Ikari No Tora - Le Tigri Dell'Ira

Chapter I - Decisions

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    Brusio generale.

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    Chi sveglia una tigre addormentata rischia la vita




    Nel brusio generale, della Grande Sala Dello Specchio, la Corte di Mezzanotte tutta aveva questo pensiero.
    Il Byakko di G.E.A si era svegliato del tutto e aveva iniziato a ruggire. Aveva iniziato a muoversi per lungo tempo, iniziando ad annusare i suoi nemici ma sopratutto i possibili alleati. Aveva cacciato, aveva combattuto, aveva dilaniato e i suoi artigli erano come spruzzi di stelle; esplosioni di luce argentata in una tenebra fitta da aver fatto dimenticare i colori.


    «Sua spadità...»

    Rakhramor era turbato. Il suo bastone non oscillava assecondando i movimenti e i tic del mago di corte. Era fermo. Come il piccolo troll. In attesa anche lui eppure i suoi occhi erano tempesta.
    Si muovevano da Amaterasu alla sua Corte. Quel brusio si stava alzando sempre di più. Eppure l'Araldo, con una guancia appoggiata al pugno, sembrava in contemplazione o che poco gli importasse di quella tempesta che si stava alzando sempre di più sotto forma di voci, di pugni battuti sul tavolo e di un serpeggiante no che a poco a poco divenne un grido che fece tremare le pareti del Crogiolo.
    E rimase comunque in silenzio.
    Osservando.

    «Sarà arrabbiato?»

    Disse sottovoce il troll all'indirizzo di Eleandra la Veggente del clan dei Bakeneko.

    «Sta osservando, non vedi?»

    «Quello che sta facendo lo trovo giusto ma...»

    «Amaterasu o mi kami non perde mai.
    Vuole la Guerra e noi dobbiamo essere pronti anche a ingoiare qualche boccone amaro per il bene della Realtà.»


    La vecchia veggente si stava appoggiando la suo bastone nodoso nutrendo fiducia nelle parole dell'Araldo. Ma la Corte di Mezzanotte era libera e selvaggia. Imprevedibile. Bellicosa. In essa vi era il bene e il male, la creazione e la distruzione. Esseri che operavano nelle tenebre più fitte, demoni sanguinari, e altri nobili e puri.
    La Vita in ogni sua forma. Il Crogiolo di ogni cosa.

    «Ma non tutti sono d'accordo.»

    Il suo bastone indicò il gruppo del Clan dei Nekomata. E sopratutto il loro Yokai Nobile.


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    «Yoko Kurama...»



    La sua coda frustava l'aria, mentre il suo volto – sornione e sorridente – tradiva un animo corrotto e maledetto. Fiamme spirituali danzavano intorno a lui che schiacciava, incurante, con la sua coda producendo un fischio così acuto da sembrare artigli che scheggiassero una lavagna.
    La lingua schioccò sul palato, mentre si sporse lisciandosi i lunghi capelli bianchi come neve.

    «Non vorrei disilludere le sue aspettative, Amaterasu o mi kami, ma non unirò il mio clan a questa pantomima. Posso anche soprassedere, per il bene della Madre, a mischiarmi con Atlantidei e Saint; anche a far finta di nulla – fino a che questo gioco mi garba – sulla loro mancanza di rispetto ma ucciderò seduta stante qualsiasi esponente dell'Ordine Nero.»

    Le sue parole erano un raschiare. Yoko Kurama era vendicativo forse più di Menreiki che, stranamente rimaneva in silenzio.
    Le sue marionette ferme intorno a lui come una cornice fatta di morte. Il dito dello Yokai si alzò e una delle maschere del suo volto cambiò espressione.
    Sorrideva inquietante. Shi no butai bijutsuka, Lo scenografo della morte.
    Così era chiamato. Le sue marionette erano una parte del suo corpo, fatte a somiglianza dei suoi nemici, mentre i loro cuori battevano nell'ingranaggio, che lui amava definire Io, che dava sostanza ed essere al suo spettacolo teatrale.

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    «Sei così divertente, mia cara, che vorrei ascoltare il suono del tuo cuore.»



    «Tu no. E non parlavo con te attore

    Fu sputata quella parola. Con disprezzo, alterigia, drizzando la schiena mentre gli occhi brillarono ferali e le sue code si muovevano come serpi intorno a lei.
    Ma sembrò che tutto questo divertisse ancora Menreiki che non tradiva sentimenti alcuno.

    «Se la persona che pronuncia l'offesa è il nulla, anche l'offesa stessa perde di forza, mia cara. Tu per me non sei nulla. Le tue parole puzzano, tu puzzi di carogne – le stesse che ti mangi. Sei tu stessa una carogna.
    Amaterasu o mi kami ci ha chiesto di combattere con gli uomini? Noi combatteremo anche perché è precisa volontà di G.E.A. Le parole dell'Araldo dell'Inizio sono le sue. O ti sei dimenticata con chi parli? A chi stai dicendo di no?
    Quando decidi di ritrovare il coraggio, quando molti di voi lo ritroveranno insieme a qualcos'altro nelle mutande avvertitemi che questi discorsi sono noiosi e tediosi.»


