The four armed Emperor

Wild Youth per Lymnades

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    Il Settore Antartico.

    Il meno popolato dei regni del Dio Imperatore, ma non per questo il meno operoso. Tante persone con molto da provare, oltre a vivere con la consapevolezza che ognuno di loro dovrà lavorare doppiamente per dimostrare di essere degni dell'Imperatore, vite intrise di fervore e devozione senza eguali.
    All'apparenza, almeno.
    Solo Poseidone è perfetto dopotutto, ed è nella natura degli umani che lo seguono di errare, ed è qui che tu e gente come te vi collocate; nella fine linea dove l'errore è legittimo e perdonabile e dove sfocia in abominevole eresia. E tu, lontano dai riflettori del pubblico, di cose abominevoli ne hai viste tante: Chaos, accenni di colpi di stato, intrighi politici, crimini di ogni genere sventati da chi ha giurato di lavorare nelle ombre a stanare il marciume insito nell'uomo affinché altri possano prosperare liberi e sicuri.
    Perché è la cosa giusta da fare.

    Gli inquisitori vengono visti col riguardo e il terrore dovuto a entità che hanno diritto di decidere vita e morte di chi passa sotto il loro scrutinio, una necessità per assicurarsi che l'umanità tutta perseveri sulla retta via tracciata dall'Imperatore. Avere paura di loro è ridondante, ostacolarli è eretico.

    Tu stai tornando a casa dopo una stancante giornata passata in ufficio. Chiamate, coordinare informatori e spie, mettere insieme tasselli di casi e vite che si intersecano in maniere non spesso prevedibili; molto poco succede nel Settore senza che voi lo sappiate.
    Molto spesso sono cose banali e trascurabili, crimini di poco conto o impressioni trascurabili, altre volte invece la situazione richiede l'intervento diretto di uno di voi.
    Domani hai un pedinamento da supervisionare, un possibile caso di eresia che coinvolge un nobile già sospettato di essere caduto tra le grinfie del Principe dell'Eccesso, uno spostamento ingente di fondi e risorse del quale è meglio assicurarsi personalmente.
    E' con questo pensiero che torni a casa, ma appena apri le porte ti rendi conto che le luci sono accese.

    Dal soggiorno proviene un gradevole odore di caffè, sul tavolino due tazze piene e fumanti disposte ai bordi, e dall'altra parte, seduto su un divano, una persona che conosci.

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    Mister Dale. Si sieda, per favore. Abbiamo molto di cui parlare.

     
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    Il briefing è appena concluso, e il personale amministrativo e gli accoliti interessati stanno uscendo ordinatamente dalla sala.
    « Una parola, Jenna. » Richiamo l'attenzione della ragazza, che smette di ordinare il rapporto che ha appena illustrato ai colleghi, si ferma sul posto e si volta verso di me. Posso vedere dalla fronte corruciata - è solo un attimo, è brava a dissimulare - che è agitata.
    Conosco la sensazione. Quando un superiore ti chiede di fermarti per solo una parola, raramente è solo quello. Le sorrido, nessun richiamo o appunto, questa volta.
    « Ottimo lavoro. Se è davvero vittima di Slaanesh lo prenderemo. » E annuisco, guardando la sua espressione sciogliersi e la sua bocca faticare ad articolare un ringraziamento.
    « Io... grazie. È un onore tenere l'Impero al sicuro. » E resta ferma, in dubbio se mettersi sull'attenti o se congedarsi.

    Io non ho fretta. È anche in questi momenti di sospensione, di indecisione, che riesco a valutare la tempra di chi mi circonda. Jenna è brava, ha fiuto e intuito, ma spesso si sottovaluta e per timidezza non riesce a imporre la sua idea agli altri accoliti, giusta o sbagliata che sia. Molto adatta per il lavoro di ufficio, un mastino nell'analisi di reperti, di materiale forense o audio e video.
    Decisamente inefficace nel lavoro sotto copertura. Ho ancora una cicatrice da taglio sull'avambraccio, da quella volta in cui non ha estratto il bolter e premuto il grilletto abbastanza in fretta, contro un eretico che mi aveva preso di sorpresa.
    Da allora non l'ho più mandata sul campo. Sono passati due anni, ora che ci penso, e sono cambiate tante cose. Abbiamo perso molti uomini, ne abbiamo addestrati altrettanti, abbiamo sventato crimini e giustiziato fin troppi eretici. Forse si è meritata un'altra occasione, penso. Lei di nuovo sul campo per coronare il successo di un'indagine che ha condotto in gran parte da sola, io ad affiancarla, una scusa come un'altra per uscire da questi uffici, di nuovo nelle strade del settore Antartico.
    So che è un caso delicato. Ma, penso, entrambi ne abbiamo bisogno, io e Jenna.

