And i men i amarth hain barthannen

Role Chernobog - Amaterasu

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  1. Lyga
     
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    «Ti amo perché sono io

    Amaterasu o Harlan erano solo significati, nomi, pennellate di colore su di una tela molto più grande, parole di una storia più grande di loro, che si legavano a miliardi di altre ma che alla fine, risalendo sempre di più, portavano ad un unicum.
    I loro cuori avevano iniziato i loro battiti all'Inizio. Avrebbero esalato il loro ultimo respiro alla Fine.
    Amaterasu amava Chernobog e così fece Harlan con Audatia perché legati da qualcosa di più grande che si perdeva nell'atto della Creazione di entrambi.

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    Unmei no akai ito




    Un filo che li legava da qui alla Fine di Tutto. Un filo rosso. Un filo che non poteva essere spezzato da qualunque forza vi fosse in questo universo. Forse nemmeno da G.E.A stessa, loro madre e creatrice.

    «Mi ami perché sei tu, no? I sentimenti non ti appartengono dici ma non è così. Accogli tutto dentro di te. Queste anime, i loro sogni, la rabbia e l'amore che avevano dentro, speranze, paura. Li custodisci dentro di te per questo non fai trapelare i tuoi. Non ti è permesso.
    La Fine è chiudere un libro, il libro che tutti noi abbiamo scritto con le nostre azioni e lo conosci bene. Meglio anche di chi l'ha scritto. Perché, come un attento bibliotecario, li conservi qui e qui »


    Sfiorò prima la sua mente e poi il cuore.

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    «Quindi non dimentichi nulla. Tutte queste anime e il loro lento suono sono il ritmo del tuo cuore. Giusto o sbagliato, indegno o degno, non conta nulla per te. Sono uguali. E come tale giudichi e osservi accogliendo tutti noi qui allo stesso modo. Anche se non sei d'accordo con me, tu puoi leggere il libro che ho scritto fino ad oggi e capire ogni sfumatura.
    Giudicalo e fai le tue scelte.»



    Per Amaterasu era questo il ruolo di Chernobog. Un ruolo ben peggiore, ben più pesante del suo. L'Inizio non aveva remore, non aveva responsabilità se non di se stesso, se non della propria imprevedibilità. Libero anche dalle convenzioni, libero dal potere, libero da tutto e tutti poteva soffiare ovunque come il vento, scorrere nelle più profonde cavità del Creato, guardare l'Abisso colmandolo della propria risata sfrontata di chi vive e respira per la prima volta, con quell'energia tumultuosa che scorreva a dare sostanza e forma al Tutto.
    Ma Chernobog era lì quando tutto questo finiva e diventava solo silenzio. Con ancora troppo da dire, da fare ma soprattutto la cosa ben più terribile che rimaneva come macigno sulle sue spalle: emettere il giudizio quando non si voleva lasciare tutto questo.
    Aggrappandosi con le unghie e con i denti, con la rabbia e l'odio, con la paura e l'ansia terribile di aver finito, detto tutto; il libro chiudersi per sempre e rimanere ricordi che col tempo si sarebbero affievoliti per poi spegnersi del tutto nel gran firmamento del Cielo di G.E.A. Ma quelle piccole stelle rimanevano brillanti negli occhi di Chernobog che le conservava dentro di sé, non dimentico della loro luce e del loro spegnersi alla Fine.
    Accarezzò le sue mani, sapendo tutto questo, avendolo visto, mani fredde che conoscevano l'acciaio e le urla ma mai una carezza perché non vi potevano essere. Eppure oggi quelle mani accarezzavano la sua barba, le sue parole erano lievi perché la Morte non è truce, non è sguaiata a volte è dolce, a volte è calda e ci lasciamo tra le sue braccia con un sorriso misto al salato delle lacrime.
    Chernobog era tutto questo e lo accettava, lo comprendeva fin dentro le pieghe più recondite della sua anima.

    «葉見ず花見ず – hamizuhanamizu
    Il suo significato è le foglie non vedono i fiori, i fiori non vedono le foglie


    Si lasciò andare al suo tocco, guardandola in quegli occhi, rivedendo Audatia che si confondeva con la figura di Amaterasu e quel volto che fu di Harlan.