    Il Clan delle Nekomate insorse a quelle parole. Ma Menreiki e l'intero Clan dei Tsukumogami non si mossero ne parlarono.
    Maschere terribili, oggetti divenuti demoni, spiriti vendicativi e maledetti che si impossessavano di oggetti di uso quotidiano per poter far impazzire gli uomini e divorarli.
    E vederli in silenzio, con quegli occhi vuoti, mentre le 66 maschere di Menreiki rimanevano ferme intorno a lui fu uno spettacolo che fece sorgere un brivido freddo a più di uno della Corte di Mezzanotte.
    Ma un boato riempì l'aria.
    La lancia di Sampitalakamui aveva battuto per terra crepando una piccola zona.


    «Litigare non ci servirà a nulla. Ritrovate la calma, ve ne prego. E quando tutto questo finirà potrete continuare il discorso nei modi e nel tempo che vi sembreranno più adeguati. »

    maestosa e calma. Dura. Stabile. L'Araldo della terra, uno dei tre Dei della Spada. La Guardia Personale di Amaterasu o mi kami.

    «Le parole e i pensieri di entrambi, sebbene i modi non li approvi, sono le stesse che provo io. Da una parte il pericolo impone scelte drastiche ma dall'altra il timore è giustificato. L'Ordine Nero trae forza da un potere che non conoscono...ma sopratutto subdolo. Il solo pensiero di averli così vicini ad Agartha, così vicini a noi non mi lascia indifferente. »

    «è quello che sto dicendo e nessuno di voi lo vuole capire! Devo combattere per gli stessi che usano il Chaos, che sono vicini ai 5 bastardi? Mettere a rischio Agartha e la madre?!
    Menreiki te lo faresti?!»


    Cambiò maschera il bastardo della corte di Mezzanotte

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    «Nessuno ci ha detto che non possiamo ammazzarli se non staranno ai patti o se qualcosa andrà storto.»



    Nessuna pietà. Nessuna umanità. Causa ed effetto. E queste parole fecero sorridere, ma fu più un ghigno, uno squarcio sul volto di Yoko Kurama che si lasciò andare sullo schienale.

    «Pazzo! Ma proprio per questo ti adoro schifoso bastardo.»

    «Stiamo parlando del nulla. Hanno un debito verso di noi...tutti – nessuno escluso – devono capire che vengono sorretti dalle nostre spalle.»

    Eppure ancora Amaterasu non parlava.
    E spettava a lei soltanto l'ultima parola.

    «Amaterasu posso parlare?»

    La voce fu come un ruggito. Rimbalzò di parete in parete, come un sasso lanciato di piatto sull'acqua.
    Una figura mastodontica alta più di tre metri si erse da uno scranno posto in alto, in un angolo poco rischiarato dalla luce del Sole.
    Il pelo nero come la notte, coperto di cicatrici e indossa una tunica nera dalle rifiniture d'argento. Si percepì chiaramente il senso di profondo rispetto che tutta la corta aveva nei confronti di quella creatura. I penetranti occhi gialli osservavano e soppesavano. Un enorme Orso Mannaro, Yokai Nobile del Clan dei Licantropi. Ajta il suo nome. Parlavano le sue imprese, le sue cicatrici,il suo essere silenzioso ma pronto all'ira come al bere ma anche alla battaglia e al sacrificio lì dove ce ne fosse stato bisogno.
    Il fatto che prese parola, l'ultima volta fu durante il tradimento che portò Saria a insinuarsi nella Corte per distruggere il Crogiolo, era significativo.
    Mai parlava e quando lo faceva non era a caso.
    Si guardarono Araldo e Yokai Nobile. Il cenno d'assenso del primo.

    «Il punto non è questo...il punto è: possiamo farne davvero a meno? Che siano Black Saint o meno possiamo davvero sorreggere tutto questo da soli?»

    Quelle parole mettevano in dubbio l'orgoglio della Corte di Mezzanotte e feroci insulti volarono per la sala, ma Ajta rimase composto. Le braccia intrecciate sul petto, il respiro calmo e quegli occhi che non si discostavano da quelli dell'Araldo.

    «I Black Saint hanno già combattuto il Chaos e a modo loro hanno forza ed orgoglio. Non possiamo farne a meno. Perché tutti sono coinvolti in questo. Questi nemici non fanno distinzione...sono un ostacolo per la conquista e verranno....verremmo spazzati via.
    Combatterò con i Black Saint o chi per loro se questo significa salvare la Realtà e vincere questa guerra.
    Perché, vi ricordo, questa è una guerra.
    E il nemico del mio nemico è mio amico


    Amaterasu sorrise sornione sotto la folta barba. Si alzò finalmente l'Araldo dell'Inizio da quell'immobilismo soprannaturale.

    «Il punto è proprio tutto questo. Il nostro orgoglio è immane ma vincere non lo possiamo fare da soli. Possiamo rallentarli ma vincere non lo potremmo fare mai. Non contro i Caduti, Corruzione e Dei Del Chaos uniti in un piano che va avanti dal Principio della Creazione.»

