Operation Stone Axe

Custode di Thule/Alexer/Blue Warrior lvl 4 --> lvl 5

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    DIPARTIMENTO [XXXXX XX XXXXX XX]


    DESIGNAZIONE: 92342

    CLASSE LIVELLO DI SICUREZZA: 3/7

    CONTENIMENTO: Perimetro di sicurezza in azione. Quarantena aerea e terrestre valida sia per personale civile che militare. Monitoraggio aereo lungo la linea di margine tramite droni, aggiornamenti ogni trentasei ore.

    DESCRIZIONE: Area estremamente densa di attività corrotte. Si registra una quasi totale assenza di fauna locale. La vegetazione sembra non presentare particolari mutazioni. Sebbene l'aria sia praticamente infestata da elementi corrotti, questi ultimi non sembrano tentare di infrangere il perimetro, concentrandosi in vari punti nevralgici indicati nella mappa allegata a questo documento (allegato 8123\b).

    Report 25/07/20XX:
    La sorveglianza tramite droni è riuscita a localizzare quelli che sembrerebbero linee di fumo durante il giorno e deboli fonti luminose durante la notte. Questi fenomeni sembrano aumentare di frequenza a cadenza settimanale. Richiesta squadra di ricognizione per spedizione all'interno del perimetro.



    Log 902564:

    Richiesta negata. La zona e troppo pericolosa per una o più squadre di ricognizione, nel migliore dei casi la situazione sfocerebbe in uno spreco di risorse senza senso. Ciononostante non possiamo ignorare i recenti sviluppi, e lasciare la situazione a se stessa potrebbe avere effetti disastrosi.
    Per questo l'amministrazione ha deciso di sinergizzare questo particolare evento con il percorso di aggiornamento del nostro Blue Warrior, all'anagrafe Longwei Gao. L'Armatura èal momento sotto le cure del reparto R&D per il processo di Upgrade, mentre la componente umana non è ancora stata occupata con il test complementare.
    Useremo l'attuale situazione di 92342 come campo di prova delle capacità psicofisiche del ragazzo. Dopo la battitura di questo log verrà comunicato al signor Gao di prepararsi per la missione. L'inizio dell'operazione è programmato per le ore 0600 del giorno XXXXXX.


    Eh beh, si inizia.
    Il dipartimento ti sta mandando in una zona sotto quarantena sorvegliata a causa di irregolarità localizzate nel perimetro, così invece di mandare una squadra intera hanno deciso di massimizzare il fattore stealth mandando solo te senza cloth ma con equipaggiamento consono alla situazione.

    COMMENCING VIRTUOUS MISSION
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

    Operation stone axe
    - Chapter I -



    «Agenti, due minuti all’arrivo.»
    La voce del pilota richiamò il custode dal mondo dei sogni. Non stava dormendo, quello era impossibile, ma cercava di assaporare un riposo delle membra prima della grande missione. Erano forse appena passate le 5 del mattino, orario solito del cambio della guardia, ma lui era già in piedi da un pezzo. Diamine, non si ricordava nemmeno di quando era solo un operatore semplice e le sei ore di sonno erano più o meno garantite. Da quando aveva imbracciato una steel cloth il ritmo sonno veglia era andato a farsi benedire. Si poteva venir richiamati all’ordine in ogni momento e venire sballottati da un capo all’altro del mondo senza preavviso. Il tempo di trasporto era l’unico attimo di pace garantito per assurdo. Non che si potesse far altro nei camion o aerei militari se non chiedersi se si sarebbe stati presenti al viaggio di ritorno.

    A parte le rumorose eliche del Bell 212 modificato e il suo assordante motore si poteva udire poco altro nel retro del mezzo. Una debole luce rossa illuminava l’interno riflettendosi sui visi, sulle armature e sulle armi. O meglio, lo avrebbe fatto se Korin non fosse stato il solo armato lì dentro. Con lui c’erano un paio di scienziati che avrebbero dovuto dare il cambio a quelli presenti all’area di contenimento e un medico che avrebbero dovuto supportare lui nella missione che stava per affrontare. Una missione in solitaria per la Grado; diamine, fino a pochi mesi prima non sapeva nemmeno esistessero mentre in poche settimane era sopravvissuto a una e stava avviandosi verso la seconda. Da quando l’avevano spedito in pianta stabile a Rodorio sembrava che le missioni in solitaria fossero la norma. Non le sopportava. I santi avevano sempre agito così, si doveva adeguare, eppure non riusciva a placare il suo animo avventurandosi da solo per foreste, mari, laghi, deserti. Non c’era un supporto morale, un comandante a cui chiedere consiglio, un sottoposto per cui bisognava essere forti. Bisognava ricordarsi da soli il motivo per cui si stava soffrendo, il perché ci si stesse perdendo nel nulla. Per il bene superiore. Combatti al servizio di qualcosa di più grande, qualcosa di meglio per coloro che verranno dopo di te.
    Essenzialmente ogni giorno decine di persone morivano per quella che poteva anche essere un’utopia.
    Bella merda.


    Incrociò lo sguardo con qualcuno degli scienziati mentre altri erano assorti nel controllare questo o quell’altro dato sul loro palmare. La sua sanità fisica e mentale dipendeva da loro per quella missione e loro dipendevano da lui per recuperare informazioni sugli strani avvenimenti di GRADO-92342. Linee di fumo nel cielo di giorno e luci nella notte, falò praticamente. Oltre che a scaldarsi però a cosa servivano dei falò accesi? Soprattutto cosa alimentava quel fuoco, sempre che di vero fuoco si trattasse? I droni non avevano rivelato mutazioni nella flora, né diminuzione della stessa, quindi non potevano star bruciando alberi, no?
    Che fosse lava che stava eruttando dal cuore della terra? Mah, avrebbe già bruciato tutto se fosse un vulcano di quella portata. No, era meglio non farsi seghe mentali su cosa potesse essere ben prima di toccare terra.

    Ma Korin si fidava davvero di quei camici bianchi perché gli guardassero le spalle? Sì e no. Se quelle teste erano nella Fondazione sapevano il fatto loro, eppure trovava molto più confortevole la mano di un nemico attorno al proprio collo che i loro apparecchi attaccati ad ogni parte del suo corpo. Si sentiva deumanizzato quando passava sotto le loro cure, quasi fosse solo una cavia da laboratorio. Nonostante tutti gli esami fatti provava ribrezzo al trovarsi nudo di fronte a loro. Si chiedeva se vedessero in lui un oggetto, un uomo, o più probabilmente un mostro. Non aveva le loro conoscenze su quei termini aulici che cavavano fuori ogni tre per due, né si fidava poi troppo delle loro parole. Era quasi convinto che facessero buon viso a cattivo gioco nascondendo chissà quali informazioni su un qualche virus letale che portava con sé.
    Aveva passato tutta la settimana precedente così mentre loro controllavano e ricontrollavano il suo corpo per eventuali problemi, la sua mente per intrusioni e ipnosi non autorizzate e sanavano la sua anima da qualsivoglia cosa il nero potesse avergli instillato. E non avevano trovato niente. Non c’erano sigilli strani, non c’erano insetti sottopelle, non c’erano mutazioni particolari. Avevano rilevato anche loro un puzzo caotico che avvolgeva la sua figura, sentore che però non aveva origine predefinita e che scemava con il passare delle ore fino a scomparire del tutto. Stando ai loro esami, il nero non gli aveva fatto niente.
    Cosa voleva ottenere? Qual era lo scopo per cui aveva lasciato andare quello che per lui era a tutti gli effetti un nemico? Perché invece di lasciarlo morire nella mortale terra blu l’aveva curato e riportato indietro?
    Un giorno capirai. Quella frase gli martellava il cervello facendogli temere il peggio.
    Aveva fatto rapporto spiattellando ogni cosa ai superiori. Aveva detto loro dell’incontro, del sigilli, del nero, dell’allieva, del cambio dimensionale, dello scontro, dei poteri subiti, di come l’armatura era andata in frantumi, delle illusioni mostrategli, dell’invito a tornare. Tutto. Aveva detto loro tutto, come un buon cane fedele doveva fare. Indagheremo era stato il loro lapidario congedo e nulla più.
    Gli avevano requisito l’armatura, con un velato disprezzo riguardo le pietose condizioni in cui lui l’aveva ridotta, affidandola a mani più sicure delle sue. Speravano che studiandola potessero capire come renderla più resistente contro ciò che l’aveva distrutta o meglio adattare il suo livello cosmico a quello del suo incauto portatore.

    Eppure Korin continuava a vagliare quel giorno, come alla ricerca di quel particolare che non aveva notato prima, quel pezzo di puzzle che incastrato al posto giusto avrebbe rivelato un disegno più grande. Ed era per quello che l’avevano subito reclutato per un'altra missione. L’avevano spacciato come qualcosa di simile ad un test psicofisico per calibrare meglio l’armatura, non aveva capito bene e nemmeno gli importava. Forse era solo una balla per tenerlo impegnato e non avere pesi morti. Un test di sincronia in fondo non necessitava un collegamento diretto tra armatura e utilizzatore?
    Bah, non voleva, anzi non poteva mettere becco nelle decisioni dei superiori. Lui obbediva e basta, abbassava la testa e andava avanti per la strada indicatagli.

    Un breve scossone fece intuire al gruppo di essere atterrati ed infatti ad esso seguì un movimento sempre più lento delle pale e il cambio della luce rossa in una verde. Era il via libera all’uscita. Aperti gli sportelloni ci si trovava davanti un enorme muro di energia bluastra intervallato qua e là da pali neri che la emettevano collegandosi l’un l’altro fino a formare il perimetro dell’area di contenimento. Tutto attorno al confine erano piazzati dei macchinari per monitorare chissà che cosa, con tende e prefabbricati accanto ad ognuno di essi. I più grandi dovevano agire da dormitori. Erano basi temporanee per il momento, ma potevano trasformarsi in qualcosa di più permanente a seconda dei risultati delle settimane a venire e delle sue indagini. Il Bell 212 fu subito raggiunto da una pattuglia di guardia che aiutò gli scienziati a scendere indirizzandoli alla struttura a loro necessaria. Korin li lasciò passare mentre recuperava dalla piccola stiva nascosta tutto l’equipaggiamento che gli avevano preparato per la missione. Non era completo, gli avevano detto, alcuni pezzi li avrebbe reperiti in loco da tale dottor Pufferskin alias di Syrus Kishitani, scienziato capo del progetto di ricerca di quella particolare anomalia, assieme al suo vice un tale Tenente Viktor Rajeev nome in codice Garynja che invece dirigeva il reparto militare.

    Aveva già indosso una tuta mimetica, una sottospecie di steel cloth leggera che aderiva ai vestiti, che garantiva una protezione simile alle steel cloth d’assalto, ma lasciando molta più manovrabilità e mobilità. Recuperò un piccolo ILBE, uno zaino speciale che modulava automaticamente la distribuzione del proprio peso, al quale era attaccato un SA80 modificato, un fucile d’assalto pronto a sparare cartucce paralizzanti e spirituali, sebbene delle seconde ne avesse giusto un paio, più per precauzione che uso effettivo. Lo zaino conteneva risorse per 48 ore di missione, un paio di bendaggi e medicinali per il primo soccorso, una tasca con un razzo di segnalazione e un paio di granate fumogene cosmiche. A lato pendeva il casco protettivo che avrebbe indossato prima di avventurarsi nel perimetro.

    Scese dal velivolo facendo segno al pilota che poteva ripartire appena tutti si fossero allontanati dall’area e seguì le istruzioni dei soldati che lo accompagnarono in una tenda scura marcata dal simbolo della Fondazione.
    «Noi richiediamo una squadra di ricognizione e loro ci mandano un ragazzino in prova. Bah. Questa decisione è assolutamente insensata.»
    «Non un semplice ragazzino Viktor, il custode di Thule, l’erede spirituale di Alman in persona!»
    «Sempre un ragazzino in prova rimane, Syrus. Facevo meglio ad andare io a sto punto.»
    «Sciocchezze. Per iniziare tu non hai risvegliato il cosmo. Avresti qualcosa come una chance del… 0.06% là dentro. E sono stato generoso.»
    «E sentiamo Einstein, quante possibilità avrebbe un bambino cosmico senza armatura?»
    «Parliamo di un valore compreso tra… oh eccolo che arriva! Benvenuto custode, piacere di conoscerla.»
    L’ingresso non era stato dei migliori. Il tenente lo osservava appostato su di una sedia, il braccio appoggiato su un tavolino e con la mano in fronte, disperato. Aveva gli occhi lucidi di chi non ha dormito un’intera notte. Dall’altra parte del tavolo, accompagnato da fin troppi caffè c’era lo scienziato capo, un’espressione ebete ed entusiasta sul volto. Erano disposti attorno ad un tavolo elettronico su cui apparivano video e rapporti della situazione del perimetro in tempo reale. Al centro era già disposta una mappa in scala dell’area con un punto rosso luminoso e pulsante appena all’esterno. Non serviva un genio a capire che era un tracciatore all’opera.
    «Immagino tu sia già stato informato di tutto, vero? Beh, non importa, il comandante musone qua ti farà un aggiornamento mentre ti diamo il necessario. Vado a prenderlo.»
    Non era stato nemmeno possibile interromperlo che lo scienziato si era già catapultato presso un’altra struttura per ritornare in compagnia di altri suoi simili, ognuno armato di una apparecchiatura diversa con il solo scopo di addobbarlo nemmeno fosse un albero di natale.
    Il tenente fece un gran sospiro prima di iniziare ad esporre indicandogli la mappa per dei riferimenti grafici: «Quest’area è soggetta ad una concentrazione particolarmente alta e stabile di corruzione che ha depennato dall’esistenza qualunque forma di vita animale. Nonostante il loro numero non abbiamo mai avuto problemi di assalti al perimetro. Quei corrotti adorano la loro oasi e non intendono lasciarla. Abbiamo rapporti di punti di concentrazione elevata qui, qui e qui, con altre minori sparse ovunque. Per quel poco che vediamo tramite i droni la flora locale invece è immune a qualsiasi tipo di mutazione corruttiva. Il motivo per cui tu sei qui è per degli strani fenomeni che hanno iniziato ad apparire da diverse» «sei» «settimane a questa parte. I droni rilevano strisce di fumo di giorno e luci di notte. All’inizio era una, poi due, tre e ora ci ritroviamo invasi da almeno una ventina» «Ventisette per essere precisi.» «di questi focolai. Il tuo scopo è entrare, vedere di che si tratta, riferircelo e smammare. Possibilmente senza attirare attenzioni indesiderate.»
    «Missione stealth quindi.»
    Il graduato lo guardò aspettandosi una risata finta come nei peggior film comici, ma visto che questa non arrivava decise di puntualizzare: «Ovviamente.»
    Già, ci mancava solo che il ragazzino caricasse a muso duro facendo brillare i suoi poteri a destra e manca per attirare a sé tutti i problemi di quell’area e schiattarci come se nulla fosse. Giurò che se lo avesse fatto non sarebbe corso in suo aiuto. Un’idiozia tale meritava di venire sepolta viva.
    «Sarà fatto signori.» «Siamo i committenti, ma non servono questi formalismi… et voilà.» Korin si ritrovò un auricolare all’orecchio destro collegato con un microfono che si estendeva fin davanti alla bocca e il tutto era poi collegato ad una scatola attaccata alla cintura e nascosta tra sé e lo zaino che fungeva da trasmettitore e geolocalizzatore. La loro presenza veniva mascherata da una JSGPM una maschera multifunzione che copriva il viso proteggendolo da calore e agenti tossici vari. La visiera poteva dare informazioni sullo status del proprio equipaggiamento e poteva fungere da zoom collegandosi direttamente alla telecamera piantata sull’elmo. La telecamera poteva scambiare tra varie funzioni compreso l’assetto da visore termico e notturno. Sul polso sinistro invece si trovava un piccolo portatile atto a scannerizzare gli agenti chimici presenti nell’aria e nei liquidi e a fornire informazioni sempre aggiornate sulla piantina. Insomma, lo si stava preparando a qualunque possibilità. Era un bene poter essere pronti a tutto, ma era terrificante non avere maggiori dati sul mostro che si andava ad affrontare.
    «Prova prova a e i o u. Mi senti bene Longwei?» «Korin. Un volume più contenuto non mi dispiacerebbe signore.» «Troppo alto? Secondo me funziona meglio per ciò che potresti udire lì dentro.» «Ammesso che tu non lo assordi prima. Abbassaglielo.»
    Quei due erano una coppia particolare, a metà tra l’amarsi l’un l’altro e il saltarsi addosso a vicenda appena si ci girava. Non proprio la coppia che ispirava fiducia.
    «Pronto soldato?»
    «Si signore.»
    «Buona fortuna allora…. Ne avrai bisogno.»

