The unsettling echo of a deceitful meadow

dandelion per Siren

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    The Unsettling Echo of a Deceitful Meadow

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    This is my letter to the World
    That never wrote to Me–
    The simple News that Nature told–
    With tender Majesty

    Her Message is committed
    To Hands I cannot see–
    For love of Her– Sweet– countrymen–
    Judge tenderly– of Me



    Sembri quasi avere l'aria assorta mentre osservi gli operai posare sul retro il carico della settimana, forse osservarli lavorare ti fa pensare a quanto tempo sia passato dal tuo arrivo al Settore Atlantico del Sud, dopo il ritiro della Primarca di Siren, dalle nozioni che hai appreso, dell'addestramento all'autodifesa che ti è stato sottoposto prima dell'autorizzazione a gestire il Vivas. Le persone sono state cordiali, al tuo arrivo, e la tua integrazione è avvenuta in modo quasi immediato; dopotutto, ogni abitante dell'immenso Impero lavora l'uno con l'altro nella gloria del khala, la massima comprensione interpersonale che opera a livello spirituale, guidata dalla forza dell'Imperatore.

    Dopo l'assalto ai settori, che hanno visto l'ascesa dell'ormai ritirato primarca di Lymnades, e dell'attuale Primarca di Krisaore, le cose stanno lentamente tornando alla normalità. Ci sono state piccole incursioni nei centri meno abitati dei regni, che vengono spente con ricorrenti missioni da parte delle forze militari. Forse, a questo sono dovute delle sparizioni di funzionari minori, un dato preoccupante a cui l'inquisizione sta indagando ormai da diverso tempo.

    Le tue giornate, chiuse in quel piccolo mondo fatto di familiarità, di musica, si ripetono ciclicamente dalla mattina alla sera, impari a conoscere persone nel modo in cui lavori come il tuo, che ti mettono a contatto con la gente, possono insegnare; una tua propensione al leggere gli altri, a capire il modo in cui si sentono, è forse uno dei valori che rendono quel luogo uno dei più apprezzati. E quando il silenzio cala, quando i bicchieri sono capovolti sul tavolo e la banda ha terminato di suonare, il silenzio e la solitudine diventano un pentagramma senza note.

    Questa è la tua vita, Fabia, finché una sera tardi, quando sei da sola, non trovi alla tua porta un membro dell'inquisizione imperiale; è quasi strano che si trovi lì. Ti porge un piccolo schermo su quale compare una comunicazione. I tuoi servizi, e quelli dei tuoi collaboratori, sono richiesti per una serata, tra due giorni, in una villa di periferia. L'invito ti consiglia di recarti lì in anticipo per organizzarti. Non c'è stranamente scritto il mandante, ma sei sicura che si tratti di un invito regolare, poiché ci sono poche abitazioni - lussuose, non di meno - in quella zona. Senza troppe cerimonie, l'inquisitore consegna l'ordinanza, provvista di indirizzo, e va via, lasciandoti da sola con le tue congetture.




    _____________________



    Angolo Master

    Welcome!
    Una partenza abbastanza libera nella sua prima fase, hai l'opportunità di ruolare qualche giornata o momento tipo di Fabia. Dall'invito, puoi ruolare come vuoi - con i tempi che preferisci - interrompendo quando arrivi al luogo nel giorno prestabilito!
    Per qualsiasi domanda o dubbio, non farti problemi a mandare un mp!
     
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    « Seguro que non vuoi una mano? »

    L'operaio telchino scosse la testa, quasi infastidito dalla sua domanda.
    Fabia si prese qualche attimo per guardare la creatura con attenzione, cercando qualunque cosa potesse farle capire il perché della sua reazione: una brutta giornata? Si era sentito chiedere la stessa cosa ogni santa volta, suscitando in lui una risposta emotiva di difesa? Nessuno metteva in discussione la sua professionalità, Fabia voleva solo essere gentile come sempre. Cercò di non pensarci più di tanto, lasciandolo poi terminare il lavoro nel magazzino e tornando di sopra, ove ad aspettarla vi erano un numero non precisato di bicchieri e flute da far brillare.

    Non gestiva certamente da sola il Vivas, come avrebbe potuto dopotutto: circa quattrocento metri quadri di struttura su due piani, il primo che ospitava praticamente il locale in tutta la sua eccentrica eleganza, e il pian terreno composto da magazzino, spogliatoi per i vari artisti e un locale di deposito strumenti tenuto quasi sempre chiuso a chiave, onde evitare mani leste; il socio - soltanto un appellativo, il suo, poiché a conti fatti Fabia era socia unica di tutta la baracca - che le dava una mano con la gestione e l'amministrazione del Vivas montava a partire dal pomeriggio, sicché la mattina la donna fosse la sola ad occuparsi di ripulire il locale dai fiumi di alcool sparsi per terra, un po' ovunque ad un certo punto, senza escludere le opere di pulizia e manutenzione ordinaria. Fortunatamente il Vivas non era avrebbe aperto prima delle diciotto, ragion per cui Fabia potesse prendersela comoda prima di allora, controllando ogni entrata e uscita di personale di carico e scarico, nonché degli addetti alle pulizie. Chiunque, poco avvezzo a certi tipi di lavori, avrebbe detto che si trattasse di un vero e proprio lavoraccio, ma Fabia non mostrava mai segni di cedimento; non poteva permetterselo, e non solo perché vi fosse il suo nome ovunque. Quanto sudore e quanta liquidità per avviare il suo pretenzioso progetto, finemente curato nei minimi dettagli una volta ottenuti tutti i permessi possibili. Aveva addirittura dovuto affrontare un corso di autodifesa in caso di emergenza, nonostante il Vivas pullulasse di guardie private nelle ore di attività, ma almeno per tutta la sua durata Dren - il suo socio - si era occupato della parte estetica del Vivas, occupandosi personalmente di interagire con i designer d'interni di Llamarada, sottostando ovviamente alle precise indicazioni della donna. Sì, perché se avesse lasciato che Dren si occupasse anche del progetto, ora il Vivas sarebbe un Carnevale di Rio in miniatura e, per quanto gradevole, Fabia non amava particolarmente gli arredi troppo pacchiani. Il Vivas per come se l'era immaginato Fabia doveva avere dei toni caldi ma non troppo accesi, una eleganza ricercata ma non troppo onerosa (ogni sera i soliti clienti pagavano un extra per eventuali danni, investire troppo nel costo degli arredi avrebbe significato fallimento nei primi tre anni fiscali), di modo che chiunque potesse godersi l'atmosfera latina e gioiosa in una location che si potesse definire, tra le altre cose, anche discreta, per non turbare troppo anche gli animi più cupi.
    Fabia voleva che fosse un posto per tutti, non trattandosi per l'appunto dell'ennesimo Night Club, ergo lo stile del Vivas avrebbe dovuto rispecchiare l'ampio spettro interiore di ogni futuro cliente.

    Passava con cura ogni stoviglia con un panno imbevuto nell'aceto, eliminando non solo gli aloni tipici del post-lavaggio ma anche per risaltarne la lucentezza (a contatto con l'aria l'odore acre dell'aceto sarebbe scomparso), salutando con un largo sorriso ogni operaio che passasse di lì; quella non era giornata di pagamenti, ma Fabia segnava già in anticipo chi e quanto dovesse pagare per ogni servizio ed ogni rifornimento, allegando poi la suddetta somma e catalogando poi tutto in una cartellina. In tal modo, nel giorno dei pagamenti tutti i debiti venivano saldati e tutti erano soddisfatti, senza possibilità di replica.

    « Hoy Lucio, vieni aqui. » Fece cenno all'addetto al rifornimento di bevande di avvicinarsi al bancone. Fabia si abbassò per raggiungere uno dei frigoriferi davanti a lei, sbucando poi dal bancone con una bottiglia di ottima Cerveza. « Offre la casa. E riferisci al tuo titolare che non puoi occuparti da solo dell'intero carico, soprattutto se dopo devi rifornire altri locali. Una mano in più non guasterebbe, lo dico per te. » Gli sorrise ancora, e questi ringraziò promettendole che ne avrebbe parlato; sapeva benissimo che, una volta fuori dal locale, Lucio avrebbe rimosso il consiglio di Fabia dalla mente, ma la donna sperava che, facendogli lo stesso invito più volte, magari un giorno Lucio si sarebbe svegliato e avrebbe capito cosa volesse dirle, sebbene non ne fosse particolarmente sicura data la sua giovane età.

    [...] Continuano le ricerche dei funzionari scomparsi nelle regioni minori di tutta Atlantide, dopo la pubblicità non perdetevi l'intervista esclusiva ad uno dei membri dell'Inquisizione del Settore Antartico.

    La radio non parlava di altro oramai da mesi: benché le ragioni fossero ancora sconosciute, dopo la serie di eventi che avevano sconvolto nuovamente i Settori, fortunatamente scongiurati dagli attuali Primarchi ma con non poche perdite, piccoli funzionari atlantidei avevano cominciato a sparire in seguito alle diverse spedizioni diplomatiche, non lasciando tra l'altro alcuna traccia. Tanto che l'Inquisizione in persona, che si occupava generalmente di questo tipo di operazioni, aveva in qualche modo lanciato un allarme, invitando chiunque in tutta Atlantide a prestare attenzione ad eventuali soggetti o situazione sospette, benché nelle capitali tutto fosse relativamente sicuro. A Llamarada e in altri due Settori un po' meno, data la mancanza di un attuale reggente, e questo preoccupava un po' Fabia e tutti gli abitanti dei rispettivi settori; non che i sostituti temporanei non fossero in grado di garantire sicurezza e prosperità soprattutto le ultime vicissitudini, ma Fabia sapeva benissimo che l'esistenza concreta di un Primarca, un Re o una Regina che si dir si voglia, avrebbe rincuorato gli animi della popolazione, a prescindere da come questi avessero guidato il loro regno. Non aveva avuto la possibilità di conoscere la Primarca di Siren di persona, poiché scomparsa prematuramente di recente, e la cosa le aveva lasciato l'amaro in bocca poiché ne aveva sentito parlar bene, seppur di sfuggita. E non doveva essere facile sopportare l'onere di un compito così regale, quindi doveva trattarsi sicuramente di una persona speciale.

    « H-Hola Fabia, todo bien? » Persa nei suoi pensieri, non si accorse dell'arrivo di Lorena, la figlia minore dell'ubriacone più conosciuto in quella via. Si vedeva appena dall'altra parte del bancone, per quanto piccina fosse.

    « Ahy Lorena, ma ciao! Sbaglio o sei cresciuta tantissimo da quando ti ho vista due giorni fa? Guarda un po', riesco a vedere la tua coda di cavallo da qui, ma que hermosa! » Fece segno alla piccola di aspettare, abbassandosi per prenderle il suo succo preferito. In quei piccoli istanti cercò di tirare un profondo respiro, sapendo già come sarebbe andata a finire la storia. Povera bambina.

    « Ecco a te! Come stai oggi? »
    « M-molto b-b-bene, g...g-g » Balbettava pesantemente, ma Fabia non glielo faceva notare, continuando ad occuparsi dei bicchieri. « Grazie! »
    Si prese del tempo per bersi il suo succo, Lorena amava vedere Fabia all'opera e per Fabia non era un problema ospitare una bambina nelle ore di chiusura del Vivas; non che nelle ore d'attività il loro ingresso fosse vietato, semplicemente non amava circondarsi di minori quando il livello di alcool nel sangue della maggior parte dei clienti aveva superato la soglia massima consentita dell'Impero. Parlarono per un po' della scuola e di quanto fossero noiosi ma necessari i compiti, dei progetti scolastici futuri e di una possibile visita guidata nel Settore Atlantico del Nord, terre di Lady Johanna.

    « Un g-g-giorno voglio essere co-co-come Lady J-j-j-johan-n-na! »
    « Ma tu sei già splendida y forte! E quando sarai grande potrai essere chi vuoi, anche leggendaria come Lady Johanna ma anche di più! »
    « Wooooooooooow! Più f-f-f-forte di lei? Tipo? » Esatto, tipo?
    Fabia cominciò con una delle sue fantastiche storie, animando la scena con le sue movenze e i suoi giochetti con i bicchieri o le bottiglie, giusto il tempo necessario a rimandare la solita conclusione di quella piacevolissima e, al tempo stesso, tristissima visita.

    « O-ora devo pro-pro-proprio and-d-d-dare. » Tirò fuori dalla tasca dei suoi piccolissimi pantaloni una banconota, si mise in piedi sulle punte per raggiungere il bancone e la posò sul freddo marmo, abbassando poi lo sguardo. Fabia sospirò, cercando poi di non trasmettere alla piccola la sua frustrazione. Pensò cose orrende di suo padre, mentre si accingeva a tirar fuori la solita bottiglia di vino, incartandola poi per bene e riponendola in un sacchetto di carta. La porse con attenzione alla piccola, assicurandosi che la prendesse con entrambe le mani, poi si apprestò a parlare un'ultima volta.

    « Hoy hermosa, ho avuto un'idea! Perché domani non passi da me intorno alle 16 per un tè? Abuela Maria preparerà quei biscotti che hai provato una volta e che ti son piaciuti tant- »
    « N-n-non posso domani. Viene a pr-pr-prendermi mia ma-mam-mma. » Altro soggetto poco raccomandabile. Promise alla piccola che avrebbero fatto un'altra volta, e che Abuela Maria le avrebbe preparato qualunque dolce desiderasse, infine la vide andar via dal Vivas con gioia. Non erano imparentate, ma Fabia aveva preso a cuore la piccola Lorena, soprattutto per via dei suoi pessimi genitori. Persino la madre di Fabia, che per simpatia la piccola chiamava Abuela, la trattava quasi fosse sul serio sua nipote, e più volte a tal proposito aveva fatto pressioni sulla possibilità che sua figlia le facesse un regalo così grande e bello. Ed ogni santa volta, Fabia le rispondeva che il suo regalo più grande era proprio davanti ai suoi occhi, e che non poteva desiderare di meglio.

    Sul serio, Fabia non aveva voglia né tempo di metter su famiglia.
    Una responsabilità che non aveva intenzione di accollarsi per amor proprio.

    K7ZupmT

    Scoccate le diciotto, il Vivas prendeva ad animarsi.
    Dren si occupava del bancone ed era un bartender davvero bravo, oltre che stranamente affascinante: alto, dalla carnagione chiara come la neve ed era riuscito a tramutare il suo albinismo in un quid che attirava entrambi i sessi, oltre che aumentare sensibilmente le entrate del Vivas. Fabia si occupava principalmente di accogliere gli ospiti e girare tra i tavoli assicurandosi che tutto fosse a posto, interfacciandomi con le varie cameriere e gli addetti della sicurezza e, come non bastasse, offendo al pubblico una delle sue esibizioni in tarda serata, e non perché fosse qualcosa di sconcio o volgare: Fabia preferiva dar spazio a giovani talenti, vecchie glorie e artisti che potessero vedere il Vivas come un trampolino di lancio per qualcosa di più grande e memorabile, offrendosi ai suoi clienti solo nelle battute finali, salutandoli e dando loro appuntamento al giorno seguente.

    Si esibì anche quella sera, presentandosi con il suo amato flauto traverso e dimostrando di poter includere nella sua performance un gruppo di ballo, movenze e passi che per chiunque altro, probabilmente, sarebbe stata un'impresa data la concentrazione necessaria a regolare soffio e coordinazione, eppure Fabia era riuscita ad unire alcune nozioni del suo corso di autodifesa - quali respirazione, resistenza fisica e minimo sforzo con massima resa - alle sue numerosi esibizioni, suscitando sempre lo stesso stupore da parte del pubblico, anche quello già abituato e sempre presente. Persino Dren smetteva di servire i suoi speciali cocktail ogni qual volta Fabia mettesse piede sul palco, e la donna aveva imparato a riconoscere quello sguardo nel tempo. Lo sguardo di un uomo che avrebbe voluto quella donna tutta per sé, senza mai permettersi di invadere i suoi spazi a tal proposito. Fabia lo apprezzava anche per questo, e in altre circostanze ne sarebbe stata attratta, suo malgrado.

    Il Vivas era conosciuto anche per la rigidità dei suoi orari: si apriva alle diciotto, si chiudeva alle ore tre del mattino. Nessuna eccezione, per nessuno. Fabia era convinta che tutti i suoi dipendenti dovessero sostenere al massimo un turno di otto ore comprese di pausa di almeno un'ora, e che per nessuna ragione tale turno dovesse protrarsi per più tempo; non erano semplici dipendenti, erano persone con una vita ed una famiglia, e il Vivas era pur sempre il sogno di Fabia, non di Dren o di chiunque altro. Addirittura la donna non permetteva a nessuno di ordinare e sistemare il locale post-lavoro, riusciva anche economicamente a permettersi lo staff per le pulizie ogni mattina seguente, e ciò pareva essere cosa assai apprezzata dai suoi colleghi di lavoro, mai lamentosi o insoddisfatti.
    Li congedò tutti con un abbraccio, concedendosi un abbraccio più lungo con Dren: nonostante le sue congetture, non poteva negare di provare interesse per quell'uomo, sempre rispettoso e pronto a farsi in quattro per Fabia, ma ogni volta che il primo tentava un approccio, anche il più stupido e dolce, la donna faceva un passo indietro urlando in spagnolo, cosciente di quanto Dren amasse sentirla parlare nella sua lingua madre.

