sempre.
    I corrotti continuano a sciamare, richiamati dalla battaglia, ma sono perlopiù minacce di livello phi. Sono esseri informi, ominidi o belve, senza armi naturali se non la loro furia.
    758 vede che i corrotti di livello lambda sono quasi stati contenuti dagli altri soldati. Tadesse è l'unico fuori posizione, troppo vicino al muro sfondato dell'accampamento, da cui si stanno riversando dei corrotti. Non si è accorto, mentre spara, dell'errore.
    758 abbatte uno dopo l'altro due corrotti che stanno balzando verso di lui. Tadesse si gira, capisce che cosa sta succedendo. Alza il fucile, ma è troppo tardi. Un terzo corrotto lo travolge con il suo peso ed entrambi rotolano via, sfondando una recinzione, fuori dalla linea di tiro di tutti i compagni. 758 scatta e li insegue, superando con un salto la recinzione.
    Stanno lottando con il coltello e con gli artigli. Si muovono troppo, il corrotto sta sopra, 758 non riesce a prendere la mira. Il corrotto artiglia il petto di Tadesse, non perfora la tuta di combattimento, ma la distrazione è abbastanza per riuscire ad affondare le zanne nel suo avambraccio teso. Il coltello cade dalla mano del ragazzo, che lancia un grido di dolore.

    758 è riuscito a prendere la mira per un colpo sicuro.
    Spara e colpisce la mascella del corrotto, liberando Tadesse dal morso. Il cadetto cerca di allontanare, con un calcio, il corrotto, che mulina in aria gli artigli lasciando dei lunghi solchi sulla gamba.
    758 spara altre due volte. La testa del mostro quasi si stacca dal collo in un esplosione di liquido nero. Tadesse si divincola da sotto quel corpo morto, si dà la spinta con la gamba e con il braccio illesi e si appoggia con la schiena al muro di un capannone.
    Sta ansimando e tremando, con gli occhi sbarrati si guarda le ferite. Tadesse ha solo un impianto: il braccio destro. Sono stati i suoi arti organici a essere dilaniati.
    〈analisi soldato in corso〉
    〈risultati: ferite profonde da corruzione〉
    〈azioni suggerite dal protocollo: rimuovi arti a rischio cauterizza contieni in quarantena/isolamento e sostituire con ■■■〉
    〈01100101 01110010 01110010 01101111 01110010 01100101〉
    〈shutdown〉

    758 si porta la mano alla fronte, si sente mancare la terra sotto i piedi e l'aria dai polmoni. Per un lunghissimo istante ha sentito l'IA nella sua testa urlare, per poi ridursi a un sussurro. Poi un rumore secco, un interruzione. E ora, nella sua testa, c'è solo silenzio.
    È solo, come non era da molto tempo.

    Alza lo sguardo verso Tadesse.
    Si sta ancora guardando gli arti dilaniati, la carne ferita fino alle ossa, il sangue che scende copioso. Sta cercando, con i denti, di strapparsi un lembo della tuta, ma è troppo elastica e resistente. Si accorge di 758, che lo fissa con i suoi occhi grigi e spenti.
    «Aiutami, fa male.» Dice a mezza voce. 758 non lo sente, o non lo ascolta.
    Lo guarda, e la pistola che ha in mano inizia ad alzarsi. Gli fissa il braccio distrutto, la gamba da sostituire con un arto sintentico. Per renderlo un sopravvissuto, un soldato migliore.
    Lo guarda. È giovane, e gli ricorda qualcosa. Un lampo attraversa la sua mente mai così libera. Un immagine che non riesce a ricondurre a qualcosa che ha vissuto, e che eppure è lì.
    Ricorda un dolore immenso alle gambe. Ricorda le luci. La pistola si alza ancora di più, la sua mano non trema. Ricorda lunghe ore sdraiato, senza potersi muovere, con qualcuno che gli toccava le gambe, le braccia, e la testa. E scavava - scavava a fondo.
    «Hey, che stai facendo? Possono curarmi lo sai, possono darmi un braccio nuovo e una gamba nuova e ritornerò operativo in meno di due mesi-» Tadesse si è accorto della pistola. Alza la voce, sperando che qualcuno, oltre a 758, lo senta. Ma dall'accampamento arrivano urla, ruggiti, rumori di colpi esplosi.
    Sono soli. 758 guarda il cadetto. Guarda le sue gambe, e già gliene vede addosso una uguale alla sua. Gli guarda il viso, e gli ricorda qualcosa. Non capisce cosa. Alza ancora la pistola. La allinea alla fronte del ragazzo. Tira indietro il grilletto, per caricare il colpo al plasma.
    «No no no fermo possono curarmi, non sono corrotto, ti prego fermati FERMA-» Il proiettile esplode in un lampo di luce.
    〈riavvio del sistema in corso〉

    0qVuOPt


    Sull'aereo cargo, al ritorno, sono stati stretti.
    I sopravvissuti piangono i morti che hanno dovuto lasciare indietro, i soldati si leccano le ferite. Nessuno ha voglia di scherzare. 758 ha gli occhi socchiusi, la testa appoggiata alla parete.
    Rockwell sta facendo rapporto al QG, riporta la situazione sul campo, il numero di persone recuperate, i feriti della squadra. Poi arriva al caduto in azione.
    «Il nuovo soldato ci ha già lasciati. Ha fatto molti errori sul campo. L'abbiamo trovato con ferite profonde di corrotti, non so se potesse essere recuperato. 758 l'ha neutralizzato prima che potessimo provarci: da quando è nella mia squadra è la sua prima infrazione del protocollo. Per quanto riguarda il rientro...» Il capitano operativo continua con il suo debrief.
    Il viaggio, fino alla DQI, è lungo. Quando l'aereo atterra i sopravvissuti fanno un respiro di sollievo, anche se non sanno ancora cosa aspettarsi. Vengono fatti scendere per primi, per essere controllati e decontaminati.
    Rockwell lascia poi scendere tutti i soldati, ma prima che 758 possa imboccare la scaletta lo ferma.
    «Senti ▒▒▒▒▒▒, non so cosa sia successo con Tadesse. Spero non fosse per la granata. Sei uno dei miei uomini migliori, non voglio vedere cazzate da te. Intesi?» Chiede, tenendogli una mano stretta sulla spalla. 758 non risponde. Lo guarda fisso negli occhi, e poi annuisce.
    Scende dall'aereo. Sa che la sua destinazione è il punto di controllo più vicino.

    0qVuOPt

    Energia ~ Armato fino ai denti.
    Cloth ~ Tuta da combattimento WTE-J2.
    Condizioni ~ Costola incrinata, bruciature sulle braccia.
    Abilità ~ Psicocinesi, Teletrasporto, Orium Nero [Elemento Soprannaturale, Influenza Mentale, Berserk Indotto, Durezza Straordinaria]Scheda.
    Riassunto ~ /
     
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    THE LONG FALL

    II




    Cosa è successo? - La voce profonda trattiene a stento la rabbia. Non la riconosci, ma ti sembra stranamente familiare. Non riesci a vedere nulla se non il soffitto e le pareti spoglie del box. Sei sdraiato sul solito lettino, in attesa. E l'attesa si sta prolungando: di solito è questione di pochi minuti; stavolta stai aspettando da quasi un'ora. Mentre ancora la domanda rimbomba nello spazio chiuso, prima che l'operatore riesca a rispondere, il sistema integrativo nel tuo cranio individua qualcosa. Il tuo campo visivo si restringe. Non riesci a muoverti. Il ronzio dei macchinari si interrompe.

    - chiavi superiori rilevate -
    accesso alla memoria di sistema

    Senza altro preavviso, rivivi a velocità spaventosa tutti gli avvenimenti dal momento della tua partenza per l'ultima missione, poi in loop per quelle che ti sembrano centinaia di volte, la registrazione della strana interferenza e di ciò che è avvenuto nel frattempo, in una versione quasi comicamente accelerata. Subito dopo, il vuoto. Qualsiasi pensiero nasce e muore senza potersi concretizzare.

    E l'errore che hai rilevato? - la seconda è una voce femminile, un timbro squillante - Un'interferenza. Tre sta tentando di intercettare il segnale. - Il nuovo sistema non doveva essere inviolabile? - Non è stato violato. Ch.Or.O.S. ha rilevato una traccia di composizione e frequenze simili alle sue e i due segnali sono entrati in conflitto. - Non era mai successo. I droni ricognitori inviati in quell'area non hanno avuto problemi. - Perché quelli li ha progettati qualcuno dotato di buonsenso. Avevo avvertito di non utilizzare quell'impianto su un umano, per il momento. Per quanto stabilizzato, l'Orium del nucleo resta sempre un materiale imprevedibile a contatto con mezzi biologici. - Quindi che vuoi fare?

    Segue un lungo silenzio. Stai facendo fatica a seguire il dialogo, come se qualcosa nella tua testa non stesse funzionando a dovere. L'uomo si limita a mormorare in segno di assenso a qualcosa che pare sentire solo lui.
    Quello che si fa in ogni esperimento scientifico: ricreiamo le condizioni che vogliamo studiare e osserviamo. - Non sarà un azzardo? - Certo, come tutto ciò che facciamo da più di dieci anni per riuscire a campare.

    Il tuo corpo è percorso da un brivido. Pur non potendo ruotare il capo, vedi il riflesso di una luce pallida sul soffitto metallico. Ti senti improvvisamente meglio, riposato; la stanchezza muscolare ti abbandona così come il dolore delle contusioni riportate in battaglia e il fischio dovuto all'esplosione ravvicinata. Come se nulla fosse, il check-up dei sistemi riprende. Sei di nuovo solo con l'operatore.
    Ti viene comunicato che sarai trattenuto sotto osservazione nel modulo contiguo fino al giorno seguente. La tua ricompensa è una razione di pasto proteico addensato, una sbobba che conferisce al tuo corpo gli essenziali nutrienti in una forma perfettamente bilanciata in base al tuo fabbisogno, ma che risulta tanto invitante quanto un'endovena di fango.

    1 { nuova missione in 14:59:59 }

    Un tempo decisamente ridotto rispetto a quanto sei abituato. A prescindere dallo stato psico-fisico, il tuo sistema è impostato per favorire le onde theta e delta inducendo rapidamente un sonno profondo. Lo stesso vale per le routine di risveglio...

    -

    La squadra che ti raggiunge al rendez-vous è di sole tre persone, tre donne che sembrano non avere alcuna concezione di "equipaggiamento standard". Anche il mezzo è diverso: piccolo, compatto e - come ti accorgi presto - incredibilmente più veloce. Ma non contano questi dettagli. Conta solo la missione.

    3 { zona bersaglio di 0.3km2 - bassa densità di presenza Corrotta - terreno collinare }

    1 { setacciare l'area in cerca di fonti energetiche anomale }

    2 { concesso l'uso di armamenti di grado 3 su Corrotti }

    divider%20him10

    Note Master:
    Post di transizione. Se vuoi, quando ti schiarisci i pensieri, puoi realizzare che la voce del tipo è abbastanza simile a come percepisci nella tua testa quella dell'IA. Nella seconda parte, in pratica, torniamo nella zona della missione appena conclusa. Se vuoi inserire interazioni con il trio fammi sapere, altrimenti considera che parlano quasi solo tra loro. Puoi quindi riconoscere anche la voce della tipa del giorno prima, che è una delle tre (Alyssa). Se ti servono le descrizioni guarda tra i miei npc.
    Arrivati nell'area vi distanziate pur rimanendo in contatto visivo e iniziate a battere palmo a palmo. Ovviamente sai dove andare e (più o meno) come cercare, ma nessuno di voi sa veramente cosa state cercando...



    Edited by Him3ros - 20/12/2023, 23:48
     
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    Scavano. Scavano a lungo, ancora e ancora.
    Una parte di 758, quella superflua, vuole scappare. Non vuole rimanere su quel lettino, e niente gli impedisce di andarsene. Non ha i legacci ai polsi e alle gambe, come la prima volta in cui era stato in una stanza come quella.
    È collegato con fili e aghi ai macchinari che ronzano, eppure può strappare quei collegamenti, balzare giù dal lettino, uscire dal complesso medico. Una parte di sé lo vuole, una che parla con una voce fioca, che fa fatica a ricordare.
    La ignora. Continua a guardare il soffitto. È la parte di sé che non serve a respirare, a mangiare, a bere, ad allenarsi e a combattere. Che non serve a nulla.
    Guarda il soffitto, e lascia che scavino nella sua testa. Guardano quello che ha fatto durante la giornata ancora e ancora - e così si butta mille volte da un aereo, uccide mille corrotti, spara mille volte a un suo compagno.
    Sa immediatamente di aver fatto qualcosa di sbagliato, e serra i denti.

    Quella voce...
    è contrariata. E 758 non può fare a meno di tremare lievemente, un movimento che il suo corpo non dovrebbe fare, che non vuole fare, che non è programmato a fare. Ma è contrariata per colpa sua - e lui non può farci nulla.
    Questo gli stringe la bocca dello stomaco, si sente di star contravvenendo a un ordine diretto di quella voce. Continua a guardare verso il soffitto mentre il dialogo tra le due persone nella stanza continua, ma è come se lui fosse sott'acqua.
    Non può fare nulla, anche se quella situazione è inusuale rispetto ai controlli delle altre missioni che ha superato con successo (cioè da vivo). Così aspetta fino a quando le voci non si affievoliscono.
    Succede una cosa strana. Una luce pallida si riflette sul soffitto e lui si sente meglio, meno stanco, il fianco smette di pulsare. Utilizzo di cosmo, formula la sua mente.
    Le voci hanno smesso di parlare, e nessuno sta più scavando nella sua testa. Capisce che è di nuovo solo nella stanza con l'operatore.

    Un impulso che dura solo un attimo.
    Scendere dal lettino, afferrare uno strumento qualsiasi dal ripiano - delle forbici da sutura, un ago, un bisturi - e colpire l'operatore nella giugulare. Non potrebbe urlare mentre soffoca nel suo sangue.
    〈riattivazione sistema autonomo〉
    〈collegamento neurale attivo〉
    〈stato di salute ospite: 100%〉
    〈attendi/esegui gli ordini〉

    Cancella quell'impulso. Finalmente non è più solo con quei pensieri incontrollabili, e quella voce è di nuovo dentro di lui e non più fuori.
    I macchinari, dopo poco, smettono di ronzare. Viene scollegato con un lungo sibilo, e ora sa che può rialzarsi dal lettino. L'operatore - un uomo di mezza età, canuto, con gli occhiali, si sta passando un fazzoletto sulla fronte.
    «Bene, per ora abbiamo finito. Domattina controlleremo che tutto funzioni perfettamente. Vedi di mangiare e di riposare, ti vogliono operativo il prima possibile.» 758 guarda negli occhi l'operatore mentre gli parla. Lo vede fare una pausa e poi riaprire la bocca, come se volesse aggiungere qualcosa, per poi scuotere la testa.
    758 esce dalla stanza e si dirige alla mensa, dove riceve la razione ultra-proteica riservata ai soldati in osservazione. Attorno a un tavolo ci sono anche quelli della sua squadra, anche se non ancora tutti: immagina che stiano ricevendo delle cure più tradizionali delle sue.
    Nessuno gli ha ordinato di socializzare, di parlare, di scherzare, così non lo fa. Si siede al tavolo vuoto più vicino, consuma la sua reazione, e va verso le camerate.
    Dorme un sonno senza sogni.

    Il velivolo si solleva in aria con uno scossone.
    È seduto di fianco alla donna che il giorno prima parlava con quella voce, e a 758 non sembra un soldato. Di fronte a lui c'è un'altra ragazza - la più giovane - e una donna, che invece di un soldato ha l'aspetto e il portamento.
    Guarda rapidamente fuori dal finestrino, e già non vede più l'Isola sotto di loro. Sul mezzo non c'è un portellone e lui non è stato dotato di paracadute, quindi deduce che atterreranno direttamente sul punto di interesse.
    Socchiude gli occhi e appoggia la testa alla parete. Ogni tanto le donne parlano, ma mai con lui: ne ascolta le parole senza registrarle.
    〈rilevato aumento pressione atmosferica〉
    〈preparati a scendere〉
    〈controlla le armi/dotazioni〉

    L'impulso arriva dopo poco tempo dalla partenza. Riapre gli occhi, estrae la pistola al plasma, controlla la sicura e il caricatore. Passa il coltello sulla manica della tuta da combattimento, per farlo brillare. Poi passa un dito su ogni granata.
    Gli ordini sono di setacciare la zona in cerca di fonti energetiche anomale. Quella è la priorità, non uccidere i corrotti. Una missione diversa dal solito, ma non così diversa dal dover estrarre dei sopravvissuti da una zona contaminata.

    Scendono dal velivolo e iniziano a valutare lo stato della zona.
    758 posa gli occhi su ogni cosa, per dare modo alla voce di fare le sue analisi e di restituirgli degli ordini da seguire. I segni della missione del giorno precedente sono ovunque, anche se ricoperti da un velo di cenere.
    Poco prima di decollare i corrotti e i cadaveri sono stati dati alle fiamme, come da protocollo. Così a terra, all'aperto, la terra è nera e carbonizzata, i segni della battaglia sono quasi indistinguibili se non per qualche scarto: ossa, denti, piastrine metalliche. Le case e i magazzini dell'accampamento, in pietra e mattoni, sono ancora in piedi.
    〈nessuna minaccia rilevata〉
    〈procedi con la ricerca〉

    I quattro iniziano a setacciare la zona, delimitata da ciò che resta delle mura e recinzioni con cui quell'avamposto credeva di essere al sicuro. Procedono facendo in modo da avere sempre almeno un compagno in vista, anche se la zona è così piccola che ci vuole poco tempo per fare un giro completo dell'esterno.
    758 non nota niente da segnalare, e anche la voce è silente. Sposta lo sguardo sugli edifici, rimangono da ispezionare poche case e un grande prefabbricato, un capannone.

    0qVuOPt


    Quel magazzino è un guscio vuoto.
    A terra pezzi di vita andati, un mondo congelato dall'ultimo attacco dei corrotti. 758 vede sui tavoli scatolette aperte e mezze consumate, ai muri le rastrelliere delle armi sono vuote. Una grossa Jeep è senza una ruota, con a fianco degli attrezzi da lavoro.
    Tutti quegli uomini e quelle donne hanno una nuova casa. Attraversa la stanza da parte a parte, aprendo uno dopo l'altro gli armadietti. Trova proiettili, mappe, razioni. Quell'edificio doveva essere la centrale operativa dell'accampamento.
    Non si dà la pena di richiudere gli armadietti e i cassetti che apre, sarebbe un consumo calorico inutile.
    Nessun risultato neanche nelle panic room da cui il giorno seguente avevano estratto i sopravvissuti nascosti. Sono piccole stanze senza finestre, con portelloni rinforzati e tutto il necessario per sopravvivere per almeno una settimana. Sui muri ci sono disegni sgraziati fatti con colori a cera.
    Niente nelle cucine. Niente nelle grandi camerate. Niente nella sala caldaie.
    〈nessun match rilevato〉
    〈continua a cercare〉

    La pistola al plasma non ha ancora abbandonato la sua mano, anche se la sicura è inserita e sa che tutti i corrotti nel raggio di chilometri sono morti.
    La bocca si piega in un'impercettibile smorfia. Se non trova qualcosa quella missione potrebbe essere il suo primo fallimento.
    Deve trovare quel segnale. E forse... forse lo vuole trovare.

    0qVuOPt

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    THE LONG FALL

    III




    Sei ormai al margine della zona delimitata. L'IA segnala che pochi secondi prima anche il resto della squadra ha raggiunto il confine, ciascuno in una direzione differente. Nessuna novità. Avete indicazioni di avanzare a spirale allargando il campo, ormai fuori dalla zona bersaglio, fino a nuovo ordine. Venti minuti dopo, finalmente, senti qualcosa. È una specie di boato, ma non ha nulla a che fare col sistema uditivo. Senti che si avvicina. Ti colpisce. Ti supera. E poi di nuovo quello spaventoso silenzio. Non sai dire quanto a lungo vieni lasciato solo coi tuoi pensieri; sai solo di provare un fortissimo bisogno. Un'attrazione magnetica che cancella ogni altro input. La stai seguendo senza quasi rendertene conto. Stai correndo.

    Un grido disumano ti scuote dallo stato di torpore. Un rumore assordante. Un'esplosione ti scaglia almeno a una decina di metri attraverso la foresta carbonizzata. Atterri contro il tronco un albero che si sbriciola sotto il tuo peso, attutendo la caduta. Il cielo è solcato da mostruosità informi. Altre esplosioni. Un bombardamento. Il suolo cede. Cadi.

    Il tuo risveglio non è indotto. I sistemi di sicurezza del tuo impianto cerebrale non si sono attivati. La voce dell'IA continua a tacere. Non c'è luce naturale. Sei costretto a utilizzare la torcia per vedere. Non sei semplicemente nel sottosuolo; sei molto in profondità. L'aria è stantia. Le macerie ti hanno quasi schiacciato. Un pilastro di cemento ha retto senza spezzarsi, proteggendoti dal crollo del soffitto. Le tue gambe sono danneggiate, riuscirebbero a malapena a reggere il tuo peso.
    Capisci di essere caduto in un edificio sotterraneo, forse una sorta di bunker. Ti puoi muovere solo strisciando, all'inizio. Potresti sperare di raggiungere una sezione ancora integra della struttura, magari un'uscita di emergenza... se non fosse per quella folle attrazione. La senti ancora più intensa. Non ti guida verso l'alto, verso la salvezza. Al contrario, vuole condurti verso il basso, nelle viscere della terra, una perversione della forza di gravità.

    I cunicoli sono per lo più crollati o invasi dalle macerie. Solo il passaggio principale rimane relativamente sgombro e integro, probabilmente è rinforzato. Una fortuna, dato che gli urti in superficie continuano. Volute di polvere cadono dalla volta a botte del corridoio facendoti tossire. Più prosegui e più la polvere aumenta. Raggiungi un'altra sezione crollata, ma danni strutturali sembrano molto più vecchi, come se il crollo fosse avvenuto decine di anni prima o forse più. Quella che sembra una patina nerastra ricopre ogni cosa, forse si tratta di residui di incendio. Il nuovo squarcio nell'edificio ti conduce ancora più in basso, attraverso ciò che sembra un passaggio scavato nella pietra. Attraversi una porta di metallo che finisce per sgretolarsi quando scosti uno dei due battenti, riempiendoti le mani di altra polvere nera. Il tuo respiro echeggia in modo strano, quasi fossero rumori prodotti da qualcun altro che arranca nel buio insieme a te.

