Mea Culpa

genki → Balrog

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    MEA CULPAgenki → Balrog
    PROLOGO

    Percepisco qualcosa, Sire.
    Hm.
    Il Re è perso nei meandri delle storie. O forse si trova precisamente dove deve essere, pizzicando i fili che lo portano ai meandri nascosti delle cose.
    Non siete preoccupato.
    Non ho ragione di esserlo.
    Neanche...?
    "L'eccellenza dunque non è un atto, ma un’abitudine."
    Hah. Aristotele.



    Apri gli occhi. Difficilmente si potrebbe davvero dire che tu lo abbia fatto in maniera fisica. E' più un momento di consapevolezza in cui ti accorgi di guardare, come una telecamera puntata, un edificio che è quanto di più familiare e al contempo più alieno la tua esistenza concepisca.

    Non hai un corpo. Non sei una persona, non ancora. Sei in fila, ti accorgi ben presto, o quantomeno hai la sensazione di stare aspettando qualcosa e che ancora non tocchi a te. La concezione del tempo è relativa, perché un momento stai guardando l'immensa costruzione di fronte a te, e tredicimila anni dopo (o tredici secondi, minuti, ore?) sei al suo interno.

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    Nel momento in cui tocca a te, lo senti con ogni fibra del tuo non-essere. Improvvisamente sei qualcosa. Sei qualcuno. Sei minuscolo, indifeso e, soprattutto, sei di fronte a un baratro. Hai la netta, specifica sensazione che qualcosa sia andato terribilmente male e che tu, ormai, non possa fare altrimenti.
    E' troppo tardi.

    Di fronte a te, in cima a una scala, c'è una scrivania di marmo nero dove una figura abbassa lo sguardo quasi con noncuranza verso di te. E' un ragazzo giovane, la pelle chiara e con qualche efelide sul naso e sulle guance, i capelli castani ben pettinati all'indietro e comprendi che debba essere vestito in maniera molto elegante dai pochi dettagli che scorgi. L'unica cosa che stona sono le lenti scure degli occhiali cerchiati di tartaruga, che si sistema sul naso con la punta della penna.

    Sembra rilassato e disinvolto, sebbene tu percepisca una grande professionalità.
    Ti guarda, attendendo qualcosa. Devi rispondere, devi farlo subito e con estrema prontezza.

    Ma al tempo stesso, tu non dovresti essere lì. E' sbagliato. C'è palesemente un errore, che sia il momento giusto per farlo notare a qualcuno?

    Su4sahH

    Scusami il ritardo davvero, ero convinta di aver postato :facepalm: e ho dovuto rifare tutto daccapo.

    Facciamo una cosa interessante, ti va? Sei un'anima arrivata nel Tribunale. Sei un'anima a caso, una persona che, per qualche ragione, è finita vittima della Mietitura. Può essere per qualunque ragione tu desideri: magari hai fatto un patto con qualcuno degli Spectre attivi o sei finito come danno collaterale in uno scontro, o peggio ancora eri parte delle piccole e discrete operazioni di 'fattorie' di anime implementate da Garuda sotto forma di campi profughi e piccole cittadine ben difese.

    Sei di fronte a questa persona, dentro al Tribunale. Prendi consapevolezza di cosa sei solo quando ti palesi di fronte al ragazzo e delle sensazioni che ho descritto. Oltre alla pressante sensazione che tu forse lì non dovresti starci.

    Welcome to Hell :asd:

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    Ho commesso il peggior peccato
    che un uomo possa commettere.
    Non sono stato
    felice.

    mea culpa
    or may not, I
    DBaAuJB
    narrato « pensato » « parlato »

    il Tribunale, credo.
    Erano molte le teorie sullo scorrere del tempo nell'altro mondo: i nostalgici temevano che il tempo qui scorresse molto più lentamente che sulla terra dei vivi, la Morte dopotutto giungeva inesorabile ma non aveva mai alcuna fretta, e non vi sarebbe stata necessità di averne una volta giunti nell'altra parte; gli iracondi, gli impazienti e tutti coloro che faticavano a giustificare la loro permanenza nel nero mondo, credevano che ad ogni minuto corrispondesse addirittura un anno terrestre intero, giacché l'esistenza millenaria degli esseri infernali avesse una fondatezza relativa, a seconda dei punti di vista insomma. Qualunque fosse la verità, era abbastanza credibile da giustificare l'immortalità delle anime ivi presenti, ancor più la pesantezza e l'intensità delle loro emozioni.