    Ore 0600 del giorno ██/██/████. Il sole aveva appena fatto capolino all’orizzonte iniziando ad illuminare appena il paesaggio per dare inizio ad una nuova alba. I soldati di guardia erano schierati, gli scienziati tutti ai loro posti. L’operazione Stone Axe poteva avere inizio. Un frammento del muro energetico fu interrotto per quel singolo secondo necessario a far passare oltre Korin, prima di essere riattivato sigillando la bestia cosmica con altre bestie sue pari.

    Lo scarpone militare colpì l’erba ricca di rugiada e il suolo duro. Volevano una missione stealth? L’avrebbero avuta. Era un peccato non poter preparare una difesa di sigilli attorno alla propria armatura, ma questo avrebbe di certo attirato attenzioni indesiderate. No, doveva avanzare come nulla fosse, quietando al minimo la scintilla di cosmo che covava in corpo, cercando di passare inosservato, nascondendosi dietro agli alberi e abbassandosi fra la vegetazione.
    Fu così che con passo misurato il custode di Thule si avviò verso l’ignoto.


    Statistiche

    Stato Fisico: Perfetto, leggermente stanco.

    Stato Mentale: In guardia.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata.

    Riassunto: Niente di speciale. Descrivo l’arrivo al campo, la preparazione e l’effettiva entrata nella tana del lupo.


     
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    Capitano XXXX

    Pacchetto consegnato. Inizio interfaccia monitoraggio del soggetto e del sito 92342.



    XX/XX/XXXX

    Report 1

    Sulla base degli studi precedenti, la zona più esterna sembra non aver mostrato cambiamenti sostanziali. I campioni analizzati sul campo sono risultati praticamente invariati dai campioni di prova prelevati al di fuori della linea di contenimento. Ciononostante si consiglia di evitare di abbassare il livello di sicurezza della zona.

    Report 4

    Campioni di acqua leggermente anomali. Consistenti tracce di agenti chimici di natura biologica XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX. Si sospetta la presenza di carne putrefatta nei luoghi di prelevamento del campione.

    Report 15

    Analisi dei sintomi del soggetto denominato 034 conferma un acuto avvelenamento da piombo. Si consiglia la massima discrezione e attenzione nell'usufruire di cibo e acqua trovati nella zona in quarantena, oltre alla sospensione momentanea dell'avanzamento dell'agente Longwei Gao verso i punti focali di attività corrotta.


    Log 27492.
    La direttiva del Custode non verrà cambiata. L'unica cosa che possiamo autorizzare è un rallentamento relativo sulla tabella di marcia, abbastanza da permettere al ragazzo di ambientarsi e catalogare più informazioni possibili. Inoltre siamo stati messi al corrente dei log di comunicazione tra il campo base e Longwei Gao. Per quanto possa essere interessante l'aver trovato e analizzato un esemplare di leonberg nella zona isolata, l'uso eccessivo delle comunicazioni radio è sconsigliato. Non sappiamo al cento per cento quanto siano sicure le frequenze, e per il bene del ragazzo non siamo disposti a testare la fortuna.



    Evviva, l'avanzata inizia.

    I log sono abbastanza vaghi da lasciare libera la tua interpretazione della situazione, fai come vuoi e soprattutto divertiti!
     
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    Sacro Custode delle P.R.

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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

    Operation stone axe
    - Chapter II -



    Qualche passo oltre la barriera e già sembrava di essere in un'altra dimensione. L’organizzazione operata dal continuo passaggio degli addetti fuori dalla zona di contenimento rendevano l’area pulita e ordinata. Oltre la protezione al contrario vigeva solo il caos o l’ordine imperscrutabile voluto da madre Gea. Fare un passo in quel mondo significava calpestare erba che mai aveva sentito la pressione di un uomo in piena armatura, respirare arie incontaminate dai gas chimici e vivere lontano da ogni forma di tecnologia. La presenza di Korin stonava pesantemente in quel mondo; era un alieno, un mostro.
    L’agente fu immediatamente avvolto da diverse sensazioni, tutte in conflitto fra loro. Da una parte c’era una nube di paura e mistero, portata dalla missione precedente, quella in cui la cloth era stata distrutta, e che era partita nello stesso identico modo. Anche in Vietnam vagava da solo, seguito da un contatto radio e geolocalizzato in una selva naturale incontaminata. C’era quasi da temere un nuovo incontro con il nero ammesso che egli avesse voluto divertirsi a rendere imprevedibile un’altra parte di mondo. L’unica cosa rassicurante era il non aver trovato alcun sigillo a terra per il momento. L’unica differenza era che la selva vietnamita si comportava in maniera assurda rigirandosi su se stessa in forme bizzarre e del tutto innaturali. D’altro canto una sorta di familiarità aleggiava sulla foresta. Era proprio in una zona come quella che si nascondeva la base Grado cinese denominata 34 dove Korin aveva passato gran parte della sua adolescenza. Aveva imparato a riconoscere i misteri che aleggiavano attorno a quella foresta, alle dicerie che ne nascondevano l’ubicazione e alla nebbia che tutto copriva.
    Nelle poche missioni fatte al suo interno aveva potuto imparare ad ambientarsi a quel territorio boscoso, dove ogni cosa sembrava identica a quella precedente e a quella successiva. Saper mantenere l’orientamento, o ritrovarlo se perso, era fondamentale.

    Tutto era estremamente silenzioso, tanto che i suoi passi sembravano rimbombare con ogni ramoscello schiacciato e con ogni foglia accartocciata. L’assenza di animali si faceva sentire rendendo l’atmosfera ancora più inquietante. Il suo sguardo passò subito sulle cortecce degli alberi alla ricerca di muschio che avrebbe dovuto crescere solo nel lato nord della pianta, quella meno esposta al sole. Lo cercò nella prima, nella seconda, nella terza e in tutte le altre a vista d’occhio: la posizione sembrava congruente in tutte; normalità per il momento.
    Un leggero gracchiare della strumentazione lo allarmò, ma era solo l’arrivo di una comunicazione dal campo base. «Longwei mi ricevi? Sono Syrus» «Korin, professore, il mio nome è Korin. E la sento forte e chiaro.» «Preleva dei campioni qua e là di terra, muschio e tutto il resto. Dovresti avere delle provette nello zaino.» «Ricevuto.» Fece scivolare lo zaino sul davanti ed in effetti in una tasca più piccola c’erano un paio di contenitori utilizzabili ed una specie di scalpello o bisturi, un coltellino multifunzione probabilmente. Staccò come da richiesta un pezzo di muschio e di corteccia e, incidendo un po’ più a fondo, tentò di collezionare anche delle gocce di ambra per non farsi mancare nulla.
    Avanzò ancora ed il terreno si fece leggermente scosceso, quasi un piccolo avvallamento. Cercò di scender il pendio con cautela per non ruzzolare giù con tutto il peso che si portava appresso, ma il piede si affossò su un plico di foglie marce e scivolò. Solo i riflessi maggiorati datigli dal cosmo prevenirono qualcosa di più grave e Korin recuperò la posizione con prontezza. Non senza però l’intervento preoccupato del campo base: «Fa attenzione Longwei» «Korin » «Arrenditi ragazzo. Ha imparato quel nome e userà solo quello.» Ah, bene. Sospirò con disappunto. Odiava dal più profondo del cuore chiunque si rivolgesse a lui con il nome di battesimo. Fosse per lui lo avrebbe già cancellato dalla faccia dell’esistenza, tanto gli portava alla mente solo spiacevoli sensazioni legate a Lui. Il vecchio bastardo trovava sempre modo di tornare a tormentarlo. «Aspetta, guarda là. Sono esemplari di Amanita Bisporigera.» La telecamera zoommò sulla specie di funghi non troppo distanti dal ragazzo, ignorando completamente il suo controllo e causando un attimo di confusione. «Non sono comuni in questa parte del mondo, né in questa stagione. Sono velenosi, ma dobbiamo assolutamente studiarli.» Korin si abbassò alla raccolta dell’ennesimo cimelio che il professore richiedeva, dovendosi subire il suo sproloquiare su come raccogliere l’esemplare senza danneggiarlo e senza sorbire l’effetto del suo veleno. Un veleno che era letale al 100% se mangiato, ma di certo Korin non aveva intenzione di farsi un picnic in quel posto.

    Raggiunto nuovamente il piano Korin potè quasi intuire cosa avesse formato quel pendio, o almeno poteva sospettarlo. C’era una specie di fiumiciattolo, quasi secco a dire il vero, che scorreva nella gola. Che ci fosse una sorta di diga più a monte? O forse era più un ruscello, un esiguo emissario di qualcosa di più grosso e non poteva aver scavato quel fosso da solo. Si avvicinò lasciando che il computer al polso esaminasse la composizione dell’acqua, di nuovo sotto l’ordine dello scienziato che non stava mai zitto. Stando alla sua valutazione erano risultati abbastanza anomali, con ben pochi valori nella media. «Possiamo quindi ipotizzare qualcosa più verso la fonte sta corrompendo quest’acqua. Per esserci questo valore così alto… forse qualcosa che marcisce… dei cadaveri… Prosegui per di là. » Oramai aveva preso ad ignorare le sue elucubrazioni, come probabilmente aveva fatto anche il tenente. Era davvero l’unico modo per sopportarlo. «E laggiù abbiamo anche della belladonna, altra pianta velenosa, interessante…» Cioè, anche dando un ordine riusciva a distrarsi, nemmeno fosse un bambino iperattivo con deficit di attenzione.

    Avanzò deviando dalla sua destinazione per seguire le istruzioni dello scienziato che, purtroppo, era un suo superiore. Seguendo a ritroso il percorso del fiume si ci imbatté in degli strani rimasugli violacei per terra, quasi fossero legamenti e tessuti carnosi non meglio identificati. Niente ossa però. Era una grande quantità di muscoli, quasi fosse un busto umano con tanto di protuberanza tesa verso l’acqua, simile ad un braccio, ma non aveva niente di umanoide. Anzi era quasi più simile ad una proboscide. La rilevazione termica non percepiva calore dall’organismo che fu quindi reputato morto, ma la specie a cui apparteneva rimaneva un mistero. Che fosse un corrotto? Poteva ben assomigliare ad una delle infinite forme degli abomini di Ponto, ma chi poteva averlo ridotto in quello stato?
    Pulì alla bene e meglio il bisturi e sempre sotto indicazione del petulante prelevò un campione anche di quella povera creatura. Analizzò nuovamente l’acqua che scorreva prima di quel cadavere, ma anch’essa sembrava sballata nei suoi valori. Lo scienziato lo interruppe nuovamente chiedendogli di analizzare anche il sangue di quella creatura, che non fu così facile da estrarre considerando che non circolava più nel suo corpo. Aveva una strana colorazione azzurrognola, molto diversa dal rosso intenso delle arterie e da quello più scuro delle vene, o dal nero scuro della corruzione. Una volta estratto però sembrò rapidamente cambiare verso qualcosa di più opaco. «Ovviamente mancavano gli alieni in tutto questo. » Fu il commento acidamente annoiato del tenente.

    Procedette ancora, ma dovette bloccarsi sul posto e gettarsi in copertura quando uno strano latrato giunse alle sue orecchie. Era come un abbaiare, ma apparentemente quel suono non veniva recapito dal campo base che gli chiese il motivo per cui si era fermato. «Shh » Gli intimò il silenzio mentre aguzzava l’udito e poté quasi percepire la furia dello scienziato abbattersi su di lui, bloccata solo dalla voce perentoria del soldato che gli ricordò come ogni minimo stimolo ignorato poteva portare chiunque alla morte in pochissimo tempo. Korin rabbrividì della scioltezza con cui l’altro pronunciò quel concetto. Non aveva usato eufemismi, era stato schietto, diretto, pungente. Sospirò cercando di scrollarsi di dosso il malaugurio lanciatogli inconsciamente. Si addentrò nella selva, riscalando la gola, e intravide, tramite lo zoom della telecamera, una figura canina nascosta in un basso cespuglio spinoso. Sembrava intenta a scavare qualcosa, a nascondere il suo tesoro o forse stava solo allattando una possibile cucciolata. «Quello è un leonberg… mia nipote ne aveva uno identico! » «Peccato, non possiamo più giocarci il “non c’è un cane in questo posto”.» Korin sorrise sotto l’elmo mentre cauto osservava il fare della bestia. Dimensioni normali, aspetto normale, pelo stranamente ben curato per una creatura che viveva apparentemente selvaggia e senza padroni. Rimase nascosto nelle frasche per un po’ ad osservare la bestia che ad un certo punto decise di farla finita ed uscì dal cespuglio, mosse le zampe anteriori come a grattare la terra per gettarla nel luogo che aveva curato per tutto quel tempo e semplicemente trotterellò via senza una cura alcuna. «Peccato non aver preparato un altro geolocalizzatore… Potremmo inviarlo coi droni… » Korin aspettò che l’animale fosse lontano prima di ispezionare il luogo. Il cespuglio era pieno di rovi secchi e il terreno smosso e bagnato, quasi il cane lo avesse scelto per farsi dare una spazzolata per poi usarlo come latrina. Niente di apparentemente strano quindi. «preleva tutto, l’urina da un sacco di informazioni utili.» Ecco, quella non era una cosa piacevole da fare, ma aveva visto già troppe viscere volare sui campi di battaglia per scandalizzarsi delle evacuazione di un animale. Aveva un odore estremamente intenso però, quello era leggermente anomalo.

