YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

Guardian of the Sea → Energia Blu

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    I




    «Il mondo si è fatto più pericoloso negli ultimi dieci anni, vero, ma è anche molto più semplice. Dipende dai punti di vista, immagino. Per noi significa meno scartoffie, meno attenzione sulla segretezza, meno burocrazia e soprattutto meno seccature.
    Si tratta in gran parte di una questione statistica: meno topolini che scorrazzano liberi nell'appartamento significa minor probabilità che uno faccia scattare la trappola a molla rosicchiando l'esca. Prima del 2012 avremmo dovuto intervenire, isolando l'appartamento intero o addirittura le case dei vicini, verificare la presenza di altri topi morti o trappole ancora innescate, avvicinarci con cautela a quella scattata, studiarne la posizione e il meccanismo... e questo solo a livello preliminare. Poi conoscete tutti la procedura, no? Non si può semplicemente rimuovere la trappola o il topo morto. Se ti va bene, la trappola è solo appoggiata al pavimento e basta chiuderla in una scatola. Se va meno bene, il topo non è davvero morto e tenta di morderti mentre avvicini la mano alla trappola. Se va male, la trappola è incollata al pavimento e devi colarci sopra del cemento per fare in modo che nessuno la calpesti. Se va malissimo, la casa intera si ripiega su sé stessa scattando come una molla schiacciandoci tutti come scarafaggi. Si, gli scarafaggi fanno molto più schifo dei topi.
    Ora, se la situazione diventa ingestibile possiamo atomizzare l'intero quartiere. E non dobbiamo nemmeno inventarci scuse plausibili per consolare la famiglia del topino morto. Dopo ventinove anni di continui insabbiamenti uno direbbe che è come tirare un bel respiro di aria fresca, no?
    Dopo il disastro, dopo che alla base sono arrivati i primi report coi nomi dei morti, tra cui mia moglie ed entrambi i miei figli, è stato questo il primo pensiero che ho realizzato, il primo che non mi riducesse in lacrime: "forse potremo smettere di far sparire nel nulla i cadaveri dei topini".
    Non credo sia strano pensarci oggi, l'ultimo giorno della mia carriera da caposquadra operativo, dopo un'intera vita di fjgialikjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjjj-»

    Il testo si interrompe bruscamente. Il documento fotografico allegato mostra il caposquadra Holowitz riverso sulla tastiera del portatile che stava usando per stendere il suo discorso di pensionamento. Tra pochi giorni nel suo ufficio ci sarebbe stato un piccolo rinfresco, una festicciola intima tra colleghi che erano diventati per forza di cose una famiglia allargata.
    Invece, il suo cadavere è stato ritrovato nel piccolo ufficio personale, all'interno dell'appartamento del caposquadra, situato nella zona sicura a 5km dal sito di contenimento temporaneo in Svizzera, denominato T038, stabilito in seguito alla cattura dell'ultimo obiettivo della squadra Holowitz appositamente per contenerlo.

    Il resto del briefing è stato brevissimo, quasi frettoloso.
    Un'anomalia particolarmente subdola denominata GRADO-99290 ha subito un sostanziale aggiornamento del suo file, passando dalla definizione di "soggetto singolo" a "gruppo di soggetti denominati G-99290a, G-99290b. G-99290c, G-99290d e G-99290e". G-99290a si trova attualmente nelle celle contenitive di T038 come suo unico occupante, mentre gli altri quattro soggetti hanno atteso il ritorno del caposquadra agli alloggi del personale, prima di violare i sistemi di sicurezza degli alloggi e penetrare nello studio, uccidendo l'uomo mentre stava seduto alla sua scrivania, si presume per vendetta.
    I video di sicurezza mostrano quattro figure longilinee indefinite, a malapena distinguibili tra le scariche statiche che provocano su tutti i tipi di schermo o supporto di riproduzione. L'immagine più nitida evidenzia tute da lavoro stracciate, con i codici di riferimento di alcune divise smarrite, la cui scomparsa era stata denunciata secondo il protocollo il giorno prima. Al di sotto di esse è visibile soltanto pelle bluastra.
    La zona, erroneamente ritenuta pulita, è tutt'ora delimitata da un perimetro circolare di 8 km di raggio a barriera elettromagnetica, il cui centro è l'ingresso principale di T038. I sensori perimetrali non hanno captato alcuna variazione, né segnali in entrata o uscita, a significare che l'intera area risulta momentaneamente compromessa, fino alla cattura dei quattro soggetti. Il personale rimanente, composto da 11 agenti, è al momento in isolamento in una cella di sicurezza standard all'interno dell'edificio delle celle contenitive, dopo aver eseguito i test per assicurarsi che l'anomalia non avesse preso il posto di nessuno di loro. Sito di contenimento e area delimitata risultano integri, perciò i soggetti si trovano ancora all'aperto oppure presso gli alloggi.

    Quindi, a ciascuno di voi sono stati forniti i vecchi dati di GRADO-99290 pre-aggiornamento, raccolti durante i tre giorni di confinamento trascorsi dalla cattura di G-99290a, le cui caratteristiche - vi assicura l'ufficiale - sono da ritenersi ancora valide.

    GRADO-99290: soggetto umanoide mutaforma capace di pensiero superiore. Aggressivo. Capace di rapidissima rigenerazione tissutale.
    È in grado di modificare il proprio genotipo e fenotipo all'interno del range di ogni variazione possibile del genoma umano attualmente mappato. Non è in grado di riprodurre materia non-organica o di forme e caratteristiche differenti da quelle ottenibili tramite divisione cellulare da un normale essere umano. Necessita di contatto diretto o campioni tessuto organico per riprodurre esattamente la struttura di un individuo a partire dal DNA, ma è capace di approssimare tali risultati fino a un livello soddisfacente in caso di necessità soltanto tramite contatto visivo anche indiretto (prove indirette effettuate tramite foto, video e ritratti a mano). La mutazione richiede dai 5 ai 6 minuti. Se esposti ad alte tensioni (~50000V) o a temperature estreme (± 97°C), se separati dal corpo principale, oppure per volontà del soggetto, i tessuti regrediscono al loro stato naturale in pochi istanti, rivelandone la composizione anomala dal colore azzurrognolo/bluastro, caratteristica evidente in ogni tipo di tessuto testato (epiteliale, connettivo, muscolare, osseo, nervoso).
    Può sostenere danni elevati (testata resezione di muscoli principali e vasi sanguigni, impatto con fratture ossee multiple e amputazione degli arti) senza conseguenze durature, rigenerandosi in tempi ridotti. Massimo tempo registrato: 9min 36'' per la rigenerazione dell'intero braccio sinistro partendo dal moncone della spalla. Non riesce a sostenere a lungo gli sforzi se esposto alle condizioni di alto voltaggio e temperature estreme ai livelli già indicati. Oltre tali valori di esposizione - se lo stimolo si prolunga - il soggetto inizia un processo fisiologico che lo conduce rapidamente a uno stato pseudo-comatoso che perdura per un tempo variabile tra 1 e 3 ore. Restrizioni fisiche convenzionali scarsamente efficaci, a causa della capacità di mutazione del soggetto. Non ci sono dati sufficienti dati riguardo alla capacità linguistica del soggetto o della sua capacità di raccogliere informazioni.

    Missione: individuare, neutralizzare e catturare i soggetti G-99290b. G-99290c, G-99290d e G-99290e all'interno del perimetro che circonda T038. Venti agenti. Procedere a coppie, vestire le tute rinforzate coi contrassegni colorati su braccia, gambe, petto e schiena, stesso colore per entrambi i membri della coppia. Ridurre al minimo le comunicazioni. Stabilire all'interno della coppia un codice di controllo da ripetere tramite il sensore interno dei guanti ogni 3 minuti senza alcuna comunicazione vocale per verificare l'identità.

    Equipaggiamento:

  2. tuta sigillata, completa, con contrassegni

  3. maschera a visore unidirezionale con comunicatore

  4. guanto con sensore a selezione virtuale

  5. pistola taser




  6. 6vgdAlI



    Note Master:

    Eccoci! Ora ti tocca inventare. Il tuo primo post dovrà coprire l'intera missione fino quasi alla sua fine, quando cioè tu e il tuo partner entrate in contatto con l'ultimo dei soggetti a piede libero. Il tuo partner è una donna di lei noti solo che è alta più o meno quanto te. Oltre il codice di controllo, per necessità di missione, non avete altre comunicazioni.




    Edited by Him3ros - 29/1/2023, 23:09
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera12
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG# 1

    DESCRIPTION:

    Svegliarsi con gli intensi bip del comunicatore GRADO rendeva la giornata già migliore di quella prima o quella prima ancora indipendentemente da quanta merda potesse piovergli addosso da un momento all'altro. Era così raro che lo ingaggiassero per delle missioni che aver la possibilità di rimediare quanto successo in America prima e nell'Artico poi dava una carica di adrenalina completamente diversa, di rivalsa quasi. Se a questo si aggiungeva che non solo gli sarebbe stato fornito tutto l'equipaggiamento necessario, ma che non avrebbe dovuto assolutamente usare l'armatura di Alman, si otteneva la ricetta perfetta per una missione ancora più intrigante. Non era stato dotato di una steel cloth, nemmeno nella sua versione leggera, e ciò poteva solo significare che per una volta sarebbe stato qualcosa di semplice, o in un'area già protetta come il Giappone. Se ingaggiavano lui però era possibile che servisse comunque del cosmo, magari per studiare qualcosa di particolare o sigilloso. Non che non avessero altre risorse per fare una cosa del genere, anzi, a cosa serviva ingaggiare specificatamente lui se non era per la cloth che indossava?

    Recatosi nel camerino, dopo un sentito bacio portafortuna alla targhetta militare, si vestì con quanto consegnatogli, compresa una divisa rinforzata che aveva dei vistosi marchi rosa su diverse parti del corpo. Rosa... Sembrava quasi una presa per il culo, un pesce d'aprile di cattivo gusto se non fosse per il fatto che la GRADO non faceva scherzi del genere. Per quanto fosse fin troppo vistoso quel rosa era importante, anzi era un cambio netto dal solito blu che ne adornava la sua figura, come se segretamente si volesse sottolineare un distacco dal ruolo che era chiamato a compiere; E la cosa non gli dispiaceva affatto. Aiutato dallo specchio dinnanzi a se’ sistemò il colletto in maniera precisa, andando ad eliminare ogni forma di imperfezione. Faceva quasi strano rivedersi in quelle vesti dopo tanto, troppo tempo. Quello che un anno e passa prima era il quotidiano era diventato un sogno così lontano che la sua immagine riflessa, in quel momento, era un toccasana per la sua psiche. Era come se nulla di quell’anno fosse mai successo e lui era ancora un comune umano, un comune soldato, con delle comuni mansioni.

    Legò alla cintura, dal lato sinistro, la fondina con una pistola taser al suo interno, saggiandone il peso a cui non era più abituato. Da quant’era che non aveva una pistola fra le mani? Sembrava anche più leggera dello standard con, nuovamente, una striata di vernice rosa a decorarne i fianchi. Ne provò qualche volta l’estrazione prima di rimetterla al suo posto legandola con la sicura.

    Fissò gli auricolari collegandoli poi all’interno dell’elmo prima di indossare quest’ultimo lasciando che questi si stringesse attorno al suo cranio. La visiera era nera opaca e non permetteva dall’esterno di vedere attraverso, mentre dall’interno il mondo esterno si mostrava normalmente, forse leggermente più scuro. Era una particolarità che anticipava come fosse richiesto a loro di non essere visti o riconosciuti dall’esterno. Seguì il respiro pesante di chi indossa una maschera protettiva dopo tanto tempo e non è più abituato al suo peso e alla diminuzione di ossigeno. Il visore corse però il suo soccorso inizializzando le nuove informazioni per adattarsi ai fabbisogni del suo portatore.

    Indossò il guanto destro, anch’esso adornato di una orrenda strip rosa, ma nell’indossare il sinistro sentì un peso maggiore gravare sulla mano. Apparentemente identici quei due guanti dovevano essere diversi. A contatto avvenuto sul visore apparve un piccolo riquadro a lato che seguiva perfettamente la posizione della sua mano dopo piccole richieste di calibrazione. Strano doverlo fare solo per una mano, ma non si fece domande; aveva imparato a non farsene in ogni caso. Se i superiori volevano dargli risposte lo avrebbero fatto senza che lui ponesse quei quesiti, altrimenti non era materiale che gli competeva.

    Un ultimo sguardo allo specchio nel camerino: era irriconoscibile, un GRADO fra tanti, perfetto. Seguì le istruzioni di chi di dovere, quindi il fiume di gente vestito esattamente come lui tranne che per segni di colori diversi. Furono condotti verso una piccola aula a gradinata dove i diversi banchi erano già stati divisi per team affinché questi si ritrovassero immediatamente. Nell’attesa lo sguardo di Korin notò che erano stati recuperati dieci colori diversi, dieci team quindi, composti ciascuno da due persone. Rosso, arancione, giallo, verde, ciano, blu, rosa, bianco, argento e nero. Il suo compagno di squadra fu tra gli ultimi a varcare la soglia e si sedette accanto a lui con febbricitante eccitazione o forse nervosismo dato il modo in cui continuava a strusciarsi le mani e a far danzare il piede a terra. Lui al contrario era tranquillo, non poteva essere nulla di troppo pericoloso, ma allo stesso tempo era curioso perché di certo quella non era la solita mansione per cui veniva ingaggiato.

    Quando l’aula fu al completo le luci si spensero e la voce filtrata, quasi robotica di un supposto l’ufficiale non presente nella stanza iniziò a spiegare la missione venendo aiutato da video e foto che scorrevano sul monitor gigante appeso al muro. Scorse prima di tutto una sorta lettera abbastanza sentita che l’ufficiale volle leggere integralmente. Era un discorso di un altro membro della GRADO, una sua personale riflessione sul mondo, sulle missioni a cui aveva partecipato, il tutto condito da una allegoria di topi e trappole. Carina, rendeva bene l’idea che lo scrittore voleva comunicare, ma c’era un solo problema: erano informazioni inutili alla missione. Lo scrittore della lettera era un veterano, deceduto a pochi giorni dal pensionamento, cosa che probabilmente molti in quella stanza non avrebbero mai visto stroncati prima da una qualche anomalia, o corrotto, o Caduto, o gli spiriti solo sapevano che merda c’era al mondo. Anzi proprio perché si era a conoscenza di certi mostri che dimoravano nell’ombra, come si poteva vivere tranquillo il resto della vita? Una forte dose di amnestetico era incluso nel piano pensionistico?

    Come una telecamera che si allontana dal soggetto, anche il briefing divenne meno personale, illustrando con foto e video il luogo del delitto e, seppur fosse difficile capirlo, anche chi l’aveva perpetrato. Dei fermo immagine furono necessari per vedere con più chiarezza i colpevoli, delle figure umanoidi dalla pelle bluastra coperti con delle normali tutte la lavoro da inservienti, tute che erano sparite un giorno prima. Quindi avevano reclutato venti uomini per catturare quattro assassini. Certo non erano umani normali, ma da quel poco che poteva vedere nei filmati non erano cosmodotati. Quindi lui che centrava in tutta quella storia? Perché era stato reclutato? C’era stato un errore?

    Anche i pochi dati confidati loro su questo GRADO-99290 non dava risposte. Potevano cambiare forma adattandosi ad ogni umano che vedevano o entravano in contatto, e questo spiegava la loro necessità di rendersi irriconoscibili, ma perché reclutare un cosmodotato come lui? Il loro potere rigenerante e modificante non sembrava cosmo indotto, non avevano velocità o forza diverse da un singolo umano. Delle costrizioni cosmiche come i sigilli potevano essere estremamente utili contro chi poteva cambiare la dimensione dei propri polsi e liberarsi da manette fisiche, soprattutto perché dei non cosmodotati non potevano opporvicisi e sarebbe stato molto facile semplicemente bloccarli sul posto prosciugando quella piccola scintilla che gli permetteva di vivere. Per non parlare del fatto che sforzandosi poteva forse raggiungere la temperatura dei -97°C richiesti per mandarli in stato pseudo comatoso, soprattutto in un’area pseudo montana come quella che sembrava essergli stata presentata. A quel punto perché reclutare venti persone diverse? Non sarebbe bastato solo lui con l’ausilio di qualche drone a ricerca termica a finire quel compito? C’era qualcosa che gli sfuggiva, sembrava semplice, troppo semplice.
    Forse vedendolo i quattro soggetti potevano emulare non solo il suo fisico, ma anche i suoi poteri? Se fosse successo, ci sarebbero stati quattro Korin contro l’originale? Ma se questo fosse successo, perché non reclutare degli steel saint con armi cosmiche paritarie? Possibile che vedendole potevano emulare una steel cloth e ottenere del cosmo indotto a loro volta? Se l’avessero vista potevano emulare la durezza della cloth di Alman?

    L’ufficiale quindi mostrò loro l’area da perlustrare, circa 200 km^2 circolari protetti da una fitta rete elettromagnetica e, possibilmente, anti corruzione. A parte pochi prefabbricati smontabili che costituivano la base temporanea T038 e le abitazioni dei suoi addetti era un’area boschiva come tante altre.
    Boschi. Montagne. Umanoidi. Azzurro. Abiti. Click.
    Non era la stessa cosa, anzi poteva essere quanto più distante da quell’evento, ma quelle poche caratteristiche le aveva già vissute in un’altra occasione in cui non aveva l’armatura del Fondatore.
    Si fece più avanti sul banco, come se nel farlo potesse dargli una visione migliore dei loro sfuocati obiettivi che risultavano sfalsati dai monitor, come se questi non potessero leggere la loro figura, o come se emettessero frequenze disturbanti per le telecamere. Possibile che queste creature fossero imparentate alla lontana con quelle che aveva affrontato subito dopo l’incontro con il finto Daimon? Di loro ricordava che erano figure umanoidi plasmate con pezzi di corruzione, ricreate da chi non sapeva che forma avesse davvero un umano. Ricordava il loro sangue azzurrognolo, di come vivevano in colonia e agivano come veri e propri umani. Ricordava di essere entrato in un nido, di aver affrontato il non sapeva nemmeno cos’era - la loro regina forse? - solo per venire poi soccorso in extremis da qualcosa o qualcuno prima di essere recuperato da una squadra di soccorso chiamata dalla figura misteriosa. Che poi nemmeno sapeva come era andata a finire quell’indagine: dopo averlo dimesso dall’ospedale lo avevano ricacciato al Grande Tempio per direttissima. Ricordava però che quegli umanoidi di certo non erano blu, erano cosmodotati e non avevano abilità rigenerative per quanto fosse difficile a dirsi nel mezzo delle forzose battaglie. Possibile che fosse per quell’avventura parzialmente compatibile che lo avevano tirato in mezzo, per la sua esperienza con qualcosa di simile? Era l’ora del round 2?

    Quindi una nuova istruzione da parte dell’ufficiale. Vista la loro abilità di copia non avrebbero corso rischi e tutti loro, oltre l’anonimato, all’interno del campo non avrebbero potuto comunicare fra loro né con lo staff. Mancanza di comunicazione, ecco un’altra casella che si spuntava nella somiglianza a quella disgraziata avventura. Ma non stavolta. Non sarebbe stato così avventato da gettarsi nella tana del mostro un’altra volta. Di certo non rischiando la vita del suo partner.
    Avevano quindi il tempo del viaggio per stabilire vicendevolmente un codice da usare per riconoscersi, e che avrebbero dovuto mostrarsi l’un l’altro ogni tre minuti per accertarsi di essere ancora loro stessi.
    “Potremmo farne diversi da usare a rotazione” propose il suo partner scrivendolo con una matita e un pezzo di carta disposti sui banchi. Annuì in assenso prima di stabilire con lui, o lei data la fisionomia forse più abbondante sul petto, cinque gesti. Stringere il pugno due volte. Fare il simbolo della vittoria con indice e medio rivolti verso l’alto mentre il pollice si sarebbe eretto in mezzo a loro. Disegnare un tridente con indice medio e anulare puntati verso destra. Fare le corna con indice e anulare puntate verso il basso mentre pollice e mignolo trattenevano il medio contro il palmo. Palmo diretto dinnanzi a se’ con solo pollice e mignolo estesi. Sollevò il dito, ma prima che Korin potesse prenderlo come simbolo numero sei, lei scrisse rapidamente sul foglio “Ho un’idea” . Fece con le dita dei gesti particolari, quasi stesse lavorando su uno schermo tattile che vedeva solo lei, digitando poi su una tastiera invisibile. In pochissimi minuti la grafica con il countdown dei tre minuti si sollevò leggermente nel visore di entrambi e una nuova stringa di parole si aggiunse molto più piccola sotto di essa. Quindi lei tornò a scrivere sul foglio: “Tirerà ogni volta un numero casuale. Sarà lui a decidere il gesto da compiere.” Intelligente, così non avevano nemmeno una sequenza prestabilita da ripetere e quindi non erano copiabili anche se osservati. Aspetta però… aveva appena hackerato la strumentazione GRADO come se nulla fosse? “Prima che lo chiedi, no, ho solo richiamato una funzione già presente. Una sciocchezza.” Una sciocchezza, la chiamava, una che lui nemmeno aveva idea fosse possibile. O meglio, certo che lo era, tutto era possibile nella GRADO, ma la velocità con cui la sua partner aveva eseguito quel lavoro era sorprendente. Pericolosamente sorprendente. Era veramente una hacker o aveva già usato in passato quel tipo di strumentazione e quindi erano per lei conoscenze note? Memore delle filippiche che il suo ex compagno nome in codice Obelix preferì non chiedere. Probabilmente l’avevano affiancato ad un ingegnere tecnico appositamente. O forse era solo un caso, chi poteva dirlo?

    Illuminati dalla luce rossa che inneggiava al silenzio e all’attesa dell’arrivo in loco, ripassarono la loro combinazione nel mezzo blindato che li portava verso il luogo ignoto del sito T038, uno di fronte all’altra mentre le altre squadre facevano lo stesso, chi con più chi con meno precauzioni. Il mezzo li avrebbe fatti scendere a scaglioni portando ognuno di loro al punto più vicino dell’area a loro deputata, ai 20km^2 di torta immaginaria che le varie coppie dovevano dividersi. Era un’area enorme da controllare, ma fattibile in un periodo compreso tra una mezza giornata e una intera. Anzi era preoccupante se non trovavano i quattro soggetti in quelle tempistiche. Il vero problema era cosa succedeva in caso loro controllavano una zona e il nemico a loro insaputa tornava indietro verso una già ripulita. Aveva pensato a lungo su come rendere il passaggio il più efficiente possibile. Avrebbe potuto tranquillamente adoperare i suoi poteri, segnare dei cordoni di sigilli a distanze predefinite che avrebbero mandato un segnale se qualcuno li avesse attraversati. Sarebbe stato facile se avesse conosciuto la frequenza cosmica di quei soggetti così da evitare di tornare indietro per un falco o un riccio o anche un corrotto che attraversava la zona. Ma non la aveva, diamine nemmeno sapeva se quell’anomalia avesse una sorta di aura cosmica rintracciabile. Ad essere ancora più potente avrebbe potuto erigere muri di ghiaccio per tenere divisa l’area esplorata dall’area ancora da controllare. Matematicamente parlando la maggior estensione da tenere controllata era sì e no 5 km e la visione umana in condizioni buone 2 km li teneva d’occhio abbastanza bene. Certo il terreno dissestato avrebbe causato qualche problema, ma l’elevazione non era così verticale da costituire un muro impenetrabile. Se proseguivano dritti distanziandosi man mano avrebbero potuto coprire completamente la loro fetta in una sola passata.
    Ipoteticamente parlando aveva le risorse per rendere quella cerca molto più facile, ma al contempo perché usarle? Perché buttare l’unico plausibile cosmodotato dei venti trattandolo alla stregua di ogni altro supposto umano lì presente? Perché i suoi poteri erano forse un asso nella manica, un qualcosa da tirare fuori solo se necessario, qualcosa che nessuno dei quattro fuggitivi si sarebbe mai aspettato. Vedendola in quel modo, usare il cosmo per ritracciarli era contro produttivo. Per una volta poteva metterli a tacere, dimenticarsi di essere diverso. Per una volta poteva fare l’umano. Per una volta poteva essere non dissimile dagli altri 19 che lo affiancavano. Era uguale a loro, vestito come loro, uno di loro.
    E non poteva esserne più felice.

    Luce verde, era il loro turno di scendere dal mezzo ed incamminarsi per la boscaglia a loro assegnata. Confinavano con la zona adibita a residenziale, ma non avevano case da espugnare che invece cadevano sotto la competenza dei team bianco e verde mentre alla loro sinistra si trova il team rosso. Partirono dal centro dell’area, la base T038 alle loro spalle e da lì iniziarono ad avventurarsi fra i primi alberi. Ad una prima occhiata era un terreno tranquillo, boschivo sì, ma non impervio come quel dannato Vietnam o caotico come quello legato alla missione subito successiva. Al contrario dei team diretti alle zone residenziali loro non avevano un sentiero definito da cui partire, trovandosi piuttosto già in balia delle radici degli alberi millenari, del terreno smosso dagli animali sotterranei e dalle scivolose foglie.

    00:03:00.56 - RNG: 4, corna in basso.
    Avrebbe potuto tenere solo i suoi sensi attivi, pronti a captare questo o quel suono diverso, il fruscio delle foglie non causato dai loro piedi, ma da quelli di qualcun altro. Avrebbe potuto far vibrare i suoi sensi per percepire qualcosa. Un umano che non fosse loro due nella loro fetta, magari l’anomalia sapeva di corrotto o di inumano e sarebbe stato facile individuarlo. O magari non sapeva di niente e puzzava come un buco nelle percezioni. Ma no, era meglio non correre rischi e sopprimerle del tutto. Allungò la destra afferrando il braccio della sua partner che aveva appena messo il piede su una radice nascosta, evitandole una impietosa caduta. Lei rispose con un cenno della testa, scavalcò con cura la radice, non prima di averle fatto il dito medio, cosa che provocò in Korin una silente risata.

    Lo sguardo si distese fra i rami più bassi che dividevano i grandi tronchi in più parti rendendo più o meno visibile ciò che stava dietro. Più difficile era invece tener conto delle folte chiome. Potevano quelle creature arrampicarsi in alto, passare da un ramo all’altro come scoiattoli e magari cadere su di loro come ninja?

    00:15:00.31 – RNG: 1 pungo chiuso, stretto due volte.
    Un movimento fra le foglie più alte attirò l’attenzione di lei. Un’ombra aveva appena coperto il sole che filtrava timido tra il fogliame. Fu lei ad avvisarlo, segnale prontamente registrato dal visore, direzionando la sua attenzione fra le chiome degli alberi. Quindi un nuovo fugace movimento tra i rami più sottili: Uno scoiattolo. Abbassarono la guardia, il loro obiettivo non poteva rimpicciolirsi fino a quel punto. Potevano proseguire per il momento.

    00:33:00.21 – RNG: 2, Vittoria più pollice.
    Si stavano avvicinando ad un tronco massiccio, uno in cui era facile nascondersi dietro. Korin richiamò l’attenzione di lei gesticolando con la sinistra alzata di venire da lui. Puntò all’albero, quindi due dita verso di lei e subito dopo verso sinistra. Punto a se stesso indicando poi a destra. Lei annuì e entrambi si avvicinarono piano al tronco dell’albero, schiena contro schiena, pronti a scattare in direzioni opposte per poi ritrovarsi faccia a faccia dall’altro lato. Superato il tronco però trovarsi l’un l’altro fu l’unica cosa che successe. Meglio così forse, perché se lui era pronto ad agguantare il nemico lei aveva già estratto il taser puntandoglielo minacciosamente in faccia.

    1:20:02.83 – Objective: 3
    Per una volta l’avviso non era di gesticolare come un idiota, ma anzi era un buona notizia che qualcuno aveva già catturato uno dei ricercati. Non era loro competenza sapere quale team, ma era una notizia positiva averne uno di meno da trovare.

    1:54:00.22 – RNG: 1 pungo chiuso, stretto due volte.
    Stavolta fu un movimento molto più in basso ad allertarli. Avevano udito dei fruscii dietro un cespuglio che avevano fatto alzare immeditatamente la guardia. Sembrava grosso, non troppo, ma un bambino ci stava tutto. Si avvicinarono con cautela solo per veder saettare fuori un bellissimo pelo rosso che ne teneva un altro marroncino fra i denti. Una volpe, una cacciatrice maestosa e decisamente più fortunata di loro, ma non quello che stavano cercando.

    2:32:13.96 – Objective: 1
    Il conteggio scese rapido da tre a uno, segno che due dei ricercati bazzicavano assieme o forse due team avevano consegnato alla giustizia i loro ricercati nello stesso momento. Ne rimaneva solo uno da trovare, il più nascosto, il più bravo, o forse il più fortunato.

    4:10:58.77
    Il movimento della mancina di lei venne registrato dal guanto e trasmesso al suo visore. Stava gesticolando a mano aperta in direzione vicina e poi lontana dal suo viso. Vieni, diceva. Allungò uno sguardo nella direzione che le era stata assegnata, ma non la vedeva nascosta tra i vari tronchi d’albero. L’aveva vista l’ultima volta qualche decina di minuti prima, al limitare del suo campo visivo visto che stavano arrivando alla zona di massimo spessore, la corda di quella fetta immaginaria. Il localizzatore però puntava ancora ai suoi dati a circa un km di distanza. Diede un ultimo sguardo alla sua zona, quindi si affrettò nella sua direzione con passo controllato. La trovò accucciata su dell’erba graffiata via, una piccola chiazza di sangue nel mezzo. Una lotta, forse. Lei lo osservò con i suoi occhi che superavano il visore oscurato. Sollevò la mancina unendo pollice e indice in un cerchio mentre puntava indistintamente davanti a loro. Il nemico, chiedeva senza parlare. Animale, rispose Korin sempre con la mancina, immaginando di tenere una pallina da tennis nella mano. Era il simbolo per cane, più che di animale, ma ne avevano visti talmente tanti che poteva essere uno qualsiasi. Non era però molto sicuro della cosa. Gli animali tendevano ad essere molto puliti nelle loro uccisioni e anche quel sangue sarebbe stato leccato via. Lei pose una mano come una lama, passandola all’altezza della sua pancia. Ferito, diceva. La mosse ancora massaggiando sempre la stessa area: affamato. Possibile. Erano passate diverse ore. Loro stessi non erano più al top. I nemici potevano essere abbastanza umani da doversi nutrire e quindi era possibile che il loro uomo stesse cacciando e, inesperto, avesse fatto molto più casino di una bestia selvatica. Non era una prova definitiva, ma una pista plausibile che valeva la pena di seguire. Korin alzò la mano sinistra, a dita unite, più o meno all’altezza della spalla, spingendola poi verso il basso. Abbassiamoci, suggerì affiancando la compagna nel seguire quella pista. Dopo poco meno che un minuto proprio lei, guardando a terra verso destra, fece due rapidi gesti con la mano: pollice e indice uniti con le altre dita che puntavano in avanti, poi portò la mano in fronte, come a schermarsi dal sole. Il messaggio che voleva comunicare era chiaro: lo vedo.


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:Allerta, ma rimane il suo best day ever.
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:Nulla di più di ciò che era stato richiesto.


     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    II




    Non potete che essere certi che si tratti dell'anomalia. Appare identico a Holowitz, per come l'avete visto nelle foto del fascicolo.
    La creatura sembra però essere altrettanto efficiente nel percepire la vostra presenza, mentre i lineamenti di Holowitz tremolano e si spostano.
    Un insistente segnale di allarme e una stringa di testo sul visore bastano a distrarti per un solo istante.
    È sufficiente. La creatura si muove fulminea, molto più di quanto ti potresti aspettare da un normale essere vivente. Veloce quanto potresti esserlo tu bruciando il tuo cosmo al picco del tuo attuale potenziale.
    No, di più. Migliaia di volte più velocemente. Veloce come gli Araldi. Come quel tipo in Vietnam.
    Troppo veloce.
    Prima che tu possa reagire in alcun modo, diversi centimetri di ghiaccio sono già scivolati oltre la tuta rinforzata come se si trattasse di carta velina, penetrandoti nell'addome. Il volto del mutaforma è incredibilmente simile al tuo. Puoi vederlo bene ora che ti fissa direttamente negli occhi, la fronte quasi appoggiata al tuo casco.
    Il tuo intero campo visivo diviene opaco. Il tempo si dilata seguendo la tua frequenza cardiaca. Anche così, però, riesci a vedere che il tuo doppelganger sta sgranando gli occhi, sorpreso. Fa per voltarsi. Verso cosa? Il suo movimento sembra così... comprensibile ora. Umano.
    La sua pelle si scurisce e la linea della mandibola si fa più delicata. Oppure è una tua impressione?
    Improvvisamente si irrigidisce e il suo corpo prende a tremare, mentre una sfumatura bluastra scivola sotto pelle e appiattisce i tratti somatici della creatura, che diviene nulla più che un manichino inquietante. Si accascia a terra, gli arti smossi dagli spasmi.
    Senti le ginocchia che si piegano. Vedi solo quella scritta rossa che lampeggia nell'angolo dello schermo.

    energia cosmica rilevata


    Poi nulla.
    Ti svegli nella versione minimale e ancora più spoglia di una stanza singola di ospedale. Gli accessi venosi sono stati rimossi da poco, stando al fastidio dalle parti del gomito. Sull'addome hai una specie di grossa benda elastica compressiva. La pelle è praticamente intatta, leggermente biancastra dove è stato chiaramente fatto un impianto di tessuto.
    Entro pochi minuti dal tuo risveglio il personale sanitario ti dà rapide e sommarie indicazioni sull'intervento subito in cui sospetti che abbiano utilizzato GRADO-158 o derivati, data la rapidità della guarigione; quindi un agente procede al de-briefing sulla missione, a tutti gli effetti un successo. Ti dice che sei salvo grazie agli ottimi riflessi del tuo partner, ma non aggiunge altro. Forse non è autorizzato a parlare di cosa sia veramente successo o forse non lo sa, essendo solo un passacarte.

    -

    3 giorni dopo
    base temporanea T081
    monte cervino


    Il caposquadra ha appena finito di illustrare il percorso che seguirete per arrivare sul sito. La tuta standard che portate stavolta non ha alcun contrassegno né strumentazione nei guanti. Perfino i caschi - allineati vicino alla porta di sicurezza in tre file da due, uno per ciascuno di voi - sono versioni leggere che lasciano vagamente intuire chi stia dall'altra parte della visiera: la loro unica funzione è quella di comunicatori su due canali audio/video. Tutti gli altri strumenti saranno a disposizione per i tre ricercatori in un laboratorio montato direttamente all'interno del sito. La vostra meta vi aspetta a circa mezz'ora di cammino sul fianco scosceso della montagna. State per uscire nella fredda aria alpina.
    Mentre ti guardi intorno, noti qualcuno. Stando al casco che sta recuperando dalla rastrelliera, è il compagno assegnato a te per i turni di guardi a in coppia. Ti sorride, ma la prima cosa su cui cade il tuo occhio è un segno fatto con tre dita della mano destra. Vittoria più pollice.
    La sua pelle è di un caldo color caramello, i lineamenti morbidi tipici della valle dell'Indo. I capelli della ragazza sono di un nero lucente e raccolti in una stretta coda assicurata dietro la nuca.
    Gli occhi dello stesso colore brillano per un attimo incrociando il tuo sguardo.
    Li hai già visti.

    -



    GRADO-633: è identificato come lo spazio quadrimensionale corrispondente a un monastero di clausura del XI secolo, Notre Dame du Cervin, compresi i chioschi e le sezioni sotterranee. Fu affidato all'ordine delle Recluse, un gruppo piccolo e non affiliato ai maggiori protettorati del Vaticano. Situato sul fianco della montagna a un'altitudine di 2368m, il complesso è inaccessibile tramite normali strade e sentieri montani. Nei tempi di massima prosperità, l'unico collegamento con il mondo esterno era rappresentato da una scaletta di corda calata dall'interno solo in caso dell'arrivo di novizie. I rifornimenti e in generale gli scambi avvenivano tramite piccoli recipienti, anch'essi calati per decine di metri dalle aperture più basse, altrimenti a strapiombo sui crepacci montani. Gli incidenti legati a questo peculiare sistema di trasporto durante i (complessivi) 322 anni di attività del convento sono stati 37. Il convento risulta ufficialmente chiuso dal 1404, stando alla data della bolla papale emessa da Bonifacio IX in cui veniva decretato lo scioglimento dell'ordine (ufficialmente per motivi ignoti, vedi Allegato 13), ma ha continuato a ospitare le monache fino alla morte dell'ultima di esse, Madre Yseult, avvenuta nel 1456 all'età di 66 anni. La stessa Yseult ha mantenuto quotidianamente un diario di annotazioni personali, che si interrompe nel giugno 1456 decretando la fine ufficiosa delle Recluse.
  9. Nota1: nella cripta sono sepolte tutte le 127 monache che hanno fatto parte del piccolo ordine, dalla fondatrice fino a Madre Yseult, sepolta qui dopo che il suo corpo naturalmente mummificato fu rinvenuto in sito dalla prima spedizione GRADO (vedi Allegato 11).