    I battiti del tuo cuore impennano. Il bisogno di proseguire si fa totalizzante. I tuoi sensi si sfocano. Non senti più nulla.
    Un istante di assenza. I tuoi occhi si sono chiusi e, quando li riapri, ti trovi in un altro luogo. Uno spazio claustrofobico, senza uscita. Sei in ginocchio. La luce della torcia abbandonata sul pavimento colpisce la superficie di un cranio, divorato dalla strana polvere nera, a pochi centimetri dal tuo viso.


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    L'alcova ti costringe a stare chinato. Sporgenze taglienti come rasoi ti impediscono di appoggiarti al pavimento o alle pareti senza ferirti. Sono formazioni cristalline irregolari, tanto nere da assorbire la maggior parte della luce proiettata dalla torcia.

    Dopo tanto silenzio, la tua testa esplode di urla e visioni incoerenti.

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    Note Master:
    Dunque, proseguiamo nel viaggio. La prima parte è molto semplice. Dal crollo in poi inizi a vedere sta roba che prima sembra polvere, poi sabbia nera vorticante che praticamente soffoca e ricopre tutto (te compreso). C'è una graduale escalation di sensazioni che ti porta al blackout. Quando sei davanti al cranio senti un marasma di voci incontrollate, insieme a scorci di immagini casuali. Sono proprio istantanee mute, nulla di complesso. Più che altro volti, colori e forme presi da frame singoli di momenti distanti uno dall'altro e in ordine sparso. In pratica non ci si capisce nulla. Tutto il processo ti fa male sia mentalmente che fisicamente.


     
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    III

    Deve proseguire, gli comunica quella voce nella testa.
    E lui lo fa, anche se non c'è stato ancora nessun riscontro. La zona di interesse si estende sempre di più, ed è da qualche minuto che 758 non è più in contatto visivo con le sue compagne.
    Ha oltrepassato l'accampamento, il vecchio paese, e ormai sta percorrendo il limitare della foresta. Sa che a un certo punto dovrà entrarci. Ha già dovuto neutralizzare due corrotti minori, e se ne aspetta altri. Quella zona non è mai stata decontaminata.
    La pistola pesa tra le mani. Ha rallentato il passo per permettersi di guardare dietro a ogni angolo, prima di proseguire. L'unico suono che emette è quello dei suoi passi attutiti dalle erbacce.
    Alza la gamba meccanica e sfonda con un calcio la porta di legno di una vecchia cascina. All'interno nessun riscontro, nessun risultato. Non gli resta che proseguire nel fitto del bosco. Vuol dire che dovrà rallentare ulteriormente il passo, accendere la torcia e stare attento a ogni ombra. La pistola, in un terreno a visibilità ridotta, non è la scelta ottimale. La rimette nella fondina, ed estrae il coltello da combattimento.
    Scosta un ramo e si muove nelle ombre, seguendo il respiro della foresta.

    Un fruscio lo fa voltare all'improvviso.
    Alza il coltello, ogni fibra organica e inorganica tesa verso quella direzione, pronto a scattare. Un boato lontano gli fa perdere per un momento la concentrazione, non riesce più a orientarsi, a distinguere il sopra dal sotto. Quella cosa si sta avvicinando a lui, e 758 ha chiara in mente l'immagine della preda. Dovrebbe scappare e non cercare di combattere. Stringe il manico del coltello. Non riesce a muovere le gambe, è come il collegamento neuronale fosse stato interrotto.
    La terra trema, le radici degli alberi vengono divelte. Arriva. Stringe i denti. Viene colpito e per un momento la foresta non esiste più.
    La vista è appannata, sfocata, non riesce a registrare ciò che sta vedendo. Il mondo attorno a lui si muove veloce, come se si stesse allontanando da lui. Cerca di concentrarsi, e capisce che è lui che sta correndo.
    Non sta controllando lui le sue gambe sintetiche. Ma non le sta controllando neanche quella voce. Sta correndo e basta. Un ramo di spine lo colpisce sul viso, lo ferisce, ma lui non si ferma. Urta con la spalla contro un tronco, ma continua a correre.

    Non sta scappando, ora.
    Si sta muovendo come se avesse ricevuto un ordine diretto, come se dovesse raggiungere un punto nel minor tempo possibile. Qualsiasi cosa provi a fermarlo va superata o neutralizzata.
    Continua a correre verso il centro della foresta, salta ostacoli, colpisce un corrotto con un calcio e gli stacca di netto la testa dal collo. Non ha più tempo. I suoni gli arrivano distanti, ma è come se qualcuno stesse combattendo attorno, persino sopra di lui. Un suono, più forte degli altri, riesce a farsi strada nella sua determinazione.
    È un suono metallico, come un'unghia sui vetri, o forse è un grido lancinante. Si riscuote con la bocca aperta - è stato lui a gridare? 758 si ferma, si guarda attorno. La foresta sta andando a fuoco. Le fiamme illuminano quello che ha attorno più del sole, che non riesce ad attraversare i rami.
    Si chiede cosa stia facendo. Dove stia andando. Non è quella la sua missione; dovrebbe capire cosa succede, trovare un modo di riavviare l'IA, e fornire supporto alle sue compagne. Forse sono in pericolo.
    Si rende conto di avere ancora il coltello stretto in mano: sulla lama scorre un liquido scuro.

    Sente un altro boato, più vicino, questa volta. Non fa in tempo a reagire.
    L'esplosione lo investe in pieno, troncandogli il respiro e facendogli cadere il coltello dalla mano. Viene sbalzato via e l'aria gli esce dai polmoni con violenza, in un rantolo.
    Non riesce a orientare la caduta come vorrebbe, colpisce con la schiena un albero e lo oltrepassa da parte a parte. Rotola a terra più volte prima di riuscire a impuntare i gomiti per fermarsi.
    Tossisce sangue sul terreno: una macchia rossa sulla terra nera di cenere. Resta fermo per un attimo, sperando che la voce gli dica cosa fare, che gli ordini di rialzarsi. Da solo è troppo difficile, troppo doloroso. Inizia a tremare, una sensazione nuova, per lui.
    Ma nella sua testa c'è solo silenzio. Colpisce con i pugni la terra, e si dà la spinta per girarsi a guardare il cielo. L'ultima immagine che vede è quella di un mondo in fiamme. Lingue di fuoco si alzano sopra di lui, fondendosi con il tramonto. Anche l'aria stessa sembra bruciare. Non riesce a decifrare altro - masse scure, bagliori e cenere.
    La terra cede sotto di lui, lo inghiotte, cade. La vista si spegne.
    Deve essere quella, la morte.

    0qVuOPt


    Le palpebre pesano più delle sue gambe meccaniche. La testa pulsa e sulle retine si disegnano flash e macchie colorate.
    Riapre gli occhi e il primo pensiero è di aver perso la vista. È immerso nell'oscurità, e a parte i flash non riesce a vedere nulla. Non è più nella foresta, però. È appoggiato a qualcosa di duro e liscio - cemento? Muove le mani attorno a sé, cercando di valutare a tentoni punti di appoggio. Non c'è niente, solo macerie che si sbriciolano sotto il suo tocco.
    Si passa le mani sul corpo. La tuta è squarciata in più punti, sul petto sente un peso insolito, come se si fosse rotto qualcosa. Allunga la mano verso la fondina, la pistola è ancora lì. Si fa sfuggire un sospiro di sollievo. Stringe il manico e sente i battiti del cuore calmarsi, rallentare. Non può restare lì, questo gli è chiaro fin da subito.
    Cerca nelle tasche della cintura la torcia, e per fortuna la trova. La scuote un paio di volte e la luce sembra inondare la stanza. Per prima cosa guarda verso l'alto. Non riesce a distinguere il soffitto, ma gli sembra di vedere uno squarcio - probabilmente quello da cui lui è caduto. Sposta la torcia attorno a sé - la stanza è piccola, le travi crollate, a terra calcinacci e polvere nera.

    È da solo, avvolto nel più totale silenzio.
    In una tomba, dice la sua mente. No, un bunker, si corregge. Un rifugio antiatomico, forse. In ogni caso deve essere caduto a lungo, perché non distingue nessuna luce naturale, neanche ora che i suoi occhi si stanno abituando alla penombra.
    Prova a muovere le gambe, ma sente che il collegamento è più flebile che mai. Abbassa lo sguardo, e vede che sono sommerse dalle macerie. Stringe la torcia tra i denti e sposta le macerie aiutandosi con le braccia, cercando di liberare le gambe. Riesce a sollevarle appena, e vede che il piede destro è piegato verso l'interno, cade mollemente verso il tallone. Scintille si sollevano dove la carne sintetica è stata perforata.
    Capisce che la maggior parte degli urti sono stati assorbiti dai suoi arti sintetici. Se fossero state gambe organiche starebbe soffrendo per la sindrome compartimentale, e forse sarebbe già morto dissanguato per le ferite.
    758 sente, sopra di sé, altri boati. Riescono a squarciare il silenzio a raggiungerlo anche lì, nei sotterranei.

    Capisce di non poter rimanere fermo, che deve muoversi, uscire da lì.
    Si corregge - lo corregge - deve allontanarsi dalle esplosioni. Cercare riparo ancora più sotto, nelle profondità della terra. La stanza è così piccola e le gambe così danneggiate che che non può fare altro che strisciare. Le ginocchia riescono a reggere il suo peso a malapena, deve avanzare con i gomiti e trascinarsi.
    Fa leva su un muro e riesce a spostare una trave che blocca quello che gli sembra un cunicolo. Lo imbocca e si ritrova in un passaggio più ampio, forse il tunnel principale di quel bunker. Lì il soffitto è abbastanza alto da permettergli di restare in piedi, ma deve appoggiarsi al muro per proseguire sulle gambe malferme.
    Tra i detriti trova un tubo metallico che può usare come stampella improvvisata. Non vede nessuna segnaletica che gli segnali il basso dall'alto, ma proseguendo ha la netta sensazione di star continuando a scendere.
    Ogni volta che si appoggia al muro per cercare un momento di riposo poi ha le mani ricoperte da una polvere nera.
    La luce della torcia non è abbastanza intensa da illuminare il cammino davanti a sé. Più di una volta deve tornare indietro, perché l'imboccatura che trova è totalmente crollata.

    I rumori, da sopra, arrivano sempre più attutiti.
    Ormai sente solo i suoi passi metallici a rimbombare nei corridoi stretti. L'aria è sempre più pesante e il respiro di 758 si fa più profondo per compensare.
    Sente di essere solo, completamente solo. Se dovesse ripercorrere quella strada all'indietro probabilmente non ci riuscirebbe, si perderebbe prima in quel labirinto.
    Può Deve solo avanzare, raggiungere le viscere della terra. Tossisce un misto di sangue e polvere nera, gli gira la testa, rischia di cadere. Il tubo gli sfugge di mano e cade in un clangore metallico.
    Non riesce a chinarsi a raccoglierlo. Prosegue a tentoni, arrancando. La testa è vuota, assente. La luce della torcia si è spenta? 758 non vede più nulla. Chiude gli occhi, deve riposare solo un istante, lascerà sia il suo corpo a proseguire.
    Scivola nel buio. Galleggia. Riapre gli occhi e scorge altri corridoi, altre diramazioni. La luce della torcia non riesce a fendere la polvere che galleggia nell'aria. È ovunque: sul suo viso, sulle gambe, nei polmoni.
    Gli occhi si chiudono di nuovo.

    Li riapre a fatica, e questa volta 758 è fermo.
    Le gambe hanno smesso di avanzare. È in una stanza stretta, un cubo in cui deve stare rannicchiato. Allunga la mano verso la torcia, rotolata a terra, ma qualcosa lo ferisce e lo fa ritrarre. Una formazione cristallina lo circonda da ogni parte.
    Alza lo sguardo, verso ciò che sta illuminando la torcia. Davanti a sé, a pochi centimetri dal suo viso, c'è un teschio circondato da quella polvere nera. La polvere entra nelle orbite vuote, nel ghigno scheletrico, lo avvolge come se volesse farlo scomparire.
    Gli occhi grigi di 758 sono fissi su quel cranio. Non riesce a distogliere lo sguardo, a sbattere le ciglia. È quello il segnale, capisce. È quello il boato che lo ha richiamato, che lo ha spinto e obbligato a raggiungerlo, a separarsi dalle compagne.
    È solo con lui, ora. È in trappola. Dovrebbe scappare, chiamare aiuto.
    Il teschio gli restituisce lo sguardo. Quel sorriso gli fa paura. 758 si lascia sfuggire, per la prima volta, un grido.
    E il cranio grida con lui.

    0qVuOPt


    Grida e sussurri al tramonto.
    Una promessa nella notte, ti terrò al sicuro, non lascerò vi succeda nulla.
    L'alba non arriva. Non arriva mai.
    Sapore di ferro in bocca, un viso di donna, potrai essere me, quando non ci sarò più.
    Le ricerche non ci hanno portato a nulla. Un passo avanti, tre indietro.

    Ti fidi di me? Mi fido di te? Cosa dovrei fare? Sussurri. Grida. È tutto identico. C'è silenzio solo quando ci stringiamo tra noi. Non ti farei mai del male.
    Un minerale nero, un teschio spezzato. I maestri sono fatti per essere divorati.
    Un giorno torneremo a casa, torneremo noi stessi, ma oggi dobbiamo scappare. Nasconderci. Dentro anni di buio.

    Eccoti.

    Quando mi ascolterai saprai di essere il nuovo te. Vuoi ascoltare. Vuoi sognare.
    Vuoi sorridere. Vuoi soffrire.
    Non vuoi essere.

    Questo è il rituale per proseguire. Mi hai trovato, e per questo ti perderai.
    Potrai essere me, quando non ci sarò più.

    0qVuOPt

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    THE LONG FALL

    IV




    Più il tempo passa e più la tua mente vacilla. Qualcosa gratta dentro di essa, si fa strada. I riflessi dei cristalli danzano alla luce della torcia provocando strani movimenti ai margini del tuo campo visivo. Avverti un forte dolore alla testa, quasi come se il tuo cervello si stesse espandendo, premendo contro la teca cranica. Il dolore cresce a dismisura, finché inizia a diventare... altro.
    Le immagini tornano a inondarti e - improvvisamente - non esiste altro che una massa confusa di pensieri. I tuoi pensieri? Non ne sei sicuro.

    Le tue mani nel buio sembrano raggrinzite. Il tuo corpo è stanco. Vecchio. Senti freddo. Il sangue sgorga in fiotti densi dalle ferite sul tuo addome, bagnandoti gli abiti riccamente decorati. Fermare l'emorragia non ti salverebbe la vita. I danni sono troppo estesi. La tua coscienza si affievolisce. Non hai più tempo.
    Il piano che ti eri preparato per poter perdurare in questo mondo ormai non è più un'eventualità: è la sola speranza che ti è rimasta. Una scommessa col fato. Il tuo sangue sparso al suolo si coagula lentamente, facendo gemmare dei microscopici cristalli neri. L'ultima tua conquista, dopo così tanti sacrifici.

    -

    Dopo così tanti sacrifici, è assurdo che vi troviate ancora in due a dividervi le attenzioni della Maestra. Tu dovevi essere il migliore, non essere costretto a spartire tempo, risorse e insegnamenti con un idiota baciato dalla fortuna, che è a malapena entrato nell'età adulta. Tu hai molta più esperienza. Hai più studio alle spalle. Quando avevi la sua età eri già in grado di assistere i tuoi precettori nelle ricerche alchemiche più complesse. Lui è un idiota, nato con un cosmo potentissimo, ma senza cervello a guidarlo. Un talento naturale. Una disgrazia, per un uomo di scienza come te.
    Lei è paziente. Troppo paziente, secondo il tuo giudizio. La Maestra Liriya possiede una saggezza pragmatica, basata su decenni di studio delle pratiche Lemuriane. Il suo potere e la sua conoscenza l'hanno elevata a Signora degli Alchimisti anni prima che ti prendesse sotto la sua ala, malgrado la tua età ormai avanzata rispetto a quella degli altri apprendisti. Sono passate soltanto un paio di settimane dall'ultimo attentato alla vita della tua mentore. L'Isola pullula di traditori e i tentativi di assassinio si sono fatti più frequenti. Siete tutti in pericolo.

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    Note Master:
    Vorrei che vivessi il flashback (e i successivi) in maniera un po' particolare: in questa narrazione tu stai vedendo dei ricordi che non ti appartengono, quindi li puoi espandere rimanendo nei limiti di quello che il personaggio del passato vede e pensa in quel momento, ma non sei un narratore onnisciente, quindi ad esempio non sai come sei arrivato fino a quel punto. Praticamente per ora sei lo spettatore di un film girato in prima persona coi commenti del personaggio fatti a voce alta e montato strano.
    Orientativamente siamo qualche anno dopo la fondazione dell'Impero Romano. Come avrai capito, il primo flashback ti mostra gli ultimissimi istanti del nostro amico, mentre il secondo è ovviamente uno spaccato di vita di qualche tempo prima (non sapresti dire quanto). Puoi gestire il compagno apprendista se vuoi, se ti serve Liriya ne parliamo.


     
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    «The Long Fall»
    IV

    758 non vuole più fuggire.
    Fissa il cranio - e il cranio lo fissa - ed è come se si sentisse leggero. Il dolore che prova inizia ad affievolirsi, va spegnendosi. Oppure è lui che si è abituato, il suo organismo da soldato sta accettando quella sofferenza come una nuova variabile, qualcosa con cui convivere. I flash continuano, le immagini scorrono, e qualcuno parla nella sua testa.
    «No, no, no.» Ripete quella voce. Lo dice ancora e ancora, come se dovesse convincersi o come se fosse un mantra.
    758 scivola in quella voce. Gli sembra persino la sua, è lui stesso a ripetere quella negazione? Un picco di dolore lo fa sussultare e sovrascrive ogni altra cosa. Altre immagini si affollano davanti agli occhi, cancellando il mondo circostante.
    Legge una pergamena scritta con lettere che non riesce a riconoscere, sulla pagina ci sono disegni di cerchi e di triangoli. Una donna gli sorride. La sua mano strappa un cuore da un petto. Un minerale dai riflessi corvini lo osserva.
    «No, no, no.» Ripete.
    E poi soffre. Si stringe una mano sull'addome, come se quello potesse fermare il sangue che scorre. Vorrebbe correre, ma riesce solo ad avanzare su gambe malferme. Solleva una mano a fatica per aprire un grande portellone.

    0qVuOPt


    E continuo a procedere.
    A ogni passo sento dolore, vedo che altro sangue scorre dalle ferite, ma non mi fermo. So che se lo facessi, se cercassi un riparo per riposare, poi non avrei più le forze per rialzarmi. Il mio tempo sta per scadere, lo vedo anche se la mia vista è ormai annebbiata.
    Attorno a me c'è solo buio. Oltrepasso vicoli stretti, un angolo dopo l'altro, ma arranco senza esitazione. So esattamente dove sto andando, anche se le mie gambe organiche - che strano - non reggeranno ancora a lungo.
    «No, no, no. Non doveva andare così.» Una voce rimbomba nella stanza, il che mi fa capire che devo essere in un luogo piccolo, con poco ossigeno, forse sottoterra. Poi capisco anche che quella voce è uscita dalla mia bocca: il petto mi fa male, dopo aver pronunciato quelle parole.
    «Ma non è troppo tardi.» Dico ancora, e poi la mia voce rauca tace. Le dita si stringono sulla ferita sull'addome. Il sangue continua a scorrere, anche se più lentamente.
    Sulle mani il sangue inizia a coagularsi in macchie nere, come se fosse una polvere che le ricopre. Devo andare avanti. Sono ancora vivo. Sono sopravvissuto. Sento che il viso vorrebbe tendersi in un sorriso, ma ne esce solo una smorfia di dolore.
    Ogni passo fa male ma non posso fermarmi.

    Un altro flash di luce. La polvere nera vortica davanti a 758.
    Le immagini si sovrappongono: un teschio in un alcova stretta e una camera buia, illuminata solo dai primi raggi di luce.

    La luce che filtra dalle tende alle finestre mi sveglia.
    Sbatto le palpebre tre volte prima di riuscire ad aprire gli occhi: la prima cosa che vedo è il soffitto. È alto, in pietra bianca, e mi sembra decorato con motivi floreali. La camera è in penombra, quindi non riesco a distinguere bene gli oggetti.
    Mi volto, alla mia destra c'è una donna. È girata di schiena, completamente nuda, i capelli biondi le arrivano fino al collo. Allungo una mano e glieli sfioro. Passo la mano sul collo, sulle spalle, sulla schiena. Lei la inarca sotto il mio tocco, sussurra qualcosa. Ha la voce impastata di sonno.
    Si gira verso di me, i suoi occhi verdi socchiusi cercano di abituarsi alla luce. Mi avvicino al suo viso e la bacio. La stringo a me, continuando a passare le dita sulla sua pelle. Non è liscia: sotto ai polpastrelli sento diverse imperfezioni e cicatrici. Tocco quella che sento essere una ferita più recente, ricucita da poco, non ancora completamente rimarginata.
    La donna stringe i denti e allontana la schiena dal mio tocco.
    «Attento.» Dice, con un sorriso sulle labbra.
    «Attenta dovrei dirlo io. Quando te la sei fatta?» Chiedo, passando ad accarezzarle i capelli. Lei si stringe ancora una volta a me, poi si alza un poco e si siede sul letto appoggiandosi allo schienale.
    «Due giorni fa. Ma dovresti vedere lui.» E scoppia a ridere.

    Anche la mia voce ride.
    «Ti metti troppo nei guai. Lo sai che dobbiamo tenere un profilo basso.» Mi metto anche io contro lo schienale. La voce è meno affettuosa di prima, ma comunque non è dura. Lei si stringe nelle spalle.
    «E io ti ho già detto che non posso permettermi di restare chiusa in un laboratorio, sperando di impressionare la mia maestra.» Mi guarda. Io resto in silenzio e aggrotto le sopracciglia.
    «Scusa. Non intendevo... lascia perdere. Io ho i miei metodi, tu hai i tuoi, ma vogliamo sempre la stessa cosa.» Mi abbraccia, e io mi sciolgo tra le sue braccia. Ci baciamo un'ultima volta prima di trovare la forza di alzarci.
    «E la avremo. Insieme.» Sussurro abbastanza forte da farmi sentire. Cerco, sparso a terra, l'intimo della sera prima. Lo indosso. Sposto le tende dalle finestre e vedo che l'alba è passata da poco.
    Dietro di me sento il suono di una campanella, e girandomi vedo che la donna ne sta suonando una. Passano pochi secondi, e la porta della stanza si apre. Una vecchia signora trasporta un carrello, seguita da due ragazzini - un maschio e una femmina - che trasportano sulle braccia delle vesti molto più grandi di loro.