    In ogni caso, con il tempo - relativo, abbracciate una teoria e rendetela concreta - le anime giunte nel mondo infernale perdevano la coscienza di un corpo e di una mente ben precisa, il corpo e la mente ottenuti di diritto alla nascita; l'involucro di carne ed ossa si dissolveva, disintegrava, diveniva cenere e cadeva ai piedi di quello che poteva sembrare un concentrato oscuro di volontà e sentimenti, gli ultimi provati o provocati l'istante successivo la morte. Più brutale e oscena era la morte, più forte e imperitura giaceva la coscienza, la regola nonregola era questa. Ne consegue che morire incazzati non fosse proprio la scelta migliore, chi avrebbe sopportato una seconda esistenza millenaria da eterni incazzati? Per non parlare delle anime rancorose o impaurite, occorreva creare una lista di emozioni da NON provare prima della Mietitura, con relativo corso di formazione e pratica su campo.

    Però nulla aveva più valore o importanza, col tempo.
    Tutto scompariva o cessava semplicemente di destare interesse, e la volontà stessa finiva per cedere o poi cessare la sua esistenza, lasciando che la nube - l'anima, in altre parole - lasciata scoperta dal deterioramento del corpo e delle ossa giacesse sospesa a mezz'aria, una accanto all'altra.

    O in fila.
    Le più fortunate avrebbero... ehm no, scusate, sto usando impropriamente la parola fortuna per descrivere una situazione - l'unica, in questo mondo - la cui proprietà intrinseca non è sicuramente contenuta nella parola stessa. Non vi è fortuna nel mondo infernale, perché per fortuna uno finisce in pasto al Caos o al Vuoto, annullando il suo abbonamento permanente al memento vitæ, o magari non muore. O muore ma torna in vita perché ha scelto la tessera del sindacato celeste buono.

    Ripeto: non vi è fortuna nel mondo infernale.
    Un male male perpetuo che diventa solo male quando la nube che sei diventato viene selezionata per fungere da catalizzatore per una delle svariate creature demoniache che poi ha la fortuna - stavolta ci sta - di rinascere in un nuovo corpo, e così via in un cerchio perpetuo a disposizione soltanto dei membri premium del luogo.

    A tutti le altre nubi spetta il Tribunale.

    « ..................... » Si si, con calma, ci sto arrivando.
    Lei o lui, non si sa e non ha importanza, era una delle nubi destinate al Tribunale. Informe, incolore ed incosciente, o così era parso per molto, moltissimo tempo; dal momento che aveva perso ogni funzione vitale postuma, sì come la piena coscienza del tempo e dello spazio, la sua età non era al momento calcolabile. Non aveva alcun ricordo di sé, della propria vita prima dell'arrivo qui né tantomeno del come o del perché. Sapeva perfettamente di essere in attesa di qualcosa, di una chiamata probabilmente, ma più che una sensazione si trattava di una coincidenza. Un effetto comune provocato dallo stesso ambiente. Non era in grado di riconoscere altro se non la mera oscurità, le anime non avevano bisogno dei sensi, a meno di successive e comprovate necessità.
    Beh, quella fu una comprovata necessità: vista fu.

    Non dovette preoccuparsi dello shock luminoso, non vi era luce in quel posto. O meglio, l'ambiente pareva illuminato o comunque provvisto di fonti luminose per permettere la giusta compresione dello spazio, ma non era vera luce poiché non vi erano ombre o proiezioni. Cercò di guardarsi intorno con aria stupita ma non troppo, la coscienza di sé non era ancora completamente sveglia e abituarsi nuovamente a certe cose non era affatto semplice né immediato. Non aveva la benché minima idea di dove si trovasse, nonostante avesse la percezione di appartenere nuovamente ad un luogo specifico e non più così vasto come fino a qualche istante fa. Sapeva soltanto ciò che non era tornato ancora in mente, cioè tutto.
    Quel luogo, però, aveva un'aria così familiare.