    « ... » Finalmente calava il silenzio, una pausa importante e sacra persino nella musica: dava non solo la possibilità ai compositori di ricaricarsi e prendere fiato, suscitava pathos nei cuori di ascoltava e aumentava il desiderio di assistere sino alla fine alla sua esibizione, promettendo solo bellezza ed estasi. Spense le luci del palco e lasciò le mezze luci su tutto il resto, mettendosi poi seduta accanto alla cassa per una delle operazioni più noiose di tutto il suo lavoro: la chiusura commerciale. Spuntò sulla pagina del suo registro tutti i pagamenti effettuati al personale quella sera, cominciando poi a contare l'intero incasso; una volta terminato il conteggio, avrebbe cominciato a stilare i pagamenti da effettuare il giorno seguente, segnandosi accuratamente soggetto ed uscita corrispondente, di modo che non perdesse mai il filo coi pagamenti, ipotesi che la spaventava non tanto per paura che non potesse farcela, quanto più paura all'idea che qualcuno potesse pensare di lei che fosse la tipica titolare con problemi di memoria.

    « Mil.
    Centenar, doscientos, trescie-SIAMO CHIUSI.
    » Sussultò quando l'ombra alla porta del Vivas fu rischiarata dalla debole luce del faretto posto proprio sopra: nonostante fosse difficile vederne uno in persona, la sua divisa e il suo aspetto erano inconfondibili.

    « Posso offrirle da bere, ma dopo devo chiederle di andarsene. »
    « Non sono qui per bere, sig.na Rivera. » Posò i contanti sul bancone, perdendo irrimediabilmente il conto - avrebbe maledetto l'interruzione più avanti - e lasciando che la figura si avvicinasse al bancone. Cosa mai poteva volere un membro dell'Inquisizione da lei, se non sperare che il suo status permettesse una bevuta gratuita fuori dall'orario di apertura?
    L'uomo estrasse dalla tasca un piccolo schermo di oricalco, segno che avesse una comunicazione ufficiale da presentarle. Prima che le immagini potessero comparire, veniva richiesto al destinatario di posare il pollice sinistro sulla parte bassa del congegno, di modo che il suo cosmo potesse entrare in sintonia e "sbloccare" , per così dire, il suo contenuto. Non che Fabia fosse un essere umano dotato di particolare intensità cosmica, tali congegni però erano stati progettati per assorbire una quantità di cosmo così irrisoria da sopperire a questo tipo di situazione.

    Tre minuti più tardi, la comunicazione s'interruppe, e per un momento Fabia fissò lo schermo spento senza dire parola. Volse poi lo sguardo sull'uomo, facendogli segno di aver compreso la natura del messaggio e, prima che questi andasse via, insistette per offrirgli qualcosa da bere più che altro per scusarsi per esser stata un po' brusca. L'uomo accettò di buon grado e si dileguò, lasciando Fabia in preda a dubbi e pensieri.

    Chi mai poteva aver chiesto all'Inquisizione di consegnare un messaggio alla proprietaria di un club, senza però rivelare la sua identità? Qualcuno che sapeva che questi non avrebbe mai potuto rifiutare, non dinanzi ad una delle massime autorità dell'Impero; tra l'altro, considerato il numero di ville di lusso presenti nella zona nord di Llamarada, le possibilità erano poche ma comunque non zero. E quella era zona per ricchi ricchissimi, figli o eredi di antiche famiglie di Atlantide che vivevano oramai di rendita e fama impropria, persone cui tutto era concesso poiché benefattori abituali.
    E la beneficienza con secondi fini non era beneficenza, bensì estorsione.
    Cercò di cacciare via i pensieri più angosciosi e mandò un messaggio a Dren, chiedendogli di presentarsi l'indomani mattina al Vivas per una riunione dell'ultimo momento. Mandò lo stesso messaggio ad alcuni membri dello staff, compresi tre degli artisti di punta del club, quelli per cui avesse certezza che non avrebbe rifiutato e che non avrebbero deluso le aspettative del mittente, chiunque tal riccone fosse.

    E la mattina seguente, secondo l'orario stabilito, tutti coloro a cui il messaggio era stato rivolto erano lì: Dren, i quattro membri del catering Gwen, Rosa, Bob e Christian e il trio di spettacolo. Chiese a Dren di prender nota di cosa volessero bere o mangiare, poi cominciò a illustrare le ragioni della loro richiesta presenza.

    « Ieri notte abbiamo ricevuto un invito formale dall'upper side di Llamarada, tra due giorni ci vogliono lì per una serata. »
    « Ma noi non organizziamo feste private. » Dren aveva un sacco di qualità bellissime, ma di certo non era un tipo intuitivo.
    « Sì, Dren, generalmente non organizziamo feste private, a meno ché il mittente non mandi qui l'Inquisizione a consegnare l'invito. » Tra lo stupore generale, Fabia cercò di non dilungarsi troppo sulla questione Inquisizione, tornando al succo del discorso. « Appurato che non possiamo rifiutarci, sono qui per dirvi che tra due giorni ci ritroviamo qui alle ore dieci in punto, tu Dren ovviamente prenderai il furgoncino di tuo padre per portarci a questo indirizzo. » Ascoltò il parere di tutti, in generale preoccupati per la situazione in sé, nuova sotto ogni punto di vista; Fabia cercò di rassicurarli spiegando che si sarebbero comportati come se fossero al Vivas, ridimensionando il tutto poiché la festa si sarebbe svolta probabilmente in un salone grande un terzo del Vivas, o magari all'aperto. Così Dren si sarebbe occupato del bar, lo staff di catering avrebbe, per all'appunto, servito la clientela col cibo già presente lì per mezzo di un servizio di ristorazione esterno, e il trio assieme alla stessa Fabia avrebbe fatto ciò che vien loro meglio: intrattenere.

    Prima di tutto, si assicurò che i quattro del catering non dimenticassero l'appuntamento, in seguito li lasciò liberi; soltanto dopo, lavorò col trio alla ricerca di una scaletta da presentare quella fatidica sera, qualcosa di ovviamente già fatto in precedenza e che si prestasse bene a qualunque fosse il tema della serata. Purtroppo non aveva ricevuto molte info in merito, quindi dovevano arrangiarsi alla meglio, cercando di non apparire troppo spaventati o impreparati, pena che avrebbe macchiato il buon nome del club e della donna. Soltanto alla fine, quando fu sola con Dren, poté concedersi un respiro lungo e per troppo trattenuto, muovendo i ricci capelli di qua e di là nel tentativo di scrollarsi di dosso una fastidiosa sensazione.

    « Cosa ti turba? »
    « Onestamente? Tutto: perché l'Inquisizione? Sai che sono impegnati ultimamente con le ricerche dei funzionari scomparsi in circostante sospette, perché staccarne uno dalle missioni per farmi recapitare un messaggio? Messaggio di chi, poi? Chi è così ricco a Llamarada da comprare l'Inquisizione, o almeno comprarne uno per farmi contattare? Ay Poseidón »
    « Wowo vacci piano, ci sono qui io e poi, secondo me, non è così preoccupante come sembra: quando sei ricco vuoi fare le cose in grande, suscitare invidia e timore nelle persone e chiunque sia il mittente dell'invito non fa eccezione. »
    « Tuo padre era così? »
    « Nah... lui odiava le feste. » Le porse un margarita analcolico, il suo preferito e, proprio come predetto, per qualche ora i dubbi scomparvero, lasciando spazio a sensazioni più positive. E a quella piccola quantità di alcool che Dren aveva messo nel margarita.

    Le due sere successive trascorsero normalmente al Vivas, tra l'euforia e l'ebbrezza di tutti i presenti. La mattina precedente l'evento Fabia parlò ai suoi genitori, convincendoli a presentarsi al Vivas per controllare che quanto meno non andasse a fuoco o a pezzi: i dipendenti non compresi nell'invito avrebbero mantenuto aperto il locale e gli artisti rimasti si sarebbero occupati degli spettacoli senza Fabia, con sua mamma come PR e suo padre alla cassa. Per il servizio bar Dren aveva chiesto a suo cugino di occuparsene, intimandogli di non bere assieme ai clienti e non provarci con le cameriere. Fabia non si fidava molto di Karl, era stato suo dipendente in passato e non era finita benissimo, ma non vi erano molte altre alternative.

    Con tutta la situazione sotto controllo (per quanto possibile), il giorno dell'evento tutti i partecipanti erano davanti al Vivas alle ore dieci in punto, meno che Dren: raggiunse il gruppo circa venti minuti dopo, ammettendo di aver avuto problemi a convincere suo padre a farsi prestare il furgoncino. Fabia lo fulminò con lo sguardo, odiava profondamente chi non era puntuale agli inviti. Saltati i convenevoli e, dopo che ognuno dei presenti ebbe insultato Dren per l'attesa - l'unico momento gioioso di quella prima parte di giornata - nel giro di un'ora furono nel luogo indicato dall'invito.

    Una villa immensa, e ciò che vedevano era solo parte della struttura posta dietro il pomposo cancello con due gargoyle alle estremità in alto, roba alquanto pacchiana e anni cinquanta.

    « Che faccio, suono? »
    « No Dren, aspettiamo qui che si accorgano di noi.
    ... SUONA CABRÓN
    »


    ZZcIR9a

    Se ho dimenticato qualcosa fammelo sapere, ho cercato di dare una infarinatura iniziale a Fabia e spero vada bene :zizi:
     
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    La porta si apre e venite fatti accomodare dal personale non troppo diverso da quello che ti ha consegnato la lettera. Il che, effettivamente, sembra troppo strano. Dal tuo periodo di leva obbligatoria hai imparato che un numero di inquisizione in armatura così alto, assieme a quello del personale militare standard, non è qualcosa da potersi considerare la 'norma', all'interno di un ambiente che dovrebbe essere rilassato.

    Ti indicano un posto dove poter allestire il servizio, così come un altro dove poter sistemare l'angolo per la musica. Passano un paio di ore, ma dei padroni di casa nemmeno l'ombra. Ne approfitti per osservare il posto, perdendoti quasi negli immensi saloni e nei corridoi arricchiti di opere d'arte, di statue, quadri, cimeli e strumenti appartenenti alle più disparate epoche e culture di quel settore, tutte amalgamate in un percorso che farebbe invidia alle gallerie d'arte più famose.

    Quando ti soffermi a osservare uno strumento, quasi inconsapevolmente attratta da esso; vieni riportata alla realtà da qualcuno che fino a quel momento aveva fischiettato una melodia, e che aveva improvvisamente smesso di diffonderla per la sala. Una donna ti sta osservando tranquilla; indossa un corpetto nero sul busto, intarsiato di un metallo così lucido da apparire luminoso, che sale in una maschera che le copre gran parte del volto. Ha un'aura familiare, ma non riesci a cogliere subito chi sia. Uno dei pezzi più belli della mia collezione; ha buon gusto. Dal busto in giù, invece, porta un vestito elegante, non troppo vistoso, ma funzionale.

    Ho sentito parlare di lei, Rivera.
    Spero che la villa sia di suo gradimento.


    Verso di lei percepisci un'attrazione magnetica, come se potesse chiederti gentilmente di saltare con un risultato più che certo. Non è il frutto di qualche esercizio di potere o abilità, è puro carisma; ti trovi quasi in imbarazzo ad essere stata sorpresa così. Di tutti gli oggetti in queste sale, gli strumenti sono di certo i miei preferiti. Sa che in tempo di guerra, in alcuni eserciti, erano obbligati ad essere presenti soldati che sapevano suonare uno strumento? Perfino il suo tono, per quanto morbido e cortese, ha l'impressione di potersi trasformare in puro acciaio con la giusta inflessione; avanza di qualche passo, mettendosi al tuo fianco senza smettere di guardare il resto della collezione.



    _____________________



    Angolo Master
    Una veloce sistemata nella villa più bella e lussuosa che tu abbia mai visto
    Con l'aggiunta di una presenza interessante
     
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    Il personale della villa non tardò ad accogliere il gruppetto all'interno dell'enorme giardino, indicando loro la via da seguire per parcheggiare il veicolo senza ingombrare vistosamente il panorama dinanzi ai loro occhi: metri quadri indefiniti di verde, un prato curato all'estremo - era chiaro che, chiunque si occupasse di giardinaggio, non avesse tempo che per respirare, forse - ed una enorme fontana in perfetto stile rinascimentale proprio davanti al pomposo ingresso in ferro battuto e legno pregiato.

    Non erano soltanto ricchi, lo erano schifosamente.

    « ... » Fabia non poté non notare un dato alquanto preoccupante, almeno per un soggetto ansioso come lei: tanta, troppa aria di Inquisizione ovunque i suoi occhi potessero guardare; erano stati accolti da personale dell'Inquisizione in armatura, ed anche una volta dentro l'enorme abitazione il loro numero era superiore a quello della servitù abituale. Che parola orrenda, ne era perfettamente consapevole, ma non riusciva a pensare ad un sostantivo meno degradante in quel preciso momento.

    « Grazie. » Si rivolse ad un soldato che indicava i luoghi della villa in cui sistemarsi, non mancò una rapida occhiata a Dren, una di quelle che poteva voler dire soltanto una cosa: occhi aperti. Nel suo periodo di addestramento per l'ottenimento delle licenze professionali - autodifesa principalmente, ma anche quella relativa alla somministrazione di cibi e bevande alcoliche soggette ad approvazione del Concilio Imperiale - aveva imparato a riconoscere a naso circostanze e situazioni ambigue, e quella in cui si trovava ora non faceva eccezione. Incrociò lo sguardo di un inquisitore mentre posava i suoi strumenti, e ne approfittò per soddisfare la sua istintiva curiosità.

    « Speravo di poter avere un momento con i proprietari di casa. »
    Gli scenari possibili erano soltanto due: l'inquisitore avrebbe accolto la sua richiesta e avrebbe presentato Fabia ai proprietari di casa, gente ricca e parecchia paranoica da intensificare la sicurezza in casa servendosi dell'Inquisizione; oppure avrebbe negato alla donna tale possibilità, alimentando i suoi sospetti su chi e perché la volessero lì.
    Si trattava esattamente del secondo caso, e per quanto educata e professionale Fabia fosse, stava per compiere il passo successivo, probabilmente commettendo un errore e compromettendo il suo lavoro in quella villa, se non fosse l'opportuna inopportunità di Dren.

    « Hey ma è un S. Dalì quello? Un VERO S. Dalì? »

    Abbandonando per un momento la sua vena investigativa, Fabia decise di distrarsi perdendosi negli enormi saloni della villa posti al pian terreno, ignorando volutamente l'intero arredamento, fin troppo ricercato e costoso: molte volte il buon gusto stava nella non ostentazione, e Fabia era decisamente amante del minimal, nella vita come nel design. Non era particolarmente esperta di arte, non tanto da poter confermare o smentire la domanda di Dren in merito all'autenticità di uno di quei dipinti, ma ammesso che fosse un originale Fabia ne sarebbe stata orgogliosa, e dovette ammettere di provare quasi gratitudine per gli ospiti di casa; in un'epoca buia come quella, scoprire tutta quest'attenzione per l'arte di casa confortava mente e spirito. La collezione privata, però, non si limitava soltanto ad opere, per così dire, visive o materiche - Fabia amava la violenza di queste ultime, quel bisogno di affermarsi e portare l'opera d'arte ad un livello superiore, rendendola protagonista e spettatrice - ma pareva quasi concentrarsi su cimeli e pezzi che Fabia trovava particolarmente affascinanti, poiché di suo interesse. Tanto che il tempo parve fermarsi quando i suoi occhi si posarono su di un flauto che non aveva mai visto prima, neanche sui libri di storia della musica contemporanea, ma per cui provava una certa affinità e familiarità.

    Di fattura non particolarmente pregiata, era chiara la sua provenienza dal continente africano; di aspetto molto simile al Ney persiano, differiva da questi per la presenza di dettagli tipici africani, sebbene avesse nulla da invidiare ad altri strumenti simili o più curati. Non si trattava di un traverso e la presenza di soli tre fori lo rendeva un flauto poco dinamico, e normalmente Fabia non ne sarebbe stata attratta, eppure una strana sensazione le chiedeva di restare lì, immobile, a fissare lo strumento contenuto in una teca molto sicura, e per qualche istante giurò persino di udire della musica. Si era forse addormentata in piedi, e stava dunque sognando? Si tirò un pizzicotto sull'avambraccio destro prima che le sue congetture fossero smontate dall'arrivo di una presenza altrettanto interessante.