    Butto un ultimo sguardo fuori dalla finestra; il sole si riflette sulle altre case e sulle strade impolverate.
    Torno al centro della stanza. La signora ha disposto il vassoio sul tavolo. Sopra c'è del pane all'olio, dell'acqua, delle confetture e della carne secca. I due ragazzini hanno appoggiato le vesti sul letto, e stanno tornando dietro alla signora.
    «Aspetta un momento.» Mi avvicino al ragazzino e lo afferro per il polso, sollevandogli il braccio. Passo lo sguardo sul suo corpo. Un normalissimo ragazzino in forma. Indossa una veste grigia, simile a quella della signora, senza ornamenti. Lo guardo in faccia e lo vedo abbassare lo sguardo. Annuisco e gli lascio il polso. Sposto gli occhi sulla signora.
    «Grazie Enia. Andate.» Le dico, e lei porta il carrello vuoto fuori dalla stanza, seguita dai due ragazzi. Si chiudono la porta alle spalle.
    «Non sono ancora pronti, ma sono promettenti. Almeno non sono più scheletrici.» Commento, spostando lo sguardo sulla donna che si sta spalmando della confettura sul pane.
    «Lo spero. Guarda di cosa ci dobbiamo accontentare -» e indica il pezzo di pane che ha in mano «- per poter sfamare i randagi che continui a raccogliere.»
    «Lo sai che mi faccio commuovere.» Afferro un pezzo di pane e non ci spalmo sopra nulla. Lo addento.
    «Almeno questi, quando arriverà il momento, ripagheranno la nostra ospitalità.» E sorrido. Anche la donna sorride di rimando.
    «Devo uscire tra poco. Sento che sono quasi a una svolta nella mia ricerca.» Dico, poi prendo la veste sul letto e vado verso il bagno privato.

    0qVuOPt


    Finisco di vestirmi poco dopo. Lo specchio mi restituisce un volto stanco, ingrigito, ma con occhi azzurri accesi e laceranti. Le occhiaie li fanno risaltare ancora di più.
    «Stai attento là fuori-» mi dice la donna quando esco dal bagno. Ha finito di mangiare e sta incominciando a vestirsi. «-continuo a sentire voci preoccupanti. Sta per succedere qualcosa di grosso. Nessuno ama Liraya, dicono che ha troppi segreti. Non si fermeranno all'attacco di un paio di settimane fa.»
    «Lo so. Ma mi... ci serve viva per ora. Se fossi stato pronto - e se non ci fosse stato anche quel ragazzino - non l'avrei aiutata. Ma anche io voglio i suoi segreti, lo sai.» Per istinto la mia voce si abbassa, diventa quasi un sussurro. Lo sguardo si sposta su ogni angolo della stanza.
    Le do un bacio, la abbraccio e senza altri saluti esco dalla porta, attraversando la grande casa a passi svelti. Sui muri dei corridoi ci sono i ritratti di uomini e donne che mi assomigliano.
    Arrivo al salone di ingresso e l'anziana signora e i due ragazzini fermano ciò che stavano facendo - riordinare e pulire - per inchinarsi. Restano in quella posizione fino a quando non arrivo alla porta di ingresso.
    Esco in strada e subito sento i rumori di una città che si risveglia. Urla di bambini, suoni di martelli sulle incudini, e lo scalpitio dei cavalli. Davanti alla mia porta, sui gradini, ci sono dei mendicanti. Un uomo, una donna, due bambini ricoperti di stracci: una famiglia.

    Vedo che l'uomo sta per aprire bocca.
    Ha in mano un cesto delle offerte in cui tintinnano poche monete.
    «Avete tre secondi per allontanarvi da casa mia e non farvi più vedere. Uno, due, tre.» Conto velocemente. Al tre vedo che le mie mani si trasformano: le dita si allungano, si moltiplicano. Le unghie si fondono ai polpastrelli in artigli aguzzi, lunghi svariati centimetri.
    La donna lancia un grido, i bambini scoppiano a piangere, l'uomo inizia a correre trascinando via gli altri.
    Quando sono di nuovo da solo sbuffo. Le mani tornano normali.
    «Forse Talia ha ragione. Devo smetterla di sfamare i randagi, se non voglio che mi mordano la mano.» Commento tra me e me, iniziando a camminare per le strade dell'Isola. La pietra è sporca e le persone camminano veloci, senza mai guardarsi in faccia.
    Vedo che sulla via si sta formano un mercato improvvisato, con venditori che allestiscono le bancarelle e altri che già chiamano con le loro urla i clienti. Sui banconi c'è pane, carne e pesce sotto sale, stoffe da cucire per farne vestiti. E poi gioielli finti, fatti pitturando i sassi oppure con schegge di vetro lavorate. Accelero il passo, smettendo di guardare la merce in offerta.

    Le strade si aprono, diventano più pulite, sono frequentate da meno mendicanti.
    Attraverso una bella piazza piena di botteghe di artigianato. Mi infilo in un vicolo stretto e quando ne esco mi ritrovo su una via ben illuminata, con grandi case e ville tinteggiate da poco. Mi avvicino a una di queste, la percorro nel suo perimetro, arrivando alla porta di servizio sul retro. Entro senza bisogno di chiavi e mi ritrovo in una stanza ben illuminata, piena di pergamene arrotolate sugli scaffali e con grandi mappe disposte sui tavoli. Nella stanza non c'è nessuno.
    Mi avvicino a un tavolo libero.
    «Sutok Qo.» Dico sottovoce, sgranchendomi le mani. Sento che qualcosa sta avvenendo sulla mia faccia, sull'occhio sinistro. Lo sento tirare, come se stesse uscendo dalla sua orbita, eppure non fa male.
    La vista trema per un momento, e poi succede qualcosa di strano. L'occhio destro continua a vedere normalmente, mentre quello sinistro vede il tavolo farsi vicino, sempre più vicino. Il mio cervello restituisce le immagini di due parti diverse della stanza.
    Con l'occhio destro inizio a vedere l'occhio sinistro. È perfettamente integro, una sfera bianca collegata alla mia testa solo da alcuni filamenti di carne. È appoggiato sul tavolo. Inizia a muoversi e posa l'iride azzurro su diverse parti della stanza: vedo il soffitto e le colonne che lo reggono, le scale che separano questo laboratorio dal resto della casa, e vedo, dietro una teca, diversi oggetti in vetro.

    Sospiro, facendo fare un altro paio di giri all'occhio. I filamenti di carne che lo reggono pulsano a ogni movimento.
    «Adesso qualcosa di più difficile.» Avvicino la mano al tavolo, il mignolo in fuori. È mutato anche quel dito, diventando simile all'artiglio con cui avevo minacciato i mendicanti.
    Avvicino il mignolo a uno dei filamenti, tranciandolo di netto. Gli altri filamenti vibrano, ma la vista di quell'occhio continua a essere perfetta. Sto per avvicinare il mignolo a un altro filamento, quando la porta si apre di colpo e sbatte contro il muro.
    Non mi volto, ma l'occhio sul tavolo si allunga a osservare chi è entrato. È un ragazzo, di qualche anno più grande di quelli accolti a casa mia, vestito con poca cura e con i capelli arruffati.
    «Buongiorno Yianni! Allora, come andiamo? Che stai fac- eddai, ma sempre queste cose, che schifo!» La sua voce è quasi un grido, con un tono alto, non ancora di uomo formato.
    Non rispondo. L'occhio sul tavolo si ritira dalla mia vista, i filamenti si contraggono, e lo sento rientrare nell'orbita. Sbatto un paio di volte le palpebre per riabituarmi a una visione non sfalsata.
    «Lasciamo stare.» Dico, ma non mi giro verso il ragazzo e mi è chiaro che non sto parlando con lui. Afferro la mappa sul tavolo più vicino e mi faccio cadere su una poltrona. Inizio a consultare la mappa distrattamente.
    Aspetto.

    0qVuOPt

    Energia ~ ???.
    Cloth ~ Black di ???.
    Condizioni ~ ???.
    Abilità ~ ??? → Scheda.
    Riassunto ~ /
     
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    THE LONG FALL

    V




    Ti hanno braccato per giorni. Non hai avuto un attimo di riposo. Se solo avessi avuto l'armatura che ti spetta, avresti potuto combattere... ma non è il momento di pensarci. I tuoi aguzzini sono riusciti a raggiungerti perfino in quell'angolo sperduto di mondo dove hai approntato un rifugio nascosto da tutto e da tutti. Nessuno sapeva di quel luogo. Nessuno. Eppure ti hanno trovato. E avete combattuto. Non sono straordinariamente potenti, ma sono tre. E tu sei da solo.

    -

    La vostra Maestra non si presenta al consueto appuntamento. Non è la prima volta, date le sue considerevoli responsabilità. È strano, tuttavia, che non vi abbia fatti avvisare. Darth Liriya non è il tipo di mentore che ignora la formazione dei suoi allievi. Sentite agitazione fuori dalle porte, non un buon segno. Gli abitanti si stanno dirigendo in massa verso il castello, solo per essere respinti dai Cavalieri Neri di guardia. A più di dieci metri di altezza pende un corpo senza vita, crocefisso, inchiodato direttamente alle spesse mura.
    Il corpo è nudo e sfigurato.

    Quando venite convocati nella stanza dei troni, l'atmosfera è grave. Liriya getta uno sguardo indecifrabile verso di voi prima di parlare, comunicando ai presenti che il cadavere appartiene a Darth Myrkytt dello Scorpione. Il cappuccio le copre gli occhi, come sempre, ma tu la conosci abbastanza da leggere una grande tristezza nel suo tono di voce. Per la prima volta da quando sei al suo servizio ti sembra che il corpo della tua Maestra tradisca la sua veneranda età.

    Era da qualche tempo che gesti tanto sconsiderati non avvenivano sotto il mio comando. È fondamentale che le nostre forze rimangano intatte o cadremo come frutti troppo maturi, marcendo nella nostra incapacità. Il responsabile di questo atto sarà punito come esempio per tutti gli altri. E sarò io a eseguire la sentenza.

    Il suo cosmo si innalza minaccioso. Nessuno in quella sala potrebbe sperare di competere con tale emanazione. Qualcuno reagisce. Le accuse più esplicite iniziano a volare tra i seggi dei Black Gold.
    Solo otto dei dodici consiglieri sono presenti. Di Virgo, Gemini e Libra non si hanno notizie da diverso tempo. Darth Icterius, allievo di Arturus e assurto da pochi anni a Black Aquarius, osserva tronfio Liriya. Scambia qualche parola e un cenno di assenso col vicino, Darth Ranlik di Cancer.

    Nei giorni successivi, la situazione non fa che inasprirsi.

    divider%20him10


    Note Master:
    Come avrai capito, i flashback che precedono la morte dell'allievo vanno a ritroso, quindi arriva pure dove abbiamo iniziato col precedente, gestendo tu il fight. Non ragionare tanto in termini di energie, loro singolarmente sarebbero gestibili ma in 3 loro e senza cloth tu, sappiamo come va a finire. Hai abilità piene, tranne l'orium che puoi usare solo come elemento.
    L'altro FB mandalo avanti fin dove preferisci. Tutti i Black dell'isola sono riuniti, quindi hai una bella panoramica. Oltre agli otto, nella stanza ci saranno 30/35 persone, quindi capirai bene che siete rimasti in pochini. Ovviamente inizia il gioco dei sospetti, delle accuse e delle liti che - essendoci di mezzo il cosmo - sono abbastanza pesanti. Il pv di Liriya è Kreya/Darth Traya di SW-KotOR.


     
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    Sono una preda in fuga.
    Mi hanno inseguito per giorni interi, senza mai dormire. Io posso muovermi più veloce di loro, posso creare distrazioni e inganni, ma alla fine riescono sempre a trovarmi.
    Neanche il teletrasporto funziona più. Le distanze che riesco a percorrere sono sempre minori, il tempo che passa prima di percepirli nuovamente si accorcia ogni volta.
    Io sono da solo e loro in tre; singolarmente, anche senza armatura, potrei gestirli senza troppe difficoltà. Ma così, stanco, braccato, so che uscirne vivo sarebbe un miracolo. Però non posso procedere oltre, non posso lasciare che scoprano quello che si nasconde sotto terra.
    Non posso permettermi di portarli lì sotto.
    «E va bene.» Sussurro, fermandomi dopo essere apparso su un terreno pianeggiante. Una distesa di nulla, quasi un deserto, il primo luogo abitato è a chilometri di distanza. So che ci vorranno pochi minuti prima che mi raggiungano e ho tutta l'intenzione di prepararmi al meglio. Nelle mie mani si creano uno scudo e una mazza ferrata di orium. Non ho tempo per riposare, posso solo abbassare il battito cardiaco e riprendere fiato.
    «Praticherò la mia Zayin Shokkai su di voi.» Il mio corpo arde, brucia. Il cosmo mi circonda come una seconda pelle.
    E, molto prima di quanto pensassi, i miei cacciatori sono qui.

    0qVuOPt


    Sono tre giovani guerrieri, due ragazzi e una ragazza. Indossano delle armature di cui riconosco solo che sono state create con l'alchimia nera.
    Hanno portamenti marziali e non sembrano avere segni di stanchezza o di incertezza sul viso. Il più grande di loro, un giovane uomo alto, biondo, con in mano una lancia, avrà meno della metà dei miei anni.
    Sono dei soldati e hanno ricevuto un ordine preciso: uccidere me. Scrutano il campo di battaglia in cerca di trappole e poi mi osservano, valutano le armi che ho in mano e la mia distanza da loro. So che stanno calcolando in quanti millisecondi potrebbero raggiungermi dal loro punto di partenza.
    Io aspetto. Guardo la ragazza e la spada che tiene sguainata. L'ultimo è forse il più giovane dei tre e non sembra essere armato. Non posso sottovalutarlo.
    Aspetto ancora. È un momento di silenzio che sembra distendersi senza mai finire.
    Poi lo strappo. Il loro movimento avviene nello stesso istante, come se avessero comunicato tra loro senza parola. La più veloce è la ragazza, e quasi mi sorprende per la sua agilità. Non mi carica direttamente, ma la sua traiettoria segue una parabola precisa, come se volesse accerchiarmi.

    Anche gli altri due seguono quella tattica che riconosco studiata, perfezionata e ripetuta infinite volte.
    Wotok Qo, un accerchiamento che non vuole lasciarmi via di fuga, colpendo su tre fronti diversi in contemporanea. Un modo semplice e cauto per incominciare, come cauti si sono rivelati durante tutto il loro inseguimento. Sono metodici: la loro età non vorrà dire nulla, in questa guerra.
    Ma soprattutto, lo riconosco, sono allenati. Forse più di me. Devo interrompere la loro tattica, costringerli a improvvisare. Come reagiranno quando - Zartok Qo - non potranno continuare con la loro strategia e dovranno reagire?
    La stessa cosa vale per me: non posso pensare, ora è solo istinto.
    Il mio sguardo si sposta sul più lontano dei tre, quello rimasto indietro e che mi sta caricando frontalmente. Il biondino a loro capo. È solo un istante in cui scompaio dalla mia posizione e ricompaio in un'altra, esattamente dietro di lui, nel suo angolo cieco. Il mio braccio, con la mazza ferrata di orium in mano, si sta già muovendo.

    Miro al suo fianco con l'arma infusa da una carica psicocinetica, per aumentare la forza con cui colpirò.
    Sento il rumore della testa della mazza che si infrange contro l'armatura, con uno scricchiolio che non so dire se è della stessa o delle costole del ragazzo. Lo stesso impatto libera una bordata telecinetica, sbalzando il suo corpo lontano da me per parecchi metri. Lo vedo rotolare più volte prima di fermarsi.
    Non faccio in tempo a ghignare o a smaterializzarmi di nuovo. Sento un dolore pungente all'altezza della spalla, e alzo lo scudo prima che sia troppo tardi. Sento un rumore metallico e qualcosa mi ferisce sul viso, poco sotto l'occhio destro.
    Mi teletrasporto d'istinto, allontanandomi dai due soldati rimasti. Appena ricompaio vedo che dei coltelli cosmici superano la posizione in cui ero fino all'istante prima. Provengono dal più giovane, l'unico disarmato - o così credevo.
    Si è accorto per primo del mio movimento, e anche se non ha potuto fare nulla per salvare il suo compagno mi ha attaccato mentre non potevo difendermi.
    Stringo i denti. Mi rendo conto che il primo coltello ha penetrato in profondità nella spalla, e non riesco più a tenere stretta la mazza di orium. La lascio cadere con un tonfo sordo. Il secondo coltello rischiava di accecarmi. Fa male, devo stare più attento.

    Vedo che i due soldati ancora in piedi si stanno già muovendo, ma io ho smesso di stare sulla difensiva.
    Sutok Qo, la forma più adatta ai miei poteri. La terra davanti a me trema e si spacca; dal terreno iniziano a emergere colonne di orium alte più di venti metri, con più punte grezze in cima. Si concentrano maggiormente sotto i due soldati, per ferirli, rallentarli e far mancare loro la terra sotto ai piedi.
    Voglio modificare il terreno di scontro, così che le mie capacità di movimento risultino ancora più efficaci.
    Li rallento, li ferisco, ma non abbastanza. Lei è veloce e danza sugli spigoli, lui sembra percepire il punto in cui gli spuntoni emergeranno, scartando in tempo per limitare i danni. Sapevo che non era abbastanza per fermarli, ma stanno reagendo più velocemente di quanto pensassi. D'istinto il cosmo attorno a me si fa più spesso, per difendermi dagli attacchi in arrivo.
    Si stanno avvicinando. La donna lancia una bordata di cosmo, che defletto con un singolo movimento psicocinetico. Capisco che era un diversivo. È seguita da un muro di coltelli da lancio, che si dirigono verso di me a grande velocità. Alzo lo scudo di orium, circondando il resto del corpo con una barriera repulsiva.

    L'impatto mi fa vibrare e quasi perdere la presa sullo scudo, ma la difesa concentrata rallenta i coltelli abbastanza da provocarmi solo dei tagli superficiali nei punti scoperti.
    È allora che capisco che sono stato di nuovo stupido: sono più inesperto di quei ragazzini. Mi maledico, ma è troppo tardi. La spada della guerriera fende la barriera di cosmo sulla schiena, lacerando la carne viva e facendomi quasi lanciare un grido.
    Il mio è un istinto di rabbia e di odio, non più una strategia. Da dietro di me, dove deve essere quella ragazzina, parte un'onda di orium, in una forma che ricorda il corpo di un serpente. La colpisco sui reni, allontanandola di qualche metro da me.
    Con la vista annebbiata vedo un luccichio davanti a me. Il giovane è sempre più vicino. Paro a malapena i suoi coltelli alzando di nuovo lo scudo, e lo vedo balzare verso di me con una lama per mano. Vuole superare lo scudo, mirando alla testa.
    Non ho via di scampo lì, devo ritirarmi di nuovo. Mi smaterializzo e riappaio a decine di metri di distanza, oltre il campo devastato dalle stalagmiti di orium. Posso tirare il fiato, la schiena che va a fuoco nel punto in cui la spada mi ha lacerato. Stringo i denti, non importa, sono già dove devo essere. Devo solo eliminarli, e poi sarò al sicuro.

    Lo sguardo che lancio ai due soldati è puro veleno.
    La ragazza si sta riportando di nuovo in piedi, una mano sull'addome dove è stata colpita, nell'altra mano la sua spada è ancora salda. Il più giovane è di nuovo in movimento, circondato da uno sciame di coltelli danzanti. Solo la morte li può fermare: non le ferite, non il dolore, non il sangue.
    Morte avranno. Il mio cosmo brucia, si estende fino a lambirli, e non appena li tocca si manifesta. Dirigo con la mente il mio potere psicocinetico, concentrandolo sopra ai loro corpi. Per loro è come se la gravità fosse improvvisamente cresciuta in modo esponenziale, schiacciati da una morsa che li piega, gettandoli a terra, comprimendo le ossa sotto il suo peso.
    Li ho presi e ora sono loro a essere in trappola. Il mio potere fluisce, si condensa in un fiume psicocinetico così intenso da spaccare la terra sotto di loro. Devo solo mantenere quella pressione: presto anche i loro polmoni collasseranno privi di aria.
    Sento nella bocca il sapore del sangue. Hanno provato di nuovo a fermarmi, ma anche questa volta non ci sono riusciti.

    Anche questa volta, io...
    Una lancia mi attraversa il fianco destro da parte a parte. La mia vista esplode in macchie rosse, la mia concentrazione è interrotta. La lancia viene sfilata causandomi altro dolore, così tanto che quasi rischio di perdere la terra sotto ai piedi.
    Mi porto una mano al fianco, e quando la sollevo vedo che è piena di sangue. Cerco aria disperatamente, ma è come se non riuscissi più a respirare. È appena diventato un conto alla rovescia, ora. Una clessidra è stata girata, e non so quando esaurirà la sua sabbia.
    Mi giro e vedo il primo soldato che ho colpito, il più grande: è ancora in piedi a una decina di metri da me. Si regge sulla sua lancia, ora sporca del mio sangue. Anche lui si tiene un fianco, proprio come me. Bastardo vendicativo.
    Come può...? Non importa. Morirà. Moriranno tutti.
    Gli altri due soldati tossiscono sangue, scossi dalle convulsioni. I loro corpi non si muoveranno più come prima, ma stanno ritrovando l'equilibrio. Sono persistenti, temprati, o non reagirebbero così al dolore.
    Vuol dire che dovranno soffrire ancora. Non ho sacrificato tutto per farmi fermare da dei soldati a stento ancora umani.
    Mi sono meritato tutto questo. Mi sono meritato il mio potere.
    Non possono togliermelo.