    « ... » Ebbe nuovamente coscienza di essere in attesa, al punto da sentire non fosse ancora il suo turno di avanzare. Non era più in vita, benissimo, e aveva già visto questo posto tempo fa, o così parve di ricordare. Che questo si trattasse del primo luogo cui un'anima dannata fa riferimento post mortem? Si guadagnò nuovamente il diritto di porsi dei dubbi.

    Era finalmente giunto il suo momento, riuscivo a sentirlo chiaramente. Più che altro, provava attrazione verso il punto più alto davanti a sé, e questo poteva voler dire soltanto una cosa: doveva muoversi. Invece fluttuò, poiché privo di carne oppure ossa, ad un certo punto decise di voler muoversi e semplicemente cominciò a farlo, e fu quasi una sensazione piacevole.

    « Perché sono qui? » Eccoci qua.
    Si chiedono tutti la stessa cosa, una volta giunti in questo luogo. Che ci faccio qui? oppure Non dovrei essere qui, io davvero non dovrei esserci ma il novantasette percento delle volte questo è esattamente dove dovrebbero essere.

    « Chi...sono? » Non saprei proprio, sono soltanto una voce fuori campo, non l'anagrafe infernale. Potremmo però dare a questa nube un nome in code, magari un numero a tre cifre per non rendere la cosa troppo pensate o difficile da memorizzare. Sai com'è, con la memoria qui abbiamo già troppi problemi.

    #361 continuò a procedere in avanti, giungendo presto ai piedi di una lunga scalinata marmorea. Dall'altra parte di questa scala, una scrivania occupata. Ah, una creatura in carne e ossa. Bella, perfetta e perfettamente in ordine.
    Lunghi capelli portati all'indietro - andava di moda negli anni 80, giusto? Eravamo forse negli anni 80? Che roba folle - lineamenti raffinati ma anche un portamento altrettanto raffinato. « Vabbè, » pensò, « a questo punto comincio a salire... » Ovviamente ad ogni passo - assurdo, aveva la sensazione di star salendo fisicamente le scale, come avesse dei veri piedi - l'attrazione per quel ragazzo o, meglio, la sua presenza dietro quella scrivania cresceva, sebbene al tempo stesso un'altra, insaziabile sensazione assalisse la sua mente incorporea. E stava quasi per tirar fuori la voce, o qualunque sistema di comunicazione fosse efficace da queste parti, ma dovette interrompere la sua intenzione per soffermarsi sugli occhiali da vista del giovine in attesa dell'arrivo del suo prossimo.

    « Che... carini. » Montatura di una strana colorazione pseudo-cangiante, che aveva sicuramente un nome di quelli improponibili che bisogna coniare perché fa tendenza, tipo carta da zucchero, avion o, si salvi chi può, color carne.

    Brividi.
    In ogni caso, sebbene quelle lenti stonassero con il suo apparire così tremendamente professionale ed elegante, a #361 piacevano. Il giovane li aveva tirati su con la punta della penna, non degnandolo neppure di uno sguardo. Lo stava aspettando, lo avevano percepito tutti ormai nel Tribunale, eppure a #361 questi non aveva ancora rivolto... lo sguardo.