    « Uno dei pezzi più belli della mia collezione; ha buon gusto. » Tornò alla realtà e volse l'attenzione alla sua destra, scorgendo la figura di una donna che le parve quasi familiare quanto il flauto, ma scosse subito la testa scacciando l'idea che conoscesse chiunque in quella villa. In seguito, per non apparire maleducata, sorrise e si mostrò d'accordo con ella, concedendosi anche un attimo per analizzarla: il suo abbigliamento non apparteneva all'Inquisizione e ciò fu cosa assai gradita e le sue paranoie ringraziarono per un momento, eppure Fabia non poté sentirsi sicura e rilassata neppure dinanzi a tale evidenza.

    « E' tutto così... perfettamente curato. E questa collezione incanterebbe anche il più sciatto degli ammiratori. » Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: non era solamente dovuto al suo particolare corpetto nero che terminava in una sorta di maschera coprente per circa tre quarti di viso, o per il prezioso metallo che ornava tale capo d'abbigliamento e quasi brillava di luce propria, in tinta col colore inusuale degli occhi della curatrice di quella collezione, bastava insomma la sua sola presenza. Il suo charme, il suo personale biglietto da visita.
    Fabia non si sentiva per niente al sicuro, ma al tempo stesso non riusciva a fare un passo indietro, sentendosi quasi in imbarazzo per esser stata colta alla sprovvista. E anche quando l'altra donna confessò di apprezzare particolarmente gli strumenti musicali, vaneggiando per un momento sulla loro implicazione negli eserciti e nelle trincee, Fabia non si sentì in diritto di replicare mostrandosi informata, come avesse disagio a dar prova di essere preparata.

    Perché provava un certo timore reverenziale nei suoi confronti? Non sembrava possedere un'aria minacciosa, aveva accolto Fabia con lodi e gentilezza ed era semplicemente lì, esattamente come lei, ad ammirare la bellezza della sua personale collezione. Aveva quasi voglia di toccarla fisicamente, per poterne sentire la concretezza, ma probabilmente questo suo gesto non sarebbe stato accolto nel migliore dei modi. Si morse impercettibilmente il labbro inferiore, non per passione ma per tensione.

    « Ci... conosciamo?
    Sento di conoscerla, ma non vorrei sbagliarmi...
    »

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    3




    Non puoi osservare direttamente il sorriso della donna, sotto quell'indumento, ma sei certa che stia sorridendo. Mi piace tenere sotto controllo chi sa apprezzare, riprodurre l'arte, e la musica, con particolare bravura, nella nostra città. Prende con noncuranza uno degli strumenti davanti a te, cominciando a suonarlo. La musica che proviene da quell'esercizio di abilità è meravigliosa; più bella di qualsiasi altra cosa tu abbia mai sentito e probabilmente irripetibile da altre mani, ne sei sicura. Il modo in cui le note arrivano alle tue orecchie quasi ti fa pensare come la tua stessa vita ti abbia condotto a quel punto solo per ascoltare quella musica, quasi ti dimentichi di tutto il resto, non ha più importanza, devi solo ascoltare.



    La tua vista si annebbia per un secondo, il tempo di aprire e chiudere gli occhi una sola volta, e i suoni si fanno - per un attimo - ovattati. Senti delle parole nell'angolo più remoto della tua mente, qualcosa che non riesci a capire, ma che puoi chiaramente definire come dei sussurri. Portano con loro una sensazione particolare, che ti fa sentire come un animale messo spalle a muro, che non ha altra scelta se non voltarsi verso chi lo minaccia, un senso di inquietudine.

    Una voce ti distrae, quella di Dren, che ti riporta alla realtà; la donna non è più davanti a te e stai fissando il vuoto. Ti scuote la spalla leggermente, comunicandoti che è quasi l'ora di iniziare. Osservi l'orologio e ti accorgi di come sia passato troppo tempo, che gli invitati sono quasi tutti presenti e il tuo aiuto è richiesto, non al servizio ma all'intrattenimento musicale. Per quanto sei rimasta così?

    Guardie pattugliano il perimetro, mentre una buona parte della nobiltà del settore è presente. Si parla di politica, di accordi, dell'andamento che il regno affronta dopo la ripresa dall'attacco ad Atlantide. Forse troppo abituata a delle feste del genere, la gente quasi non sembra notare la tua musica. Di sfuggita, tra le persone - come se stesse comparendo e scomparendo tra i volti - osservi la donna e qualcosa dentro di te scatta, si accende. Non è possibile che nessuno di loro non dia il giusto valore alla tua musica.

    Devi rimediare.



    _____________________



    Angolo Master
    Come fai a catturare l'attenzione di un'intera sala?
    Cosa suoni, come lo suoni, che emozione ci metti?

    A te :zizi:
     
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    III

    Fabia dovette ammettere di sentirsi più in imabarazzo di quanto ella stessa immaginasse, la misteriosa donna dal volto quasi interamente coperto non era solo esperta d'arte, ma anche di fini complimenti. Conversarono ancora per qualche minuto sull'importanza del ricordo attraverso l'arte, poi la situazione raggiunse il suo climax quando la donna si permise di raccogliere uno degli strumenti della sua collezione, rimuovendolo dalla teca in cui era collocato, e cominciò a suonare. Nell'esatto momento in cui le sue labbra furono posate su quell'arcaico flauto, Fabia smise completamente di interessarsi ad altro se non alle eccelse capacità - tra le tante, ne era convinta - della sua interlocutrice.

    Ovviamente, non poteva che dimostrare d'essere anche una musicista d'altissimo livello: tecnica e respirazione superavano ogni aspettativa attesa, a malapena Fabia riusciva a percepire il respiro nelle brevissime pause tra una nota e l'altra. Quasi istintivamente chiuse gli occhi, come per godersi al massimo il piccolo omaggio dell'altra donna, ma fu lì che qualcosa effettivamente accadde: come in preda all'ebbrezza, i sensi della ragazza cominciarono ad ovattarsi, la testa a girarle senza però compromettere l'equilibrio del corpo. Riaprì gli occhi per non generare troppo disagio, o almeno le parve di farlo, non ne aveva la benché minima idea: i suoi sensi si fecero sempre più ovattati, come se devastati dalla melodia che non aveva solo il potere di deliziare le sue orecchie, ma quasi sfiorare l'anima e turbarla, ma in positivo. O almeno, così era all'inizio, perché ben presto qualcosa, che aveva la forma di qualcuno ma che poteva solamente trattarsi di una sensazione più che di reale concretezza, cominciò a sconvolgere Fabia più di quanto ammetterà, in seguito, di ricordare.

    Per tutta la durata di quella celestiale musica il suo corpo tremava, le pareva di compiere effettivamente azioni ma non era neppure in grado di coordinare perfettamente mente e corpo, poiché altrove almeno con la prima; ebbe come la sensazione di doversi voltare, poiché osservata, spiata, controllata. Lo spazio esterno era scomparso, il contesto non aveva più alcuna importanza e, anche volendo, Fabia non era capace di prestarvici attenzione, sebbene non si sentisse neppure in grado di reagire emotivamente a tale turbamento. Si toccò la pancia con entrambe le mani, nel mentre cercava di aguzzare l'udito per meglio sentire la fonte di quell'improvviso rumore bianco. Non era incinta, ovviamente non poteva esserlo, eppure si teneva la pancia con la mani come avesse paura per qualcuno all'interno del suo corpo. E, considerato che non fosse arrivata al punto di percepire il bambino dentro di lei neppure quando incinta lo era per davvero, anche quella percezione non poté che generarle ulteriore ansia, portando il corpo a sudare e porre la sua già debole mente in uno stato di allerta.

    « Non riesco a... sentirvi... » Ovunque si voltasse non vi era luce, le sembrava di essere finita all'interno di una stanza buia e stretta, con pericolo in tutti e quattro gli angoli possibili; quel debole ma percettibile rumore bianco aveva ora assunto la forma di un sussurro, magari più d'uno, sussurri non ben distinguibili o comprensibili ma Fabia non aveva bisogno di comprenderne la natura, poiché il messaggio era comunque chiaro e conciso: sta attenta, ragazza.

    Continuò a voltarsi tutte le volte, stringendo ancor più la pancia a sé per la paura, ma più indietreggiava o si muoveva in avanti, più non riusciva a percepire un possibile ostacolo fisico che le facesse capire di trovarsi al ridosso di una parete, la sua ansia e tutte le sue emozioni più negative parevano fiumi in piena. Sensazioni ed emozioni che aveva imparato a compartimentalizzare, nascondere nel suo io più profondo poiché appartenenti ad un passato che aveva riscritto, ma evidentemente non così bene da negar loro qualunque tipo di accesso secondario.

    E quando una mano fu su una delle sue spalle Fabia, quella vera, quella immobile dinanzi ad una teca zeppa di strumenti musicali, si voltò quasi in un istante, le mani ancora intorno alla sua pancia. In quel preciso istante tutto tornò alla normalità, la donna tornò ad essere cosciente dello spazio attorno a sé e tornò a riconoscere quello spazio, e forse il merito fu anche dell'improvvisa apparizione di Dren.

    « Ma dov'eri finita!? Ti aspettano tutti nella Sala Grande, lo spettacolo sta per cominciare! »

    Sudata, pallida e ancora un po' tremolante, Fabia cercò per un attimo con lo sguardo la donna che era con lei fino a qualche, uhm, minuto? prima, ma non vi era traccia alcuna. Annuì distrattamente a Dren e poi controllò l'orologio, quasi sussultando una volta vista l'ora. Com'era possibile che avesse trascorso l'intero pomeriggio in quel corridoio, se a malapena aveva conversato per venti minuti con la misteriosa ed abile donna? Si rese conto di ciò che stava facendo con le mani sulla pancia e cercò di scrollarsi di dosso quella sensazione, cercando un po' d'ordine prima di fare il suo ingresso in sala. Seguì silenziosa Dren ma si voltò ancora una volta dietro di sé, nella speranza che quell'ultimo sguardo potesse fornirle un qualche tipo di risposta alle sue mille domande del momento.

    La Sala Grande era stata nel frattempo allestita - il sole era tramontato oramai da un paio d'ore, e Fabia ricordava perfettamente la tenue luce attraverso le tende delle grandi finestre quando aveva incontrato per la prima volta l'altra donna - e pullulava di teste e volti più o meno conosciuti. Gente di elevata estrazione sociale all'interno del Settore, massimi esponenti della politica locale e imperiale, ma anche esponenti della criminalità organizzata, stando alle dichiarazioni di qualcuno. Non confessioni ufficiali, insomma, era praticamente impossibile che funzionari dell'Impero e mafiosi gioissero nella stessa stanza, altrimenti. Ogni luce all'interno di quella stanza era accesa ma non settata al massimo, al centro vi era un enorme tavolo pieno di leccornie e attorno al quale il suo staff si impegnava a soddisfare le esigenze di ognuno degli invitati, e proprio parallelamente al palco sul quale si esibiva si trovava il piano bar gestito da Dren. Ora, Fabia era cosciente che le feste private non avessero realmente bisogno di musica per intrattenere potenziali invitati, la musica non era mai il perno di quegli incontri. Le ragioni erano ben altre, e probabilmente tutti si stavano occupando, tra una portata e l'altra, di affari interni al settore, interessi personali e pubblici a neppure un anno dagli ultimi disastri in territorio australiano. Tra questi Fabia aveva riconosciuto anche un paio di ospiti abituali del Vivas, sebbene la discrezione in questi casi fosse d'obbligo: al resto dell'elitaria aristocrazia non interessava l'ennesimo night club, perché così l'avevano definito tantissime volte. Come se Fabia permettesse alle sue dipendenti di spogliarsi ed olearsi attorno ad un palo. Stupidi porci.

    « Porci, ed ignoranti. » La scaletta in programma per quella sera prevedeva una esibizione standard per il tipo di evento, anche perché non capitava praticamente mai che Fabia concedesse esibizioni private. Tipica musica d'intrattenimento, con una voce sensuale ma non volgare ad accompagnare il tutto. Per tutta la sera.
    Proprio a tal ragione, Fabia sapeva perfettamente di essere meno che un contorno in quella circostanza, eppure non riusciva proprio a capacitarsi di come nessuno dei presenti volgesse anche solo un rapido sguardo in sua direzione, complimentandosi con qualcun altro per la leggerezza della musica. Nulla, neppure un misero commento. Brutto o bello che fosse, sarebbe stato comunque un commento. Non vi era dissenso o altro, se non totale disinteresse. E Fabia sapeva che la musica, anzi l'arte musicale, seppur in assenza di consenso, non passava mai inosservata. Non poteva, e non doveva. La musica regolava alcune delle leggi fondamentali dell'universo, l'ordine delle cose e degli esseri viventi era regolato della musica, persino il corpo umano in qualunque fase della sua vita era regolato dal ritmo e della musica. Un cuore che pulsa, i pori che si dilatano, le palpebre che si chiudono e si riaprono, i denti che digrignano. Per molti erano azioni involontarie, per Fabia si trattava di arte e musica. E i presenti stavano dimostrando di non aver nulla rispetto.

    Alché, fece cenno ai suoi collaboratori di cessare la musica.

    « Oooh? » Qualcuno dei presenti mostrò evidente sorpresa, nel mentre Fabia voltava le spalle a tutti per prendere il suo preziosissimo flauto traverso. Quanto meno, aveva catturato la loro attenzione in qualche modo. E quando fu nuovamente davanti all'amplificatore di suoni, volse uno sguardo apatico ad oguno di loro, non curandosi di qualunque cosa stessero pensando in quel momento. Solo per un istante, i suoi occhi incrociarono quelli della misteriosa donna di qualche ora prima.
    Non pareva essere contrariata, e onestamente a Fabia non sarebbe importato. No, sembrava alquano compiaciuta, come avesse compreso cosa stesse per accadere. Come non aspettasse altro se non aver ragione, sul talento della donna.

    E Fabia non l'avrebbe delusa.

    « ... » Tirò un profondo respiro, mettendosi in posizione.
    Non avrebbe suonato per compiacere i presenti, né tanto meno per intrattenerli o deliziare le loro orecchie. Pretendeva di essere ascoltata, e avrebbe preteso l'attenzione collettiva solo per cruccio personale. Avrebbe suonato per se stessa e per ritrovare un po' di pace interiore, per scrollarsi di dosso definitivamente tutte le sensazioni in precedenza accumulata. E, benché ogni fibra del suo corpo continuasse a metterla in allerta, Fabia era ormai decisa a volerli zittire tutti per sei minuti buoni.

    Dovevano solo tacere, e prostrarsi dinanzi al potere della musica.

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    Mostra loro la vera arte.
    Catturali tutti, lascia che ti ammirino.
    Forza, bellezza e terrore, sii loro portatrice.


    L'attenzione cresce sempre di più ad ogni nota, ad ogni soffio, con la stessa rapidità delle tue dita che si muovono sullo strumento, con la stessa intensità del soffio che anima la tua musica. Vedi una persona smettere di parlare, per poi girarsi, un'altra la segue, finché - in una manciata di secondi - non sono tutti lì ad ascoltare quello che esprimi. Non è semplicemente abilità, non è semplicemente ispirazione, è qualcosa che si viene a formare tra te e loro, puoi percepirlo quasi; il legame che li ha catturati, che li porta quasi a spalancare gli occhi con la melodia che stai suonando. Senti i muscoli contrarsi, senti i muscoli delle braccia contrarsi e rilassarsi. Nel momento in cui ti permetti di aprire gli occhi, osservi la donna di prima camminare ancora tra quegli spettatori rapiti; perfino alcune delle guardie, le più giovani, sono lì ad osservarti. Hai rubato la scena, Fabia, percepisci una carica diversa salire da te, qualcosa che ti incita ad andare avanti, che ti pervade come frenesia e che è sia dolce che piena di rabbia ed esigenza. Nel momento in cui smetti di suonare, il silenzio cala sulla sala, prima di esplodere nel fragore degli applausi. Ti concedi il lusso di sorridere, di chiudere per un attimo gli occhi, mentre la folla ti incita a proseguire. Prendi fiato, porti ancora le labbra allo strumento e soffi.