    0qVuOPt


    Nessuno può.
    Di nuovo un lungo attimo in cui ognuno valuta le proprie condizioni e le proprie ferite. I limiti della mia visione sono offuscati e il dolore arriva a ondate; mi è chiaro che sono riuscito a colpirli duramente e a rallentarli, ma nessuno di loro, singolarmente, è in condizioni critiche come le mie.
    Sono di nuovo accerchiato e so che proveranno di nuovo a colpire insieme, per fiaccarmi e lasciare che le mie ferite aperte facciano il resto. Non posso permetterlo. Devo prendere il controllo ora.
    Respiro a fondo e i miei piedi si staccano da terra, mi sollevo in aria sopra il campo di battaglia. Per primi arrivano i coltelli, mirati con precisione non nel punto in cui sono, ma nel punto in cui sarò tra poco, per intercettarmi. Devio e schivo a mezz'aria, dirigendo il mio movimento con il controllo psicocinetico sul mio corpo. Quando le lame sono troppo vicine le defletto con lastre di orium create a mezz'aria.
    La seconda a muoversi è la ragazza. Inizia a correre verso di me, usa una delle mie stalagmiti di orium come trampolino e con un balzo quasi mi raggiunge, la spada in alto, per tranciarmi in due.
    Allungo la mano verso di lei, e con una bordata psicocinetica riesco sia a respingerla sia ad allontanarmi ulteriormente da terra. La vedo precipitare verso il basso, ma riesce a ritrovare l'equilibrio e con una rotazione a mezz'aria atterra in piedi.

    La mia consapevolezza cosmica è molto più ampia della loro.
    Anche se sono ferito questa non è stata intaccata in nessun modo. Voglio stravolgere il terreno di scontro, separarli una volta per tutte, ed eliminarli uno a uno prima che sia troppo tardi. La terra trema di nuovo.
    Altre colonne di orium si aggiungono a quelle presenti, poi muri neri, grezzi, alti decine e decine di metri. Creano un labirinto irregolare, con pareti così alte da non poter vedere aldilà. Intervallo fila e fila di muri tra i tre soldati, così che non sia possibile per loro ritrovarsi. Alcune vie le lascio senza uscita, altre creano spirali che non conducono da nessuna parte. Non ho tempo di pensare a un'architettura che sia sensata: quello che creo è un groviglio inestricabile di centinaia di metri.
    Solo io, dall'alto, ne ho la visione completa. Non possono nascondersi da me. L'orium è nero, non si vede attraverso, ed è così resistente che crearsi una via d'uscita con la forza bruta sarà complesso.
    Porto lo sguardo sul più giovane dei tre, che mi fissa dal basso, circondato da una nube di coltelli. È il più reattivo dei tre, ed è quello che scelgo di eliminare per primo.

    Inizio a muovermi verso di lui a gran velocità.
    Il mio volo psicocinetico mi avvicina inesorabilmente a lui, vicino, sempre più vicino. I suoi coltelli scattano e lacerano l'aria, lanciati verso l'apertura da cui crede entrerò nel labirinto. Ne sta generando e scagliando un gran numero, non vuole rimanere in trappola con me.
    Aspetto fino al momento prima del contatto e mi smaterializzo a mezz'aria. Ricompaio a due passi da lui, dietro la sua schiena. Con un impulso psicocinetico lo sbalzo in avanti, facendolo impattare con violenza contro il muro davanti a sé. È abbastanza per destabilizzarlo e per sopraffare per un istante la sua reattività fuori dal comune.
    Non spreco quell'apertura e prima ancora che cada creo un'altra spinta psicocinetica, questa volta dall'alto verso il basso, e lo faccio rovinare a terra. Mi concentro su quella spinta, esercitandola sul suo intero corpo, per non dargli modo di muovere un muscolo. È caduto di pancia, prono, e mi lancia uno sguardo d'odio con il viso rivolto verso di me. Altri coltelli incominciano a vorticare attorno al suo corpo, ma io non mi fermo.
    Concentro la morsa psicocinetica e ne aumento la forza in corrispondenza del collo del ragazzo, scoperto dalla sua armatura. Lambisco quella carne e i muscoli, supero una debole resistenza cosmica, e arrivo dove voglio.
    Le lame mi colpiscono con sempre meno precisione. Tagliano gli avambracci, le gambe, le guance. Non è abbastanza. Il mio cosmo raggiunge il suo apice, e la pressione accumulata fino a quel momento viene rilasciata in un movimento preciso. Faccio ruotare il collo del soldato in un angolo innaturale, spezzandoglielo di netto.

    Prima di morire esala un rantolo sanguinante.
    Mi appoggio a un muro di orium e riprendo fiato. Ne restano due, ma di certo io non sto migliorando le mie condizioni. Non provo nemmeno a guardare le ferite sul mio corpo; fa più male del mio Reltok Kinajak.
    So che per questo involucro di carne è la fine. Questo corpo mi ha servito bene, ma non c'è modo di guarirlo: ne dovrò indossare un altro, alla fine. Ma è ancora troppo presto per pensarci. Alzo gli occhi verso il cielo e sto per rialzarmi in volo, quando vedo un bagliore sopra di me.
    Agisco prima ancora di aver capito cosa sto guardando. Ridirigo la potenza psicocinetica che stavo per convogliare attorno al mio corpo e la muovo verso l'alto, tra me e quel bagliore. La spada della guerriera impatta contro il mio muro respingente, lo scalfisce, lo spezza e lo taglia.
    Dannata. Deve essere riuscita a saltare su un muro e a percorrerli dall'alto fino a quando non mi ha trovato. Vedo il suo sguardo determinato oltre la vibrazione nell'aria, la sua spada stretta tra le mani.
    Riesco a deviarla dalla posizione iniziale, ma scivola e raggiunge la spalla già ferita. Taglia così tanto da raggiungere e incrinare l'osso. Lancio un grido, e ridirigo il resto del potere psicocinetico per allontanarla da me.

    Il dolore esplode quando estrae l'arma.
    La guerriera atterra in piedi, a pochi passi dal suo compagno morto. Non lo degna di uno sguardo. I suoi occhi famelici sono puntati solo su di me. Capisco che sta per scattare di nuovo, ed è così vicina che la sua velocità può essere un problema. Un colpo ben assestato di quella spada sarebbe la fine. Agisco per primo, dandomi una spinta telecinetica per allontanarmi da lei. Percorro il corridoio di orium a gran velocità, svolto, svolto ancora. Lei mi insegue.
    Ma io sono nel mio elemento, sono circondato da esso. I muri si spaccano non appena li oltrepasso, invadendo i corridoi di detriti affilati. Le colonne crollano e lanciano schegge di orium in ogni direzione. Lei è sempre a pochi passi da me, salta, scarta, schiva come può le scaglie di orium che impattano contro di lei, la sua armatura e la sua spada.
    Fa partire un fendente cosmico dalla sua lama, per bloccarmi una via di fuga prima che possa imboccarla, costringendomi a prendere un corridoio più stretto. Con un altro fendente cosmico riesce a colpirmi al petto. Cerca di dettare la direzione in cui mi muovo e di non perdermi di vista. Sembra quasi non le importi di venire ferita. Non arretra mai se questo vuol dire ridurre la distanza tra di noi.

    Non posso continuare quell'inseguimento ancora a lungo. Sta quasi per prendermi.
    La mia fuga mi porta in un vicolo cieco, una delle strade senza via d'uscita del mio labirinto. Mi ritrovo con le spalle al muro, con solo una possibilità di fuga. Decido di provarci.
    La guerriera fa un balzo, la spada sollevata in un affondo. È allora che anche il muro dietro di me inizia a crollare, non dal lato opposto, ma proprio verso di me. Il muro è abbastanza alto da schiacciare entrambi.
    Svanisco nell'aria e riappaio in alto, pochi metri sopra. Vedo che la guerriera è già in movimento, in uno scatto all'indietro che la porterebbe fuori dal crollo. No, non questa volta: non ero io in trappola.
    La lambisco con il mio potere psicocinetico, in un'ondata grezza, imprecisa, pura spinta indirizzata al bloccarla sul posto, impedendole di muoversi. Lo stesso potere aumenta la velocità in cui lo spesso muro di orium crolla verso di lei.
    Alza a fatica la spada di piatto sopra di sé, un gesto disperato, che non riesce a fermare quella marea solida. Viene travolta, schiacciata, compressa.
    I detriti sommergono il suo corpo. Muore senza un grido.

    Atterro sui detriti sporchi di sangue - di chi? - e il mio corpo è piegato in due da una crisi di tosse.
    Sputo sangue, cerco disperatamente di trattenere l'aria nei polmoni, e a fatica riesco a rimettermi in piedi. Posso a malapena muovere il mio corpo, ma ormai non mi serve più. Lo sollevo con il mio controllo mentale, alzando insieme a me pezzi e schegge affilate di orium: devo risparmiare le energie e sfruttare ciò che ho già creato.
    Mi alzo in nuovo sopra il labirinto e non ci metto molto prima di vedere che l'unico soldato rimasto, il più grande dei tre, è riuscito a raggiungere il lato più esterno.
    Cammina a fatica ma è ancora in piedi, la lancia ancora stretta in mano. Per un momento provo terrore, un brivido che mi percorre e che supera il dolore. Potrebbe cercare aiuto, tornare con altri rinforzi. No, non può vivere. Stringo i denti e mi lancio in volo verso di lui.
    Scaglio le schegge di orium davanti a me, facendole piovere verso il guerriero. Si accorge dell'attacco e solleva la lancia in aria, verso di me.

    I movimenti della sua arma sono precisi, riesce a deflettere molti dei detriti che gli lancio addosso.
    Non rimane fermo a difendersi, ma sfrutta i movimenti della sua lancia per scagliare dei fendenti e affondi cosmici verso di me: in un unico movimento unisce la difesa all'attacco.
    Anche io mi difendo come posso e defletto con spinte cinetiche quelle emanazioni cosmiche. Nessuno dei due sta riuscendo a danneggiare in modo significativo l'altro. Sfrutto l'orium sotto di me, lo manipolo, lo trasformo in lame, ma non riesco ad assestare il colpo finale. Respiro sempre più a fatica, riesco a reggermi sempre peggio in aria.
    Basta. Infondo le schegge di orium di una parte dei miei poteri, quelli capaci di smaterializzare e far riapparire la materia dove voglio. Non appena una di queste schegge riesce a toccare e a ferire di striscio il soldato, il suo corpo scompare. Riappare in aria, a centinaia di metri d'altezza, molto più in alto di me e del campo di battaglia.
    Lo raggiungo scomparendo e riapparendo sopra di lui. Lo vedo disorientato e ferito, fatica a capire cosa sia successo. Con una cannonata psicocinetica provo a velocizzare la sua caduta, per farlo schiantare con violenza al suolo.

    Siamo vicini, molto vicini.
    Prova a resistere, a generare esplosioni di cosmo sotto di sé per rallentare la caduta, ma io do fondo al mio potere per spingerlo sempre più forte, sempre più giù. Per un attimo vedo nei suoi occhi azzurri un sentimento che conosco bene: la sconfitta. Poi smette di lottare e di far esplodere il cosmo. Stringe i denti e in un singolo movimento solleva il braccio con la lancia verso di me.
    La scaglia con un gesto preciso verso il mio cuore. Ha smesso di combattere per salvarsi, ma non per uccidermi.
    «NO!» Grido, lanciando un altra bordata verso di lui, ormai a poche decine di metri dal suolo. La lancia viene deviata a mezz'aria, vibra, ma non si ferma. Riesce a perforare il mio muro psicocinetico, raggiungendo il mio addome.
    Buio. Per un attimo è solo buio. Non devo cadere con lui: penso solo a questo. Scompaio a pochi metri da terra, riapparendo sul terreno un istante dopo. Nel teletrasporto non ho portato con me la lancia, ma ora ho un'altra ferita che sanguina copiosa. Cado a terra in ginocchio. La bocca mi si riempie di sangue. Ho vinto, ma non so se riuscirò ad attuare il mio piano di emergenza.
    Devo scappare. Devo muovermi, non posso rimanere qui, eppure non riesco a rialzarmi. Ma devo. Io devo vivere. Devo salvarmi. Ho sacrificato tutto per farcela, non può essere stata solo fortuna. Non posso scomparire nella storia e venire dimenticato.
    Che bruci tutto il mondo, purché io resti vivo.

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    Energia ~ Viola.
    Cloth ~ Black di ???.
    Condizioni ~ Guess I'll die.
    Abilità ~ Psicocinesi, Teletrasporto, Orium Nero [Elemento Soprannaturale, Influenza Mentale, Berserk Indotto, Durezza Straordinaria] → Scheda.
    Riassunto ~ ... mi faccio un caffè e vado a scrivere la parte II del post.
     
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    Il rumore fuori dalla porta diventa sempre più forte.
    Voci si accavallano, grida, rumore di attrezzi lasciati cadere. Decido di alzarmi dalla poltrona e di uscire dalla villa di Liriya, e noto che tutto il popolo si sta dirigendo di corsa verso il castello.
    Non riesco a capire altro che singole parole, ripetute ancora e ancora: morte, aiuto, paura, guerra. Mi accorgo di aver iniziato a correre anche io, spintonando i popolani attorno a me.
    Quando arrivo mi è subito chiaro il motivo del disordine. Un corpo è crocifisso sulle mura. Un corpo di donna che è stato reso irriconoscibile dalla violenza: solo i suoi lunghi capelli mi ricordano qualcosa. Un lampo di comprensione mi fa riconoscere, sotto il viso tumefatto, Myrkytt. Alchimista suprema dello Scorpione, la maestra di Talia.
    Per un attimo mi ritrovo smarrito come il popolo e penso che un atto del genere cambi tutto in modi ignoti, che fanno paura.

    Poi penso: Talia.
    L'ho lasciata stamattina a casa, stava bene, non poteva essere con lei. Non poteva, mi ripeto, mentre richiamo l'armatura nera e supero di corsa le guardie del castello.
    Anche all'interno c'è disordine. I primi cavalieri neri si sono già riuniti e parlottano tra loro in gruppetti da due o tre alchimisti. Si lanciano sguardi d'odio, a volte alzano la voce proprio per farsi sentire.
    Cerco Talia con lo sguardo all'interno dell'ampio salone d'ingresso, e finalmente la scorgo. Il mio cuore salta un battito. Sembra stare bene. È seduta su una panca con l'armatura addosso, si copre il viso con le mani. Resto fermo dove sono, ma lambisco la sua mente con i miei pensieri.
    Che cosa... chi è stato? Tu stai bene?❜ Lei resta ferma, impassibile. Non vuole attirare l'attenzione.
    Sto bene, sì. Ma ho avuto paura per me e per te. Restane fuori, Yianni.❜ Mi comunica, e mi dispiace di non poter sentire l'inflessione della sua voce.
    Le porte della sala dei troni si spalancano e il silenzio cala nella sala. Tutti noi Alchimisti veniamo invitati a entrare e a partecipare a un concilio straordinario.
    Sono presenti tutti gli Alchimisti Supremi.

    Darth Liriya dell'Ariete

    Darth Dovus del Toro

    Darth Ranlik del Cancro

    Darth Dajur del Leone

    0qVuOPt


    Darth Tivaar del Sagittario

    Darth Ensys del Capricorno

    Darth Icterius dell'Acquario

    Darth Alisma dei Pesci


    Non è la prima volta che vedo la stanza dei troni.
    Era già successo in passato in caso di riunioni più piccole, in cui pochi Alchimisti Supremi si scambiavano informazioni alla presenza dei loro allievi e protetti. In un'altra occasione avevamo pianificato i dettagli di una missione di infiltrazione in territorio nemico. Da quando ho memoria, però, è la prima volta che tutti gli Alchimisti sono stati chiamati alla presenza del Nero Concilio.
    Mi è chiaro fin da subito che siamo stati convocati dopo una prima accesa discussione. Me lo conferma lo sguardo che mi lancia da sotto il cappuccio Liriya non appena entriamo. Prendiamo posto alle spalle del suo trono, così come fanno gli allievi degli altri Darth. Dall'altra parte della stanza vedo che Talia, l'armatura addosso, si sistema dietro al trono dello Scorpione.
    Non guarda me. Il suo sguardo attraversa tutti i membri del Concilio, senza avere timore di farsi vedere da tutti gli Alchimisti Supremi. Era l'unica allieva di Myrkytt e io la conosco: con il suo sguardo comunica di non avere paura di fare la sua stessa fine.

    Gli sguardi dei membri del concilio, però, sono tutti rivolti ai loro pari.
    So che Liriya, da sotto al cappuccio, sta già osservando ogni Alchimista Supremo, pensando alla prossima mossa e a come tentare di aggiustare ancora una volta ogni cosa. A cosa dire e a cosa fare perché questa sia l'ultima volta.
    C'è Icterius, che scambia qualche parola con il vicino, Ranlik, e poi non si fa problemi a reggere lo sguardo di Liriya in attesa che parli. C'è lo sguardo di fuoco di Dajur, puntato su Icterius, e quello basso di Alisma, che non osa incrociare gli occhi con nessuno. Ci sono gli occhi rivolti all'ampio soffitto di Ensys, che è già visibilmente annoiato da quell'incontro. E ancora lo sguardo accigliato di Dovus, che stringe i pugni sui braccioli del suo trono mentre guarda fisso Ranlik, che però lo ignora.
    Ognuno sta facendo il suo gioco, con più o meno maestria e consapevolezza. Mi chiedo se anche questa volta Liriya ne uscirà come portavoce del Concilio, o se la morte di Myrkytt, sua compagna e amica fedele, cambierà le cose.
    Mi correggo. Le cose sono già cambiate, è evidente. Devo solo capire come.

    La voce di Liriya rompe il silenzio in cui era sprofondata la sala.
    Rimbomba tra le mura della grande stanza, dandole un sapore ancora più antico, stanco. Non trema mentre comunica che il corpo sfigurato è quello di Darth Myrkytt, e che il cadavere è stato rimosso per darle una degna sepoltura.
    «Era da qualche tempo che gesti tanto sconsiderati non avvenivano sotto il mio comando. È fondamentale che le nostre forze rimangano intatte o cadremo come frutti troppo maturi, marcendo nella nostra incapacità. Il responsabile di questo atto sarà punito come esempio per tutti gli altri. E sarò io a eseguire la sentenza.» La sua voce è ferma. Per chi non la conosce può sembrare carica di dignità, ma io so che sta facendo del suo meglio per non far trasparire la sua rabbia e la sua tristezza. L'ho sentita parlare molte volte, e riconosco quei mutamenti impercettibili.
    È come se si fosse resa conto del proprio turbamento, perché il suo cosmo invade l'intera sala: una dimostrazione di potere e di autorità. È impossibile crederla debole, anche se è chiaramente la più vecchia degli Alchimisti Supremi e non ha più la stessa influenza sul consiglio.

    Il suo potere è lo stesso del primo giorno, forse è solo cresciuto da quando mi ha accettato come suo apprendista.
    Mi rendo conto di provare ancora la stessa ammirazione di allora. L'ho rincorsa per tutta la vita, eppure l'immagine che ho di lei è quella di un Sole irraggiungibile. Ho scalato le vette più alte, ma lei è ancora distante.
    Non tutti provano la stessa stima. So che nel consiglio ci sono degli Alchimisti che per lei darebbero la vita, ma altri non si fanno problemi a parlare tra loro durante il suo discorso, un ghigno vittorioso sul viso: Icterius e Ranlik.
    Ensys del Capricorno abbassa appena lo sguardo dal soffitto quando sente quell'emanazione cosmica, e inizia a osservare accigliato, perplesso, Liriya. Mi sembra quasi la stia rimproverando con lo sguardo per avergli fatto perdere un pensiero importante.
    Solo la più giovane Alchimista Suprema del concilio, Alisma, è davvero intimidita. Ogni tanto alza lo sguardo su Liriya, ma lo riabbassa subito.

    Dajur si sporge sul suo trono e prende la parola.
    «A quanto pare alcuni membri del concilio sono troppo giovani per conoscere a fondo il modo in cui opera questo Daleth. Ma state tranquilli, se Liriya non riuscirà ad avere giustizia, ci penserò io ad avere vendetta.» Il suo sguardo si posa prima su Ranlik, poi su Icterius, infine scivola su Ensys e su Dovus. Tutti lo stanno ascoltando, ora. La sua voce non nasconde l'ira.
    «I nostri maestri hanno codificato dei metodi onorevoli per uccidere un Alchimista. Forse nessuno vi ha insegnato che cos'è un Kaggath: lo farò io con i responsabili. E ora, tu, Alisma.» Il suo sguardo si posa sul trono opposto al suo, l'Alchimista Suprema dei Pesci. Il corpo della ragazza ha un piccolo sussulto quando viene interpellata.
    «Ti sei fatta notare per le ottime informazioni che hai sempre dato al concilio. Sai chi ha massacrato Myrkytt?» È una domanda che sembra quasi un'affermazione. Lo osservo. È l'Alchimista più anziano dopo Liriya: sul suo volto vedo molta forza e consapevolezza, quella di chi è sopravvissuto ai Kaggath che ha nominato. Non ho mai sentito l'apice della sua emanazione cosmica, ma Talia mi ha detto che dovrebbe essere pari a quella di Icterius: e Icterius è un genio che ha avuto un maestro leggendario.

    Alisma apre la bocca per rispondere, la richiude.
    Passa lo sguardo su Dajur, che l'ha interpellata, poi su Liriya, e si sofferma per un lungo attimo su Ranlik e Icterius.
    «No,» risponde mentre torna a guardare l'Alchimista Supremo del Leone, «non ho idea di chi potrebbe fare una cosa del genere. E onestamente, ho paura che se non lo troviamo potrebbe colpire qualcun altro.»
    La risata rauca di Tiivar mi fa sobbalzare e fa girare tutti i presenti verso di lei.
    «Aspetta, fammi capire tesoro. Prima della mia ultima Nwitajak mi hai saputo dire i movimenti perfino dei “cani” di Atena, e grazie alle tue informazioni sono riuscita a creare una Qabbrat in territorio ostile.» Mentre parla gesticola, forse un movimento studiato per mostrare la coppia di balestre che porta sugli avambracci dell'armatura.
    «E adesso mi vieni a dire che una di noi viene massacrata qui, nella nostra Isola, e tu non ne vieni a sapere niente? Assolutamente ri-di-co-lo.» Scandisce, alzando la mano per indicare Alisma.
    «Tiivar, quando ho proposto a questo consiglio di aumentare il mio controllo sull'Isola la mia richiesta è stata respinta. Tu ti eri detta contraria in modo particolarmente colorito, se non sbaglio. Qualcosa come di tenere lontane le mie “alghette bavose” dai tuoi possedimenti.» La voce di Alisma è più sicura ora, mi è chiaro che voleva tornare sulla questione da molto tempo. Tiivar si fa scura in volto, digrigna i denti, ammutolita.
    «Mi spiace Dajur,» torna a parlare all'Alchimista del Leone, «il mio controllo si estende solo fuori dall'Isola. Non so chi ha ucciso Myrkytt.»