  10. Attualmente il sito è chiuso e reso inaccessibile. È stata allestita dal 1950 in poi una zona militare di facciata intorno al perimetro. Gli ingressi principali usati per gli scambi tra l'esterno e l'interno sono stati sigillati (permessi concessi per la temporanea rimozione in caso di studio del sito). La documentazione storica sulle Recluse è stata eliminata dai registri pubblici ufficiali. [...]

    Il monastero è stato per l'intera durata della sua occupazione il fulcro europeo della produzione e vendita di false reliquie appartenenti alla tradizione giudeo-cristiana.
  11. Nota4: Gli archivi contengono riferimenti ad artefatti ben noti alle grandi masse. Uno degli esempi più notevoli è rappresentato da un'annotazione di fine 1351 che riporta l'acquisto da parte di un cavaliere, Geoffroy de Charny, di un'opera in lino dipinta con sangue e pigmenti vari tra cui ocra e cinabro..

  12. Le reliquie create presso il monastero hanno rivelato attraverso i secoli diversi tipi di peculiarità anomale ed effetti sull'essere umano, compresi ma non limitati a: allungamento della vita del detentore tenendo l'oggetto a contatto, ossessione, follia, comparsa di piaghe tipo stigmate, repulsione nei confronti di simboli sacri, materializzazione di oggetti come chiodi o spine dal cavo orale, conoscenza di lingue morte, conoscenza dell'inconoscibile, voci multiple.
    Le reliquie registrate negli archivi sono state identificate, tracciate e sostituite laddove ve ne fosse necessità con copie innocue. Delle restanti, solo due esemplari sono stati sigillati e contenuti in cassette di sicurezza del sito SU576, mentre gli altri sono stati distrutti in seguito a studi esaustivi.
  13. Nota5: I fenomeni anomali legati alle reliquie sembrano riproducibili se si tenta di creare lo stesso oggetto o un altro ragionevolmente simile all'interno delle mura del convento. (tale reazione va studiata e testata in ambiente favorevole) add: Contattare un sigillatore esperto per prove sul campo? - R.


  14. 6vgdAlI



    Note Master:

    Bene, guarda chi ti trovi di nuovo. Altra missione per Korin. Stavolta tu e una piccola squadra di 6 uomini accompagnate 3 ricercatori affinché possano studiare in sicurezza un sito. Il vostro compito è monitorare i test a turni, per il resto avete tempo libero da trascorrere nella base temporanea interna al sito (prefabbricati con brande nel cortiletto interno). Ovviamente non è compito vostro quello di fare esperimenti. Avete due giorni di interazioni libere. Se vuoi riportare dialoghi diretti o indiretti con la ragazza, le sue risposte te le do io per mp.
    Se hai dubbi, per una volta puoi gioire: il documento è secretato, ma stavolta hai gli accessi del caso.




    Edited by Him3ros - 10/2/2023, 12:54
     
    Top
    .
  15.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera12
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG# 2

    DESCRIPTION:

    Fallimento. Delusione. Sconforto. Il soffitto sconosciuto era diventato ricettacolo di ogni emozione che trasudava dal suo corpo in via di guarigione mentre la mente proiettava su di esso, ancora e ancora, quella terribile scena. Scavava nella memoria mentre l'ufficiale rileggeva la lettera di pensionamento, mentre il cruento e sfocato video dell'assassinio andava in loop, mentre i dati dell'anomalia a cui davano la caccia scorrevano a schermo. Doveva esserci un particolare cruciale che gli era sfuggito, qualcosa a cui aveva dato poco peso. I dati erano incompleti per quell’anomalia appena scoperta, era vero, e il suo caso aveva aggiunto un tassello importante nella sua compilazione, ma a che prezzo? L'umiliazione bruciava tante volte più forte di quanto tirassero i punti che andavano a ricucire muscoli e pelle. Non importava che la missione fosse stata un successo per i suoi 19 compagni e il sito tutto, lui aveva fallito nel modo peggiore in cui si potesse fallire. Non aveva fatto nulla. Era stato solo un peso. Si era fatto letteralmente aprire in due sia mentalmente sia fisicamente. Aveva lasciato che l'anomalia copiasse il suo aspetto e i suoi poteri per poi usarli contro di lui e ora probabilmente contro il sito tutto.

    Tentò di girarsi sul fianco, dando le spalle alla porta aperta dietro la quale chi di dovere continuava a far avanti indietro, ma un acuto dolore lo costrinse nuovamente pancia all’aria a guardare quello schermo bianco pregno della sua inadeguatezza. L’anomalia era stata così veloce, troppo. Era come se avesse copiato la versione di lui che era sotto l'influenza di G.E.A. che ne sosteneva il cosmo. O forse aveva copiato il suo aspetto e i suoi poteri, ma la potenza cosmica di qualche altro mostro da lui incontrato che fosse un Caduto o Alman stesso. I vertici GRADO avevano fatto mascherare tutti loro per evitare che l'anomalia li copiasse, ed era stato tutto inutile. Quelle protezioni erano state bypassate come nemmeno ci fossero. Nella sua mente era stato cauto nell’evitare di usare i propri poteri per evitare che potessero essere replicati, ma lo erano stati in ogni caso. Aveva sbagliato.

    Allungò lo sguardo verso la porta, sperando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Quel sito poteva essere in fermento perché ora vi era una anomalia con una potenza cosmica inaudita da tenere a bada. Ed era colpa sua. La sua sola presenza in quella missione poteva aver trasformato una classificazione Euclid in un Keter, se non peggio. E tutto quello che era riuscito a fare era condannarli, svenire e farsi salvare da altri. Bell'eroe, grande Custode di Thule! Avevano ragione a fargli fare il semplice fermacarte al Grande Tempio. Aveva fatto schifo. Aveva preso come assunto qualcosa che non era vero e ne aveva pagato le conseguenze. Tutti loro stavano pagando.
    Il simbolo della promessa fatta ad Alman brillava debolmente dal ciondolo dell’armatura abbandonato sul mobilio al suo fianco. Quanto disastroso sarebbe stato il mondo se il Fondatore e i suoi avi avessero fatto lo stesso, stupido, banale, errore?

    Sarebbe cambiato qualcosa se avesse usato il cosmo fin dall’inizio? Forse avrebbe avuto un attimo di prontezza in più, anche solo per fare da distrazione per il suo compagno che…
    Ma chi voleva prendere in giro? Non avrebbe potuto nulla contro Sanya né i Daimon, veri o finti che fossero, quindi non avrebbe fatto altro che fare la stessa ignobile fine contro quell’anomalia che ne copiava la velocità. A conti fatti era stato un bene che l’anomalia non avesse copiato dai suoi ricordi anche l’armatura. Sarebbe stato impossibile fermarla altrimenti.

    Forse… Forse avevano sbagliato dalla GRADO a mandare lui. Se ci fosse stato un team di soli umani che non avevano mai avuto a che fare col cosmo allora l’anomalia non avrebbe potuto copiare qualcosa che non c’era e sarebbe stata contenuta più facilmente. Certo, non avrebbero scoperto quella sua abilità peculiare che a sua volta avrebbe potuto provocare qualcosa di peggiore in futuro se messa di fronte ad un cosmodotato. Sarebbe stata una fortuna nella più disastrosa sfortuna.
    Era stata una vera fortuna che la sua partner non fosse stata attaccata, che avesse avuto i riflessi per reagire… i riflessi? Era stata veloce in effetti. O forse ne aveva avuto l’opportunità quando l’anomalia era sembrata più umana dopo che lui era stato colpito. Ma perché l’anomalia avrebbe smesso di usare l’abilità cosmica acquisita? L’aveva persa nel colpirlo? L’aveva persa quando lui stava svenendo? In effetti… forse ricordava male, non stava già cambiando i suoi tratti subito dopo averlo colpito?
    Forse, bene nel male, aveva eseguito il suo compito da diversivo. O forse la sua compagna era una cosmodotata migliore di lui. Forse l’anomalia aveva preso l’aspetto di uno e la rapidità dell’altra. Però non l’aveva vista usare i suoi poteri durante la missione. Magari anche lei aveva fatto il suo stesso ragionamento? Potevano davvero aver affiancato due cosmodotati? O magari lo erano tutti e venti?

    Che importava adesso? Nessuno gli avrebbe dato le risposte che cercava. Come sempre del resto. La missione era finita, il team sciolto. Non era più qualcosa che gli competeva. Uscito da quella stanza lo avrebbero rispedito come pacco postale al Grande Tempio. Fine della storia.

    O forse no.
    Il terzo giorno di ricovero, l’ultimo in cui rimaneva in osservazione per una ferita ormai cicatrizzata, ricevette la notizia del suo nuovo ingaggio con inizio il giorno seguente. Era un’altra missione a così poca distanza temporale dalla prima e non avrebbe saputo decidersi sul suo essere manna dal cielo o un incubo. Un regalo perché finalmente avrebbe avuto qualcosa su cui concentrarsi che non fosse il dirsi dietro dalla mattina alla sera, ma allo stesso tempo era incredibile che si fidassero ancora ad averlo attorno dopo quello che aveva, o meglio non aveva, fatto. Passò quella giornata a studiare i dati della prossima anomalia con la quale avrebbe avuto a che fare: un monastero abitato da suore, poi chiuso e messo sotto sequestro dalla GRADO, dove venivano prodotti artefatti pseudo religiosi con poteri anomali. Il suo compito sarebbe stato stare di guardia mentre chi di dovere compieva una serie di esperimenti. Sembrava una cosa molto semplice, soprattutto andava a toccare un’anomalia Safe contenuta e conosciuta.
    Non importava che la categorizzazione GRADO indicasse quanto facile o meno una anomalia fosse da contenere piuttosto che quanto pericolosa fosse, per quel poco che leggeva quella missione sembrava un passo indietro rispetto alla precedente.

    Il documento consegnatogli diceva molto di più, con diverse parti censurate alcune delle quali resegli accessibili. Faceva quasi strano, per una volta, poter leggere oltre l’inchiostro nero. Che poi era una censura un po’ strana visto che non sembrava molto sensato nascondere il secolo di appartenenza di una struttura o il nome del papa incarica all’epoca. A che serviva nascondere tali informazioni? Papa Bonifacio Nono mica era una anomalia a sua volta… no? Certo dal papa si poteva risalire all’anno, ma secolo più o secolo meno non cambiava la storia. Alcune note avevano ben più senso di essere private prima che al primo lettore causale venisse la voglia di fondare nuove religioni o di farsi ricco con false reliquie anomale. Come sempre si risolveva tutto nel motto non ufficiale numero tre della Fondazione ovvero mai farsi domande.
    Una nota segretata però attirò particolarmente la sua attenzione. Chi l’aveva compilata, un individuo che si firmava come R, lettera casuale che poteva anche stare semplicemente per ricercatore, richiedeva espressamente un sigillatore esperto per analizzare tutta la vicenda. Sorrise, esperto diceva la nota. Decisamente non si riferiva a lui che dell’arte dei sigilli aveva a malapena scrostato la punta dell’iceberg, ma forse era una motivazione sufficiente a farlo ingaggiare nonostante la disastrosa prova precedente. Sulla carta quella risultava di nuovo come una missione facile. Lui e altri cinque compagni, nuovamente divisi a coppie, si sarebbero alternati per fare da bodyguard a tre scienziati mentre questi studiavano un monastero e i misteri che lo circondavano. Nulla di che, anzi sembrava ancora meno articolata della missione precedente, ma se questa gli aveva insegnato qualcosa era che non era il caso di abbassare la guardia troppo presto, soprattutto attorno ad una struttura produci-anomalie che rendono folli.



    Stava preparandosi con gli altri, casco sotto braccio, prestando attenzione all’ufficiale di turno che illustrava loro il percorso per il monastero abbarbicato sulla montagna. Era un sentiero nascosto, forse anche con poteri cosmici, che tagliava anche per un tratto cavernoso per qualche metro e che dava sul terreno più scosceso per altri; non una bella situazione in cui essere con borse e zaini carichi di strumentazione, ma non era nulla di impossibile con un po’ di pratica e lavoro di squadra. Il suo sguardo fu però attirato da un altro dei soldati ingaggiati, una ragazza per la precisione, che per prima lo salutò con un gesto molto familiare della mancina. Sembrava sorridente nel vederlo, ma Korin non si sentì di contraccambiare tanta allegria, anzi, il solo fatto di vedere quel simbolo lo mise a disagio. Perché fra tutti quelli richiamati all’ordine doveva esserci proprio la persona che lo aveva visto fallire così platealmente? Non solo, come sale su una ferita ancora aperta lei era stata nuovamente assegnatagli come partner. Contraccambiò il gesto in maniera molto rapida e mesta, prima di indossare il casco, come se questi potesse nascondere il suo senso di inadeguatezza nonostante il visore fosse molto meno oscurante rispetto alla missione precedente. Non avrebbe fatto lo stesso banale errore. Non si sarebbe fatto prendere alla sprovvista nello stesso stupido modo. Non vi era nemmeno anonimato per quella missione, quindi non si sentiva nemmeno in colpa nel lasciar scorrere libero il cosmo. Non lo avrebbe usato se non ce ne fosse stata la necessità, ma voleva averlo bruciante, voleva poter reagire in tempo ad un nuovo stupidissimo attacco glaciale di una sua controparte malvagia. Le tinte bluastre della sua metacritica andarono a brillare attorno alla strumentazione dei suoi compagni, non tanto a loro come persone. Brillavano certo, ma questo indicava solo che erano fatti di cosmo in maniera non diversa da ogni altro essere sulla terra, nulla di più. Le loro armi invece, quelle avevano una sorta di energia in loro, non propriamente cosmica, ma toccavano frequenze similari. Forse agivano come i nuclei delle steel cloth che regolate su una determinata frequenza permettevano a chi le impugnava di avere accesso a determinati poteri. Diamine quanto gli mancavano quei giorni. Era tutto più… semplice. Si soffermò sulla sua compagna osservandola con la coda dell’occhio per evitare di farsi notare troppo. Era umana, nulla di più, il che significava che quella anomalia bluastra aveva davvero calato le sue difese, o incapace ad usarle, non era stato abbastanza pronto per l’arrivo di lei. Erano stati solo fortunati.

    Il viaggio fu tutto sommato tranquillo, ma arrivarono alla base di copertura con qualche minuto di ritardo rispetto alla tabella di marcia, complice un passaggio particolarmente stretto con terreno franante, punto di cui presero nota per poi riferirlo a chi di dovere affinché venissero prese precauzioni.
    Durante il cammino non gli fu possibile evitare di inquadrare la sua partner diverse volte, che fosse per un passaggio di consegne o perché semplicemente lo sguardo cadeva sulla sua figura che marciava non molto distante da lui. Fuggiva ogni volta che poteva, ora fissando a caso il cielo, sempre importante tenerlo d’occhio in ambito montano, o trovando particolarmente interessante la chiazza di fango sugli scarponi dell’agente davanti. Era ben cosciente che non avrebbe potuto evitarla per sempre, ma avrebbe affrontato quel problema più tardi, magari in un momento di pausa in cui erano solo loro due. Sarebbe stato decisamente meno imbarazzante che parlare di fronte a tutti gli altri che potevano, come non, sapere di quanto successo.

    Le prime ore al campo furono molto tranquille tra il check generale del monastero e di tutte le apparecchiature ivi contenute. La struttura sembrava così piccola dall’esterno, anche guardandola svettare dal basso, eppure una volta raggiunta tramite un ascensore costruito affianco alla vecchia puleggia che consentiva alle suore l’entrata, e varcata la soglia, si ci trovava in una struttura moderatamente grande, con tanto di un cortile interno e di una cappella ancora intatta con vetri e rappresentazioni sacre. Sembrava quasi un piccolo forte medievaleggiante ricolmo di croci e altri simboli sacri. Non era religioso, o meglio quella religione non era nulla per lui, ma l’aria dentro al monastero era decisamente diversa, solenne, sacrale. Era esattamente come entrare in un tempio, e doversi confrontare con un mondo più vasto. Era un effetto inconscio che lo fece sentire piccolo di fronte ad un più grande divino misterioso, una cosa che non aveva mai provano né al Grande Tempio che ospitava la Dea Atena in persona, né davanti ad alcun Daimon, creature alla base di quasi ogni religione umana. Girarono per l’intero monastero cercando di orientarsi, confrontandolo le mappe con le precedenti per verificare che combaciassero. Visitare la cripta fu tutt’altra storia: perfino il suo cosmo retrocedette, come a lasciar spazio al soprannaturale che ivi albergava. Sperò con tutto il cuore di non dover compiere esperimenti lì sotto, non voleva metterci piede. Non era paura, non gli faceva senso vedere scaffali con corpi mummificati chiusi dietro a lastroni di roccia, semplicemente non era giusto disturbare il sonno degli spiriti camminando su mattoni che premevano sui loro corpi sepolti. Uscire da lì sotto fu senza dubbio il momento migliore di quell’ispezione. Infine visionarono il cortile interno del monastero che con il suo porticato collegava quasi tutte le stanze fra loro. Risultava praticamente invisibile dall’esterno, mentre dall’interno mostrava svariati metri quadri di spazio di erba verde e rigogliosa, un pozzo per estrarre l’acqua, ed un piccolo angolino che nel passato doveva essere stato devoluto a orto per delle erbe aromatiche o simili. Proprio qui la GRADO aveva piazzato dei piccoli prefabbricati atti ad ospitare le minime necessità abitative tra cui una sala grande dove mangiare o preparare i pasti, dei bagni e delle camere. Per il tempo in cui non erano in azione erano costretti lì dentro pur di non rovinare un qualsiasi esperimento stesse avvenendo al contempo.

    Controllata la struttura e sistemata l’attrezzatura, i primi due scienziati iniziarono il loro lavoro sorvegliati dal primo team mentre tutti gli altri, troppo freschi per mettersi a riposare, sarebbero rimasti in attesa negli spazi a loro adibiti. Avrebbero fatto pause e quindi cambi di guardia alle 12, alle 20 e di nuovo alle 4, dividendo così anche le ore di occupazione a testa. Era un po’ triste che gli scienziati che lavoravano sempre a coppie dovessero sorbirsi 16 ore filate, un ciclo ben più martoriante di quello delle guardie lungo la metà e probabilmente anche più bisognoso di rigore e prontezza mentale. Loro soldati dovevano essere pronti in ogni momento a qualsiasi evenienza, certo, ma gli scienziati erano la causa di quell’ evenienza: un loro buon lavoro poteva completamente arginare la necessità di forze armate che li sorvegliassero.

    Aspettare il proprio turno era snervante, soprattutto per lui e la sua partner assegnati all’ultimo ciclo della giornata. La cosa più sensata sarebbe stata mettersi a letto a dormire così da passare velocemente il tempo ed essere freschi per quando necessario, ma non poteva, non dopo i tre giorni precedenti passati a fare la stessa identica cosa. Poteva mettersi a giocare a carte o leggere uno dei libri presenti o guardare qualche filmato, ma non ne aveva voglia, oziare non era da lui. Avrebbe potuto fare del moto, ma non c'era così tanto spazio fra quelle mura. Avrebbe preferito farsi lui le sedici, anche ventiquattro ore filate piuttosto che rimanere lì a fissare di nuovo un soffitto sconosciuto solo per proiettarci di nuovo i propri caotici pensieri e le insicurezze;
    tanto valeva affrontarle una volta per tutte prima che loro si cibassero di lui.
    « Posso parlarti in privato? » Chiese alla sua compagna di missione che stava preparandosi una cioccolata calda alla macchinetta dispensa bevande. Non era una cattiva idea visto che faceva un freddo barbino a quell’altezza e, sebbene le stufe delle GRADO facessero un ottimo lavoro nel regolare la temperatura intera, era sempre piacevole gustare qualcosa di caldo.
    L’avrebbe portata in una stanza da letto, chiudendo la porta in modo da isolare le loro parole dall’esterno e abbassando ulteriormente la voce per evitare che gli altri potessero ascoltarli. Si appoggiò al muro più lontano dalla porta, quasi volesse mettersi nelle condizioni più idonee per non poter scappare, dando al contempo la possibilità a lei di farlo, che, nonostante la situazione potesse non promettere nulla di buono, sembrava abbastanza tranquilla. « Ascolta io… io volevo… si insomma…» Un respiro e ripartì: « Grazie per aver portato a termine la scorsa missione. Hai avuto dei buoni riflessi. Volevo sapere se potessimo parlarne. Mi piacerebbe sapere cos’è successo dopo che quella cosa mi ha colpito. Quella anomalia era così veloce, cosmo certo, ma come l'hai fermata? L'hai taserata quando era concentrata su di me? Ricordo di averla vista tipo irrigidirsi e tornare blu, credo. Non lo so, era tutto così offuscato. Comunque non mi sono ancora presentato. Sono Korin. » La ragazza, presentatasi come Amara, nome in codice Exile, si sedette sulla branda più vicina sorseggiando la bevanda, e probabilmente scottandosi anche la lingua a giudicare dal viso subito dopo.
    « Non devi ringraziarmi. Ho solo fatto il mio lavoro. Non l'ho visto spostarsi. È semplicemente comparso davanti a te e ho reagito d'istinto. Sai, il vecchio "mira e spara"... e vista la distanza non ho dovuto nemmeno mirare, a dire il vero. Non so per quale motivo si sia impalato lì se poteva davvero muoversi tanto velocemente. Direi che abbiamo avuto fortuna. »
    Fortuna, di nuovo lei, tanta, anche troppa per gli standard a cui era abituato. Dopo aver manifestato il cosmo ed essersi liberato del pericolo più grande, semplicemente aveva cessato di usarlo, forse perché non necessario, o forse perché il suo principio di svenimento lo aveva mandato in tilt. Mah, non era compito suo capire e gli avrebbe fumato il cervello a pensarci troppo. Erano stati fortunati, lei l’aveva colpito e affondato trasformandolo in una bambola del crash test bluastra svenuta sul pavimento, quella era l’unica cosa importante. « Quando ho capito cosa diamine fosse successo ho cercato di fermare l'emorragia, ma ho fatto appena in tempo a tamponare la ferita prima che ci raggiungesse la squadra di soccorso. A quanto pare eravamo monitorati molto da vicino. Devono tenere parecchio a te, eh? » Ecco la stangata, era certo che prima o poi sarebbe arrivata un'altra di quelle affermazioni capaci di metterlo ancora più in soggezione. «Nah, probabilmente seguivano tutti. Magari sono l’unico a cui è effettivamente servito.» Cercò istantaneamente di difendersi. Non poteva sopportare l’idea di essere trattato diversamente da ogni altro agente. Non era venuto lì come Custode di Thule, cosa che comunque non giustificava il maggior riguardo, ma come semplice soldato, uno fra tanti, non diverso da Exile, da Stenson, o da un qualsiasi altro membro della GRADO. L’avere il cosmo lo separava da loro, lo rendeva un mostro, e l’avere una frequenza cosmica così vicina a quella di Alman lo rendeva un mostro più unico che raro, ma non era una giustificazione sufficiente a trattarlo diversamente.
    « Piuttosto, non volevo essere invadente. Prima ti ho salutato perché mi fa piacere vederti in salute. Quando hanno messo tutti in sicurezza, dopo averci testati, hanno rimosso il tuo casco per rianimarti e ti ho riconosciuto. Poco fa... beh, non mi aspettavo di rivederti così presto, è stata una bella sorpresa. È strano che vengano scelti gli stessi partner in missioni consecutive, al di fuori delle squadre speciali sopra il livello 6. » « Ma ci mancherebbe, ero solo concentrato su altro… e poi stavo pensando la stessa cosa. » Non era infattibile reclutare gli stessi agenti per una missione, ma erano eventi molto rari per squadre non consolidate. Il loro caso poteva essere voluto? O era forse una casualità e avevano solo reclutato tra gli agenti liberi più vicini? Qualcosa lo faceva propendere per un fatto voluto nel peggiore dei modi, quasi a sottolineare ancora una volta quel fallimento. Nonostante tutto però Exile non glielo fece pesare, anzi, l’aveva presa come se fosse qualcosa che poteva succedere, e non avrebbe avuto torto se non fosse stato un cosmodotato. Era evidente che lei non sapesse e lui non avrebbe passato del tempo a rovinare il suo, finto, anonimato, almeno per il momento. La tranquillità di lei nell’affrontare l’argomento gli fece abbassare la guardia, complice anche la voce molto calda e rilassante, piacevole. Come allontanò un pensiero negativo però uno nuovo prese il suo posto. Quelle fattezze, il colore della pelle, la forma del viso… non è che l’aveva già incontrata? Non la conosceva prima, di questo era certo, ma c’era qualcosa nel suo viso che sembrava familiare. Era certo di averla già vista, anche solo allo stesso panificio a Rodorio, ma da qualche parte era certo di averla incrociata. Magari a Rodorio no, ma per qualche corridoio GRADO? Al 34? No. Al 20? No, di certo. In qualche base random in cui era passato? Possibile, ma come andava a ripescare quale? Nah, forse era solo una sua sensazione.

    Al ritorno nella sala comune avrebbe giurato di sentire gli altri due agenti in stand by ridacchiare riguardo a quanto poco ci avesse messo, ma decise di lasciar correre come se quel commento non fosse mai esistito. Come poteva qualcuno anche solo lontanamente pensare di portarsi uno sconosciuto, per quanto grazioso, a letto? Erano momenti speciali, intimi, non si poteva fare cose con una persona di cui a stento sapeva il nome e che avrebbe visto quella missione e mai più. Exile parve non aver udito la cosa, o come lui aveva completamente ignorato i due, piuttosto sedendosi sul divanetto, sorseggiando ancora la cioccolata e gustandosi un libro dalla copertina rossa smunta e senza titolo che spiccava per anonimità tra quelli presenti nella libreria. Ogni pagina era un disegno fatto a mano da un artista decisamente in gamba con una penna a sfera e ritraeva delle possibili scene di vita quotidiana al convento. C'erano le suore intente a cucinare, a curare il giardino, a prendere l'acqua. C'erano scene dedicate al professare la loro religione in quella che era la cappella in costruzione, o anche il loro scavare una cripta per una sorella defunta. Una scena particolarmente divertente ritraeva il possibile ingresso al convento di una nuova sorella, il cui volto spaventato in primissimo piano descriveva al meglio il tormento che doveva essere stato ascendere a quel luogo attaccandosi ad una fune per metri e metri. Ogni tanto l'artista lasciava qualche commento al proprio disegno o appunti su altre idee. Si soffermava su precisi particolari nel disegno che davano un senso al tutto rendendo le scene più vive. Su una pagina aveva anche scritto una lunga discussione di come gli avessero addirittura censurato lo sketch di una possibile suora che lavorava ad una anomalia. Alla lunga il manoscritto divenne fonte di dibattito sulla paura, sul passato, sugli animali, sulla somiglianza tra quelle suore di clausura e il mondo odierno, sul proprio lavoro di attesa che altrettanto noioso doveva aver portato anche l'autore a fare quei disegni.



    Quando finalmente toccò a lui ed Exile si sentiva già molto più rilassato di quando era iniziato tutto. Non era ancora completamente a suo agio, con quel tarlo che continuamente rosicchiava la cicatrice quasi sparita, ma il dover effettivamente lavorare lo avrebbe potuto mettere definitivamente a tacere. Non importava che dovessero anche solo stare in piedi a braccia conserte a visionare due uomini parlare ad una radiolina e trascrivere informazioni su qualunque cosa stessero per fare, prendendo altresì nota dei risultati, era meglio che non fare nulla e pensare ancora e ancora al fallimento precedente o a dove mai avrebbe potuto incontrare la ragazza.
    Era strano osservare due uomini prendere le misure di un tavolo, analizzarne il materiale, datarne la manifattura, prenderne la temperatura, o la conducibilità elettrica, testarlo a contatto con cose chimiche dai nomi più assurdi, il tutto mentre sentiva blaterare in quello che per lui era un linguaggio del tutto ignoto. C’era una base di inglese nel loro scienziatese, ma era una base così esigua che per le sue conoscenze elementari potevano benissimo star parlando la lingua dei Daimon ed era la stessa cosa. Il suo unico compito era rimanere lì, a fissare altri fare cose incomprensibili e parzialmente stupide come prendere la temperatura di un tavolo, cercando di anticipare quando quelle incomprensibilità diventavano pericolose, braccia conserte perché anche un solo movimento poteva inquinare il risultato di un dato esperimento, a volte anche senza respirare per non cambiare la composizione termo-umida del luogo, e senza emettere una singola parola. Fare la statua in quel modo avrebbe potuto annoiare chiunque, ma era sempre meglio che girarsi i pollici come aveva fatto le sedici ore precedenti. In un certo senso ricordava vagamente i giri di ronda che usava dare al 34, quando ancora era un soldato semplice e il peggio che poteva capitare era il dover dare l’allarme per uno spostamento in massa di corrotti, sperando di sopravvivere abbastanza a lungo per farlo, e chiedersi se dopo quella giornata avrebbe ottenuto abbastanza “punti fedeltà” dal poter dare una sbirciatina alla fatidica camera di contenimento dove supponeva fosse rinchiusa sua madre. E i punti non erano mai stati abbastanza. I benefit dall’essere steel saint nemmeno gli avevano concesso di tornare al 34, figurarsi di sapere di lei. Da quando era Custode di Thule poi non aveva fatto altro che allontanarsi sempre di più dalla Cina. Rivederla o anche solo sapere se fosse viva o se fosse stata terminata era il motore per tutto quello che era successo, una speranza che andava affievolendosi sempre più man mano che il tempo passava. Poteva anche essere stato solo una bugia dettagli per farlo stare buono, un miraggio che non sarebbe mai stato realizzabile. Eppure l’idea che lei fosse ancora viva, seppur corrotta, era rassicurante. Magari studiando un esemplare di corrotto in fase di gestazione si poteva trovare una cura alla malattia di Ponto, un modo per far tornare la non vita nel ciclo di nascita e morte. Era lo stesso ragionamento che seguiva lui in piccolo nello studiare i sigilli di purificazione. Se tutto è cosmo, e una purificazione può ripristinare il corretto scorrere di questo cosmo, non poteva magari un sigillo di purificazione particolarmente efficace rimuovere lo stato di corrotto? Atena prima e G.E.A. poi avevano dimostrato la possibilità di un sigillo che tenesse lontana la corruzione, quindi il particolare che definiva lo stato di corrotto era stato scoperto. Se avesse potuto mettere mano a quella singola stringa di codice, sintetizzarla senza intervento divino, individuare la differenza tra quella e umano, capirne il funzionamento di entrambe e quindi forzare il distacco tra umano e corruzione avrebbe forse potuto riportare alla vita ciò che non lo era più.
    Era una ricerca che andava avanti da tempo e non aveva portato a nulla. Gli mancavano troppe nozioni e non c’era anima viva o morta che potesse dargliele. Non sapeva di nessun sigillatore che avesse scomposto i flussi cosmici primi che costituivano un umano, figurarsi quelli di un corrotto che solo la sua generazione conosceva. Era una sfida in salita. Non sapeva nemmeno se la sua teoria era corretta, se Atena e G.E.A. avessero davvero conoscenza della chiave “corrotto”. Potevano anche avere eretto scudi basati sul riconoscere determinate frequenze cosmiche, escludendo chi non le aveva.

    I due scienziati cominciarono quindi a parlare di fare ulteriori test preparatori atti alla creazione della copia di una reliquia che loro chiamavano il Velo della Veronica di cui già esistevano varie versioni e dove la possessione dell’originale era contesa da molte città nel periodo pre-armaggeddon. Erano tutti falsi innocui ovviamente, ma era possibile che le molte sue copie erano state prodotte proprio in quel monastero, in quello stesso studio e su quello stesso tavolo. Iniziarono quindi a testare un panno di lino registrandone ogni possibile proprietà, bagnandolo, asciugandolo, elettrificandolo, bruciandolo, qualunque cosa anche apparentemente insensata pur di verificare la sua non anomalia. Nel non capirci nulla dei loro, assurdi, studi la mente cominciò nuovamente a vagare domandandosi se sua madre, ammesso fosse ancora viva, fosse studiata nello stesso modo con test identici che si ripetevano giorno dopo giorno. Quanti campioni della sua pelle avrebbero potuto prelevare in tutti quegli anni? Quanto sangue, capelli, unghie ed ogni altra cosa poteva essere in loro possesso? E in quel processo lei era senziente? Sapeva cosa le stavano facendo per il bene suo e forse del mondo intero? Era consenziente a tutto quell’infinito susseguirsi di test?
    Nel vedere come stavano trattando quel povero tessuto inerme si chiese se fosse proprio quello il motivo per cui non aveva mai avuto la possibilità di vederla. Magari non era diventata un mostro come quelli che prendeva a pugni ogni giorno, ma semplicemente era un’ombra di sé stessa, irriconoscibilmente trasfigurata non solo dalla maledizione di Ponto, ma dagli esperimenti stessi. Il piccolo Longwei non avrebbe capito l’utilità di quelle torture, esattamente come lasciavano perplesso il più grande Korin. Nel vedere una cosa simile fatta ad un proprio caro non si poteva che aizzarsi contro i cattivoni che la stavano sottoponendo a quelle torture. Come si poteva sciogliere una persona nell’acido, o vederla stirata e sbattuta come quel povero tessuto bianco, e rimanere inermi?

    Scosse la testa cercando di allontanare quell’ennesimo infausto pensiero e lo sguardo cadde nuovamente sulla sua compagna. Un'uniforme della Fondazione, completa di protezioni e un casco per operazioni standard, un visore copriva occhi neri profondissimi e una carnagione color caramello… Un deja vu. Ovvio, aveva già visto quella persona, ma in quel momento, voltandosi verso di lei realizzò anche dove. Non l’aveva mai vista in prima persona, qualcuno gliela aveva mostrata tramite poteri cosmici. Una visione, una con sfondo vietnamita. Una ragazza che era con lui in quello strano mondo distorto bluastro, una che pareva in combutta con il finto Daimon in nero. Dopo la visione quella tipa gli aveva anche detto qualcosa a riguardo: aveva parlato di una scelta importante, come Custode, come umano. Un evento che avrebbe cambiato la sua vita. Era il momento presente quello a cui si riferiva? Stava per arrivare quel momento fatidico o era tutta una balla di qualcuno di inaffidabile? Poteva davvero fidarsi delle parole di quella sconosciuta e di quel finto Daimon?

    Le otto ore di lavoro volarono con un nulla di fatto per il suo modesto parere. Lui e la partner erano stati spettatori inermi di un lungo e noioso film dal quale ci si poteva aspettare qualche jumpscare che non era mai arrivato. Meglio ovviamente, ma allo stesso tempo la loro presenza sembrava quasi inutile. Diedero il cambio al duo successivo chiudendosi ognuno nella propria branda a riposare. Riposare dalla fatica? No, piuttosto era un fuggire dalla selva di pensieri che si affollavano uno dopo l’altro, tetri, orripilanti, frustranti. Non pensare, non pensare, non pensare, si ripeté al sicuro sotto una pesante coperta verde che celava la sua figura al resto del mondo. Due minuti dopo tutto tacque immergendolo nel sonno senza sogni a cui era abituato.

    Solo per venirne tirato fuori diverse ore dopo dal rumore di un’esplosione. Prima ancora di aprire completamente gli occhi già era in piedi mosso dal cosmo azzurro che lo circondava facendogli fare passi rapidi prima verso la sala comune, dove era tutto apposto tranne per la porta che stava chiudendosi da sola, e poi per lo studio dove stavano venendo condotti gli esperimenti. Era proprio lì che anche il duo in standby stava dirigendosi armato e pronto ad affrontare l’emergenza. Entrati nello studio invece che un qualche demone di chissà quale inferno o uno scienziato divenuto pazzo, trovarono chiazze d’acqua e polveri colorate sparse lungo il pavimento, parzialmente sulle pareti adiacenti, ovunque. I due scienziati e le due guardie di ruolo poi erano talmente colorati che sembrava avessero giocato a paintball o simili piuttosto che lavorare. A quanto capì più tardi, qualcosa era andato storto con l’esperimento che stavano svolgendo e i due avevano iniziato a registrare valori anomali prima di veder esplodere quel cataclisma colorato. I suoi sensi superiori non registravano nulla di cosmico nell’aria o nelle polveri, né gli strumenti restituivano gli stessi dati anomali di pochi minuti prima, come se l’anomalia si fosse dissolta proprio con l’esplosione. Restarono guardinghi per diversi minuti, aspettando un qualsivoglia ripresentarsi delle strane forze in gioco, approfittando del momento solo per documentare l’accaduto. Non accadde nulla.