    « Un momento... Tri-tribunale? » Si stupì di aver pensato quasi in modo naturale al nome più adatto per descrivere quel luogo. Lo stupore però lasciò spazio anche alla delusione, e diede modo a #361 di provare disagio. Perché diamine si trovava nel Tribunale degli inferi? Beh, in certi luoghi funziona sempre allo stesso modo: fai la domanda giusta, sblocchi la risposta come ricompensa. Neppure la risposta, però, riuscì a chiarire perfettamente la questione: se è vero che l'anima possa ricordare soltanto gli ultimi istanti prima che il corpo muoia, per quella di #361 era difficile eseguire persino tale, elementare funzione inclusa. Vi era come un vuoto perpetuo, una fiebile luce lungo un profondissimo tunnel nero come la pece, lo stesso colore cui ormai questi era abituato. Che fosse morto, cerebralmente, ancor prima di tirare l'ultimo respiro? Aveva terminato la sua esistenza terrena in un letto?
    Era forse morto di vecchiaia? O, peggio, intubato come almeno uno dei protagonisti, in ogni puntata di Grey's Anatomy prima che Shonda perdesse la ragione e li facesse morire tutti in un disastro aereo - a proposito, se mai si trovasse qui anche lei ditemelo, vorrei prenderla a pugni perché Lexie non meritava di morire - decretando il momento esatto in cui chiunque avrebbe smesso di seguire con interesse la serie?

    Aveva davvero vissuto una vita piena e completa, per finirla poi sotto droghe e macchinari? Qualunque fosse la giusta risposta, #361 poteva giurare che una cosa sola fosse inconfutabile: il suo trovarsi altrove, anziché qui.

    « Dovrei... essere... altrove. » Molto bene, incipit credibilissimo.
    Ora sicuro il giovine dall'aria seriosa ti crederà sulla parola e ti spedirà negli Elisei a giocare a backgammon con tutti gli eroi più antichi.

    Che poi, backgammon.
    Solo i vecchi giocano a backgammon.
     
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    C'è un attimo di pausa. Un silenzio tale che si potrebbe udire uno spillo cadere sul pavimento. Il giovane rimane immobile, gli occhiali da sole stanno nascondendo la vera reazione mentre il resto del viso sembra impassibile.

    « Oh no. No, fidati: meglio qui che altrove, nel grande schema delle cose. »

    Si mette più comodo, allungandosi sulla scrivania e posando il mento sul dorso della mano sinistra - la destra tiene ancora una stilografica. Ha le mani guantate di nero.

    « Per tua fortuna sono in anticipo sui tempi. Ti prego, intrattienimi: dimmi perché non dovresti essere qui. E nello specifico, qui dove. »

    Sorride. Ha un bel sorriso disinvolto, con le fossette. Ora che lo guardi meglio, sai che quando sorride gli vengono le fossette. Sai che la sua voce non dovrebbe arrivarti così chiara da quella distanza, eppure lo senti come se fosse accanto a te. Sai, e non hai idea del perché, che quella stilografica produce una grafia impeccabile nella sua mano.

    Sai che hai la sua attenzione, e la cosa scatena un brivido freddo nel tuo non-corpo. Un presentimento di qualcosa di orribile che sta per accadere, ma che non riesci a individuare in nessuna causa specifica. E' tutto intorno a te e dentro di te al tempo stesso.

    Ti rendi conto che devi essere entrato/a (?) da qualche parte. Che quel posto, deve avere un esterno quanto un interno.

    Potrebbe essere dietro di te. Potresti andartene.

    O potresti rimanere a dire qualcosa da cui potrebbe dipendere tutto.

    Su4sahH

    Come detto, sei qualcuno ora. Puoi rimanere a raccontare la tua storia (che non è quella di Yuko), oppure...puoi tentare la fuga. Non sai cosa c'è all'esterno, sai che c'è un fuori e lo potresti raggiungere.

    A te la scelta.
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    mea culpa
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    narrato « pensato » « parlato »


    Fuggì.
    Si guardò letteralmente attorno per qualche istante, come a voler trovare qualcosa, un impedimento qualunque a ciò che aveva pensato e prodotto al sol sentire le parole del giovine davanti a lui, ma alla fine si voltò e promise a se stesso di non guardare indietro per nessun motivo al mondo.

    Lo aveva riconosciuto nell'esatto momento in cui gli aveva rivolto la parola, sebbene #361 non potesse affermare con sicurezza chi o cosa fosse, il ragazzo dietro quella scrivania color pece; sino a quel momento si erano trattate di sensazioni, deboli percezioni di ciò che aveva visto o sentito prima della quiescienza, e la sua memoria non era di alcun aiuto. Non si era però sorpreso del tono della sua voce, né tantomeno del modo in cui aveva reagito alla presenza di #361 o a ciò che aveva detto, alla sua ammissione di innocenza.