    «Agente.» Lo appellò il tenente, cosa che lo fece balzare subito agli ordini molto più di quanto potesse mai fare il compagno. «E’ appena giunta una comunicazione dal direttorio. Ordinano di limitare le comunicazioni allo stretto necessario. Sono incerti della sicurezza delle frequente.» «Le mie frequenze stanno benissimo! Le ho scelte apposta! Il ragazzo è in una botte di ferro!» «Bene allora, aspettiamo che incontri un corrotto elettromagnetico ed è fottuto. Andiamo in silenzio radio. Contattaci per ogni problema.» «Sissignore, passo e chiudo. » Rispose semplicemente, mentre quello che intendeva era un grazie silente al direttore in questione, agli dei, agli spiriti tutti, che avevano fatto tacere lo scienziato. Il soldato era decente, ma l’altro era davvero insopportabile nella sua parlantina. Si godette l’attimo di silenzio inspirando a pieni polmoni. Sentire solo il tranquillo bzzz di sottofondo provocato dai motori dell’armatura era idilliaco. Certo sarebbe stato meglio non sentire nemmeno quello, tornare a prima della corruzione e farsi una passeggiata tranquilla in un bosco normale, ma non si poteva avere tutto dalla vita.

    Richiamò sul visore la mappa cercando di capire la propria posizione rispetto al POI più vicino. Non sembrava essere troppo distante da esso, ma come anche i due gli avevano detto per radio non era il caso di andare verso di essi a testa bassa. Di certo non voleva ripetere l’errore fatto nella missione precedente. Andare nel centro del sigillo teso da un mostro umano-angelico-o qualunque cosa fosse era stata una cazzata che gli era quasi costata la vita. O forse no, a detta del nero, ma stava dicendo la verità?
    Sarebbe forse stato saggio studiare l’area attorno al primo POI, ad uno, forse due chilometri di distanza prima di avvicinarsi sempre con più attenzione. Altrimenti poteva proseguire seguendo il corso inverso del fiume alla ricerca di ciò che contaminava l’acqua, ammesso che non fosse il liquido stesso ad essere anomalo. Non sapeva bene la traiettoria del fiume, ne se questo si immergesse nelle viscere della terra, ma nella direzione generica si arrivava ad un altro POI. Oppure poteva andare anche nella direzione totalmente opposta e seguire l’esemplare di leonberg per scoprire come sopravviveva in un posto che non aveva apparentemente altra fauna e dove l’acqua era avvelenata da forse un’alta concentrazione di piombo, cosa che stando agli sproloqui dello scienziato doveva aver portato alla morte della creatura trovata poco prima. Però forse era fin troppo tardi per ritrovare le tracce dell’animale; aguzzò i sensi cercando di percepirlo nella boscaglia, anche richiamando la telecamera ad infrarossi, ma non riuscì a percepire la sua presenza. Tra le due opzioni, e senza uno scienziato che gli urlava nell’orecchio, decise di andare per quella più cauta e seguire il letto del fiume a ritroso. Se c’erano altre creature, animali o corrotte, c’era una buona probabilità di vederle circondare la fonte di sostentamento per eccellenza. Senza scendere nuovamente nel letto del fiume, ma solo costeggiandolo dalla sicurezza del pendio si rimise in cammino.


    Statistiche

    Stato Fisico: Perfetto.

    Stato Mentale: In guardia.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata.

    Riassunto: Prime indagini, raccolta di materiali qua e là, niente di che.


     
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    Report 17
    Squadre di droni hanno localizzato una zona di bassa pressione atmosferica a pochi chilometri a nord della zona. Sembrerebbe nulla di anomalo, una semplice pioggia di stagione, consigliamo al campo base di adeguarsi alla situazione

    Report 19
    La pioggia sta continuando da troppo tempo, nonostante la sua natura leggera la perturbazione non ha mai smesso di rovesciarsi sulla zona del campo e dell'anticamera della zona in quarantena. L'attrezzatura è al sicuro ma la situazione non sta giovando al morale

    Report 22
    La situazione è estremamente grave. La postazione era preparata a repentini cambiamenti climatici, ma quello che abbiamo davanti è un vero e proprio monsone! Come se non fosse abbastanza difficile mettere in sicurezza il sito di ritrovo, ci è stato impossibile aggiornare o ricevere informazioni dal nostro iniziato nella zona. e sue capacità sono soprendenti, ma anche pre un individuo come lui trovarsi in balia di una tempesta in terra nemica no-















    Report 43

    Il protocollo di quarantena è stato violato.







    TEMPESTONE ENORME GIGANTESCO BAGNATISSIMO e tu devi sopravviverci dentro usando i tuoi MIRABOLANTI poteri cosmici.


    yeee
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

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    - Chapter III -



    Quell’albero cresceva in maniera molto strana. Era come se non ci fosse stato un tronco e subito dal terreno nascevano i rami, grossi, spessi, quasi tronchi a sé stanti, tutti collegati ad un'unica base sepolta nel terreno. Era di certo una pianta diversa da ogni altra presente lì attorno e soprattutto invisibile dall’alto visto che la sua folta chioma la copriva per intero. Quella però non era l’unica stranezza di quella pianta. Attaccate ad essa c’erano una sorta di escrescenze rocciose, funghi solidi che crescevano a contatto e forse in simbiosi con essa. All’inizio sembravano più punte di freccia o rozze lame piantate nel legno, ma non sembravano aver danneggiato la superficie del vegetale come avrebbero potuto fare delle armi. Korin tirò fuori il coltellino cercando di raccogliere parti diverse di quella strana conformazione. Raccolse la corteccia del tronco, la terra su cui posava, un pezzo di ramo, qualche foglia ed infine cercò di scavare fuori quella strana roccia. Rifletteva la sua immagine sporcandola col suo colore ebano e modificandola per via delle sue sfaccettature, quasi fosse uno di quegli specchi distorti dei luna park. La pietra, o fungo che fosse, era percorso da sottilissime linee di un colore a metà fra il bianco e l’argento, come se due materiali diversi fossero stati pressati assieme.

    Il riflesso ebano della sua steel cloth, modificato dalla rifrazione, gli era parso per un singolo attimo il corpo quasi scheletrico dell’essere. Infila pure in un barattolo con tanto di cartellino numerato tutte le cose brutte che trovi per strada. La voce prepotente del daimon-umano raggiunse la sua mente, mentre si rigirava la pietra fra le mani, quasi come se l’altro fosse alle sue spalle a ripetere quella frase forte e chiaro. Era solo un’illusione, ovviamente, solo un ricordo che tornava a tormentarlo. Le parole del nero erano semplicemente atte a prenderlo in giro, eppure erano così vere. Quelle parole erano solo un altro mattoncino nel suo personalissimo album di PTSD. Era solo un evento recente che aveva sconvolto l’ordine delle cose e che lo aveva condannato a quella missione.
    Chissà se gliela avrebbero assegnata se non avesse lasciato che la cloth andasse in pezzi. Per ora era tutto così monotono, facile. Insomma, poteva davvero farlo chiunque, anche un non steel saint. Sarà stato per il suo tenere al minimo le proprie emanazioni cosmiche, lasciando ardere solo quel che serviva per muovere l’armatura che indossava, ma nessuno era ancora venuto a dargli fastidio. Nessun corrotto, nessuna pianta, niente. Di anima viva alla fin fine aveva incontrato solo il cane.

    Strinse la pietra più forte nelle sue mani, come a voler soffocare quell’immagine e quelle parole. Se all’inizio avrebbe potuto associare la pietra a dell’ossidiana questo non sembrò più possibile a seguito di quel gesto di rabbia contenuta. Era dura, durissima, esattamente come l’armatura del tipo, inscalfibile dai suoi colpi cosmici; e la sua immagine tornò a tormentarlo. «Vattene!» Reagì battendo il pugno contro il tronco della strana pianta. La punta dell’ossidiana, che usciva appena dalla sua presa, si piantò nel corpo dell’albero come se questo fosse burro. Rimase incastrato, o meglio, era rimuovibile; poteva essere smosso con la stessa facilità di un coltello infilzato nella carne umana. Con l’altra mano tastò la corteccia dell’albero, era dura al tocco, difficilmente avrebbe potuto inciderla con il proprio coltello facendo lo stesso identico gesto. Era tagliabile si, l’aveva già fatto, ma il modo con cui l’ossidiana si era infilata al suo interno aveva dell’incredibile. Provò a rimuovere la pietra che aveva perso le sue venature biancastre mentre al contempo la pianta iniziò a sanguinare un liquido argenteo e viscoso, come un umano perde sangue da un taglio grosso, ma non profondo. Prelevò anche quella linfa lasciando che il computer da polso la analizzasse velocemente con un risultato molto particolare. La macchina aveva trovato una marcata corrispondenza tra essa e la linfa della Calotropis, una pianta del sudest asiatico che con quella davanti a lui non aveva visivamente nulla a che fare. Sempre stando ai dati era una linfa altamente velenosa, da non mettere assolutamente a contatto con gli occhi e soprattutto da non ingerire.

    Sembrava quindi che la natura, o un dio sadico, stesse usando quel preciso spazio sulla terra come una raccolta dei veleni del mondo, un album tossico, un hobby decisamente inquietante per i mortali. Questo poteva benissimo spiegare l’assenza di animali nel luogo. Non c’erano erbivori che potevano cibarsi delle piante velenose, così come non c’erano carnivori che potessero cibarsi degli erbivori. Il leonberg trovato prima era un’eccezione interessante. Aveva scoperto un modo per sopravvivere a tutto quel veleno o aveva trovato un’area ancora incontaminata? E se invece proveniva da fuori e avesse in qualche modo violato il perimetro? Quante tossine ancora poteva incontrare sul suo cammino? Ricordava che le stelle di natale erano piante comuni, ma velenose, magari ne avrebbe trovato un esemplare più avanti. Questo poteva anche significare che nascosti lì intorno ci potessero essere pericoli non ancora scoperti dall’uomo.
    Le ultime erano tutte teorie, domande che una mente razionale si poneva per spiegare questo o l’altro fatto, ma che fino a prova contraria rimanevano solo congetture e ipotesi. Soprattutto era stato mandato lì non per la raccolta di tossine, ma per luci e fumi, o comunque dei punti nevralgici che non aveva ancora raggiunto. Come potevano questi due eventi collegarsi fra loro?

    Plick.
    Una goccia di pioggia cadde sull’elmo direttamente sul visore appannandolo appena. Pioggia per fortuna e non la lattiginosa linfa che stava maneggiando. Alzò lo sguardo scorgendo tra le fronde degli alberi cupi nuvoloni grigi, sempre più densi. Fortuna che davano una bella giornata, anzi sembrava star nascendo il sole fino a pochi minuti prima. Un’altra goccia, poi un’altra e un’altra ancora iniziarono a scendere sempre più rapide sempre più fitte. In montagna il tempo cambiava rapidamente, era una cosa risaputa, ma in quel territorio? Era normale? Il tempo instabile era forse parte dell’anomalia? O forse era solo una coincidenza fine a se stessa, così come sorgeva il sole o la luna.

    Plik pluck pfsssss. Una goccia era caduta in una piccola pozzanghera lattiginosa che si era formata sul terreno. Un pennacchio di fumo si alzò subito da essa con un marcato rumore quasi di sfogo termico, o di qualcosa sciolto rapidamente nell’acido. Più guardava quella linfa meno voleva averci a che fare.
    Staccò un’altra roccia-fungo, una che avesse ancora le striature argentate, mise tutto nello zaino che chiuse con attenzione.
    «Armatura, staus.» Richiamò con un rapido commando vocale ponendo l’attenzione sui possibili danni da acido o da veleno che quella pioggia, possibilmente anomala, portava con se’. Status ottimale rispose la centralina visualizzando su schermo come tutte le funzioni fossero attive al cento percento meno che l’autonomia di poco sotto. Un dato preoccupante era però la copertura di rete visto che il computer registrava solo tre tacche di connessione. Il contatto coi satelliti e con il campo base si era fatto più lento ed instabile. Le nubi potevano contribuire al rimbalzo errato del segnale, ma perdere due tacche intere così a caso non era qualcosa di positivo. Certo, era in silenzio radio da un po’, per fortuna sua, ma non gli piaceva la sensazione di un possibile distacco dal mondo. Stava comunque registrando ogni azione e avvenimento tramite la telecamera, filmati che poi sarebbero stati adeguatamente analizzati da chi di dovere, ma faceva un po’ strano non sentire lo scienziato capo suggerirgli di provare x o y immediatamente. O forse era la migliore delle benedizioni visto che poteva procedere verso il suo obiettivo senza farsi distrarre da troppi particolari apparentemente slegati fra loro.

    Proseguì ancora. La pioggia si faceva man mano più intensa e la visione sembrò ottenebrarsi. Nonostante il tetto di fronde, le foglie cedevano il passo alle lame d’acqua lanciategli dal cielo. Sembrava in tutto e per tutto una pioggia estiva, quella che arrivava in pochissimo tempo e che se ne andava altrettanto rapidamente potendo fare anche ingenti danni.
    Non fidarti mai della pioggia. Una nuova fulminata sonora raggiunse i suoi timpani costringendolo ad una smorfia per tenere sotto controllo quello che era solo un’altra illusione. «Taci.» Sempre lui, sempre quel dannato avvenimento in Vietnam e il suo dannatissimo protagonista che tornava a tormentarlo. No, non lui. Quella frase era della ragazza, la, forse, seguace del finto daimon. Una frase criptica, insondabile. Perché doveva avere paura della pioggia? Per qualcosa che sarebbe successo sotto la pioggia? Infondo gli aveva mostrato un possibile futuro, perché non dargli un altro indizio su come muoversi o su cosa fare? Che poi erano davvero indizi o solo illusioni? Magari volevano dirigere la sua attenzione alla pioggia, quando invece avrebbero colpito sotto il sole più cocente.
    Recuperò dallo zaino l’ennesimo contenitore, lo stappò e allungò il braccio portando il recipiente sotto la fonte di pioggia più diretta e abbondante; era meglio raccogliere anche quella per sicurezza.
    O forse era tutto un modo di dire, una similitudine per bho, uno sciame di qualcosa, o forse era solo fuffa. Che altro poteva aspettarsi da chi si era manifestato come essere inumano?
    Di tutto.
    Poteva, no, doveva aspettarsi di tutto da quell’essere. Aveva letto la sua mente, seppur in maniera apparentemente superficiale. Poteva scatenare le dimensioni, aveva controllo sulla geometria e quindi sulla realtà. Aveva seguaci che potevano fare infinite cose come curare, o controllare il tempo. Aveva tanto potere. Era un pericolo.
    Per quanto poteva capire il suo, forse, dolore, non poteva giustificarlo in quello che pareva un odio viscerale ingiustificato. Non poteva capire il suo egocentrismo e la sua presunzione, non poteva sopportare il suo bipolarismo, il suo complesso di Aristotele o cosa era poi. Non trovava un senso nelle sue azioni. Se davvero odiava gli dei e chi li serviva perché lui, Korin, era ancora vivo?! Non aveva senso. Non c’era un motivo. Lui era solo uno «Stronzo.» e la sua seguace, o seguaci, succubi della sua utopia.