    I colorati presero quel momento per andare a cambiarsi prima di tornare in forze a dare una mano alle guardie accorse per pulire quel macello. Armati di scopettoni e spazzole cominciarono a ripristinare l’ordine della sala senza esimersi dall’insultare qualche macchia particolarmente ostica, o per Korin, ricordare quanto il pulire facesse parte della sua quotidianità appena messo piede al 34. Quei bagni erano sempre da igienizzare e quei pavimenti non erano mai puliti, per non parlare dei tavoli della caffetteria sempre ricolmi di mozziconi di sigaretta e chiazze di cibo lasciate da chi avrebbe preferito non dover ingozzarsi. Era un lavoro molto più umile, ma non meno faticoso del fare il soldato o lo scienziato. Gli ultimi erano ruoli che avevano un rispetto maggiore fra quelle mura, ma non riusciva a trovare degradante il semplice fare lo spazzino. Anche la pulizia era indispensabile al corretto funzionamento di ogni cosa. Erano il grasso per degli ingranaggi che dovevano rimanere oliati.
    Pausa pranzo per tutti e via con un nuovo ciclo di lavoro che poteva riprendere in condizioni forse anche migliori di come l’avevano cominciato la prima volta. Lui e Exile in standby si misero a lavare i piatti, anche le scatole usa e getta purché venissero riciclate al meglio e in genere a mettere a posto persino la sala comune che non era nemmeno messa male. Si sdraiarono quindi, continuando le avventure disegnate, notando come da un certo punto in poi il disegno era cambiato, fattosi più grezzo, come se un’altra mano avesse ripreso il lavoro abbandonato dalla prima persona, o se lo stile di questa fosse cambiato improvvisamente. Il cambio era stato preceduto da una nota in una nuova calligrafia sconosciuta, ma diversa da ogni altra che redarguiva il primo artista sul non poter disegnare scene relative alle anomalie di quel convento, sul fatto che quei disegni venivano tolti e anche le sue lamentele e note censurate. Il superiore, si poteva intendere, aveva cercato di salvare quel piccolo gioiello artistico come poteva piuttosto che relegarlo alle fiamme di qualche inceneritore o a qualche scaffale super protetto di qualche base sconosciuta; una fine piuttosto ignobile, ma tristemente reale, dopotutto era la fine che avevano fatto fare a lui, gettandolo nel metaforico cassonetto del Santuario. Finì per aprirsi con lei, ovviamente senza rivelare le cose più censurabili. Non accennò all’armatura che portava, né ad ogni cosa legate strettamente al suo cosmo. Le rivelò solo del suo passato da steel, di come tramite esso era nato il suo cosmo, cosa impossibile da nascondere durante l’esplosione di prima, e di come ora stesse imparando a controllarlo con un maestro del Grande Tempio. Quindi si tornò punto e accapo e al suo fallimento giorni prima. Non poteva incolpare la GRADO per il loro “errore” di sottovalutare l’abilità di copia dell’anomalia. Era colpa sua che non era stato attento, che avrebbe potuto, no dovuto, tenere quella fonte attiva per ogni evenienza, per poter combattere ad armi pari in caso potesse succedere quello che effettivamente era successo. « Quindi sì, ti hanno accoppiato ad un idiota. »


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto, ma adesso ha una cicatrice uguale alla mia – NdG
    Si ma la mia è guarita, la tua si vede ancora - NdK
    STATO MENTALE:Focused
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:Ciò che era stato richiesto – parte 2
    Edit: modifica colore del parlato.
    Edit 2: rimossa la dicitura monastero quadridimensionale




    Edited by Guardian of the Sea - 28/2/2023, 20:38
     
    Top
    .
  16.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    III




    GRADO-633 - Procedure di Sicurezza: [...] nel caso si verifichi un'emergenza (breccia nel contenimento, valori energetici anomali, contaminazione, pericolo nell'integrità del sito), un allarme di Livello 2 attiverà i due agenti in standby, preallertando i due agenti off-duty. Gli agenti attivi dovranno seguire la checklist delle procedure per il Contenimento di Emergenza di Livello 2 (isolamento dell'anomalia in contenitore standard di tipo G 50x50x50 cm, isolamento temporaneo dei soggetti infetti nel container-alloggio, monitoraggio del sito). In caso di fallimento in questa fase, l'allarme passerà a Livello 3, tutti gli agenti sul posto verranno considerati attivi e dovranno seguire la checklist delle procedure per il Contenimento di Emergenza di Livello 3 (distruzione dell'anomalia tramite detonazione dei contenitori standard di tipo G 50x50x50 cm, terminazione dei soggetti infetti non isolabili, chiusura del sito, abbandono dello stesso).

    -

    Ogni tanto vorrei potermi dimenticare di manuali, procedure e protocolli, ma mi sembra di averli incisi nel DNA.

    Exile non riesce a prendere sonno. Sta consultando per l'ennesima volta i documenti a vostra disposizione sul convento, compresi gli allegati e le misure di sicurezza. È metodica, quasi ossessiva, nel suo continuo passare da un file all'altro. Il ritmo di lavoro negli ultimi giorni è stato strano nella sua cadenza regolare e la calma piatta non ha aiutato a sopportare le lunghe ore di guardia né tantomeno quelle di attesa e di riposo.

    Dopo due anni come agente sarebbe bello cambiare un po' aria. Ho fatto domanda per le Squadre Speciali, ma pare sia stata sistematicamente ignorata a ogni livello. Immagino di non avere le competenze che cercano.

    È una delle pochissime informazioni personali che ti abbia rivelato in modo tanto spontaneo.
    Un'altra ora trascorre nel silenzio più totale. Forse due.
    Un segnale acustico intermittente inizia a risuonare dai vostri caschi, quindi dagli altoparlanti dei moduli dell'alloggio. Vedete i vostri due compagni indossare le protezioni, attivare i sensori di prossimità e dirigersi verso il laboratorio.

    Livello 2. Passiamo in standby.

    Alla rapida comunicazione della tua partner con la base d'appoggio esterna non sembra esserci nessuna risposta. Siete apparentemente isolati.
    Avete appena il tempo di prepararvi prima che il segnale acustico diventi più insistente. Livello 3.

    -

    La porta del laboratorio, un'aggiunta che separa la cripta dal resto del convento, ha ceduto verso l'esterno come sotto a una gigantesca pressione. Uno degli agenti di guardia è appoggiato con la schiena contro ciò che rimane della porta, quasi immobile, come per tenerla chiusa. Una luce calda proviene dalle fessure tra le guarnizioni. Appena vi avvicinate, l'agente alza la testa nella vostra direzione. La visiera è macchiata di rosso. Dall'interno. Sta piangendo sangue.
    aaAhhh... la luce... fa male - riesce a sussurrare prima di perdere coscienza.
    La luce che filtra dalla porta deformata diventa sempre più intensa. Ti avvolge. Non ti fa male come ti aspetti. Non sai come, ma siete all'interno del laboratorio. Un calice di legno intagliato è sospeso al centro della stanza, brillante come un piccolo sole. Una parte di te sa per certo che in tutta la tua vita non potrai mai più vedere niente di tanto meraviglioso. Devi arrenderti a quella bellezza, a tutta quella gloria... ma è un pensiero che stride con la tua mente. Percepisci una resistenza, un conflitto.

    Prima che tu sia interamente catturato dalla visione, vedi intorno a te il resto della squadra. Sono inginocchiati a terra, immobili, le facce cristallizzate in espressioni estatiche. Una fiammella spettrale brilla sospesa sulla fronte di ciascuno e gli occhi stillano sangue.

    La mano di Exile ti stringe il braccio. È ancora cosciente. Ti sembra quasi di riuscire a pensare con più lucidità.

    6vgdAlI



    Note Master:

    Basta noia, finalmente succedono le cose BRTT. Reagisci come più opportuno e decidi il da farsi. La luce proietta una sorta di influenza mentale abbastanza potente da metterti in difficoltà, tipo Energia Blu, quindi è normale che tutti gli umani normali siano quasi istantaneamente fregati (il tipo fuori probabilmente è durato qualche secondo perché si è chiuso subito la porta alle spalle). Vuole spingerti alla resa assoluta. Inutile dire che se Korin si arrendesse, finirebbe col piangere rosso e tanti saluti. Cerca di gestire la situazione. Hai piena possibilità di azione. Se hai domande (so che ne hai) sai dove trovarmi.




    Edited by Him3ros - 9/3/2023, 17:15
     
    Top
    .
  17.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera12
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG#3

    DESCRIPTION:

    Tic Tac. Il tempo scorreva inesorabile, ma eternamente lungo al tempo stesso. Tic. Tac. A volte scorreva fin troppo veloce, mentre altre, come in quei giorni, non passava mai. Tic Tac. In quello specifico momento poi sembrava non scorrere proprio. Korin inspirò e il movimento del diaframma fece traballare gli addominali tesi nello sforzo di mantenere il plank tra una flessione e l’altra. Non c’era molto spazio nelle camere, quello era uno dei pochi esercizi che poteva fare senza dare problemi agli altri. Il fruscio delle pagine e le voci degli agenti in standby provenienti dal salone erano l’unica compagnia. Exile era seduta sulla branda, la schiena appoggiata al cuscino contro il muro mentre sfogliava per l’ennesima volta i dati relativi alla missione, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa. Forse cercava una lettura noiosa per prendere sonno, o forse gli occhi fin troppo vispi scandagliavano le righe alla ricerca di un’informazione specifica che avrebbe potuto far passare la noia estrema di quella missione.
    Di nuovo giù, a pochi millimetri dal pavimento sporcato da tracce di polvere e terra portate dagli scarponi provenienti dalla cripta. Quindi di nuovo su spingendo con le braccia allontanandosi quel tanto che il corpo potesse permettere. Allenarsi era il suo modo per stancarsi e quindi coricarsi più facilmente visto che quei giorni aveva fatto sempre più fatica a dormire. Nemmeno tutti gli anni di allenamento ad un sonno rapido l'avevano preparato per delle giornate così vuote e monotone. Persino al 34, dove faceva sì e no gli stessi turni di guardia, impiegava il resto del tempo ad allenarsi in qualche modo, ma in mezzo ai monti italiani o svizzeri, non aveva capito bene, si sentiva privo di ogni scopo, inutilizzato. Si trovava lì, così come gli altri, perché legalmente serviva qualcuno per evitare il potenziale rischio connesso agli esperimenti, ma per quanto quella malaugurata evenienza fosse reale non poteva sentirsi soddisfatto del lavoro che stava svolgendo.

    « Ogni tanto vorrei potermi dimenticare di manuali, procedure e protocolli, ma mi sembra di averli incisi nel DNA. » Korin volse la testa per riuscire a osservare la sua figura almeno con la coda dell’occhio. Non era certo di cosa lei intendesse, soprattutto con un’uscita così dal nulla. Era una lamentela riguardo al modo di agire della GRADO? Era il bisogno di un cambio d’aria o forse di un ritorno ad una vita normale, fuori dalle solite quattro mura sicure? Stava per chiederle spiegazioni, ma fu lei a rispondere alla domanda che forse sentiva aleggiare nell’aria. « Dopo due anni come agente sarebbe bello cambiare un po' aria. Ho fatto domanda per le Squadre Speciali, ma pare sia stata sistematicamente ignorata a ogni livello. Immagino di non avere le competenze che cercano. » Due anni. Solo due anni. Mai chiedere l’età ad una ragazza, ma Exile sembrava una… venticinquenne massimo? Considerando che da un decennio erano afflitti dalla corruzione suonava quasi strano sentire qualcuno che si lamentava di solo due, seppur lunghi, anni. Magari prima della corruzione aveva una vita normale lontana da tutto come lui, ma come aveva passati gli altri otto/nove anni? Abitava magari al Grande Tempio o in altre strutture abitative protette prima di venire ingaggiata per lavorare per la Fondazione? Era stata forzata a farlo o l’aveva scelto? O forse come lui abitava già nella Fondazione e aveva solo deciso di diventare parte attiva? «E’ un ambiente totalmente diverso… » Il discorso inquinato dalla fatica mentre gli addominali vibravano ad ogni modulazione del suono. « Lavoreresti per mesi, forse anni, sempre con le stesse facce, al sicuro tra quattro mura, o in mezzo ai posti più pericolosi. In un certo senso è meglio essere agenti semplici. Facce diverse, luoghi sempre nuovi, roba più… » Crollò a terra incapace di sostenere entrambi gli sforzi. « tranquilla. Ok a volte troppo tranquilla. » Non era un ribattere le sue parole, stava solo facendo un paragone mentale tra le due vite per quanto una gli fosse estranea. Non aveva mai fatto parte di alcuna squadra speciale, nemmeno gli steel saint erano considerati tali. Uno steel poteva far parte di una squadra speciale, ma non era mai stato il suo caso negli anni di addestramento. Erano una specie di gradino ancora superiore, ma anche parigrado nella gerarchia. Era un concetto strano in cui non aveva mai sentito il vero desiderio di addentrarsi. Come sostituto alle squadre speciali pensava invece alla vita da saint che aveva sperimentato negli ultimi anni. Non era neanche lontanamente equiparabile, ma allo stesso tempo doveva avvicinarsi parecchio. Forse era una via di mezzo tra due gruppi GRADO diversi. « Ha i suoi pregi, così come dei difetti.» Concordò sollevandosi da terra e andando a sedere affianco a lei sul ciglio della sua branda. « Considerando il fatto che hanno accoppiato due volte gli stessi è un po’ come lavorare in una squadra, no? Certo non siamo in rapporti così stretti, ma quello è colpa mia. Non sono bravo a fare amicizia. » Le sorrise con un sorriso spento. Voleva smorzare l’atmosfera, ma allo stesso tempo si rendeva conto che non c’era nulla di divertente in quello che stava succedendo dietro le quinte. Avrebbe potuto soprassedere, chiudere lì il discorso e andare avanti cambiando argomento, ma forse era giusto dirglielo, condividere le proprie esperienze, e preparare qualcun altro ad un possibile futuro « Quando ero un allievo steel saint, eravamo una compagnia solida. Uscivamo spesso in missione, ci coprivamo le spalle a vicenda e così via… sai cose che uniscono le persone. C’era un tizio in particolare che era quasi un fratello maggiore per me. Mi ha aiutato tanto negli allenamenti e insegnato diverse cose, sul sito dove eravamo, sull’essere uno steel.» La sua voce si fa sempre più flebile, mentre il buio oscurava metaforicamente il volto. « Poi è arrivata questa missione, la mia ultima, e… c’era questo… nemico che… beh lui l’aveva sentito arrivare, noi ancora no. Ha provato ad avvertirci ma… prima che potessimo fare alcunché o anche solo voltarci verso di lui… gli ha tagliato la testa. » Caporale Henrik Roth, possa qualunque dio in cui lui credesse averlo in gloria. Non meritava la fine che gli era capitata. Era stato un eroe. Li aveva salvati tutti. La sua testa non meritava di rotolare così indegnamente sul suolo russo. Si ammutolì per qualche istante mentre quelle tetre scene ancora gli passavano davanti agli occhi. Dannato Caduto. « Un conto è veder la vita lasciare uno sconosciuto, è triste, ma sopportabile. Lui invece era come un fratello…» E la cosa che faceva ancor più male era non aver potuto dirgli addio, o anche solo un grazie. Tirò su col naso ricacciando una lacrima selvaggia nell’occhio da cui voleva scappare.
    «Un team stabile non fa per me.» Spinse col diaframma per far uscire un accenno di risata, qualcosa che spezzasse quella tristezza che lui stesso aveva introdotto. « Ma io sono così… te… beh sei te… C’è qualche anomalia, o qualcosa in particolare su cui ti piacerebbe lavorare in gruppo? Che poi… posso chiederti Cosa facevi prima di questi due anni? Anche tu la guardia semplice in qualche sito? » La guardia in qualche sito… quelli sì che erano bei tempi. Era tutto molto più semplice quando ancora viveva al 34, accerchiato da altri semplici come lui, ignoranti di ciò che ci fosse davvero là fuori, ma in qualche modo più felici. Erano assieme, mangiavano, dormivano, difendevano i perimetri, tenevano in ordine gli ambienti. Era qualcosa di militare, ma allo stesso tempo era la cosa più vicina ad una vita normale che avesse avuto dal 2012 in poi. Chissà come stava il suo vecchio gruppo. Obelix, Dexter e Sugar, Paddington, TigreAzzurra, Sigma, Wolf, Eagle…. Ricordava ancora ognuno dei loro nomi, i loro volti, pregi e difetti. Sperò che stessero tutti bene, magari al sicuro dove li aveva lasciati a fare da custodi ad anomalie lì contenute… come sua madre. «Se vuoi parlarne eh… non mi offendo. » Lei sembrò esitare, come se stesse scegliendo con cura le parole da rivelare, forse perché non voleva dire troppo, o più probabilmente perché non poteva. « Mi andrebbe bene tutto. Forse il mio è solo bisogno di appartenenza. Vorrei avere di nuovo una famiglia, o almeno degli amici che non siano solo nomi in codice e numeri. Amici che non diventino strisce nere sui documenti ufficiali.» Impossibile non incupirsi a quelle parole. Volevano lontanamente la stessa cosa, solo in due modi diversi. Exile cercava una famiglia, una qualunque, Korin rivoleva indietro la sua per quanto impossibile fosse quel sogno. Lei continuò a raccontare molto brevemente della sua vita, facendo lunghi salti e glissando su molti aspetti, probabilmente censurati sotto chissà quanti permessi. Quando lei parlò di come l’avesse semi-adottata un ricercatore, Korin non poté che tracciare un netto collegamento fino a GoldenEagle. Lei gli aveva fatto da sorella maggiore e mamma per molto, molto tempo al 34. Poteva capire quell’attaccamento ad una persona di cui per vari motivi non si sapeva più nulla. Allungò una mano sulla branda nella direzione di lei, in un gesto tanto ragionato quanto istintivo. Avrebbe voluto raggiungerla, consolarla, farle capire che era lì, che la capiva, ma non poteva. Non poteva raggiungerla, né aprirsi. Lui non era diverso da una striscia nera su un documento che fosse per censura o peggio. Non poteva rivelarle di essere figlio di un direttore o il custode di Thule erede del Fondatore della GRADO. Rischiava la vita un giorno sì e l’altro pure per quanto la Cupa Signora si divertisse ad evitarlo all’ultimo. Per quanto tutti lo conoscessero come Korin, superiori e leggimente a parte, quello rimaneva agli atti solo un nome in codice. Per Exile, lui era solo uno dei tanti e forse era giusto che rimanesse così. « Mi dispiace. »



    Il bisogno era cresciuto con ogni movimento nella branda. Sul fianco, pancia in giù o in su non cambiava che non riusciva a prendere sonno. La mente continuava a vagare altrove, ai pensieri più disparati e non connessi fra loro, causando un chiasso che non riusciva a silenziare. C’era qualcosa che lo teneva sveglio come un’inesistente zanzara noiosa che gli ronzava vicino all’orecchio. Era una sensazione che cresceva con il passare del tempo e andava a concentrarsi nel basso bacino. Forse aveva mangiato male, forse quella sottospecie di cibo messicano che chi di dovere aveva cucinato non era propriamente il massimo. Si accovacciò dinnanzi alla tazza del bagno chimico cercando di liberarsi di quella sgradevole sensazione così come si libera la vescica piena. Ma non era nemmeno quello: come il liquido dorato si tuffava nella tazza, la sensazione continuava a salire fino ad esplodere in un suono ad alta frequenza, impossibile da ignorare. Era entrato in funzione l’allarme di grado 2 che chiamava in azione gli agenti in standby mobilitando quelli che non erano di ruolo. Concluse rapidamente la faccenda e si sciacquò le mani sotto l’acqua corrente prima di aprire la porta trovando Exile che aveva già preso in mano le redini della situazione e cercava di contattare la base di appoggio senza però ottenere alcuna risposta. Non era un disturbo di linea, possibile visto il luogo di alta montagna dove si trovavano, era proprio una sua assenza. Ad ascoltare la sua chiamata c’era solo il vuoto. Magari era solo uno sbalzo temporaneo ed un eventuale messaggio lasciato in memoria sarebbe partito appena possibile. Sondò il suo volto mentre entrambi completavano la vestizione allacciando saldamente gli scarponi: era frustrazione quella che leggeva in esso? O forse paura o inquietudine? O forse era solo uno sguardo vacuo che rifletteva sul da farsi, sullo step successivo nella lunga lista procedurale che tanto la tormentava?

    L’allarme suono ancora, a volume e frequenza più alta: era appena scattato il grado di pericolo 3 che chiamava anche loro all’ordine. Doveva essere successo qualcosa di estremamente grave lì sotto. Il dito corse sul sistema di comunicazione, ma esattamente come prima solo il vuoto rispondeva alla chiamata. Tentò comunque di lasciare un ennesimo messaggio « Livello 3, Andiamo. » mentre si scambiava uno sguardo di intesa con Exile atto a rassicurarsi a vicenda. Magari era solo una tempesta d’acqua come quella che lo aveva isolato dal campo base durante quella stranissima missione durante la quale l’armatura di Alman veniva ricostruita. Passata la turbolenza l’avevano ritrovato, anche se era certo che qualcun altro avesse lanciato l’SOS al posto suo prima che tutto si facesse buio. Sarebbe successa la stessa cosa, bastava avere pazienza, ma nel mentre dovevano cavarsela da soli. « Lei stia al sicuro. » Intimò al terzo scienziato prima di lasciare la sala.

    Il suo cosmo iniziò a bruciare preventivamente mentre si spostava per i corridoi verso la cripta al fianco di Exile. Era mille volte più veloce di lei al picco del suo potere, avrebbe potuto anticiparla, ma non l’avrebbe lasciata da sola. Erano stati accoppiati apposta per guardarsi le spalle a vicenda. Lasciarla indietro sarebbe stato egoistico, una violazione del protocollo persino. Doveva rimediare alla sua inutilità, era vero, ma non facendo l’eroe come uno scemo. Aveva già fatto la figura del coglione, più volte a dire il vero, di cui una proprio davanti a lei, e non intendeva ripeterla.

    Già il corridoio che portava verso la cripta, il luogo dove si stavano svolgendo gli esperimenti, sembrava più luminoso del solito, come se potentissime lampade invisibili lo stessero illuminando. Vi era una luce celestiale che proveniva da oltre la pesante porta stagna che era stata installata per separare forzosamente i due locali, in modo che si potesse isolare la cripta in caso di problemi. Il team precedente aveva già provato a bloccarla infatti trovarono uno dei suoi membri appoggiato con il suo corpo contro di essa, come a tenerla ferma per evitare che qualunque cosa ci fosse all’interno potesse scappare. La porta però non era bloccata, anzi, sembrava quasi divelta, o uscita dai suoi cardini, mentre un biancore tentacoloso pulsava verso l’esterno, come un mostro invisibile che premeva per uscire. L’uomo di guardia sembrava quasi in ombra contro tutto quel biancore, ma un liquido riluceva dietro l’elmo. Lacrime scarlatte ne adornavano il viso, scendendo a macchiare le guance.

    Korin si sarebbe aspettato di sentire da lui un rapporto, un’idea su cosa c’era dall’altra parte, anche un ordine, ma l’unica cosa che ricevette fu un sospiro strascicato di sofferenza. L’altro stava blaterando qualcosa sulla luce e le sue forze sembrano affievolirsi tanto velocemente quanto aumentava la luminosità del luogo. Analizzò la situazione: la guardia era da sola, nessuno scienziato, non le altre guardie, persino il suo partner era assente. Stava probabilmente cercando di chiuderli dentro, ma questo significava che gli altri erano stati giudicati insalvabili e il loro compito era solo di contenere la ferita. « Chiudiamola!» Ordinò a Exile, anche se era certo che la ragazza fosse giunta alla sua stessa triste conclusione. Si scaraventò contro la porta aggiungendo le sue forze a quelle dell’altro soldato cercando di spingere il pesante materiale nella sua sede originaria in modo da bloccarlo al suo posto. Un fascio di luce tagliò un’intercapedine meno che millimetrica al suo fianco, sparando verso l’esterno con la forza di una spada luminosa. Avvertì come una spinta dall’altra parte, come se qualcosa stesse premendo per fare forza contraria. Un altro scontro e un’altra lama di luce fuoriuscì. Il corpo del soldato scivolò lungo la porta lasciando dietro di sé una scia di sangue. E poi c’era la luce. Era così fredda, asettica, distante, come una lampadina tipica della GRADO, soprattutto dei loro dannatissimi laboratori o ospedali. Ma non faceva male come diceva il soldato, anzi. Era calda, accogliente, come una coperta, come un abbraccio. La luce era lì… lì per loro. Un’altra lama e un’altra ancora: era una diga che stava straripando sempre di più distruggendosi sotto il peso dell’acqua luminosa. Spinse più forte contro la porta e si sentì cadere:
    non c’era più una porta da spingere.

    Batté le palpebre per mettere nuovamente a fuoco la situazione. La cripta era illuminata a giorno. La cripta, sì, ma quando ci era entrato? Quando aveva camminato per addentrarsi così a fondo? C’erano i posti di lavoro sbalzati via. Il materiale rovesciato a terra, il vetro sul pavimento, qualche liquame sconosciuto adornava le colonne. C’erano i due scienziati di ruolo, genuflessi a terra, con lo sguardo rivolto a quell’enorme luce. Non erano i soli però perchè anche le altre guardie erano nella stessa posizione seppur più distanti. I loro volti erano macchiati di rosso, come la guardia fuori, ma peggio, erano completamente inondati dal liquido cremisi.

    E c’era la luce. Era un globo super luminoso di una trentina di centimetri, come una piccolissima stella. Brillava forse più forte dello stesso sole, ma anche più debole visto che il solo guardarlo non distruggeva le proprie retine. Poteva guardare attraverso quella luce, poteva scorgere l’oggetto che la emetteva e che rapiva il suo sguardo sempre di più. Era… era bellissimo… Era un ottimo calice di legno, semplice, ma anche complesso al tempo stesso. Umile e potentissimo.

    E lo chiamava. Non aveva voce umana e nemmeno quelle note stonate tipiche dei Caduti. Non aveva voce punto. Eppure Korin si sentiva attratto da quell’oggetto, come se questi lo stesse chiamando a sé. Ma non era possibile, non secondo la logica e la fisica. Doveva sapere come o perché lo stesse facendo. Ma perché scervellarsi? Roteava su sé stesso, o forse era solo una sua impressione, e levitava con sottili movimenti in alto e in basso, come se fosse nuotasse in mezzo ad onde inesistenti. La sirena d’allarme suonava ancora incessante, sempre più distante e ovattata, nascosta dal suono angelico di quell’oggetto. Cantava il calice. Sentiva le sue parole, che avevano quasi senso nella sua mente. Guardami, diceva, guardami e avrai tutto ciò che cerchi. Ma… ma era impossibile. Un calice non parla, un calice non può avere risposte. Eppure sussurrava alle sue orecchie parole su problemi impossibili, desideri che nemmeno osava pronunciare. Gli parlava di sua madre, di potergliela mostrare. Ma non c’era modo. Gli parlava dei sigilli divini, di come emularli. Gli parlava di come vincere contro quel mostro che era suo Padre. Doveva solo fermarsi ad ascoltarlo, inginocchiarsi come gli altri, arrendersi, lasciarsi andare e lui gli avrebbe mostrato tutto. Ma non poteva essere, no? Era solo un calice, un oggetto di legno… era…

    Una parte di sé voleva crederci, attirata come un’ape al miele verso quelle fantomatiche risposte, ma un’altra parte gridava forte con un suono acuto e spezzatimpani, come unghie trascinate sulla lavagna, come l’allarme che gridava distante: È impossibile, non guardare, non ascoltare. La luce era fredda e calda al tempo stesso. Tutti quanti colavano sangue, ma i loro visi sembravano così… entusiasti. Loro avevano raggiunto la loro pace e soddisfazione. perché non poteva raggiungerla anche lui? Sarebbe stato felice finalmente. Non avrebbe avuto più problemi. Niente più dolori.

    Ma era una via troppo facile. No, no non poteva! Stavano piangendo sangue! Era inumano, stavano soffrendo. Stavano… morendo. E se…
    E se poteva mostrargli davvero ciò che muoveva il sole e le altre stelle? Se poteva dargli davvero conoscenze infinite sulla matrice che reggeva il cosmo stesso? E se avesse potuto davvero riunirlo a sua madre? E se…

    Una stretta tagliò parte della circolazione al braccio destro. La sentiva forte, tanto che di riflesso voltò lo sguardo in quella direzione. Exile l’aveva afferrato. Stava lottando per resistere come lui e come lui era tentata di inginocchiarsi. Stava lottando. No. Non doveva andare così! Dovevano… dovevano fermare quell’anomalia! La porta… non potevano chiudere la porta… dovevano… dovevano isolare… no… dovevano distruggere l’anomalia. Si. Dovevano distruggerla… e terminare tutti coloro che erano insalvabili e… Exile. Aveva bisogno di lei.

    Ruotò il braccio destro attorno a quello di lei andando ad afferrarglielo di rimando, abbastanza saldamente da farle quasi male, ma senza creare danni. Voleva che lo sentisse, che si concentrasse sul dolore piuttosto che sull’artefatto diabolico che stava cercando di assoggettarli. « Non guardare. Non ascoltarlo. » Strinse più forte, quasi strattonandola per farle spostare lo sguardo sulla sua figura mentre il suo cosmo si elevava cercando di creare una barriera di fiamme eteree fra loro e l’oggetto. Lottò contro il suo stesso corpo per tornare in piedi. « Resta con me. » Chiese, a metà fra un ordine e un’implorazione. « Non diventarmi un nome annerito. »

    Il suo cosmo si espanse ancora andando a solidificare quello scudo fra loro. Quel richiamo era ancora presente, come se coinvolgesse corde che Korin non poteva intaccare. Stava agendo sulla loro mente, forse sull’anima addirittura. Non poteva proteggersi da certi elementi. Conosceva codici per imprigionare la psiche e lo spirito di un soggetto, ma quello era un oggetto, non aveva una mente, non poteva avere un’anima. Come poteva indebolire qualcosa che non c’era? Era un oggetto anomalo, forse poteva controbattere con un sigillo di purificazione per andare chirurgicamente a rimuovere l’anomalia… O forse… forse doveva solo seguire la procedura. Forse doveva solo contenere quella cosa e farla esplodere, disintegrarla, distruggerla per sempre. Di certo da distrutta non poteva fare altri danni.

    « Resta con me. » la implorò ancora mentre il cosmo attorno a lui si faceva più freddo e pungente, del tutto diverso dalla fredda luce calda. Cercò di direzionare il flusso attorno alla luce formandovi attorno una sorta di sfera glaciale di quaranta centimetri di diametro, vuota, spessa cinque, una gabbia opaca che potesse imprigionare il calice ed evitare che il loro sguardo si poggiasse nuovamente su di esso. Eppure non bastava. Non era la luce il problema, non guardarla non avrebbe rimosso quei suoni ancestrali. Li sentiva ancora stridere contro la sua mente, combattere contro la volontà di resistere nutrita dal cosmo. Non volevi salvare il mondo? Non volevi una vita normale, lontano da ogni sofferenza? Blaterava in continuazione parole suadenti, ma irreali. Quel mondo non c’era, non esisteva più. « Concentrati sul dolore. » Consigliò a Exile premendo appena più forte il suo braccio.

    Cercò di incidere la spessa superfice del ghiaccio, così come gli artigli mentali dell’altro stridevano contro la sua mente, cercando di opacizzare ulteriormente la struttura e andando a scrivere glifi conosciuti riguardo al vincolo mentale ed energetico. Cercò di inciderli all’interno della sfera e all’esterno per una molteplice protezione, nel tentativo di limitare il potere demoniaco che quell’oggetto aveva su di lui, su Exile e su tutti gli altri, ammesso che non fosse davvero troppo tardi per salvarli, anche se su quello nutriva molti dubbi.

    Avrebbe forse potuto approfittare del momento, lasciare il polso della compagna e seguire la procedura alla lettera: avrebbe dovuto recuperare uno dei contenitori standard G e chiudere l’anomalia al suo interno prima di attivare le fiamme che avrebbero dovuto incenerirne il contenuto. Ne vedeva uno che sembrava ancora intatto dall’altra parte della stanza. Poteva correre lì, prenderlo, chiuderci dentro l’anomalia e attivare l’autodistruzione. Sapeva come farlo, avrebbe fatto in un attimo liberando appieno il suo potere. Per farlo però avrebbe dovuto lasciare la ragazza. Spingendo al massimo il suo cosmo sarebbe stata questione di attimi insignificanti per lei senza cosmo. Ma non voleva. Non poteva. Un solo attimo faceva la differenza tra la vita e la morte. Non sapeva se lei avrebbe resistito da sola. Non sapeva nemmeno se la stesse effettivamente aiutando in quel momento. Non poteva perderla. Non dopo che lei l’aveva salvato dalla ferita all’addome e ora prendendolo per il braccio.
    Forse la scatola non serviva. Poteva farne a meno. Era forte. Non ne era certo, ma il suo cosmo da solo doveva essere in grado di superare la potenza di quei marchingegni. Non era più un semplice umano. Non era più legato ad un nucleo che utilizza risorse esterne. No. Ora era un mostro. Uno mediamente potente. Di certo più forte di quella scatola. Più veloce. Per incenerire quell’oggetto sarebbero serviti secondi, forse minuti, tempo in cui la sua influenza avrebbe continuato a farsi sentire. Lui poteva forse distruggerlo molto prima. Ogni attimo contava. Meno Exile subiva la sua influenza meglio era.

    Tirò la ragazza verso di sé ponendosi con il suo corpo tra lei e il calice, dando le spalle al secondo e la piena attenzione alla ragazza. Avrebbe allungato la mancina portandola dietro la sua nuca spingendo la sua testa dolcemente, ma con fermezza, contro il proprio petto forzandola a non guardare verso il calice, proteggendo la sua testa e offrendosi a mo’ di barriera aggiuntiva contro ciò che avrebbe scatenato. « Pensa alla famiglia che costruirai con le tue forze. » La pregò ancora, prima di far detonare solo i sigilli dello strato interno cercando di distruggere l’artefatto in legno con la loro esplosione. Lo strato di ghiaccio prima e i sigilli esterni poi avrebbero dovuto incassare egregiamente l’onda d’urto, era il suo stesso potere dopotutto, ma se così non fosse stato era meglio che fosse lui a prendersene l’impatto in pieno. Lo stesso se quel calice avesse mostrato altre capacità o fosse sopravvissuto all’esplosione, preferiva essere lui, il cosmodotato, il mostro, davanti al pericolo. Che la sua sfera avesse retto o meno, avrebbe voluto dare quante più chance possibili ad Exile per farcela.


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:Offerta allettante… ma anche no, grazie. Exile, pls, non cedere.
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:Solite robe fino al momento clue. Brucio il cosmo per resistere ancora meglio alla tentazione e lo uso per creare una iniziale barriera tra noi e il calice, così da proteggere anche Exile dalla sua influenza, raffinando l’idea in una in una sfera glaciale opaca tutto attorno al calice per far fuggire meno luce possibile. Mi accorgo però che non è la luce il problema, quindi la mia difesa è inutile, quindi meglio passare al contrattacco. Sulla superficie della sfera, esterna e interna, incido dei sigilli di vincolo mentale avanzato (da regolamento tec sotto) cercando di ridurre la potenza dell’oggetto. Prendo Exile in questa sottospecie di abbraccio e faccio esplodere solo i sigilli interni alla sfera cercando di deflagrare il calice. L’idea è mantenere attiva la sfera e i sigilli esterni, sia per contenere il mio stesso potere, sia in caso il calice resista all’esplosioni.