    Sposto lo sguardo su Icterius, e noto che, mentre parla Alisma, lui non la perde d'occhio per un secondo.
    Annuisce piano alle sue parole, e non faccio fatica a immaginare che quella risposta sia stata in parte, o del tutto, concordata. O, quantomeno, che Icterius sia particolarmente soddisfatto da quello che sente.
    Al concilio - a Liriya - serve una prova certa per poter agire. Mi sembra subito chiaro che non la otterranno durante questa udienza.
    Ranlik si schiarisce la gola per attirare l'attenzione del concilio. Incrocia le dita affusolate e aspetta di avere addosso gli sguardi di tutti prima di parlare.
    «Alchimiste, alchimisti, ma sono davvero l'unico a vedere l'ovvio in questa stanza? Non serve chiedere alla piccola Alisma, il colpevole ce l'abbiamo davanti agli occhi.» Sposta lo sguardo lentamente, permettendo a tutti di seguire quel movimento, su Dovus del Toro. Lui si sta già sporgendo dal suo trono, i pugni sempre più serrati sui braccioli, le vene del collo che pulsano.
    «Sapete che ho una pessima memoria, ma gli scontri più accesi, all'interno di questa sala, non erano proprio quelli tra Myrkytt e Dovus? Lo stesso che ancora non ha aperto bocca? E chi, tra tutti noi alchimisti, potrebbe ridurre così un corpo?» La sua voce è cantilenante, le sue domande retoriche.

    Dovus scatta in piedi, e inizia a percorrere la sala verso il trono di Ranlik.
    «Vedrai come ridurrò il tuo, di corpo.» Il cosmo di Dovus inizia a bruciare mentre fa scrocchiare le ossa del collo. Ranlik non si muove dal suo posto ma l'ombra del suo trono si allunga, cresce, e anche lui inizia a emettere un cosmo di intensità simile a quello del Toro.
    «Che c'è ragazzone, dopo Myrkytt ora tocca a me? Dimmi una cosa, l'hai fatta soffrire molto prima di ucciderla, non è vero?» L'ombra di Ranlik e il corpo di Dovus si avvicinano, entrano quasi in contatto.
    Poi, il tempo si ferma. O meglio, l'intera sala lo fa. Ci metto un secondo per rendermi conto che le emanazioni di Ranlik e di Dovus sono quasi scomparse, sopraffatte totalmente dal fiume in piena che è il cosmo di Liriya. Non riesco a muovermi, e mi rendo conto che la sua pressione psicocinetica sta lambendo tutti i presenti, bloccandoli sul posto. Non fa male, ma anche se lo volessi non potrei liberarmi: è questo il potere di una studiosa delle antiche vie. Percepisco, sotto quella marea montante, una nota più flebile, eppure chiaramente distinguibile.
    Anche spostare lo sguardo mi costa fatica, ma riesco a posare gli occhi su Icterius. Sta tamburellando con le dita sui braccioli come se niente fosse, avvolto da una luce azzurra. Impressionante, penso. Non avevo mai davvero capito perché si parlasse di lui come il futuro dell'Isola.

    Se Liriya è il sole, Icterius è la luna. Entrambi sono lontanissimi da me, inavvicinabili.
    Mentre Dovus e Ranlik espandevano il loro cosmo ho notato che la nostra emanazione è simile, assimilabile. Quello che ci differenzia sono le armature che indossiamo, e probabilmente i materiali a cui abbiamo accesso per praticare le nostre alchimie.
    Ma con Liriya e Icterius è diverso. È un altro livello, difficile da comprendere, e Icterius l'ha raggiunto pur essendo così giovane. Non riesco a muovermi ma la mia mente vaga, inarrestabile. Forse potrebbe superare persino Liriya, un giorno?
    «Basta così, subito. Non vi ho chiamato qui per lanciare accuse non supportate da prove, e non lascerò che questo concilio diventi una resa dei conti.» Sibila Liriya con voce stanca, esasperata. Da sotto il cappuccio si intravedono sguardi taglienti lanciati contro Ranlik e Dovus. Aspetta ancora un momento, perché tutti comprendano, e poi scioglie i presenti dalla sua morsa psicocinetica.
    «Come ho già detto, mi assicurerò che il colpevole non rimanga impunito. E potete starne certi, ho i miei modi per scoprire la verità.» Alza la mano, il palmo rivolto verso l'alto. Sopra di esso appare un esagono nero che rotea a mezz'aria. La sua superficie è liscia e lucente, e sembra risucchiare per un attimo tutta la luce dalla stanza. Orium nero, stringo i pugni dietro la mia maestra. Lo osservo e non riesco a distogliere lo sguardo, e subito la mia testa è piena di sussurri.
    Fino a quanto, così come era apparso, quel costrutto non scompare, liberandomi dalla sua influenza.

    Dovus, rimasto in piedi fino a quel momento, scuote la testa e torna al suo trono, cadendoci pesantemente.
    La voce calma e posata di Icterius rompe il silenzio in cui è sprofondata la sala dopo l'esibizione di potere di Liriya.
    «Sono assolutamente d'accordo con te Liriya, dobbiamo andare in fondo alla questione: chi ha ucciso un Alchimista Supremo è un nemico del concilio, e va individuato il prima possibile.» Mentre parla non tradisce emozioni, se non per un leggero sorriso appena percettibile sul lato destro della bocca.
    «Farò anche io quanto in mio potere per arrivare alla verità. Non appena saprò qualcosa lo condividerò con te e con il resto del Daleth, come ho sempre fatto.» Non ha paura di osservare Liriya mentre parla, come se volesse sondarne ogni reazione. Non degna di uno sguardo nessun altro alchimista, e mi è chiaro che la sfida è solo tra loro due.
    Sento un mormorio a denti stretti provenire dal trono di Dajur del Leone, ma non riesco a capire cosa abbia detto.
    «Bene, pare proprio che abbiate tutto sotto controllo,» dice la voce trascinata di Ensys, che fino a quel momento non mi è sembrato particolarmente coinvolto dal concilio, «e non avete bisogno di me per proseguire. Con permesso, vorrei tornare alla mia Opera.»

    Dajur del Leone sbatte il pugno sul bracciolo del trono prima che Ensys possa alzarsi.
    «Non puoi disinteressarti così delle sorti di un'Alchimista Suprema! Potevi essere tu.» Dice a denti stretti, non riuscendo a mascherare la rabbia.
    «Ne sono consapevole, Dajur del Leone. Mi dispiace che Myrkytt non sia morta in un regolare Kaggath, ma comunque si è fatta cogliere di sorpresa e uccidere.» Alza un dito in aria, interrompendo Dajur prima che possa ricominciare a gridare.
    «Questo mi conferma che l'unico modo per sopravvivere è diventare abbastanza forte da resistere anche al tradimento. Sono certo la vostra piccola guerra intestina riuscirà a produrre guerrieri migliori, o quanto meno farà sopravvivere solo i più meritevoli. Ma io non sono interessato al vostro piccolo gioco di cane mangia cane.» Si alza dal trono in tutta la sua altezza. Non so molto di Ensys, e da quello che vedo probabilmente è perché lui stesso non vuole che si sappia nulla.
    «Come si fa a non ammirare Ensys. Mi sembra sempre il più vicino tra tutti noi a poter ascendere.» Commenta divertito Ranlik mentre Ensys percorre l'ampia sala verso l'uscita, seguito dai suoi due allievi imbarazzati.
    Sposto lo sguardo sulla mia maestra. Sono stupito che non si sia opposta a Ensys e che gli abbia permesso di abbandonare un concilio ancora in corso. Forse è vero che la sua presa è sempre meno salda.
    Mi concentro sul non far trasparire questi pensieri sul mio viso.

    È proprio Liriya a riprendere la parola.
    «Da questo momento nessuno ha l'autorizzazione ad abbandonare l'Isola, se non con il lasciapassare del Nero Concilio. Inoltre ho già dato ordine di aumentare la sicurezza interna e tutti, tutti i presenti possono aspettarsi ispezioni e domande a cui rispondere.» La sua testa incappucciata passa su ogni Alchimista Supremo. Si ferma sul trono vuoto dello Scorpione, dietro cui Talia si regge ancora in piedi. Sembra davvero l'unica erede di Myrkytt. Liriya riprende a parlare con un tono di voce monotono, all'inizio flebile, e io so che lo fa per nascondere la tristezza.
    «Una di noi, un'Alchimista Suprema, è stata uccisa. Questo è un atto di guerra contro il Daleth e l'intera Isola. Per ciò, da questo momento, possiamo considerarci in stato di guerra... uno stato in guerra.» Mi chiedo se avrei paura di lei, se fossi un suo nemico. Difficile, penso. Certo, in questo concilio ha rimarcato il proprio potere, ma non ha accusato nessuno, così come non ha disposto misure verso gli ovvi sospetti. Forse sta pianificando qualcosa in segreto, ma se fossi un suo nemico sarei incentivato a osare ancora di più, a spingermi fino a farle terra bruciata attorno. Certo, può essere la più potente Alchimista vivente, ma anche lei, se rimanesse totalmente sola, non potrebbe sopravvivere sull'Isola.

    Icterius ha annuito con convinzione a tutto il suo discorso.
    «Misure dure, ma quanto mai necessarie. Chiunque vorrà farmi domande mi troverà nella mia magione. È stato un concilio nato per la peggior circostanza possibile, ma sono sicuro porterà buoni frutti. Con il vostro permesso prendo congedo.» Si alza dal suo trono, seguito dai suoi apprendisti. Mi sembra chiaro che il concilio stia volgendo al termine, ma è troppo presto per misurarne gli effetti.
    «Beh, è stato un piacere come sempre. Speriamo di rivederci per un'occasione più gioiosa, la prossima volta!» Dice Ranlik, stiracchiandosi mentre si solleva dal suo trono. Ha solo un apprendista, visibilmente più grosso e alto di lui, ed è chiaro che lo utilizza come guardia del corpo e non per insegnargli alcunché. Prima di uscire dall'ampio portone getta uno sguardo su Liriya, e per una frazione di secondo vedo che i suoi occhi si posano su di me.
    È ora di iniziare a pensare al futuro. Vuoi parlarne?❜ La sua voce mi arriva come un pensiero, un messaggio rivolto solo a me. Anche se volessi non potrei rispondere, perché Ranlik scivola via e sparisce dalla mia vista. E poi, a quella domanda non saprei ancora dare risposta. Mi aspettavo che prima o poi qualcuno mi avrebbe avvicinato, ma è comunque stata una sorpresa.
    Vogliono fare terra bruciata attorno a Liriya, mi ripeto. Non devo far trasparire nulla.

    La più anziana Alchimista Suprema riprende la parola.
    «Avete ascoltato il mio volere. Chiedo a tutti gli Alchimisti che non siedono al concilio di lasciare questa stanza: vorrei continuare a parlare con te, Alisma. E tu, Talia di Ofiuco, giusto? Ti chiedo di rimanere.» Alza una mano in aria, congedando tutti gli altri dalla stanza. Anche Dovus del Toro si alza e raggiunge l'uscita insieme a noi, senza che nessuno di quelli seduti su un trono lo fermi. La sala, prima che la porta si richiuda, sembra molto più vuota; ora è quasi spoglia e triste. Quattro Alchimisti Supremi e Talia. Nessun altro. Non mi preoccupo per lei, so che comunque vada lei saprà cosa fare.
    Durante il ritorno a casa sono così immerso nei miei pensieri che quasi non mi accorgo del mondo circostante. Indosso ancora l'armatura, solo perché così i plebei mi lasciano passare senza rallentarmi.
    Il futuro, mi ripeto come un mantra. Il futuro del concilio, dell'Isola, e poi il futuro di Talia e il mio, di futuro.
    Dovrò scegliere. Devo scegliere. Non c'è più tempo. Il tramonto arriva prima che io possa schiarirmi le idee. Quando finalmente Talia torna da me sul volto ha un'espressione che faccio fatica a decifrare. Paura, sollievo, riscatto, vittoria. Tutto si mescola. Ci abbracciamo come se ci avessero separati per anni.

    0qVuOPt


    Le accarezzo i capelli a lungo e un po' ho timore a rompere quel silenzio. Sospiro prima di parlare.
    «Che cosa intendevi prima quando hai detto che avevi paura, fuori dalla sala dei troni?» Le chiedo diretto, perché so che tra noi i segreti non esistono e possiamo dirci le cose - anche le peggiori - senza averne timore.
    Talia si porta un dito sulla bocca, e le sue parole mi raggiungono la mente.
    Io... forse potevo impedirlo. Ma non ho potuto e non ho voluto, perché avevo paura. Così mi sono fatta da parte. Ho lasciato che Myrkytt morisse da sola.❜ Resto in silenzio. Lei mi guarda e mi stringe la mano sul suo grembo.
    Il concilio è di Icterius, ormai. Te ne sarai reso conto oggi. Ranlik sta con lui, e Alisma è la loro marionetta. Inoltre è chiaro che Ensys non si opporrebbe a un cambio al vertice. E poi c'è Dovus, quell'imbecille: è un cane sciolto, ingestibile. Liriya non si fida di lui, non conta nulla.❜ Si alza e va a bere un bicchiere d'acqua, poi se ne versa un altro. D'un tratto mi sembra stanca, ma anche risoluta e incrollabile. Lei, mi è chiaro, la sua scelta l'ha già fatta.
    Non riesco a vedere le prossime mosse, Talia. Che cosa dobbiamo fare? Io sono allievo di Liriya, e non riesco a credere che potrebbe cadere, nonostante tutto.❜ Condivido i miei dubbi con lei. L'instabilità dell'Isola è anche la mia.
    Non lo so... so solo che è un'opportunità. La nostra opportunità. Quella che abbiamo inseguito per anni. Questa volta non possiamo rimanerne fuori, Yianni: questa volta dobbiamo sporcarci le mani.❜ Torna a sedere a letto e mi accarezza una gamba.

    Mi guarda negli occhi e, anche se non sento davvero la sua voce, percepisco il suo calore.
    Non so dirti da che parte stare, amore mio. Ma so che i tempi sono maturi per un cambiamento e so che farai la scelta giusta. E poi c'è un'altra cosa, il motivo per cui Liriya voleva parlarmi. Dovrò sparire per un po'.❜ D'istinto mi allontano da lei, e senza controllarmi smetto di comunicare mentalmente.
    «Cosa vuoi dire?» Parlo a voce troppo alta, me ne rendo conto. Lei mi porta a sé con la mano e mi fa segno di stare calmo.
    Voglio conquistare il seggio che si è liberato. Anche il concilio è d'accordo: tutte e due le parti pensano di portermi controllare. Ammesso che io sopravviva alla prova dello Scorpione.
    So che ce la farai. E so anche che nessuno può sperare di controllarti.❜ La abbraccio di nuovo. Non ha bisogno della mia forza, ma sta per affrontare un grande pericolo.
    Mi conosci. E poi, tra quelle due fazioni, ne esiste una terza: noi due. Ma, se vogliamo contare qualcosa su questa scacchiera, entrambi dobbiamo fare il passo successivo.❜ Annuisco. So che Talia tornerà sull'Isola da Alchimista Suprema, e io voglio essere al suo fianco quando succederà.
    Insieme avremo abbastanza peso da cambiare davvero le cose.

    Ho fatto la mia scelta. Mi alzo dal letto e comincio a vestirmi.
    Prendo dei vestiti semplici, anonimi, senza i segni del mio casato.
    Hai ragione. Dobbiamo pensare al nostro futuro. E, a questo proposito, Ranlik del Cancro mi ha invitato a parlare con lui, oggi. Andrò ad ascoltare quello che ha da dirmi. In ogni caso, comunque vada, sai che abbiamo una via d'uscita: il nostro piano di emergenza.❜ Mentre comunico con lei il mio viso inizia a mutare, ma lei mi ferma con una mano e si avvicina a me. Mi prende le guance tra le mani e si avvicina per un bacio.
    Stai attento. Il loro è un gioco pericoloso.❜ Mi comunica quando ci sciogliamo dal bacio. Io non posso fare a meno che sorridere.
    Ancora una volta sei tu che mi dici di stare attento, quando sei quella che sta per gettarsi nell'ignoto.❜ Lei si stringe tra le spalle e ricambia il sorriso.
    Esco di casa da un'uscita di servizio, attento a non essere osservato e seguito. A ogni vicolo buio assumo un nuovo aspetto. La villa di Ranlik non è lontana, e conto di richiedere udienza con un messaggio telepatico alle sue guardie, addirittura al suo apprendista, se è stazionato davanti alla porta. Immagino che dire che sono lì per parlare del futuro basterà come lasciapassare.
    Da questo momento in poi dovrò valutare con attenzione ogni mossa. Sono da solo, ora. Gli equilibri sull'Isola stanno cambiando, e io non voglio restare indietro.
    Ho aspettato a lungo - ho aspettato abbastanza.

    0qVuOPt

    Energia ~ Viola.
    Cloth ~ Black di ???.
    Condizioni ~ ???
    Abilità ~ ???
    Riassunto ~ Amo tutti i membri del concilio. Tranne te, Dovus.
     
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    THE LONG FALL

    VI




    Da tempo ormai non ti fidi a restare nello stesso posto per più di qualche giorno. I tuoi inseguitori hanno spie in ogni dove. Non puoi nemmeno stare troppo lontano dalla civiltà. Ti servono contatti, informazioni... alleati, magari. Al momento, dopo la tua fuga da Roma quasi un mese fa, non hai proprio niente.
    L'unica cosa che puoi fare è preparare quel piano, l'ultima ancora di sicurezza in caso tutto fallisca. Forse hai trovato il luogo adatto, una piccola penisola della Dalmatia, pericolosamente vicina all'area di influenza del Grande Tempio: la grotta naturale ha un orientamento adatto e le giuste proprietà alchemiche per facilitare gli esperimenti e forse nessuno penserà di cercarti così vicino alla tana dei bastardi dorati.
    Il tuo contollo sull'Orium non ti permette ancora di utilizzarne le finezze in uno scontro, ma gli studi hanno lentamente dato i loro frutti. Dopotutto, questi sono segreti che la tua maestra non è riuscita a trasmetterti, prima che reclamassi la connessione con la Kintaral che era stata sua per decenni.

    -

    Il Cancro Nero ti sta aspettando. L'accoglienza è breve e asciutta. Un ragazzino con lo sguardo vuoto e una tunica grigia orlata da fini decorazioni di filo bianco e viola, i colori degli stemmi di Ranlik, vi porta pane salato e vino. Per contrasto, il suo è un tono abbastanza leggero, come se parlasse del più o del meno.

    Come sta Liriya, dopo questa pessima giornata? Avete scoperto qualcosa di interessante?

    Non si sofferma troppo sulla frase. Quasi non ti dà tempo di reagire o rispondere a quelle che sono, a tutti gli effetti, domande retoriche.

    Perché la tua maestra ti ha coinvolto nelle indagini, non è vero? Sarebbe strano se così non fosse, dopotutto. Molto strano.

    Lancia stilettate, più che parole. Hai l'impressione che la malizia nel suo tono di voce nasconda ben altro, anche se non hai davvero il modo per verificarlo.

    Sa che Myrkytt voleva tradirla? Stava tramando un colpo al vertice da ormai molto tempo.

    L'informazione, tanto secca e precisa, ti disorienta per un istante...
    Ma tu sei uno studioso, anzi, un maestro nella tua singolare arte. Conosci ogni muscolo e ogni inserzione del corpo umano e ne sai riconoscerne i più piccoli movimenti. Non fatichi a cogliere il labbro di Ranlik che viene stirato verso sinistra o le narici che di dilatano appena. Sfrega le punte delle dita della mano destra tra loro e sposta appena in avanti la spalla, contraendo i muscoli del collo. Sono segni minuscoli, una gestualità apparentemente casuale. Per chiunque altro.
    Darth Ranlik non crede a una sola parola tra quelle uscite dalla sua stessa bocca.

    E non era la sola. Ascoltami, so che per un allievo fedele è difficile sentire certe cose... ma questo malcontento è frutto del declino di Liriya. Al Consiglio serve un leader capace, non più una vecchia stanca.

    La sua parlata, prima melliflua, è ora diventata la peggior pantomima immaginabile di un tono comprensivo, quasi fraterno.

    Forse con il tuo aiuto potremmo procedere a una transizione pacifica, prima che scoppi il disastro più totale. Forse Liriya può essere convinta a cedere il posto a qualcuno di più indicato, senza che quegli invasati di tradizioni tirino fuori assurdità rituali come il Kaggath. La violenza non è necessaria. Tu avresti la sua eredità e lei potrebbe continuare in pace le sue ricerche su Mu. Pensaci.

    Passano poche ore. Il popolo è sempre più nervoso, in fermento. È il momento di parlare con Liriya. Per strada quasi ti scontri con un figuro dal volto anonimo, che in qualche modo non hai visto o sentito fin quando non si ferma a poco più di un metro da te. Non dice una parola, né sembra minaccioso. Con un movimento innaturalmente rapido ti passa un piccolo oggetto avvolto in un panno di seta, prima di andarsene e scomparire in pochi istanti nei vicoli oscuri.
    Al sicuro da occhi indiscreti scopri che l'involto, seta scura dai bordi viola e bianchi, protegge una fiala apparentemente di vetro che contiene un denso liquido rosso scuro, screziato da filamenti nerastri che si coagulano e sciolgono in continuazione sotto al tuo sguardo. Per quanto non sia affatto "normale", sei assolutamente certo che sia sangue.

    Entrando dai cancelli, vedi che tre corpi sono stati portati nel cortile del castello, allineati e coperti da drappi neri, quasi a monito. Sono tuoi parigrado. Uno è stato trovato morto nel suo letto, gli altri si sono ammazzati tra loro la sera prima. Stai per varcare la soglia del salone, quando un tonfo ti costringe a girarti.
    Il cadavere di Dovus giace scomposto al suolo, crivellato di colpi. Tivaar, coperto da lividi e ferite aperte, barcolla e si trascina nella tua direzione, superandoti. Lo sguardo è velato. Sbatte contro lo stipite, aggrappandosi al battente del portone per non cadere.

    divider%20him10


    Note Master:
    Su Roma ci torneremo poi. Nella prima parte sei braccato dai tuoi tre amici del post prima, ovviamente, ma la minaccia non ha ancora preso forma e per il momento è ancora vaga. Sei stato fermo troppo a lungo e ora a quanto pare sanno come tracciati fino a un certo punto. La zona in questione è quella della missione all'inizio del test, ovviamente, e per il momento sai che non ti possono seguire fin lì, perciò puoi preparare le tue cosine per il futuro.
    Sull'isola: se vuoi espandere il dialogo con Ranlik comunicami la cosa che facciamo un botta/risposta. Lo stesso vale per Liriya, ora che finalmente potete parlare. Puoi dire/chiedere quello che vuoi, ti do io le risposte.
    E non dividermi i post, su, che ci impazzisco.