    La puzza di bruciato riempie le tue narici quasi stordendoti. Un pezzo di soffitto ti blocca la gamba e senti diversi tagli farti sanguinare sulle braccia e sul volto; la polvere ti impasta la bocca e la vista è sfocata, non riesce bene a mettere a fuoco contorni e dettagli. Nelle orecchie hai un fastidioso ronzio, ma puoi chiaramente sentire alcune urla e dei pianti confusi, assieme a ordini perentori da parte di alcuni soldati; senti il tipico calore delle emanazioni cosmiche ad una distanza pericolosamente esigua, un'enorme ombra nera che si muove, che striscia, che tiene a sé diverse persone, prima di allontanarsi sempre di più. Accanto a te, nelle stesse condizioni, c'è Dren, che prova a chiederti come stai, ma nel momento in cui riesci a mettere a fuoco il suo volto, lo vedi sparire rapidamente, trascinato verso quella bestia dai contorni confusi; osservi la mano provare a tendersi verso di te. Qualcosa ti afferra la caviglia da sotto le macerie, qualcosa di freddo e morbido, ma resistente come l'acciaio, una figura si interpone tra te e quei robusti filamenti neri, facendoli vibrare fino a disfarsi; è la stessa donna che hai incontrato prima. Si volta verso di te e prima che tutto si spenga ancora, riesci a sentire solo la voce di Dren urlare il tuo nome.

    La luce è quasi fastidiosa al momento del tuo risveglio. Non senti più la puzza di bruciato e la sensazione asettica del luogo in cui ti trovi è quasi un sollievo, assieme alle medicazioni e ai macchinari che rapidamente si occupano della tua salute. La stanza è vuota, ma puoi chiaramente capire che sia stata sgomberata da poco. Il tuo volto è coperto, in corrispondenza della bocca e del naso, da un respiratore che ti permette di inalare puro ossigeno; quando volti lo sguardo, puoi osservare su un ripiano di servizio lo stesso flauto che hai ammirato nella sala d'arte, con accanto un girasole. Il silenzio viene interrotto da due figure, un uomo in camice bianco e una donna in armatura pesante, esercito imperiale.

    ...Si è raccomandata di scortarla da lei al risveglio, ha suggerito urgenza.
    Non è il caso di sottoporla a stress fisico e mentale.
    Se il tuo staff sparisse con un cazzo di demone da chissà dove, da un giorno all'altro, non faresti di tutto per recuperarlo?
    Da quanto vedo è una civile adesso, non potrebbe comunque unirsi alla spedizione.
    Ti sorprenderesti come cambiano le persone quando minacci i loro affetti.
    Si chiama essere egoisti, Shayla? - Si chiama dare tutto se stesso per gli altri, Derrick.


    Il battibecco si interrompe quando il dottore si accorge che hai ripreso conoscenza. Si avvicina a te, controllando lo schermo di uno degli apparecchi. Signorina Rivera, sono il dottor Waylon, è stata portata qui dopo l'incidente di due giorni fa. Le sue condizioni sono positivamente stabili adesso. - Ce la fai ad alzarti? Il dottore la fulmina con lo sguardo. Senti gli occhi della donna fissarsi su di te, con la mascella serrata. Nelle orecchie, quasi in lontananza, senti ancora la voce di Dren urlare il tuo nome.




    _____________________



    Angolo Master
    HELLO! Direi che è il momento di cominciare ad entrare nel vivo.
    Hai domande, Fabia? Come ha detto la donna, ce la fai ad alzarti?
     
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    Nuovamente bloccata nel buio, confinata all'interno di un quadrato perimetrato e senza alcuna possibilità di fuga. Sosteneva il peso della pancia con entrambe le mani, stavolta con presa ancor più salda nonostante, in cuor suo, sapesse non essere per nulla reale. Brancolava frettolosamente in assenza di luce, sfiorando tutte le volte le pareti invisibili di quella gabbia con le spalle, girandosi poi di scatto e tornando indietro sui suoi passi, un circolo vizioso che aumentava solamente la sua dose di ansia e paranoia.

    « Dren... » Stavolta riusciva a udire chiaramente la natura di quei sussurri, quella commistione di voci che provenivano da ogni e nessun luogo, che erano nella sua testa ma da questa venivano fuori, infrangendosi sul piano materiale e tornando indietro sotto forma di correnti armoniche ad alta frequenza, volendo paragonare tale evento all'elettrodinamica. Fabia tremava e si guardava ripetutamente le spalle, compiendo piccoli movimenti in circolo e stringendosi ancor più fortemente la pancia, invasa e sconvolta dal perenne peso di quelle voci, tutte quelle negative sensazioni tramutate in voce.
    Voci che la donna non poteva ignorare, neppure avesse voluto.

    « Dren...Dr- » Continuava a pronunciare il suo nome, e anche le voci avevano imparato a dare alle sue preoccupazioni un nome. Tutte quelle voci, all'unisono, chiamavano quell'uomo e insistevano perché Fabia vivesse quel terribile momento di sconforto e disperazione. Dopotutto, avevano già provato ad avvisarla quel giorno, informarla sul pericolo che stava correndo con la sua presenza in quel posto, ma Fabia le aveva ignorate una volta fuori da quel loop.

    « Dren... Dren, Dren... DREN »


    Riaprì gli occhi lentamente, accecata dalla luce dopo un lungo periodo di permanenza nell'oscurità più totale. Capì immediatamente di non riuscire a muoversi, e non solo perché distesa su di un freddo lettino chirurgico, con tanto di maschera dell'ossigeno per facilitarle la respirazione. Volse lo sguardo nervosamente in ogni direzione possibile, nel tentativo di capire dove si trovasse e perché fosse in quella posizione, ma soprattutto perché provasse dolore ad ogni muscolo conosciuto e non, del proprio corpo. Udiva due voci distinte ma ovattate, e per un attimo pensò si trattasse ancora di quelle voci cui ormai si stava abituando, eppure una di queste parve accorgersi del suo risveglio e si avvicinò, permettendo a Fabia di distinguere e associarvi anche un volto, un corpo fisico.

    « Signorina Rivera, sono il dottor Waylon, è stata portata qui dopo l'incidente di due giorni fa. Le sue condizioni sono positivamente stabili adesso. » Con lo sguardo fisso sull'uomo, tirò due o tre profondi respiri per lo spavento. L'ossigenatore accumulò e rilasciò ossigeno al posto suo, irrorando tutti i suoi organi di nuova aria. Soltanto qualche istante dopo, la donna trovò risposta al quesito involontariamente posto dal dottore: cos'era accaduto, due giorni fa?

    Il suo assolo con il flauto traverso si era rivelata la scelta migliore che potesse considerare per ottenere l'attenzione di quel pubblico esigente ed ignorante allo stesso tempo; il mistero fatto donna che aveva incontrato nelle ore precedenti aveva dato a Fabia il coraggio di pretendere di farsi sentire, ad ogni costo, e quando le sue labbra si erano posate sul foro labiale del flauto tutti e ripeto tutti, seppur non nello stesso momento, smisero di muoversi o addirittura respirare. Chiuse gli occhi per non perdere neppure un briciolo di concentrazione, concentrarsi non solo sul pezzo per cui non avesse bisogno di solfeggio, ma anche sul mix di emozioni che tale melodia generasse: non solo serenità, non solo gioia in un momento tale da essere considerata la sua comfort zone; Fabia non avrebbe cambiato giudizio sui presenti, non avrebbe mutato la sua rabbia e la sua frustrazione in merito, non avrebbe cercato di comprendere la natura di quella festa né avrebbe smesso di pentirsi di aver accettato un simile incarico. Proprio lei, che nella vita aveva imparato anche a dire di no, ma alla fine cedeva se stuzzicata con ciò che amasse più di ogni altra cosa: suonare. E, esclusi Dren e il suo gruppo, se su più di un centinaio di invitato solamente una fosse la persona realmente interessata alla sua arte, qual era il sentimento più opportuno e legittimo da provare e suonare, una volta raggiunta tale consapevolezza?

    Gratitudine? Compassione? No.
    Indignazione. Il suo settore, i suoi abitanti, tutto il contesto si riprendeva a stento dall'ultima incursione da parte del Caos ma cos'era più importante? Mostrare chi avesse più soldi e più potere, in assenza di colui o colei che contasse davvero: un Primarca. Questo totale disrispetto, questa noncuranza era frutto di un momento storico in cui vi furono più vice-reggenti che Primarchi, che Poseidone ed Evemone avessero riposto le loro speranze altrove? No, semplicemente provavano ribrezzo per ognuno dei presenti, e Fabia non poteva che trovarsi in accordo. Nelle ultime note di quel brillantissimo pezzo, solo orecchie affini avrebbero percepito un carico di rabbia e violenza repressa, nell'esatto momento in cui i crescendo si fecero più ravvicinati e molteplici.

    E quando fu il momento di applaudire alla sua magistrale esibizione, anche in quel momento Fabia non poté dirsi contenta di aver mostrato il suo talento alla folla: nessuno applaudiva così animatamente dinanzi ad una musicista, non era una rockstar e quello non era un concerto live. Il frastuono di quelle mani che battevano come una pressa schiaccia la carne prima che venga consumata, addirittura un paio di fischi e ululati, e poi tutti si domandavano cos'avesse di sbagliato Llamarada. E per un attimo Fabia giurò che fosse quel momento, ad essere sbagliato, proprio un attimo prima che tutto tramutasse in buio e urla strazianti.

    Eppure, persino quelle urla avevano più decoro di un applauso eseguito male.


    « Ce la fai ad alzarti? » Una seconda voce, all'interno della stanza in cui si trovava, riportò Fabia indietro dal suo flusso di ricordi sugli eventi traumatici dei giorni precedenti. Non riconosceva la fonte di quella voce, così come non conosceva il dottore che si domandava se fosse tutto a posto, Fabia sentì solamente di dover provare ad alzarsi. E, con enorme fatica e sentendo scricchiolare ogni osso dal bacino in su, si rialzò, facendo poi segno al dottor Waylon di aiutarla a rimuovere la maschera dell'ossigeno. Una volta rimossa, la donna respirò per un attimo autonomamente, venendo pervasa dal tipico odore di sala operatora asettica e sterilizzata, e proprio in quel momento fu colta da un altro, terribile ricordo sensoriale.

    « Dren... Dov'è?
    Do-dove sono tutti? Che è successo!?
    » Ad ogni respiro Fabia era investita da un flash di quanto accaduto: Dren sul palco a tenderle uno dei suoi Mimosa, un sorriso forzato per non deludere il pubblico in visibilio, poi l'intero soffitto che sprofonda sui presenti ed una prima di tante esplosioni di energia e fuoco.

    « DOVE DIAVOLO E' DREN? » Afferrò con forza il polso destro del dottor Waylon, gli occhi lucidi ma anche colmi di rabbia e preoccupazione. E quando l'altra voce rispose alla sua domanda, Fabia istintivamente volse lo sguardo alle sue spalle, sussultando e compiendo un piccolo movimento a ritroso che le fece rizzare la schiena dolorante; no, la donna non era dietro di lei, ma il suono della sua voce le riportò alla mente il ricordo di quella strana figura inumana e avvolta nell'ombra, quell'essere che, con i suoi tentacoli di materia oscura, pian piano ripuliva la sala dei suoi spettatori, come una preda con il suo pasto preferito.

    « E' sparito, assieme a buona parte dello staff e degli invitati. Non sappiamo ancora chi o cosa fosse, e tu sei viva per una ragione. » Sparito.

    Sparito... SPARITO.
    Non era la stessa cosa di morto, ma ciò non bastò a tranquillizzare Fabia.
    Ricordava di esser stata sepolta dalle macerie di quel soffito e di essere bloccata per una gamba, Dren era riuscito a divincolarsi dagli ostacoli ma giaceva per terra proprio dinanzi a lei, le mani di entrambi tese nel tentativo di raggiungersi a vicenda. Fabia piangeva un po' per qualunque cosa, in primis poiché sopraffatta dalla puzza di bruciato che aveva pervarso l'intera sala dall'inizio della catastrofe, nel mentre intorno la situazione si svolgeva nel peggiore dei modi: in massa, gradualmente, la gente spariva sotto l'abbraccio caotico della creatura che si era presentato all'evento senza invito. E lo stesso destino, in effetti, colpì anche Dren: Fabia lo vide, vide perfettamente la creatura comparire dietro il ragazzo e fermarsi per un attimo. In quell'istante, gli occhi di Fabia furono fissi sulla creatura e, ammesso che anch'essa ne avesse, gli stessi furono su Fabia. Come a volerla sfidare.
    Come a voler dimostrare che le Voci non si erano sbagliate.

    Nell'istante successivo, Dren veniva trascinato da una forza inspiegabile, difatti scomparendo.

    « Dobbiamo... dobbiamo trovarlo.
    Dobbiamo trovarli tutti... Dobbiamo...
    » Lasciò la presa sul dottore per reggersi con quella stessa mano sul lettino d'acciaio, per non perdere l'equilibrio. Tutti quei ricordi e quei momenti vissuti le fecero girare un attimo la testa, sentì gli occhi bruciare e il respiro mancare. L'idea che Dren fosse perduto per sempre non era neppure in considerazione, ma...

    « Ripeto, ce la fai ad alzarti? »
    « Non è il caso di sottoporla a stress fisico e mentale, lo ripet- »
    « Tu non sai di cosa sono capace... E sì, ce la faccio. »

    Zittì il dottor Waylon, mentendo spudoratamente sulle sue reali condizioni.
    Respirò profondamente ancora un po', poi si tirò giù dal lettino con enorme sforzo. Proprio davanti ai suoi occhi, adagiato sul tavolino su cui normalmente vengono posati i ferri chirurgici, Fabia riconobbe quello strumento: il preziosissimo flauto antico.
    Di quella donna misteriosa, però, nessuna traccia.

    « Permettetemi però di chiamare i miei genitori. »

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    Il dottor Waylon e la donna si guardano, o meglio, è lui a guardarla con frustrazione; sul volto di Shayla puoi osservare quasi una smorfia di soddisfazione. Armeggia in una delle tasche interne per consegnarti un dispositivo, un semplice comunicatore su cui puoi digitare il numero e contattarli. Io sarò fuori ad aspettarti.

    Dopo mezz’ora siete fuori dall’ospedale, e la donna si gira ad osservarti; puoi vedere come il suo fisico sia temprato dal giornaliero esercizio imperiale, l’aria dura, spigolosa. Nonostante ciò, ti sorride, consegnandoti una giacca delle forze del settore. Ho letto il tuo fascicolo, Rivera, niente male. Ci sono state delle raccomandazioni per la carriera militare da parte di Ralthar, e questo è degno di nota, più di alcuni soldati che conosco, ma hai preferito la vita civile. Traspare ammirazione, quasi, quando si riferisce all'istruttore. Quel bar ha rammollito la tua formazione, o sei ancora capace di combattere come ti ha insegnato? Ti chiede mentre siete nell’auto, in viaggio verso una destinazione conosciuta soltanto da lei. La formazione obbligatoria a qualsiasi abitante, sia proveniente dall’esterno, che dall’interno, è tale da permettere ad ogni cittadino di sapersi difendere da solo, e tu non sei stata un’eccezione. Impugnare un’arma, tecniche di offesa e difesa, sono la base per permetterti di procedere nella scelta più congeniale, per te, su come servire l’Imperatore. Hai visto tante persone durante quell’anno di addestramento; alcune sono sparite, altre sono diventate membri dell’esercito, animati da una forte partecipazione imperiale, altre si sono semplicemente dedicate ad un’occupazione civile o legislativa.



    Rivera. La voce dell’istruttore ti chiama, terminando il chiacchiericcio generatosi dopo la prova fallita. I Primarchi e gli Esarchi, nella loro grandezza, difendono il nostro regno e la sua gente, ma noi – sia civili che soldati – non possiamo stare a guardare con le mani in mano, nei momenti di difficoltà. A pari loro, siamo responsabili del benessere del nostro glorioso Impero e della sua protezione. Sono parole che vibrano fin dentro l’animo di ognuno di voi; leggendaria è la forza nata dalla cooperazione e dal lavoro che eleva il singolo assieme a tutta la comunità, nel pieno spirito della filosofia del khala, che connette ogni atlantideo tramite il cosmo. Vieni chiamata alla prova anche tu, potendo scegliere un’arma, spade, bastoni, asce, fucili di qualsiasi tipo consentito per delle reclute come voi. L’istruttore schiocca le dita e in uno squarcio dimensionale compare davanti a te qualcosa di spaventoso. Sembra a tutti gli effetti, per i presenti, una persona affetta da corruzione, che al comando dell’istruttore si avvinghia verso di te. Lo scontro mette alla prova tutte le tue abilità, dall’espressione cosmica base a quella di autodifesa, ma eventualmente ne esci vincitrice, con il corpo nemico svanito quale illusione che era.



    Le parole di Shayla catturano di nuovo la tua attenzione, indicando, con un cenno, la base militare.

    Ultima possibilità, se metti piede lì non torni più indietro.