    约束 象征 (Yuēshù Xiàngzhēng) : Sigillo di vincolo avanzato – offensiva/difensiva
    Questa tecnica si mostra graficamente a seconda del suo obiettivo perché i contenuti scritti nel sigillo variano a seconda dell’aspetto fisico, mentale o spirituale su cui va ad agire, perché diverso è il modo di “scrivere” l’obiettivo nel sigillo. Quando un sigillo disegnato e applicato sul bersaglio viene attivato rilascia delle catene cosmiche fatte di lettere e simboli azzurrini che si avvinghiano alla creatura portante il sigillo. Le catene provocano una sensazione di stritolamento, causando danni da costrizione e strangolamento, danni che si intensificano se il nemico prova ad opporvicisi, ma non sono catene reali che possono essere aggrappate e tirate.
    -头脑 链 (Tóunǎo Liàn): la catena della mente tenta di intrappolare e disturbare i pensieri dell’avversario tentando di rendergli difficile l’effettuare strategie complicate, o anche solo di mettere in ordine i propri pensieri. Le catene si infilano nella testa avversaria cercando di riempirla di se stessi. I simboli sono visibili solo dall’obiettivo o da chiunque altro si trovi nella sua mente in quel momento.


     
    Top
    .
  18.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    IV




    Il tuo piano sembra funzionare. Nel momento in cui la barriera contenitiva di ghiaccio e sigilli si chiude sull'artefatto e sulla sua strana luce, la pressione che senti nel tuo cranio diminuisce considerevolmente.
    Poi arriva l'esplosione. E la luce aumenta di nuovo. Non fa che aumentare. Non è la tua sensibilità cosmica a permetterti di percepire la variazione, ma tutto il tuo corpo. Vieni investito da una successione di onde d'urto di intensità e temperatura sempre maggiore. La voce nella tua testa finalmente tace, ma senti i suoi strascichi rimbombare sempre più in una indefinibile eco, come se si trattasse di una fortissima nausea limitata solo al tuo cranio. Il Sesto Senso ti permette soltanto di accorgerti di tale aumento repentino, che avviene in una frazione di secondo... prima di scomparire nel nulla.

    Una rumore in lontananza. Hai appena il tempo di assicurarti che Exile stia bene, per quanto sembri scossa. Dietro alla visiera del casco, la sua fronte è coperta da uno strato di sudore freddo. Fissa gli occhi su di te per un momento, come ad accertarsi a sua volta che tu stia bene. Lo stesso sguardo della visione in Vietnam, lo stesso che hai poi imparato a conoscere negli ultimi giorni. Sta bene. Solo il fatto di saperlo riesce a calmarti. Hai l'impressione di vedere una bambina, nei riflessi di quegli occhi.

    A osservarti dall'altra parte dello specchio c'è una bambina in lacrime, circondata da camici bianchi sotto una luce fredda.
    Una stanza piccola ed essenziale, in penombra, con libri aperti sparsi ovunque intorno a te, illuminati da una lampada.
    Un gruppo di persone dai volti sfocati, tutte diverse tra loro, che ti sorridono e ti danno il benvenuto nella hall futuristica della struttura.


    La squadra di soccorso sfonda la porta del laboratorio provvisorio. Il battente, deformato dall'intenso calore, cade a terra con un tonfo metallico che ti riporta alla realtà. Intorno a te senti gemiti e lamenti di dolore. I ricercatori e i soldati sono accasciati a terra, sofferenti, ma si muovono ancora.

    -

    20 ore dopo
    complesso riabilitativo T924
    Otočec, Slovenia


    Da quanto avete capito gli altri membri del gruppo sono ricoverati sotto strettissima sorveglianza in terapia intensiva, ma in lento miglioramento. Le analisi del caso, almeno per voi, sono durate anche meno del previsto. Vi hanno lasciati in una specie di camera isolata, seduti comodamente su due poltrone che leggono costantemente battiti, saturazione e pressione proiettandoli sulla parete di fronte. Avete l'istruzione di attendere i risultati dell'ultimo esame, una scrupolosa valutazione psicologica, prima di avere il permesso di allontanarvi.
    È Exile a rompere il silenzio. Sembra vagamente a disagio.

    Mi hanno chiesto cosa cercasse di mettermi in testa l'anomalia.

    Non ti stupisci: hanno posto la stessa domanda anche a te, pochi minuti prima.

    Ho risposto che non lo sapevo, che non ho capito, che era tutto confuso. Per un attimo ho sentito una specie di voce che prometteva di rivelarmi "chi sono". Mi chiedeva di seguirla per poter "vedere il luogo da cui vengo". Ho pensato a molte cose, ma forse più per colpa del panico che per effetto di quella cosa. Poi la voce è sparita completamente.

    Inspira profondamente. Non puoi fare a meno di notare che i suoi parametri vitali - proiettati in modo tanto invadente sullo schermo davanti a voi - siano passati da valori verdi a un leggero giallo, indicando un aumento dello stress psicosomatico.

    Io so chi sono. So da dove provengo. E da chi. Tecnicamente sarei di stirpe Nair. Nessuno si è mai preso la briga di raccontarmelo, ma ho una foto di mio padre coi suoi commilitoni davanti al town hall di Kasaragod. Sul retro c'è scritto a penna "truth alone triumphs". Sarebbe Satyameva Jayate, il motto di Kerala. L'ho scoperto a undici anni. Mi è bastato un accesso a internet. Della famiglia di mia madre non so quasi nulla, a parte il fatto che mio nonno praticasse la Theyyam, l'arte della danza divina. Non so se li hai mai visti, quei costumi assurdi. Li ho sempre trovati molto buffi.
    Però c'è un certificato di matrimonio e uno di nascita. Il mio. Ho ancora le copie da qualche parte. Il nome che mi hanno dato i miei è Shanti.
    Mio padre è morto quando ero ancora molto piccola; mia madre si è ammalata poco tempo dopo e ha pensato bene di affidarmi alla sua migliore amica, prima di sparire nel nulla. Amara è il nome che ho scelto quando i documenti e le convenzioni burocratiche sono implose insieme alla maggior parte della razza umana.
    Mi sono salvata solo perché l'amica di mia madre e suo marito lavoravano per la Fondazione, ricerca biotecnologica.


    Parla come se sapesse quel discorso a memoria. Come se non fosse la prima volta che lo ripete, al pari di una confortante filastrocca.

    So chi sono. Non mi piace che venga messo in dubbio. Sì, era tutta una farsa per confondermi. So che non dovrei cercare una logica nelle voci che vengono da uno stupido bicchiere che ti fa piangere sangue, è solo che...

    Si ferma. Non finisce la frase. Forse non sa come farlo. Prima che abbia la possibilità di riprendere, il silenzio viene interrotto nuovamente, stavolta da un suono acuto, seguito da due bip. Una comunicazione viene avviata. La parete si sgombra dai vari grafici e dalle letture dei vostri parametri per fare posto a un'immagine.

    VzF5b1C

    Rain esibisce la sua solita faccia impassibile. Non parla subito, ma di certo vi osserva. Vedi Exile irrigidirsi come volendosi mettere sull'attenti, ma tuo padre vi fa cenno di non muovervi dalle poltroncine.

    Agente Exile. Le tue richieste sono state rivalutate alla luce dei risultati positivi nelle ultime missioni. Parteciperai a una spedizione esplorativa sotto la responsabilità di un esaminatore anziano e, in caso di idoneità, verrai assegnata a una squadra.

    Con tono monocorde si rivolge a te.

    Custode. Se lo desideri potrai partecipare alla stessa missione in quanto scorta e sigillatore esperto.

    Segue una lunga pausa, quasi come se il direttore stesse cercando le parole giuste.

    Sei stato bravo, Korin.

    6vgdAlI



    Note Master:

    Il centro riabilitativo è ricavato in un piccolo castello su un isolotto nel mezzo del fiume Krka. Hai tutto il tempo di confrontarti con Exile dopo la chiamata di papà (secondo le solite modalità di interazione). A una certa vi dicono che state bene e potete uscire. La zona è recintata e relativamente sicura e viene usata per permettere agli agenti infortunati di riprendersi per tornare in servizio.
    Devi decidre se accompagnerai Exile in missione. Hai 24 ore.


     
    Top
    .
  19.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera12
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG#4

    DESCRIPTION:

    Le acque scorrevano placide al di là della barricata contenitiva, sbrilluccicando leggermente man mano che i raggi solari si infrangevano sulla superficie. Korin le osservava distrattamente dalla finestra mentre lambivano le coste verdi e ben tenute facendole assomigliare ad un piccolo paradiso in una terra altrimenti infestata da mostri. Per molti versi gli ricordava il piccolo sprazzo di mare di Cipro divenuto parte della base GRADO n° 20. Forse il direttore di questo centro, come Rain per il 20, ci teneva alla salute mentale e alla contentezza dei suoi dipendenti, anzi, in una base riabilitativa era ancora più importante avere angoli di calma e felicità.

    «L’ho afferrata istintivamente.» Riprese dopo aver visto con la coda dell’occhio che il suo interlocutore, uno psicologo sulla sessantina abbondante, aveva finito di scrivere. «Volevo impedire che si inginocchiasse come gli altri, credo. Non è stato un pensiero cosciente, non finché il calice non me l’ha fatto notare, quasi come scherno.» Quella vicinanza, la stretta ferrea che aveva usato su di lei, non si sarebbe mai permesso in condizioni normali. Dal suo punto di vista un ingaggio del genere era sempre frutto di uno scontro, di un potere che tentava di soverchiarne un altro, una lotta che non aveva ragione di essere stando al calice. Lasciala andare, diceva, non ha senso combattere. Ma non era quello. Normalmente si trovava a disagio se qualcuno invadeva il suo spazio vitale. Pochissime persone potevano dire di essere state così vicine a lui, combattenti e soccorsi a parte. Exile era tra le poche persone che aveva volutamente stretto a sé. Una lotta c’era, sì, ma non era contro di lei, anzi, l’aveva abbracciata per proteggerla. Era avvenuto tutto così velocemente, ma davanti a quello strizzacervelli non poteva che fermarsi a riflettere sul momento, su come si fosse posto fra Exile e il pericolo con così tanta naturalezza, come una madre che lotta per proteggere il suo cucciolo. No, non come una madre, come sua madre che gli aveva fatto scudo nascondendolo dietro il proprio corpo contro l’artigliata di quel corrotto tanti anni prima.

    Lo psichiatra ascoltava, scriveva e faceva domande di tanto in tanto per approfondire questo o quell’altro punto. Korin dal canto suo cercava di rispondere nella maniera più sincera ed esaustiva possibile, ma alcune non avevano delle vere spiegazioni. Per esempio non sapeva spiegare la sorta di malessere avuta in seguito all’esplosione, come fosse una di quelle cose che puoi solo provare e di certo non gliela avrebbe mai augurata. Era un fastidio crescente che andava ad ondate sempre più forti e sempre più calde, ma era anche stata questione di un attimo, anche meno, cosa che lui aveva percepito poiché si muoveva e ragionava a velocità inaudite per gli umani. Era stato di sicuro un colpo di coda dell’oggetto, forse dovuto al fatto che aveva fatto esplodere gli stessi sigilli mentali che erano stati così utili nel ridurne l’influenza. «Era tipo… non lo so… come un conato di vomito, ma alla mente. Non saprei spiegarlo meglio. Era quel bisogno di buttare fuori quello che si ha dentro, perché fa male. Così, ma per la mente, fino a rimanere senza pensieri o sensazioni. » Era come rimanere un foglio bianco facilmente riempibile e controllabile da altri, come la trance dell’ipnosi. Fortunatamente era durato un battito di ciglia e come era arrivato era svanito senza lasciarne traccia. Appena si era sentito meglio era subito corso ad incrociare lo sguardo con Exile per sincerarsi che anche lei stesse bene e un brivido gli scese lungo la schiena a vedere la sua pelle brillare. Trattenne il respiro temendo di vedere del cremisi a macchiarle il viso. Non voleva fallire. Non poteva perderla dopo che potenzialmente lei lo aveva salvato di nuovo. Il liquido però era trasparente sulla sua pelle ambrata, una buona notizia finalmente.

    « Però… ho visto qualcos’altro nei suoi occhi, o meglio nella mia mente. Ho visto come dei flash, delle fotografie. Erano quasi come dei ricordi, ma non erano miei. Non saprei dire se fosse l’effetto del calice, perché non era una voce come prima. Però non può essere stato nient’altro... credo. » «Descrivimi queste istantanee che hai visto.»
    Si lasciò andare all’indietro appoggiando la testa contro quel morbido schienale color crema e chiuse gli occhi cercando di richiamare i flash sulle sue retine. Nel primo stava guardando uno specchio grande e rettangolare, come quelli presenti nei bagni pubblici che coprivano tutta l’estensione dei lavelli. Lo specchio però non rifletteva il suo viso, non c’era un Korin dall’altra parte del vetro. C’era una bambina piangente di forse tre o quattro anni ed era lei che guardava quello specchio. Aveva dei vaghi tratti indiani e una pelle caramello, capelli neri… in effetti non era troppo distante da Exile come aspetto. Attorno alla bambina c’erano delle figure indistinguibili, adulti vestiti di camici bianchi come dei dottori o scienziati, il tutto illuminato da una forte luce fredda, come quella di un ospedale o peggio di una sala operatoria.
    Subito dopo la visione cambiò in una stanza semibuia, piccola, ma confortevole, forse illuminata da un’unica luce al centro della sala. Era estremamente disordinata. C’erano libri ovunque, sul tavolo, sulla sedia, sulla scrivania, sul letto. Erano tutti aperti su una qualche pagina, qualcuna marchiata da un’orecchia, qualcuna da un segnalibro anonimo, qualcuna semplicemente aperta. C’erano scritte, immagini, ma non ricordava bene alcun testo o parola, nemmeno un qualche disegno. Forse per spessore uno dei libri era un dizionario? Non sapeva dirlo. Era tutto fumoso, come in un sogno.
    Ed infine venne rapida la terza, veloce come un battito di ciglia. Nuovamente il soggetto guardava un gruppo di persone, ma non avrebbe saputo nemmeno dire quante fossero. Avevano altezze diverse, corporature diverse, colori di pelle diversi, ma di nuovo la loro identità era celata da una sorta di nebbia. Il gruppo si trovava in una grande stanza centrale, quasi come la hall di qualche albergo, ma sembrava estremamente futuristico, come se fosse una qualche base della Fondazione.
    «Cosa hai provato durante queste visioni?» «Sul momento nulla. Non sentivo l’emozione del soggetto, che fosse tristezza o felicità. Quei momenti non significano nulla per me. Subito dopo averli visti direi confusione, non capivo, non capisco tuttora perché li abbia visti o cosa significano.» Eppure a ripensarci a mente fredda e distaccata, come se effettivamente stesse guardando una fotografia, non poteva che vedere una sorta di similitudine tra quei momenti e la sua vita, quasi se ne fossero delle parodie. La prima visione non era troppo distante dai suoi sentimenti all’arrivo alla Fondazione. Era perduto, solo, sua madre era appena stata portata via e sotto a luci così asettiche dei camici bianchi facevano esami su esami per documentare ogni pelo che aveva in corpo. Nel terzo invece la scena poteva vagamente assomigliare al suo arrivo al 20. Stenson lo accompagnava per i corridoi e tutti sembravano così allegri e accoglienti nonostante fossero super indaffarati. Di sicuro però non c’era stata una folla ad accoglierlo in quel caso, ma anzi una sola terribile persona, Rain. Il secondo flash assomigliava un po’ a quella che chiamava casa al Grande Tempio, un monolocale affidatogli per tenere le sue cose, ma dove stava di rado se non per dormire. Di sicuro lui non aveva tutti quei libri e anche se li avesse avuti non sarebbero stati in ordine sparso. Altrimenti poteva essere uno strano incrocio tra la camera che aveva al 20 e la cella di contenimento in cui era stato rinchiuso post Yaroslavl. I libri al contrario non gli dicevano veramente nulla.
    Era una sciocchezza, ma volle comunque esporla allo psicologo che stava digitando incessantemente al computer dall’altro lato del tavolo, nemmeno stesse scrivendo ogni sua parola lettera per lettera, il tutto mentre riusciva a tenere lo sguardo su di lui da dietro quegli occhiali sottili ed esagonali.

    « Hai avuto altre visioni simili da allora?» « No, nessuna. Non credo nemmeno di aver sognato prima, mentre riposavo.»
    In compenso aveva affrontato situazioni simili in passato, ma quei momenti erano scaturiti dall’uso altrui di cosmo. Un esempio ne erano le illusioni mostrategli dalla tipa in Vietnam che avevano la stessa nebbia attorno a loro, un film che sarebbe diventato interessante se non fosse stato solo un teaser del futuro e al contrario di quelle simil fotografie l’aveva coinvolto emotivamente poichè si era visto lui stesso partecipe di quei momenti e, ora sapeva, aveva visto Exile in anteprima. Quelle sperimentate il giorno prima invece erano più un’istantanea del nonno paterno che non aveva mai conosciuto: potevano essere momenti super importanti per il soggetto rappresentato, ma a lui non dicevano nulla.

    « L’ultima poi è come terminata bruscamente quando la porta sigillata è caduta. Non credo abbiamo molto senso parlare di tempo quando sono attimi però… è come se fosse durata meno.» «Non ti preoccupare del senso. Dimmi pure tutto quello che hai provato. Quindi cos’è successo quando è arrivata la squadra di soccorso?» Erano arrivati armati sfondando la porta… sfondando la porta? L’aveva sentita cadere, il suo tonfo sordo l’aveva riportato alla realtà però per fare quella fine significava che la porta era bloccata prima che la sfondassero. Ricordava che appena arrivato alla cripta stava cercando di bloccarla e subito dopo si era ritrovato dentro colto dal potere dell’artefatto. Il suo sguardo non aveva cercato la porta, ma per cadere doveva essere stata bloccata. Il calice li aveva teleportati all’interno dopo che lui e Exile l’avevano chiusa? O forse presi da qualche raptus malevolo erano entrati di loro sponte prima di chiuderla dall’interno? Non aveva ricordi a riguardo, zero, vuoto totale.

    Al clangore aveva voltato lo sguardo verso il nuovo pericolo, era nuovamente pronto a proteggere Exile, solo per scoprire che erano i loro alleati. Trattenne la ragazza ancora per qualche secondo, incerto sulla vera identità dei soccorsi, quasi temendo che fossero illusioni date nuovamente dal calice. Lo aveva cercato, ma non c’era più. Nemmeno aprendo l’involucro di ghiaccio e sigilli ne era rimasto alcunché.
    Solo vedendo le mosse dei soccorritori aveva notato che gli altri agenti e i due scienziati erano a terra, preda di una sorta di convulsione lamentosa, ma vivi. Nessuna fiamma brillava più sulla loro fronte, ma continuavano a soffrirne. « Li avevo dati per compromessi, un po’ per quello rimasto fuori, un po’ per i loro sguardi completamente focalizzati sul calice. Non mi è passato di mente fossero salvabili finché non hanno provato a farlo. Credo che se non fossero arrivati i soccorsi avrei optato per una loro terminazione.» Era triste a dirsi, ma non avevano i mezzi per curarli in quel monastero, o meglio non quelli che gli sarebbero effettivamente serviti. Potevano tentare di isolarli dentro gli alloggi, ma lasciarli da soli sarebbe stato ugualmente un condannarli a meno che non si fossero isolati loro stessi nel tentativo di prestare loro soccorso fino all’arrivo degli aiuti. Prima o poi la tempesta che li isolava sarebbe dovuta finire. Era anche vero che i soccorsi erano arrivati molto velocemente... troppo forse. La base più vicina distava 30 minuti a piedi, magari solo 10 in elicottero, ma altri 10 minuti di preparazione servivano per montare l’operazione di salvataggio. Tra il momento in cui lui ed Exile erano passati in stand by, quando si erano accorti del silenzio radio, all’arrivo della squadra non potevano essere passati solo 20 minuti. L’ultimo cambio guardia era stato forse quattro ore prima, alla base non avrebbero dovuto aspettare comunicazioni per almeno altre quattro. Forse avevano intercettato l’assenza di segnale ed erano entrati loro in allarme prima ancora che succedesse il fattaccio? Forse erano rimasti in trance più tempo del previsto? «Non farti queste domande, torniamo sui soccorsi.» «Si signore. Mi scusi. Dicevo…»

    Solo allora si era accorto che stava ancora trattenendo la ragazza e la lasciò andare mentre un moto di imbarazzo lo pervadeva: non c’era più motivo di stare così vicini dopotutto. Lei stava bene, lui stava bene, si fecero da parte lasciando lavorare i soccorsi prima sui feriti rimanendo comunque a portata di vista in caso loro stessi avessero avuto problemi. A quanto aveva capito anche il terzo scienziato era stato ferito dalla luce nonostante fosse più distante. Lo adocchiò solo più tardi legato ad una barella mentre veniva portato via. Lui ed Exile furono tra gli ultimi a lasciare il monastero visto che erano fuori pericolo e vigili, ma comunque sotto stretta osservazione. Fu la squadra di soccorso ad occuparsi della chiusura del sito. «Ci hanno subito messo in isolamento e osservazione fino a… beh quando ci ha fatti chiamare.» «Hai provato qualcosa di anormale in questo periodo?» Sbuffò alla ricerca di un qualsiasi cosa di diverso. Noia? Non diversa dalla missione. Stanchezza? Nulla di serio e solo mentale. «Ho bevuto più spesso del solito.» Non che fosse una sorpresa visto che poggiata sul tavolo c’era l’ultima bottiglietta di plastica mezza vuota. «Qualche ragione particolare?»«Non credo. Ho solo sete.» «Capisco.» Batté le ultime note a macchina prima di premere sonoramente sull’invio di quanto scritto a qualche database. «Direi che qui abbiamo finito. Se ti dovesse venire in mente altro o dovesse succedere qualcosa sai dove trovarci. Per ora però seguimi. » «Si signore.»

    Lo psicanalista lo portò in una sala dai tratti tipici di una d’aspetto, ma allo stesso tempo sembrava estremamente confortevole con i suoi colori tenui ma accoglienti con dei dettagli qua e là che avevano il sapore di casa. C’era perfino una piccola libreria con qualche vecchia rivista e libro da leggere durante l’attesa. Entrando trovò Exile già seduta su una di quelle poltroncine dove il dottore aveva ordinato di sedersi fino a nuovo ordine. Non vedeva la ragazza da quando li avevano separati, ma sembrava tranquilla, anzi il capo reclinato la faceva apparire quasi pensierosa. Non volle disturbarla da qualunque cosa stesse pensando perciò si limitò a salutarla con il loro gesto, V fatta da indice e medio con il pollice alzato in mezzo. Si accomodò sulla poltrona alla sua destra e notò subito come lo schermo posto direttamente davanti si accese proiettando grafici medici. Era una di quelle sedie quindi; la caterva di esami non era ancora finita. Oh beh, non poteva fare molto altro se non aspettare.

    E aspettò ancora e ancora, osservando distrattamente la gara tra le lancette dell’orologio posto sulla parete con la porta. Faceva quasi strano non trovare piuttosto un orologio digitale, ma nuovamente doveva essere un modo per creare l’apparenza di normalità e familiarità. Il loro ticchettio era l’unico rumore percepibile se si escludevano i respiri di entrambi, nemmeno fossero amplificati dal silenzio tra loro che fu rotto una decina di minuti più tardi quando Exile finalmente cedette rivelandogli cosa turbasse il suo volto. Il suo tono sembrava triste, amareggiato, confuso soprattutto. Si incupì a sua volta dopo le sue parole. Nonostante l’avesse salvata fisicamente distruggendo l’anomalia, era evidente che il discorso fattole non gli fosse giunto, esattamente come lui non aveva sentito i suoni prima che i soccorsi irrompessero nella cripta. Forse non aveva nemmeno avvertito il suo gesto in quel mondo fasullo generato dal calice. Perché avrebbe dovuto? In fondo aveva bruciato il suo cosmo al suo massimo, per lei doveva essere passato nemmeno un battito di ciglia, troppo poco per distinguere tutto ciò che le aveva detto. Il suo intervento su di lei era quindi stato inutile? Avrebbe forse potuto lasciarla e seguire la procedura più alla lettera? Al contrario però forse era meglio che lei non lo avesse sentito, sarebbe stato abbastanza imbarazzante parlarne.

    La lasciò sfogarsi, come un fiume in piena, come se lo psicologo di lei non fosse stato abbastanza per risolvere alcunché. E quando mai ci riuscivano? Parlare ad un orsetto di pezza era più funzionale. Il suo stress era evidente, anche senza quella stupida poltrona. C’era qualcosa in lei che non andava. L’avventura doveva averla segnata in qualche modo. Le sue parole iniziarono a farsi cadenzate, robotiche quasi. Quel discorso non era libero e nato dal momento, anzi, era la codificazione suprema di una di quelle stronzate da ripetere a pappagallo per non uscire fuori di testa, una delle trovate degli psicologi, una che aveva usato e usava anche lui; non aiutavano mai davvero. Erano solo un modo per obbligare la propria mente a rimanere lucida o a volte serviva a farle credere qualcosa, come se ripetere il cielo è verde tante volte lo avesse reso vero. Effetto placebo, o qualcosa del genere. Non importava, l’avrebbe lasciata finire perché a lui sembrava una stupidata, ma forse per Exile funzionava davvero. «So che non dovrei cercare una logica nelle voci che vengono da uno stupido bicchiere che ti fa piangere sangue, è solo che... » Si era fatta più agitata, come se il calice avesse toccato corde della sua anima che era meglio lasciare mute, rivoltandogliele contro come un calzino. Non poteva biasimarla, si sentiva violata nel profondo, persa come si era sentito lui durante l’incontro in Vietnam, nuda di fronte un nemico invincibile.

    Peccato che il vero nemico invincibile si sarebbe fatto avanti pochi secondi più tardi obbligando i grafici a scappare fuori dallo schermo mentre Lui prendeva il suo posto d’onore annunciato da squilli di tromba robotici ed impersonali. Apparve in tutta la sua austera magnificenza, identico a come l’aveva visto l’ultima volta. Rain scrutava entrambi con il suo sguardo che avrebbe potuto perforare il monitor e leggere la loro anima meglio di ogni altro comodotato o anomalia che fosse.
    L’inconscio di entrambi ordinò loro di alzarsi dalla sedia ancora ignaro se fosse per scappare o per salutare adeguatamente il superiore, ma furono prontamente bloccati dal cenno di Lui che silente intimava di rimanere seduti. Per Korin il movimentò si sfogò in una stretta incontrollata sui braccioli della poltrona, mentre le sue pupille si restrinsero appena dall’inquietudine. Perché Lui era lì? Cosa centrava il direttore di un sito di addestramento con loro? Erano già in una situazione non simpatica da affrontare, peggiorare il carico non li avrebbe aiutati a guarire.

    Rain si rivolse a lei, ignorando Korin come aveva già fatto in passato in presenza di Stenson e rimettendo al Suo solo sguardo il compito di riconoscerne la presenza. Forse era meglio così, d'altronde lui era abituato ad essere ignorato dal genitore a meno che non fosse strettamente necessario.
    Rain le concesse l’opportunità di raggiungere il suo sogno e fare parte di una squadra d’elitè, peccato che il suo tono monocorde mal si sposava con il messaggio. Doveva solo fare un ultimo sforzo, partecipare ad un’ultima missione per essere considerata papabile. Buon per lei, ma davvero quell’uomo, direttore di un sito esterno, si era scomodato come l’ultimo dei passacarte per riportare quella notizia? Per avere la stessa attenzione Korin era dovuto arrivare ad un passo da ciò che sarebbe potuta essere la sua terminazione. Ma lei no. Evidentemente Exile era speciale o il direttore faceva delle preferenze.

    «Custode.» Gli servì qualche istante di troppo a capire il significato di quella semplice parola. Lo aveva interpellato con il suo ruolo e non con il suo vero nome? Era perché non era da solo, vero? «Se lo desideri potrai partecipare alla stessa missione in quanto scorta e sigillatore esperto.» Una sua scelta? Quando mai aveva avuto una scelta? Aveva scelto di imbracciare le armi e aveva scelto di seguire Stenson avendone ricevuto l’opportunità, vero, ma non aveva mai avuto scelta sulle missioni da compiere. Per quello aveva sempre avuto ordini dai superiori, di fare o non fare una cosa, non aveva mai dovuto decidere che missione intraprendere. Perché gliene veniva data l’opportunità? Cosa c’era sotto? Una scelta poi presupponeva delle alternative. Qual era la sua se non tornare a calci in culo al Grande Tempio, cosa non degna nemmeno di essere considerata? Poteva farlo, certo, ma perché tornare in un luogo dove non si sentiva di appartenere, quando poteva partecipare ad un altro incarico per la sua vera fazione? Era una scelta fasulla?

    Scelta. La tipa in Vietnam, non aveva detto qualcosa di simile? “Non posso vedere molto oltre in questa direzione, ma so che ci sarà una scelta da compiere. Forse più di una.”
    Ammesso che le sue parole fossero vere, e non frutto di un qualche inganno, era questa la scelta di cui parlava? “E come tutte le scelte che contano davvero sarà tra successo e morte.” Dalla sua decisione dipendeva il successo della missione o la sua brusca fine? Dalla sua risposta dipendeva la vita di Exile e quella di tutta la squadra che la avrebbe accompagnata? O forse era la sua presenza che li avrebbe condannati?

    «Sei stato bravo, Korin.» Era un bene che quelle poltrone non registrassero anche il loro stato mentale, altrimenti qualcuno avrebbe potuto darlo per morto vedendo il suo encefalogramma piatto e il respiro trattenuto. Quello era un complimento? Quello che aveva appena sentito era il suo nome? E le due cose erano legate fra loro?! La sua parte combattiva avrebbe voluto alzarsi, puntargli il dito contro e urlare “Chi sei tu? Dov’è il vero Rain?!”, mentre un'altra più sommessa avrebbe voluto trovare la forza di lasciar uscire un “Grazie, signore”. Nessuna delle due però poteva prendere il controllo del vuoto assoluto. Non gli avevano mai strappato davvero l’anima, ma doveva essere quella la sensazione che ti pervadeva. Gli occhi erano fissi su quelli dell’uomo senza vederli. Le orecchie erano tese ad ascoltare il silenzio assoluto. Il corpo seduto su una poltrona che non riusciva più a percepire. Rimase in quello stato catatonico diversi secondi, incapace di processare alcunché. Nemmeno si accorse che Lui era sparito e che lo schermo era tornato a proiettare i loro parametri vitali pesantemente alterati dal suo stato mentale compromesso.

    “Sei stato bravo”. Quelle parole presero a rimbalzare come una pallina gommosa impazzita per tutta la muratura del suo palazzo mentale, duplicandosi ad ogni impatto. Erano proiettili che con la loro scia tracciavano linee tutto attorno, come laser di un qualche sistema di sicurezza. E lui era perfettamente in mezzo alla sala allarmata, incapace di muovere un singolo passo. Non poteva inquinare quel suono così celestiale con qualsiasi altra cosa. “Sei stato bravo”. Lui non gli aveva mai fatto un complimento.
    Erano parole così semplici eppure in quel momento sembravano oro zecchino che arricchiva la sua reggia in frantumi. Erano parole tanto banali, eppure erano un pozzo d’acqua fresca per un assetato nel deserto. Era così assurdo trovare quell’oasi, dopo aver vagato per anni perdendo la speranza di bagnare la gola riarsa.

    “Sei stato bravo”. Poteva non farlo. Perché Rain avrebbe dovuto scomodarsi a fargli un complimento? Per cosa aveva ricevuto quell’elogio poi? Per aver fatto il suo lavoro? Non serviva. Perché doveva venir lodato per aver fatto quello che doveva fare? In fondo l’avevano assegnato a quella missione proprio per quello, no? Perché era un sigillatore esperto che… un sigillatore esperto. Il manuale della missione precedente recava quelle stesse identiche parole. Le richiamò alla mente e il documento apparve al suo fianco come proiettato su uno schermo invisibile. Era abbastanza certo dell’intero testo, lo aveva letto un sacco di volte.
    “Contattare un sigillatore esperto per prove sul campo?” e poi c’era un trattino a mo’ di firma. R. Era… era Lui? Era Rain che aveva fatto quell’appunto? Era lui che l’aveva fatto ingaggiare? Perché? O meglio, come? Come poteva un alto ufficiale del 34, poi divenuto direttore del sito d’addestramento numero 20, avere influenza su una missione così distaccata dall’addestramento di nuove truppe? Alzò lo sguardo verso il ritratto di Lui che capeggiava sul muro di fronte in una rovinata cornice di legno. Possibile che Lui avesse più potere di quanto Korin sospettasse? Possibile che la sua influenza si estendesse ben oltre Cipro? E se anche quel sito sloveno fosse sotto la sua competenza? Altrimenti perché avrebbe dovuto apparire Lui, piuttosto che un altro ufficiale? Lo era anche il sito italosvizzero della missione prima? E se avesse manipolato la missione prima ancora? Quanto era vasta la tela di Quel ragno? Era probabilmente assurdo, ma possibile che lui era risultato uno dei migliori del 34, con la possibilità di diventare steel saint, proprio perché Lui ne aveva manipolato i risultati?

    Una brezza fredda lo accarezzò facendogli gelare il sangue nelle vene cristallizzando catene di ghiaccio attorno al suo corpo vestito e nudo al tempo stesso. Era in suo potere, lo sapeva, lo era sempre stato, ma quanto potere aveva davvero Rain? Quanto spesse erano le catene che sentiva strusciargli addosso? Quanto lunghe? Fin da quale distanza Quel marionettista poteva comandarlo? Presumibilmente da ovunque. Non c’era luogo sulla terra, o in qualsiasi altra dimensione in cui gli poteva sfuggire. “gli uomini in ombra che ti muovono come una marionetta dalla sede centrale in Giappone” Un frammento di pensiero volò fuori dal suo comando cristallizzandosi in un nuovo quadro appeso al muro contornato da una cornice ebano con ghirigori d’oro. Erano parole del finto daimon vietnamita che si erano associate a quel pensiero come attratte da una calamita. Possibile che il nero avesse indirettamente ragione e Rain fosse così in alto nella scala gerarchica?

    Perché l’aveva complimentato poi? Perché solo in quel momento specifico? Se era capace di tali gentilezze perché si era sempre trattenuto? Nel loro primo incontro dopo anni l’aveva completamente ignorato. Quando era tornato da chissà dove come custode, non aveva osato presentarsi, e ora, solo ora, si faceva avanti?! Era perché era protetto da uno schermo che trovava il coraggio di farlo? No. Aveva solo deciso di fare la persona decente per una volta. Forse per la presenza di Exile. Forse nella volta sbagliata. Non aveva fatto nulla che meritasse delle lodi. Non era stato un eroe, anzi, aveva fatto abbastanza schifo a ripensarci. Se Exile non l’avesse afferrato forse le cose sarebbero finite in maniera completamente diversa. Non era lui che meritava quelle lodi. Era lei gli aveva salvato la vita. Di nuovo. E tutto quello che otteneva per quel gravoso compito era un’altra lunga prova da superare.