    Come poteva esserlo lui della Fondazione. No, no. No! Batté dolcemente un pugno sull’elmo. Quei pensieri non avevano senso. Lui era fedele alla Fondazione e a chi la governava. Era sicuro delle buone intenzioni dei vari direttori. Aveva piena fede nei superiori.
    Anche di Lui.
    Si, Lui. Lui che stava svolgendo un lavoro perfetto nel dirigere il 20. Lui che a suo modo evitava di dissipare la sua aura tetra a chi non aveva motivo di sorbirsela. Lui che lo aveva ingabbiato per il bene di tutti.
    Rain. Il direttore Rain. Suo padre. Il mostro.
    Si fidava di Lui. Almeno nei suoi comandi aveva fatto la cosa giusta per tutti. Tutti tranne che per la carne della sua carne, ma tutto il resto era stato salvaguardato. Perderne uno per salvarne cento.
    Un brivido gli percorse la spina dorsale. Era il freddo, la pioggia che si era insinuata metaforicamente nelle crepe dell’anima. Era solo una sensazione di sconforto all’ennesimo pensiero riguardo a Lui.
    Eppure era stato Lui a fargli avere il suo bene più prezioso, per ben due volte.
    Scosse la testa cercando di allontanarlo. Tappò la fialetta, etichettandola a dovere, la rimise nello zaino e proseguì.

    Muoversi si faceva sempre più difficile. Il terreno era sempre più bagnato e fangoso e la sua pesante armatura affondava sempre di più nel terreno. Non erano sabbie mobili, ma le sue orme erano marcate nel sottobosco. Il cielo si faceva sempre più nero, ma fortunatamente non vi erano tuoni. Sarebbe stato un bel problema ritrovarsi in mezzo ad infiniti parafulmini vegetali. Per non parlare del muro d’acqua che continuava ad appannare la strumentazione rendendo difficile vedere al di là di pochi metri.

    Segnale radio Perso

    Sgranò gli occhi e corresse il suo pensiero: era un problema ritrovarsi in mezzo a dei parafulmini vegetali, con un muro d’acqua e senza mezzi di comunicazione. Aveva una mappa dell’area salvata nella cache di memoria, ma dire dove si trovasse senza essere geolocalizzato era impossibile. Certo, qualunque direzione avesse preso, camminando sempre dritto, sarebbe comunque arrivato ad un confine delineato dalla Fondazione, ma per quanto ne sapeva andando sempre dritto poteva anche passare in mezzo a chissà quanti punti nevralgici senza accorgersene. Ci poteva essere fumo con la pioggia così marcata? O luci? E se non c’era nulla come riconosceva quel punto da ogni altro posto di quella schifo di giungla?

    Ricerca segnale
    ...
    ...
    Segnale Assente
    Nuovo tentativo di connessione fra 15 secondi



    Il fumo e le luci potevano essere anomale, ma se non lo erano poteva esserci di mezzo un fuoco, un fuoco irrealizzabile sotto quella scrosciante pioggia. Dalla base non ricordava gli avessero dato dei dati sulla presenza o assenza di quei fenomeni sotto l’acqua e di certo con l’assenza di connessione non poteva chiederlo. Poteva sospettare che appena quella tempesta fosse finita il collegamento sarebbe stato ripristinato, ma quanto poteva durare quello scrocio d’acqua? Minuti? Ore? Un giorno intero?
    Ogni cosa che lo circondava poteva essere velenosa e con ciò che aveva con se’ sarebbe durato al massimo due giorni. C’era abbastanza tempo per una eventuale ritirata strategica. Il vero problema era quanto l’armatura avrebbe retto. Tecnicamente erano testate per tutte le evenienze, ma se ci fosse stata un’infiltrazione d’acqua, o qualcosa fosse andato storto nello zaino era finita. Doveva quindi tenere l’equipaggiamento al sicuro e all’asciutto, ma questo voleva dire trovare un riparo o costruirlo. La cosa più sensata sarebbe stata creare una capanna di foglie e rami, ma non poteva permettersi di avvelenarsi con qualunque sostanza nociva avesse attorno. Avrebbe potuto sfruttare i suoi poteri, crearsi un Igloo sicuro e lontano da ogni cosa, ma usare il cosmo significava mettersi addosso un bersaglio immane per ogni corrotto nella zona. E di certo la sua intenzione non era di aspettare ore sotto l’acqua a rigirarsi i pollici. Poteva andare avanti, fregarsene di tutto e continuare per la sua strada lottando con gli scarponi che affondavano nel terreno sempre più molle e la visiera sempre più appannata. Ed eventualmente ricevere una ramanzina infinita per i campioni rovinati che aveva riportato indietro.

    Però la sua missione era indagare sulle luci e i fumi. Recuperare quei campioni era la missione secondaria. La missione primaria era di agire in maniera il più possibile stealth senza farsi notare dagli eventuali corrotti, raggiungere i punti nevralgici e capire cosa stava succedendo in essi. Certo il vero stealth era forse fallito sotto l’odorato del cane, ma la bestia l’aveva perso da molto e con la pioggia le sue tracce sarebbero state ancora più difficili da ritrovare. Che poi era una missione stealth contro l’indagine della corruzione, cosa di cui quell’area doveva essere piena, ma lui non aveva ancora visto la minima creatura di Ponto se non per un rimasuglio sul fiume. Dove erano tutte le insondabili mostruosità?

    Segnale Assente
    Nuovo tentativo di connessione fra 15 secondi



    Un flash gli perforò la mente, un’idea tanto malsana che sarebbe stata improbabile però… possibile che l’assenza di segnale non era da attribuire alla pioggia, ma ai corrotti che avevano attaccato il campo base?
    No, l’avrebbero contattato con un SOS…
    Vero?


    Statistiche

    Stato Fisico: Perfetto.

    Stato Mentale: In guardia.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata.

    Riassunto: Continuano le indagini e Korin, testardo, continua ad avanzare imperterrito sotto la pioggia.


     
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    Il soggetto sembrerebbe possedere natura cosmica. Nessuno dei sistemi di controllo è stato capace di fornirci una prova visiva della sua presenza, ma sebbene estremamente elusivo a foto e filmati, il suo picco energetico è estremamente caratteristico. Cionostante la sua presenza sembrerebbe quasi fluttuare, con variazioni periodiche separate anche da soli minuti. La traccia cosmica sembrerebbe abbastanza minuta nonostante tutto, paragonabile ad una candela nella pioggia. Il seguente report si basa su-



    CONNECTION LOST





    Proseguendo nella tua spedizione, ti accorgi che la topografia del posto è leggermente diversa da quella che riesci a ricordare: dove prima c'erano colline e sprazzi di foresta, ora la terra e segnata da strade di terra battuta dall'aspetto recente. Seguendo quella strada con la massima discrezione, noti in lontananza un quello che sembra un checkpoint militare, con tanto di sbarra, torre di guardia e mitragliatrice dietro dei blocchi di cemento. Parcheggiata vicino c'è anche una vecchia Jeep Wrangler, sporca e malridotta ma apparentemente funzionante. A poca distanza da quel checkpoint nascosto dalle colline sopravvissute, una colonna di fumo si estende verso il cielo.

    Il posto di blocco è presidiato da sei individui, ognuno segnato dalla corruzione.



    Benissimo, il primo contatto.

    La scelta su come affrontare la situazione è tua: Approccio silenzioso? attacco frontale? Oppure scartare completamente l'ingaggio e andare avanti?

    I sei del presidio sono dotati di armamento militare, ma senza nessuna insignia, stemma o patch, e a notare bene noti che le loro uniformi sono estremamente rovinate
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

    Operation stone axe
    - Chapter IV -



    Ecco quella era una visione che non si aspettava.
    Il cambio repentino del territorio era anche comprensibile a grandi linee. L’indurimento del suolo, anche sotto il pressante scroscio d’acqua, e l’aprirsi dello scenario in quella che poteva essere un’incolta campagna facevano pensare a qualcosa di civilizzato o, come minimo, di controllato, cosa che ben si sposava con una delle ipotesi fatte riguardo a quella singolarità; civiltà primitive o in corso di evoluzione stavano ripercorrendo gli step presi dall’umanità così come l’aveva studiata a scuola. Le anomalie individuate dalla Fondazione erano luci nella notte per allontanare i predatori, di giorno fumi di un focolare sempre acceso a guardia dell’accampamento, forse pronto a mandare segnali da un posto all’altro.

    Quello che non si aspettava era trovare l’equivalente di un posto di blocco moderno in mezzo al nulla. Si accucciò vicino ad uno degli ultimi ripari sfruttando lo zoom della telecamera per studiare meglio l’area che risiedeva a poco più che un 500 metri di distanza. La pioggia rendeva difficile osservare il tutto da lì, ma era sempre meglio che avvicinarsi a caso. Una stradina di terra che era stata a lungo battuta, e forse anche recentemente, giungeva fino ad una sbarra abbassata presidiata da almeno sei individui d’aspetto ancora vagamente umanoide. Vestivano giacche militari, o simili, e sembravano avere armi addosso, come veri e propri soldati. Perché un corrotto doveva maneggiare delle armi umane quando lui stesso era capace di incredibili prodigi? Da che pulpito veniva la predica poi, considerando che Korin stesso, detentore dell’energia delle stelle, andava in giro armato come un comune steel saint?

    Zoomò sui loro abiti alla ricerca di un qualche stemma che potesse aiutare l’identificazione di quegli individui, o meglio a chi avevano rubato il tutto. Rubare… e se non li avessero propriamente rubati? Se fossero stati militari di una organizzazione non ben identificata fino al momento della loro corruzione? Era anche vero che rimanere appostati era un comportamento molto strano per dei corrotti. Era risaputo che ereditassero la mente alveare che governava tutti, ma sembrava assurdo che questi mantenessero gli ordini precedenti alla “morte”. A meno che la corruzione stessa non gli avesse disposti a quel rigore quasi umano. Li aveva sempre visti attaccare come bestie senza cervello, certo organizzate a modo loro da una mente superiore, ma rimanere impassibili a guardia? Quello gli era nuovo. Sarebbe stato bello poter confrontarsi con il campo base e chiedere loro se comportamenti simili fossero stati avvistati altrove. Ma ovviamente, quando più gli serviva il supporto dall’esterno non vi era modo di stabilire un contatto. Osservò le loro facce e le loro ferite purulente, troppo realistiche per essere un trucco umano atto a nascondersi in mezzo alle bestie. Erano al 99.9999% dei corrotti per quanto tutto il resto sembrasse strano.

    Scandagliò gli abiti, logori, vecchi, ma soprattutto privi di marchi di riconoscimento. Possibile che quegli uomini fossero stati ex dipendenti della Fondazione prima di venir corrotti? Quello poteva significare che la Fondazione controllava zone più ristrette di quell’area prima di ampliare il campo di contenimento. Però la Fondazione lo avrebbe saputo, lo avrebbero informato a riguardo, anche un semplice “potresti trovare cose che ci appartenevano”. Così non era stato, e a rigor di logica tutto ciò esulava dal controllo della Grado.

    Spostò la sua attenzione sulle armi, fucili d’assalto, qualche pistola, una mitragliatrice. Erano ben armati, ma nulla di eccezionale. Qualcosa degno di un semplice posto di blocco. Qualcosa su cui posare la propria attenzione era però la manifattura: erano armi a cartucce, ma non cosmiche. Quello faceva scendere la Grado ancor più di quotazione nelle origini probabili, ma senza eliminarla del tutto. Il risultato era invece l’opposto: quei soldati potevano provenire letteralmente da qualunque esercito e non solo. Non era facile riconoscere nulla di quelle armi, ma potevano essere anche state comprate legalmente o meno da qualche banda di giustizieri. I posti di blocco alla fin fine erano anche usati dalla criminalità per estorcere denaro o informazioni.

    Guardò alla torre di guardia aperta che fortunatamente non nascondeva altri uomini sulla sua sommità. Il modo in cui era costruita però dava quasi l’idea di un avamposto costruito di fretta o di un luogo temporaneo, non protetto o curato, esattamente come potrebbe essere quella di una milizia non ufficiale. Andare nell’underground apriva un mondo praticamente infinito di possibilità. Chiunque poteva formare una sua milizia e quelle giacche potevano essere costumi di carnevale qualsiasi o cosplay standard.

    Un po’ come quel piccolo Korin che per una qualche occasione si vestì da samurai con l’armatura di cartone e la katana di plastica. Non ricordava che festa fosse, ma aveva il ricordo indelebile di una finta battaglia con una bambina vestita da Mulan. E un pennacchio rosso per qualche motivo, un elmo da qualche parte. Un pirata anche.
    Scosse la testa. Era tanto tempo fa, quando c’era ancora gioia nel mondo, quando non c’era nulla di tutto quello che oggi chiamava realtà. Bei tempi.

    Le armi finte però erano obbligate ad avere un marchio ben riconoscibile, la punta arancione normalmente, che le identificava come giocattoli rispetto ad ogni altra arma reale. Quelle imbracciate dai soldati però sembravano proprio vere, nemmeno ricolorate, ne armi ad aria compressa.

    Niente, guardò altrove. Ancora meno di aiuto fu lo studio della Jeep a loro disposizione, cosa che richiese al computer numerosi secondi di analisi per via della mancata connessione col server.
    Jeep Wrangler, americana. Creata nell’86. Impiegata prima dai civili e poi nell’esercito di diverse nazioni.
    Un altro un buco nell’acqua. Quei tipi potevano essere un ex esercito così come una finta organizzazione o un gruppo mafioso qualunque.