    _____________________



    Angolo Master

    Visto che posso darti briglia sciolta, vorrei mi descrivessi la formazione di Fabia nell'anno di addestramento obbligatorio e dei risultati in materia di abilità marziali; puoi concentrarti sul momento descritto, che puoi gestire in autoconclusione, o estendere il flashback per dare una visione a 360° dell'avvicinamento alla filosofia atlantidea, un po' di sano imperialismo, insomma. Se hai bisogno di delucidazioni o informazioni, sono a tua disposizione

    Il finale del post, ovviamente, parla da sé :zizi:
     
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    Si rivelò una delle telefonate più toste che ebbe mai nella vita.
    Duranti i giorni di convalescenza l'intero settore era stato informato dell'accaduto, di modo che la gente potesse correre ai ripari seguendo tutte le procedure imperiali, e i genitori di Fabia non furono da meno; proprio per questo, quando finalmente riconobbe la voce di sua figlia dall'altra parte del congegno, Fabia dovette trascorrere venti minuti buoni a consolare sua madre sulle sue reali condizioni di salute, omettendo i dettagli più scottanti.
    Si abbandonò al pianto quando la conversazione puntò su Dren, e anche in quell'occasione dovette omettere alcune informazioni, retaggio del suo anno passato tra le file dell'esercito imperiale.

    « ... Sì mamma, aggiorna tutti i miei collaboratori e continuate senza di me finché non avrò completato la missione di... ricerca. » Cosa avrebbe dovuto dire ai propri genitori, che stava per imbacarsi in una missione tutt'altro che regolare? Non conoscevano la natura della creatura imputata, né quale fosse il suo movente, ma la presenza di un imperiale e l'ordine di affiancare una civile, proprietaria di un comunissimo locale nel centro di Llamarada, non prometteva nulla di buono. Troppe cose non tornavano o non erano per nulla chiare, a cominciare dal perché Fabia ricordasse a malapena il volto (sempre coperto sì, ma pur sempre memorabile) della donna misteriosa che le aveva regalato quel prezioso e antico flauto, ma avesse invece problemi a scacciare dalla sua mente quella sensazione ottenebrante di essere costantemente perseguitata dai sussurri, o anche solo il ricordo di quella melodia suonata dalla prima che ancora persisteva nelle sue memorie, non senza accenni di invidia. Per non parlare di quel fugace incrocio di sguardi tra questa e la strana creatura color pece...

    « Ora devo andare, mami. » Scosse nuovamente la testa, dopo aver promesso a sua madre le solite promesse: prestare attenzione, non morire (?) e di mangiare. Forse queste promesse erano tipiche di sua madre e non di ogni madre, ma Fabia l'adorava anche per questo.

    Una volta fuori dal centro medico, Fabia ebbe difficoltà a riconoscere l'ambiente attorno a sé: non era una delle solite vie trafficate di Llamarada, e probabilmente non si trovavano neppure nella capitale. Non che avesse particolare importanza il punto in cui si trovassero, si trattava di mera curiosità. Fabia, suo malgrado, non aveva mai messo il naso fuori da Llamarada se non quando in addestramento, e in quell'anno aveva visitato posti dagli scenari più oscuri ma nulla che le ricordasse quello attuale. Salì nell'auto e adagio con cura lo zaino fornitole da Shayla sui sedili posteriori, non voleva assolutamente danneggiare in alcun modo un flauto di così inestimabile valore.

    « Si hanno notizie della misteriosa donna che mi ha regalato questo flauto? » A mente più lucida cominciò a fare le sue supposizioni: non era sicura che si trattasse di un ricordo realmente accaduto o, più semplicemente, frutto di uno shock dal quale doveva ancora riprendersi, la curiosità però giocava un ruolo fondamentale. E, nonostante l'aspetto duro e spigoloso dell'altra donna, parte attiva delle forze imperiali di Atlantide, Fabia sentiva di poter far breccia in quel suo carattere duro e ricavarci un po' di informazioni. « La curatrice dell'evento, pensavo fosse la proprietaria di casa... Ho come l'impressione che abbia provato a salvarci tutti, ma potrei sbagliarmi... » Il soldato le chiese di essere più specifica - tipica prassi militare per temporeggiare e cercare intanto la cosa più opportuna e giusta da dire, nel tentativo di omettere preventivamente le informazioni più scomode - per poi indicare a Fabia un identikit vago ma illuminante. In effetti non poteva che trattarsi di un ex membro della forza imperiale, e ciò spiegava anche le sue abilità in battaglia e il suo sangue freddo dinanzi ad operazioni critiche; non poteva dunque trattarsi di un ricordo alterato, Fabia l'aveva vista scagliarsi contro la misteriosa creatura ma, dopo di ché, il nulla. Shayla non specificò altre generalità, ma non escluse la possibilità che fosse ancora viva, da qualche parte, continuando a supportare l'Impero come meglio potesse.
    Dopotutto, questo Fabia lo sapeva piuttosto bene.

    « Ma parliamo di te... » Premise, passando a Fabia una giacca imperiale che la stessa osservò per qualche secondo con nostalgico stupore, prima di indossare; stando al fascicolo sul suo conto, lo stesso Generale Ralthar aveva raccomandato Fabia come cadetto modello, a fronte della sua breve ma intensa carriera militare. Un particolare non di poco conto, a giudicare dal tono assunto da Shayla mentre ne parlava. Doveva ammirare profondamente il generale, o forse qualcosa più che semplice ammirazione.
    « [...] ma hai preferito la vita civile. » Fabia annuì senza esitazione, ricambiando la velata provocazione con un sincero sorriso. Non si pentiva affatto della sua scelta, così come non si pentiva affatto del suo anno militare. « Quel bar ha rammollito la tua formazione, o sei ancora capace di combattere come ti ha insegnato? » Ed eccoci qua.
    La solita, banale domanda che aveva lo stesso peso di chissà come sarà il tempo oggi? e che forse non meritava risposta. Fabia, però, sapeva cosa volesse Shayla, sapeva perfettamente come fomentare l'animo patriottico di un imperiale. La fissò dunque per un attimo, mettendosi una mano tra i ricci capelli e abbozzando un sorriso quasi di sfida.

    « Non smetti di essere un soldato. Ralthar non raccomanda chiunque. » Attese impaziente la reazione di Shayla, poi tornò a guardare fuori dal finestrino del lato passeggero, chiedendosi ancora dove fossero diretti. E, nella foga del momento, a Fabia parve quasi di potersi rilassare un momento, solo un piccolo istante prima di tornare a pensare alla missione in cui si sarebbe imbattuta dopo ben quattro anni dall'ultima. Prima di tornare a pensare a Dren.

    « Che l'Imperatore vegli su di te prima del mio arrivo... »

    ~


    Dren e Fabia si erano conosciuti proprio durante il periodo di leva obbligatoria fuori Llamarada, una vecchia pronvicia oramai disabitata che ospitava, tuttavia, la vita militare del Settore. Distese desolate e lunghe diverse centinaia di chilometri, un buon punto ove esercitarsi in tutte le discipline previste dal programma di reclutamento imperiale. Purtroppo per il Generale Ralthar però, almeno nei primi momenti del programma, sia Fabia che Dren avevano già ampiamente chiarito la loro posizione in merito allo scopo dell'addestramento, suscitando non troppa felicità nell'animo del primo. Le prospettiva possono sempre cambiare, però.

    « Cosa devo fare, esattamente? » Posta dinanzi ad un'ampia scelta di armi, da quelle bianche più comuni a veri e propri congegni di distruzione di massa, Fabia fissava Ralthar con sincero dubbio, scuotendo brevemente il capo per sottolineare la sua incapacità di maneggiare qualcosa che non fosse uno strumento musicale. Aveva già chiesto più volte se vi fosse un reparto speciale per i musicisti impegnati in guerre e battaglie interne, e altrettante innumerevoli volte le avevano risposto che non erano inclini ai musical. Come se le opere corali fossero di loro comprensione, tsk.

    « Ho capito, signore. Vorrà dire che sceglierò questa. » Impugnò un lungo bastone di poco più alto di lei, scegliendo ciò che potesse considerarsi l'arma meno letale a disposizione. Fabia non provava chissà quale interesse per questo tipo di discipline, ma avrebbe dovuto completare l'addestramento al fine di ottenere la licenza per il suo Vivas. Tanto valeva cimentarsi in qualcosa di meno aggressivo ma comunque riconosciuto dal programma e da Ralthar.

    « Oh, interessante. » Non era particolarmente contenta di come Ralthar la guardasse, ma non poteva di certo consigliargli di comportarsi in modo un po' meno inquietante. « Sai chi altri adorava così tanto destreggiarsi con il bō, da farne la sua specialità? » Fabia scosse la testa, sinceramente ignorante in materia. Non che avesse importanza, dopotutto, eppure sapeva che non ne sarebbe uscita con un semplice no.

    « Il nostro primo Re, Evemone. Signore. » Tra la folla di cadetti si levò una voce, quella di Dren: a quei tempi si trattava di un ragazzo dal fisico già ampiamente temprato da continui allenamenti fisici, ma non ancora perfettamente definito come lo si conosce ora; pallido, palesemente albino e con uno sguardo perso e disinteressato quasi quanto quello di Fabia, ma almeno lui dimostrava di aver fatto i compiti a casa. Fabia lo fissò per un momento, quasi a volerlo ringraziare di aver colto di sorpresa Ralthar, evitandole l'ennesima figuraccia pubblica.

    « Eccellente, cadetto.
    Vieni pure avanti e scegli la tua di arma.
    » Momento ilare dal momento che Dren scelse proprio un bō, aggiungendo di condividere la stessa passione del loro primo Re. Visibile oltre mare la falsità del suo gesto, così falso e costruito che a stento Fabia riuscì a trattenere una fragorosa risata, nonostante quello strano ragazzo non l'avesse ancora degnata di uno sguardo. Sembrava così dannatamente serio, o serioso, che neppure Ralthar era riuscito a smascherarlo.

    « Io sono Dren, comunque. »
    « ... Fabia. »

    Presto i due cadetti maledirono quella scelta che poteva sembrare la più logica, considerata la pericolosità delle altre armi; tuttavia, non avevano minimamente considerato la difficoltà dell'addestramento bōjutsu, e sino alla fine dovettero ammettere di non averlo trovato facile neppure un giorno che fosse uno. Impiegarono due mesi solo per comprendere l'aspetto più importante di tale disciplina: il bō era estensione concreta dei loro arti, e su questo concetto di fiducia o comprensione si basava l'intero metodo di apprendimento. E no, non bastava semplicemente far roteare il bastone per stendere il nemico, era tutta questione di velocità, spin e leve eseguite con la massima sincronia e concentrazione, tutti aspetti che dovevano essere acquisiti tramite un addestramento duro e incentrato sulla fluidità del corpo e sulla naturale prevedibilità di tale arte marziale, composto essenzialmente di cinque manovre offensive e cinque difensive, più due figure posturali intercambiabili e personalizzabili in base alle abilità del singolo.

    Tra i due, Fabia spiccava per la rapidità di apprendimento e per la sua capacità di flettere il corpo nelle posizioni più difficili per centrare i punti vitali dell'avversario e fare breccia nella sua difesa. D'altro canto, Dren possedeva più prestanza fisica ed era in grado di sferrare affondi e battute più potenti, con non poca invidia da parte di Fabia. Sì, perché i due cadetti che nutrivano altri interessi e che avevano preso parte al programma per scopi lontani dalla vita militare, ben presto dovettero ammettere di aver commesso un errore: pensare che non fossero all'altezza delle aspettative. E, benché i loro sogni non fossero mutati, il loro interesse nella filosofia bellica atlantidea crebbe gradualmente con il passare dei mesi, rendendoli difatto due tra le stelle di punta del programma di bōjutsu.
    Comprendere a fondo la filosofia atlantidea e del Khala permise ai due ragazzi di abbracciare con più coscienza il cosmo che fluiva nel loro sangue e le loro anime, aumentando la loro capacità di entrare in sintonia col proprio essere. Il risveglio cosmico non migliorò solamente le singole capacità, raffinò i loro sensi e la percezione ambientale e generale di tutto ciò di cosmo fosse pregno.


    « Basta così.
    Voi due, venite con me.
    » Annuirono, poi Fabia aiutò Dren a rialzarsi dopo l'ennesima prova in cui gliele dava di santa ragione. Tra i due era nata una certa sintonia e complicità, frutto anche delle reciproche confessioni sullo scopo della leva, e Fabia in particolare aveva riconosciuto in Dren i tipici campanelli d'allarme di una cotta in corso. Non che disprezzasse le attenzioni di un uomo che, negli ultimi cinque mesi, aveva tirato su un fisico mozzafiato e si era dimostrato più maturo di quanto lasciasse credere, ma aveva giurato a se stessa di non lasciarsi distrarre da nulla, non prima di aver realizzato il suo sogno più grande. Seguirono Ralthar nel suo avamposto, poi si assicurò che Fabia chiudesse la porta dietro le loro spalle per mantenere una certa riservatezza in merito al loro imminente dialogo.

    « Lode al Dio Imperatore. » Il Deus Vult era d'obbligo tra le file militari, e i due ne avevano carpito finalmente il senso. Fabia lo trovava quasi d'ispirazione, ragion per cui rispose con reverenza al saluto, senza battere ciglio e mettendosi in posizione. « Voglio complimentarmi con voi, i due cadetti su cui ho scommesso meno. » Fece una breve pausa, pescando poi dal cassetto della sua scrivania i due fascicoli dei ragazzi. « Avete dimostrato grandi capacità fisiche e un'ottima preparazione bellica, in linea con ciò che il nostro Corpo Imperiale esige. » Cominciò a sfogliare il fascicolo accademico di Fabia, fermandosi all'ultima pagina e porgendolo in sua direzione. Poi, fece lo stesso con quello di Dren, tornando in seguito a fissarli. « Potete firmare ora il vostro congedo, se lo desiderate, e ritirare poi la licenza negli uffici preposti. Non vi è altro che possiamo insegnarvi, cadetti. » Tali parole lasciarono interdetti i due ragazzi, che non si aspettavano una simile proposta. Sebbene non vi fosse obbligo di partecipare a spedizioni e/o missioni da parte dei cadetti in addestramento obbligatorio, e nonostante le premesse sugli scopi di tale addestramento dei due, Fabia davvero non capiva perché le fosse fornita la possibilità di abbandonare la leva prima del tempo. Quasi si stupì di questo suo pensiero, se solo glielo avessero chiesto tre mesi prima, avrebbe firmato senza neppure aspettare che Ralthar finisse il suo discorso d'addio. Ora però, non poté dirsi così tanto convinta, e sapeva che Dren condivideva lo stesso suo pensiero.

    « Signore, non sono sicura di volermi congedare. » Volse lo sguardo a Dren, che ammise di rimando la stessa cosa. « Mi permetta di parlare anche per il cadetto Martin, questo periodo non è solo contrattempo. Probabilmente qualche mese fa avremmo giurato il contrario, ma solo perché eravamo ignari di come il Khala opera, e delle infinite possibilità che la filosofia atlantidea può offrire. » Dren la fermò afferrandole un braccio, prendendo poi parola. « Non siamo nati nel conteninente immerso, e questo ha influito sulla nostra capacità di comprendere e abbracciare le volontà del Dio Imperatore nel modo corretto; siamo animati da volontà differenti ma non per mancanza di rispetto, al contrario. »

    Stavolta fu Ralthar a interrompere entrambi, sul suo volto non vi era alcun accenno di fastidio o altro. « Non dovete fornire alcuna spiegazione, cadetti. La volontà del nostro Dio non si attua esclusivamente con la forza e la difesa dell'impero tutto. Qui si formano i figli di tutti i Re che hanno regnato su Atlantide e ognuno di loro... di noi, darebbe la vita per la prosperità del regno, ma Khala non è solo potere o supremazia attraverso la forza, è anche comunione e comunità. Avete fatto più di quanto ci aspettassimo da voi ancor prima di questo addestramento, e anche ora continuate a onorare il Deus Vult. Non dobbiamo dirvi come vivere, il nostro compito è prepararvi a farlo. » Porse una penna tra i due fascicoli.

    « La risposta non cambia. » Ralthar si lasciò scappare un sorriso sotto quei baffi voluminosi, conscio di non poter più insistere.

    Animati di ritrovato coraggio e spirito di devozione, Dren e Fabia completarono con disciplina e dedizione gli ultimi mesi di addestramento obbligatorio, continuando ad eccellere in ogni campo e preparandosi con fatica e sforzo all'ultima prova prima del congedo permanente: la simulazione. Nessuno conosceva la natura di tale, ultima prova, vi era tra l'altro il divieto, da parte di chi l'aveva già affrontata fallendo, di farne parola. Una ultima, faticosa prova, prima che i sogni di Fabia divenissero realtà; ne aveva ampiamente parlato con Dren, che al contrario non ne nutriva uno con particolare forza. Non era interessato alla vita militare poiché sperava di essere utile al settore in modi meno ortodossi, ma non vi erano altre valide ragioni. Si era tuttavia mostrato interessato al sogno della ragazza, in particolare al modo in cui i suoi occhi brillassero quando ne parlavano; palese oramai la cotta nei suoi confronti, gli era persino balenata l'idea di proporle una collaborazione, nonostante Dren non fosse né in grado di suonare un qualsivoglia strumento, né bravo a intrattenere la gente. E, dal momento che non si trattava di uno strip club, era consapevole di non poter mettere in mostra il suo corpo. Fabia, a prescindere, non glielo avrebbe permesso: era stata molto ligia e chiara sul modo in cui avrebbe gestito il Vivas, e le sue convinzioni erano così forti e... belle, che era riuscita ad ottenere l'approvazione di chiunque avesse perso del tempo ad ascoltarla, una qualità degna di nota.