    La mancina si allungò per terra alla ricerca della bottiglietta d’acqua da cui bevve un rapido sorso. Sarebbe stato meglio se fosse stato un alcolico, avrebbe potuto annegare tutto ciò che provava molto più facilmente. «Immagino che oggi fosse di buon umore.» Ne seguì un altro lungo goccio fino a svuotare quasi completamente la bottiglia. Solo allora alzò nuovamente il viso mettendo a fuoco la realtà e Exile ancora sedutagli affianco. «Da quando conosco quel direttore non l’ho mai visto così… beh così. È sempre stato… una persona poco piacevole, mettiamola così. Sono contento per te, però. Ancora un successo e sarai a cavallo. Ma su una cosa il direttore sbaglia. Quella di partecipare o meno alla stessa missione non è una mia scelta. È il tuo esame. Mi sembra giusto che sia tu a decidere se vuoi avermi o meno tra i piedi.» Le sorrise un sorriso che voleva essere confortante, ma che sapeva di amaro. “Quanta differenza credi che il tuo cosmo possa provocare nel bilancio tra la fine di tutte le cose o la sopravvivenza della razza umana? ” Le parole del finto daimon tornarono prepotenti, come se gli fosse alle spalle a sussurrargli nell’orecchio. Il suo cosmo era ancora estremamente debole, nullo quasi, se paragonato al Gran Sacerdote o allo stesso nero. Forse era vero. Forse il suo cosmo non contava nulla nel grande gioco, ma se era presente poteva agire e tentare di cambiare le sorti di qualunque cosa il destino avesse in serbo per loro. Se non era con loro al contrario, non avrebbe avuto alcuna voce in capitolo, e non avrebbe avuto nessuno da incolpare se non sé stesso. «Sapendo quello che sai fare sarei stupida a non volerti con me in una missione importante, non pensi?» Sorrise di un sorriso vero stavolta, divertito dall’affermazione della ragazza. «Tu mi sopravvaluti. Ti ricordo che mi hai dovuto salvare la vita tipo una settimana fa.» Non rimaneva quasi nemmeno il segno di quell’incontro, eppure lo sentiva ancora pesare dentro di sé. Forse era a proprio quello che si riferiva Rain con il suo complimento: bravo Korin che per una volta non ti sei fatto ammazzare. «Io ho avuto fortuna, tu hai fatto quello che dovevi quando nessun altro avrebbe potuto.» Stoccata, affondo, punto di lei. Non seppe controbattere. Per quanto si considerasse pirla per aver assunto come vero qualcosa che non era affatto certo, non poteva negare che effettivamente avevano avuto fortuna nella loro prima missione. Anche se non fosse stato uno stupido, se avesse bruciato il cosmo pronto ad ogni evenienza, quell’anomalia sarebbe stata lo stesso molto più forte e veloce, ma forse proprio questo l’aveva condannata. Quell’anomalia aveva evocato il potere del ghiaccio che a quei livelli energetici poteva scendere ad una temperatura ben oltre quella che danneggiava quegli esseri. Lui stesso bruciando al massimo il proprio cosmo poteva arrivarci. Avrebbe potuto fare una folata cosmica base e spazzare via entrambi o copiare i sigilli e detonare le loro vite. Eppure quell’anomalia aveva scelto di, fondamentalmente, suicidarsi.
    Per la seconda missione invece, lei non aveva torto. Tutti gli altri erano umani. Lui, grazie al cosmo, era l’unico con abbastanza forza per contrastare quell’influenza mentale. A maggior ragione, proprio perché era l’unico che poteva far qualcosa, era degno di lode il fatto che avesse agito? No. Era stata lungimiranza di Rain non mandare solo umani in quel monastero? Lo aveva fatto reclutare apposta? O avrebbe preferito che selezionassero qualche altro sigillatore? Il direttore poteva aver predetto quanto sarebbe successo? Possibile che qualcun altro oltre alla ragazza in Vietnam avesse scrutato la propria linea temporale manipolando gli eventi per ottenere questo o quel risultato? No. Se così fosse stato non avrebbe avuto una scelta. Rain gli avrebbe ordinato cosa fare siglando un destino a loro favorevole piuttosto che uno nefasto.

    Il silenzio fra loro perdurò qualche minuto, giusto il tempo di venire nuovamente assaltati da quei monotoni grafici a schermo e dai loro suoni così regolarmente fastidiosi. Per quanto ancora dovevano rimanere seduti lì come degli stoccafissi?! Il corpo medico faceva il suo dovere, si assicurava di tutto, certo, ma aspettare i loro comodi era estenuante. Aveva passato una settimana in cella per aver risvegliato il cosmo e nemmeno si ricordava quanti giorni aveva dovuto attendere per quel finto daimon in Vietnam che lo aveva letto manco fosse un libro aperto. «Senti, ma… cosa volevi dire prima che il direttore ti interrompesse? Vuoi parlarne?» Provò a cambiare argomento, a riempire nuovamente quel vuoto prima che esso potesse impossessarsi di loro. Non aveva paura del vuoto, del silenzio, ma percepiva che c’era qualcosa in quel silenzio, una nota che doveva suonare, ma che si ritrovava cristallizzata nell’aria, impossibilitata ed emettere suoni. «No, non fa nulla, forse domani non me ne ricorderò più. C'è un motivo se abbiamo un mucchio di protocolli per le anomalie che ti entrano in testa.» Forse sì, forse no. Il modo in cui ne parlava faceva ben intendere che ci fosse altro, un non detto che le premeva dentro incapace di uscire, trattenuto con tutte le proprie forze. Forse Exile avrebbe solo voluto avere una famiglia, come le aveva già rivelato, una vita normale, lontano dalla Fondazione. Niente nomi in codice, corrotti, anomalie, cosmo, nulla. Le aveva detto che era stata adottata dalla Fondazione quando era molto piccola, forse era cresciuta fra quelle mura. Forse Exile, al contrario suo, non aveva mai sperimentato una vita fuori dalla Fondazione, o non poteva ricordarla. Era molto triste, ma non poteva fare nulla a riguardo. Avrebbe voluto aiutarla ad esprimere quel malessere, ma non era giusto forzarla e soprattutto lui non era nessuno per obbligarla a parlare. Non era uno strizzacervelli, né un direttore. Era solo Korin, un nome in codice fra tanti ed Exile si era fatta più distante. Era immobile sulla stessa poltrona eppure sentiva un muro ergersi fra loro, frutto della sua immaginazione, ma le ultime parole di lei erano state così schiette e soffocanti che facevano intendere che doveva farsi da parte e lasciarle il suo spazio. «Va bene. Non insisterò.»

    Fuggì. Appena ne ebbe l’opportunità si dileguò a passò svelto prestando ben poca attenzione ai labirintici corridoi che attraversava. Semplicemente voleva rifugiarsi da qualche parte sperduta, lontano da quelle camere contenitive. Trovò casualmente la via d’uscita per il giardino, dell’aria fresca gli avrebbe fatto bene dopo giorni passati al chiuso, e prese a camminare senza meta mentre il suo sguardo spazzava il territorio alla ricerca di un qualche angolino isolato. C’erano diversi feriti in via di guarigione che parlottavano sotto i raggi solari, chi faceva yoga o un qualche altro allenamento muscolare. C’era chi passeggiava in carrozzina, braccia o gambe amputate da chissà quale incidente. Adocchiò una persona il cui viso era stato brutalmente divorato da un qualche incendio o acido, mentre muoveva i suoi nuovi primi passi guidati da un nuovo amico a quattro zampe. L’area era estremamente tranquilla, gioiosa anche. Nonostante le brutte ferite che marchiavano i corpi di quegli agenti e non, le loro mutilazioni non sembravano un peso per le loro anime, forse rinfrancate da quell’angolo di paradiso. Presumibilmente quelli veramente lesi erano sigillati metri e metri sotto terra coperti da chissà quanti strati di mura che ne soffocavano le grida strazianti.

    Il passo lo condusse verso la piccola rimessa per le barche, dove un piccolo snodo del muro contenitivo lasciava libero un pezzo di fiume e probabilmente permetteva di fare alcuni esercizi in acqua. Proseguì verso il ponte che tagliava perpendicolarmente in due l’isola collegandola alle terre adiacenti. Era così strano vederne la parte interna alle mura ben tenuta mentre quella esterna marcia, sporca, persino volutamente abbattuta per evitare assedi dei corrotti. Si nascose infine nella finta radura, recintato dalle chiome verdi degli alberi e, finalmente solo, lasciò libero il proprio potere circondandosi di una barriera di sigilli che iniziò ad attaccare. Avrebbe abbattuto e ricostruito ogni sigillo troppo danneggiato cosicché il suo potere non avrebbe potuto ferire nessuno. Rimase per ore a provare e riprovare il katà cosmico lasciando che le energie fredde portassero via ogni altro pensiero. Niente umani blu, niente calici, niente direttori, niente Exile. Non aveva nulla contro di lei, era una brava ragazza, testa sulle spalle, aveva un sogno e lo perseguiva. Era lui il problema. Forse… forse si vergognava a starle accanto. Lei lo trattava come se fosse stato un niente, forse nemmeno si era accorta di averlo fatto nella seconda missione, eppure gli aveva salvato la vita per ben due volte; a lui che era il cosmodotato, il custode di Thule, dannazione. Lui che aveva promesso ad Alman di essere il suo vice in terra e di essere lo scudo che protegge l’umanità, finiva per essere il protetto. Lui che aveva fatto quasi scoppiare una guerra con Atlantide per proteggere i suoi compagni della Fondazione e che si era quasi fatto odiare dal Gran Sacerdote a cui avrebbe dovuto far da tramite. Lui che ovunque andasse veniva preso a calci e chiamato con mille dispregiativi diversi tra cui bambino, nazista, illuso, mostro, e dove non veniva perculato era utile come uno stuzzicadenti usato. Era stato quel gigante drago a salvare gli uomini dispersi, era stato quasi inutile in America prima che G.E.A. lo usasse come suo tramite, era stato nuovamente salvato nei formicai anomali. Non importava che gli umani erano stati salvati, un nido distrutto, una figlia non liberata, vedeva fallimenti ovunque.

    Il simbolo di Alman, capeggiava di fronte a lui, giudicante quasi. Non ricordava nemmeno di averlo intessuto tra tutti gli altri. Forse il Fondatore si era sbagliato. Potevano anche avere un cosmo simile, ma Korin non era Alman, non era un grande re, un filosofo, un conoscitore del mondo. Non era un custode. Era un blue warrior al massimo, un guerriero di BlueGrado, un combattente che seguiva gli ordini della Fondazione. Nulla di più, nulla di meno. Forse aveva fatto una promessa che non poteva mantenere. Forse aveva ragione il nero. Non c’era nessun io farò, nessun ci proverò perché avevano già fallito. Forse aveva fallito Alman e la Fondazione tutta nel considerarlo pronto a quello che c’era fuori, avevano fallito nel reputarlo degno di ricevere quell’armatura. Non lo era. “Sii orgoglioso del tuo ruolo. Del tuo titolo.” Non poteva. Non era pronto a sopportare quel peso. Non aveva detto una parola ad Exile a riguardo, si nascondeva dietro alla bugia del triangolo boreale con chiunque non fosse un suo superiore. Non si sentiva un re sceso in battaglia per il suo popolo, si sentiva l’ultimo degli ultimi, un soldato semplice e dimenticabile, uno che nessuno avrebbe pianto.

    Aveva incontrato Daimon fieri del proprio risveglio, umani orgogliosi della loro ascensione a bestie, altri boriosi di essere divenuti mostri, di aver affrontato il caos più puro ed esserne usciti vincitori, tracotanti che si sarebbero lanciati in mezzo alla non-morte per un pezzo di deserto, altri quasi obliati per l’esistenza della corruzione e aveva visto creature viventi incuranti della propria esistenza lanciarsi a muso duro contro Caduti grossi trenta volte loro. Cosa avevano in comune? Il potere. La loro fiamma cosmica ardeva così luminosa che lui in confronto era un cerino spento. In compenso il suo più grande pregio era essere realista, o onesto con sé stesso secondo Stenson; diamine quanto gli mancava il colonnello, lui sì che avrebbe saputo cosa dirgli in quel momento.

    Il simbolo brillò più forte accusando un colpo cosmico e ripartendolo tra le infinite venature che ne costituivano il semplice disegno. Poteva infrangere la promessa fatta, ammettere di non essere pronto e lasciare l’armatura con tutte le diverse possibilità che ne conseguivano, dalla terminazione ad un ben peggiore esilio eterno al Grande Tempio. Oppure poteva abbandonare la sua umanità e ricercare quello stesso potere. Era già un mostro dopotutto, diverso dagli umani che aveva affiancato in missione, diverso da Exile, Stenson, Roth e tutti gli altri. Rain l’aveva fatto reclutare, anche se indirettamente, proprio per quello, perché non era più umano. Forse doveva abbracciare la sua inumanità e farne un punto di forza piuttosto che uno di debolezza. Eppure ne aveva paura. Aveva paura di quello che aveva visto fare, paura di perdere il controllo sul suo stesso potere, paura di ferire degli alleati. Sapeva in cuor suo che la Fondazione era grande e potente. Sapeva che lo avrebbero potuto fermare in caso, ma forse era proprio quello il punto. Aveva paura di venir ostracizzato per quello che era, come era già successo la prima volta che aveva liberato il cosmo. Certo, la Fondazione sembrava più tranquilla ora che sapeva esattamente ogni cosa della sua matrice cosmica, si fidavano ad averlo attorno ora che aveva il pieno controllo del suo potere. Ma sarebbe stato sempre così?

    Sarebbe stato bello poter chiedere uno sguardo nel futuro a chi aveva quel potere. Una piccola occhiata, non chiedeva di più. Forse però dargli quella risposta era fuori dal controllo di chiunque. C’erano troppi destini che si incrociavano per quella risposta. Magari lui sarebbe diventato un eroe per qualcuno, un mostro per altri. Sarebbe stato braccato da un lato, osannato da un altro, seguito e temuto. Oppure sarebbe potuto rimanere lì, fermo, come era in quel momento, immobile nel tempo a combattere il peggior nemico di tutti, sé stesso.

    Era anche quella una scelta. Lasciare, rimanere immobile, o andare avanti. E come tutte le scelte che contavano era tra successo e morte, tra un mondo di felicità e un’uscita rapida di scena. Tra una pace con sé stesso e una richiesta alla divinità di sigillare per sempre il suo cosmo. Ma non prima di aver sistemato la corruzione. Non prima di aver fatto qualcosa, anche solo un tentativo per risanare il mondo. Non prima di aver dato a Exile e a tutti gli altri una vita migliore. Doveva andare avanti, almeno di un altro passo, fare un tentativo, e pregare di essere nel giusto. Quello che doveva accadere sarebbe accaduto in ogni caso, che lui fosse un dio in terra o l’ultimo dei cosmodotati. Inoltre non poteva deludere Alman, né la Fondazione tutta. Gli doveva troppo per abbandonarla così. No, lui voleva renderli fieri di lui, voleva sentirsi apprezzato da loro. Voleva potersi vantare della sua affiliazione. “Sei stato bravo” voleva un vero complimento.
    C’era davvero una scelta da compiere?

    Concluse il suo allenamento e tentò di tornare indietro, solo per perdersi tra l’enorme parco e gli infiniti e convoluti corridoi dentro al castello. Alla fine fu costretto a chiedere indicazioni, come sempre quando si finiva in un sito nuovo, e finì per riunirsi ad Exile. In sua compagnia tra una chiacchiera e l’altra ricercò i costumi della Theyyam, giusto per sapere se fossero davvero buffi come lei sosteneva. Erano strani, assurdi anche, ma non per forza buffi. Indossandoli si diventava la divinità con tutto il rispetto e timore che ne conseguiva. Trovò casualmente un video di un costume altissimo fatto di paglia e fuoco, non avrebbe mai voluto interpretare una divinità simile. Apparentemente quel video era collegato ad un qualche GRADO che non aveva i permessi per visualizzare, ma dopo calici parlanti non ci mancava molto ad un costume che ti rende davvero un dio. C’era anche da considerare che tutte quelle divinità se non folklore erano veri e propri daimon, quindi nulla su cui scherzare.

    Dopo cena Rain li richiamò all’ordine con una nuova videochiamata. L’uomo voleva solo sapere la sua decisione, strano quindi che avesse richiesto anche la presenza di Exile. Korin la guardò, come se farlo potesse allontanare metaforicamente Quell’incubo e dargli la forza di affrontarlo. Una sua parola e avrebbe siglato il suo destino. Successo o morte. «A meno di nuove disposizioni, signore, vorrei poter partecipare alla stessa missione.» Era fatta, non si poteva tornare indietro. Rain sparì come era arrivato, senza lasciar traccia di una sua soddisfazione o meno per quella risposta. Exile al contrario pareva felice di “averlo convinto”. «Vedi di fare una buona dormita che domani devi giocarti il tutto per tutto. » La ammonì sorridente salutandola per la notte. Peccato che non solo lei doveva dare il meglio. Il destino bastardo poteva avere in serbo per loro un bello scherzo o forse sarebbe stata un’altra missione base come quella del monastero. Forse avrebbe dovuto parlargliene. Avrebbe dovuto dirle tutto, almeno ciò che era importante. Aveva già avuto brutte sensazioni riguardo ad una missione e non dire nulla a nessuno aveva solo causato morte e la sua maledizione.
    No, non ne era il caso. Exile sarebbe già stata tesa di suo, non aveva senso metterci un carico aggiuntivo, anche perché dirle “sai una cosmodotata mi aveva predetto l’incontro con te e con esso una scelta fra successo e la fine di tutto” non suonava bene. Si fece una doccia, parlò metaforicamente con sua madre, pregò gli spiriti pronto a qualunque cosa stesse per venire. Lui era il cosmodotato, il custode di Thule, il sigillatore esperto e la scorta di quella missione.
    Era compito suo far filare tutto liscio.


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:No pressure.
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:Turbe mentali varie ed eventuali.


     
    Top
    .
  20.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    V




    È più strano che fastidioso.

    Exile distoglie lo sguardo dal cronografo digitale che sta suonando insistentemente.
    Hai la sensazione di non dormire da giorni e giorni, di camminare da un'infinità di tempo, ma il tuo corpo non è stanco come dovrebbe. Eravate preparati a tutto questo.
    Il messaggio registrato ronza nelle tue orecchie con una lentezza esasperante e dopo qualche minuto torna il silenzio.

    I tunnel si aprono come una ragnatela insospettabilmente ampia sotto la cittadina di dimensioni relativamente ridotte che sta sopra la vostra testa. Gallerie e rotaie, porte e scale.
    L'esaminatore sbuffa divertito, strofinandosi i baffoni grigi da tricheco. È un uomo affabile che vi ha messo subito a vostro agio, soprattutto vista la situazione: la missione esplorativa di un'anomalia ormai chiusa da tempo è diventata una missione di recupero.
    A quanto pare uno dei membri della squadra Lambda non è tornato insieme ai compagni al rendez-vous, risultando MIA.
    Nel vedere i dati dell'agente, Exile ha avuto un sussulto, ma non ha profferito parola in merito, dimostrandosi anche più refrattaria del solito.

    I sei membri restanti della Lambda si sono divisi in due squadre, che insieme a voi e all'esaminatore fanno un totale di tre squadre da tre. Exile è partita in testa come da manuale, assicurandosi un moschettone alla cintura da cui partono due corde da quattro metri a cui siete attaccati tu e il vecchio soldato. Da quel momento tutte le comunicazioni sono avvenute esclusivamente con le altre due squadre e per via testuale, mentre quelle con l'esterno si sono rivelate impossibili, come da previsione.

    Sono passate dieci ore dal vostro ingresso. Ne avete ancora due prima di dovervi ritirare. Non sapresti dire quanto lunghe ti sono sembrate.
    A breve ripartirete dalla stazione che avete finito di perlustrare poco fa. Le altre due squadre hanno appena comunicato di non avere novità. Nessuna traccia del compagno disperso. La vedi estrarre nervosamente il tablet che contiene le informazioni sul sito.

    Inserire credenziali di accesso

    GRADO-5423

    Procedure di contenimento: l'ingresso principale è chiuso e mimetizzato per evitare intrusioni; le sezioni della rete fognaria locale che si intersecavano con l'anomalia sono state deviate; sensori di movimento e telecamere fuori dall'area di accesso segnalano la presenza di soggetti estranei al sito GRADO più vicino (GS-37); l'accesso da parte di personale GRADO è controllato con cadenza di 12 ore.
    Procedure di contenimento P.A.: in seguito all'abbandono di GS-37 per mancanza di personale attivo, l'area rimane chiusa e sotto controllo remoto. Sospese momentaneamente le spedizioni di studio.

    Descrizione: G-5423 è un insieme di tunnel, rotaie e stazioni che si estende sotto la cittadina di Grójek in Polonia. L'aspetto è quello di una normale metropolitana di grandi dimensioni, compresi treni e strutture di supporto, ma totalmente priva di uscite o entrate a esclusione di quella principale.
    L'ingresso, una scala in cemento parzialmente fusa con l'asfalto del parcheggio, è stato scoperto nel seminterrato di un centro commerciale nel novembre 1979 durante dei lavori di ampliamento. Gli addetti ai lavori hanno notificato la comparsa delle scale alla ripresa dei lavori alle 8.00 a.m. ora locale. Due di loro si sono avventurati all'interno dell'anomalia scomparendovi per diverse ore. Sono stati recuperati il giorno dopo in stato confusionale da una Lambda, tutti gli operai sono stati sottoposti a trattamento con anamnestico e re-localizzati. Il centro commerciale è stato chiuso (copertura: ritrovamento di un deposito clandestino di scorie nucleari) e il piano interamente sigillato per impedire qualsiasi accesso non autorizzato.
    La scala è la replica esatta di uno degli accessi alla stazione Rockefeller Center di New York, da qui nominata G-5423-a. I vagoni e la stazione stessa sono stati identificati come copie esatte delle controparti in uso nel momento della comparsa dell'anomalia. La rete elettrica della struttura pare essere indipendente da quella locale o da altre fonti di energia. Le sole differenze erano la mancanza di altri accessi o vie d'uscita. I corridoi e le porte che nella stazione originale conducono all'esterno sono chiusi e virtualmente impraticabili. Qualsiasi tentativo di forzare o sfondare le porte è esitato in fallimento. L'utilizzo di armi a base cosmica ha dato gli stessi risultati.
    Ciascun binario era inizialmente chiuso ad anello -pur sviluppandosi apparentemente in linea retta- percorribile per circa 3km prima di tornare allo stesso binario dalla direzione opposta. In seguito, a intervalli irregolari, diversi scambi iniziato a comparire lungo la linea, sempre al di fuori delle aree sorvegliate. A oggi non esiste testimonianza visiva diretta dell'effettiva comparsa o della modifica di alcuna linea, dato che la videosorveglianza si è rivelata inutile, come se la metropolitana non riflettesse alcuno spettro luminoso catturabile dalle telecamere, similmente a quanto avviene con specifici controlli della radiazione luminosa da parte di cosmodotati. Seguendo tali scambi è possibile raggiungere nuove stazioni, anch'esse repliche di altre già esistenti, tra cui alcune fermate delle metrò di Madrid, Londra, Parigi, Roma, San Francisco, etc., tutte perfettamente congruenti alle contropati nel momento dell'attestata comparsa all'interno dell'anomalia.
    Le stazioni replicate dall'anomalia sono apparentemente in ordine casuale, ma la rete è coerente e percorribile da un estremo all'altro. Le stazioni sono collegate tra loro soltanto dai tracciati delle rotaie e nessuna di esse presenta uscite praticabili. I vagoni all'interno della rete non sono in movimento e ciascuna stazione presenta al suo interno o sui tracciati contigui soltanto i vagoni a essa appartenenti. I diversi tentativi di operare i vagoni e metterli in moto sono stati fallimentari.
    G-5423 contiene attualmente cinque linee diverse che si incrociano nelle stazioni più grandi. Il continuo sviluppo della struttura sembra essersi interrotto il 21 dicembre 2012, probabilmente in seguito all'abbandono delle reali reti metropolitane o a una più complessa causa legata ai numerosi scompensi cosmici generati dalla Corruzione. Da allora la rete dell'anomalia ha subito drastici cali di tensione intermittenti fino a spegnersi del tutto, luci comprese.
    I soggetti che si trovano all'interno di G-5423-a subiscono una profonda alterazione della percezione dello scorrere del tempo, sia in senso accrescitivo sia in senso diminutivo. G-5423 non è in grado di alterare le funzioni bio-fisiologiche dei soggetti o i normali metodi di misurazione del tempo meccanici o digitali. L'alterazione riguarda unicamente sensazioni dei soggetti. Una lunga esposizione (mediamente al di sopra di 72h ininterrotte di permanenza in situ) provoca nel 91% dei soggetti uno stravolgimento massiccio del ritmo circadiano che va a incidere rapidamente sullo stato psicofisico a partire dalle funzioni endocrine.
    L'alterazione inizia dopo circa 2 minuti di permanenza in G-5423 ed è normalmente soggettiva, a meno che i soggetti non siano a una distanza inferiore di 5m l'uno dall'altro (in questo caso, i due soggetti manterranno sostanzialmente lo stesso livello di alterazione e con gli stessi cicli di dilatazione e restringimento. vedi addendum 8). La proporzione tra tempo reale e tempo percepito è solitamente sempre più evidente quanto più ci si mantiene all'interno dell'area. A seconda dei soggetti intervistati dopo 3h di esposizione si sono riscontrati tempi percepiti pari a "diversi giorni" o "pochi secondi".
    I soggetti lasciati liberi di agire senza istruzioni particolari all'interno dell'anomalia vengono presi da un istintivo bisogno di salire su uno dei treni, per raggiungere "la destinazione". Da quel momento in poi i soggetti subiranno un progressivo aumento di frustrazione nel constatare che la destinazione non viene raggiunta in alcun modo e la loro aggressività aumenterà gradualmente provocando eccessi di violenza verso sé stessi o altri. L'unico modo di interrompere il processo è allontanare forzatamente i soggetti dai vagoni, impedire loro ulteriori contatti con essi e farli rapidamente uscire dall'area dell'anomalia. Per evitare l'influenza dell'anomalia bisogna continuamente ricordare che "i treni non possono portarti a casa". (In seguito a ripetuti studi, il personale GRADO che entra nell'anomalia ha in dotazione un apparato audio che riproduce il messaggio registrato ogni 30 minuti. vedi addendum 27).


    6vgdAlI



    Note Master:

    Partiamo subito con la missione in corso. State perlustrando l'anomalia in tre, legati a corde per non perdervi tra di voi e non allontanarvi troppo per non subire effetti troppo diversi. Descrivi pure il tutto dal tuo pdv, considera che avete una mappa del sito ma non è aggiornata, quindi di fatto la state aggiornando voi esplorando alla ricerca dell'agente disperso. Gestisci le interazioni nel solito modo. Per il resto hai libertà totale.
    Fermati pure quando vuoi, prima che scadano le ultime due ore. Alla fine, nel buio di una galleria sentite un rumore e dovete decidere cosa fare.


     
    Top
    .
  21.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera13
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG#5

    DESCRIPTION:

    I treni non possono portarti a casa.
    I treni non possono portarti a casa.
    I treni non possono portarti a casa.

    Lo ripeteva come un mantra, peccato che il training autogeno non aveva mai funzionato per lui. Forse non ci credeva abbastanza o forse non ripeteva a sufficienza quelle che per lui erano solo sciocche frasi. Si aspettava che gli si incidessero nella mente con la stessa facilità con cui un coltello poteva piantarsi nella carne e invece il suo rivestimento mentale era fin troppo duro per venir scalfito da qualcosa di così insignificante.

    O forse funzionavano davvero. Erano giorni ore che vagavano per quei tunnel e ancora non aveva avuto nessun impulso di salire su una qualche carrozza trovata bloccata sul sentiero. Semplicemente si erano fermati a controllarle passando uno sguardo per i finestrini delle varie carrozze, forzandone gli ingressi chiusi e, rimanendo sulla porta, controllando che non ci fosse anima viva all’interno, prima di essere forzatamente tirati fuori dagli altri due di guardia. Avevano perlustrato una carrozza a testa per diminuire ulteriormente la presa che esse potevano avere su di loro. Il rigore mentale quindi funzionava davvero o forse quei vagoni non avevano alcuna attrattiva per lui. Infondo a quale casa avrebbero potuto portarlo? Cosa quella anomalia considerava come destinazione? L’appartamento a Datong? La camera in cui alloggiava al 20? Il monolocale al Grande Tempio? Nessuna di loro era una casa, non lo era mai stata, o non lo era più.

    Passati i primi mesi dopo l’armaggeddon, non aveva mai sentito il desiderio di tornare in Cina. Il continente, anche per la vicinanza a Bangkok, doveva essere un cumulo di corruzione inenarrabile, un po’ come quella fanghiglia incrostata che aveva visto in America. Se anche non fosse stato un focolaio non gli rimanevano che bei ricordi sbiaditi dal tempo e ricordi brutti fin troppo incisi nella sua mente. Forse un giorno sarebbe tornato, un giorno ancora lontano dove la corruzione sarebbe stata solo un ricordo; forse allora avrebbe avuto il coraggio di bazzicare di nuovo per quelle stesse strade, a dondolarsi sull’altalena del parco, a calpestare con le calze il suolo di tatami del dojo. Più ci pensava però più i ricordi felici venivano travolti dalle onde della tristezza, dalle grida, dall’arrivo di Rain e la perdita di sua madre, ma più di tutto dalla prima morte a cui aveva assistito. Erano passati anni, ma non poteva togliersi dalla mente la piccola mano tesa di Tim Shonbao che spuntava da sotto una coltre nerastra che si cibava di lui. Si scuoteva, finché non si mosse più. E loro, gli altri che erano con lui incluso suo fratello maggiore, non si erano fermati ad aiutarlo, ma avevano continuato a correre, lo sguardo indietro per assicurarsi che la bestia non li stesse più seguendo.
    Forse in quel giorno futuro avrebbe aggiunto una tomba per lui nel cimitero, per chiedergli scusa di averlo abbandonato al suo destino. Non avrebbe potuto fare niente per impedirne la dipartita, ora lo sapeva fin troppo bene, ma non riusciva a percepirla come una giustificazione. Era un tarlo che lo rosicchiava dentro e mordeva più forte per ogni anima che aveva dovuto lasciare indietro, un po’ meno per quelle a cui aveva dato una fine rapida piuttosto che concederle a Ponto.

    Forse per l’anomalia la sua casa sarebbe stata la camerata del 34, una branda affianco a tante altre, due bagni in comune non troppo distanti. Ma avrebbe voluto tornarci? La vita lì era molto più semplice in confronto, molto più protetta, tranquilla, tanto lontano dai misteri della Fondazione quanto vicino alla presunta cella di contenzione di diverse anomalie, tra cui sua madre Aiko. Era certo che la sua ex-comitiva le aveva fatto una buona guardia anche per lui, era l’unica cosa che aveva chiesto loro prima di dileguarsi senza nemmeno dir loro addio. Ecco, forse era proprio questo il motivo per cui tornare era sbagliato: lo avrebbero fatto a pezzi se si fosse presentato di nuovo dopo averli lasciati senza dire niente, peggio di un’ombra nella notte.

    La camera privata al 20 allora, enorme tutta per lui, che dava sul fondo dell’oceano. Aveva chiuso la finestra e non l’aveva mai riaperta nel terrore che il vetro cedesse e che l’acqua salata inondasse ogni cosa. Per non parlare dei pesci che vedeva nuotare malevoli, o delle alghe che sembravano quasi volerlo venire a prendere. Decisamente non gli mancava quel luogo. Solo gli abitanti di quel sito lo facevano sentire a casa, Stenson più di tutti. Lui sì che aveva il sapore di padre. Magari sarebbe stato un ottimo genitore in una realtà diversa, lontana dalla corruzione. Si strinse appena nelle spalle al pensiero, fortuna che gli altri due, di spalle e più avanti non poterono vederlo.

    Il monolocale al Grande Tempio allora, per forza. Peccato che lì ci andava si e no per dormire, in modo non diverso dalla cella di contenimento al sito 20-B. Già che era costretto a stare lì avrebbe voluto poter chiamare Rodorio e i suoi abitanti casa. Avrebbe voluto poter dire di essere amico del panettiere, o del pescivendolo, o dei vari maestri e addestrandi, dell’esercito del Tempio… dei suoi capi dorati. E invece non provava niente per loro. Esistevano, andavano protetti. Si doveva obbedire ai capi anche se era in dubbio che lo fossero davvero. Non li aveva quasi mai incrociati, non diversamente da un qualsiasi direttore della Fondazione, però avevano un’aria diversa attorno a loro, meno regale, non da capo. Se non fosse stato per l’armatura Rigel sarebbe potuto sembrare una persona qualunque mentre Bart aveva l’aria di una persona che dovrebbe scendere dal pero sul quale aveva creato una casetta di legno per la sua famiglia.

    Qual era quindi la destinazione per lui? Quale desiderio avrebbe potuto portarlo a salire su uno di quei vagoni? Qual era la sua casa? Un mondo senza corruzione. Un futuro ipotetico ancora lontano in cui debellavano la malattia di Ponto e il mondo tornava alla normalità della sua infanzia. Ma se anche questo si fosse realizzato, avrebbe potuto sentirsi a casa dopo quello che aveva visto, quello che poteva fare? Poteva sentirsi soddisfatto di lasciare ogni cosa per vivere nell’ignoranza aspettandosi che altri si sacrificassero per lui? Soprattutto si sarebbe fidato a lasciare il destino del mondo ad altri come Sanya, Pan, Amaterasu? No. Non poteva.
    Casa. Chiamava casa la Fondazione perché nonostante tutto, era l’unico luogo in cui si sentiva bene. Nonostante tutte le cose non dette, nonostante ognuno tenesse per sé i propri segreti, lui in primis, nonostante non fossero che pedine nelle mani di altri, nonostante tutti i vincoli, era il luogo in cui si sentiva libero, in cui aveva uno scopo, un ruolo. Forse è per quello che quei vagoni non gli facevano niente: lui a suo modo era già a casa.

    Non era una casa ideale, ma forse nessuna lo era davvero. Avrebbe voluto essere più forte, più cosciente del proprio ruolo, più abile per poterlo eseguire, magari accerchiato da una squadra scelta con il meglio del meglio, Stenson in primis.
    Non aveva nulla contro Exile, l’esaminatore Lichinga, il capitano Samarkand o ogni altra squadra con cui aveva collaborato. Semplicemente si immaginava il meglio del meglio per combattere il peggio. Non si aspettava di essere il migliore della sua squadra perfetta, ma di essere un condottiero circondato dai suoi consiglieri, una squadra unita contro i misteri dell’universo e i suoi tetri abitanti. Il peso dell’armatura che portava gli faceva immaginare il ruolo che Alman avrebbe dovuto avere all’alba dei tempi, il ruolo a cui lui, forse, avrebbe dovuto ascendere. Non si sognava diventare il re di un popolo di mistici, o parte dell’ipotetico e misterioso concilio che governa la Fondazione, ma allo stesso tempo il suo ruolo non poteva avere a che fare con l’essere una semplice scorta per tre scienziati o di vagare per una metropolitana anomala, buia e soffocante alla ricerca di un disperso. Doveva ancora imparare molte cose, ne era cosciente, ma cosa stava apprendendo in quel momento? Nulla.

    Quello che avrebbe potuto apprendere era forse nascosto dietro ad un ostinato, e per Korin inspiegabile, silenzio di Exile che in quel momento marciava imperterrita davanti a tutti, come un boss, seguita a ruota dall’esaminatore. Lui li seguiva, per forza visto che era legato ad entrambi, ma sentiva come se una barriera gelida li avesse divisi fin da prima di entrare nell’anomalia. Non aveva propriamente litigato con la ragazza, ma ci era andato vicino dall’alzare la voce con lei. Si era trattenuto solo per il bene della missione, per non fare figure davanti all’esaminatore, perché non poteva tirarsi indietro adesso. Soprattutto dopo che aveva scelto di esserci per poter magari prevenire il destino infausto che gli era stato predetto.

    Erano arrivati sul luogo del briefing in maniera molto ordinata, ma appena messo piede in zona il trambusto aveva preannunciato che la tranquilla missione di studio di GRADO-5423 non sarebbe stata poi così tranquilla. Le cose erano precipitate appena prima del loro arrivo, quando la missione di ricognizione della squadra Lambda era risultata in un disperso, uno che ovviamente era importante recuperare prima che fosse troppo tardi. Sedettero al briefing assieme al resto della Lambda che stava riposando qualche minuto prima di rientrare nell’anomalia e qui fu spiegato loro l’ipotetico motivo della sparizione, di come il compagno del disperso stesse addirittura parlandogli quando dopo una domanda senza risposta si era voltato notando che lui non c’era più. Non aveva udito nulla di strano, cosa assurda considerando il rimbombo generale, ma in quel rimbombo non era nemmeno più sicuro di non avere udito i suoi passi allontanarsi o sparire del tutto. Le varie squadre poi condivisero le mappe da loro aggiornate, una o due stazioni a testa che avevano studiato approfonditamente, la cui locazione non combaciava affatto con le ultime mappe stilate prima dell’armaggeddon. L’agente era stato perso in un tratto tra una stazione inglese, quella di uscita, e una francese. Il loro compito sarebbe stato entrare, ripercorrere quel percorso a ritroso per poi dividersi per i vari bivi alla ricerca del disperso.
    Durante il briefing Korin aveva notato il modo in cui Exile guardava la foto del disperso, come se lo avesse riconosciuto o peggio, come se avesse visto uno spirito. Era una cosa buona, magari avrebbe potuto rivelare qualche particolarità del tipo che avrebbe aiutato a ritrovarlo, ma quando glielo aveva chiesto lei si era fatta più distante. Non gli importava sapere la rava e la fava, o di un’eventuale storia fra loro. Una piccola nozione, anche la più stupida, poteva decretare la differenza tra l’impellente destino di successo o morte, soprattutto in un momento in cui l’ago sembrava pendere rapidamente verso la morte. Aveva insistito con le domande e di tutta risposta la ragazza era diventata non cooperativa e lui, già teso, non poté che siglare quel silenzio erigendo un altro muro. Non voleva parlargli? Chissene. Era la sua missione, il suo esame per raggiungere il suo sogno. Fosse stato per lui, non era così che l’avrebbe raggiunto. Che idea stupida è non condividere informazioni?! Stava potenzialmente condannando una persona, un compagno, all’autolesionismo provocato da un’anomalia che, ipoteticamente parlando visto che non c’erano dati a supporto della tesi, poteva anche portare all’autoeliminazione. Più tempo passava meno probabilità avevano di trovare il disperso vivo. Già era dentro da 13 ore al momento in cui loro sarebbero entrati a cercarlo. Si era perso forse proprio perché preda della sua volontà indotta di raggiungere “la destinazione”. Avevano dati di estratti dopo 72 ore, quindi era possibile sopravvivere fino ad allora se si possedeva abbastanza fortitudine, ma il tipo l’aveva? In che condizioni l’avrebbero ritrovato, se lo avessero ritrovato?