    « Non ho detto di essere innocente. » Touché.
    In effetti le sue parole non erano state sono innocente, devi credermi! e #361 non solo sapeva che il giovine sapeva, ma sapeva anche che lo stesso sapeva esattamente il motivo per cui la sua anima fosse lì, precisamente lì, in quel luogo e al suo cospetto in quel preciso istante. Non quello prima, non il successivo: in quel momento.

    Cosa sapeva #361 di quel giovine? Non lo ricordava.
    Lo aveva visto sorridere, aveva già visto quel ragazzo sorridere e parlare e muoversi. Riconosceva i suoi comportamenti e i suoi atteggiamenti tipici, sapeva persino quanto impeccabile fosse la sua grafia con quelle mani perfettamente curate e quella stilografica d'altri tempi. La stessa stilografica, da sempre.

    I due, quindi, si conoscevano, e forse questa apparente conoscenza stava mantenendo #361 in vita. Cioè, non proprio in vita, più che altro in uno stato di, uhm... vabbè, avete capito. Male piuttosto che male male, ecco. Ma allora perché fuggire?

    Sensazione.
    La stessa che, lungo tutta la non-schiena, procurò a #361 un brivido gelido. La stessa sensazione che aveva prodotto turbamento quando il giovine cominciò a parlare, e non perché avesse una brutta voce. Era perfetta, come tutto il resto d'altronde, ma nonostante la scrivania e un altro metro più o meno a tenerli distanti, #361 ebbe la sensazione che quello fosse alle sue non spalle, a sussurargli le stesse parole che invece stava tranquillamente emettendo comodamente allungato sulla sua fredda poltrona di pelle.

    « E nello specifico, qui dove. » Aveva concluso, gettando #361 nella più profonda falda del dubbio. Credeva, sentiva di essere esattamente dove aveva pensato e ammesso di essere, e cioè il Tribunale Infernale. Non era forse corretto?
    Si stava sbagliando?

    Avrebbe potuto, ma in tal caso non avrebbe più potuto fidarsi delle sue sensazioni. E se non avesse potuto contare neppure su quelle, in mancanza di altre certezze tipiche di chiunque sia dotato un corpo e un'anima, allora forse la fuga era l'alternativa più giusta. Se era qui, ovunque a questo punto potesse trovarsi, poteva anche essere al di fuori di qui, e quasi sempre entrata e uscita coincidevano.

    Fuori di qui non aveva idea di cosa avrebbe trovato, probabilmente una distesa infinita del nulla più totale, o forse un luogo più opportuno in cui nascondersi, o un portale per un altra dimensione. Fuggendo, quindi, avrebbe percorso la strada che aveva percorso quando aveva salito quelle scale marmoree, tornando praticamente indietro e facendosi largo tra le innumerevoli anime in quiescienza, ricordando bene di non aver visto nessun altro nei paraggi, nessuno che potesse impedirgli fisicamente la fuga.

    Nessuno, all'infuori del giovine.
    Lo avrebbe sicuramente raggiunto senza batter ciglio, e da lì in poi le alternative erano molte. Nessuna di queste, davano modo a #361 di completare la sua fuga senza rischiare l'annullamento. E #361 era tante cose, avrebbe potuto essere qualunque cosa: un assassino, uno stupratore seriale, la persona più terribile che il Mondo avesse conosciuto, non ne aveva memoria né idea. Di una cosa però era sicuro: non era un fesso.

    « No, non adesso. » Tirò un profondo respiro e scacciò l'idea.
    Aveva immaginato come sarebbe andata se avesse seguito il suo istinto e si fosse dato alla fuga, in base a tutte le informazioni di cui disponeva in quel preciso momento, e aveva capito che non sarebbe stata una buona idea in nessun caso. Nessuna alternativa era abbastanza solida da convicerlo. Nessun finale poteva dirsi promettente.
    E chiamatelo pure codardo, vigliacco o folle, non vi era differenza.