    Ha ricominciato a mettere in ordine il suo dossier, per poi infilarlo nella borsa.
    « Cerca di dormire stasera, Jenna. Iniziamo presto, domattina. Ti voglio alle cinque sul tetto di fronte alla casa del sospettato. Voglio sapere il momento esatto in cui inizia a muoversi. » Jenna si è di nuovo fermata, posando la borsa sul tavolo con un tonfo che non è riuscita a evitare.
    « Agli ordini, inquisitore Cooper. » Non balbetta, questa volta. Nei suoi occhi una luce strana, quella di chi finalmente si sente riconosciuta per il suo lavoro. Certo, non sarà impiegata direttamente nel pedinamento, ma dovrà dare il via all'intera operazione, osservando dall'alto gli spostamenti. La congedo con un cenno del capo, e rimango ancora qualche minuto, da solo, all'interno della sala briefing.
    Sullo schermo c'è ancora la foto del sospettato. Un uomo potente, un nobile, uno che ha i fondi e i servitori sufficienti a coprire qualsiasi movimento. O meglio, e scruto la diapositiva come se potesse parlarmi, quasi ogni movimento.
    Perché all'Inquisizione non si può sfuggire per sempre. E i nostri occhi sono da sempre più attenti con chi è insospettabile, con i figli prediletti di Atlantide, con chi non dovrebbe cadere in tentazione. E che, regolarmente, lo fa.

    Gli occhi neri del sospettato, in una foto scattata di nascosto a una cena di gala, quasi guardano l'obiettivo. Quasi guardano me.
    Forse lo sa, penso. Forse sa che osserviamo ogni suo movimento da mesi, che deve stare attento, che il cappio si sta stringendo attorno al suo collo. O forse è spavaldo, forse il Chaos ha annebbiato la sua mente, e sta giocando con noi. O forse è innocente.
    L'operazione di domani mi darà le risposte che cerco. Spengo lo schermo, ma rimango a osservare i puntini luminosi residui. Dovrei tornare a casa e seguire il consiglio che ho dato a Jenna, prendermi qualche ora di riposo, leggere un libro, restare in pantofole.
    Per quanto sia uno stereotipo, questa è casa mia. Negli ultimi dieci anni ho vissuto in questi uffici o per strada, e spesso, rincasando, faccio un giro innaturalmente lungo, come fossi di pattuglia.
    Mi alzo dalla sedia, imbocco l'uscita della sala briefing, percorro i lunghi e labirintici corridoi dell'Inquisizione ed esco dall'edificio, totalmente dissimulato nell'architettura atlantidea, come fosse una normale azienda. Il vento gelido della sera mi agita il cappotto.

    Camminare per il settore mi ha sempre dato una sensazione di calma.
    Certo, conosco meglio di molti altri ciò che si nasconde sotto la superficie, il male che si agita e che non dorme mai, ma vedere le coppie mano nella mano, i padri e le madri di famiglia che tornano a casa dopo aver lavorato per l'Impero, le ronde dei cadetti... mi dà speranza.
    Mi ricorda che quello che vedo nel mio lavoro non è che una sparuta minoranza, che i crimini e le denunce sono stabilmente in calo, anche dopo il ritiro a vita privata del Primarca Mikael Taylor. Che forse i nostri sforzi non sono vani.
    Nessuno si ferma a guardarmi mentre cammino per le strade larghe e ben illuminate: meglio così. Del resto, voglio e devo essere invisibile. Guardo chi cena nei ristoranti oltre le vetrine, osservo gli esercizi commerciali che chiudono, scruto chi passeggia come me sui marciapiedi. Ma nessuno incrocia lo sguardo.
    Il protocollo richiede che gli Inquisitori che lavorano sotto copertura non appaiano mai in pubblico come tali, che non si facciano fotografare e riprendere nelle occasioni speciali, ancor meno in uniforme. Non ho mai partecipato a nessuna parata o a nessun evento pubblico, se non tra la folla in festa. Non ho un profilo Fishbook, i miei dati non sono nei registri pubblici ma solo in quelli a disposizione dell'Inquisizione e dello stesso Primarca.
    A tutti gli effetti, Philip Dale Cooper non esiste.