    Lasciò la ragazza al suo silenzio forzato raggiungendo piuttosto la squadra Lambda che stava già dividendosi nei tre gruppi convenuti. «Scusatemi, avrei un’ulteriore domanda. C’è per caso qualche particolarità del vostro compagno che potrebbe rendere più facile ritrovarlo? Anche la cosa più stupida che vi viene in mente.» «Bho, no, non credo abbia nulla di particolare… » «A me è sempre sembrato avesse un attrazione inconscia per i muri. Il fatto che scelga sempre i tavoli più vicini ad essi in mensa o la sedia della sua scrivania che è direttamente contro il muro? Forse è stato sboccato da qualcosa di passato, un terremoto o simili.» «Se dovesse essere su un treno per me lo troveremmo a destra. E’ mancino, quindi avrebbe la sinistra libera per gesticolare» «E’ solo ambidestro. » «Perchè ha imparato. Di base è mancino.» «E comunque dove ti siedi non dipende dalla mano, ma da una preferenza inconscia… forse per lo schieramento politico.» «Ma va, ma non dire cazzate.» Aveva aperto un vaso di Pandora con la sua domanda, scatenando riflessioni sempre più incasinate e assurde sul perché qualcuno dovrebbe far qualcosa. Non ottenne molte informazioni da solo, nulla che davvero poteva essere una chiave di volta, ma già restringeva la ricerca.

    Camminavano da giorni, no ore, in quel posto e non vi era altro che buio e silenzio. Qualche volta Lichinga tentava di stemperare l'atmosfera come un capo che frequentemente si assicura della salute dei sottoposti, ma per il resto le loro comunicazioni erano al minimo visto che ogni cosa rimbombava come non mai per quelle gallerie desertiche e ogni minimo suono avrebbe potuto essere il ricercato. Finora nulla. Vuoto e silenzio.

    Urgenza. Tutto quello che provava era un impellente bisogno di risolvere la questione, o di ricevere la notizia che uno degli altri team l’avesse trovato. Successo o morte. O lo ritrovavano o qualcuno ci lasciava le penne. Forse il ricercato, forse addirittura tutti. I treni non possono portarti a casa, gli ricordò il messaggio preregistrato, indice che un’altra mezz’ora era passata. Solo un’altra mezz’ora, una che era parsa durare un giorno intero di una camminata lunga ed estenuante, infinita, nel buio, nel silenzio, preda di mostri voraci, di tensione, di rabbia, di daimon e demoni, di profezie. Successo o morte.
    Forse si stava lasciando condizionare troppo dalle frasi dette da una sconosciuta; una dotata di cosmo e di poteri di preveggenza certo, ma pur sempre una sconosciuta. E se avesse avuto cattive intenzioni? E se la sua preveggenza fosse stata solo un intricato gioco di prestigio? Forse si stava solo guidando verso la disfatta.
    Cercò di respirare più profondamente mentre l’odore di chiuso invadeva nuovamente il suo corpo e la polvere lo attaccava nel profondo. C’era talmente tanto eco lì sotto che sarebbe stato impossibile non sentire quel respiro. «Va tutto bene?» lo incalzò subito l’esaminatore gettando un’occhiata oltre il suo corpo enorme che per certi versi ricordava quello del Gran Sacerdote. Una lontana somiglianza, soprattutto per quei baffoni ritti che si ritrovava; fu quello il primo istinto che lo assalì trovandoselo di fronte, quello di vedere Bartolomeo spuntare dal nulla. I cavalieri di Atena in fondo erano anch’essi come pedine a disposizione della Fondazione, ma di certo non così dentro la stessa da poter diventare giudici di una spedizione di un futuro membro di un team d’élite. No era solo una sua pareidolia nell’incrociare un volto sconosciuto a cui aveva pensato spesso, e male, nell’ultimo periodo. Lichinga era diverso. Era un po’ come Stenson, solo più… affabile, più caciarone. Anche durante la missione c’era tempo per essere gioviali, non aveva uno switch come Stenson che in missione diventava super concentrato solo su di essa.

    «S-si, tutto ok. E’ solo… pesante…» Affermò senza aggiungere altro. Trovava che tutta quella situazione fosse pesante, lo sforzo mentale, più che fisico, da sostenere era massacrante e soprattutto quella missione univa il peggio delle prime due: mancavano di informazioni, cercavano qualcuno chissà dove e il tempo, nella sua velocità, sembrava non passare mai. La sua più che una lamentela era solo una constatazione; dopotutto aveva affrontato di peggio. Non erano i bisogni fisiologici a fermarlo, non la fame, non la sete. Il suo sesto senso veniva continuamente bombardato da stimoli che non riusciva bene a comprendere, ma che stridevano con i pilastri della realtà che aveva iniziato a conoscere. Quella anomalia dimensionale si era di fatto impiantata su qualunque cosa ci dovesse essere stata lì sotto, imponendosi su di essa senza venir effettivamente completamente sovrascritta. Si sentiva come se stessero passando attraverso terra, fango e minerali vari, ma allo stesso tempo respirava, si muoveva nell’aria, camminava sull’asfalto. Aveva un sapore caotico; per certi versi simile al mondo blu in cui era stato forzatamente portato, ma completamente diverso. Da una parte c’era il chaos con una parvenza di regole a reggerlo che esulavano da ogni sua comprensione, dall’altra era come se si trovasse in due realtà diverse contemporaneamente di cui una era quella reale, ancora sotto la cittadina polacca dal nome impronunciabile, ma graficamente attraversavano gallerie infinite che si snodavano tra stazioni di nazioni diverse. Era stato come provare la realtà virtuale per la prima volta. Il senso della vista e dell’udito suggeriva che tutto si muovesse, ma il senso dell’equilibrio strideva visto che era fermo. «…fastidioso.» «È più strano che fastidioso.» Si intromise Exile, come se potesse conoscere ciò che lui provava meglio di Korin stesso. Forse voleva esprimere solo il proprio stato d’animo, ma a Korin, preda del loro psuedo-lititgio, parve volesse solo contraddirlo. «Solo perché tu non vedi le tracce energetiche di due realtà sovrapposte. Sono confuse, annodate, si tagliano a vicenda. Se ci fosse un punto dove si allineano, si potrebbe avere un’uscita… credo. Mi pare che il punto di ingresso funzioni così. Non ne sono sicuro però.» Sarebbe servito un G.E.A. piuttosto che lui. I figli della natura erano molto più affini al codice da riuscire a distinguerlo meglio da quello dell’anomalia piuttosto che lui che da quando era stato maledetto dal cosmo vedeva anche la propria realtà quasi come fosse un’estranea. Era come imparare una nuova lingua, come lo era stato per lui fare il salto da cinese a inglese. Aveva la lingua madre con cui comparare la nuova, ma non per questo c’era una sovrapposizione perfetta. Gli occhi vedono un sasso, il cosmo vedeva un fluire particolare di forze abbastanza condensate da diventare solide. L’anomalia era imparare la lingua Inuit partendo dall’inglese con una pronuncia madre di cinese.
    Si sentiva come un artificiere daltonico con davanti un gomitolo di cavi elettrici. Con abbastanza tempo, pazienza e conoscenze, forse si poteva arrivare a stabilire quali flussi energetici fossero creati dall’anomalia e quali quelli di G.E.A. e sarebbe stato possibile tagliare i fili in eccesso. Peccato che per ora erano una matassa caotica priva di convenienti fili rossi. Un casino.

    Ed in tutto quel trambusto di linee lui stesso ci stava mettendo del proprio sovrascrivendo sull’intreccio di nodi alcuni propri sigilli. Erano vistosi, con linee ben marcate, sature del proprio cosmo che disegnavano una porta aperta e una freccia che la indicava. Stava lasciando quei marchi ovunque sul cammino, principalmente in punti strategici, all’ingresso e all’uscita delle stazioni e su ogni cambio che incrociavano. Direzionava il sigillo sempre in modo che la freccia puntasse verso il punto da cui erano arrivati, quindi a lungo andare, all’uscita. Era il suo modo di contribuire, l’unico che aveva trovato per fare di più. Camminare a caso non li avrebbe aiutati, soprattutto considerando che il ricercato poteva passare in un punto appena dopo che loro l’avevano abbandonato. Così no. Non era una visione chiara, ma ponendo il sigillo in punti di passaggio obbligati era certo che prima o poi il ricercato ci sarebbe camminato sopra e nel farlo avrebbe stimolato il sigillo che di riflesso avrebbe avvertito lui. Era successo una volta, tipo due orette dopo che erano entrati, quando il team beta aveva incrociato il loro cammino passando per un bivio da loro non battuto. Non era una visione perfetta. Non poteva sapere benissimo quale sigillo era stato triggerato, non in una anomalia così caotica, ma era un inizio, un qualcosa in più. I sigilli poi servivano da segnale a loro, ed eventualmente alle altre squadre, per tornare indietro ed inoltre la presenza di quei sigilli poteva essere una specie di videosorveglianza che avrebbe impedito all’anomalia di cambiare conformazione mentre loro erano all’interno, o almeno non gli permetteva di trasformarsi nei punti chiave che aveva segnato. Se poi tornando indietro avessero trovato uno scambio o una stazione nuova avrebbero avuto modo di aggiornare i dati sull’anomalia, esattamente come era loro compito fare in origine prima che la missione divenisse un soccorso improvvisato.
    Era la stessa cura che aveva nel segnare gli alberi del bosco ad ogni bivio prima di perdersi in una selva di piante labirintiche. Era sopravvivenza. Era il gioco che gli aveva insegnato sua madre. Peccato che ora non si trattava più di un gioco divertente, ma di successo o morte.

    Voleva fare un buon lavoro. Doveva fare un buon lavoro. Doveva raggiungere il successo, piuttosto che la morte. Avere successo significava tante cose belle, per la squadra Lambda, per Exile. Per sé. Sei stato bravo, Korin. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era bello sentirselo dire, sentirlo dire da Lui, soprattutto. Era una bugia? Probabile, ma era una bella menzogna, una a cui avrebbe voluto credere. Una che detta tante volte magari sarebbe diventata vera. Se la missione fosse stata un successo forse Lui l’avrebbe considerato ancora, forse gli avrebbe detto qualcosa di ancora migliore. Forse avrebbe iniziato a vederlo per quello che era piuttosto per il bambino ribelle che era stato. Forse un giorno sarebbe stato fiero di lui e forse in un giorno ancora lontano avrebbero potuto considerarsi una famiglia. Il sorriso che gli aveva rivolto quando erano ancora al 20 o la Sua esitazione ad abbandonare il luogo di addestramento. Forse anche quelli erano… veri. Sarebbe stato bello che lo fossero stati. Ma no, era solo gioioso di avere una pedina più importante fra le mani. Non era il caso di correre. Non verso un futuro altamente improbabile.

    «Plac Wilsona…» lesse l’esaminatore illuminando il cartello ingiallito posto sul muro. «…dovrebbe essere una piazza di Varsavia. » ragionò mentre si approcciavano alla banchina che si apriva davanti a loro. Varsavia però doveva essere stata la capitale polacca: «Siamo nella nazione reale quindi?» Chiese conferma. Da quando l’armaggeddon aveva colpito una città valeva l’altra con tutta quella corruzione in giro. «Strano, vero?» Rise Lichinga, con una risata che rimbalzò fra le mura, in una melodia che sembrava non volersi spegnere. Sorrise di rimando, pensando all’ironia di trovare una vera uscita a qualche passo da quella fermata.

    La stazione li accolse, abbracciandoli con un gran soffitto di ovali concentrici di vetro biancastro opaco che sembrava dare sul cielo esterno sebbene dovessero essere ancora diversi metri sottoterra. Forse era un effetto ottico o forse quella era la prima vera uscita che si formava in quelle gallerie. Era molto in alto, una decina di metri almeno più sopra del secondo piano, quello originariamente di ingresso alla metropolitana che consentiva di raggiungere gli unici due binari tramite scale fisse e mobili.
    «Sì, ora che la vedo me la ricordo… o meglio… credo di averne vista una versione più… recente. Ci devo essere passato durante qualche vacanza.» Korin si chinò per porre a terra l’ennesimo sigillo guida, mentre Exile si era messa a digitare sullo schermo. Per quanto non volesse parlargli, non poteva negare che lei stesse dando il suo meglio in quella missione facendo quello che poteva con i mezzi datigli. Stava cercando rozzamente di ridisegnare la mappa e un vago identikit della stazione calcolando le distanze in tempi più che in metri, il che spiegava il suo costante sguardo all’orologio in dotazione. Conoscendo la velocità di traversata si sarebbe potuta fare un’equivalenza e scoprire più o meno la distanza percorsa. «Abbiamo meno di due ore prima di dover tornare indietro.» ricordò loro Lichinga, sottolineando, senza dirlo, che quella probabilmente sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbero controllato. Erano andati sempre avanti per dieci ore, esplorazione delle stazioni a parte, e ne avevano solo la metà per il ritorno. Non impazziva all’idea visto da quanto tempo stavano camminando, o meglio da quanto tempo credevano di camminare, ma il rientro sarebbe probabilmente consistito in una marcia sostenuta per quello che a loro parevano settimane.

    Stando ad una cartina esposta un binario faceva tratta nord-sud mentre un altro ancora in pesante costruzione, anzi era più una dichiarazione di intenti che una linea vera e propria, faceva est-ovest. Beh, per una volta avrebbero fatto qualcosa di rapido. Chiamarono a gran voce il ricercato e il suono si espanse per la stazione rimbombando sulla sua struttura a uovo. Nessuna risposta. Controllarono i servizi, quindi i locali della biglietteria, l’edicola, la sala d’aspetto, ma niente, non sembrava esserci anima viva. Cercarono di forzare l’ingresso della stazione, quello che nella realtà li avrebbe fatti uscire in piazza Thomas Woodrow Wilson, ma come ogni altro ingresso era chiuso, inesistente. C’erano delle porte, ma era come fossero disegnate su un muro. Korin protesse i compagni sotto una cupola di ghiaccio prima di ridirezionare i propri poteri verso il soffitto cercando di scalfirlo nel suo punto più alto, quello che teoricamente avrebbe già dovuto sopportare il maggior stress. Una bordata cosmica leggera, frecce di ghiaccio ed infine esplosioni di sigilli, con una potenza sempre crescente si schiantarono sul soffitto, ma questo rimaneva saldo, inscalfito.
    Il suo biancore lucente era un effetto scenico, nulla di più, ma ora tutto rimaneva buio, polveroso, abbandonato. Che poi, volevano davvero trovare un’altra uscita? Se eventualmente una era stata creata, era possibile che qualcuno ci fosse incappato. Gli unici che viaggiavano in quegli anni però erano i mostri, corrotti, caduti, caos che fosse. C’erano i cavalieri delle varie fazioni che giravano il mondo, certo, ma più che altro per andare dietro ai primi o tentare invano di anticiparli. Gli era già successo che una squadra di salvataggio umana, e dei soldati giganti, finissero preda di un varco dimensionale, ironicamente sempre in Polonia, ma era stato un caso limite. 99 a 1 era più probabile che l’entrata fosse stata trovata dal nemico. Se quel nemico aveva trovato confortevole lo spazio era possibile che fosse ancora all’interno della struttura. In quel caso il treno che non raggiunge mai la destinazione sarebbe stato l’ultimo dei problemi per tutti loro. No, non voleva pensarci, non voleva tirarsi un’altra iella addosso. Cercò di scacciare il pensiero, un piccolo chiodo elettrico che lo pungolava da dentro, e si incamminarono verso il treno fermo sui binari. L’interno era buio, immobile, privo di viaggiatori.

    I treni non possono portarti a casa, ricordò loro il messaggio preregistrato, nemmeno avesse notato che Lichinga stava salendo ad esplorare la carrozza dopo che ne avevano forzato l’apertura. La luce passò sui vari sedili. C’erano cartacce nei cestini, zaini e valigie di un qualche viaggiatore che le aveva abbandonate o dimenticate, ma di sicuro non vi erano umani sul treno. Exile scosse la testa dopo aver digitato gli aggiornamenti: nessuna buona notizia nemmeno dalle altre squadre. Esplorarono a turno un’altra carrozza e un’altra ancora, fino alla fine del treno, ma nulla di nulla; solo buio e silenzio.

    Finché non successe qualcosa. Un rumore sordo e forte invase la galleria rimbalzando tra le mura come una pallina impazzita. Un suono sconosciuto. Un istinto di protezione lo fece balzare in avanti frapponendosi fra il luogo di arrivo del suono e i suoi due compagni. Non poteva essere il rumore provocato da un corrotto o almeno era altamente improbabile, ma quell’evento improvviso lo spinse ad agire in ogni caso frapponendo uno scudo di linee bluastre davanti a sé, nemmeno avesse bloccato il passaggio con una enorme ragnatela. Successo o morte, dopotutto. Non era ancora il caso di evocare l’armatura che riposava placida nel ciondolo al collo; non aveva senso disturbare la preziosa reliquia se non vi era un vero pericolo. Attese guardingo che l’eco scemasse o che un altro suono ne prendesse il posto, che qualcosa spuntasse dal condotto, ma nulla accadde. Quel rumore doveva provenire da lontano, di sicuro molto più di ciò che le loro torce riuscivano ad illuminare perché nell’area illuminata tutto taceva, immobile. Non era un rumore metallico, né uno statico, non poteva essere quindi un rumore da treno o elettrico. Di certo non era un rumore da team esplorativo, con quel tonfo come minimo li avrebbero sentiti urlare in risposta. Doveva essere qualcos’altro, magari qualcosa di grosso che era caduto, una frana, o magari era quello il rumore che si avvertiva quando l’anomalia modificava la sua conformazione.
    «C’è nessuno?» Chiese ad alta voce, quasi cercando di provocare un’ulteriore risposta che avrebbe potuto dar loro indicazioni sulla causa di quel rumore. Sperava di ricevere una risposta umana, anche se dopo un tonfo del genere difficilmente si aspettava di trovare il disperso intero. Nel migliore dei casi era solo andato a sbatter contro qualcosa di grosso facendolo cadere, in quello un po’ meno bello qualcosa gli era caduto addosso seppellendolo. Nel peggiore… non voleva pensarci. Attese ancora qualche secondo, le orecchie tese. Nulla.

    Lo sguardo di Korin corse oltre alle proprie spalle diretto all’esaminatore prima di voltarsi dalla parte opposta, su Exile che stava digitando l’aggiornamento agli altri team per sapere se loro avessero provocato quel frastuono, o se lo avessero sentito. Nonostante Lichinga fosse il più esperto fra loro in quel caso e gli sarebbe piaciuto sapere il suo parere sulla faccenda, era Exile a dover decretare le prossime mosse. Era il suo esame, era giusto fosse lei a decidere come sfruttare il tempo che rimanevano loro. Avevano un’oretta rimanente, potevano tentare di proseguire ancora per un po’, per esplorare meglio la zona, per avere più dati. Per avere più complimenti. Sarebbe bastato quel tempo a raggiungere l’origine del suono? Per essere stato così nitido per loro o era relativamente vicino o era estremamente forte. Ma anche se l’avessero raggiunto, avrebbero potuto capire che quello era il punto da cui il suono si era originato? Dovevano indagare su quel suono? Era meglio prenderlo come un avvertimento di pericolo e tornare indietro? Successo in fondo poteva anche voler dire riconoscere quando gettare la spugna. Ma voleva farlo? Avevano tempo, avevano lui! Se qualcosa andava storto poteva magari sollevarli di peso e portarli via con la sua maggiore velocità. Sarebbe stato faticoso e difficile visto che erano in due, ma la necessità dava forze sovrumane… e maledizioni. Potevano farcela. Voleva farcela. Voleva il successo.
    «Abbiamo ancora circa cinquanta minuti, per me dovremmo sfruttarli tutti.» Lanciò ancora uno sguardo appena oltre le proprie spalle, lo sguardo di un soldato che attende di ricevere ordini dal proprio superiore, cosciente che quegli ordini non era certo gli sarebbero piaciuti. Eppure obbediva, non poteva far altro. Fosse stato il suo esame avrebbe dovuto darli, ma non lo era, per fortuna. Non era pronto a dare ordini, non era all’altezza di un capo ancora ed in eventi come l’incontro con Sanya aveva dimostrato di essere una pessima guida. Era finita bene quella volta, ma il destino non gli avrebbe arriso ancora così. Successo o morte.
    Successo o morte.
    Successo o morte.



    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:Pranoico e Teso.
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:6a


     
    Top
    .
  22.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    VI




    Esitazione. Non percepisci altro al momento.
    I secondi passano impietosi; anche in quella bolla di percezioni alterate riesci a sentire il peso del tempo che passa.
    Tu hai fatto le tue considerazioni, lei sta cercando di elaborare le sue. Ti guarda, come cercando una conferma. O forse un appoggio.
    Sa cosa puoi fare, ma sta considerando anche tutte le implicazioni di tali possibilità. Sta facendo dei calcoli. Ne hai la certezza, come se vedessi la matassa contorta dei suoi ragionamenti, che al centro nasconde un gigantesco "e se...?".

    Quindici minuti. Poi torneremo indietro.

    Si volta verso Lichinga, che si limita ad annuire.
    Un compromesso. Lo capisci, infondo. Si tratta di quel sottile margine che separa speranza e dovere. Non è solo per la missione, non è solo per entrare nella squadra. Se così fosse - e lo sai bene anche tu - il protocollo imporrebbe il rispetto dei tempi sopra ogni altra cosa. È solo una serie di procedure di sicurezza, regole create per impedire a tre agenti di rischiare la vita per uno solo.
    Quel compromesso si basa solo su una veloce stima, che potrebbe rivelarsi giusta. Potreste davvero avere il tempo di tornare indietro prima che l'anomalia spinga i vostri sensi al limite. E anche oltre quelle 12 ore il rischio è solo vostro. 12 ore sono un'altra misura di sicurezza, non il timer di una bomba. Qualche minuto in più potrebbe non fare differenza, anche si trasformasse in ore e ore di crudele stillicidio.
    Lo sai bene, sai che ciascuna di queste considerazioni è passata anche per la sua testa.

    Ogni attimo è prezioso. Ormai siete tanto abituati a muovervi insieme da non avere nemmeno bisogno di darvi indicazioni tra voi. Se all'inizio di questa maratona i movimenti erano impacciati e le corde continuavano a tendersi a ogni cambio direzione, ora avanzate compatti con un'andatura precisa.
    Imboccate il tunnel mentre Exile accende la torcia, muovendosi in testa. Lichinga evita di accendere la sua per evitare sovrapposizioni e false ombre che possano attirare erroneamente l'attenzione anche solo per un istante. Dovete prestare un'attenzione maniacale a ogni dettaglio e dopotutto siete abbastanza vicini da poter dipendere dalla sola torcia della ragazza.
    Passano tre, quattro, sette, otto minuti. Il timer scorre impietoso, prima lento poi rapidissimo e poi nuovamente lento, ma i minuti continuano ad accumularsi. Vedi Exile accelerare ulteriormente il passo, ma non potete mettervi a correre, non ora. Vi state muovendo su una strada che non dovrebbe avere sorprese, però ogni angolo, ogni falsa porta di sicurezza, ogni arco, ogni vano per le tubature va controllato.

    Al nono minuto di marcia nel senso opposto all'uscita e chissà quanto tempo secondo la vostra prospettiva, il fascio luminoso incontra qualcosa.
    È un casco, identico a quelli che indossate voi. La ragazza lo raccoglie. Una volta data la giusta sequenza di comandi, i dati biometrici dell'ultimo proprietario scorrono sulle vostre visiere.
    Coincidono.
    Exile invia un messaggio alle altre squadre, cercando anche di descrivere la vostra posizione. Stando ai pochi messaggi scambiati col resto della Lambda, il casco potrebbe essere l'unico indizio trovato.

    Un altro colpo, davanti a voi. Molto più forte. Molto più vicino?
    Quanto potete avanzare ancora, prima che sia troppo? Quanto rischio potete addossarvi?
    La vedi esitare ancora, il peso spostato in avanti come a voler avanzare senza farlo davvero.
    Altri colpi. Diventano assordanti. Senti la sua attenzione che viene attirata senza speranza di fuga, quasi come da quei dannati vagoni.

    Con la coda dell'occhio vedi la corda di Lichinga afflosciarsi.
    È tagliata di netto.
    Dietro di voi non c'è nessuno.
    Non c'è niente.
    Gli schermi sulle visiere quelli dei palmari sono totalmente neri.

    Solo buio.

    6vgdAlI



    Note Master:

    Ops.


     
    Top
    .
  23.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera13
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG#6

    DESCRIPTION:

    Seguì il ragionamento di Exile con un’attesa speranzosa. La ragazza ci mise poco più di un minuto, eppure il tempo sembrò durare infinitamente di più anche a causa delle forze a cui l’anomalia li stava sottoponendo continuamente. Sembrava star facendo ogni valutazione possibile, quasi con precisione nanometrica, come se formule di mille calcoli che non poteva né vedere, né tantomeno capire, le aleggiassero attorno. Come se strali di energia, non dissimili da quelli che lui disegnava, partissero dal suo corpo dirigendosi nelle più disparate locazioni, a collegare punti vicini e distanti, nodi di cui solo lei era a conoscenza. Una ragnatela di pensieri, di idee, di “si, ma” il cui perno era il suo visto crucciato, vistoso come una goccia di inchiostro sulla pergamena assorbente.

    Alla fine la nebbia di calcoli si diradò ed Exile prese la sua decisione: quindici minuti. Il colpo gli arrivò addosso duramente quasi come una secchiata di acqua gelida. Non era d'accordo, anzi era frustrante: quindici minuti non erano nulla, era il poter arrivare ad una svolta di distanza dal ricercato e non poter procedere oltre. Sarebbe stato lo stesso anche usando tutti e cinquanta i minuti che rimanevano loro, ma in un caso sarebbero tornati indietro per paura di fare tardi, per quanto legittima, mentre dall’altro lo avrebbero fatto con la consapevolezza di aver provato il tutto per tutto.
    Ebbe un moto di repulsione, quasi si sentisse tradito da quella scelta. Forse avrebbe dovuto obiettare, avrebbero potuto parlarne… No. Avrebbero perso tempo in chiacchiere e basta, tempo che già non avevano stando all’inesorabile ticchettio dei secondi. Ingoiò il rospo e annuì. Exile aveva fatto le sue considerazioni, forse aveva calcolato un fattore per lei importante che non stava nemmeno passando nella anticamera del cervello di lui, ma aveva preso quella decisione per un motivo e, essendo lei il capo in quel momento, non aveva senso opporvicisi. « Allora muoviamoci. » Suggerì in un soffio scontento. Avevano già poco tempo, tanto valeva sfruttarlo fino in fondo, anche a costo di trascinarsi gli altri due a forza. Fece per passare in testa, ma Exile lo superò dettando il ritmo della camminata, appena più sostenuto di prima, come se volesse trovare un compromesso tra le loro differenti vedute.

    Passò un minuto e il cartello di un’inesistente uscita di sicurezza li invitò ad ispezionare una rientranza nel muro. Niente. Quattro, un’altra diramazione da segnare sulla mappa e a terra con l’ennesimo sigillo. Proseguirono con il passo appena più rapido, come se si volesse fare a gara con il conto alla rovescia auto imposto. Cinque, una svolta graduale verso sinistra tagliò leggermente la visuale, ma non era ancora il momento di tornare indietro. Potevano proseguire. Il passo si faceva ancora più veloce, come una marcia sostenuta man mano che gareggiavano con i secondi, una gara che più il tempo passava meno avevano speranze di vincere. Lo sguardo si faceva sempre più rapido mentre scandagliava come un radar a destra e sinistra, quindi sopra, sotto, quindi indietro, sempre più frenetico, come a voler trovare quella cosa che non avevano visto al primo passaggio, come se ricontrollare potesse magicamente far apparire il ricercato. Non c’era nulla, non c’era mai nulla.

    Finché non trovarono davvero qualcosa. Abbandonato per terra in mezzo ai binari giaceva qualcosa di nero, facilmente nascosto dall’oscurità, ma fin troppo visibile quando la luce della torcia di Exile ne allungò l’ombra a dismisura. Si chinarono ad esaminare l’ostacolo, quindi a raccoglierlo. Era un casco della GRADO, identico a quello che loro stessi portavano e sembrava in ottime condizioni. Non c’erano ammaccature né graffi troppo pesanti e anche le apparecchiature funzionavano. Quindi perché era stato abbandonato? Non c’erano nemmeno tracce di sangue né sull’oggetto né sul luogo che potevano far pensare al peggio. Exile sembrò quasi sbiancare quando la sua abilità tecnologica permise loro di capire a chi apparteneva quel casco: era Jet, il ricercato.

    Questo poteva spiegare perché i tentativi del suo ex compagno di squadra di chiamarlo continuavano a fallire, ma non spiegava ancora perché Jet lo avesse abbandonato o soprattutto, come faceva ad essere lì. Per quanto ne sapevano Jet era sparito molto più indietro, e non aveva un senso dell’orientamento così cattivo dall’aver vagato alla cieca così lontano dalla stazione francese. Poteva davvero essersi perso così tanto? O loro erano vicini alla stazione francese e quindi all’uscita? Poteva l’anomalia aver tagliato la strada a Jet e al suo compagno dividendoli definitivamente? Anche se fosse, perché abbandonare un pezzo dell’equipaggiamento? Era per usarlo come punto di riferimento come si disegnano tracce sugli alberi in un bosco? Se così fosse stato, era ancora nei dintorni? Poteva aver lasciato altri pezzi di sé in giro?
    Mentre proponevano ipotesi Exile informava gli altri team della scoperta, cosa che fece quasi scalpore tra gli altri gruppi. Era il segno più eclatante del passaggio di Jet che avessero trovato in tutto quel tempo.
    « Che il richiamo del treno sia stato troppo forte? » Lichinga aggiunse la sua ipotesi alle loro, quasi sottolineando come il richiamo di una possibile casa di Jet potesse averlo portato ad abbandonare la sua identità GRADO, magari rendendolo voglioso di tornare indietro a tempi per lui migliori, forse a prima dell’armaggeddon, anni in cui doveva andare in una qualche scuola superiore, di certo lontano dalle grinfie della GRADO ammesso che non avesse un passato simile a quello di Exile. In un caso simile: « Se fosse stato uno studente pendolare potrebbe star cercando di tornare letteralmente a casa. » « O quando ancora non era un agente sul campo e… »

    Un tonfo sordo, identico a quello avvertito prima, interruppe lo scambio di idee. Era molto più forte o vicino di quanto non lo fosse mai stato. Korin innalzò nuovamente la sua fiamma cosmica in risposta, pronto ad alzare una nuova difesa esattamente come aveva già fatto, ma stavolta attese prima di sprecare nuovamente il suo potere contro il nulla. Le loro torce tagliarono l'oscurità freneticamente alla ricerca di chi o cosa potesse aver causato quel trambusto. Guardarono in avanti, quindi ai lati e alle proprie spalle, nulla.
    « Agente Jet, sei tu? Siamo la squadra di soccorso. Fatti vedere. » Domandarono prima di attendere speranzosi di sentirlo rispondere, ma nuovamente solo il silenzio ascoltò la loro supplica.

    La corda si tese appena nel mezzo passo in avanti di Exile. Sembrava dubbiosa. Da una parte era come se fosse certa di trovare il responsabile di quei tonfi alla fine della curva, dall'altra i secondi sullo schermo le facevano capire che non c'è l'avrebbero fatta. Dovevano tornare indietro, ma erano così vicini, se non a Jet alla causa di quei rumori, ad un mistero in meno, ad un minimo risultato da poter portare a casa. Lo sentiva. Sentiva la sua esitazione come fosse sua, sentiva il suo conscio diviso fra volere e dovere. No, non sentiva le sue sensazioni, era assurdo, non aveva quei poteri. Aveva quell’impressione perché volevano solo la stessa cosa, volevano avere successo, fare una bella figura, volevano avere dei complimenti dal direttorio. Volevano entrambi che Exile potesse raggiungere il suo sogno.

    Sentiva il suo cuore teso battere all'impazzata. No, non il suo cuore. I tonfi. Quel rumore sconosciuto aveva ripreso e si avvicinava, sempre più forte, sempre più vicino. Si spalleggiarono cercando di capire da dove venisse quel pericolo invisibile che echeggiava fra le mura. I loro volti e le loro torce tagliavano l’area in continuazione per tentare di illuminare il colpevole, ma questi li eludeva in continuazione, sfuggendo al raggio di luce, come fumo tra le mani. Era così forte che era come se un gigante con degli scarponi gli stesse camminandogli affianco, girandogli attorno predatorio come uno squalo. Korin estese il suo potere cercando di coprire tutti loro dentro uno schermo azzurrino, una coperta a base cosmica che intendeva cucire coi sigilli. Prima ancora che il filo di codici potesse mettere il primo punto però tutto si fece buio.

    Non ci fu nemmeno una folata di vento. In meno di un battito di ciglia. Dopo un tonfo identico ad ogni altro, la luce aveva cessato di esistere. Non c'era stato rumore, nessun danno sulla loro persona, nessun attacco sullo scudo in formazione. Semplicemente tutto si era tuffato nel buio e nel vuoto. Qualcosa in quel passaggio però era effettivamente successo. Un cambio di temperatura minimale, un solletico sulla sua pelle, uno sfrigolio del cosmo. Non riusciva a definirlo, ma sapeva di diverso. C’era qualcosa, che fosse anche solo un odore o un sapore, non avrebbe saputo dire esattamente cosa non andava, o cosa era cambiato, ma c’era qualcosa in più o in meno. Era qualcosa che forse solo lui poteva sentire ed era ben diverso dai loro strumenti che si erano semplicemente spenti di botto, o dalle corde che legavano l'ispettore ai due agenti tranciate di netto che si afflosciavano con lentezza disarmante contro le loro gambe. Accadde tutto così velocemente, troppo. Non ebbe nemmeno il tempo di processare. Troppi pensieri, frammenti, immagini e sensazioni aggredirono la sua mente allo stesso momento, troppe cose diverse che cercavano di trionfare le une sulle altre per divenire coscienti. Confusione, shock, paura, rabbia, vergogna, delusione e altre dal sapore indistinto presero a rincorrersi come bambini mentre erano intenti a farsi i dispetti per evitare la vittoria degli altri.

    Fu la priorità gerarchica a prevalere: « Lichinga? » Lo chiamò preoccupato, quindi ripeté il suo nome più forte, come se l’altro semplicemente non lo avesse sentito, quindi lo chiamò ancora voltandosi a cercarlo, quindi ancora un'altra volta con voce sempre più spezzata. Non rispondeva. Non c’era più. Avevano perso un altro agente in quella maledetta anomalia. Avevano trovato il casco di Jet e avevano perso Lichinga, forse il peggiore degli scambi. O forse si erano persi loro due. Non vedevano niente, non sentivano niente che non fossero i propri respiri e i propri corpi spalla contro spalla. Provò a riaccendere le torce, a riattivare gli schermi, a chiamare qualcuno, ma nulla sembrava funzionare. Gli schermi giacevano neri, abbandonati, senza energia. Non potevano più sapere quanto tempo stava trascorrendo. Non avevano più una voce che ricordava loro che i treni non potevano riportarli a casa.
    Erano soli, separati dal mondo, con solo la loro memoria in caso a poterli riportare indietro.
    Successo o morte.