     
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    «The Long Fall»
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    L'urlo del prigioniero rimbomba tra i cunicoli della grotta.
    È davanti a me, immerso fino al bacino in un bozzolo di orium. Subito intensifico la presa psicocinetica su di lui, così che non possa muovere la bocca e la smetta di gridare. Non ho paura di essere scoperto, la caverna è isolata, ma quelle grida mi impediscono di concentrarmi.
    «Shh, shh. Puoi credermi, non vorrei doverlo fare, ma vedila così, il tuo sacrificio è per il bene superiore.» Nello specifico, il mio bene. Detesto lavorare in queste condizioni. Mi spetterebbero materiali e soggetti più pregiati per le mie ricerche alchemiche, ma viste le circostanze devo accontentarmi.
    Se solo Liriya avesse condiviso le sue conoscenze con me, prima di... non importa, ormai è successo. Non mi resta che riscoprire da solo i segreti dell'orium, decifrando i suoi sussurri. Ogni giorno sono più vicino, ma è un monte impervio da scalare, soprattutto da solo.
    Faccio un passo verso il prigioniero. Lo illuminano alcune candele che ho disposto sulle pareti della grotta. È una luce fioca, ma anche su quello ho dovuto fare dei compromessi. Il viso dell'uomo, contratto in una smorfia di dolore, è madido di sudore.

    È un pastore e stava conducendo le sue bestie su un campo, quando l'ho prelevato.
    Per non destare sospetti su questo luogo devo muovermi sempre più lontano, prima di poter scegliere qualcuno da riportare alla grotta. Almeno, grazie ai miei poteri, i miei movimenti sono istantanei.
    Sto prendendo tutte le precauzioni possibili per far perdere le mie tracce: non voglio essere individuato né dai miei inseguitori né dai cani di Atena. Mi picchietto il mento con l'indice, indeciso sul come proseguire. Decido di allentare la pressione psicocinetica su di lui. Subito le braccia scattano in avanti, fendendo l'aria davanti a me. La bocca si apre di nuovo per gridare, e vedo che il busto si piega in avanti, cose se volesse cercare di liberare le gambe dalla trappola di orium.
    Mi è venuta un'idea. Non ho bisogno della psicocinesi: può essere quello il mio esperimento. Sollevo la mano in aria, e su di essa iniziano a formarsi schegge di orium nero. Vorticano sul mio palmo senza mai riunirsi, piccole e affilate.

    Le scaglio verso il pastore.
    Il movimento è così veloce che sono certo i suoi occhi non riescono a registrarlo. Penetrano nel suo petto, scavando la carne. Non posso imprimerci troppa forza, o rischierei di perdere il soggetto dei miei studi troppo presto.
    Sento i sussurri dell'orium. Quelli li ho sempre percepiti, anche quando era Liriya a utilizzarlo. Ma solo adesso capisco che non è solo una voce, o una montagna di voci sovrapposte. L'orium parla davvero, solo che è incredibilmente difficile distinguerne le parole. Come in una lingua morta di cui si hanno solo indovinelli da decifrare.
    L'orium non è né un essere intelligente né un mero segnale. È più qualcosa che ha bisogno di diffondersi, e che non si ferma fino a quando non ha preso il controllo di colui che ha infettato. Ma l'orium non è maligno, non ha neanche ragioni o un obiettivi. Semplicemente è. E, nel suo essere, c'è qualcosa di ostile alla vita, qualcosa che però gli Alchimisti Supremi dell'Ariete hanno imparato a decifrare e a utilizzare.

    L'orium nero continua a sussurrare.
    Non posso impedirglielo. Forse, però, posso piegare quei sussurri, plasmarli nelle parole che desidero. Se ci riuscissi potrei ricomporre quei sussurri disordinati in un ordine preciso. È questo lo scopo dei miei studi, il centro su cui sto basando la mia alchimia.
    Percepisco le schegge affilate nel corpo del pastore. Lui grida e grida di lasciarlo andare, poi supplica, poi piange. Le sue grida sono troppo deboli per poter sovrastare i sussurri.
    Mi concentro sull'orium. Lo posso controllare fisicamente: cosa mi impedisce di parlare con la sua voce? Un pensiero: che quelle grida smettano. Che il pastore non abbia bisogno della psicocinesi per rimanere fermo. I sussurri vibrano, crescono di intensità, quasi diventano un urlo. Vedo che il pastore chiude gli occhi, come se qualcosa gli avesse perforato il cervello e la luce delle candele fosse diventata troppo intensa.
    ᴉʇɹǝʌonɯ ᴉp ᴉʇʇǝɯs
    Dicono i sussurri. Un ghigno si dipinge sul mio viso: vedo che le braccia dell'uomo iniziano a scendere verso i fianchi, la bocca si richiude, le grida diminuiscono di intensità.

    Il pastore riapre gli occhi e mi guarda con confusione e con odio.
    Vedo che la sua mascella trema, come se lottasse per aprirsi. Il viso inizia a farsi paonazzo, e capisco che sta faticando anche a respirare. No, penso, e cerco di fermare i sussurri. Troppo tardi.
    L'ordine è stato dato, e l'orium non accetta di non poterlo portare a termine. Mi sono avvicinato al mio obiettivo, ma questo soggetto era troppo debole e i sussurri troppo forti. Non ho interesse a vederlo agonizzare e morire soffocato. Con un singolo movimento psicocinetico gli giro il collo, spezzandoglielo di netto. Il bozzolo di orium che gli bloccava le gambe si alza, si allunga sul bacino, lambisce il collo e ricopre il viso. Mi occuperò in un secondo momento di smaltirlo, per il momento non voglio che marcisca nella mia grotta. Sollevo quel blocco di orium con la mente e lo sposto verso il fondo della parete naturale, dove ho depositato altri tre blocchi del genere.
    «Lo sapevo che eri ancora vivo.» Una voce alle mie spalle mi fa sussultare e girare di scatto. D'impulso dirigo una bordata psicocinetica verso la voce, prima ancora di vedere chi sia. Mi hanno trovato anche qui, penso.
    La figura avvolta in un mantello solleva un braccio. Devia con facilità la bordata psicocinetica contro il muro della caverna, facendo tremare le pareti e cadere dei detriti dal soffitto.
    «Ma non hai ancora imparato a stare attento.» Le mani affusolate spostano il cappuccio dalla testa. Il cuore mi sprofonda nel petto. Talia.

    0qVuOPt


    Non la vedo da quando se ne è andata per intraprendere il rituale dello Scorpione.
    Non era mai tornata, e dopo quello che è successo sull'Isola, io pensavo che fosse, che fosse... è viva, invece. È cambiata, però. È più pallida, più magra, le sue guance sono quasi scheletriche. Sotto la sua pelle riesco a vedere le vene che pulsano, trasportando il frutto dei suoi nuovi poteri. Sotto gli orli del mantello scorgo i riflessi della sua armatura.
    Deve essere stato dolorosissimo, lo vedo dalle occhiaie che circondano i suoi occhi stanchi. La via alchemica dello Scorpione è tra le più pericolose: consiste nel combattere il proprio stesso organismo, accettando di sfigurarsi per sempre pur di raggiungere un nuovo potere. Talia ha reso sé stessa un'arma. Entrambi abbiamo attraversato l'inferno per ritrovarci.
    «Ce l'hai fatta.» Le sorrido. Mi avvicino a lei, ma l'aria attorno a lei oppone resistenza, mi impedisce di raggiungerla e di baciarla.
    «Fermo. Non voglio farti del male. Non ho ancora il pieno controllo su... di me.» Mi lancia uno sguardo supplichevole, pieno di paura. La conosco, so che deve essere successo qualcosa. Forse ha ferito qualcuno che non voleva perché anche lei, priva di una maestra, sta ancora lottando per capire a fondo la propria Alchimia.

    Non insisto. Siamo entrambi vivi, è questo l'importante.
    «Io... non sai quanto avevo bisogno di vederti. Come mi hai trovato?» Le chiedo. Entrambi ci addentriamo nelle profondità della grotta, come se per istinto volessimo nasconderci dal mondo.
    «Ho costretto uno di quelli che mi inseguivano a rivelarmi la tua ultima posizione nota. C'è voluto un po', ma alla fine ha parlato. Roma, eh? Ti seguo da quel momento. Sai, per me adesso è molto più facile trovare delle tracce. Poi, beh, oggi ho percepito delle urla e un cosmo. Sapevo che eri tu.» Si stringe nelle spalle, come se per lei fosse stato molto semplice seguire i miei spostamenti. Sorrido, sono riuscito a seminare i miei inseguitori, ma non Talia.
    «Sei incredibile. Quindi inseguono anche te. Li odio, sono come mosche. Ucciderli non serve a niente, tornano sempre.» Il buio è sempre più profondo man mano che ci addentriamo nella grotta. Io ho in mano una candela per aiutarmi nell'orientamento, mentre Talia si muove precedendomi, come se conoscesse già quei cunicoli e come se non avesse bisogno di luce per vedere.
    «Già. Vorrei tornare sull'isola, ma è troppo pericoloso. Odio essere un'animale in fuga. Pensavo che essere Alchimisti Supremi sarebbe stato diverso.» Annuisco, e per un po' rimaniamo in silenzio, come se avessimo bisogno solo di sentirci vicini.

    Arriviamo in una piccola stanza scavata nella roccia, e io mi fermo.
    «Ti faccio vedere quello a cui sto lavorando. Forse potrebbe essere la soluzione a questa... situazione.» Con la candela accendo le torce appese alle pareti naturali. Lo spazio in cui ci troviamo è piccolo, spoglio. Al suo centro c'è un piccolo altare, un piedistallo su cui è appoggiato un oggetto in orium.
    Assomiglia a un cranio, ma non è ancora concluso: è irregolare e scheggiato.
    «Ho pensato a lungo a come uscire dalla nostra condizione. A come riportare l'ordine sull'isola, o a dove andare per costruire qualcosa di nuovo. Talia, credimi: non c'è modo. È troppo tardi. Il futuro è arrivato, e non è per niente come ce lo aspettavamo. Non ci resta che fuggire per il resto delle nostre vite.» Vedo che sta per aprire bocca, per intervenire, ma le chiedo di aspettare con un cenno.
    «Ma, ecco, questo futuro è orribile. E allora perché non un altro, Talia? È vero, ora ci vogliono morti, ora l'isola che conoscevamo non esiste più. Ma tra cinquant'anni? Tra cent'anni? Tra duecento anni? Nulla è per sempre. Nemmeno quella che noi crediamo essere la fine.» Mi avvicino all'altare. Prendo l'artefatto d'orium in mano. Subito sento i sussurri.

    Lo riappoggio sul piedistallo con cura.
    Talia mi ascolta con la schiena alla parete mentre si passa una mano tra i capelli; so che sta pensando alle possibilità di ciò che le sto dicendo.
    «L'orium è un ottimo contenitore di energia mentale. Pensa ai tuoi ricordi e alla tua vita, tutto riversato dentro questo piccolo oggetto. Una perfetta replica del tuo cervello, una raccolta di tutto ciò che hai mai provato, pensato e fatto.» Lei stringe le labbra e inclina la testa.
    «Ma una cosa del genere... non ci ucciderebbe? E a cosa servirebbe allora?» Mi chiede, con il tono di voce che usa sempre quando pensa io stia dicendo qualche assurdità. Io annuisco e sorrido di nuovo.
    «Esatto! Moriremmo. Ma l'orium ha anche un'altra capacità: costringere gli altri a eseguire il mio volere, rendendoli schiavi. Immagina, cosa succederebbe se, prima di riversarci nell'orium, prendessi il controllo di due persone? Se li obbligassi, una volta passati molti anni, a risvegliarci? Non nei nostri corpi, ovviamente, ma nei loro. L'orium sovrascriverebbe le loro coscienze, riportandoci alla luce.» Talia rimane in silenzio qualche secondo. È tornata a passarsi le mani tra i capelli. Si avvicina a me, poi all'altare. Guarda l'artefatto sopra il piedistallo, esita, avvicina la mano ma la ritrae subito.
    «Funzionerebbe?» Chiede, senza staccare gli occhi dal grezzo cranio di orium.
    «Funzionerebbe. Sto affinando le mie capacità, ogni giorno mi avvicino al renderlo possibile. Pensa: un piccolo sacrificio. Smetteremmo di esistere. E poi un giorno torneremo a casa, torneremo noi stessi.» La guardo, come sperando in un segno, nella sua approvazione.

    Lei finalmente solleva gli occhi dall'orium.
    Mi guarda e annuisce. Ha capito, ma non sorride.
    «Di quanto tempo hai bisogno, Yianni?» Mi chiede.
    «Con questo ritmo, se non sono costretto a spostarmi da qui, forse qualche mese. Devo fare delle prove, prima. Un errore potrebbe distruggere le nostre menti, rendendole inservibili.» L'aria così in profondità è pesante: iniziamo a risalire verso la superficie.
    «D'accordo. È abbastanza tempo anche per me. Sai, sono venuta qui perché volevo assicurarmi che stessi bene. Ma non posso restare.» Il cuore mi sprofonda nel petto. Mi sta lasciando di nuovo.
    «Liriya, prima che accedessi al rituale dello Scorpione, mi ha confidato una delle sue scoperte sulla civiltà di Mu. Mi ha accennato la posizione di un luogo legato alle ricerche di Darth Traya, la prima Alchimista dello Scorpione. Intendo trovarlo, Yianni. Se lo faccio il tuo piano potrebbe anche non essere necessario.» Mi dice, lanciandomi delle occhiate mentre mi parla, come se avesse paura della mia reazione. Io sospiro.
    «Sei appena arrivata, e già vuoi andartene?» Le chiedo, la voce spezzata.
    «Devo. Inoltre, fino a quando non completo le mie ricerche alchemiche, sarei un pericolo per te.» Si ferma e mi guarda. So che, se potesse, mi abbraccerebbe.
    Ma non lo fa.

    Annuisco piano.
    «So che non posso fermarti, ma stai attenta. Io continuerò i miei studi. Se ti succede qualcosa torna qui, e il mio piano di emergenza sarà pronto.» Le dico, fermandomi all'ingresso della grotta. Da fuori arriva un vento fresco e piacevole.
    «Dovremo stare attenti entrambi. Ti amo, Yianni. Questa vita è stata crudele, con noi, ma alla fine riusciamo sempre a ritrovarci.» Vorrei baciarla, ma so che non me lo permetterebbe. Ti amo anch'io, le dico. Lei è a un passo dall'uscita della grotta, ma si ferma e si volta.
    «Un'ultima cosa, sono curiosa. Mi chiedo se ci hai pensato. Mandare i ricordi di una persona nel futuro è uguale a mandare la persona stessa nel futuro?» La guardo accigliato, non è la prima volta che parliamo di filosofia. Non me lo aspettavo ora.
    «Se tu mandassi i miei ricordi nel futuro, sarebbe la stessa cosa di mandare me stessa nel futuro? Non intendo il mio corpo fisico, ma la mia essenza.» Ha un sorriso stanco dipinto sul volto. Mi fermo a riflettere, passandomi una mano nella barba incolta.
    «Penso siano due azioni diverse con lo stesso effetto.» Dico alla fine.
    «Ma immagina di poter riscrivere il tempo per manifestarti nel futuro. Sarebbe diverso dal ricevere i tuoi ricordi dal passato. Saresti ancora tu?» Mi chiede ancora.
    «Ma il risultato non sarebbe in ogni caso lo stesso?» Lei mi sorride, scuotendo piano la testa. Mi mancherà, penso mentre esce dalla grotta e sparisce, ancora una volta, dalla mia vita. Spero di rivederla.

    0qVuOPt


    Le parole e le azioni di Ranlik non mi dicono nulla di nuovo.
    Tutto in lui trasuda la noia di un attore costretto a ripetere, ancora e ancora, la stessa pantomima. È come se io non fossi nemmeno nella stessa stanza, o come se lui non mi vedesse davvero. Ovviamente sta mentendo. Lo so in modo intuitivo, senza nemmeno dover applicare a fondo la mia alchimia del corpo.
    Del resto non si sforza nemmeno di celare le sue vere intenzioni. Sa che, se sono qui, quanto meno ho iniziato a nutrire dei dubbi sulla solidità del concilio guidato dalla mia maestra. Le sue parole sono quelle di un vincitore magnanimo, che lasciano una via di fuga agli sconfitti.
    «Vi ringrazio per l'udienza, Darth Ranlik. Sono felice che parliate di una transizione pacifica: quest'isola ne ha bisogno.» Gli rispondo, ignorando le sue domande retoriche.
    «Ma abbiamo sentito entrambi la mia maestra oggi, durante il concilio. Lei non si fermerà fino a quando non avrà la testa dei responsabili. Per come la conosco non uscirebbe mai di scena pacificamente, e chi può costringerla a farlo? Ed è vero, lo riconosco, sta perdendo la presa sul concilio. Ma è ancora l'Alchimista Suprema più potente della nostra epoca, non siete d'accordo con me?» Anche le mie domande non vogliono risposta. Mi interessa solo sottolineare che, anche se si sentono tali, non sono ancora i vincitori di questa guerra intestina.

    Quello che voglio sapere è se stanno nascondendo qualcosa dietro alla loro sicurezza.
    Non so ancora cosa farò, ma trovo l'attitudine da edonista di Ranlik insopportabile. Nessuno di loro, nemmeno Icterius, nemmeno tutti insieme, possono sperare di eliminare una Liriya al massimo potere. Non mi interessa la loro vanagloria: voglio sapere se nascondono qualcosa, qualcosa di concreto. Un piano. Ranlik si adagia meglio sul suo trono, portando un pugno sotto il mento. Non perde il sorriso.
    «Il suo cosmo può anche bruciare più intensamente. Non le servirà a nulla. I suoi alleati diminuiscono di giorno in giorno. È chiaro ormai a tutti che le importi di più l'antica alchimia, piuttosto che il benessere dell'Ordine.» Capisco che gli occhi azzurri di Ranlik provano a leggere il mio viso in cerca di emozioni, ma io nascondo ogni reazione alle sue parole.
    «Non stiamo parlando di un futuro lontano, una minaccia indefinita, mio caro. Sta succedendo ora.» Di nuovo terra bruciata, penso. È così che vogliono isolare la mia maestra: privandola dei suoi alleati e costringendola a compiere errori. Sperano di riuscire a convincere i pochi Alchimisti rimasti che loro sono il futuro. Ranlik si allunga sui braccioli, si sporge verso di me come un serpente pronto a scattare.
    «Non è questione di se. È questione di quando.» Le sue parole sono coltelli.

    Vuole trasmettermi un senso di urgenza.
    Vuole suscitare in me il bisogno di schierarmi, di decidere da che parte stare, perché potrebbe essere già troppo tardi. Ranlik è un bastardo, e probabilmente non capisce che Icterius lo sacrificherebbe alla prima occasione, se non gli fosse più utile.
    Così come Ranlik farebbe con me. Lui vuole usarmi; Liriya vuole mantenermi all'oscuro, nello status quo. Ma io devo avere la stessa forza di Talia: devo riuscire a emergere nella luce. Devo districare questo disordine e creare la mia stessa via.
    «Apprezzo l'onestà, Darth Ranlik. Ma sapete quanto me che Tiivar e Dajur non rimarrebbero a guardare. E immagino che voi non vogliate una guerra civile. Sarebbe la fine dell'isola per come la conosciamo. Per cui, Darth Ranlik, sappiamo entrambi che non si tratta né di se, né di quando. Ma di come.» Non voglio fargli credere di avermi già in pugno. So che sono tra le persone più vicine alla mia maestra, se non la più vicina, e che loro avrebbero bisogno di me come io di loro. Se devo vendermi non lo farò a buon mercato.
    «Non fraintendetemi, Ranlik, voglio far parte del futuro. Ma so anche che è ancora troppo presto per considerare la mia maestra come il passato.» La verità è che Liriya, in tanti anni, si è meritata la mia ammirazione. Ranlik al suo confronto è una macchietta, un asterisco su una pergamena, destinato a sparire tra le pieghe della storia.
    Ma lui ridacchia tra sé e sé. Mi compatisce, mi guarda come si guarda un bambino a cui si deve spiegare il funzionamento di qualcosa di molto semplice.

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    Non ha esitato nemmeno una volta, durante il nostro incontro.
    È molto sicuro di sé, questo è certo.
    «Dajur è vecchio e stanco più di Liriya, attaccato come una zecca alla sua visione romantica di un Ordine che non è mai stato come lui vorrebbe. Ormai la sua unica aspirazione è una morte che ritenga onorevole. E Tivaar è una sciocca litigiosa che nessuno sopporta. Se questi sono gli unici alleati che rimangono alla tua maestra tra noi Dodici, allora durerà ancora meno del previsto.» Non smette di sorridere mentre nomina i suoi compagni del concilio. Mentre parla di loro agita la mano in avanti, come se volesse scacciarne il pensiero. So che quello che dice, almeno in parte, è vero. Ma quello che non dice è che il suo gruppo, invece, è legato solo dalla brama di potere; nulla garantisce che una volta ottenuto non inizieranno a lanciarsi l'uno al collo dell'altro.
    «Io d'altro canto non voglio ritenermi un nemico di Liriya, ma devo pensare anche ai miei e ai vostri interessi.» All'improvviso la sua voce si è fatta grave, i suoi occhi penetranti, e ha smesso di sorridere.
    «Ma una soluzione più semplice potrebbe esserci, in fondo. Soprattutto se sarai disposto a fare da... intermediario.» Eccoci, penso, l'offerta. Il momento in cui la mia storia raggiunge un bivio, e io sono costretto a scegliere quale strada percorrere. Liriya: la tradizione, l'ordine, la crescita graduale dell'umano. Oppure Icterius: il futuro, l'ignoto, la compulsione al cambiamento.