    Zoomò indietro fino ad avere una visuale completa del manipolo di sconosciuti. Senza muri di protezione a parte qualche bassa blocco di cemento facilmente scavalcabile e qualche basso rilievo a confinare con loro… sembrava un posto infelice per piazzare un blocco. Nulla gli impediva di abbandonare la strada principale e passare altrove, scoutare altre entrate che potevano essere altrettanto controllate o magari poteva passare a muso duro per le colline. Non era l’ideale considerando la fatica che lui avrebbe fatto per oltrepassarle esposto alle più disparate sentinelle nemiche. Contro un ipotetico villaggio di corrotti era una cazzata, ma sembrava sempre meglio di andare a muso duro contro quei sei, farsi notare e attirarsi addosso le ire di tutti gli incalcolabili corrotti della zona.

    Di certo, per quel che poteva vedere, il posto di blocco controllava l’accesso o l’uscita da quei punti speciali. Vedeva un pennacchio di fumo alzarsi non troppo distante segno che il suo obiettivo, uno dei tanti, era vicino.

    A cosa poteva servire quel posto di blocco? Ovviamente sapeva che erano posti dove i passanti e i veicoli venivano fermati obbligatoriamente per verifiche e controlli da parte di forze dell'ordine o militari per monitorare il movimento di persone e di materiali. Erano prassi comune anche alla Fondazione stessa. Ma in quel punto chi veniva fermato? Era il modo della corruzione per non far entrare nessuno nell’area interessata? O era un modo per non far uscire nessuno? Forse più il primo vista la disposizione del tutto. La corruzione quindi stava davvero copiando tecniche viste dagli umani per difendersi a sua volta? Difendere cosa soprattutto? Cosa c’era di così importante in quel luogo fumoso e luminoso? Segnali di fumo e luci nella notte… centri di comunicazione. Fumo di giorno e codice morse di notte. Perché alla corruzione servivano dei punti di comunicazione se tutti sapevano tutto con la loro mente comune? A meno che la corruzione non stava perdendo quella capacità mentale e doveva quindi adattarsi con altri mezzi.

    O a meno che quel 0.0001% di possibilità non fosse reale. Che quelli non fossero davvero corrotti, ma solo umani mascherati, o che la corruzione di quella particolare zona avesse perso i suoi contatti con l’organo madre come lui gli aveva persi con la sua base. Ma Korin dipendeva dalla tecnologia, la corruzione da qualcosa di cosmico mentale magico. Come poteva quel collegamento essere interrotto? I sigilli potevano in un certo senso operare sulla materia mentale, ma non aveva mai provato a staccare un corrotto dalla mente alveare con soli legami mentali. Non sapeva se fosse possibile. Di certo in zona non c’erano sigilli.
    Forse i mentalisti potevano influenzare la mente altrui fino a quel punto; infondo nessuno sapeva quale fosse il limite del potere del cosmo. Immaginare persone come il nero soggiogare dei corrotti a fare il proprio volere non era così distopico. Ecco, aveva pensato di nuovo a lui. Il finto daimon lo perseguitava, tanto che quasi si aspettava di trovarlo acquattato accanto a sé a fingersi il suo compagno di viaggio. «Dimmi che non ci sei di nuovo tu dietro a tutto questo…» pregò sommessamente.
    Era però interessante pensare a poter prendere il controllo di un manipolo di corrotti ed usarli contro la corruzione stessa. O anche solo imbastirli di così tanti sigilli dallo staccarli dal comando era da provare.

    Tutto bello, ma intanto cosa poteva fare? Doveva superare il blocco se voleva osservare da vicino quello che stava succedendo con quei fuochi e come questo si legasse al veleno, al leonberg, ai militari… al piombo. Fece richiamare al computer tutti i dati precedentemente raccolti sul cane incontrato che fortunatamente erano stati salvati in cache rendendo più facile il loro recupero. Il leonberg era una razza che aveva rischiato l’estinzione nella seconda guerra mondiale quando veniva usata per tirare i carretti di munizioni per il campo di battaglia. Munizioni fatte prevalentemente di piombo. Come le armi dei soldati lì davanti. Il piombo era usato praticamente ovunque incluso nei carburanti. Che il piombo fosse il nesso logico fra tutto? Beh, tutto tranne l’enorme quantità di piante velenose trovate. Era però un nesso debole che non portava da nessuna parte. Anche se i centri nevralgici fossero miniere di piombo o luoghi per lavorarlo quel materiale poteva essere usato per troppe cose per capire lo scopo di tutto quel teatrino.

    L’occhio scorse ancora la lista dei dati posseduti sul cane. Non c’era molto in verità, ma si soffermò su un dettaglio interessante. Il leonberg trovato aveva un pelo curato e come razza era particolarmente esigente in quel frangente. Il cane non sembrava presentare sintomi di corruzione, ammesso che questi non fossero nascosti dal pelo. C’era quindi qualcuno gli faceva la toletta almeno una volta a settimana, o che gliela aveva fatta molto di recente; qualcuno, potenzialmente corrotto, che faceva la guardia come un comune umano. Interessante sì, ma come lo aiutava a risolvere la situazione? Semplice. Non lo faceva.

    Come non lo faceva stare lì impalato come uno stoccafisso ad osservare sei corrotti. La sua missione era entrare ad esaminare da vicino uno di quei punti nella maniera più stealth possibile. Per farlo doveva avvicinarsi. Per farlo doveva superare quel muro apparentemente invalicabile senza una lotta. O almeno supponeva fosse invalicabile senza una lotta. Poteva provare a lanciare una granata cosmica, distrarre le guardie e passare mentre loro andavano ad indagare, ma se si comportavano come umani, almeno uno o due sarebbero rimasti fissi, rendendo la granata uno spreco. Ergo a meno di manovre assurde, da lì non si poteva passare senza mandare a quel paese lo stealth. L’idea più sensata era quindi lasciar perdere quel punto almeno per il momento, circumnavigare il tutto e vedere se ci fosse un punto più assaltabile. Sarebbe stato anche da controllare se le strade battute tutto intorno erano controllate da sentinelle che facevano la ronda. La visibilità ridotta che gli offriva il monsone poteva tornare utile in quel frangente permettendogli di rimanere il più nascosto possibile mentre esaminava tutto il perimetro.

    Visto che però non aveva modo di sapere dove si trovasse senza il collegamento gps, doveva trovare un’altra maniera per marchiare il territorio. Poggiò la mano sul terreno, proprio sotto l’albero dietro il quale era accucciato infondendo in esso una minima quantità di cosmo e creando un reticolo di linee simile in fattura ad un gomitolo di lana dalle dimensioni di una biglia di vetro. Erano linee smorte, spente, appena percepibili. Lo scopo di quel sigillo era in realtà quasi nullo. In esso era impresso il comando di continuare ad esistere anche senza la sua presenza lì attorno, ma soprattutto di lanciargli un segnale cosmico se questi fosse stato manipolato in qualsiasi maniera da qualcuno. Lo scopo del sigillo era lasciare un segnale per capire da dove era arrivato, per ricordare dove fosse o come tornare indietro, in maniera non dissimile dal disegnare frecce sul terreno nei boschi. Alzò nuovamente lo sguardo ai sei sperando di non averli allarmati con quella infima quantità di cosmo e quindi via il più rapidamente possibile per eseguire quella ricognizione mantenendo una distanza stabile dall’area.

    Avrebbe potuto anche semplicemente abbandonare quel sito, cercare di trovarne un altro, o ancora poteva tornare indietro fino al perimetro della Grado e tentare di ristabilire un contatto coi suoi alleati, cosa che non sarebbe stata affatto stupida da fare prima di trovarsi invischiato in qualcosa di più grande di lui. Tornare da loro era però anche uno spreco di tempo, quindi era meglio farlo con più informazioni possibili e soprattutto con un piano d’azione ben dettagliato.

    Ristabilire la connessione sarebbe stato utile anche per non trovarsi a compiere scelte come quella. Avere un albero di possibilità che si aprivano davanti a lui, ognuna con i suoi pro e i suoi contro lo metteva in difficoltà. Le scelte erano frutto solo del suo istinto e ragionamento e la cosa lo inquietava. La cosa di cui poteva consolarsi era che le sue decisioni in quel momento potevano influire solo sulla propria vita essendo solo lui quello potenzialmente in pericolo. Non aveva una squadra da tenere in piedi, ma solo dei superiori a cui fare rapporto se le comunicazioni si fossero stabilizzate o quando sarebbe tornato indietro. Peccava di preparazione, di forza, di responsabilità per certi versi. Diamine era in quella situazione proprio per quel motivo! Era stato da stupidi toccare un sigillo nemico così su due piedi, era stato ancora più incosciente sfidarlo. Era stata solo la scelta, forse incoerente, dell’altro a tenerlo in vita a condannarlo a quella missione e al ripetersi della stessa identica domanda: perché?

    E se stava facendo di nuovo la scelta sbagliata? Era stato fortunato con il nero e ancora prima con il caduto di Yaroslavl, ma per quanto ancora la fortuna lo avrebbe assistito riparando le sue stupidate? In terra di Russia era pure sotto l’ordine altrui. Stenson… Chissà come stava il colonnello. Chissà se aveva trovato qualche nuovo apprendista più bravo di lui. Chissà se la Artemis aveva trovato un padrone migliore di lui.
    Gli mancava servire sotto il colonnello. Era un ottimo leader. Lui non avrebbe fatto quelle stronzate che l’avevano portato lì. Gli mancava la sua esperienza. Gli mancava la fiducia nelle proprie capacità, ora più che mai. Ubbidire agli ordini era molto più semplice che prendere le proprie decisioni.
    Diamine… Gli mancava lo scienziato e la sua parlantina rapida che gli diceva cosa fare. Gli mancava il tenente con la sua rigidità. Loro avrebbero saputo indirizzarlo al meglio in quel momento. Ma non c’erano.
    Era da solo e da solo doveva decidere cosa era meglio fare.

    Peccava di conoscenze, lo riconosceva e proprio su quello avrebbe lavorato. Doveva studiare il suo campo di battaglia. Doveva capire come muoversi al meglio. Doveva poter cogliere ciò che il karma gli offriva.
    Forse era una cazzata, ma il meglio, per lui in quel momento, era continuare ad esplorare.


    Statistiche

    Stato Fisico: Perfetto.

    Stato Mentale: Incuriosito da come tutto possa collegarsi.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata.

    Riassunto: Nota i sei e si ferma a ricapitolare la situazione analizzandola. Decide infine di crearsi un sigillo incompleto come promemoria della posizione prima di ispezionare tutto il perimetro sorvegliato rimanendo comunque ad una considerevole distanza da esso.



     
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    La ricognizione è snervante.
    La pioggia va e viene, non pesante come prima, ma abbastanza da essere una enorme seccatura. La cosa non disturba minimamente i corrotti, ancora occupati in quella perturbante routine.

    Dalla strada di terra battuta dietro il posto di blocco, emergono rumori assordanti. Se non ci fosse stata la pioggia, avresti potuto vedere nuvole di polvere all'orizzonte. Il rumore proviene da un vero e proprio convoglio di mezzi dall'aspetto orribile, tanto rovinati da sembrare tenuti insieme da fil di ferro e speranze. Ci sono camion, pick-up, escavatori, tutti con evidenti segni di degrado e poca manutenzione. Il convoglio è fermo al posto di blocco, e quella scena che quasi rimembrava una vita civile persa quasi un decennio prima, si scontra con uno spettacolo rivoltante:
    Gli individui corrotti si avventano sul retro di uno dei camion come formiche, tirandone fuori grossi contenitori di plastica. In essi scavano a mani nude, portandosi alla bocca quella che sembra una poltiglia sanguinolenta. Definire quel comportamento “animalesco” non è riduttivo, è un vero e proprio insulto a tutto ciò che è definibile naturale.
    E quella è solo una parte di ciò che si sta muovendo in quel posto isolato dal mondo, perchè in lontananza il fumo nero ha ripreso a deturpare il cielo. Sei davanti alla lordura che rovina il creato stesso, che sta continuando da anni, agendo come se fosse indisturbata in posti che persone come te poteva chiamare casa.

    Questo non è più un lavoro di accertamento del territorio.

    Questa è una disinfestazione.


    Ora sono 40.



    Go nuts.
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

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    - Chapter V -


    Niente. Aveva fatto la ricognizione completa del perimetro e non aveva trovato niente che lo obbligasse a passare per quel posto di blocco. Esattamente come aveva pensato all’inizio, quel punto di passaggio era posto praticamente a caso, come se fosse un rimasuglio di memoria riguardo alla sua utilità senza la comprensione delle motivazioni che portavano un luogo ad essere adatto o meno per quel tipo di difesa. Era come se quella corruzione avesse mantenuto un ricordo vago e fumoso di ciò che era in origine; molte cose erano state annebbiate, forse cancellate dai censori di Ponto, ma qualcosa era sopravvissuto all’inchiostro nero. L’idea di un posto di blocco, per quanto assurda in quel frangente, doveva essere sopravvissuta per qualche strano motivo. Certo, forse per i mezzi motorizzati era difficile passare altrove, ma non per lui a piedi.

    Con la pioggia che aveva smesso di essere un muro d’acqua impenetrabile, e che ora andava e veniva ad intermittenza, era riuscito a completare il giro ed era tornato senza essere visto al punto di partenza, sotto lo stesso albero che aveva marchiato, sempre in compagnia del suo simbolo cosmico. Il sigillo non era stato trovato, o nessuno si era degnato di venirlo a controllare. Strano. Si aspettava che almeno uno o due guardie lo facessero e invece quelle non sembravano essersi schiodate dal luogo che controllavano. Era forse troppo debole per essere percepito? O era stato intenzionalmente lasciato stare? O le guardie erano troppo deboli per percepirlo? O forse quell’istruzione non c’era nella loro riprogrammazione a corrotti. Forse non avevano ereditato certe conoscenze come se il tutto fosse una corruzione a metà. Questo avrebbe spiegato perché ancora si vestivano e comportavano da umani. Era vero che a volte la corruzione manteneva temporaneamente certi comportamenti umanizzati per passare in sordina in mezzo agli stessi umani, per colpirli di sorpresa nel momento ritenuto più adatto, ma quella dei soldati non sembrava lo stesso tipo di messinscena. Quelli erano palesemente corrotti che ancora si travestivano da umani, non poteva essere una semplice sceneggiata.

    Una corruzione a metà… uomini che portavano il segno della malattia, ma che sopravvivevano come uomini. Uomini che forse potevano essere epurati da quel morbo. Una malattia che forse presa in tempo poteva essere curata; una che poteva dare indizi su come curarla in altri.
    Una che dava speranza.
    Una speranza di vita.
    Mamma.