    Certo, non sempre fa piacere non esistere.
    Sono umano. A volte, oltre le vetrine, vedo una bellissima donna che cena da sola. Se esistessi, potrei entrare nel ristorante, fare qualche battuta di spirito, offrirle da bere e poi sedermi con lei. Parlare di gossip nobiliare, farle vedere le foto dei miei cani, tornare con lei a casa. Se esistessi.
    Ma non ho un'identità, non ho cani, e a stento ho una casa.
    Questa casa fatiscente, in un quartiere popolare, col giardino infestato di erbacce e da scatoloni del trasloco mai buttati. Una casa così bella, che spreco. Ci si potrebbero fare tante cose. Ci potrebbe vivere una famiglia con dei bambini, era stata progettata per quello. E invece appartiene a un uomo che non esiste, a uno scultore di ghiaccio antartico e oricalco che si chiama Marcus Warren. Un'artista, uno eccentrico, che fa orari irregolari, che ha poco tempo per i convenevoli con i vicini, che può mancare da casa per giorni interi, in visita a un'importante mostra d'arte in un altro settore.
    Il mio alter-ego, uno dei tanti; uno che, lo so, abbandonerò a breve, per diventare qualcun altro.

    Non mi sono mai preso la briga di mettermi comodo.
    Non ho mai arredato se non il minimo indispensabile, non ho appeso poster alle pareti - anche se ne vorrei uno della Primarca Johanna Derham. Ho quello che mi ha fornito l'Inquisizione e poco altro: un divano, un tavolo, delle sedie, un letto, una cucina poco attrezzata. Tende alle finestre che coprono la vista da fuori ma non da dentro.
    Le tende sono abbassate, mentre mi avvicino a casa. Ma qualcosa non torna, me ne accorgo subito. La luce che le oltrepassa è come una ferita nel buio. Sono certo di non averle lasciate accese: sono parecchio attento e meticoloso. Lascio raramente che il mio corpo agisca solo per memoria muscolare.
    Non vedo ombre muoversi dall'interno, ma non posso fermarmi o cambiare strada. Se qualcuno sa che Philip Dale Cooper, un inquisitore, abita lì dentro, e lo sta aspettando, vuol dire che con tutta probabilità sta sorvegliando anche l'esterno. Non posso metterli in allarme. Devo agire come se loro non ci fossero. Se deve esserci una colluttazione, meglio che avvenga tra quattro mura, piuttosto che all'esterno, dove dei civili possono essere coinvolti.
    Mi concentro, cercando di sondare una qualsiasi traccia cosmica. Non rilevo nulla. Mi mordo il labbro inferiore, e imbocco il vialetto di ingresso.

    Inserisco la chiave nella toppa, senza provare nemmeno a celare il rumore.
    Non posso voltarmi, non posso guardare sui tetti, anche se la nuca mi solletica come se avessi puntati addosso mille sguardi e mille mirini in contemporanea. Apro la porta d'ingresso, e mi sfugge un sussulto.
    Ciò che vedo è più inaspettato di un'orgia di eretici sul mio divano. Seduto placidamente sul divano scomodo e dimesso, con davanti a sé due tazze di caffè fumante, c'è Lord Shinsuke Harada. Probabilmente uno dei più importanti uomini del Settore Antartico è nel mio salotto. Mi chiudo la porta dietro le spalle, poi mi abbasso in un inchino.
    L'esecutore di Iku-Turso, colui che si occupa dei rapporti tra Inquisizione e Primarca, con l'autorità di attivare l'Officio Assassinorum. L'uomo probabilmente più vicino all'ex Primarca Mikael Taylor.
    Controllo le mie emozioni, anche se vorrei rimanere nell'inchino altre due ore, solo per riprendermi dallo shock. Certo, siamo già stati nella stessa stanza in passato, ma riguardava l'Inquisizione e non eravamo mai soli. Oggi sì, oggi è diverso.

    Un brivido mi sale lungo la schiena senza che riesca a controllarlo.
    Dunque è questo quello che provano i normali sudditi quando scorgono un accolito o un inquisitore. Visto che si è già messo comodo e che controlla la conversazione, non mi rimane che giocare secondo le sue regole. Mi siedo, come dice, sulla mia poltrona, sapendo che non è cortesia ma un ordine. So che non si tratta di una visita di piacere, e dubito di poter abbandonare la rigida etichetta gerarchica imperiale, anche se sono in casa mia.
    « Certo, Maestro d'Armi. » Uno dei suoi numerosi titoli. Il mio sguardo si perde nella tazza di caffè. Non mi è mai piaciuta come bevanda, lo bevo raramente e solo con almeno tre cucchiaini di zucchero. Sono certo che lo sappia; io lo saprei, se fossi nella sua posizione.
    Vorrei perdermi in convenevoli ammirati, riempirlo di onore come si merita, ma non mi esce neanche una sillaba: forse è meglio così per entrambi. Siamo due professionisti nel nostro campo, e sappiamo entrambi che abbiamo molto di cui parlare è mille volte peggio di solo una parola. Vuol dire che c'è di mezzo la vita di qualcuno, forse la mia, e che è argomento urgente.
    Mi metto più comodo che posso vista la situazione, senza più degnare di uno sguardo il caffè, ma solo il mio interlocutore.