    Vorrei tanto che ci fosse una terza via.
    Ma non c'è. Non ancora, almeno; io e Talia siamo ancora troppo deboli per poterne creare una. Ranlik aspetta in silenzio e mi scruta, lasciando che le sue parole si depositino. Io cerco come sempre di controllare le emozioni sul mio volto, anche se questa volta è più difficile.
    «E non devi rispondermi subito, non pretendo che tu decida così, su due piedi. Ne riparleremo, se vorrai, dopo che avrai riflettuto con attenzione su quali siano le tue priorità.» Le mie priorità... mi accorgo troppo tardi di starmi mordendo il labbro inferiore. Ranlik beve un sorso generoso dal suo calice di vino.
    «Sembrate molto sicuro dei vostri mezzi, e del resto i vostri... risultati sono innegabili.» Sospiro, guardando fisso il bicchiere davanti a me. Mi alzo, e lancio un ultimo sguardo verso Ranlik.
    «Accolgo il vostro consiglio, anche se le mie priorità sono chiare da sempre. E immagino siano le stesse, in fondo, che muovono sia voi, che Icterius, che Liriya, anche se faticherete ad ammetterlo.» Mentre lascio la stanza lo sento ridacchiare di nuovo, divertito dal nostro piccolo scambio.
    La mia priorità... non semplicemente arrivare a vedere il futuro: esserlo.
    Ancora una volta assumo un aspetto diverso dal mio e scivolo nella notte dell'Isola. So che non riuscirò a dormire. Ho bisogno di pensare.
    Ho bisogno di parlare con Liriya.

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    La fiala contiene un liquido che identifico subito come sangue.
    Un regalo da Ranlik, ipotizzo visto il colore del drappo che la conteneva e la nostra chiacchierata di ieri notte. A quanto pare anche lui ha i suoi metodi per poter muovere le cose indisturbato, senza venire scoperto. Sono in un vicolo oscuro e deserto, ma non mi fido. Mi guardo attorno, e decido che non posso aspettare per esaminare la fiala.
    Occhi iniziano a spuntare sulla mia pelle, sul collo, sulla nuca, sulle guance. Ora posso controllare che nessuno imbocchi il vicolo e nel frattempo studiare ciò che Ranlik desiderava avessi.
    Alzo la fiala davanti al viso, per guardarne il contenuto da più vicino. È sangue scuro, vecchio, ma non è ancora secco. Dei filamenti neri lo percorrono e galleggiano in sospensione nel liquido. Non ho mai visto un sangue del genere durante i miei studi sul corpo. Deve essere stato alterato in qualche modo, e qualcosa mi dice che è incredibilmente pericoloso.
    Di certo non posso girare con qualcosa del genere in tasca, Ranlik potrebbe avermelo affidato per incastrarmi.

    Mi alzo la veste fino al petto.
    Modifico la mia biologia per creare una sacca, un involucro di carne in cui posso nascondere la fiala. Alla fine ottengo un rigonfiamento solo leggermente visibile sotto la pelle. Coperto dalle vesti e dal mantello sarà totalmente irriconoscibile.
    Mi rivesto e ricomincio a camminare verso il castello. Questo incontro mi fa capire che Ranlik, ormai, mi considera una delle sue pedine, anche se ancora non ho dato loro una risposta. Ma io continuo a vacillare tra la lealtà e l'ambizione.
    L'isola è di nuovo in fermento, la folla si concentra attorno alla sede del potere degli Alchimisti. L'armatura che indosso mi permette di disperderli e di oltrepassarli.
    Nell'ampio cortile del castello sento odore di sangue. Dei drappi coprono a malapena tre corpi, che riconosco essere di Alchimisti come me. La purga sta andando avanti, spietata. Domani, se non agisco, potrei essere io sotto uno di quei teli.
    Un boato, sopra di me, mi costringe ad alzare lo sguardo. Vedo un colpo che precipita a terra, seguito da un altro, che riesce a malapena a rallentare la propria corsa verso il suolo. Il corpo di Dovus cade a qualche metro da me. Capisco che è morto: è pieno di ferite, e il terreno sotto di lui diventa subito rosso.

    Il secondo corpo è quello di Tivaar del Sagittario.
    Riesce a stare in piedi a fatica, barcolla verso il portone d'ingresso. Anche lei è gravemente ferita, ma è riuscita a sopravvivere al loro scontro. Immagino che Liriya ne sia già a conoscenza, ma un altro Alchimista Supremo è appena morto.
    Mi avvicino verso Tivaar, che sbatte contro uno stipite della porta. Ha occhi velati, credo che non veda più il mondo circostante. Qualunque alchimista, ora, potrebbe darle il colpo di grazia. Ma io devo continuare, fino a quando potrò, a rimanere in equilibrio.
    Sollevo una mano verso di lei, facendo fluire il mio cosmo benefico sul suo corpo. Riconosce di star venendo curata e si ferma, anche se sul suo corpo vedo i segni di una guerriera pronta a scattare in qualsiasi momento.
    Richiudo le ferite più gravi e fermo la fuoriuscita di sangue, per farle ritrovare abbastanza energie da poter rientrare nel castello in sicurezza. Ho fretta di parlare con Liriya, però, e non intendo perdere altro tempo. Smetto di direzionare il mio cosmo e la supero, dirigendomi verso le sue stanze.

    La mia maestra mi aspetta nel suo studio, circondata dalle sue pergamene.
    La stanza è ben illuminata, e se non conoscessi Liriya mi sembrerebbe distaccata, troppo assorbita dai suoi studi per accorgersi di ciò che la circonda.
    «Salve, maestra. Prima di tutto volevo dirvi che mi spiace per ciò che è accaduto a Myrkytt. So che eravate molto legate, avrei voluto dirvelo prima. L'isola è sempre più pericolosa. Se serve aiuto per riportare l'ordine, sapete di poter contare su di me.» Le dico. Lei alza gli occhi dai fogli che ha davanti, e da sotto il cappuccio mi lancia un'occhiata stanca.
    «Non c'è molto che si possa fare a questo punto, se non trovare il responsabile di quest'atto riprovevole. Non stiamo perdendo il controllo: non l'abbiamo mai avuto. Io non l'ho mai avuto.» La sua voce è trascinata, come se parlasse controvoglia. Getta un'occhiata alla pergamena che ha sul tavolo davanti a sé, come se volesse subito ritornarci. Poi guarda me, scuotendo piano la testa.
    «Ci servono informazioni. Dobbiamo capire chi sta ancora dalla nostra parte e chi trama contro di noi... o chi fa semplicemente i propri interessi.» So che Liriya avrebbe già agito, se avesse avuto prove certe dei colpevoli. Senza di queste è però troppo legata alle tradizioni per farlo.

    Io mi accomodo su una poltrona dello studio, prendendo un bicchiere d'acqua.
    Sono venuto per parlare, e non me ne andrò fino a quando non avrò ricevuto risposte. Capisco l'esitazione di Liriya, ma anche lei sarà costretta a fare una scelta, se non vuole dare ai suoi nemici l'impressione di debolezza.
    «Maestra, non capisco mai se siate troppo modesta o troppo dura con voi stessa. Sapete benissimo che molti guardiamo a voi come un punto di riferimento. Avete più esperienza, potere e, ancora, influenza di ogni altro Alchimista Supremo.» Sono sincero, e sento che la mia voce riflette la mia ammirazione. È esattamente lo stesso concetto che ho espresso a Ranlik: non è troppo tardi, per lei, per riprendere il controllo del concilio.
    «Avrete visto anche voi però che, con l'ingresso di nuovi Alchimisti nel concilio, le cose stanno cambiando fin troppo rapidamente. Sono affamati. Non conoscono rispetto né paura.» Parlo di loro ed è come se stessi parlando di me stesso.
    «Mi sembra di aver intuito che Dajur darebbe la vita per voi. E Tivaar potrebbe essere un'alleata insostituibile. So che avete scelto Talia di Ofiuco per intraprendere il rituale dello Scorpione. Saprà percorrere al meglio i passi di Myrkytt. Come vedete, avete più controllo di quanto pensiate.» Elenco i suoi alleati in questa guerra, e mi è difficile smettere di parlare. Ho ripetuto questi discorsi tra me infinite volte, soppesando i due schieramenti.

    Sospiro, e bevo un altro sorso d'acqua.
    Ho pensato tutta la notte a chiederglielo, e adesso che devo farlo mi manca l'aria. Eppure sarebbe così semplice, quasi la scelta naturale. Se lei accettasse tutti i miei dubbi svanirebbero, e io sarei il suo miglior alleato. Mi faccio coraggio e proseguo.
    «Potreste averne ancora di più. Perdonatemi l'insolenza, ma credo sia tempo. Vi sono stato fedele per anni, per anni ho imparato da voi i segreti del cosmo. L'alchimista supremo della Vergine è sparito da molto tempo, pensiamo tutti sia morto. Permettetemi di prendere il suo posto e di sedere al concilio, di diventare un vostro pari. Sarei molto più utile, e per i vostri nemici sarebbe più difficile cercare di colpirvi come è successo con Myrkytt.» Mi basta cogliere lo sguardo sotto il cappuccio per capire che lei non mi reputa ancora degno. Scuote piano la testa e scorgo un misto di compassione e affetto.
    «Non essere ingenuo, Yianni. Gli Alchimisti non sono sciocche pecorelle e io non sono il loro pastore. La mia autorità è minata da lotte intestine e mancanza di coesione. Cosa pensi che possa ottenere tenendo le redini di bestie che tirano in direzioni diverse?» So da sempre che il potere è un risultato collaterale degli studi di Liriya. Non è la cosa principale che ha ricercato con la sua alchimia. È più una condizione necessaria per proseguire con i suoi studi, un risultato di essi, ma il controllo non le è mai interessato. È lo stesso motivo per cui continua a negare di avere influenza sugli altri. Semplicemente, non le importa.
    Reputa i suoi nemici bestie, però non vuole reclamare per sé il controllo che gli umani esercitano sulle bestie.

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    Riprende a parlare con tono grave.
    «Non fantasticare. Non sappiamo nemmeno dove iniziare a cercare Darth Seshar, e senza la sua armatura non puoi sperare di ottenerne lo status. Dobbiamo focalizzarci su soluzioni attuabili. Usa le tue doti. Indaga. Se sopravvivremo a questa crisi, sarò felice di vederti sedere al mio fianco in Consiglio. Ma dobbiamo essere furbi. Capire quali siano i nostri veri alleati.» Devo controllarmi per non rivoltare il piccolo tavolo davanti a me, per non iniziare a urlare.
    Tutto il resto lotta per allontanarmi da lei, ma io ho comunque allungato una mano verso Liriya. E lei, per ricompensarmi, l'ha schiaffeggiata. Come può essere così cieca rispetto ai miei sconvolgimenti? Lotto per rimanere lucido, per ascoltare le sue parole. Per lei dovrei solo aspettare, continuando a fare ciò che ho sempre fatto. Portandole informazioni, notizie, prove, senza ricevere nulla in cambio. Quando, dall'altra parte, c'è chi non vede l'ora di accontentarmi e di donarmi qualsiasi cosa.
    Le ho chiesto solo di diventare un suo pari, non per sminuirla, ma per elevarmi grazie a lei. E lei, in tutta risposta, mi ha ricacciato al mio posto.
    «Dajur mi seguirà finché riuscirà a vedere in me una guida adatta e io non mi dimostrerò tale se lascio che questa tragedia rimanga impunita. Quanto a Tivaar, sai cosa è successo stanotte?» Annuisco piano, sforzandomi per rispondere con il tono più neutro possibile.

    Decido di far cadere l'argomento e di non insistere sul mio ingresso nel concilio. So, ormai, che non lo otterrei da lei.
    «No, ma immagino abbia a che fare con Dovus del Toro. Mentre venivo qui ho visto che si è occupata di lui. Ho provveduto a curare come potevo le sue ferite. Non credo che Dovus abbia pagato per Myrkytt, è così?» Le chiedo, anche se mi interessa ben poco la sorte dei due.
    «No, infatti. È stato Dovus a sfidare Tivaar dopo averla accusata sulla base di prove che non ha mostrato a nessuno. Il terreno ci si sta sgretolando sotto i piedi. Presto sarò a capo di un consiglio di cadaveri, sempre che riesca a sopravvivere tanto a lungo.» Sospira, e ancora una volta capisco che a Liriya non interessa nulla di politica. È costretta, suo malgrado, a farla, ma non nasconde il suo disgusto.
    «Da quello che ho sentito di Dovus, e mi perdonerete se oso dire questo di un Alchimista Supremo, la sua morte è stata la naturale conseguenza della sua follia.» Le rispondo, secco. Di certo non verserò una lacrima per quell'imbecille.
    Decido di provare, per un'ultima volta, a farle capire l'importanza di agire in un momento come questo. Mentre lei aspetta e subisce passiva le voluttà degli altri Alchimisti Supremi, ci sono individui che tramano contro di lei, così sfrontati da avvicinare persino il suo allievo.

    La mia voce nasconde a fatica i segni della mia esasperazione.
    «Maestra, io sono certo che voi possiate sopravvivere ancora a lungo. Però mi chiedo perché esitiate ad agire, potreste prendere da sola il controllo dei giovani membri del concilio. Anche senza Dajur, anche senza Tiivar. Anche senza di me, se non reputate utile il mio aiuto. Siete sapiente e incredibilmente forte. È vero, forse non si hanno prove certe su di loro, ma questa scia di omicidi e sparizioni è iniziata dal loro arrivo nel concilio.» A partire, penso, dal maestro di Icterius, Arturus. E poi sempre più alchimisti, sempre più importanti. Senza mai prove certe, sempre con ottime coperture e con altri colpevoli da accusare. Non può fare finta che non sia successo.
    «Vi sarete accorta che il potere di Icterius è cresciuto insieme alla montagna dei cadaveri.» Sto cercando di risvegliare un'emozione in lei, fosse anche l'orgoglio, ma sotto il suo cappuccio scorgo solo glaciale controllo delle proprie emozioni.
    «La terra trema, è incrinata. E forse spetta a voi distruggerla, prima di poter ricostruire. Un atto di forza, un simbolo del vostro potere: l'ultimo sangue che scorre. Terribile, ma forse necessario per quest'isola.» Le mie parole sono sempre più concitate, mi accorgo, con disgusto, che la sto pregando di agire. Che la sto supplicando di salvarsi, e, quindi, di salvarmi. Perché, se non lo fa, la terra bruciata raggiungerà anche me; alla fine resterà da sola.

    Liriya rimane, per qualche secondo, in silenzio.
    Sta riflettendo sulle mie parole, e poi su come confutarle. Quando riprende a parlare la sua voce è ferma, distaccata, come se avessimo appena iniziato a discutere.
    «Pensi che affrontare Icterius porterebbe a qualcosa di buono? È furbo. Non si pone mai in aperto contrasto con me, lascia che siano i suoi seguaci a esporsi. Accusarlo, o ancora peggio attaccarlo, darebbe il colpo di grazia al sottile equilibrio che ancora ci tiene in piedi.» Intreccia le dita nodose sul tavolo.
    «Mi serve tempo. Sono sul punto di scoprire qualcosa che ci darebbe un vantaggio definitivo su di loro. Le mie indagini sulla civiltà di Mu hanno rivelato segreti preziosissimi, che potrebbero forse salvare questa situazione disperata... siamo vicinissimi alle risposte. Alle origini dell'arte della raffinazione dell'Orium Nero.» Tempo, dice. Non si accorge che il tempo è già finito, e che noi siamo in ritardo di anni sul piano di Icterius per conquistare il concilio. La verità è che ormai non riesco a capire più la mia maestra. Mi parla dei suoi studi mentre il mondo attorno a lei brucia.
    «Conto su di te per monitorare la situazione tra gli Alchimisti. Non dobbiamo permettere alle teste calde di uccidersi a vicenda. Gettiamo acqua sul fuoco. Guadagniamo spazio di manovra. Cerchiamo la stabilità, non la guerra. Prepariamoci a reagire. Non dobbiamo più farci cogliere di sorpresa.» Invece che reagire, per Liriya, dobbiamo soltanto prepararci a farlo. Sospiro, e mi sforzo di non scuotere la testa.
    «Se la guerra intestina diverrà inevitabile, allora e solo allora useremo la forza.» Useremo, dice. Di quella parola mi infastidisce il plurale. Perché comprende ancora noi, me, Talia, Dajur, Tivaar. Un plurale che osa credere, però, che noi saremo ancora in grado di combattere, che non saremo noi stessi morti.

    Stringo i braccioli della poltrona e mi alzo in piedi.
    L'aria, nella stanza, mi sembra irrespirabile. Gli angoli della mia visuale vibrano. Mi sento stanco e confuso e vorrei solo uscire all'aperto per respirare a pieni polmoni.
    «D'accordo maestra, cercherò di fare quanto in mio potere pur di farvi guadagnare tempo. Spero che, alla fine, la nostra azione non arrivi comunque troppo tardi. Devo fidarmi del vostro giudizio, perché per me è difficile vedere una via d'uscita.» Per la prima volta mi rendo conto di parlare in automatico, senza credere davvero alle mie parole. Non credo che sia possibile farle guadagnare tempo, e non credo nel suo giudizio. Ancora una volta ha scelto di non scegliere. Implicitamente ha ammesso che le nostre morti servono solo a farle guadagnare tempo, in attesa che i suoi studi la portino... a cosa? A qualcosa che non ha mai voluto condividere nemmeno con me.
    Con un mezzo inchino prendo congedo, e mi accorgo di correre nei corridoi per uscire nel cortile. Mi manca l'aria.
    Sono disgustato dalla mia condizione, ho dovuto pregare la mia maestra e non ho ottenuto da lei la minima concessione.
    Terra bruciata. La vedo attorno a me, vedo che non ho più via di fuga. Se Liriya sceglie di non scegliere, semplicemente io non ho più scelta. Me ne rimane solo una possibile.

    Nei giorni seguenti divento un'ombra.
    Vago per le strade dell'isola, in attesa del mio momento, al sicuro dagli sguardi di chi potrebbe volermi colpire. Divento un vecchio mendicante, un bambino, poi mi rendo invisibile alla vista. Dormo il minimo necessario senza mai rientrare a casa: mi accontento dei fienili o della nuda terra.
    Percorro più volte la strada verso la villa di Ranlik, poi verso la magione di Icterius. Immagino che Alisma potrebbe sentirsi più libera di agire dei suoi compagni, per cui tengo d'occhio anche lei. Aspetto le loro mosse, perché so che non si faranno attendere.
    Voglio essere pronto.

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    Energia ~ Viola.
    Cloth ~ Black di ???.
    Condizioni ~ ???.
    Abilità ~ Psicocinesi, Teletrasporto, Orium Nero [Elemento Soprannaturale, Influenza Mentale, Berserk Indotto, Durezza Straordinaria] → Scheda.
    Riassunto ~ /
     
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    THE LONG FALL

    VII




    Lo studio sotterraneo è ricavato in una sacca pietrosa a decine e decine di metri sotto la superficie del colle Vaticano, appena fuori le mura della città. La stanza ampia è parzialmente invasa da neo-formazioni di Orium. È così che l'hai trovata. Del suo occupante, tuttavia, non c'è traccia, se non una nota ammuffita lasciata probabilmente per schernire gli illusi che tentavano di braccarlo.
    Quanto tempo hai sprecato? Quanto, prima di scoprire che l'uomo che cercavi non si trova nemmeno più in quella dimensione?
    La congiura ai danni di Augusto ha esposto la sua unica figlia naturale, Giulia, condannandola all'esilio. Qualcuno è stato costretto a togliersi la vita e molti, nomi sconosciuti o comunque mai arrivati alle orecchie dei potenti, sono semplicemente spariti nel nulla.
    Hai perso il tuo unico appoggio a Roma, l'unica protezione che ti permetteva di muoverti e indagare nell'ombra pur avendo contatti di primissimo ordine.

    -

    Tre giorni. Altri due cadaveri nel cortile. L'instabilità della catena di comando è diventata chiara anche agli occhi dei poveracci che vivono su Death Queen Island. La tensione è così palpabile che a malapena puoi uscire di casa senza vedere una discussione che degenera in rissa oppure il principio di qualche rivolta che verrà brutalmente soppressa pochi minuti dopo. Le prigioni del castello e del villaggio sono stracolme di gentaglia comune, sobillatori e innocenti presi nel mezzo delle orde. Esiste ancora una parvenza di ordine nella popolazione civile, è solo merito della paura, e della consapevolezza che ogni atto di sfida all'Ordine verrebbe immediatamente punito con la morte... o peggio.

    Cammini tra uomini disperati. Le provviste provenienti dal mare tardano ad arrivare. Ai margini delle strade scorgi i segni del lento aggravarsi della situazione e... perfino qualcosa di peggio. Malsano pallore, sfoghi sotto agli occhi e agli angoli della bocca. Sembra una strana malattia i cui sintomi si diffondono a macchia d'olio tra i civili.
    L'isola si fa fumosa. I tuoi sensi ti danno informazioni incoerenti. Ti accorgi appena di aver inalato una densa voluta di polvere. Fatichi a respirare. Hai i brividi. La tua testa si sta spaccando in due per il dolore.
    Una voce ti attraversa, echeggiandoti nelle ossa.

    Dov'è? Dov'è il sangue? Mi serve, Yianni. Ti prego.


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    Note Master:
    A quanto parte sei a Roma per niente e devi gestire la "dipartita" del tuo protettore. Puoi scegliere chi vuoi tra i famosi protagonisti della congiura che sono stati esiliati o uccisi nel 2 a.C. oppure un volto sconosciuto. Stare nel cuore del mondo civilizzato non è più sicuro, quindi cerca di capire come muoverti per allacciarti con quanto giocato in precedenza.
    Su DQI invece succedono cose. Durante le tue raccolte di informazioni vieni preso da quella che chiaramente è una potente illusione che ti lascia del tutto disorientato. È un'illusione completa, ovviamente, ma c'è qualcosa di più. Senti la voce di Alisma. Decidi come reagire. In caso per dialoghi usiamo la solita dinamica.


     
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    «The Long Fall»
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    I sussurri dell'orium mi sono ancora in larga parte incomprensibili.
    Non il mio, quello è artificiale e sempre più in mio controllo. È una parte di me, un mio prodotto, e anche se le mie ricerche su di esso non sono ancora finite posso dire di riuscire a leggerlo. È l'orium alieno di questa stanza che, anche dopo qualche mese, ancora mi sfugge.
    Per lungo tempo ho sperato che Darth Xagos sarebbe tornato, prima o poi. La sua presenza mi avrebbe aiutato a comprendere i segreti del minerale, ma devo basarmi solo su ciò che si è lasciato dietro per proseguire: cioè su molto poco.
    Quell'orium è instabile, persino imperfetto, e si rifiuta di reagire ai miei comandi. L'ho sperimentato su alcuni schiavi che Iullo Antonio è riuscito a procurarmi, ma era materiale scadente, uomini troppo anziani per durare a lungo.
    Devo accettare che il mio tempo a Roma è finito. Sono qui da troppo tempo, e Iullo si è ammazzato una settimana fa, così anche il mio flusso di rifornimenti si è interrotto.