    Il pensiero non poté che correre a lei così come la mano destra, non poté che premere sul petto alla ricerca della targhetta ben nascosta sotto i vestiti, alla sua foto che ora premeva contro il suo corpo. Forse c’era davvero una speranza per salvarla, per liberarla da quella capsula maledetta nascosta nelle profondità del 34. Ammesso che ancora ci fosse quella capsula nel reparto scientifico del 34. Ammesso che 36b94, quel codice che per anni aveva stretto a sé non fosse che un placebo. Da quel terribile giorno del 2012 la speranza era l’unica cosa che gli rimaneva; quello e una piccola fotografia di lei che prima Eagle e poi Stenson si erano prodigati per fargli avere. Una piccola foto rubata o forse donata da Rain. Era forse possibile che proprio quel maledetto insensibile e mai esistito padre gli avesse fatto quel regalo così prezioso?

    Alzò nuovamente lo sguardo verso il posto di blocco, ma gli occhi furono attirati altrove ben più lontano di esso. La colonna di fumo di cui tanto si parlava nei rapporti si stava alzando. Era nera, densa, come se stessero bruciando materiali plastici pesanti, il cui puzzo non gli giungeva solo per via dei pesanti filtri di cui era rivestita l’armatura. Quel fuoco stava quindi andando avanti anche sotto l’acquazzone, o forse era ricominciato più forte ora che l’acqua aveva cessato di martellarlo. Lasciò che la strumentazione annotasse quest’altro pensiero mentre lo sguardo si spostò nuovamente seguendo i forti rumori provenienti da davanti. Un convoglio dei più disparati mezzi stava avanzando verso il posto di blocco. Sembravano molto mezzi da lavoro pensate, da costruzione o da trasporto, ma erano tutti mal ridotti; tra tutti forse la jeep era quella messa meglio. Prima che potessero passare il confine però tutti i veicoli si fermarono e da essi scese una fiumana di corruzione, quasi una cinquantina di individui.
    Aspetta… corrotti che guidano dei mezzi?! Era possibile?
    Forse era un altro rimasuglio di una vita precedente, un’altra piccola conferma della sua pazza teoria.

    Continuò ad osservarli mentre estraevano dai camion decine di contenitori e, tolti i coperchi, tutti vi si affollarono attorno, come fans davanti al loro idolo, mentre con le loro mani ne tiravano su il contenuto portandolo alla loro bocca. Zoomò sulla situazione, non facile da cogliere vista la calca di gente e i rapidi movimenti. Sembrava stessero divorando qualcosa di semiliquido rossastro, quasi un disgustoso spezzatino di membra e sangue. Dovette distogliere lo sguardo per non sentire il proprio stomaco rivoltarsi spedendo la leggera colazione fatta ore prima in condotti non idonei. Ne aveva viste di viscere corrotte o meno, ma non si aspettava di trovarne inscatolate, come un acquisto fatto alla lidl corrotta.

    Che la corruzione divorasse cadaveri era risaputo, ma da dove proveniva il loro disgustoso cibo? Perché aveva quella fattura molto pastosa? Erano davvero cadaveri? Beh di certo non assomigliava a polpa di pomodoro. Era anche vero che quella corruzione non assomigliava a niente che avesse mai visto fino a quel momento e che tutto ciò che sapeva del mondo esterno poteva benissimo anche gettarsi fuori dal finestrino dei loro mezzi, tanto per rimanere in tema. Quei corrotti che si cibavano costituivano una visione interessante, una versione perversa della famosa foto dei lavoratori che pranzavano sospesi nel vuoto di New York. Ed era assurdo perché era un ossimoro associare il termine familiare e corruzione, ma non ce n’erano di migliori. Quei corrotti rappresentavano una normalità ormai perduta per il genere umano. Certo, tra la Fondazione e il Grande Tempio ancora si potevano osservare quei riti, ma questi erano confinati a zone molto ristrette che l’uno o l’altro gruppo avevano strappato a Ponto a fatica. Non erano più cose che si vedevano comunemente in giro per il mondo mentre si faceva una passeggiata.
    Era nostalgico. Se non avesse avuto altro da fare si sarebbe fermato ad osservarli, solo per vederli vivere una vita che non apparteneva più alla sua specie.

    Ma no, procrastinare non era nel suo DNA e lui aveva degli ordini da portare a termine; ordini che coinvolgevano anche quella stessa finta umanità che gli si parava davanti.
    Quindi che fare? Doveva ignorare la combriccola di semiumani ed invadere il loro territorio da un'altra parte? Doveva forse passare in mezzo a loro nel più ovvio e protetto dei posti? Farlo aveva un vantaggio non indifferente: battere le loro stesse strade avrebbe permesso di osservare molto più da vicino tutto ciò che costituiva la quotidianità di quel gruppo. Se si fosse mosso in tempo poteva forse capire di cosa si cibavano, se ce ne fossero stati altri poteva capire come lavoravano, se li seguiva poteva intendere da dove arrivavano, se avevano case o una famiglia da cui tornare. Voleva capire perché erano rimasti ancorati a quei comportamenti, cosa aveva permesso tutto ciò. Se poi la loro umanità era sopravvissuta abbastanza da non farli attaccare il primo umano che passava nel loro territorio sarebbe stato stupendo.
    Andava contro tutto ciò che gli era sempre stato insegnato.
    La corruzione erano bestie senza cervello il cui unico obiettivo era distruggere. Ma non loro. Non quei quaranta individui. Per quanto si strafogassero come le bestie che erano, sembravano umani in tutto il resto. Erano forse proprio loro che avevano usato un altrettanto umana cura nell’occuparsi del cane? Doveva scoprirlo. Doveva capire.

    Un passo e poi un altro diretto verso la combriccola. Niente cosmo, niente difese, solo un umano che si avvicina ai suoi forse simili. “Ma sei scemo?!” La sua mente urlava tentando di frenare il corpo, di riprendere le redini della ragione. “Devi agire in incognito. Se ti notano si allarmano, se si allarmano sei in pericolo! Non abbiamo contatti con la base! Non…” ma Korin non ascoltava e al contrario faceva un altro passo nella loro direzione. Era una cazzata, ne era cosciente. Eppure doveva tentate quella manovra, doveva fare quell’esperimento. Erano davvero ancora abbastanza umani o era la corruzione che stava evolvendosi? Doveva capire, doveva sapere. Al massimo si sarebbe preso una sanzione disciplinare bella grossa più tardi.

    Il primo corrotto alzò la testa verso di lui, ancora intento a divorare la poltiglia sanguinolenta che gli colava dalle fauci. Poi un altro e un altro ancora. Per un attimo ci fu un momento di stallo, come se le creature fossero in dubbio sul da farsi. Korin continuava ad avanzare vedendo un’opportunità. Forse mi riconoscono, si diceva, forse possiamo ancora comunicare.

    Ma la speranza si spense rapida come una candela al vento.
    L’orda di umanoidi non esitò ad avventarsi sullo sconosciuto. Le intenzioni erano tutto fuorché positive: stavano attaccandolo, ne era certo. Aveva già visto quello sciamare innumerevoli volte. Forse... forse si era sbagliato sull’umanità. Forse era davvero la corruzione che andava evolvendosi, ma era pur sempre un esperimento che andava fatto. I sei armati, piuttosto che imbracciare le armi, cercarono dei punti di vantaggio, come se riconoscessero l’idiozia di sparare sulla folla dei loro compagni; almeno quell’aspetto umano era sopravvissuto. Si avventarono al contrario dei compagni sulla scaletta della torre di controllo. Un attacco dall’alto, un vantaggio non indifferente, ottima scelta.

    La lotta ebbe inizio. Bisognava sterminare tutti per evitare che un altro branco potesse essere informato e che gli piombasse addosso, e meno tempo e cosmo impiegava meglio era.
    Il ghiaccio crepitò espandendosi sul terreno, tra le vetture, poi attorno al gruppo di corrotti, fino a che, completamente circondati, pareti dello stesso materiale cominciarono a sorgere dal bordo esterno tentando di rinchiudere tutti in una sola zona da cui non potessero fuggire. Li aveva tagliati fuori dalla mitragliatrice appena in tempo e lui stesso si era fatto abbastanza indietro da non finire preda della sua stessa trappola. L’idea era di fucilarli dall’alto con la sua tecnica ad area, ma fu costretto a cambiare piano, a temporeggiare e ad alzare il braccio ricoperto da uno scudo ghiacciato contro i proiettili dei militari che dall’alto della torre di guardia lo stavano bersagliando come potevano. Una patina di sigilli corse a rafforzare lo scudo cercando di limitare i danni allo stesso e di assorbire il fuoco dei proiettili dissipandone l’impatto lungo il disegno. Scivolò sotto la copertura del suo stesso muro di ghiaccio cercando al contempo di evitare le artigliate delle mani che ne fendevano la resistenza creando fessure nella struttura e minandone il collasso. Bruciò il suo cosmo condensandolo in chicchi di ghiaccio e sigilli da far piovere dall’alto indistintamente all’interno del perimetro delineato, scatenando sulla massa di corrotti una tempesta cosmica. I sigilli esplosero contro persone, vetture e perfino contro la gabbia provocando gravi danni a qualunque cosa fosse all’interno, dai veicoli già martoriati alle fondamenta di quella torre temporanea e delle mura di ghiaccio, e sfigurando i corrotti ancora di più.
    Una mano rossa come il sangue lo afferrò spezzando la sua concentrazione e trascinandolo con violenza all’interno della calca. L’armatura ammortizzò la presa delle dita scheletriche, ma il polso avvertì comunque la pressa del mostro per via del sangue che faticava a circolare. Il fortunato che l’aveva afferrato fu raggiunto e aiutato da un altro e poi un altro ancora, mentre la folla di mostri monchi si accalcava su di lui coprendo la sua visuale di carni corrotte. Ghiaccio e formule corsero sul suo corpo cercando di irrobustirlo e rendere l’armatura scivolosa e troppo fredda per quelle creature. Loro non sembravano capaci di fendere la steel cloth, né di raggiungere la sua velocità, ma erano comunque una massa ancora enorme che aveva apparentemente sopportato con ingegno il suo attacco usando i veicoli come scudo. Chi con un calcio, chi con una nuova artigliata, chi con una presa al collo, i mostri sembrava stessero cercando di tenerlo fermo e smembrarlo. Sembrava quasi una lotta tra un predatore e decine di formiche di fuoco, una di quelle scene che erano così comuni nella sua Cina dove quegli insetti importati rovinavano l’ecosistema. Fece esplodere una bordata cosmica tutto attorno a sé atta ad allontanare le bestie, forse a stordirle abbastanza da riassestarsi, ma non ci fu nemmeno il momento di prendere un respiro che subito dovette sollevare un nuovo scudo di ghiaccio contro la martellante ondata di proiettili della mitragliatrice. Alla fine uno dei corrotti, ormai privo di un braccio aveva deciso di optare per quell’insano gesto sparando su qualunque cosa gli si parasse davanti pur di sterminare l’invasore. Lo schiantarsi dei colpi non cosmici non giovò all’integrità dello scudo prima e dell’armatura poi ammaccandola in più punti e graffiandola pesantemente in altri. Non era nemmeno lontanamente abbastanza da provocare danni seri, ma non era nemmeno qualcosa da prendere in pieno come se nulla fosse.
    Scattò in copertura usando altri corrotti, quindi le carcasse dei veicoli come scudo. Uno dei camion prese pure fuoco per via di tutti i danni subiti, innescando una possibile reazione a catena dei veicoli attorno, tutti dotati di benzina: non ci voleva; se da una parte una colonna di fumo nero poteva passare inosservata in mezzo alle altre, dall’altra non era il caso di bruciare tutta la zona. Si lanciò contro il tipo alla mitragliatrice piombandogli dall’alto con una lancia di ghiaccio fra le mani, passandolo da parte a parte e scaraventandolo contro un gruppetto che stava per assaltarlo. Prima che altri potessero avvicinarsi prese lui stesso possesso dell’arma facendo piovere la rimanente quantità di proiettili contro tutto ciò che si muoveva.

    Tutto ciò che rimaneva dopo lo scontro era una lordura devastante. Il respiro andava calmandosi, anche se c’era ben poco di cui tranquillizzarsi. Lo scontro era andato molto più per le lunghe del previsto, anche contro esseri che sembravano così cosmicamente deboli che grazie al loro numero compensavano di gran lunga la differenza. Il cosmo scorreva ancora intenso cercando di placare le fiamme con l’abbassamento di temperatura. Avrebbe voluto recuperare parte del loro cibo, ma i contenitori di plastica erano andati distrutti e tutto il liquame ora giaceva a terra assieme al sangue corrotto. Poteva solo sperare di avere più fortuna a riguardo in un altro campo, magari in uno dove non finiva per affrontare tutti i corrotti assieme.
    Che poi aveva fatto fuori tutti i corrotti del campo? Non gli sembrava di essersi perso dei soldatini, ma era anche vero che nella calca non poteva nemmeno essere sicuro di averli ammazzati tutti al 100%. Se uno fosse riuscito a svignarsela? Sarebbe tornato verso il campo base o sarebbe sparito da qualche altra parte? Aveva mille mila altri probabili nemici in arrivo dal POI? O invece gli sarebbero piovuti addosso dalle innumerevoli strade battute che si separavano appena dopo la sbarra del posto di blocco?

    Era nel posto peggiore in cui essere, letteralmente tra l’incudine e il martello, e doveva ancora avventurarsi ad analizzare uno dei due. Meglio fare presto.
    La colonna di fumo nero lo aspettava.


    Statistiche

    Stato Fisico: Affaticato, ma altrimenti perfetto.

    Stato Mentale: Devo sbrigarmi

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata. Qualche danno ma niente di che.

    Riassunto: Si avventura verso i 40 e scatta la rissa. Come da PM l’ho trattata autoconclusivamente. Ora Korin procede verso il Point of Interest per cui ha combattuto.



     
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    Quando l'ultimo dei nemici cade, qualcosa cattura la tua attenzione.
    C'è qualcosa di strano nella sua forma, qualcosa che non va nella sua anatomia, come le braccia di diversa lunghezza, il numero dispari di dita, l'assenza di orecchie. Uno di loro giace sul terreno, i vestiti a malapena integri noti qualcosa di inquietante: La forma della pelle e dei muscoli ha qualcosa di artificiale, come fossero stati modellati da mani giganti, creazioni di cera di un gigante che solo ricordava com'era fatta una persona. Il tuo sguardo si posa sulla strada, più precisamente sulle tracce dei veicoli nel fango. Se la missione si era trasformata da ricognizione a disinfestazione, il grave della colonia aspettava dall'altra parte di quella striscia di solchi nella terra bagnata, seguire quella via è l'unica scelta logica, anche solo per capire cosa diamine stava accadendo in quel posto orribile.