    Avrebbe voluto analizzare la situazione con mente fredda, cercava di ragionare, di non farsi prendere dal panico, ma era tutto inutile, erano nell'oscurità, senza guida, senza conoscenze, senza niente, in balia completa dell'anomalia. Un nuovo pensiero iniziava a serpeggiare fra gli altri: avevano fallito.
    No, non avevano fallito. Lui aveva fallito. Se non avesse esitato a creare quella barriera o se fosse stato più veloce, se non avesse convinto Exile ad andare avanti! Era stato avventato nella sua decisione? Era stato superbo pensare di poter salvare tutti? Irrealistico?
    Era tutta colpa sua. Di nuovo.

    Aveva tirato troppo la corda tanto che si era letteralmente spezzata. Sarebbero dovuti tornare indietro al primo segnale di pericolo. Nessuno aveva mai sentito quei tonfi, nessuno li aveva mai analizzati. Lo stesso errore del mimic. Mancavano di informazioni e lui, testardo, era andato avanti a muso duro invece di prendere il tutto con estrema cautela. Esattamente come in Vietnam dove era rimasto impigliato nel sigillo del ragno nero, o come nella sua missione di riparazione dove si era infilato con i suoi piedi in un a trappola che sarebbe potuta essere mortale. Per non parlare della volta con la primarca artica.
    Forse Rain aveva ragione. Forse per una volta era stato davvero bravo nell’aver risolto la situazione piuttosto che creare problemi. Beh, nessun complimento stavolta. Ci era cascato di nuovo.

    Doveva risolvere la questione.
    « Exile, ascolta. » Gettò un occhiata oltre le proprie spalle cercando di accertarsi che la ragazza fosse ancora lì. La sentiva più che vederla. Sentiva il suo corpo, il suo respiro incredulo, non differente dal proprio. E sentiva il suo shock. O forse era lo shock di lui che stava di nuovo proiettando sulla ragazza? No, non era il suo. Non era ancora a quel punto, poteva dominarlo. Dovevano calmarsi, fermarsi, ragionare. Erano ancora insieme. Potevano farcela. Esattamente come se l’erano cavata col calice. L’aveva salvata da quella situazione e l’avrebbe tirata fuori da quella presente. « I treni non possono portarci a casa. » cominciò piano, cercando di razionalizzare il tutto. Senza più le apparecchiature a ricordarglielo, dovevano aiutarsi a vicenda. « ma ci torneremo, a casa. E quando saremo fuori da qui » quando, non se « addossami la colpa di quanto è successo. ». Non era una proposta, era un ordine. Exile non aveva colpe oltre quella di essersi fatta trascinare da lui che sarebbe andato avanti ad oltranza.

    Si sarebbe aspettato di ricevere una sonora obiezione, qualcosa degno della frustrazione che Exile covava da inizio missione, ed invece la ragazza non aprì bocca. Doveva prenderlo come un cenno di assenso? Attese, magari stava valutando la risposta con la stessa cura con cui aveva valutato il da farsi precedentemente, ma nuovamente non ebbe risposta bè verbale né fisica. « Exile? » Domandò cercando di ottenere la sua attenzione, di nuovo invano. ” Non farmi spaventare. “ Pregò silente, ma all’ennesimo vuoto si costrinse ad agire. C’era qualcosa di sbagliato, in tutta quella situazione. Girò attorno alla ragazza per arrivare ad incrociarne lo sguardo, o meglio, ad osservare i suoi occhi neri che fissavano il vuoto, come guardando ossessivamente qualcosa che la terrorizzava. Possibile che lei avesse un’estrema fobia del buio? No. Il direttorio non la avrebbe mandata ad esplorare un’anomalia del genere. « Tutto bene? » Insistette, ricevendo finalmente un cenno di vita, ma era qualcosa di inconscio, come di qualcuno paralizzato nel sonno e nel suo peggiore incubo.

    Ma un cenno era un cenno, no? Forse parlarle della missione la aiutava a non pensare al suo trauma: « Dev’essere ciò che è successo a Jet. Ha abbandonato il casco perché come i nostri non funzionava più. » Asserì cercando di riportare lo sguardo e la mente di Exile a concentrarsi sul presente in maniera costruttiva. « Però noi lo abbiamo acceso, quindi in realtà funzionava ancora. », solo che o loro non lo vedevano, o c’era qualcosa di ancora più oscuro sotto. Forse erano in una sorta di tempesta elettromagnetica. No, non poteva essere solo quello perché altrimenti Lichinga sarebbe stato lì con loro. Forse erano accidentalmente entrati in una dimensione altra dove la tecnologia non funziona. Un piano parallelo che li aveva inglobati tagliando fuori Lichinga. Questo avrebbe potuto spiegare perché Caravan, il suo ex compagno, non aveva visto Jet sparire. Ma lui non aveva sentito tonfi sordi come invece successo a loro. Possibile che le due cose fossero slegate?

    « Agente Jet? » Lo chiamò ad alta voce seguendo il vago sospetto che anche lui potesse essere finito in quella stessa trappola. Ma non ebbe risposta. Forse non era già più lì. Chissà quanto tempo prima era stato abbandonato il casco, quanto ancora Jet poteva aver vagato per quei corridoi bui alla ricerca di qualcosa. Però aspetta. Loro avevano trovato il casco all’esterno di quella zona buia. Possibile che Jet lo avesse posato o lanciato e questo fosse uscito dalla zona incriminata? Come funzionava quella porzione di spazio anti elettromagnetica? Se il casco ne era uscito, potevano farlo anche loro? Jet era sparito vicino alla stazione francese mentre loro avevano preso quel treno da tutt’altra parte. Quello spazio era un luogo fisso o si spostava come una nube? Quella zona poi faceva parte dell’anomalia o era un’anomalia a sé stante? Poteva purificarla? Come poteva purificare un’anomalia se non conosceva le regole che la componevano? Sarebbe stato impossibile districare i nodi della nube da quelli della metropolitana.
    Dovevano solo avere fortuna e aspettare di uscire? Se la nube era fissa potevano uscire da lì semplicemente allontanandosene? O erano stati divorati da una sorta di dimensione parallela su cui non aveva poteri?

    Al diavolo tutto, doveva provarci; visto quanto sconvolta fosse la sua compagna doveva assolutamente portare Exile fuori da lì. Quell’oscurità, per quanto non cosmica, sembrava starla divorando dentro, in maniera non dissimile dal calice, sebbene molto molto più pressante. Chiuse gli occhi cercando di immergersi nel proprio io, fiutando come un cane da caccia quella sensazione ignota che lo sentiva pungere. Era leggera come una zanzara, ma volava e ronzava e avrebbe continuato ad assalirlo finché non fosse stato privo di sangue. La inseguì con le mani tese pronte a schiacciarla, ma la bastarda gli sfuggiva, provocandolo, ogni volta che batteva le mani nell’aria. C’era, piccola, insignificante, grande forse come un solo atomo, ma sapeva che c’era e non riusciva a metterla a fuoco.

    Cristalli glaciali si disegnarono nell’aria seguendo la traccia delle sue dita come fossero penna e inchiostro. Un punto e l’aria, come papiro, assorbì la goccia di potere che si diramò in ogni direzione saturandone il disegno. Poi un’altra e un’altra ancora modulate dai suoi gesti e dalla sua volontà. Era tornato a disegnare sigilli sfruttando il proprio corpo come penna, qualcosa su cui tornava in maniera inconscia anche dopo i ripetuti tentativi di Alman di insegnargli che non serviva. Trovava che muoversi ne rendeva più facile la scrittura. Avvertiva lo spazio circostante, riusciva a visualizzare meglio come stava andando a modificarlo. Sentiva suonare ogni corda che il suo potere toccava e come il suo disegno andava a modificarne il suono.

    Circondò i loro corpi con un anello di simboli che ruotavano su uno stesso piano a loro perpendicolare, assieme, come tanti disegni su una sola superficie. Quindi si fermò in un fuoco di quell’elissoide, nuovamente al fianco della statuaria Exile. La osservò per un attimo quasi sperando che quello spettacolo di potere potesse distrarla da qualunque mostro stesse combattendo nella sua mente, ma nulla. Lasciò che l’abbraccio di cosmo congelasse il suo corpo prima di far esplodere nuovamente la sua fiamma mettendo in moto i vari simboli che componevano l’anello, facendoli ruotare su loro stessi, come tanti ingranaggi dalle forme più strane. Con il loro movimento l’anello prese ad espandersi come un palloncino che si gonfiava sotto il soffio del suo potere. I segni si ingrandivano, deformavano, ma continuavano a ruotare cercando di spingere il tessuto della realtà oscura che li aveva avvolti in modo da romperlo. Procedettero per poco meno di un metro in ogni direzione, quindi la realtà iniziò a resistere. Poteva espandersi in una direzione, ma quella opposta retrocedeva come un elastico che aveva raggiunto la sua massima lunghezza. Doveva spezzarsi, per forza, ma non succedeva. Anzi più lui insisteva più la realtà sembrava tornare al suo stato originario, come una pasta della pizza troppo elastica. Cercò di forzarne ancora l’espansione mentre il gelo prendeva possesso del suo corpo, ma i sigilli piuttosto che ingrandirsi ancora cominciarono ad incrinarsi. Le corde più sottili e fragili cominciarono a tagliarsi, le energie a disperdersi, il sistema a collassare. Uno dei simboli si spezzò lasciando che l’ingranaggio prima girasse a vuoto e quello dopo si fermasse, fermando quello dopo ancora. Tentò di sostituire l’ingranaggio saltato, ma se ne ruppe un altro e un altro ancora e prima che potesse ripararlo e tutto l’anello si frantumò in una pioggia di coriandoli ghiacciati. « Non… non ci riesco. » fiatò guardando inerme le ultime linee venire divorate dal nulla. Forse stava sbagliando approccio, o forse come nel caso del sigillo Vietnamita non aveva ben chiaro il punto in cui affondare il chiodo per distruggere la bolla che li aveva intrappolati. O forse ancora il potere di quell’anomalia era semplicemente troppo al di sopra del suo livello. « Mi dispiace. » Continuò a mezza voce mentre fissava le proprie mani quasi si riempissero di quel sentimento di inutilità che lo accompagnava fin troppo spesso. Forse tutti quelli che lo chiamavano bambino avevano ragione. Forse il suo potere e le sue conoscenze non sarebbero mai pesati su alcuna scala, o forse ancora aveva già fatto la scelta sbagliata condannando sé stesso e Exile. O Lichinga, Jet e il resto della Lambda. Chiuse i pugni, come farlo potesse strozzare e metterle a tacere quei pensieri e quelle voci. Erano solo un’illusione, ovviamente, una sempre presente, reale, demoniaca, ma pur sempre un’illusione.

    « Potremmo tentare di tornare indietro. Magari questo buio è una sottosezione evoluta dell’anomalia e se raggiungiamo l’uscita tutto si sistema da solo. » Forse, magari… non gli piaceva non avere certezze, ma era l’unica cosa che poteva dirle, che poteva fare. Non dovevano perdere la speranza. Dovevano mantenere la calma e ragionare. Un nuovo respiro cercò di calmare i nervi raffreddandoli dall’utilizzo del cosmo. « Gli oggetti possono uscire da questa nube, chiamiamola così. O perché questa sottosezione buia viaggia, come una nube appunto, o perché semplicemente questo intrappola solo gli esseri viventi e ciò che indossano. Potrebbe voler dire che, ipoteticamente parlando, potremmo parlare con l’esterno a suon di sigilli. Lo possiamo mettere su un oggetto e lanciarlo fuori dalla nube. Il problema è che non possiamo ricevere risposte in questo modo… beh ammesso che qualcun altro non venga inglobato e non è augurabile. » Cercava di ragionare ad alta voce non tanto per se stesso, quanto più per Exile che ancora sembrava paralizzata, come se ogni suo tentativo di farla rinsavire fosse andato a vuoto, come tutto il resto. Aveva senso iscrivere il comportamento di quella anomalia nella loro logica umana? Probabilmente no. Forse non andava per essere vivente o meno, ma per calore, quindi una temperatura corporea veniva intrappolata ma un oggetto freddo rimaneva libero. O forse ancora quella nube abbassava gli impulsi elettrici impedendo alle apparecchiature di funzionare, ma non abbastanza da fermare quelli nervosi umani o del loro cuore. Era così che funzionava il corpo umano, no? Erano impulsi elettrici anche quelli. Era per questo che un fulmine o la defibrillazione erano così pericolosi e salvifici allo stesso tempo. Inconsciamente posò una mano sulla giugulare, quasi a volersi sincerare che il suo cuore battesse ancora e non era solo la loro anima che era intrappolata in quel limbo mentre chissà, i loro corpi giacevano ai piedi di Lichinga. Nah, non poteva essere o avrebbero già trovato il corpo di Jet vicino alla stazione francese e soprattutto non avrebbero trovato loro il casco da tutt’altra parte.

    Nel farlo la mano accarezzò il cordino metallico del ciondolo con il suo nome e di quello dell’armatura. L’armatura… l’armatura di Alman era una cloth di Atena tutto sommato. Era senziente come le altre quindi, no? Però non era un vero e proprio essere vivente. Era un oggetto. Era possibile spedirla fuori dalla nube? E come cloth di Atena, e quindi senziente, era possibile che essa ritornasse al suo proprietario in caso di bisogno? Poteva richiamarla a sé da dentro quella nube, da una dimensione altra? Poteva usarla come conduttore per un messaggio di sigilli che vi applicava sopra?
    E se non era affatto così? Se le sue erano solo illusioni? E se perdeva l’armatura per sempre? Valeva la pena rischiare quando c’erano altre strade ancora da battere? No, però… se arrivare all’uscita non fosse stata la soluzione? Se dovevano prima trovare un’uscita invisibile nella nube e poi tornare indietro? Per quanto potevano vagare lì dentro? Non avevano cibo, né acqua. Ad abbondare potevano resistere una settimana reale e con quegli sbalzi temporali non avevano idea di quanto fosse una settimana reale. Se si fosse giunti a tanto allora valeva la pena rischiare e lasciare andare la cloth.

    « Dobbiamo solo capire come ha fatto il casco ad uscire da qui, credo. Sempre ammesso che non se ne sia liberato prima di venir catturato, ma non avrebbe senso. Tu che ne pensi? » Insistette ancora cercando di coinvolgerla nella discussione, ma evidentemente parlarle a quel modo non stava funzionando. Lei non lo stava ascoltando, lottando piuttosto con chissà quale demone che si celava dentro la sua anima. Per avere una reazione così esagerata doveva essere un mostro troppo forte, uno che nemmeno gli strizzarcervelli della GRADO erano riusciti a sconfiggere. Dovevano essere riusciti solo a sigillarlo in un cassetto recondito della sua mente, uno che quell’anomalia doveva aver trovato e riaperto.

    Avrebbe potuto prendersela di forza, caricarsela in spalla e portarla via alla vecchia e brutale maniera, ma non lo avrebbe aiutato. Aveva bisogno di lei, della sua mente, della sua prontezza. Anche nel peggiore dei casi due teste erano meglio di una. Aveva bisogno di riacchiapparla in qualche modo. Non poteva lasciarla così.
    Le si pose di fronte, allungando le mani fino a stringere con fermezza i suoi avambracci, il volto in linea con i suoi occhi vitrei, fissando il vuoto dell’anomalia che si rifletteva nelle iridi di lei. Si avvicinò ancora fintanto che il suo viso non fosse l’unica cosa che potesse vedere. Strinse la presa su di lei appena più forte, in modo da fargli leggermente male, ma aumentando gradatamente il dolore fintanto che non avesse ricevuto una risposta. Era parte della natura, doveva ritrarsi prima o poi. « Ascoltami, guardami, concentrati su di me, sul dolore. » Allentò leggermente la presa trattenendola comunque avvinta a se’ in modo che non potesse allontanarsi. Non l’avrebbe lasciata andare, non l’avrebbe abbandonata a se stessa in quel luogo. « Sono qui con te. Va tutto bene. Inspira. » Cercava di mantenere la calma anche per lei, ma il suo tono di voce era perentorio. Non avrebbe ammesso repliche e se Exile collassava l’avrebbe riacchiappata di nuovo stringendo nuovamente e opponendosi anche col cosmo se necessario per impedirle di fuggire da quella presa. Doveva farla tornare in se’, costasse quel che costasse. Contò quattro secondi. « Espira. » Altri quattro. « Inspira. Espira. Continua. Ispira. Espira.» Era il dovere di un capo mantenere la sanità mentale delle proprie truppe per evitare che il panico le uccidesse prima ancora che lo facesse il nemico. Nessuno poteva cedere perché ogni morte poteva portare con sé tutto il gruppo. Era una cosa che aveva imparato fin da subito quando si era arruolato nella milizia, ma il modo specifico per cui stava agendo rimandava ad ancora più indietro, a quando suo Padre lo usava con lui per rimetterlo in riga dalle sue bambinate. Non fu un pensiero cosciente, gli venne solo automatico riflettere sulla ragazza quello che lui aveva subito più volte. Nemmeno si rese conto di star imitandoLo.
    « Non sei da sola, ci sono qui io. Non siamo in una bella situazione, i treni non possono portarci a casa, ma stiamo bene e siamo al sicuro. Inspira. Espira. Non permetterò a niente di farti del male, mi hai capito? » Gli sarebbe servita la positività di Stenson in quel momento e la sua abilità di ridere in faccia al pericolo. Lui sì che avrebbe saputo cosa fare in quella situazione.
    « So che il buio ti terrorizza, il vuoto ti risucchia, ne ho paura anche io. Abbiamo l’acqua alla gola, ma possiamo ancora respirare. Nessuna alga ti trascinerà sul fondo. Nessun mostro ti attaccherà, te lo prometto. Ma devi rimanere con me. » La fobia di lui non era nulla a confronto con il trauma di lei, ma non gli venne in mente altro paragone sul momento. Rivelare la propria debolezza per contrastare quella altrui e mettersi sullo stesso fragile piano sembrò l’idea migliore. Appoggiò la propria testa contro quella di lei facendo cozzare dolcemente i loro due caschi. « Concentrati. Inspira. Espira. Devi rimanere lucida. Parlami di qualcosa, quello che vuoi. Ignora dove siamo. Pensa… pensa per esempio al costume di tuo nonno, a quanto buffo poteva essere. Inventalo. Descrivimelo. Dimmi come sta danzando con un bastone di fuoco mentre ci illumina la via, di come caccia l’oscurità. Parlami del dio che rappresenta. »
    ” e di come ci guiderà fuori da qui.“


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:Don’t panic. Don’t panic. Don’t panic. Don’t panic. Don’t panic.
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:[…]Don't leave me here like this
    Can't hear me scream from the abyss
    And now I wish for you, my desire
    Don't leave me alone
    Cause I barely see at all
    Don't leave me alone

    I'm
    Falling in the black, slipping through the cracks
    Falling through the depths, can I ever go back?
    Dreaming of the way it used to be, can you hear me?


     
    Top
    .
  24.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    VII




    Le tue parole non bastano a spezzare il suo silenzio. L'unica reazione è nel suo sguardo che si sposta su di te.
    Solo per il tempo di un respiro ti sembra che una strana energia percorra la sezione di anomalia in cui vi trovate. Poi nient'altro. E i suoi occhi tornano a fissare il vuoto.
    Exile non ti risponde. Non dice una parola. Per diverse ore la sua espressione resta congelata alla pallida luce del tuo cosmo o sotto i fasci fluorescenti delle torce chimiche che fanno parte dell'equipaggiamento standard della missione. Anche concentrandoti, seguendo quel canale che sembra connettervi, da lei non ottieni altro che rumore di fondo, uno spazio grigio che si contrappone al nero tutt'intorno.

    -

    Passa molto tempo. Non sai quanto, ovviamente. Come potresti, ora che anche i cronografi sono neri e spenti come ciò che vi circonda?
    Ne passa abbastanza da costringerti a riposare. Puoi solo immaginare quanto possa essere stanca lei, che non può contare su alcun aiuto preternaturale.

    La cosa avviene prima che tu possa registrarla a livello cosciente: il rumore di fondo si è interrotto. È facile seguire quei nuovi input ora che l'anomalia sembra aver deciso di eliminare ogni distrazione. Capti sempre e solo dei frammenti, immagini che rappresentano suoni e parole. Le tue parole. La ragazza ci si aggrappa, le rimugina. Ti accorgi anche di piccoli gesti: ti segue meno passivamente, stringe con forza la corda che vi unisce, si guarda intorno per cercare di trovare una via. Non emette nemmeno un suono, ma quantomeno non hai più l'impressione di trascinare un manichino inanimato attraverso l'oscurità dell'ignoto.

    La cosa che dovrebbe preoccuparti davvero, in questo momento, è l'anomalia.
    Con l'arrivo del buio hai cominciato a scorgere immediatamente qualche dettaglio qui e là. Prima è solo una variazione appena accennata nello spessore dei binari, poi il tunnel che diventa sempre più largo e i muri che perdono colore e definizione man mano che proseguite... o quando state fermi. I bivi e le diramazioni, invece, sono scomparsi quasi immediatamente. I punti di riferimento stanno svanendo, a prescindere dalla direzione che decidete di prendere, avanti o indietro, facendo piombare tutto in una nera uniformità. Non sono variazioni che avvengono direttamente sotto ai vostri occhi, ma basta distogliere lo sguardo per una frazione di secondo per perdere di vista il punto esatto che state osservando.

    ...


    Ormai del tunnel è rimasta solo una vaga idea, una sorta di gigantesco cilindro liscio e cavo. O almeno è tutto ciò che puoi intuire in base alla lieve curvatura del pavimento, che sta diminuendo gradualmente. L'unica interruzione nell'oscurità assoluta consiste in rapidissime scariche statiche che a intervalli irregolari sfrigolano ai margini del tuo campo visivo. Ogni tanto gli schermi danno una parvenza di vita, probabilmente rispondendo a quelle stesse interferenze che attraversano l'anomalia, anche se sono momenti tanto rari da non dartene certezza.
    Col passare delle ore - o dei giorni, stando alla velocità di esaurimento delle scorte di acqua e cibo - Exile inizia ad attendere quelle scosse, provando inutilmente a calcolare quanto tempo intercorra tra una e l'altra. Se non altro, per il momento quell'atteggiamento futile la sta tenendo occupata, impedendole di piombare nuovamente nell'apatia. O nei suoi pensieri. Da ciò che riesci a capire, sta cercando di razionalizzare. Di superare la difficoltà con la logica. Sta trovando il modo di darsi la colpa per tutto ciò che è successo. E ci sta riuscendo, nella sua testa.

    È proprio in uno di questi momenti di ossessiva e spasmodica attesa che il casco di Jet dà segni di vita tra le sue mani, accendendosi insieme alle scosse statiche. Ancora una volta sembra trattarsi solo di un istante, una frazione di secondo che non le permetterebbe di fare alcunchè. Quando il casco torna a spegnersi con un suono secco, per la prima volta da molto tempo vedi affiorare la rabbia sul suo viso.
    Le sue dita si stringono sulla calotta del casco. Sei sicuro che, se non fosse per i guanti, le vedresti sbiancarsi.
    Avverti una pulsazione. Un'altra scarica, molto più forte delle precedenti e stranamente ravvicinata. Una bassa luminosità si diffonde attraverso l'ambiente, permettendoti di vedere ben oltre i pochi metri, pur senza rivelare nulla di nuovo nella struttura sempre meno umana del tunnel, ormai ridotto a un piano leggermente concavo simile a una lamiera.
    Il suono di un congegno elettronico in accensione riempie le vostre orecchie. Il fischio iniziale dei processori ad alta resa sembra un boato in quel silenzio assoluto, rotto solo dai vostri respiri a stento trattenuti. Lo schermo del casco di Jet torna ad accendersi. Poi quello di Exile. Poi il tuo.

    Leggi rapidamente il flusso di testo. Non è complicato. Ti basta un istante. Un suono strozzato sale dalla gola di Exile. I suoi pensieri scompaiono.

    Lambda4A - Alvida - Bosphor - Caravan - MIA
    Lambda4B - Pyxis - Löwen - Klum - MIA
    Lambda4C - Lighinga - Exile - Korin - MIA

    field operation: aborted
    containment protocol: ACTIVATED


    Il respiro della ragazza si fa sempre più rapido e superficiale. Il ritmo ti assorda.
    Vorrebbe urlare, ma non ci riesce.
    Il nero si sgretola, divorato dalla luce bianca più intensa che tu abbia mai visto.

    -

    Quando i tuoi occhi tornano a funzionare correttamente, ti accorgi di vedere un soffitto. Incolore. Asettico. Un modulo medico.

    6vgdAlI



    Note Master:

    Descrivimi tutto quanto fino al risveglio. Stai relativamente bene, non sei ferito. E sei chiuso nel modulo.


     
    Top
    .
  25.  
    .
    Avatar

    Sacro Custode delle P.R.

    Group
    Silver Saint
    Posts
    2,133

    Status
    ALIVE

    ITEM# 89-1
    CUSTODE DI THULE
    KORIN
    LONGWEI GAO
    COSMOCROMIA
    AZZURRO
    LVL ENERGETICO
    ROSSO
    alexera13
    line1

    LOG: You Can (Not) Understand LOG#7

    DESCRIPTION:

    La Speranza è un fiore bellissimo che decora il giardino di chi lo possiede, ma allo stesso tempo è inevitabilmente fragile potendo essere distrutto da una qualsiasi cosa, che sia un soffio di vento, mancanza di acqua, un caldo asfissiante, o un sole che di punto in bianco smette di brillare e dargli nutrimento.

    Korin lo percepì germogliare quando Exile parve reagire incrociando i suoi occhi, sentì come se tutto attorno a sé potesse fiorire da un momento all’altro, come se petali di oscurità che avvolgevano l’intera anomalia potessero venir spazzati via dal vento, rivelando la realtà che nascondevano. Avrebbe potuto giurare di sentire quella stessa brezza scorrergli sul volto e accarezzare l’equipaggiamento, un’energia ignota che si dipanava da loro e attorno a loro. Ma forse fu quella stessa energia a fare altresì appassire il fiore, facendo tornare tutto vuoto e lo sguardo di lei assente.
    La strinse nuovamente appena più forte cercando di ristabilire quella connessione, di tenere insieme i petali di quel fiore, ma era tutto inutile. Era andato.

    Volse lo sguardo per osservare il nero attorno a loro. Aveva promesso di portarla via, di aiutarla, di farla ragionare, ma ogni tentativo era risultato un fallimento e il suo potere si era rivelato inutile. La cosa peggiore non era nemmeno l’anomalia o l’essere stati forzatamente separati dal gruppo o il non avere mezzi di comunicazione, no, era il muro di silenzio di Exile. Non ce l’aveva propriamente con la ragazza, non era colpa sua se erano finiti lì dentro, era solo che il suo agire era così inspiegabile, così inutile. Era frustrante. Poteva capire che avesse paura del buio o che qualcosa l’avesse traumatizzata, ma non la reazione. Voleva aiutarla, ma non poteva superare quel muro che lei si stava costruendo attorno. Aveva provato a passarlo con le buone, parlandole, e con le cattive, ferendola abbastanza da togliere anche solo un mattone, ma non era bastato a riportarla indietro, né a ricordarle che era una soldatessa di un’organizzazione che viveva su anomalie come quella, che quello era il lavoro per cui lei si stava proponendo.
    Forse la GRADO aveva ragione: Exile non aveva le carte in regola per quelle missioni. Non avrebbero dovuto nemmeno darle quella possibilità… sempre che non l’avessero fatto per liberarsi definitivamente di lei. No, non era un peso fino a quel punto. Forse dopo aver ignorato decine di candidature volevano solo mostrarle che quel lavoro non faceva per lei. O forse volevano davvero darle una possibilità e il tutto era degenerato nel peggiore dei modi perché una singola scelta ne aveva decretato la morte. La sua singola scelta.
    Imprecò a denti stretti in un sibilo appena udibile. Lui l’aveva trascinata con sé in quel baratro.
    Che ora la zavorra dell’intera operazione fosse lei era semplice karma.

    Raccolse la corda che li legava e la strinse in un nodo solido in modo che i quattro metri divenissero poco più che uno soltanto, quindi senza chiederle nulla, anche perché non avrebbe risposto, portò entrambe le braccia di lei sopra le proprie spalle, quindi davanti al proprio ventre e spinse di schiena per sollevarla da terra. Sarebbe stato faticoso, ma quella era una delle due prese migliori per trasportare qualcuno per lunghe distanze. Poteva optare per quella, che sarebbe stata fastidiosa per lui, o per la presa del pompiere che non era simpatica per chi la subiva. Il vantaggio di quella usata era che Exile poteva scegliere se guardare avanti o nascondere il proprio viso dietro le sue spalle, rintanandosi in un oblio ancora più nero.

    Partì verso dove avrebbe dovuto essere l’entrata, ad un passo calmo, umano, pur di ambientarsi a quella nuova postura. Exile non era pesante, anzi era più leggera della cloth stessa con il cosmo che lo sosteneva, solo era diverso marciare chinato in avanti, il respiro indebolito dall’impossibilità di espandersi. Dovevano solo superare la curva e poi a qualunque bivio avrebbero trovato a terra i suoi sigilli che avrebbero indicato loro come tornare indietro. Era semplice, lo aveva studiato apposta.
    Ma la curva non sembrava finire mai. O forse era già finita e non lo aveva notato. Non c’era un’uscita di sicurezza però? O un’alcova? Di sicuro c’era un bivio proprio poco prima del tunnel, se lo ricordava bene. Ma non c’era.

    Forse no, forse i disguidi temporali gli stavano giocando uno scherzo e aveva camminato molto meno di quanto pensasse. Bastava andare un po’ più avanti e avrebbe trovato tutto. Ma di nuovo non c’era nulla.
    Poteva aver sbagliato strada? Era certo che erano venuti da quella direzione, ma a quel punto doveva essersi sbagliato, doveva ricordare male. Doveva andare dalla parte opposta, chiaramente. Tornò indietro, proseguì in quella che sembrava una strada altrettanto aliena, seppur i suoi passi l’avessero appena battuta. Nah, doveva essere tutta colpa della sua mente stanca, della fatica, dell’anomalia stessa e del buio. Non avevano più le torce penetranti ad aiutarli. Avevano degli stick chimici che non sarebbero durati a lungo.
    « I treni non possono riportarci a casa. » Ricordò quella cantilena a se stesso e a Exile anche se a quel punto nemmeno sapeva se poteva davvero aiutarli.
    Di sicuro avevano passato quel cartello, ricordava la scritta a graffiti, però a momenti doveva esserci il bivio, ma non c’era. Non avvertiva nemmeno il suo potere sigillante illuminare debolmente la via. Non che fosse facile trovare il barlume del cosmo in mezzo a quell’incendio di caos puro. Che l’anomalia si fosse modificata attorno a loro due intrappolandoli in una dimensione a parte? Come in un videogioco, forse erano stati teletrasportati in un altro condotto simile e diverso, un altro punto della mappa labirintica in cui una tempesta elettromagnetica rovinava la loro attrezzatura.

    Il problema di avere Exile come un peso morto non era tanto la fatica nel portarla, era il silenzio. Poteva contare i loro respiri o concentrarsi sull’eco dei propri passi, oppure poteva solo lasciarsi andare al vuoto. Con Lichinga all’andata avevano chiacchierato del più e del meno, della GRADO, della vita prima e dopo l’armaggeddon, di sogni, di lavoro. Ora non c’era nulla di tutto quello e il tempo sembrava non passare mai, così come non arrivavano i bivi, come non si vedevano sigilli, come non c’erano uscite o suoni di altri occupanti. Più si avanzava, più quei dettagli invisibili continuavano a svanire. C’erano meno rientranze, meno cartelli segnaletici o pubblicitari, meno finte uscite, meno cose che potevano rapire la sua attenzione lasciandolo inesorabilmente da solo preda dei suoi pensieri, di quell’urlo in testa che dapprima soffocato dal caos, ora si faceva sempre più vivido. Se in un primo momento cercava di rimanere lucido, per Exile soprattutto, ora quella sottile difesa stava andando a scomparire come tutto il resto. Cercava di soffermarsi a studiare questo o quello, cercava un punto di riferimento, una luce nel buio, il suo potere, un segnale che potesse ricondurlo a casa o magari un vuoto energetico che poteva far funzionare di nuovo le loro apparecchiature.

    Più andava avanti meno c’era da pensare. Non c’erano dettagli su cui soffermarsi, o prove da poter fare per corroborare o confutare una tesi. Erano ancora nella stessa anomalia dell’andata? Lui e Exile erano solo in punto diverso di essa, o addirittura su un altro piano dimensionale? Perché quel posto era così buio? Perché la loro tecnologia non funzionava? Perché Exile era così terrorizzata da tutta quella situazione? Perché le sue parole non riuscivano a riacchiapparla? Era un effetto cosmico simile a quello del calice, magari, uno che invece che dubbi instillava una paura esagerata. Quello sì che avrebbe spiegato il trauma intenso causato ad una soldatessa. Peccato che quell’anomalia non era il calice. Il suo potere era inutile contro di essa. Aveva provato a crearsi uno spiraglio bombardando il posto come aveva eliminato il calice, ad esaminare ancora e ancora le maglie della realtà alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarli, ma non lo scalfiva e non c’era nulla.
    C’era solo quella voce, quel pensiero: era inutile.

    « Almeno bevi qualcosa » Le disse infine muovendole la borraccia davanti al suo viso inerme. Si erano fermati dopo aver camminato per… minuti? Forse ore? Giorni? Per quanto tempo reale o immaginario erano andati avanti? Le aveva ripetuto almeno un centinaio di “i treni non possono portarci a casa” ma quanto tempo reale era passato fra uno e l’altro? Non lo sapeva, non sapeva più niente. Sapeva che aveva bisogno lui di fermarsi, di un sorso, di un boccone. Erano dentro da almeno dodici ore reali e a giudicare dallo stomaco brontolante forse anche una ventina. Osservava con occhi vuoti i pacchi di cibo e acqua fornitigli, lungimirante da parte della Fondazione, ma per quanto sarebbero bastati? Quanto potevano razionarli per andare avanti? Ma volevano andare avanti? Dovevano, ovviamente, ma erano persi, completamente. Potevano essere ovunque e da nessuna parte. Potevano essere a due centimetri dall’uscita così come in un mondo parallelo blu e dall’aria caotica da cui non c’era scampo.
    Forse potevano essere salvati, o loro magari potevano trovare qualcuno da un momento all’altro.
    Oppure sarebbero rimasti lì da soli fino a lasciarsi andare per gli stenti. Era così che sarebbe finita? In maniera così ingloriosa?

    La collanina dondolava appena nella sua mano mentre ne osservava le targhette con occhi vuoti, dal suo nome in rilievo alla foto di sua madre sul retro. Era per questo che così tante anime si erano sacrificate? Perché lui potesse fare la cosa più stupida possibile e scegliere la morte al successo? Per cosa poi? Per un po’ di gloria? Perdere solo una persona, per quanto tragico, era meglio che perderne due ed invece lui, testardo, aveva scelto di farne perdere tre, di cui uno era il possessore dell’armatura di Alman, forse la reliquia più importante della Fondazione. L’altra targhetta con il simbolo del Fondatore inciso lo guardava di rimando. Se le cloth avessero potuto parlare, probabilmente la sua lo stava già prendendo a parolacce da ore. Tutto perché quei tonfi dovevano essere Jet, perché trovato l’elmo lui non poteva essere lontano. Bravo pirla. Bravo che sei andato avanti senza cautela in una anomalia rinselvatichita dopo anni di studi sospesi. Veramente complimenti oh custode di Thule, oh guardiano del mondo, oh studioso delle sue regole.
    Un idiota ecco cos’era. Un bambino che non aveva nemmeno finito le medie che giocava a sentirsi grande, che pretendeva di saperne più degli altri. Non era nemmeno un capo e aveva condannato la sua squadra al fallimento, così come aveva condannato il team che accompagnava nelle lande dell’artico. In buona fede, certo, ma sbagliava, ancora e ancora, con errori che costavano sempre di più. In America per esempio avrebbe dovuto provare molto prima ad utilizzare un sigillo di purificazione sul Caduto, senza dover aspettare che fosse un araldo a illuminarlo.
    Ci aveva pensato talmente tante volte, a ripetizione, che conosceva quei pensieri a memoria. E se e se e se continuava a dirsi in un what if che non poteva mai davvero realizzarsi. Gli rimaneva sempre e solo il presente e la consapevolezza di essere un fallito, idiota, saccente… un bambino.