    Ha scelto la morte piuttosto che affrontare le conseguenze delle sue azioni.
    In breve, si è arreso. Non importa, non mi era mai importato. L'ho usato finché è durato, eliminando senza troppi pensieri i bersagli che mi affidava, fino a quando non mi ha chiesto di occuparmi di Augusto. No, mi sono rifiutato: avrebbe attirato troppe attenzioni, sia dei miei inseguitori che dei cani di Atena. Non possiamo influire così tanto sulle questioni umane, è come una regola non scritta.
    Ora devo andarmene. Ho bisogno di un nuovo rifugio, di un posto sicuro dove poter proseguire con le mie ricerche. Sono a un buon punto, per quanto riguarda le capacità dell'orium di assorbire le energie psichiche. Forse il primo vero passo avanti in mesi di lavoro. Sospiro. Maledetto Xagos, immagino si trovi in una dimensione completamente diversa, ancora ignaro di ciò che è avvenuto sull'Isola.
    La mia nave parte tra due giorni, e io ho già esaurito la pazienza. Il mio piano è quello di nascondermi, per il momento, nel posto in cui nessuno guarderebbe: vicino, molto vicino ai santi di Atena.
    Devo proseguire nel mio lavoro.

    0qVuOPt


    Tre giorni di attesa e di paura.
    Mentre scivolo nell'Isola, un'identità dopo l'altra, mi accorgo che il malcontento è sempre più percepibile: i civili non hanno paura di dire ad alta voce quello che pensano.
    Sono stanchi, affamati, terrorizzati dalle violenze che arrivano a toccare anche loro. Ieri ho assistito, nell'ombra, all'ultimo allievo di Dovus che insultava e attaccava, da solo, tutti gli allievi di Tivaar. È stato massacrato in strada, senza riguardo. Nessuno ha spostato il suo cadavere per ore.
    Alla fine me ne sono andato, disgustato, e sono tornato a sorvegliare i miei tre bersagli: Ranlik, Icterius, Alisma. Sono cauti, l'aria è pesante, carica di attesa per la prossima grande mossa.
    È il tramonto e sto pensando di tornare a casa, giusto il tempo necessario per lavarmi e riposare un poco. Poi potrei tornare al castello, a carpire i nuovi sviluppi.
    Non sto ancora veramente agendo, ma solo reagendo a ciò che avviene. Odio questa situazione.

    Attraverso le strade della città e mi sento stanco, gli angoli della mia visione sono sfocati. Mi manca Talia, lei saprebbe cosa fare.
    La testa mi pulsa, non dormo abbastanza da giorni, ma questo dolore non è normale. Non per me, che sono capace, anche in condizioni critiche, di mantenere un controllo assoluto sul mio corpo.
    Un altro lampo di dolore, come un chiodo conficcato nel cervello. Devo appoggiarmi a un muro, lottare per rimanere in piedi. Cosa mi sta succedendo? Lotto per riprendere il controllo, potenzio le mie capacità mentali, cercando di estirpare ciò che sta danneggiando la mia psiche.
    Qualunque cosa sia, sta vincendo. Fatico a mantenere il controllo stesso sul mio corpo, quasi rischio di tornare me stesso, e devo farmi strada a spintoni tra la folla per nascondermi in un vicolo. Prendo fiato, fino a quando il segnale che ha cercato di raggiungermi non riesce a trovarmi.
    Dov'è? Dov'è il sangue? Mi serve, Yianni. Ti prego.❜ Alisma riesce a raggiungermi, a comunicarmi, con quel pensiero, un grande senso di urgenza.

    Riesco finalmente a scacciarla dalla mia testa, al prezzo di altro dolore.
    Sono di nuovo me stesso e mi accorgo che, all'imboccatura del vicolo, tre civili stanno guardando verso di me, spaventati e confusi. Si ritraggono non appena alzo lo sguardo verso di loro.
    Cerco le forze per nascondermi nell'ambiente, diventando invisibile agli occhi umani. La mia concentrazione è tutta rivolta ad Alisma, a quel segnale che mi ha mandato. È flebile, ma mi basta per intuire la sua posizione. La seguo fino a un angolo isolato dell'Isola, dove i civili non sono ancora riusciti a domare la natura.
    Oltrepasso una piccola selva e arrivo a una palude, al cui centro c'è lei: l'Alchimista Suprema dei Pesci. Mi sta aspettando e ha preparato quel luogo per il nostro incontro. Le sue alghe avvolgono ogni cosa e creano una sorta di dimensione parallela, in cui i suoni sono ovattati e lei ha il controllo su ogni cosa.
    Mi sembra molto meno impaurita delle occasioni in cui l'ho vista agire nel concilio. È nel suo elemento e non ha solo richiesto la mia presenza: l'ha pretesa.

    Sciolgo l'invisibilità e mi presento a lei senza armatura, ma con il mio vero aspetto.
    Resto comunque distante da lei una decina di metri, tenendomi pronto a ogni cosa. Non so perché mi voglia lì: il sangue mi è stato consegnato da un uomo di Ranlik, e lei dovrebbe saperlo bene.
    «C'erano modi meno dolorosi per richiamare la mia attenzione. Immagino tu voglia dirmi perché sono qua.» La mia voce è molto meno deferente rispetto a quando parlo a qualsiasi altro Alchimista Supremo. Non uso nemmeno il voi, perché del resto ha scelto lei di convocarmi utilizzando il dolore, come se fossi un cane.
    Lei non sembra turbata, nemmeno spaventata. Solo stanca. Anche lei non indossa la sua armatura, ma solo una comoda veste.
    «Spero che il fastidio che hai subito risparmi a entrambi un dolore molto più grande. So quando sono osservata, non potevo essere vista mentre conversavo amabilmente con te. Non dopo che mi è stato ordinato di estorcerti certe informazioni.» Subito vaglio due ipotesi. Una ovvia, l'altra più improbabile.
    La prima: Icterius. Forse crede che Ranlik, confidando in me, abbia fatto una mossa avventata, e vuole tenermi d'occhio. Oppure crede che sia stato un errore consegnarmi il sangue, e lo vuole indietro... o vuole costringermi a usarlo.
    La seconda: Liriya. Potrebbe essere ciò di cui hanno parlato alla fine del concilio, e Liriya potrebbe essere così cieca da non capire che Alisma è un'alleata di Icterius. Ma la mia maestra non ha motivo di dubitare di me, giusto?

    Decido di continuare ad aggirare l'argomento fiala di sangue, fino a quando non ho da lei informazioni chiare.
    «Non ti offendere Alisma, sei un'Alchimista Suprema, ma non sei abbastanza esperta. Non potresti estorcermi nulla anche se volessi. Che cosa vuole il tuo padrone Icterius da me?» Non ho paura di lei, è solo una ragazzina. I miei studi, da soli, superano di gran lunga qualsiasi obiettivo lei abbia mai raggiunto come Alchimista. Decido di parlare chiaro. Lei non reagisce alle mie parole, e non sento nessuna fluttuazione nel suo cosmo sopito.
    «Icterius, o meglio Ranlik, vuole sapere che fine ha fatto il sangue. L'unico campione conservato e utilizzabile del sangue di Myrkytt. Gli è stato rubato il giorno in cui gli hai fatto visita. Ora, io so che tu non l'hai sottratto a Ranlik, sebbene sia arrivato a te in qualche modo.» La guardo senza riuscire a nascondere il mio stupore. Non perché quella fiala è di Myrkytt - ora che lo dice mi sembra così ovvio - ma perché quella versione mi sembra assurda. Rubato? Mi è stato consegnato tra i drappi del casato di Ranlik, dopo che lui ha pensato di potermi usare.
    Che sia stato lui a pentirsi della sua scelta? Inventando davanti a Icterius una buffonata come quel furto?

    Mi viene da sorridere e scuoto piano la testa.
    «Interessante. Alisma, penso che sia io che te dovremmo imparare di chi fidarci.» Dico alla fine. A quanto pare anche la fazione di Icterius ha i suoi enormi problemi.
    «Ho io il sangue, ma è stato Ranlik stesso a consegnarmelo. Perché lo rivuole?» Le chiedo, ancora una volta voglio avere più informazioni possibili.
    «Non mi ascolti? Gli è stato rubato. Era la chiave del piano per disfarsi di Liriya e ora non è più in mano sua. Lo rivuole a tutti i costi. Se Icterius sapesse che l'ha perso, ucciderebbe Ranlik con le sue stesse mani.» Fatico a credere a quella versione, ma potrebbe essere. Qualcun altro voleva che io avessi il sangue, e forse ha accelerato i tempi perché finisse in mano mia. Ma perché? Per farmi uccidere Liriya o Icterius? Per distruggerlo? Per incolparmi? Non capisco. Troppe incognite, troppe domande senza risposta. Di certo, penso, non può essere Liriya la responsabile. Sapendo del sangue avrebbe già avuto la prova schiacciante contro Icterius.
    Decido di sfidare Alisma. Devo costringerla a dirmi tutto ciò che sa, perché capisco che c'è molto che non mi sta dicendo. Allungo la mano verso il costato, da cui emerge la fiala di sangue. La scuoto leggermente, facendo ondeggiare il liquido cremisi venato di nero. Tutto per questo piccolo oggetto, penso.

    Faccio in modo che Alisma la veda chiaramente.
    «Fammi capire. Vorreste uccidere Liriya con questa fiala, la stessa fiala che non siete stati nemmeno in grado di custodire e di mantenere segreta. La fiala di cui, a quanto dici, qualcun altro è a conoscenza, e che adesso è nelle mani del più vecchio allievo di Liriya stessa.» Ho parlato con Ranlik e con Alisma, e adesso non saprei proprio chi scegliere tra loro e Liriya. Da una parte grezza incompetenza, dall'altra immobilismo. Alisma, quando vede la fiala, si agita appena.
    «Alisma, come puoi credere che sia un piano ancora realizzabile, visto che qualcuno ha avuto il coraggio di rubarla e sfidandovi l'ha consegnata a me? Come puoi credere che a quest'ora Liriya non ne sia già a conoscenza?» Le chiedo, con una punta di disprezzo. Alisma però resta calma in mezzo alla sua palude artificiale, con un controllo su sé stessa che non mi aspettavo avesse.
    «Questo è il piano di Icterius. O uno dei piani. Indebolire e uccidere. Ranlik ha iniziato ad avvicinarti proprio per capire se fossi abbastanza ambizioso da considerare l'idea di complottare contro la tua Maestra.» Allunga la mano verso di me.
    «Devi consegnarlo a me. E io lo farò sparire nell'Oceano.» Interessante, penso. Questa non me l'aspettavo.
    «Oppure... Io non posso: sono sorvegliata a vista e non ho le conoscenze per farlo in sicurezza... ma tu potresti distruggerlo forse.» Cala un'altra maschera. Avevo valutato male Alisma: è meno fedele a Icterius di quanto pensassi.

    Sono divertito, anche se dovrei disperarmi per quanto poco conosco gli equilibri sull'Isola, e quanto questi sono mutevoli, inafferrabili.
    «Pensavo volessi eseguire il volere di Icterius, invece a quanto pare c'è qualcuno che ti fa più paura di lui. Ho smesso di prendere decisioni senza informazioni chiare: dimmi chi ti sorveglia, e perché vuoi che Liriya resti in vita.» Non è più una domanda, ma un ordine. La fiala che ho in mano cambia oggettivamente le cose. Se la distruggo il piano di Icterius potrebbe anche non realizzarsi mai, e se la utilizzassi...
    «Paura? Passo così tanto tempo a fingere di aver paura di tutti che, ormai, non ricordo nemmeno più come ci si senta a temere davvero qualcuno.» La voce di Alisma è stanca, vuota, come se non fosse abituata a parlare senza maschere. All'improvviso mi appare più forte di quello che ha sempre mostrato di essere. La palude trema appena, è solo un istante, ma è come se reagisse al suo animo.
    «Io odio Liriya, i suoi metodi e il suo stupido distacco.» Mi guarda con compassione e con superiorità, come se ancora non capissi cosa c'è in gioco. Ma io lo capisco fin troppo bene. Alisma esita una frazione di secondo; poi fa cadere la sua ultima maschera.

    La odio, ma non sono ancora pronta ad abbandonarla...

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    Ad abbandonare mia madre.

    Cosa? Stringo i pugni e il mio cuore sprofonda nel petto.
    «Per questo motivo il sangue deve sparire. Non posso muovermi liberamente perché la rete di spie di Icterius ormai sta divorando la mia e so già che sospetta di me, malgrado tutta la fatica che ho fatto per farmi accettare come umile sottoposta e cagna fedele.» Ecco il piano di Liriya, l'astuzia gelida della mia maestra. È disposta a tenere celata persino sua figlia, esponendola a rischi mortali pur di raccogliere informazioni su tutto il concilio. La sta usando come ha usato me per molti anni, come vorrebbe usarmi per raccogliere informazioni e prove certe contro Icterius.
    La sta usando per guadagnare tempo: Alisma è l'infiltrata perfetta tra le fila nemiche. Eppure, nonostante questo, non ha ancora agito. Sua figlia le serve solo per essere certa di poter portare avanti la sua ricerca fino all'ultimo momento possibile.
    Liriya è riuscita a stupirmi e a confermarsi come quella che conosco in un'unica mossa. Mi viene da ridere per l'assurdità della situazione, e fatico a contenermi.
    «A quanto pare facevo bene a dubitare di quanto Liriya potesse essere sola. Sapevo che la mia maestra non si sarebbe fatta sopraffare da Icterius. Ma toglimi una curiosità: chi credi che possa aver rubato il sangue... e perché? Dimmelo e distruggerò io il sangue.» Dico, alla fine, perché quello è un punto cruciale. Se non è arrivato a me per volere di Icterius o di Liriya, vuol dire che sull'Isola c'è una terza parte in gioco.

    Alisma non tradisce più emozioni.
    «Non lo so. Come non so chi abbia ucciso Myrkytt. Sto scoprendo sempre più tracce di qualcuno o qualcosa che non sta da nessuna parte di questi due stupidi schieramenti. Il perché è presto detto: per intorbidire le acque e creare ulteriore caos.» Se Alisma ha ragione, penso, forse è già troppo tardi. La guerra non si può più fermare.
    «Se fino a qualche giorno fa la situazione si sarebbe risolta con un cambio al vertice, ora vedo sempre meno speranza di uscirne come Ordine. Chiunque ci stia dietro, il suo obiettivo è farci ammazzare a vicenda come animali selvaggi.» E ci sta riuscendo, su questo sono d'accordo con lei.
    È tutto perduto? Non c'è vincitore possibile, alla fine? No, mi rifiuto di crederci, non può finire così. C'è sempre un'altra via. Una via dolorosa, l'opposto di ciò che avevo proposto a Liriya e che lei aveva rifiutato. Una via che anche io non vorrei percorrere, ricca di insidie, ma che con un po' di fortuna ci porterà fuori dal buio.
    «Allora, se è come dici, abbiamo già perso. Icterius non si fermerà, non senza toglierlo di mezzo, e con lui Ranlik. Sono due morti che non possiamo permetterci, nonostante la loro avidità. Alisma, Liriya è tua madre ed è la mia maestra. Tutto questo è iniziato perché lei ha perso il controllo da molto, molto tempo.» So che, se c'è qualcuno che può capirmi, questa è la figlia di Liriya. Alisma può comprendere come me, meglio di me, la solitudine di chi è legato all'Alchimista Suprema dell'Ariete.

    Lei ha fatto cadere le sue maschere.
    Io non ne ho mai indossata una. Sarò sincero con lei, e per l'ultima volta cercherò di offrire a quest'Isola una via di fuga.
    «Non deve morire, ma deve farsi da parte. Credo lo veda anche tu. Non serve che muoia, come vuole Icterius. Resterà come guida e consigliera, così che il concilio possa riassestarsi e il motivo di queste guerre finire. Al momento non importa chi lo presiederà, l'importante è che esista ancora un concilio, al termine di tutto questo.» È una soluzione che io, Talia e Alisma possiamo garantire. Insieme possiamo dare a Icterius ciò che vuole, fermando le sue ambizioni in tempo prima che divorino ogni cosa. Un calcolo politico.
    «Vieni con me, Alisma. Liriya dovrà ascoltarci. Anche fuori dal concilio potrà proseguire le sue ricerche e avrà comunque te, e, se lo accetterà, avrà anche me.» Un sacrificio per salvare l'Ordine e riprendere il controllo dell'Isola.
    «Insieme possiamo influenzare l'operato di Icterius nell'ombra, come hai fatto fino a questo momento, contenendo anche Tivaar e Dajur.» Credo davvero in quello che dico. Mi assicurerei personalmente della sicurezza di Liriya, e dell'operato di Icterius.

    Ma Alisma scuote la testa: parole lanciate nel vuoto.
    «Non dire sciocchezze. Dobbiamo essere cauti. Andare da mia madre non cambierebbe nulla, esporrebbe solo la mia posizione.» Stringo i pugni, odio quella parola: cauti. Probabilmente Alisma non se ne rende conto, ma sta parlando proprio come sua madre.
    «E poi lo sai benissimo anche tu: lei non lascerebbe mai l'Ordine nelle mani di Icterius. Non per attaccamento al potere, ma per paura di ciò che potrebbe succedere. Tu non lo conosci, Yianni. Per quanto io odi mia madre, sono grata del fatto che ci sia lei ad arginare le ambizioni di quel folle.» Paura di ciò che potrebbe succedere, mi ripeto. Proprio la descrizione perfetta di Liriya.
    «Potremmo solo cercare il modo di tagliare la testa del serpente e sperare che basti a ucciderlo.» Questa volta devo seriamente controllarmi, per non esplodere in un accesso d'ira. Stringo forte il pugno attorno alla fiala, fino a quando non mi accorgo di quello che sto facendo. Con un rapido movimento la inserisco nuovamente nel costato.
    Poi lancio ad Alisma un'occhiata carica di disprezzo. Vogliono che l'Isola bruci? Si rifiutano di accettare dei sacrifici, pur di nutrire ancora l'illusione che tutto possa restare uguale? Che bruci tutto il mondo, purché io resti vivo.
    Non li fermerò. Ho smesso di tentare. Mi assicurerò solo di non far parte della cenere.

    Il mio corpo, come in reazione alla mia rabbia, inizia a mutare.
    Assume i colori della palude, per rendersi invisibile. Ho parlato abbastanza, e ancora una volta non è servito a niente. Basta parlare, ora. Adesso agirò.
    «Sei più simile a tua madre di quanto pensi. Paura di quello che potrebbe succedere? Che cosa c'è di peggio di quello che è già successo? Myrkytt è morta, Dovus è morto, Alchimisti come me vengono trucidati ogni ora. Icterius ha già vinto. L'unico modo per fermare tutto questo è dargli ciò che vuole. Stavo cercando in tutti i modi di dare una scappatoia onorevole a Liriya. Col tuo aiuto ci saremmo riusciti.» Se nessuno in quest'Isola vuole prendersi la responsabilità di accendere il fuoco, lo farò io. Sarò io la scintilla dell'incendio. Un fuoco purificatore su cui poter ricostruire.
    «Avremmo potuto, alla fine, nell'ombra, arrivare a quel controllo che tua madre ha sempre rifiutato. Ma ora è troppo tardi. Ho allungato la mano verso di voi più di una volta. L'avete sempre respinta.» Il mio corpo è offuscato, ormai è come fumo.
    «Addio, Alisma.» Avresti potuto far parte del futuro. Insieme avremmo potuto mantenere viva l'eredità di Liriya: chi meglio di noi. Ma tu hai rifiutato l'unica via di uscita che le rimaneva, senza prenderti la responsabilità di farlo. Ma non preoccuparti. Dici di odiare tua madre, ma solo io avrò il coraggio di azzannarla alla gola.

    Non voglio restare indietro,
    nel passato, con voi


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    FARÒ QUALSIASI COSA

    E la lascio sola, scomparendo dalla palude.
    Se non vuoi distruggerlo, allora trova il modo di usarlo.❜ Il suo ultimo messaggio mentale mi raggiunge mentre sto andando verso la città: il sangue di Myrkytt. Ciò con cui tutto è incominciato permetterà anche di concludere questa guerra.
    Mi impossesso di una fattoria isolata alla periferia della città. Elimino i suoi abitanti senza nemmeno uscire dall'invisibilità, nel modo più veloce e meno crudele possibile. Una famiglia. Sarebbero morti comunque a breve, o di fame o per ciò che sta per accadere. Sposto i loro cadaveri nel fienile, e mi rinchiudo nello spartano cascinale.
    Estraggo la fiala di sangue dal costato. Ancora una volta i filamenti neri mi ipnotizzano: Talia, quando tornerà, avrà questo stesso dono. Ma non posso aspettare. Devo agire ora. Poso un braccio sul tavolo e in poco tempo da questo, all'altezza del gomito, ne cresce un altro. Voglio carpire tutti i segreti possibili da quel sangue, e questo sarà solo il primo di molti studi. Voglio avere la certezza che funzionerà con Liriya. Del resto, sarebbe meglio se anche lei non soffrisse.

    Apro con attenzione la fiala, e da questa faccio colare una singola goccia sul braccio aggiuntivo: è sacrificabile.
    Sono pronto a qualsiasi cosa, ma so che farà male.
    Voglio sondare quanto il sangue dello Scorpione può agire su un organismo come il mio. Sono pronto a guarire i danni riportati e, se rischia di estendersi, a staccare quello stesso braccio aggiuntivo.
    Chiunque abbia deciso di far arrivare a me quel sangue ha scelto bene: solo io posso usarlo. Ho studiato per anni le anatomie più strane, esercitando la mia alchimia sul mio e sugli altri corpi. In un certo senso, anche questo è frutto delle scelte di Liriya.
    Stringo i denti e la goccia cade sul braccio.

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    Energia ~ Viola.
    Cloth ~ Black di ???.
    Condizioni ~ ???.
    Abilità ~ Psicocinesi, Teletrasporto, Orium Nero [Elemento Soprannaturale, Influenza Mentale, Berserk Indotto, Durezza Straordinaria] → Scheda.
    Riassunto ~ /
     
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