    Dopo una marcia da Steel Saint, giungi a quello che è letteralmente un buco nel muro. Il fianco della collina è stato deturpato, una spaccatura circondata da rifiuti, metallo contorto e materia biologica indefinita. Il terreno davanti alla caverna è pieno di tracce, dirette sia fuori che dentro l'oscurità.

    È tempo di affrontare l'abisso.



    La caverna è permeata da un'aria calda e umida. Le pareti sono sporche di materiali indefiniti. Sangue? Olio? Inutile pensarci. La strada è illuminata da un sistema di luci sul punto del collasso. Ogni tanto, avvolti da una fitta oscurità, trovi altre di quelle creature “umane” del posto di blocco, in piedi, completamente insensibili agli stimoli esterni, come persi in una catatonia profonda ed oscura.

    Dalle viscere della caverna, un sottile fumo cominciò ad emergere,, ed un suono gutturale riempì l'aria di quel posto dimenticato da Dio.




    Siamo vicini, molto vicini.


    Puoi descrivere tutto il viaggio, solo l'avventura nella caverna, come reagisci alle creature catatoniche e così via.


    si, le tracce sul terreno fanno coincidere il punto di controllo con la caverna.
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

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    - Chapter VI -



    Le tracce nella spessa fanghiglia erano molto precise, ben delineate, quasi come se ogni corrotto con il suo mezzo fosse passato sempre sulla stessa identica pista del mezzo prima. Quel particolare era un’altra piccola cosa che non si sarebbe mai aspettato da quelle bestie. Si sarebbe piuttosto immaginato vederli scorrazzare alla rinfusa, lasciando indecifrabili marchi sul terreno. Oh beh, la loro puntigliosa organizzazione poteva andare solo a suo vantaggio. Visto che i mezzi non potevano volare e apparentemente non potevano farlo nemmeno quei finti umani, sarebbe stato facile capire molte cose da quelle tracce.

    Il paesaggio fuori dalle tracce era estremamente brullo, come se fosse solo un punto di passaggio, un anticamera a qualcosa, altrimenti era solo spazio vuoto, completamente ignorato. Perché c’era un posto di blocco così lontano dall’area messa sotto controllo? Perché serviva tutto quel terreno? Per parcheggiare i mezzi? Era troppo e soprattutto i marchi andavano contro quella teoria. Proseguì ancora calcando le tracce per terra e appesantendo gli stivali con altro fango. Poteva già immaginarsi l’esito di quella missione, il venir rinchiuso in lavanderia a ripulire tutta l’attrezzatura da solo. Era una palla, ma anche un ottimo modo per calmare i propri nervi e mettere in ordine i pensieri, soprattutto dopo una missione così assurdamente strana. Era vero che stava visitando solo un campo, ma non c’era la folla di corruzione impossibile da affrontare che avrebbe impedito ad un manipolo qualsiasi di scout di avanzare per il territorio. Aveva ammazzato sì e no una cinquantina di individui che se moltiplicati per i focolai individuati che erano 27… beh la calcolatrice dell’armatura dava una possibile quantità di 1350 corrotti, uomo più uomo meno. Sarebbero stati tanti per una squadra di ricognizione, ma sarebbero stati tanti anche per lui solo. La Grado aveva preso una decisione discutibile in quella occasione. O erano andati con i piedi rivestiti di fin troppo piombo o con non abbastanza riguardo nei suoi confronti. In parte se lo meritava per aver distrutto un artefatto così importante durante una delle prime uscite, ma era un insensato spreco di risorse in quel caso. Se volevano punirlo c’erano modi molto migliori. Questo significava che c’era quindi qualcosa che il comando sapeva e che non gli era stato detto, il che non era affatto una novità. Ma qual era quella nozione fondamentale che sbrigliava tutta la matassa decisionale?

    Seguendo le tracce notò diversi altri particolari in rapida successione. La strada segnatagli portava alla base di una collina, direttamente opposta al posto di blocco e la sua base era scavata, esattamente come se qualcuno ci avesse costruito dentro una miniera o, visto il modo rozzo dei suoi bordi, un formicaio gigante. Fuori dalla fessura erano accatastati diversi materiali che di certo non appartenevano a quel luogo brullo. E questo escludeva il formicaio gigante. Le formiche infatti erano estremamente pulite e non decoravano di scarti l’entrata al loro nido.
    Deviò la propria traiettoria per osservare quei rifiuti con più attenzione. C’erano pezzi di stoffa, blocchi di metallo più o meno lavorato, lame spezzate di quelli che potevano essere sembrati dei picconi, forse legno, cavi elettrici, altri componenti non riconoscibili, il tutto circondato da molti materiali organici. C’erano pezzi di pelle, muscoli, forse intravedeva una specie di intestino marcescente arrotolato a qualcosa. Era una discarica a cielo aperto, una di quelle usate dalla Sānhéhuì, la società della triade, per fare affari loschi e far sparire i propri nemici. Che la mafia fosse corrotta era cosa nota, ma la corruzione è mafiosa? Soffiò un sorriso, grazie agli spiriti nessuno avrebbe sentito quell’assurda battuta. Annotò nuovamente le sue osservazioni nel computer della steel cloth, ma stavolta la macchina reagì correggendo le sue stesse parole e migliorando le sue impressioni.
    discàrica s. f. [der. di discaricare] - Nell’industria mineraria, l’insieme dei materiali sterili di scarto che vengono accumulati in prossimità delle miniere e, per estens., i cumuli stessi.”
    Beh in un certo senso accanto a se’ si apriva una miniera e quelli potevano davvero essere rifiuti dell’estrazione… beh non tutti, non quegli assurdi pezzi strappati a chissà quale corrotto. Magari quelli appena maciullati erano tuti lavoratori e alcuni di questi avevano trovato la fine dei loro giorni dedicandosi al lavoro. Erano posti atroci, niente aria, un sacco di oscurità, poi dai un colpo alla roccia sbagliata e viene giù tutto. Forse i compagni avevano estratto i loro cadaveri gettandoli insieme agli scarti. Ma cosa potevano estrarre di così prezioso dei corrotti? Soprattutto dove lo tenevano? C’era molto spazio lì attorno, ma non sembravano esserci container, né l’erba dava segnali di essere stata a lungo pressata da qualcosa. Forse non tenevano lì le risorse estratte, forse venivano dirottate ad un altro degli accampamenti. Magari uno dei tanti pennacchi neri era un fabbro che macinava armi e altri oggetti a pieno regime. Magari qualche accampamento era una vera e propria industria. Quindi tutta quell’area era davvero una piccola città e la corruzione continuava ad evolversi?

    Un nuovo pennacchio di fumo nero iniziò a levarsi dall’apertura serpeggiando fra le rocce e poi verso l’alto. Quindi la causa di quel fumo veniva da dentro la cava, ma lo stesso non poteva dirsi della luce nella notte. Quanto forte doveva essere una luce per brillare così visibile quando era invece nascosta da una collina? La corruzione stava costruendo un piccolo sole là dentro? Sembrava strano, soprattutto considerando che ora non si vedeva molto dentro la cava. C’era luce, ma sfarfallava e non rendeva la zona abbastanza luminosa per essere sicuri di dove si stesse camminando. Quindi ecco a che servivano i cavi elettrici, avevano creato un impianto illuminante, a meno che non lo avessero preso dalle mani dei proprietari precedenti.

    Tutto faceva pensare di essere vicini a sbrogliare il mistero. Il colpevole di quelle anomalie si annidava in quella grotta, o almeno il colpevole di quella specifica fonte di luce e fumo, a meno che, proprio come un formicaio, tutte le fonti di luce e fumo fossero miniere collegate l’una all’altra. Forse al contrario erano scollegate e da un certo punto di vista era l’opzione preferibile in quel caso. Fece i primi passi nella caverna. L’aria era densa, pesante e molto sporca, proprio come una miniera di carbone. I filtri di purificazione dell’aria inseriti nell’armatura entrarono in azione limitando a lui l’assunzione di polveri sottili e del fumo. Si rigirò verso l’entrata e gli occhi si strinsero pesantemente contro l’ampia differenza luminosa. Bruciò leggermente il proprio cosmo bloccando l’ingresso con sottili stringhe di simboli, fili tesi a trappola tra le pareti. Se qualcuno passava di lì per venire a prenderlo alle spalle lo avrebbe saputo. Lo stealth, in caso di veri corrotti, era già saltato, sapevano che c’era un nemico nel loro territorio. Non c’era alcun segnale dal campo base, cosa che faceva davvero temere il peggio per i suoi alleati, e ora entrava in una grotta rendendo impossibile sparare un razzo di segnalazione di pericolo. Era da solo, forse contro mille e passa nemici. Agire difensivamente e con la massima cautela non era solo sensato, era mandatorio.

    Continuò ad addentrarsi sempre più nella cava ponendo grande attenzione al terreno che calpestava e alle pareti che sorpassava. Temeva trappola sul terreno, o una parte dissestata che poteva mettere in pericolo l’equilibrio o peggio. C’erano diverse alcove nelle pareti, come se qualcosa vi fosse stato estratto, forse ferro o altri materiali importanti. La luce più vicina sfarfallò più forte facendogli notare che accanto a se’ c’era una creatura. Si bloccò istantaneamente sul posto temendo un attacco, ma la figura era immobile, apparentemente priva di vita. Era una statua o forse stava imitando un coldstream guard, fisso nel suo scopo, immobile in ogni occasione. Erano inquietanti, ma allo stesso tempo non invidiava per niente il loro mestiere. No, non era una guardia della regina, ma non poteva permettersi che la statua prendesse vita nel momento sbagliato. Inoltre era malfatta. Perché aveva un orecchio solo e tre gambe? Ok che la corruzione modificava le creature nelle forme più strane, ma quel particolare lo colpì. Bruciò nuovamente il cosmo e si assicurò di smolecolare la costruzione, così come rivolse il suo potere anche alla statua successiva, stavolta senza orecchie e braccia estremamente lunghe, e a quella dopo ancora che aveva un viso più da volpe e sette dita per mano. Tutte quelle sculture gli davano il vibe di un esercito di terracotta corrotto. Era Ponto l’imperatore che aveva commissionato tutto ciò?
    Un suono cavernoso rimbombò per la zona. Era gutturale, incomprensibile, quasi come quello di una bestia. Aveva già sentito un latrato simile nella missione di Yaroslavl, quella che gli era costata la sua carica di steel saint e che lo aveva avviato a quella di vero saint. C’era quindi un daimon nascosto sotto terra? Perché dovevano essere sempre i daimon, o presunti tali, a rovinare ogni cosa? Non che potesse fare niente contro quei celestiali di immane potenza. Quel suono poteva essere un avvertimento o un ordine di prepararsi a combattere. Non capiva il daimon-ese, ma era certo che chiunque fosse presente nella cava doveva averlo sentito. L’urlo rimbombava ovunque e il cosmo di Korin brillava come una luce nell’oscurità. Era un sacrificio che aveva dovuto fare, ma almeno si era assicurato di avere i nemici provenienti solo da davanti a se’. Li avrebbe visti arrivare. Aveva le spalle coperte.
    Era pronto.


    Statistiche

    Stato Fisico: Affaticato, ma altrimenti perfetto.

    Stato Mentale: I’m ready.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata. Qualche danno superficiale, ma niente di che.

    Riassunto: Si avventura per la caverna, ma non prima di assicurarsi di tessere una ragnatela di sigilli come muro contro l’entrata di nemici dalle sue spalle. Per lo stesso motivo distrugge ogni statua sul suo cammino.



     
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    Il fumo diventa leggermente più presente nell'aria.
    Più vai a fondo, più l'aria calda mischiata al fumo ti pizzica occhi e gola, e più vai avanti e più le pareti della caverna si espandono. Noti sulla pietra i segni dell'artificio, quei tunnel non sono nati da milioni di anni di erosione, ma da mani blasfeme e strumenti poco raffinati. Ad ogni passo la quantità di esseri catatonici aumenta, esseri che fissano il vuoto buio davanti a loro. Ogni tanto senti un gemito uscire dalle loro gole, mentre un rumore indistinto rimbombava dalle viscere della caverna.

    Arrivi a quella che sembra una gigantesca sala. Il posto è così grande che perdi la cognizione della dimensione, com'è di solito quando si visitano le caverne più profonde. Colonne naturali sono state livellate al suolo, la maestosa presenza dello scorrere del tempo è stata violata, al suo posto macchine, fuochi, fumo ed esseri che si muovevano come formiche operaie, esseri che imitavano la forma umana in una forma di scherno non troppo sottile. Le mani di quegli esseri erano impegnate in una miriade di azioni, comandate da una volontà nera e distruttiva. Alcune di quelle mani operavano macchinari dall'aspetto rovinato, congegni collegati ad una massa nell'ombra, malamente illuminata dai fuochi malefici li presenti.

    La massa si muove ritmicamente, come se stesse respirando.




    X212XX

    L'oggetto ha superato il perimetro. Non siamo riusciti a cogliere le sue caratteristiche come dimensioni o natura energetica. La sua velocità non è scostante, ed il suo pattern di movimento sembra dettato da una qualche tipologia di volontà. Stiamo cercando in tutti i modi di contattare l'agente sul campo per avvertirlo a riguardo, ma le comunicazioni sono ancora interrotte la richiesta di abbandonare il settore è stata inviata.





    Hai davanti qualcosa di simile ad un insieme di fornaci, strumenti alla Frankenstein degli anni venti ed un formicaio umano. Una massa di carne e stesa in una zona della caverna, ed il rumore di un respiro potente si propaga in tutta la sala.
     
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    Korin Agente della GRADO ♦ Energia Rossa

    Operation stone axe
    - Chapter VII -



    Più si ci addentrava nella cava, più il numero di guardie della regina aumentava con i vari elementi disposti più vicini gli uni agli altri. Era una strana impressione camminare in mezzo a loro, o lo sarebbe stata se non avesse perso tempo a ridurli tutti in frantumi; sembrava quasi di star camminando su un tappeto rosso, come se quelle guardie lo stessero scortando verso qualcuno o qualcosa. Era una star ammirata o era un condannato che camminava l’ultimo miglio? Più probabile la seconda ovviamente, anche se quelle guardie lasciavano alquanto a desiderare vista la loro immobilità. Solo qualcuna sembrava respirare, o boccheggiare, emettendo un rauco suono di aria che passa con difficoltà attraverso le corde vocali; sembrava come fossero creature intrappolate in uno scheletro umano che non si poteva muovere, destinate a morire di fame e sete senza nessuno che poteva udire la loro sofferenza.
    Ne distrusse un’altra facendo emergere spunzoni di ghiaccio per trafiggere tutto il corpo. Almeno lui dava loro una morte rapida.