    « Pronto, cadetto Martin? »
    « Nato pronto, cadetto Rivera. Vedi di non farti male. »
    « Scusa? » Rise, stringendo con forza il dispositivo a doppia uscita il quale, entrando in risonanza con il cosmo di chi lo impugnava, plasmava da entrambe i fori di uscita due costrutti di cosmo grezzo della medesima lunghezza, in perpetua emanazione finché il cosmo stesso del cadetto avesse modo di bruciare. Una sorta di bō speciale per chi superava l'addestramento con la massima preparazione. « Vedi di non piangere, non ho tempo di venirti a salvare. »
    Anche Dren azionò il suo bō cosmico. « Se vinco, esci con me. » Fabia sussultò per un attimo, apprezzando e rimanendo sconvolta allo stesso tempo per l'improvvisa uscita di Dren. Decise però di non sottolineare questo momento di coraggio e tenerezza, mantenendo stabile il suo profilo psichico. « Se vinco io, lavorerai per me. »

    L'istruttore preposto aprì uno squarcio dimensionale con il semplice gesto della mano sinistra nell'aere, da cui fece capolino quasi subito una creatura dall'aspetto disgustoso e terrificante allo stesso tempo. Nessuno dei due aveva mai visto fisicamente la Corruzione o il Chaos prima di quel momento e, benché fossero coscienti si trattasse di mera illusione, Fabia non poté negare in seguito di essersela fatta un po' sotto per qualche istante.

    ~


    « Ultima possibilità, se metti piede lì non torni più indietro. »
    Come in un sogno, Fabia sussultò quando Shayla fermò il veicolo a pochi metri di distanza dalla base militare, chiedendole una ultima volta quali fossero le sue intenzioni. Per quanto difficile fosse il pensiero di rimettersi in gioco, non poteva di certo permettersi di tornare a casa senza Dren, o con una creatura mostruosa a piede libero. Da una parte, stava ascoltando il suo cuore; dall'altra, il Deus Vult non ammetteva ripensamenti o cambi di programma. Insomma, Fabia si divideva tra sentimento e dovere, e non avrebbe permesso ad una delle due di primeggiare sull'altra.
    Un Atlantideo, civile o no, non avrebbe seguito la via più facile, e non avrebbe compiuto scelte che mettessero a rischio le vite altrui. Un Atlantideo votava la propria vita al benessere collettivo, ma non a costo di altre vite se non la propria. Era questo l'aspetto del Khala su cui Fabia riponeva più fede, e non avrebbe smesso proprio ora.

    « Dov'è il mio bō? »
    Non era una simulazione, Fabia.
    Non ti stavi giocando una licenza.

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    Vi avviate all'interno della base locale, ma ti accorgi subito che la situazione è molto più seria del previsto. Addetti che corrono da un punto all'altro dell'ambiente, analizzando quelli che sono schermi di diversa grandezza, alcuni di essi portano una mappatura del settore con uno specifico percorso, il quale sembra diventare sempre più distante dalla capitale. Shayla sembra camminare con passo sicuro e tu, dietro di lei, non puoi fare altro che respirare di nuovo quell'aria che per un anno hai quasi dimenticato. Si ferma a parlare con un soldato di rango più basso, che le indica il luogo dell'incontro. Si volta verso di te Ci stanno aspettando, di qua.

    Entri in una sala di debriefing, piena di soldati di medio-alto rango; osservi addirittura un paio di Fabricator, in un punto della stanza, mentre armeggiano su un tavolo di metallo più distante da quello centrale. Shayla si ferma sull'attenti davanti ad un soldato dell'alta inquisizione, chinando leggermente il capo. Che l'Imperatore ci protegga. Dice lui, salutandola, prima di poggiare lo sguardo su di te. Senti quegli occhi scavare a fondo quasi, eppure è solo un contatto visivo; l'inquisizione, sai, ha il compito di scovare l'eresia e la blasfemia negli angoli più bui dell'Impero, punendo con una severità magistrale chi osa anche solo pensare di votarsi al chaos, o alle forze che non sono sotto il controllo di Poseidone. Dopo qualche secondo di silenzio, è Shayla ad interromperlo. Comandante Qalkarth, l'ho portata come avete chiesto. L'uomo annuisce, rivolgendoti la parola. Rivera Fabia, con l'autorità del consiglio reggente, è immediatamente reintegrata con la carica di Tenente Colonnello. Date le sue abilità, si unirà alla missione in programma, nella volontà del Divino Imperatore. Ti dice, prima di voltarsi verso altri uomini e donne in accesa discussione.

    Abbiamo ricevuto un rapporto dettagliato da parte da Lady Yar'adua; oltre al collaboratore del Tenente Rivera, sono stati catturati altri due membri dell'inquisizione, due appartenenti alla gilda dei mercanti dell'Oceano Indiano in visita, potete osservare sullo schermo secondario il resto. Con l'ultima incursione, il totale di rapiti sale a centoventiquattro. Il resto dei settori è stato avvertito e sta inviando necessari supporti.

    Senti una voce quasi sussurrare nella tua mente; ti volti, ma non vedi nessuno, nonostante tu senta qualcosa comparire nella tua mano: il flauto che hai lasciato nell'autovettura. Nessuno degli altri fa caso a questa cosa, presi come sono dal lavoro in corso. Segui i due al tavolo centrale, dove una grossa mappa sta tracciando dei movimenti in corso. Grazie al lavoro dei Fabricator che Mechanus ha inviato, hanno amplificato il segnale dei soldati rapiti; la creatura ha potenziale collegamento con l'ultimo assalto all'impero, e si è diretta fuori dai confini, in superficie, per uno scopo non chiaro. Capisci subito che quella è una missione di soccorso, ma anche di sterminio. Non si torna più indietro. Vieni equipaggiata con una staffa da combattimento, come da te richiesto, più delle armi a lungo raggio di vario genere e supporto. Lo stesso equipaggiamento viene fornito ai vari soldati.





    La spedizione è di grandi dimensioni; non è comparabile ad un'operazione che coinvolga tutte le forze del settore, o di Atlantide, ma è abbastanza da fare scalpore nel vostro e negli altri regni. La partenza avviene dopo un paio di ore, il tempo per organizzarvi a dovere. Shayla ti rassicura, suggerendoti di non lasciare il suo fianco, e che difficilmente una minaccia è riuscita a resistere a tali forze congiunte così numerose. Create un primo avamposto sulle coste e, sia tu che Shayla, venite assegnate all'avanscoperta, alla prima linea. Le prime ore sono spese a creare una linea difensiva sicura nelle retrovie, un luogo dove tornare in caso di pericolo, il resto è semplice avanzamento lungo la rotta che tutti voi potete osservare sui dispositivi.

    Atlantide ha un'unica preoccupazione al di fuori dei suoi confini, la grossa alimentazione cosmica la rende un faro quasi naturale per le forze della corruzione, ed è una minaccia da non dover sottovalutare, anche quando vi trovate nell'entroterra della Namibia. Presto detto, trovate una cellula corrotta in vostra direzione, veloce, urlante. Combattere così sembra quasi risvegliare la tua memoria muscolare; sei veloce, i tuoi colpi sono potenti e la tua arte nell'utilizzare la staffa è precisa, letale per questi esseri. Senti le energie vibrare all'interno della battaglia e capisci, ancora una volta, il valore del tuo addestramento, così come della tua personale forza.

    Bentornata in superficie, bentornata in guerra.



    _____________________



    Angolo Master

    Prima parte di organizzazione, e poi subito in azione!

    Gestisci la fase pre partenza come preferisci, quando arrivate nell'entroterra, siete attaccati da un esercito medio/grande di corrotti, energia Gialla, che puoi combattere in autoconclusione. A mano a mano che combatti, senti crescere la capacità cosmica fino a sbloccare quella base, raggiungendo l'Energia Gialla . Il tuo bastone fa danno da elettricità a contatto, le armi da fuoco come se lanciassi colpi cosmici base :zizi:
     
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    Fu come un flashback in corso.
    Una volta entrate nella prima base militare - non solo la prima nelle vicinanze, ma anche la prima dopo oltre un anno di congedo - Fabia si fermò per un istante, assaporando quasi letteralmente ogni momento le passasse davanti agli occhi: come ci si poteva aspettare da un avamposto imperiale, decine di forze militari correvano da una parte all'altra della stanza reggendo armi o preziosi documenti il cui contenuto era quasi sempre top secret, mentre le personalità di grado superiore monitoravano e preparavano la missione (qualunque essa fosse) in punti ben precisi, davanti a grossi monitor e con la partecipazione di eventuali altre personalità del settore o dell'impero tutto. Per chiunque, lì, si trattava di una normale giornata lavorativa, per Fabia si trattava di un tuffo nel passato. E, guardacaso, anche in quel frangente di passato vi era Dren come punto focale.

    « Ci stanno aspettando, di qua. » Shayla le indicò un punto dell'avamposto, ringraziando poi il soldato per l'aggiornamento; Fabia annuì istintivamente, volgendo poi lo sguardo sullo stesso soldato, che nel frattempo era tornato ad occuparsi dell'enorme mappa digitale posta al centro della struttura. Si trattava sicuramente del loro Settore, anche se non le era chiaro chi o cosa evidenziasse quello strano percorso che si faceva sempre più distante da Llamarada, indicata con un simbolo di tridente bluastro.

    Entrarono dunque nella stanza ove fosse richiesta la loro presenza, e Fabia capì all'istante di trovarsi all'interno della Sala di Controllo di quell'avamposto: un ambiente sterile e minimal, che ospitava le più alte cariche in quel momento e tutta la strumentazione più avanzata dell'impero. D'altro canto, la presenza di due Fabricator spiegava il perché di tutta quella tecnologia d'avanguardia, sebbene la loro partecipazione non fosse un buon segno.

    « Che l'Imperatore ci protegga. » Entrambe le donne chinarono il capo poiché al cospetto di un alto ufficiale dell'Inquisizione Atlantidea, come suggeriva non solo la divisa ma anche l'innumerevole sfilza di medaglie sulla parte destra del petto. Shayla gli rivolse parola chiamandolo Comandante Qalkarth, e questi poi si rivolse immediatamente a Fabia, svelandole ben presto i piani preliminari dell'operazione.

    « Signorsì, comandante. » Nel giro di poche ore una civile dal passato militare meritevole veniva riqualificata come Tenente Colonello, su ordine del Consiglio dei Reggenti, con il compito di guidare assieme a Shayla un distaccamento di soldati ed altre milizie specializzate. Più che un semplice benvenuto, insomma.
    Era davvero pronta a tornare in battaglia? La situazione richiedeva la sua presenza così come la presenza di molti altri soldati, e di certo non avrebbe abbandonato Dren, i suoi collaboratori ed altre vittime nelle mani di soldati di cui non sapeva nulla. Soltanto... le sue abilità erano davvero così encomiabili? Da un anno o poco più era diventata un'apprezzata danzatrice e compositrice con il suo immancabile flauto traverso, che non era proprio come maneggiare un'asta da combattimento. Certo, la sua naturale propensione alla fluidità del corpo aveva contribuito a rafforzare le sue doti combattive, ma anche il più preparato tra le unità poteva imprigrirsi dopo un periodo così lungo di congedo. E, nel caso di Fabia, il congedo era permanente.
    O meglio, lo era. Mannaggia Dren, mannaggia tutto.

    « Non distrarti, Rivera. » Shayla le diede una gomitata sul fianco, riportandola all'interno della conversazione con le alte cariche dell'avamposto. Chiunque o di qualunque cosa si trattasse, non era da escludere un collegamento con le forze del Caos impegnate nell'ultima aggressione ad Atlantide, e ciò non poteva che peggiorare l'umore di ogni presente. Anche se solo parzialmente, Fabia era stata aggiornata sull'esito di quella missione suicida che difatti aveva visto la dipartita di ben due Primarchi, tra cui la preziosissima Lady Adaeze. L'eventualità che tale abominio fosse stato inviato da quelle stesse forze per completare la missione sventata da Lady Johanna e company fece rabbrividire Fabia, che riuscì a comporsi solo quando il Comandante specificò il numero totale di vittime rapite: centoventiquattro.

    Centiventiquattro corpi strappati dal settore senza un apparente motivo.
    A cosa potevano mai servire? Sebbene non fosse stato propriamente detto, tutti escludevano per il momento che le vittime non fossero più tra i vivi, anche perché gli alti ingegneri di Mechanus erano riusciti ad amplificare il segnale di trasmissione di alcune delle unità coinvolte nel rapimento e, nonostante questo singolo dato non fosse abbastanza per avvalorare la prima ipotesi, effettivamente non vi era motivo che la creatura rapisse il proprio cibo, se si fosse trattato semplicemente di un banchetto.

    sempre... Fabia si voltò di scatto, ma non vi era nessuno alle sue spalle. Volse dunque lo sguardo verso Shayla, tuttavia impegnata a recepire tutte le informazioni contenute nel rapporto ufficiale. Insomma, chiunque avesse parlato si era rivolto solamente a Fabia, a nessun altro. Più forte e chiaro del tipico sussurro di quei giorni, così forte e chiaro che la ragazza mosse appena le dita della mano sinistra un momento prima che, in questa, comparisse il flauto che in realtà doveva essere in auto, all'interno del suo zaino. Perché era lì che Fabia l'aveva lasciato circa un'ora fa, non ritenendo opportuno tirar fuori uno strumento antico così prezioso in un contesto in cui avrebbe potuto riportare seri danni, e un pezzo da collezione così andava salvaguardato. Si guardò intorno con discrezione, per non dare troppo nell'occhio e non disturbare le cariche in discussione, quasi tremando all'idea che vi fosse qualcosa di magico e misterioso intorno alla figura di quel flauto. Così come, della donna che glielo aveva regalato.

    Decise di credere a quel barlume di intuizione, dedicendo di riporre lo strumento nella tesca laterale del suo pantalone.
    La donna non voleva che Fabia si separasse da quel flauto, e Fabia aveva oramai capito che avrebbe dovuto fidarsi di quei sussurri.

    « Abbattere l'obiettivo. Recuperare gli ostaggi. »
    « Signorsì, comandante. »
    « Signorsì, comandante. »

    Ultimati gli aggiornamenti, Fabia e Shayla si prepararono alla spedizione, assieme ad un massiccio numero di soldati tra i migliori in circolazione; tra questi la ragazza non vedeva volti già noti, ma non aveva importanza poiché tutti erano accomunati da un unico obiettivo: la volontà dell'Imperatore. I Fabricator avevano fornito le armi più avanzate e le armature più resistenti da indossare al di sopra della classica divisa militare, compreso uno zaino tecnico in cui riuscì fortunatamente ad assicurare il flauto senza correre il rischio che andasse in frantumi in caso di scontro ravvicinato. Il bō in dotazione era ben differente da quello cui era abituata, di ottima fattura e più semplice da impugnare anche solo con una mano. Sorrise, sorpresa per ciò che stesse provando in quel momento: eccitazione. A prescindere dalla ragione per cui si trovasse lì, non aveva considerato che tornare in missione avrebbe riacceso una piccola fiammella in lei. Durante l'addestramento non aveva avuto modo di partecipare a missioni ufficiali e tutto ciò che sapeva sulla Corruzione era sempre stato frutto di produzioni olografiche ad alta risoluzione, eppure sentiva di non dover temere un vero corrotto, o una vera forza del Caos. Era cosciente delle sue abilità, tutti lo erano lì e Fabia non poteva permettersi di deludere nessuno. Niente meno che il suo collaboratore.

    « In marcia, non c'è tempo da perdere. »

    namibia, ore 9:20

    Abbandonare il settore per dirigersi in superficie richiese più tempo del previsto, dal momento che spostare un gran numero di unità aveva reso necessario utilizzare tutti i mezzi in quel momento a disposizione; come non bastasse, i soldati dovevano essere aggiornati sugli obiettivi della missione, fornendo loro un breve identikit delle personalità più di spicco da salvare, sebbene centoventiquattro fosse il numero esatto di ostaggi da riportare a casa. Semplice e illogica filosofia militare, Fabia tirò un sospiro di sollievo quando sentì Shayla pronunciare il nome di Dren tra gli ostaggi cui dare una certa priorità. Avrebbe voluto e avrebbe provato a salvarli tutti, questi erano i compiti di un Tenente Colonnello alla guida dell'avanguardia più forte di Llamarada - la dipartita di Lady Adaeze aveva creato confusione e scompiglio anche tra le file militari, ma fortunatamente il Consiglio dei Reggenti non aveva abbandonato il settore in assenza di un Primarca effettivo - ma sapere che in ogni caso qualcuno, se non Fabia, avrebbe dato priorità anche al suo Dren la rendeva egoisticamente più tranquilla, seppur per questo tipo di sentimento si sentisse di chiedere scusa.