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    « Come posso essere utile al nostro glorioso Impero? »
    La mia voce è quella salda di un suddito fedele.
    « Avete la mia completa attenzione. »

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    Energia ~ Viola.
    Cloth ~ Non ottenuta.
    Condizioni ~ Gasp in spanish (inquisition).
    Abilità ~ Not yet.
    Tecniche ~ /
    Riassunto ~ Questi contano come staordinari.


    Edited by Wild Youth - 12/10/2022, 12:50
     
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    CRIMSON DEFILER

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    Gli occhi di Shinsuke sono poco più di una fessura, da cui stracolma l'azzurro dei suoi occhi interrotto dal nero della pupilla. Due attimi di colore, uno di nero. Una azzeccata metafora che può indicare la vita in quel settore. In mezzo a quel bell'azzurro che è la vita sotto la gloria di Atlantide, c'è un buco attorno cui tutti quanti devono danzare continuamente e stare attenti a non sprofondarci. Shinsuke è molto probabilmente conscio dell'effetto che hanno i suoi sguardi ed i suoi sorrisi. Lo hai visto non sorridere un paio di volte, forse, durante la tua carriera. Quelle erano senza dubbio delle situazioni.
    Dall'ampia manica della sua veste bianca - gli piace che la gente lo veda arrivare - sfila un grosso fascicolo. Nelle sfere più alte dell'inquisizione si usa ancora la carta per certi documenti, ha peso, non può essere manomessa in modo che gli strumenti a loro disposizione non possano rilevarlo, può essere distrutta rapidamente. C'è il tuo nome su quel fascicolo. Shinsuke incrocia le gambe e appoggia il fascicolo sul ginocchio, sfogliandolo con fare quasi distratto.

    Innanzitutto volevo congratularmi con lei per l'ottimo lavoro svolto fino ad ora. Esemplare quasi. Qualcuno potrebbe dire perfetto ma io e lei sappiamo bene che in questi ambienti la perfezione è un eccesso pericoloso. - La ricerca ossessiva della perfezione è dopotutto una delle trappole del principe dell'eccesso. - L'importante è fare quanto basta e come basta. A noi piacciono lavori fatti bene il giusto, non poco bene o troppo bene. Concorda vero?

    Prima ancora che tu possa parlare gira ancora qualche pagina in modo molto rumoroso. Quasi fastidioso, con tanto di sfregare della carta sulla stoffa della sua veste. L'incubo di un archivista. Probabilmente quel fascicolo contiene cose che nemmeno sai di te stesso, dopotutto per essere nella posizione in cui sei ti sei sottoposto volontariamente - come prerequisito - a profondi scan mentali. Tra quelle pagine c'è probabilmente anche il colore del tuo primo ciuccio. Il tuo essere in questa linea di lavoro da un po' ti rende chiaro che tutto quello sfrush e sfrash non ha un vero scopo se non chiarire come primissima cosa chi dei due tenga il guinzaglio di chi. Il che è normale, una struttura salda e accettata da entrambe le parti è solida.

    Shinsuke schiocca la lingua, commentando con un "huh" ad un particolare e sconosciuto punto del fascicolo, per poi appoggiarlo con uno schiocco sul tavolo. -Passiamo agli affari. Un lavoro che non esiste per una persona che non esiste. - Si adagia sullo schienale e incrocia le mani sul ginocchio accavallato.

    Quello che ci differenzia dagli altri schieramenti """""buoni"""", Mister Dale, è che siamo consapevoli del costante volume di minacce che affrontiamo costantemente. Da fuori e da dentro. Quella che potrebbe essere definita come paranoia dai profani è stata più e più volte confermata in un modo o nell'altro. Per alcune minacce, ci sono i Primarchi, che se solo volessero potrebbero distruggere un intero settore in pochi giorni da soli - Un momento di pausa.

    Per altre, ci siamo noi. Ci svegliamo, timbriamo il cartellino, cancelliamo problemi prima che diventino tali per i sopracitati, timbriamo, andiamo a dormire. - Sfila qualcosa dal taschino sul petto, un foglietto di carta e lo appoggia sul tavolo, tra voi due. Non un foglietto, una foto.

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    Wakey wakey, it's time for work.

     
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2 replies since 19/9/2022, 15:59   277 views
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