    Perché quelle guardie non gli saltavano addosso? Perché si lasciavano maciullare? Erano forse umanoidi difettosi? La corruzione poteva creare esseri incompleti? No, era inaudito. Perché la corruzione in quella zona si comportava in maniera così diversa da ogni altra corruzione? E se quella non fosse opera della corruzione? Se i rapporti Grado fossero stati errati e non era la corruzione ad infestare quelle zone? Cosa poteva essere altrimenti? E perché portava i malsani segni della malattia di Ponto?
    Guardò l’ennesima statua, un’altra da cui proveniva un sommesso respiro. Erano tutti umanoidi, vaghe rappresentazioni di umani, che si vestono come umani, che si comportano come umani, che respirano come tali. Eppure portavano anche i segni della corruzione, quel puzzo era inequivocabile, ma non si comportavano secondo quella logica. Era come se in quei casi l’umanità avesse vinto sulla natura corrotta, come se la malattia non prendesse totalmente il controllo. Li marchiava, li trasformava, ma qualcosa la fermava nel suo intento.
    Ma era la verità o solo un irrealizzabile desiderio?
    C’era davvero qualcosa in quegli umani che bloccava la diffusione della corruzione? Magari era tipo un anticorpo, una mutazione genetica, un qualsiasi cosa che trascendeva le sue misere conoscenze in materia, ma se ci fosse stato, se quel qualcosa poteva essere identificato, estratto anche, delle vite potevano essere salvate. Se poi si fosse capito il processo, magari si poteva invertirlo e far tornare normali le cose corrotte.
    E tutto sarebbe partito da quella missione, da lui che eroicamente era avanzato nel nulla, che aveva preso con se un pezzo di quei mostri per il laboratorio. Non poteva portarseli dietro interi. Quelli semoventi lo avevano comunque attaccato a vista, ma magari un pezzo di loro, una parte meno corrotta poteva bastare per le prime indagini. Magari per le successive si poteva entrare con una squadra a catturare qualche esemplare da studiare, magari…

    O magari era tutto un miraggio, una favola della buonanotte che si stava raccontando da solo per illudersi che forse un giorno avrebbe potuto rivedere sua madre, che si sarebbero lasciati quell’incubo alle spalle, che sarebbero tornati a vivere nella loro città, che avrebbero avuto una vita normale.

    Normale… che bella bugia, Korin.
    Lui non era normale, non lo sarebbe mai più stato. Aveva risvegliato il cosmo, era stato bollato come uno di loro, come un mostro, una potente pedina da schierare nelle necessità, ma anche una risorsa da tenere al guinzaglio. Era un aiuto ed un potenziale pericolo.
    Se anche il mondo fosse stato salvato dalla corruzione, non c’era modo di estirpargli quel potere dalle vene. Se anche la normalità fosse tornata a vivere alla luce del giorno, lui sarebbe rimasto nell’ombra. Se anche avesse potuto vedere sua madre tornare a vivere, non avrebbe più potuto starle accanto.
    Moriamo nell’ombra affinché voi possiate vivere nella luce… Era uno dei motti non ufficiali della Fondazione che aveva sentito principalmente dalle squadre di agenti sul campo. L’aveva sempre interpretato in modo positivo, un agiamo per il bene superiore, ma poteva essere letto anche al contrario: mentre gli altri andavano avanti lui sarebbe rimasto ancorato a quell’ombra, dimenticato da tutti. Sarebbe rimasto come quelle statue, una guardia contro gli orrori del mondo, freddo ed immobile fino a nuovo ordine.

    Ma non era proprio quello il punto? Non combatteva proprio perché l’umanità non avesse mostri come lui ad ostacolarla? Sì. Era stato cresciuto per combattere contro quelle cose, contro I mostri sotto ai letti. Cacciarli era la cosa giusta da fare! Per il bene superiore! Per la possibilità dell’umanità di vivere tranquilla! Eppure suonava tutto diverso quando anche lui era anche uno di loro. Chissà, forse era proprio per quel motivo che Alman si era isolato dal tempo. Forse il fondatore continuava a guidarli con saggezza dall’unico luogo in cui i suoi poteri non potevano fare danni.
    Un sigillo, un esplosione e l’ennesima statua andò in pezzi. Chissà, forse un giorno sarebbe capitata la stessa cosa a lui, distrutto per un bene superiore. Eliminato dalle equazioni con la stessa facilità perché, come quelle statue obbligate all’immobilità, anche lui avrebbe rispettato l’ordine di lasciarsi andare con la canna di una pistola alla nuca, o qualunque altro modo fosse finita. Si sarebbe chinato contro la falce dell’oscura signora perché, in fondo, glielo doveva, le era già scappato troppe volte.

    Aveva dosato il suo potere in maniera tale da rompere il nemico in più pezzi in modo da poter raccogliere diverse parti, una che sembrava sana e un’altra più corrotta, affinché gli scienziati potessero esaminarle una volta tornato alla base. Li nascose nel grande zaino e continuò fino all’apertura.
    Il corridoio si affacciava su una enorme sala interamente scavata nella roccia. Dalla sua posizione rialzata rispetto al terreno poteva osservare una fiumana incalcolabile di gente che si affaccendava vicino a macchinari non meglio identificati. C’era chi trasportava roba, come caricando dei grossi forni, c’era chi si occupava del mantenimento delle macchine, chi aiutava i compagni, chi si intratteneva con una figura nascosta nell’angolo più buio, lo stesso da cui provenivano degli ampi respiri degni di un Lord Vader di una galassia lontana lontana. E proprio come il cyborg di Guerre Stellari anche lui sembrava alimentato da innumerevoli tubi che partendo dalle macchine raggiungevano, poteva presupporre, la sua figura. Nessuno si era accorto di lui, o come le statue, non volevano accorgersi di lui. Vedere quei finti umani nella grotta era raccapricciante, perché sembrava davvero di essere finiti in un alveare umano dove tutti gli sforzi sono concentrati a sfamare e proteggere la regina. Si accucciò da un lato continuando ad osservare la scena e lasciando che la telecamera sull’elmo inquadrasse quanto stava succedendo.

    Vattene, sussurrò la ragione. Non poteva stare contro quella caterva di creature, nel loro nido, il territorio che conoscevano meglio in assoluto. Era troppa gente da poter abbattere da solo. O aveva un piano ben congegnato o quella a cui sarebbe andato incontro era morte certa. Sarebbe stato bello poter avvicinarsi a capire cos’era quella figura in ombra, se era la regina di quel formicaio, ma sarebbe stato come suicidarsi. Allo stesso modo sarebbe stato utile capire cosa creavano quelle macchine, se aveva senso fermarle, o meno. Di certo producevano un sacco di fumo e c’era una bolla di caldo soffocante in quel luogo. Il fumo nero e denso oramai filtrava anche attraverso l’elmo, tanto che anche respirare iniziava a farsi difficile. Cosa stavano bruciando per ottenere tutto quello smog? Carbone? Materiali plastici? Benzina? E cosa stavano producendo?

    Se avesse attaccato avrebbe potenzialmente causato un enorme incendio che poteva distruggere tutte le creature all’interno, ma la fuga delle fiamme verso l’ossigeno avrebbe travolto anche lui essendo quella in cui si trovava l’unica entrata visibile. Un buon modo di spegnere quelle fornaci sarebbe stato di seppellirle sotto chili di terra, gli stessi che posavano sopra il soffitto intagliato della cava. Se lo avesse fatto esplodere coi sigilli forse avrebbe ottenuto una frana adatta a sterminare qualunque cosa ci fosse sotto e se avesse avuto la prontezza di chiudere prima la via dove si trovava aveva condannato a morte certa tutti quegli umani corrotti. Sempre che il crollo del soffitto non avesse causato un’esplosione, quindi un incendio e quindi si trovava punto a capo. Il modo di fare un disastro e sterminare tutti c’era, bisogna solo vedere se fosse sensato rischiare tale manovra.

    Se avesse fatto esplodere il tutto, avrebbe possibilmente sterminato quell’infinità sciamante, ma avrebbe anche distrutto preziosissime informazioni che si celavano in quei macchinari. Se avesse fatto crollare il soffitto, oltre a rischiare l’esplosione avrebbe sepolto tutto, rendendone estremamente dispendioso e difficile il recupero. Si doveva anche considerare che c’erano altri punti da cui proveniva fuoco e fumo, quindi potenziali altri alveari da esplorare. Distruggerne uno quindi non causava problemi, anzi si guadagnavano informazioni utili per lanciare un exterminatus su tutti gli altri in caso di bisogno. Era anche vero che le sue erano solo assunzioni che potevano benissimo essere errate, come lo era stato il valutare i 1350 uomini in tutta l’area contenuta quando mille erano solo gli uomini in quel formicaio gigante!
    Forse poteva piazzare dei sigilli e far crollare l’entrata. Bloccando l’aria c’era una buona probabilità che si affumicassero e morissero per mancanza di ossigeno, ma era anche possibile che tempo zero riaprissero la via rendendo il suo tentativo di intrappolarli completamente inutile.

    Poteva fare mille cose diverse, ma qual era la cosa giusta da provare? Cosa dava i risultati migliori con il minimo sforzo? Cosa doveva fare in quel frangente?!
    Guardò allo schermo del visore, ancora nessuna tacca, dannazione. Possibile che quando aveva davvero bisogno di ordini dall’alto questi non arrivassero? Aveva bisogno di informazioni, consigli. Aveva bisogno di un superiore che gli dicesse cosa fare. Aveva paura, Korin, paura di prendere una decisione e scoprire di aver fatto la scelta peggiore possibile. Aveva paura di sbagliare, di fallire, di deludere, ma al contempo aveva paura di essere giudicato come un incapace o un ignavo. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare?
    Cosa avrebbe fatto Highball in quel momento? Lui di sicuro avrebbe avuto le conoscenze per sapere come agire, avrebbe avuto la risposta giusta al momento giusto. Gli mancava il suo ex comandante. Avrebbe voluto e dovuto apprendere di più da lui. In quel momento con una steel cloth leggera addosso non poteva che pensare a quanto fosse più facile servire sotto gli ordini del superiore. Quanto tutto sarebbe stato più facile senza quella maledizione. Quanto sarebbe morto se non avesse rilasciato il cosmo nel momento in cui più serviva.

    No, basta. Concentrati. Respirò profondamente per calmare i nervi. Doveva schiarirsi la mente. Doveva prendere una decisione. E doveva farlo da solo. Il fumo raschiò la gola causando un piccolo colpo di tosse.

    La corruzione infestava quella zona contenuta e si manifestava addosso agli umani con vistosi segni comuni, ma faceva comportare i suddetti umani in maniera anomala. Questi sembravano sì parte di una mente alveare, ma in maniera letterale, agivano come singoli membri di un formicaio. Cosa sapeva delle formiche? Le uniche che lasciavano il nido erano quelle più esperte e anziane, quando avevano una difesa sufficiente per andare in esplorazione. Le formiche più giovani invece rimanevano ad occuparsi della base e della loro regina. In certe situazioni alcune potevano sembrare immobili a guardia di un singolo percorso, ma in genere succedeva quando si temeva un attacco ed era mandatorio proteggere le formiche lavoratrici. Inoltre le formiche dormivano in brevi pisolini di pochi minuti. Era quello che stavano facendo le guardie che aveva distrutto fino ad adesso? Quelli che aveva sterminato all’esterno erano i naniti della colonia? Quella figura in ombra era la regina? C’erano troppe poche guardie per essere una colonia. Tutte loro dovevano saltargli addosso una volta fiutato l’intruso. Non aveva senso che nessuno fosse ancora venuto ad attaccarlo.

    Non poteva rischiare. Non doveva rischiare. Era un peccato, ma doveva accontentarsi delle informazioni già raccolte per il momento. La cosa più saggia era tornare indietro, dare agli scienziati tutto il materiale raccolto da studiare, dire loro tutto, ristabilire le comunicazioni e poi forse avventurarsi di nuovo da solo verso un nido differente, o con una squadra contro quel nido dove si trovava in quel momento. Era la cosa più sensata. Era molto più intelligente tornare indietro da ignavo che distruggere gli studi che potevano salvare l’umanità.
    Sì, era deciso. Doveva tornare alla base.
    Si incamminò cercando di battere il percorso fatto a ritroso.


    Statistiche

    Stato Fisico: Affaticato, ma altrimenti perfetto.

    Stato Mentale: I’m ready.

    Stato Armatura: Cloth: In riparazione. Non Indossata.
    Steel cloth: lvl 3, indossata. Qualche danno superficiale, ma niente di che.

    Riassunto: Korin decide di aver visto abbastanza, che quello non è approcciabile facilmente al suo livello energetico, ne ha senso farlo dal punto di vista scientifico.
    Decide di tornare indietro verso la base.



     
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    Nel preciso istante in cui dai le spalle alla creatura, primo ancora che tu faccia un passo verso la via del ritorno, il suono di un respiro a millimetri dal tuo orecchio ti travolge i sensi. Una voce cavernosa, grave ed assolutamente inumana si rivolge a te:

    Where are you going, little boy?

    Il rumore della voce venne coperto dal chiasso di decine di strappi, di valvole che scoppiavano e di macchinari che venivano trascinati. La massa di carne in fondo comincio a muoversi convulsamente. Qualcosa sotto quella superficie si stava agitando e scuotendo con grande ma misurata violenza.

    Credi davvero di poter andare via così?

    Da un angolo della massa di carne si fece strada un groviglio di tendini e muscoli, squarciando la “pelle” di quel cumulo di carne. Quei tendini si avvilupparono intorno ad uno dei corrotti in stato catatonico, e lo trascinò all'interno senza neanche una lamentela. Il suono di ossa rotte e carne maciullata echeggiò tutto intorno, per poi finire in un momento di silenzio.

    Entri nella mia casa, osi rovinare la perfetta composizione della mia colonia, e non contento mi dai le spalle?

    Un altro strappo, e la massa di carne esplose come un palloncino pieno d'acqua, ma invece di bagnare innocuamente le pareti della caverna, l'esplosione le aveva macchiate di un liquido grigiastro nauseabondo. Da quella derisione del concetto di nascita, circondato da pezzi di tessuti muscolari e pozze nel terreno, qualcosa si destò:
    Una mostruosità dalla pelle grigia, estremamente emaciata e dall'aspetto vagamente antropomorfo. Alta almeno sei metri, con quelle che sembravano ossa in risalto sotto la pelle, ed un'assoluta mancanza di qualsivoglia genitali, quella creatura sembrava un bizzarro tentativo di “qualcosa” di ricreare una persona usando solo un pallido ricordo come base. Il suo aspetto era gracile e minaccioso allo stesso tempo, e quella voce potente rendeva ogni singola cosa ancora più assurda.


    You will die here, little boy.



    OH BOY OH BOY I'M HERE PACKING 40 POUNDS OF JOY
     
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