    Non era più tornata in superficie dal suo trasferimento nel settore atlantico meridionale, ragion per cui provasse più eccitazione del normale. Era cosciente della desolazione che avrebbe osservato una volta su, ma anche solo respirare un po' di aria vera poteva essere un incentivo per tutti per una buona riuscita della missione. Non era infatti un mistero che gli ex abitanti delle terre emerse raccontassero con estrema nostalgia la loro permanenza in superficie, dopotutto com'era pensabile non provare mancanza per i raggi del sole la mattina, la brezza calda o fredda nelle mezze stagioni o, più semplicemente, delle opere degli uomini nei diversi periodi della vita? Lo stesso corpo umano reagiva fisiologicamente al ritorno in superficie, a cominciare dalla pressione che gravava sugli orecchi interni; le procedure di compressione assicuravano una risalita con zero rischi, certo, ma in ogni caso era possibile percepire il cambiamento. Le orecchie si riaprivano, i pori della pelle si riaprivano per permettere alle radiazioni esterne di penetrarla e cambiarne gradualmente il colore esterno. Quanto le mancava abbronzarsi in modo naturale.

    « AHEM- » Shayla si schiarì la voce, e Fabia scosse lievemente la testa tornando a fissarla con la dovuta attenzione. « Come stavo dicendo, nonostante l'entità della minaccia disponiamo delle migliori unità e della migliore tecnologia possibile in tutta Atlantide, » Fabia annuì distrattamente, volgendo poi lo sguardo a tutte le unità dinanzi a lei. Non poteva concedersi altri attimi di distrazione, non poteva permettere che la sua unità la considerasse un tenente su cui contare poco.

    « E disponiamo anche della benedizione del Dio Imperatore, la sua luce ci guiderà sino in superficie. » Con una mano si assicurò che il flauto misterioso fosse ancora dove lo aveva riposto, nella tasca laterale del suo pantalone. Non capiva ancora del tutto quale destino la legasse a quello strumento o alla donna che glielo aveva regalato, eppure sentiva di non doversene separare per nessuna ragione al mondo. Le sarebbe tornato utile in battaglia, su questo non aveva dubbi.

    Raggiunta finalmente la superficie, vi fu ordine di stabilirsi immediatamente sulle coste di una Namibia oramai ricoperta interamente da sabbia, e tutte le unità coinvolte ultimarono i preparativi in poco più di due ore. Una volta costituita la base cui tutti avrebbero dovuto far ritorno una volta ultimata la missione, possibilmente con tutti gli ostaggi ancora in vita, Shayla e Fabia si occuparono di imbastire una linea difensiva e solida da lasciare di guardia all'avamposto, scegliendo con cura le unità da portare avanti. Fabia non conosceva direttamente le unità, dovette dunque fidarsi delle capacità organizzative di Shayla.

    « Ah no, non ancora. » Shayla sarebbe subito partita rispettando gli ordini ricevuti dal Comandante, ma Fabia non poté dirsi pronta come lo erano tutti. Aveva bisogno di sgranchirsi un po' le ossa.

    « Mi servono solo dieci minuti, e mi servi tu.
    E tu. E tu.
    » Puntò tre unità tra quelle che costituivano la difesa dell'avamposto, promettendo e facendosi promettere di non esagerare troppo. Si trattava soltanto di rispolverare le sue vecchie abilità belliche.

    Shayla scosse la testa quasi infastidita, eppure mostrò un debole sorriso durante il breve allenamento. Pensò che ci sapesse fare come le avevano detto e come aveva letto, lo pensarono un po' tutti.

    ore 14:00

    In quella parte del globo il sole picchiava anche dopo pranzo, fino a poco prima di cena.
    Non vi era un momento della giornata in cui il sole non fosse forte e orgogliosamente alto in cielo, ma Fabia decise comunque di godersi il momento senza alcuna lamentela. Procedeva in prima fila assieme alla sua compagna d'arme, provvista di un dispositivo che le consentiva di seguire la giusta direzione senza troppe perdite di tempo, seguita da tutta la sua unità. Probabilmente non avrebbe più avuto un'altra occasione per assaporare il tepore vero del sole, tanto valeva stringere un po' i denti e divampare pure, pur di continuare la spedizione.
    Spedizione che, di colpo, la stessa Fabia dovette interrompere.

    « FERMI. » Le unità subito dietro di lei arrestarono la marcia, a seguire tutte le altre. Shayla non incrociò lo sguardo di Fabia ma continuò a guardare nella stessa sua direzione.

    « Cosa vedi, Rivera. »
    « Non vedo... sento. » Non aveva voglia di perder tempo a spiegare le sue sensazioni, si trattava di puro istinto. Attimi di silenzio, con un leggero vento che trascinava con sé un po' di sabbia, poi l'orizzonte prese a incresparsi. Come si trattasse di un miraggio, e per certi versi avrebbero preferito si trattasse di un miraggio.

    « ... Corrotti. »
    « Non. Muovetevi. » L'orda di corrotti procedeva spedita in loro direzione, urlante e pronta a banchettare con le loro carni. Una delle certezze sulla corruzione era la sua fame per tutto ciò che sprigionasse una impronta cosmica, dalla più piccola alla più gigantesca, e andava da sé che un distaccamento di unità militari dotati di sensibilità cosmica fosse l'equivalente di un faretto acceso di notte, fuori in giardino, in una afosa serata d'estate. Con la presa ben salda sulla sua asta, ordinò a tutte le unità di non perdere di vista il nemico davanti a sé, disponendosi tuttavia secondo uno schema piramidale d'attacco. Muoversi e correre sulla sabbia per raggiungere il nemico avrebbe affaticato non poco gli uomini, e per abbattere tali abomini era indispensabile non commettere errori. Non farsi toccare, pena l'abbattimento da parte delle unità alleate più vicine. E, per quanto possibile, Fabia avrebbe voluto evitare una simile ipotesi, e ciò sarebbe stato possibile solo se l'unità fosse stata guidata da un buon leader.

    « Non. Ancora. » Stavano accorciando sempre più la distanza, ma Fabia ritenne che fosse ancora troppo presto per compiere azioni avventate. Tutti i soldati caricarono le proprie armi e tesero i muscoli all'inverosimile, persino Shayla seppur controvoglia attese gli ordini di Fabia senza però nascondere perplessità. Ma finalmente, quando meno poteva aspettarselo, il Tenente Colonnello Rivera impartì il suo ordine. Da quel preciso istante, il percorso da seguire si tramutò in un campo di battaglia senza esclusione di colpi.

    « Come nella simulazione, Fabia... Mirare alla testa o centro del petto... »

    La carica a quella distanza ravvicinata fu rapida e devastante: un istante prima di scattare, Fabia riuscì a percepire ogni fibra del suo corpo sovraeccitarsi, forse in preda ad una scarica adrenalinica o per reazione cosmica alla situazione, non ebbe modo di pensare ad altro, in quel momento, se non a far fuori quante più unità nemiche. Impugnò l'asta con entrambe le mani e si mosse poi in avanti con uno scatto insolitamente fulmineo, raggiungendo in pochi istanti il primo corrotto davanti a sé e roteando l'arma per sbilanciarlo e bloccare la sua manovra offesiva; dopodiché assestò un colpo ben deciso sulla sua testa, premendo con forza e facendosi leva per alzarsi da terra e imprimere più forza. La matrice elettrica dell'arma percosse il corpo del corrotto arrostendolo all'istante, e con una successiva rotazione dell'arma Fabia spostò a destra il corpo esanime della sua prima vittima, continuando poi la sua avanzata individuale. Roteava il bō per non permettere ai corrotti di avvinarsi al punto da sfiorarla, avendo cura di evitare ogni offensiva nemica con rapidi spostamenti o bloccandola con le estremità elettriche dell'arma. Ad ogni movimento sentiva di essere più veloce del normale, ogni colpo nemico appariva rallentato o comunque portato ad una velocità tale da consentire alla donna di anticiparne traiettoria e direzione d'impatto, avantaggiando una pronta reazione. Ogni eventuale attacco alle spalle veniva abortito dalle unità militari subito dietro di lei, sebbene lo schema d'assalto in precedenza discusso prevedesse di accerchiare le unità nemiche per precludere ogni possibile tentativo di fuga. Soltanto Fabia, Shayla e pochissime altre unità - le più abili in mischia - si sarebbero spostate sempre più verso il centro, attirando così l'attenzione dei bersagli e lasciando che gli alleati agissero più o meno indisturbati.

    « Tenente Colonnello! » Fabia ne stava abbattendo uno più massiccio degli altri, il quale la costringeva addirittura a manovre difensiva dall'alto. Piegò ancora una volta le ginocchia per bloccare un calcio dall'alto e, facendo leva sulla gamba sinistra non tesa, roteò l'asta un paio di volte prima di tentare un affondo da destra e sinistra diretto al collo, ma quando la testa del bisonte corrotto volò, un soldato urlò di prestare attenzione alle spalle. In certi casi, la posizione del nemico era fondamentale ma era fondamentale anche fidarsi dei proprio compagni; dunque piantò l'asta nel terreno, estraendo velocemente la pistola a propulsione e posò la canna rovesciata sulla spalla sinistra, premendo il grilletto senza neppure voltarsi indietro.

    « Ho perso il ritmo. » Pensò, afferrando nuovamente l'arma e tornando a concentrarsi sui bersagli dinanzi a sé. Durante tutta la fase di combattimento Fabia si era concentrata sul numero di colpi massimi sferrati prima di abbattere il nemico, e si rese conto vi fosse del ritmo replicabile in ogni fase dello scontro, come fosse un modo suo tutto personale di affrontare certi tipi di situazioni. Il ritmo di ogni stoccata o colpo produceva, nella sua mente, un insieme di suoni che riusciva quasi a tramutare in melodia, tum tum tum, tu-tu-tu-tu-tum, tum tum tum, tu-tu-tu.

    Cercò un attimo con lo sguardo Shayla, constatando che non avesse bisogno del suo aiuto. Le forze nemiche si erano ridotte drasticamente nel giro di una decina di minuti, ma ciò non bastò a rassicurare la donna: aveva imparato che non era possibile comprendere a fondo le motivazioni o comunque ciò che spingesse realmente un corrotto a devastare chiunque possedesse una coscienza cosmica; un numero così grande di unità che tuttavia non mostravano chissà quali doti combattive degne di nota - non bisogna dimenticarsi che un esercito del Caos aveva quasi piegato Atlantide non molto tempo prima - poteva significare solo che il nemico non aveva finito di studiare il suo, di nemico.

    « A tutte le unità: finiamo in fretta questo massacro. » Non avrebbero dovuto preoccuparsi di questa misera unità, questa fase contava sostanzialmente come riscaldamento.

    Petto petto petto, spalla spalla mento testa testa.
    Petto spalla testa, sparo.

    ZZcIR9a

    Primo post di combattimento in mischia in assoluto, avrei voluto fosse più dettagliato ma devo ancora prenderci la mano :zizi:
     
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    Il ritmo di ogni cosa.
    La melodia della vita stessa.

    Nella battaglia scopri che tutto ha una sua traduzione su pentagramma: i colpi che dai, le urla dei corrotti, il lamento dei feriti, il respiro del tuo compagno, il sangue che cade sulla terra e la macchia di rosso. Dal rumore più piccolo al boato più grande, è tutto una sinfonia e quella battaglia, nei riguardi dei tuoi sensi, non fa che amplificarne il suono e il significato. Sei euforica, ora che il tuo cosmo è di nuovo risvegliato, e la tua aura è forte, quasi ti senti come se potessi conquistare quel luogo in pochi minuti, da sola. Ma è in momenti del genere che non devi perderti nella musica di ogni cosa, è in momenti del genere che devi essere tu a codificare la realtà, e non diventare una semplice nota di quello spartito. La battaglia con il primo nucleo corrotto termina dopo diverso tempo, alcuni di voi sono caduti, ma gran parte della squadra è in piedi; senti il cuore battere ancora, forse per colpa dell'adrenalina, ma non vuoi fermarti lì, vuoi andare avanti.

    Eppure ti viene imposto di tornare.

    Quelle zone, specialmente in quel continente, sono piene di corrotti e probabilmente non basterà un solo giorno per portare avanti la spedizione. Dalla mappa potete osservare che anche il vostro obiettivo ha rallentato la sua avanzata verso un punto imprecisato; probabilmente è impegnato, come voi, nel combattere la corruzione che dilaga e appesta quelle terre, ed è sicuramente ferito. Ciò vi da un vantaggio, una presenza di corrotti del genere non è un male, se può concretamente indebolire il vostro obiettivo. Nonostante ciò, è un pericolo in più per le vittime che ha rapito, e questo è chiaro a tutti.

    Da quel momento in poi, le tue giornate, almeno per una settimana, sono composte di due dettami: lotta e una crescente insofferenza verso la coordinazione di qualsiasi suono tu possa percepire. Arriva quasi ad essere frustrante per te, una metrica che non esiste esplicitamente ma che puntualmente percepisci nei passi, nei respiri, nelle parole di tutti. Se in battaglia ti aiuta a coordinarti, a colpire con efficienza, quanto torni all'accampamento, quando dormi, quando parli con qualcuno, ti rende nervosa, ti sfianca, ti sottomette a rispettare quelle regole anche nelle tue più piccole manifestazioni di esistenza.

    Stai diventando solo un battito di mani, una battuta ripetuta all'infinito.



    _____________________



    Angolo Master

    Prendi pure la mano con questo post :zizi:

    Partiamo dalle basi, il ritmo. Vorrei che me lo dividessi in due parti, che puoi alternare a spezzoni o con momenti che preferisci: la prima è una presa di coscienza del combattimento sempre più misurata (affrontate quotidianamente corrotti per una settimana, avanzando verso la traiettoria indicata). Il ritmo che senti in ogni cosa ti aiuta in questo.

    Parte due, l'altro lato della moneta, il ritmo di TUTTO quello che esiste, dal rumore del vento, al respiro di ogni persona lì, ti sta progressivamente mandando in burnout mentale/fisico. Devi inventarti un modo di dominarlo, invece che fare passivamente parte di esso.

    Volevi sbloccare musica facilmente eh?
     
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    e si levò un suono
    di melodie infinitamente avvicendantisi
    che s'intrecciavano in armonia


    La lotta per la conquista di quella zona perdurò una settimana intera.
    Stando ai rapporti ufficiali dell'avamposto e il suo reparto di raccolta dati, l'orda di corrotti sicuramente non prevista stava rallentando non solo il distaccamento imperiale, ma anche l'obiettivo della missione, e ciò poteva essere un bene solo in parte. Sì, perché nessuno poteva sapere con certezza di quante e quali unità il nemico potesse disporre, e il pensiero girava sempre attorno agli ostaggi.
    A Dren, in particolare, almeno nel caso di Fabia.

    Una settimana di lotte intense e aspre, condite del sangue corrotto ma anche amico.
    Diverse unità cadevano e caddero durante l'avanzata, Fabia e Shayla aprivano la strada in ogni momento ma non erano in grado di salvaguardare il benessere di tutta l'unità, il solo volerlo non era sufficiente. Il cosmo e l'esperienza pregressa della donna stavano dando i giusti frutti in una situazione critica come quella, non vi era istante in cui Fabia non fosse da meno, destreggiandosi con la sua formidabile asta da guerra e imbastendo strategie in coordinazione con l'altra, perché nessuno peccasse di superbia e compromettesse la buona riuscita dell'operazione di salvataggio. Giorno dopo giorno, ogni fibra del suo corpo ere teso e sollecitato più del dovuto, garantendole una resistenza fuori dal normale e notevole agilità e forza fisica, segno di una sensibilità cosmica che cresceva parimenti la sua esposizione in battaglia, persino Shayla aveva smesso di controllare le sue mosse durante le molte battaglie, accertatasi finalmente delle sue comprovate abilità di apprendimento ed esecuzione.
    D'altra parte Fabia, animata come tutti da un unico obiettivo, non si risparmiava mai e, a costo di tornare in base letteralmente sfinita ogni santo giorno, s'impegnava come mai nella sua vita, neppure in fase d'addestramento ricordava una così debilitante stanchezza.

    Ma era davvero, solamente stanchezza?