    «Io e te a volte siamo lontani seppur vicini.
    Siamo come il manjushage, il giglio del ragno rosso. Le sue foglie e i suoi fiori non s'incontrano mai...purtroppo. »


    E come tutte le leggende asiatiche, anche qui si diceva che Amaterasu tagliò i due eletti che, incontrandosi di nascosto, amandosi segretamente, avevano trasgredito all'ordine dell'Imperatrice.
    Così i fiori e le foglie del Giglio del Ragno Rosso erano destinati a non incontrarsi mai.
    Verità? Leggenda? Negli occhi arcobaleno dell'Imperatrice non si sapeva distinguere se quel purtroppo era un ammissione di colpa o se vi fosse altro.

    «Eppure grazie al gambo loro ci sono. Si guardano, si osservano e insieme fanno questo spettacolo che mi ha sempre affascinato.
    Non s'incontrano mai? Eppure partono loro stessi da una stessa matrice. Si incontrano in luoghi dove la vista non può vedere, dove solamente se guardi davvero puoi vedere la Realtà.
    Io e te siamo come questo fiore.
    E non potrò mai sparire finché ci sei tu a conservarmi nel tuo cuore.
    Così come questo vale per te. Finché ci sono io tu non sarai mai troppo lontana da me.»


    Le sfiorò i lineamenti del volto, il contorno degli occhi, le sopracciglia perdendosi tra i suoi capelli.

    «Io non sparisco mai. Mi prendo solo una pausa per dormire. »

    Le sue mani andarono alla collana che portava al collo.
    Yasakani no Magatama. Quella collana era qualcosa a cui si era legata da tempo. Vuoi per ricordo, vuoi perché amò le mani che la forgiarono e il significato che portavano con sé. Il modo umano per definire la sua sovranità degli elementi.
    Pietre preziose che adornavano il capo dell'Imperatrice della Creazione.
    Per poter spiegare questo alcuni fabbri crearono questo capolavoro. Magatane di oro e argento purissimo, rubini e zaffiri che brillavano di una luce che sembrava accendersi in ognuna di esse, passando dall'una all'altra in un modo innaturale.
    Era come guardare un arcobaleno, era come se avessero tentato di imbrigliare la luce e il colore degli occhi dell'Araldo della Creazione.
    Ogni gemma brillava di rimando all'altra.

    «Questa è per te.
    Così se mai non dovessi esserci forse non porterai tutta questa morte.
    E se non dovessi esserci, guiderai la mia corte nella battaglia contro la Corruzione. Credo che tu possa fare molto di più di quello che potrei fare io. E se porterai questa collana ci sarò anche io vicino a te.
    In ricordo di tutti loro che sono morti e dei troppi che verranno qui ancora a causa di tutto questo.
    Ricorda che sei il martello della madre. Il Giudice Ultimo, la tua parola è potente. Portiamo tutti loro tra le braccia della madre e che questo mondo si ricordi che si regge sulle nostre spalle e di nessun altro.
    Fai quello che reputi giusto io sarò con te ovunque. Tra infinite vite, in infiniti universi questo filo mi ricondurrà sempre da te e non sarai mai sola in tutto quello che affronterai. É una promessa.»


    Harlan fu Amaterasu. Cercando Chernobog. La slamandra si tramutò in Drago per poter ritornare da suo fratello, suo amante, suo amico.
    Suo Tutto. E così sarebbe stato fino a che questa Realtà non si sarebbe squassata del tutto.
    Chissà forse Amaterasu era già sul viale verso Ama No Iwato, forse il sole fino a quel momento splendente nel cielo, si stava lentamente spegnendo andando a dormire al di là dell'orizzonte.

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    E mai lo sarebbe stato. E prendendo le mani di Chernobog iniziò a danzare.
    Perché così fu quando aprì i suoi occhi nella Creazione, così fu quando incontrò gli elementi, così era quando combatteva con Kusanagi.
    Danzare sul filo dell'acciaio, sul vento, sulle onde, danzando tra i guizzi del fuoco e lo smottamento della terra.
    Danzare. All'inizio non lo sapeva fare...poi imparò in un tempo in cui era più giovane e più stupida.
    Quando cercava un quid che non avrebbe mai trovato perché non era nel suo destino, nella sua creazione trovarlo ma solo sfiorarlo per poi ricominciare.

    «Danziamo un'ultima volta tra i Sakura...»
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    «E l'Higanbana.»


     
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