    让我们荡起双桨
    Let's row the boat together



    E cosa sapevano fare i bambini, meglio di ogni altra cosa, se non lasciarsi andare a canti infantili legati a momenti di conforto e di sicurezza? Ràng wǒmen dàng qǐ shuāng jiǎng, era una canzoncina così, stupida, insulsa se paragonata al momento di crisi che stavano vivendo, eppure era così perfetta. Quando era molto piccolo e sua madre lavorava, c’era sua nonna a curarsi di lui, proteggendolo anche dalle cose più stupide, come i temporali. Erano così forti e rumorosi e il cielo era nero, ma loro lo illuminavano a giorno con un botto enorme. A volte erano così forti e vicini che riuscivano a togliere la corrente alla loro casa. Ricordava vagamente di esserne stato terrorizzato, ma non poteva dimenticare l’abbraccio della nonna che gli faceva appoggiare la testa sulla propria spalla, il viso nascosto nella sua maglietta e cantava per distrarlo da quei mostri elettrici che si davano battaglia fuori dalla porta di casa.

    小船儿推开波浪
    The little boats propel the waves away



    Incrociò lo sguardo di Exile, vuoto, ma anche confuso, come poteva non esserlo sentendolo parlare, anzi cantare, in una lingua a lei ignota? La avvicinò a sé, facendole poggiare la testa sulla sua spalla appoggiando poi il proprio braccio attorno a lei. « Riposa un po’, resto io di guardia. »

    海面倒映着美丽的白塔
    The beautiful White Pagoda is reflected in the sea
    四周环绕着绿树红墙
    Surrounded by the red wall and trees.



    La mano la accarezzava dolcemente mentre continuava a cantare rendendo la melodia appena più lenta del normale, calma come la sensazione che voleva trasmettere. Andava tuto bene, le stava cantando, siamo ancora assieme. Si sarebbe occupato di lei, costasse quel che costasse, fino alla fine, qualunque essa fosse. Non importava doversi fare carico delle piccole cose, di sfamarla, di assicurarsi che bevesse, di dover erigere muri di ghiaccio per darle privacy nel fare i propri bisogni. Non l’avrebbe abbandonata. Ogni tanto serviva a tutti una spalla su cui piangere, che fosse una mamma, una nonna, uno Stenson… un padre. Non sapeva come si faceva il padre, ma sapeva come fare il superiore, come pensare alla propria squadra. Evidentemente non sapeva come guidarla fuori dai guai, ma avrebbero remato assieme in quel mare di avversità.

    小船儿轻轻
    The little boats
    飘荡在水中
    Float gently in the water,
    迎面吹来了凉爽的风
    A cool breeze blowing on our faces.



    Aspettò e aspettò, con la mano che faceva su e giù per il braccio di Exile, come se potesse consolarla spazzolando via le insicurezze e le paure che ella provava. E teneva il tempo, in un modo tutto suo, un metronomo improvvisato che faceva da sottofondo alla sua canzone. Aspettò, ancora e ancora finché non fu certo che Exile si fosse lasciata andare ad un sonno ristoratore. Magari la sua era solo immobilità o l’avere gli occhi vitrei chiusi, il respiro apparentemente più tranquillo. Sarebbe bastato così per ora, non poteva debellare il suo demone tutto in una volta. Non esisteva sigillo di purificazione in grado di farlo.
    Quindi fu lui a lasciarsi andare, le spalle a malapena sorrette dal muro dell’anomalia. Era il proprio respiro che andava accelerandosi mentre gli occhi sbattevano sempre più veloci mentre calde lacrime iniziavano ad inumidirgli gli occhi. Lui era un soldato, non soffriva, non dimostrava emozioni, si teneva tutto dentro, per sé e per gli altri, ma non in quel momento. In quel momento era un bambino, fragile, solo, che aveva bisogno di un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Non c’era più una spalla su cui piangere, uno Stenson con cui aprirsi. Non c’era nessuno, se non un’anomalia bastarda e qualcuno che non poteva permettersi lo vedesse piangere. Doveva essere forte per tutti e due, ma non poteva. L’aveva trascinata in quella situazione e non poteva tirarcela fuori. Era inutile. Non c’era via di fuga, non una luce infondo al tunnel. Erano lì dentro da chissà quanto e chissà per quanto ancora. Non voleva pensare al peggio però… però forse non c’era davvero una via di fuga. Sarebbero rimasti lì fino ad esaurire le scorte, fino a ridursi agli stenti, fino a morire in silenzio, senza aver fatto nulla di buono.
    Avendo deluso tutti.

    红领巾迎着太阳
    The young Red Scarf Team faces the sun.
    阳光洒在海面上
    The sun shines on the sea.



    Diverse, forse, ore dopo avevano ripreso il cammino. Exile sembrava meno passiva. Lo seguiva ancora a passo lento, quasi sembrava una condannata a morte arresasi al proprio destino, ma di sua spontanea volontà almeno. Di poco, ma il sonno doveva averle migliorato l’umore. Meglio di niente. Era lanciandole delle occhiate fugaci e frequenti, accertandosi che la ragazza fosse ancora con lui che notò, per la prima volta, quanto fosse silenzioso il posto. Prima c’era del rumore di fondo, statico, elettrico, come una radio che non prende il segnale. Ora era tutto silenzioso, tranne per qualche flash. Erano echi che si diffondevano per la galleria, echi di parole e immagini, strascichi lontani di quelli che erano eventi passati. Sentiva la sua voce, vedeva se stesso dall’esterno, come con gli occhi di lei. Percepiva sé stesso che si incitava ad andare avanti, che non l’avrebbe lasciata, quasi sentiva la sua stessa presa sulla sua pelle.

    Si fermò più volte, quando quelle voci si facevano più forti e presenti, veri e propri attimi in cui sembrava quasi che la realtà sparisse per sostituirsi a quelle immagini irreali. « E’ l’anomalia » provò a spiegarle in quei momenti di pausa, tenendosi la testa come per soffocare invano quelle voci. Stava impazzendo? Era ancora il potere del calice che lo stava influenzando? Perché vedeva con gli occhi di lei? Perché sentiva la sua stessa voce? Quei tre fotogrammi casuali che aveva visto col calice… Perché? Perché quel potere lo assillava così tanto? Perché adesso? Era forse troppo debole per reggerlo? L’anomalia stava facendo da catalizzatore?


    水中鱼儿望着我们
    The fishes in the water watch us,
    悄悄地听我们愉快歌唱
    Quietly listening to our happy song.



    Aveva bisogno di un solo minuto per plasmare nuovamente il suo potere che, come il resto del corpo, andava consumandosi. Lo sentiva bruciare più forte, non di intensità, proprio il suo corpo. Si stava nutrendo di lui come non aveva mai fatto. Doveva essere l’anomalia, o il razionamento che prosciugava così velocemente la sua forza obbligando il suo potere a bruciare riserve energetiche più in profondità. Forse era solo il primo passo del fantomatico estinguersi in un oceano di luce di cui aveva sentito parlare. Filamenti bluastri si formarono fra le sue mani andando a tracciarsi attorno a perni invisibili per formare linee, punti e piani. Ne programmò uno per la ragazza che, priva di cosmo, doveva essere indifesa contro quel mostro di voci, quindi glielo applicò addosso decorando il suo casco con l’intrico di linee a mo’ di corona. Non era certo di cosa potesse fare, di come poterla davvero aiutare, ma una minima difesa doveva mettergliela addosso. La particolarità del suo sigillo era che emetteva cosmo ad impulsi regolari, tre ravvicinati, poi tre più lunghi, quindi di nuovo tre impulsi brevi. Un codice morse di cosmo con il quale sperava di poter spedire un messaggio di aiuto a chiunque potesse sentirli. Ma la GRADO poteva davvero percepirli lì dentro? Non lo sapeva. Poteva solo sperarci.
    Quindi ne fece una copia anche per sé sperando di trovare una combinazione di linee che gli permettesse di ignorare più facilmente quegli stimoli così prepotenti.

    小船儿轻轻
    The little boats
    飘荡在水中
    Float gently in the water,
    迎面吹来了凉爽的风
    A cool breeze blowing on our faces.



    Da quanto stavano vagando inutilmente lì dentro? Una settimana sicura o almeno una almeno percepita doveva essere passata. Almeno cinque pause le avevano fatte, forzate solo dai solo corpi esausti, dai piedi che assomigliavano a puzzle e al cosmo che solleticava l’interno del proprio corpo. Cercava di non usarlo, di rimanere al passo con Exile in quanto a stanchezza in modo tale da capirla nonostante il suo muro di silenzio, ma ogni tanto ne aveva bisogno, che fosse anche solo per creare un cubo di ghiaccio dietro cui fare i propri bisogni con privacy. Quindi si fermavano, mangiavano un boccone di razioni che sembravano finire fin troppo velocemente, e si appoggiavano al muro, corpo contro corpo, per rinfrancare momentaneamente i loro muscoli bisognosi di energie. Cercavano di fare dei turni di riposo in un sonno che sembrava sfuggirgli per quanto stanchi fossero. Cercava di dormire il meno possibile lasciando invece a Exile tutto il tempo di cui aveva bisogno. Lui aveva il cosmo a sostenerlo, ma per quanto ancora? Per quanto ancora avrebbe avuto la forza di andare avanti? O indietro, per quanto ne sapevano.

    L’anomalia oramai era un mistero assoluto. Aveva smesso di capire giorni prima, aveva smesso di provarci qualche tempo dopo. Anche se fermi in un preciso punto, il mondo attorno cambiava conformazione. La galleria si stava ingrandendo, stava perdendo dettagli. Era un’immagine digitale che veniva zoommata all’inverosimile e perdeva consistenza in continuazione, in un movimento tanto lento da non essere percepibile guardandolo, ma tanto veloce da vederne la differenza anche dopo un solo battito di ciglia. Lo aveva notato per caso proprio aspettando che Exile finisse di fare i suoi bisogni: il cubicolo di ghiaccio prima arrivava al cartello, poi quando la ragazza ne era uscita non lo toccava nemmeno. Oramai l’anomalia era così grande che se il primo giorno facevano 15 chilometri in un’ora, ora potevano fare 15 metri nello stesso tempo, e non lo sapevano, non c’era modo di calcolarlo.

    做完了一天的功课
    After finishing the day's schoolwork,
    我们来尽情欢乐
    Let's rejoice and play.



    In compenso erano iniziate le scosse, sfrigolii elettrici che avvenivano sempre al limitare del loro sguardo. Qualcuno lungo, qualcuno corto, qualcuno ravvicinato nel tempo, altri distanti ore, uno un intero giorno. Alla prima il suo cuore aveva fatto un balzo, sia per pericolo sia perché quell’elettricità poteva, forse, confermare la sua primissima ipotesi. All’inizio erano solo quello, lampi di luce simili a quelli che lo terrorizzavano da bambino. Man mano che si facevano più vicini però potevano rappresentare la loro salvezza. Erano correnti elettriche che riuscivano ad intaccare la loro strumentazione. Per millisecondi gli schermi parevano tornare in vita, tentare di accendersi, solo per spegnersi inesorabilmente.
    Forse le scariche li stavano danneggiando; chissà se una volta usciti da lì sarebbero stati ancora funzionanti.
    Se fossero mai usciti da lì.
    Più il tempo passava più Exile sembrava riprendersi e tornare in sé. Sembrava che il suo stato catatonico fosse finito, che la soldatessa avesse ripreso, parzialmente, le redini della sua vita. Stava cercando di andare avanti, di capire, di trovare una soluzione. Aveva ancora una speranza.
    A tratti la invidiava, perché più la forza d’animo di Exile cresceva, più la sua si spegneva. Forse era l’urgenza a guidarla, l’idea di un limite imprescindibile che gli si parava davanti. Stavano per arrivare al capolinea e lei stava facendo del suo meglio per trovare il freno del treno. Lui invece camminava per i vagoni alla cieca, guardando fuori dal finestrino solo per vedere lo stesso paesaggio di prima e di dopo. Un paesaggio sempre diverso, ma identico. Dov’erano? Erano persi, persi per sempre. Forse potevano solo sedersi e godersi la fine del viaggio.
    Eppure non ci riusciva. Non lo voleva davvero.
    Voleva poter raggiungere la sala macchine e riportarli a casa.
    Solo non sapeva dove trovare la cima del treno, non sapeva come guidarlo. Non sapeva nemmeno in che direzione fosse casa.
    Non sapeva più niente, non aveva più niente. Aveva solo Exile.

    我问你亲爱的伙伴
    Tell me dear friend,
    谁给我们安排下幸福的生活
    Who gives us a life of happiness?



    E Exile non si arrendeva. Contava le scosse, la loro lunghezza, per quanto tempo riuscivano ad alimentare la loro strumentazione. Cercava di calcolare la distanza fra una e l’altra potendo, magari renderle prevedibili.
    Exile non aveva mai aperto bocca, eppure riusciva a capire esattamente cosa stesse pensando. Era assurdo. Vedeva i numeri danzare attorno alla sua figura, vedeva ipotesi e speranze allungarsi come rami di un albero, intrecciarsi, arrivare ad un capolinea e riprendere da tutt’altra parte. Il suo sigillo per isolare quei pensieri non era servito a molto, anzi sembravano quasi più nitidi, più facili da leggere e interpretare. L’unica cosa che il suo sigillo era riuscito a fare era renderli opzionali. In qualche modo, seppur presenti, riusciva a isolarli a renderli solo un rumore di fondo nella sua mente, in modo tale da evitare che essi disturbassero i suoi pensieri. Non era così facile però domare i picchi più forti. A seguito delle scosse la speranza di Exile si illuminava tanto quanto il visore, per poi spegnersi assieme ad esso accendendo al suo posto dei moti di rabbia, delusione, incapacità. Se quelle scosse durassero più a lungo, si diceva, o almeno così gli pareva di capire dalla nota salata della sua mente. Se potessero prevederne l’avvenimento o addirittura controllarle, allora magari avrebbero avuto modo di ripristinare i loro strumenti. Era un pensiero logico, esattamente come in natura bisognava sfruttare ciò che si aveva per trarne vantaggio. Però c’era anche qualcosa di più acre, un sapore bluastro di tristezza, di consapevolezza che anche se avessero potuto accedere ai loro strumenti non potevano comunicare con i loro compagni che erano presumibilmente già fuori dall’anomalia da un pezzo. Non potevano comunicare con il fuori attualmente. Forse modificando la strumentazione, ma in quel caso avevano ciò che gli serviva per farlo da dentro quel luogo dimenticato da tutti gli dei?

    Una nuova scossa, molto più vicina, molto più visibile aveva tagliato il cielo proprio sopra le loro teste, come continuando in direzione di un polo che si nascondeva davanti a loro. La sua luce seppur fioca illuminò molto della allora liscia galleria, rivelando quello che fondamentalmente già sapevano: era diventata enorme, aveva perso tutti i dettagli e continuava forse all’infinito. Ma non era quello il punto cardine, la luce persisteva e con esso la sua carica elettrica. Ventole cominciarono a girare, i circuiti a caricarsi con sordi bzz. I caschi si accesero tutti in rapida sequenza avviando i loro sistemi, solo per focalizzarsi su una singola schermata comune: un campo di testo bianco su cui erano stampate lettere cubitali, spesse ma definite.
    Il messaggio era relativamente breve, ma ci volle un attimo di troppo a capirne appieno il significato.
    I loro nomi, tutti i loro nomi erano barrati, accompagnati dall’acronimo MIA. Era un messaggio dell’esterno. Nessuno era tornato indietro. Loro due era ovvio, ma Lichinga non ce l’aveva fatta nonostante i sigilli guida che aveva piazzato ovunque. Le altre squadre su cui non avevano avuto influenza se non per dargli l’effettiva speranza di ritrovare Jet non erano tornate. Forse… forse erano stati tutti risucchiati da quel vuoto. Loro e persino Jet erano ombre che si muovevano in quel dedalo infinito, dritto e senza uscita.
    Quindi crebbe l’urlo silenzioso di Exile, una sua riflessione istantanea che influenzò anche i suoi pensieri: gli esperimenti erano stati sospesi, l’anomalia sigillata, loro erano stati chiusi al suo interno. Era la cosa giusta da fare dopo averne persi altri nove con la speranza vaga di salvarne uno. Era la cosa più sensata per il bene superiore. Ma questo significava anche che non sarebbero tornati a cercarli. Se i loro sforzi non li avessero condotti fuori da lì nessuno sarebbe venuto per loro. Se non si tiravano fuori da soli sarebbero morti lì dentro. Morire di fame, sete, stenti, era un pensiero agghiacciante. Dieci cadaveri persi nel nulla, dieci anime rapite dall’oscurità. Strinse la collana richiamando silente l’armatura di Alman. Doveva farlo? Doveva focalizzarsi a trovare il modo di mandarla via da lì?
    Più stringeva più il bianco del visore sembrava espandersi divorando ogni scritta rossa. No, non solo, era fuoriuscito dallo schermo, stava divorando ogni cosa. Sembrava una vera e propria luce, ma era anche solo un colore, vernice che si espandeva lungo ogni parete, soffocandola, riempiendola, annegandola in una coltre senza dettagli. Non c’era più una parete, un soffitto, persino un pavimento su cui le loro ombre potevano appoggiarsi. Potevano star volando e non lo sapevano. Non sapevano più nulla. Non potevano fare più nulla. Il bianco iniziò a divorare anche loro. Il loro corpo iniziò a imbiancarsi perdendo i differenti colori, le forme, l’identità.
    Non furono più nulla.

    小船儿轻轻
    The little boats
    飘荡在水中
    Float gently in the water,
    迎面吹来了凉爽的风
    A cool breeze blowing on our faces.



    Non ebbe idea di quanto tempo la luce abbagliante rimase tale. Forse pochi secondi, forse giorni interi. Nulla aveva più un senso temporale dopotutto. Semplicemente di punto in bianco cessò. Dapprima enorme abbagliante, retrocedette, si fece meno prepotente lasciando trasparire colori diversi, grigi soprattutto, quindi neri.
    Sbatté le palpebre e i colori sfuocati si misero a posto, definendosi sempre di più, come se linee di confine si disegnassero attorno a loro separando posti e oggetti. Dapprima fu la sola forma rettangolare di un soffitto grigiastro, appena scalfito dalla luce fredda del soffitto. Quindi si formarono le pareti metalliche o plasticose, molto spartane. Poi da esse si staccarono strumentazioni varie, definendosi e acquisendo un’identità propria, uno scopo non meglio definito nella sua mente stanca. No, non stanca, silenziosa, vuota. C'era silenzio, ma non era assordante. Era semplicemente silenzio, tranquillità, appena scalfito dai rumori ovattati delle strumentazioni, forse del fuori.
    Un fuori... Dov'era? Era nell'anomalia? No, non poteva essere, era tutto troppo diverso. Era una camera d'ospedale, o qualcosa di simile. Vedeva una flebo, oramai vuota, quello che doveva essere un lettore di battiti o simili, ma era spento. Vedeva bocchette per l'ossigeno, chiuse e inutilizzate e poi vedeva i confini del letto non troppo morbido su cui era sdraiato.
    Provò ad alzarsi lentamente per guardare altrove. La stanza sembrava modesta, pronta ad ogni evenienza, ma era essenzialmente vuota, silenziosa, come la sua testa, leggera. Si sentiva bene, come se un peso enorme si fosse tolto di dosso lasciandolo finalmente respirare. Ascoltò il proprio corpo saggiando i movimenti lenti di ogni suo muscolo, quindi scavò più a fondo verso la scintilla cosmica che brillava quieta pronta a sostenerne gli sforzi. Si sentiva apposto, stava bene, ne era certo. Non aveva fame, né sete. Forse le labbra erano un po' asciutte. Era solo confuso. Perché era lì? Come ci era arrivato? Ricordava il bianco l'anomalia, il testo cremisi del visore, ricordava l'urlo silente di Exile.

    Exile... La cercò con lo sguardo nella stanza, ma lei non c'era. L'aveva persa? Li avevano separati? Ma chi? Beh la GRADO, chi altri poteva essere? Contro ogni previsione dopo che nessuno era tornato, dovevano aver indagato più a fondo. Avevano rischiato altre vite per la loro? No, non ne poteva valere la pena. Anche con il potere che aveva, e l’artefatto che portava con sé, non poteva avere senso perdere altri uomini. « Devono tenere parecchio a te, eh? » o forse sì. Forse Exile aveva ragione, forse erano tornati espressamente per lui, o meglio per ciò che aveva. Ma era una cosa buona no? Avevano di sicuro ritrovato la ragazza e l'avevano portata fuori alla fine, come le aveva promesso, anche se lui non aveva effettivamente fatto nulla. Ma gli altri? Lichinga e il resto della lambda? Avevano trovato anche loro? E Jet?!

    Non c'erano finestre, non c'erano orologi, né un calendario, niente. Che ora era, che giorno? Cercò di abbandonare il letto, appena affaticato dalla troppa immobilità, forse da qualche medicina che aveva ancora in circolo, o forse ancora dal solo tempo passato a bruciare cosmo e energie come se non ci fosse un domani. Beh, un domani poteva non esserci davvero. Mosse qualche passo sul pavimento freddo, spartano, quindi si mise alla ricerca di qualcosa che sapeva già non esserci. La GRADO non era un film americano dove si lasciava la cartella clinica vicino al paziente. Non che avrebbe saputo interpretare il medichese, ma magari leggere qualcosa avrebbe fatto passare il tempo di solitudine.
    Trovò piuttosto una divisa pulita e accuratamente ripiegata, pronta a sostituirsi al temporaneo camice da ospedale che gli aveva sempre suscitato un sentimento di disprezzo e vergogna. In quel momento però esitò a liberarsene. Provava repulsione ma allo stesso tempo si sentiva indegno di quella divisa. Li aveva delusi. Le sue azioni avevano portato alla condanna di tutta la lambda. Se non avesse forzato Exile a continuare, se non avessero mandato quel messaggio agli altri, se fosse stato più forte. Se, se , se…
    Era sicuro delle scelte fatte, avevano pienamente senso nel momento in cui le aveva compiute, ma ora sapeva che lo avevano portato alla disfatta. Se avesse scelto l’opposto, come sarebbe andata la storia? Meglio, peggio? Avrebbero rinunciato a trovare Jet per sempre o magari avrebbero avuto un Jet al suo posto in quella stanza di ospedale? E se non si fosse fatto fregare dall’umanoide blu? E se avesse rifiutato l’ultimo incarico con Exile?

    Non poteva tornare indietro a cambiare le cose. Poteva solo andare avanti e prendersi le responsabilità di quanto successo, dai piccoli trionfi alle più rovinose cadute. Indossò la divisa con lento rispetto cercando di fare attenzione ad ogni suo più piccolo dettaglio; almeno quello lo doveva alla GRADO.

    Fu in quel momento che notò la porta, ma già sapeva che l'avrebbe trovata chiusa. Fu quasi inutile tentare di spingerla, tanto che al primo rifiuto di aprirsi abbandonò l’idea. Dopo aver affrontato un'anomalia del genere e non essere tornato indietro da solo dovevano averlo chiuso in quarantena mentre facevano tutti i loro test a riguardo. Se poi si aggiungeva che aveva passato lì dentro come minimo dei giorni, forse settimane, quasi si sorprendeva di non essere ancora bloccato a letto sotto infiniti fili che lo collegavano all' intero gruppo di macchine. O forse lo era stato per tutto il tempo del bianco. Forse erano stati trovati ben prima che lui lo sapesse, magari le scariche dell’anomalia non erano altro che tentativi di rianimazione, forse il bianco era la luce forte di una sala operatoria o forse era la luce in fondo al tunnel di quel sogno di morte.
    O forse erano tutte congetture di una mente fin troppo vuota, silenziosa, solitaria.

    Era possibile che gli sarebbe bastato un solo sfrigolio di cosmo ad abbattere quella porta, a far crollare l’intera struttura anche. Non c’erano difese, almeno nessuna che limitasse il suo potere. Avrebbe potuto provarci, ma a che pro? Perché avrebbe dovuto combattere i suoi stessi alleati? Già li aveva delusi abbastanza, farli anche arrabbiare non sarebbe stata l’idea del secolo. Passeggiò ancora per il poco spazio concessogli quasi marciando e facendo scrocchiare le dita delle mani in attesa che succedesse qualcosa, qualunque cosa, anche il vedere la porta sfondata da un armadio dalle mani ruvide come gli era successo dopo la missione di Yaroslavl. Non vedeva telecamere, ma era certo di essere tenuto strettamente sott’occhio come lo era allora. Dovevano ormai sapere che era sveglio. Sarebbe bastato attendere che i passacarte riferissero il messaggio fino ai piani alti e che quindi essi prendessero una decisione sul da farsi. Avrebbero di sicuro ordinato un esame psichiatrico prima per accertarsi delle sue condizioni, poi avrebbero esatto un rapporto dettagliato su quanto era successo. Nel caso meno bello poteva aspettarsi di fare una tappa ulteriore in una qualche cella di contenimento seria ora che non vi era pericolo medico.
    Nel caso ancora peggiore poteva iniziare a dire addio all’armatura di Alman, ma in quell’evenienza gliela avrebbero probabilmente già sequestrata invece di fargliela trovare assieme alla divisa.
    Nel caso estremo infine poteva aspettarsi di vedere Rain varcare quella porta, d'altronde era lui ad averlo ingaggiato per quella missione. Se la sua fosse stata un’effettiva quarantena mandare un alto ufficiale in persona sarebbe stato strano, ma era già successo al sito di contenimento 20-B e il superiore non sembrava essere stato nemmeno scalfito dal pensiero che il figlio ribelle potesse accidentalmente eliminarlo con uno sfogo cosmico incontrollato. O aveva preso le sue precauzioni, o era estremamente sicuro di ciò che faceva: di certo da Rain poteva aspettarsi di tutto.

    Sospirò.
    Tanto valeva prepararsi al peggio.


    NARRATO      «PARLATO»      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    line1

    ADDENDUM:
    STATO FISICO:Perfetto
    STATO MENTALE:...
    STATO CLOTH:Non Indossata. [V] Integra.
    RIASSUNTO:Volevo fare una scena tenerella con Exile, ma questa si è espansa fino a diventare una song-fic alla vecchia maniera.

    Non che mi dispiaccia


     
    Top
    .
  26.  
    .
    Avatar

    Seeker of Knowledge

    Group
    Black Saint
    Posts
    2,488
    Location
    Brescia - Modena

    Status
    ALIVE

    Guardian of the Sea → Energia Blu

    YOU CAN (NOT) UNDERSTAND

    VIII




    La porta del modulo scatta. Senti la voce prima di vederlo.

    Sei sveglio. Seguimi e niente domande. Devi essere aggiornato, prima.

    Rain non ti aspetta, camminando a passo sostenuto lungo il corridoio spoglio. Ti guida con sicurezza verso un ascensore attraverso la tipica struttura labirintica che caratterizza molte delle basi GRADO permanenti. È strano che non abbiate incontrato nessuno e ancora più strano che tuo padre si sia preso la briga di venire personalmente a prenderti. Due minuti dopo siete in un ufficio enorme dalle pareti di vetro, una splendida vista su un bosco di conifere puntellato parallelepipedi bianchi, chiaramente altri padiglioni della struttura.

    Sito di Sperimentazione 0-3. Se non ne hai mai sentito parlare, significa che sappiamo ancora fare il nostro lavoro. Siedi.

    Si accomoda dietro la scrivania, incrociando le mani davanti al viso in attesa che tu esegua l'ordine.

    Ti sei mosso bene al 5423. Secondo le aspettative. I risultati sono stati... parzialmente soddisfacenti. Il rapporto di Lichinga ha evidenziato un buon grado di adattabilità e una sufficiente - sebbene migliorabile - tendenza a seguire gli ordini di un superiore. Inutile dire che mi aspetto costanza in tal senso, dal Custode di Thule, soprattutto nell'immediato futuro.

    Fa scivolare verso di te un tablet, chiaramente intenzionato a non aggiungere nemmeno una parola prima che tu abbia letto a fondo il documento.

    Credenziali di accesso livello 9 inserite

    GRADO-5423

    Procedure di contenimento: l'ingresso principale è chiuso e mimetizzato per evitare intrusioni; sensori di movimento e telecamere fuori dall'area di accesso segnalano la presenza di soggetti estranei al sito GRADO più vicino (sito di addestramento GS-37); l'accesso da parte di personale GRADO è a discrezione del direttore del sito. Lo spettro elettromagnetico dell'anomalia viene rilevato costantemente da sei sensori appositi che corcondano l'ingresso e conseguentemente la tasca dimensionale dell'anomalia stessa.

    Descrizione: G-5423 è una tasca dimensionale puntiforme che si dilata al suo interno in un insieme di tunnel, rotaie e stazioni, interamente localizzata nella cittadina di Grójek in Polonia. L'aspetto è quello di una normale metropolitana di grandi dimensioni, compresi treni e strutture di supporto, ma totalmente priva di uscite o entrate a esclusione di quella principale.
    L'ingresso, una scala in cemento parzialmente fusa con l'asfalto del parcheggio, è stato scoperto nel seminterrato di un centro commerciale nel novembre 1999 durante dei lavori di ampliamento. Gli addetti ai lavori hanno notificato la comparsa delle scale alla ripresa dei lavori alle 8.00 a.m. ora locale. Due di loro si sono avventurati all'interno dell'anomalia scomparendovi per diverse ore. Sono stati recuperati il giorno dopo in stato confusionale da una Lambda, tutti gli operai sono stati sottoposti a trattamento con anamnestico e re-localizzati. Il centro commerciale è stato chiuso (copertura: ritrovamento di un deposito clandestino di scorie nucleari) e il piano interamente sigillato per impedire qualsiasi accesso non autorizzato.
    La scala è la replica esatta di uno degli accessi alla stazione Rockefeller Center di New York, da qui nominata G-5423-a. I vagoni e la stazione stessa sono stati identificati come copie esatte delle controparti in uso nel momento della comparsa dell'anomalia. La rete elettrica della struttura pare essere indipendente da quella locale o da altre fonti di energia. Le sole differenze erano la mancanza di altri accessi o vie d'uscita. I corridoi e le porte che nella stazione originale conducono all'esterno sono chiusi e virtualmente impraticabili. Qualsiasi tentativo di forzare o sfondare le porte è esitato in fallimento. L'utilizzo di armi a base cosmica ha dato gli stessi risultati.
    Ciascun binario era inizialmente chiuso ad anello -pur sviluppandosi apparentemente in linea retta- percorribile per circa 3km prima di tornare allo stesso binario dalla direzione opposta. In seguito, a intervalli irregolari, diversi scambi iniziato a comparire lungo la linea, sempre al di fuori delle aree sorvegliate. A oggi non esiste testimonianza visiva diretta dell'effettiva comparsa o della modifica di alcuna linea, dato che la videosorveglianza si è rivelata inutile, come se la metropolitana non riflettesse alcuno spettro luminoso catturabile dalle telecamere, similmente a quanto avviene con specifici controlli della radiazione luminosa da parte di cosmodotati. Seguendo tali scambi è possibile raggiungere nuove stazioni, anch'esse repliche di altre già esistenti, tra cui alcune fermate delle metrò di Madrid, Londra, Parigi, Roma, San Francisco, etc., tutte perfettamente congruenti alle contropati nel momento dell'attestata comparsa all'interno dell'anomalia.
    Le stazioni replicate dall'anomalia sono apparentemente in ordine casuale, ma la rete è coerente e percorribile da un estremo all'altro. Le stazioni sono collegate tra loro soltanto dai tracciati delle rotaie e nessuna di esse presenta uscite praticabili. I vagoni all'interno della rete non sono in movimento e ciascuna stazione presenta al suo interno o sui tracciati contigui soltanto i vagoni a essa appartenenti. I diversi tentativi di operare i vagoni e metterli in moto sono stati fallimentari.
    La struttura fisica dell'anomalia è estremamente sensibile alle interferenze elettromagnetiche, che possono essere modulate fino a far regredire la tasca dimensionale a uno spazio vuoto amorfo e virtualmente illimitato. Campi elettromagnetici di bassa intensità generano all'interno dell'anomalia alterazioni di diversa entità, quali sfasamenti temporali o spaziali oppure incongruenze percettive e stati alterati di coscienza.
    Tale caratteristica consente di mantenere l'anomalia sostanzialmente inattiva e inaccessibile al di fuori dei permessi concessi dal direttore del sito GS-37 o autorizzazione superiore.
    L'ambiente dell'anomalia è stato approvato come campo di prova per le reclute del GS-37 e per la sperimentazione di ulteriori anomalie, entro i limiti di sicurezza indicati nel protocollo 67.


    Ti sto mettendo al corrente di tutte queste informazioni riservate per evitare domande inutili che ci farebbero perdere ancora più tempo.
    Il tuo ultimo incarico non è mai stato un recupero. L'agente Jet, figura scelta unicamente per il suo legame con il vero oggetto della missione, non si è mai nemmeno avvicinato al sito in questione. I sei agenti entrati insieme a voi sono usciti meno di due minuti dopo il vostro ingresso. La scomparsa di Lichinga al momento giusto è stata più complicata da inscenare, così come la comparsa del casco, ma eravamo pronti a utilizzare metodi anche più complessi. E tu hai fatto la tua parte da bravo soldato, come previsto. Avevo preparato una serie di possibilità alternative, di vie sicure, ma tu hai semplicemente deciso di comportarti nella maniera a noi più conveniente fin da subito.


    Segue una lunga pausa. Ti osserva. Valuta le tue reazioni, ma non si scompone in alcun modo.

    Hai capito cosa intendo? Abbiamo organizzato ogni cosa, passo a passo, a partire dal 99290. Un gigantesco roleplay, uno dei più ambiziosi progetti di ricerca mai messi in atto dalla Fondazione.

    Tutto per lei.


    La sua voce quasi trema sull'ultima sillaba. A un suo cenno, una sezione della parete di vetro dietro la scrivania si opacizza diventando uno schermo completamente nero, prima di mostrare un'immagine.

    2Jws9E5

    È una ripresa in tempo reale, disturbata a intervalli regolari da qualche tipo di interferenza. Ogni pochi secondi una pulsazione luminosa biancastra cresce negli occhi spalancati della ragazza, causando pesanti distorsioni nel video.

    Tutta la fatica che abbiamo fatto serviva unicamente a indurre una serie di shock emotivi controllati, che costringessero l'agente "Exile" a manifestare una facoltà in lei latente, un potere in grado di separare particolari emanazioni energetiche dalla Realtà e sopprimerle, fino a cancellarle definitivamente.
    Per permetterti di comprendere le dimensioni del progetto, sappi che se avesse funzionato secondo i piani, in questo momento potremmo avere la definitiva soluzione al controllo di ogni tipo di anomalia. Ma il nostro successo è stato solo parziale.


    Stenti a riconoscere tuo padre nella rabbia che traspare da quelle ultime parole. Il suo tono si sta facendo sempre più aspro e i suoi lineamenti sempre più distanti dall'inespressiva maschera che lo caratterizza.

    Forse abbiamo sottovalutato il carico psicologico sul soggetto o la profondità del trauma pregresso. Purtroppo non c'è modo di attuare una completa valutazione. Siamo riusciti a indurle una sorta di coma farmacologico utilizzando soluzioni gassose inodori e incolori, dato che si è sbarazzata di tutto il resto con una facilità disarmante. Stando ai parametri vitali - quando riusciamo a rilevarli - possiamo mantenere lo status quo per qualche altra ora al massimo. I circuiti e le limitazioni che vedi sullo schermo la contengono a stento, anche in questa condizione. Se fosse completamente sveglia potrebbe tranquillamente annichilire parte della base con un solo pensiero.

    Ti vomita addosso tutte queste informazioni con una freddezza snervante, il tono aspro e carico di disprezzo.

    Ho ordinato l'evacuazione di emergenza di tutto il personale e il trasferimento dei materiali con classificazioni superiori a "Safe". Rimaniamo solo noi due.

    Ti fissa neglio occhi, alzandosi dalla sedia con un fare improvvisamente pacato, che non lascerebbe presagire nemmeno lontanamente il futuro nefasto che ti sta delineando a parole. Ora è molto più vicino al Rain che conosci.

    Una minaccia che non può essere contenuta in alcun modo va soppressa. E tu, per qualche motivo, sembri essere l'unico essere vivente o meno in grado di sopravvivere alla continua esposizione al suo potere.

    Credo che a questo punto tu possa intuire quali sono i tuoi ordini, agente Korin.


    6vgdAlI



    Note Master:

    :mke:

    Puoi fare tutte le domande del caso a me (o a Gendo eheh). Se vuoi inserire dialoghi che necessitano di botta/risposta come al solito ti fornisco risposte e reazioni di Rain. Puoi concludere il tuo post quando decidi cosa fare.

     
    Top
    .
25 replies since 29/1/2023, 17:35   1513 views
  Share  
.