    « Non... non credo di ricordare con precisione ogni cosa.
    SIGNORE.
    » Signore!? Dove siamo, al campo d'addestramento militare? In effetti, però, nel dubbio era più opportuno mantenere una certa formalità, almeno sino a quando dall'altra parte non fosse giunta volontà contraria.

    « È solo una sensazione... Non dovrei essere qui, davanti a lei e in questo stato, in questo posto che ricorda un Tribunale ma che potrebbe essere ovunque e qualunque cosa... Eppure, so che lei sa come funziona, quando ti risvegli.

    E...
    » Forse aveva speranze di prolungare la sua esistenza in quello stato ancora un po'. « Non sarebbe professionale condannare o incolpare qualcuno, se questi non ricorda ancora chi o cosa fosse né quale sia il motivo per cui è dove si trova ma non dove dovrebbe. Se sono nel posto giusto, è bene che io abbia possibilità di ricordare e confermarlo. »

    Si fermò per un momento, cercando di raccogliere gli unici frammenti di memoria che era riuscito a scovare nei meandri corrotti della sua psiche.

    « È buio, c'è soltanto il buio, Signore.
    C'è sempre stato il buio, ancor prima che risvegliassi la mia coscienza qui davanti a lei. È nel buio che sono giunto qui, e sa che mi è impossibile mentire.
    »

    Era davvero impossibile mentire agli occhi del giovine dietro quella scrivania, che per tutto il tempo non aveva mosso un singolo muscolo del suo corpo perfetto? Sensazione.
     
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    L'uomo ti ascolta, aggiustandosi gli occhiali con la punta della penna.

    « Indubbio. Sarebbe alquanto ingiusto, per non dire una perdita di tempo se doveste ricordare tutto quanto voi. Oltre che leggermente distorta come verità, converrai. »

    Si stringe nelle spalle e si stiracchia un po' sullo scranno, massaggiandosi il collo con una mano mentre l'altra solleva un grosso e pesante libro. Non sapresti dire se è annoiato, irritato o interessato da quel semplice gesto.

    « Vediamo se questo ci aiuta, che dici? »

    Guardi quel tomo, ti aspetteresti il riflesso delle righe negli occhiali da sole. Ma la pagina, ti accorgi e sai, è vuota. Nell'infinitesimale momento in cui realizzi che la sua espressione è cambiata e che gli occhi dell'uomo sono di nuovo su di te, che sta aprendo la bocca, sollevando una mano...agisci.

    E sei da un'altra parte.

    Dolore.

    Dolore, infinito, impossibile, paralizzante dolore.

    Sei Gennadi Matfey, 38 anni. Sei morto per danni massivi e collasso cardiocircolatorio quando hai cercato di scappare, il mostro ti ha afferrato. Sapevi che non avresti dovuto credere a Lena quando l'hai seguita verso quel bunker. Sapevi che saresti dovuto scappare e lasciarla lì, che era la tua occasione per liberarti di lei dopo un matrimonio fallito.

    Stai rivivendo all'infinito il momento in cui hai visto gli occhi di Lena accorgersi che hai cercato di usarla come scudo.


    QUAL E' LA TUA COLPA?
    Giudizio #1





    Il ragazzo stringe le dita a pugno, esalando un sospiro seccato. Si massaggia la radice del naso, gli occhiali da sole sollevati e le palpebre chiuse perché la luce del Tribunale lo infastidisce.
    Tornerà.
    La figura accanto a lui è leggera come l'aria e densa come il titanio. Occupa molto più spazio di quanto dovrebbe, semplicemente esistendo. Un lungo dito pallido e affusolato, perfettamente curato, sfiora la pagina bianca.
    Ah, lo spero. Sarò onesto, io là non ci vado. E' roba per voi, Sire.
    Tornerà. Non può fare altrimenti.



    Su4sahH

    Eccoci!

    Ora sei un'anima in pena, in perenne ricircolo dentro l'Obelisco di Mnar (non che l'anima sappia cos'è, ma al giocatore sarà utile).
    La domanda è: che punizione sta rivivendo all'infinito? I Gironi danteschi sono un po' datati come concetto, ma usali come riferimento per il Giudizio.

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