    « ... » La sensibilità cosmica aveva probabilmente raggiunto la massima espressione in quel contesto, o magari Fabia stava semplicemente accusando i duri colpi di una lunga esposizione a vicende che non le erano mai appartenute dal suo arrivo a Llamarada, non vi era una risposta esauriente al flusso di dubbi. Sapeva solamente di non essere in pace neppure con la testa sul cuscino, al caldo, coperta da una soffice coperta.

    Ricordava vagamente di aver provato una simile sensazione già una volta, durante il suo anno di leva obbligatoria: ne aveva parlato con Dren allora, ma anche allora pareva essere l'unica. Ogni movimento personale o altrui, ogni respiro ed ogni turbamento nello spazio circostante e in cui Fabia si trovasse, risuonava nelle sue orecchie, nella sua mente e nel suo cuore con un ritmo inesorabile e a cui era impossibile resistere. Ogni alito di vento, la pioggia che cadeva e si riversava sul freddo suolo delle giornate più impegnative, persino il respiro sincrono di tutte le unità nel primo risveglio della mattina, tutto era perfettamente percepibile e distinguibile, e non solo come semplice consapevolezza. Fabia era in grado di tenere a mente ogni singola nota prodotta, come se lo spazio circostante avesse deciso di concentrarsi esclusivamente su di lei. La realtà in toto pareva essersi tramutato in un concerto senza fine, in cui ogni cosa materiale diveniva spartito, mezzo esclusivo con cui trasmettere la musica universale. Un concetto cui Fabia si era avvicinata inconsapevolmente in uno dei suoi percorsi di studi in epoca pre-Armageddon, un concetto assai complicato e non di rapida comprensione ma che, una volta sperimentato con ogni cellula del suo corpo, lasciava spazio a diverse sensazioni, non necessariamente tutte positive.

    la musica e l'eco della musica
    si diffondevano nel Vuoto
    ed esso non fu vacuo.


    E proprio ora, come in quell'anno, Fabia era tornata a sentirsi l'unico strumento capace di trasmettere la musica universale, poiché rifiutarsi di ascoltare non serviva a nulla. Ogni aspetto della realtà produceva un suono imprescindibile, e per ogni suono era possibile identificare un preciso ritmo, singolo o multiplo a seconda della sua complessità. Non erano per nulla simili ai sussurri che in più occasioni l'aveva avvertita di un imminente pericolo, si trattava di qualcosa di più arcano e importante: se durante le diverse battaglie mantenere il ritmo l'aiutava a coordinare meglio ogni suo movimento in relazione a quello nemico, nella fase di riposo la situazione si faceva più delicata. Come un amplificatore umano, Fabia raccoglieva ogni suono di quella realtà e si faceva unico spartito in grado di tradurre tali, armoniose melodie, da quelle monotone a quelle più articolate.

    La corruzione produceva una melodia e una infinità di ritmi unici, di cui Fabia era riuscita a deficrare buona parte, e allora le bastava concentrarsi sulla battaglia per non sentirsi troppo a disagio; respiravano allo stesso modo, nello stesso istante e con la stessa frequenza, persino le urla violente e gli attacchi sferrati producevano sempre lo stesso suono, e se la donna era capace di srotolare quella matassa ritmica, poteva anche anticipare ogni mossa prima che questa potesse anche solo essere pensata. Con il passare dei giorni non più un danno le fu inferto, non sbaglio più un colpo e non sprecò più neppure una munizione più di quella necessaria. Per Shayla e il resto dell'unità si trattava di semplice propensione alla battaglia e assoluta abilità di comando, ma Fabia sapeva bene trattarsi di ben altro. E persino i caduti - di entrambe le fazioni - producevano un suono e un ritmo ben definito, e la loro improvvisa scomparsa non era un... male.

    Non fraintendetela, non era affatto felice di perdire compagni d'arme, si trattava solamente di bilanciamento ritmico. Come in un concerto nelle sue fasi preliminari, un numero troppo grande di musicisti poteva compromettere l'intera riuscita dell'esibizione, troppe armonie uguali potevano entrare in contrasto e amplificare troppo il suono percepito dall'orecchio dell'ascoltatore, producendo un effetto disastroso. O altrimenti, un numero uguale di suoni e ritmi contrari potevano annullarsi a vicenda, rendendo dunque inutile la presenza di un numero di strumenti o voci e peggiorando, dunque, l'esperienza sensoriale. E allora, il compito di ogni direttore d'orchestra stava nello stabilire esattamente quanti e quali strumenti o voci avere per sé, rinunciando al superfluo o all'eccesso.

    Chiaro, dunque?
    Corrotti e umani, coinvolti entrambi in uno scontro, potevano produrre armonie e ritmi uguali nonostante le intenzioni fossero contrarie. E, dal momento che la realtà non ammetteva intenzioni ma solo azioni, poiché la musica tramuta l'armonia o l'orrore in suono, per ogni caduto in battaglia Fabia registrava un ritmo in meno. Meno stress, meno disagi. Per Fabia tutto era diventato un ritmo da registrare e verificare, persino ogni singola unità coinvolta. Eppure, quando il ritmo non poteva essere controllato o registrato poiché frutto dello spazio circostante o non di circostanze ben specifiche, il discorso cambiava: come potevi interrompere i respiri altrui? Come potevi ordinare a centinaia di cuori di smettere di battere?
    Potevi ordinare al cielo di interrompere la pioggia? Ai denti di digrignare la notte?
    Alla gente di tremare, o aver paura, o concedersi un attimo di piacere personale?

    In verità non potevi ordinare al mondo di interrompere la sua musica, semplicemente perché impossibile. Senza la sua eterna musicalità, la realtà stessa non avrebbe avuto modo di esistere, e nella non esistenza non vi era ragione d'essere. Persino il vuoto aveva una eco chiaramente udibile, e ciò che spaventava più Fabia era la consapevolezza che il vuoto produceva la melodia migliore, la più bella e armoniosa mai ascoltata. Poiché nel vuoto nulla veniva turbato o percosso, e la sua durata era così breve da far stringere il cuore.

    E le parole, dannazione la voce degli esseri viventi.
    Penetrava nel cervello senza alcun permesso, un martello pneumatico cui non v'era rimedio. Le parole avevano melodia e ritmo caotico, imprevedibile e quasi sempre spiacevole, dal picchiettare della lingua su palato e denti al respiro poco prima di aprir bocca. Tutti amavano aprir bocca, lì, e Fabia non poteva ordinare loro di smetterla.

    I rapporti dovevano essere redatti o articolati a voce, le azioni e le mosse alleate dovevano essere studiate e descritte a mano o al computer, ogni suono possibile insomma. E per una settimana, Fabia non poté che ascoltare e percepire tutto quanto, instancabilmente ma non per lei.

    ora però ??? sedeva e ascoltava,
    e a lungo gli parve fosse cosa buona
    poiché nella musica non vi erano
    difetti.


    Insostenibile.
    Progressivamente Fabia cominciò ad accusare i segni di notti insonni e senza pace, di suoni e ritmi caotici nei momenti di riposo e monotoni ma energici nelle fasi di combattimento. Il suo corpo, ritrovato spartito di quella musica cosmica era pur sempre fatto di carne e tessuti, non troppo esile e fragile ma neppure sovraumano o divino. E, per tutto questo tempo, non una parola con nessuno.
    Non una parola, in generale. L'unico, così stolto da crederle e rassicurarla era al momento ostaggio di chissà cosa, impegnata più avanti nel loro percorso in uno scontro con le stesse unità nemiche del distaccamento imperiale.
    Di conseguenza, più a rischio di quanto non fosse già. Al ritmo dello spazio e delle parole si aggiungeva il turbinio di pensieri ed emozioni che, seppur non producessero ritmo, s'insinuavano con prepotenza nella sua mente e, in essa, non vi era più molto spazio.

    tic, tac, tic, tum

    Un'altra serata stava volgendo al termine, presto il sole sarebbe sorto e la giornata sarebbe ricominciata. Da quanto non dormivi, Fabia?

    tac, tac, tururum, boom shh

    L'acqua che sgorgava dai condotti non perfettamente chiusi, i respiri violenti di chi, seppur in preda a qualche incubo, per lo meno riusciva a tener gli occhi chiusi. O ancora, le percosse di qualche soldato ai compagni più rumorosi o ipertonici, senza contare le armonie esterne degli elementi e degli esseri viventi nelle vicinanze.

    « ... » Il preziosissimo flauto, proprio lì davanti ai suoi occhi.
    Non l'aveva mai tirato fuori dall'inizio della missione, eppure era sempre stato lì, sotto il suo naso, pazientemente in attesa di essere maneggiato e suonato. Gli era già comparso tra le mani una volta, e comunque da quel fatidico incontro non aveva mai smesso di accompagnarla, quasi avesse vita propria e coscienza condivisa, e chiedesse a Fabia di non dimenticarlo.

    Aveva voglia di suonarlo? Per Poseidone, no.
    Eppure, capì quasi istintivamente di doverlo fare. Perciò prese quel misterioso flauto, misterioso quasi quanto l'esistenza di chi l'aveva porto in dono, e si diresse fuori dall'accampamento, non curandosi di chiunque la vedesse uscire a poche ore dall'ennesima giornata di missione.

    attorno a lui subito fu discordanza, e molti che vicino a lui cantavano si scoraggiarono, il loro pensiero fu disturbato e la loro musica vacillò

    Nessuno, in nessuna opera scritta o di pubblica conoscenza, dichiarò mai di poter piegare la realtà al proprio volere; in molti ci provavano, le armature divine e il cosmo che permeava l'intera esistenza ne era dimostrazione concreta. Gli uomini e le donne benedetti dal potere delle stelle difendevano il proprio Dio a suon di abilità uniche e rare, ma anche quelle più subdole e concentrate sull'alterazione della stessa realtà non erano in grado di piegarla, esclusivamente agire su essa, raggirarla.
    E se nessuno poteva piegare materialmente la realtà di ogni cosa, poiché incapaci di cogliere il ritmo e la sinfonia dietro le quinte o semplicemente ignari di una simile opportunità, che possibilità aveva Fabia, semplice Tenente Colonnello e abitante di un settore atlantideo tra i più dimenticati?

    poi ??? si levò e gli Altri percepirono che sorrideva; ed egli alzò la mano sinistra, e un nuovo tema iniziò in mezzo alla tempesta, simile e tuttavia dissimile dal tema precedente, ed esso acquistò potenza e assunse nuova bellezza

    Avvicinò l'imboccatura del flauto alle labbra, inconsciamente.
    Quanto era stata stupida, nel tentativo di contrastare il Ritmo della Realtà?
    La stessa realtà aveva scelto lei come suo tramite, e questo Fabia lo aveva capito qualche giorno fa; ciò che non aveva compreso, però, era che, in quanto strumento, non aveva il diritto né la facoltà di interrompere o modificare quel flusso ritmico e armonioso, poiché nulla e nessuno ne aveva facoltà. E cosa ti rimaneva da fare, dinanzi a tanti ritmi diversi, perpetui e impossibili da ignorare?

    « Sorridi. » E Fabia sorrise, accogliendo definitivamente tutto il ritmo del mondo con un profondo respiro. Non oppose resistenza, si lasciò pervadere dal fragore del vento mattutino e dal debole fruscio della polvere che si alzava da terra; si lasciò incantare dal ritmico pulsare del cuore, dal suo preciso scandire ogni singolo istante di vita nel suo corpo. Si lasciò travolgere dal tepore che il suo cosmo emanava, dal sottile suono prodotto dai suoi pori che, aprendosi, lasciavano fluire perfettamente il potere all'esterno, assorbendone altro nello stesso momento.

    Come volesse farsi carico del ritmo del mondo, poiché il mondo stesso glielo stava concedendo da oltre una settimana. Accoglierlo non era facile, farlo proprio richiedeva impegno e sacrificio, tutte le sfumature e i cambi tonali dovevano essere raccolti senza alcuna distinzione, non era più questione di gusti ma di responsabilità.

    Per cosa dovesse sentirsi ed essere responsabile, ancora non le era chiaro, ma era ora sicura che lo avrebbe compreso se solo avesse smesso di considerarsi parte di quel ritmo, rinunciando col corpo e con lo spirito - e la mente, chiaramente - a quel senso di appartenenza ad una collettività e accettando dunque di essere tramite, non meta.
    Tramite materiale di una filosofia cosmica di cui sapeva ancora poco, di cui doveva considerarsi ancora un misero granello, se paragonata all’infinita distesa della realtà.

    Dunque sorrise, poi soffio nel corpo di quel flauto non per compiacere il ritmo del mondo, bensì per connettervisi. Nessuna alterazione, nessuna modifica volontaria a ciò che, per definizione, non presentava difetti e mai ne avrebbe presentati.

    Comunione.
    E alla fine, la pace.

    ZZcIR9a

    Spero di aver capito la consegna con questo post :zizi: In caso contrario scrivimi!

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    È come allenare un muscolo, un esercizio che, al termine di ogni notte di quella spedizione, ti permette di suonare, danzare, sul ritmo di ogni cosa. Ci sono notti più facili e giorni più difficili. Il morale delle truppe è saldo; come ben sai, tanti di loro hanno partecipato ad operazioni e imprese che ad oggi sono state elette, nella storia del glorioso Impero, come leggendarie. Alcuni di loro hanno combattuto durante l’assalto del Leviatano, altri hanno partecipato alla liberazione di Lisbona, altri ancora hanno conosciuto disperazione e speranza, assieme ai Primarchi, nell’entroterra dell’Australia. Le storie sono quello che ascolti e, superando la pericolosità del perdersi nel ritmo di tutto ciò che è vivo, scopri qualcosa di diverso.

    All’inizio è qualcosa di semplice, come il fervore di uno dei soldati che parla delle imprese dei Primarchi in Australia; quell’euforia ti accompagna per tutta la notte, quasi costringendoti a non chiudere occhio. La mattina dopo, quando avanzate nella spedizione e vi fate strada nell’orda di corruzione, senti un grido strappare la tua attenzione da ciò che stai facendo. Uno dei tuoi compagni di squadra muove velocemente la mano sul petto di una donna, faceva parte – assieme a lui – della stessa unità; la sua disperazione ti colpisce con più violenza di un artiglio. Il suo urlo diventa il tuo, così come lo diventa il dolore della perdita, il dubbio di chi crede che sia troppo tardi, la determinazione di chi pensa che riuscirete a farcela.

    E dopo il ritmo di ogni cosa,

    Le note di tutte le anime.

    Influenza la tua musica, quando la notte ti eserciti per contrastare il suono di tutto, e la porta ad essere senza controllo, come le onde di una tempesta che inghiottono una zattera. Ogni emozione, in un raggio indefinito, diventa la tua emozione. Non sai spiegarti perché, né sai perché stia capitando, ma nessun essere umano o non umano è progettato per sopportare una tale quantità di emozione; l’intero spettro si riflette dentro di te, diverso come diverse sono le persone che ti circondano. Se il ritmo ti rende più consapevole in battaglia, affinando la tua capacità, la dissonanza di questo carico di emozioni rende quasi impossibile concentrarti. Shayla ti sposta, ti afferra per un braccio, evitando che la tua distrazione si traduca in morte. Il dolore di un soldato ti costringe a voltarti mentre viene trapassato da parte a parte, la rabbia di un altro ti costringe ad accanirti su un corpo già morto, riducendolo in una poltiglia scusa.

    Che cosa ti è preso? Ti chiede quasi spazientita, e forse per te è anche facile accampare una scusa. State andando avanti da giorni, la stanchezza è accettabile ad un certo punto. Ma quando torni al tuo posto, quando posi gli occhi su qualcuno, non puoi fare a meno di percepire quasi fisicamente tali note emotive. È come ascoltare più generi allo stesso tempo, più lingue, tempi diversi. Quando provi a suonare, ancora una volta, cambi inconsapevolmente melodia, la suoni con più forza, a volte, e con più debolezza, altre. L’odio di Qalkarth, per qualsiasi cosa comprenda le parole ‘corruzione’ o ‘esterno’, ti strappa alla determinazione di Shayla di riuscire a strappare dal nemico tutte le vittime rapite. Per giorni, per notti, il tuo umore cambia con la stessa velocità con cui avanzate.

    La mattina dopo sono tutti in trepidante attesa; avete triangolato la posizione della ‘tana’, e c’è poca strada che vi divide dal vostro obiettivo, soltanto una cosa tra voi e lui.





    _____________________



    Angolo Master

    Prima il ritmo, ora la melodia.
    Per semplificare il discorso, immagina come di avere ESP Spirituale costantemente attiva, che ti fa percepire le emozioni di tutti quelli che ti circondano. L'effetto, come descritto, è come ascoltare un'infinità di canzoni di generi diversi nello stesso momento. Ti dura nei giorni, anche se usi il flauto, fino al momento in cui arrivate davanti a UN SACCO di corrotti, più di tutte le volte che siete avanzati.

    Interrompi pure il post quando stai menando :zizi:
     
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16 replies since 10/2/2023, 13:21   594 views
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