    Iniziò ad andare verso il centro della sala. Lì dove campeggiava lo Specchio Sacro.

    «Non ho mai perso e non voglio perdere questa battaglia. La più importante fin'ora...»

    Stasi.

    «Certo vorrei che il mondo fosse pieno di Bartolomeo del Toro ma non è così purtroppo. Sono un Araldo non sono un essere umano e la parte umana di Draka ormai è solo un ricordo.
    Ho combattuto contro Black Gemini...lo stesso uomo che si è battuto sulla terra del Giappone. I motivi che lo hanno spinto a farlo? Poco me ne importa. Che abbia abbracciato il Nero per qualsivoglia motivo è inutile scoprirlo e saperlo. Non m'interessa affatto perché per me queste cose sono inutili. Ma combatterci mi ha resa più nitida al sua anima e ancora non era preda di quelle stesse ombre che sfrutta, a suo dire, per proteggere questo mondo.»


    E qui era palese quanto gli Araldi fossero pari ai Titani in quanto ad estraneità. Erano altro. Un quid che per gli uomini era impossibile da capire allo stesso modo in cui era impossibile per un secchiello contenere tutta l'acqua dell'oceano.

    «Il mondo non può essere solo fatto dai Bartolomeo o dai Johanna. Esistono varie sfaccettature. Così come odiare, amare, tentare di avere l'amore di una persona per poi accorgersi che non lo potremmo mai avere. Ferire, ferirsi, allontanare noi stessi le persone che ci amano o di ricorrere quelli che non potremmo mai avere.
    Si chiama vita tutto questo. Ecco perché i Black Saint sono ugualmente importanti. Anche solo per quella Lacrima di Nero che sfruttano per avere potere.»


    Si lisciò la barba.

    «Si dice che se guardi nell'Abisso alla fine è l'Abisso che guarda dentro di te. Ma cosa succede se chi sta guardando nell'Abisso è guardato proprio da Amaterasu o mi kami?»

    Un qualcosa si definiva.

    «L'Abisso guarderà me non i Black Saint e, finalmente, avrò quei bastardi vicini. Tanto basta per la mia spada

    Un tlack. Sguainò per metà della lunghezza Kusanagi, per poi rinfoderarla a velocità luce che creò uno spostamento d'aria improvviso. Così forte da spezzare il marmo delle gradinate e ferire quelli della sua corte più deboli.

    «Non sottovalutate l'orgoglio dell'uomo e la sua volontà di libertà. In più hanno troppo, se non tutto, da perdere come giustamente ha detto Ajta.
    Per cento Bartolomeo ci saranno sempre cento Black Saint, per ogni Johanna una Sanja. Cosa poterà questo alle caste? Non lo so. Non posso vedere il futuro e se lo avessi potuto vedere sicuramente non avrei visto il futuro delle caste.
    Ma avrei potuto fermare Ponto e ucciderlo. Porre un freno alla Corruzione, evitare l'Armageddon, evitare sofferenze ai miei fratelli, a mia madre, al Giappone e a questa realtà.»


    Il pugno a serrarsi. Aveva mancato le sue responsabilità, aveva perso mani e la vita di molti divenne come sabbia a scivolargli via. L'Abisso, la Corruzione i Caduti...lui voleva tutti loro a portata del filo della sua spada per poi ucciderli tutti. Voleva camminare tra le loro budella, farsi il bagno finanche nel loro sangue.

    «Ma purtroppo non posso vedere il Futuro.
    Cosa accadrà se vincessimo? Le caste saranno unite? Poseidone e Atena collaborerebbero per fermare Hades? No. Si. Chissà...non m'importa.
    Io devo pensare a vincere e a dargli un futuro, un nuovo orizzonte saranno poi, come sempre, loro a creare qualcosa. Io continuerò a vegliare... »


    Se fosse stato ancora vivo. Ma non lo disse. Non era il momento di essere pessimisti. In più non faceva parte del suo carattere esserlo...inguaribile romantico ottimista.


    «Quindi...» Allargò le sue braccia come a volerli abbracciare tutti. Il silenzio calò sulla sala.
    E la sua forma cambiò. Per ogni elemento mutava non solo diventando luce o fuoco ma anche altro.
    Fu come quando nell'antica Asia venne conosciuto con molti nomi. Sia donna che uomo. Perché amava cambiare, mutare, non essere mai uguale a prima. E così i nomi che ebbe rispecchiavano solo una piccola parte di quello che era e rappresentava. Ma un nome solo divenne quello che usò.
    Quello che fu più vicino alla sua essenza primigenia.
    Al Codice. Alla missione che G.E.A gli diede e perché lo aveva creato.

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    天照大御神
    A M A T E R A S U O M I K A M I



    Ed ora quella luce si propagò ovunque.

    «Vi chiedo ancora, per un'altra volta, l'ennesima, per una nuova battaglia sul Muro, volete combattere con me? Per il futuro?»

    La Corte si alzò tutta insieme. Ajta affilò i suoi artigli, le maschere di Menreiki turbinarono attorno a lui, Yoko Kurama fece esplodere il suo nefasto cosmo, Tamamo no Mae si leccò le labbra. Sampitalakamui fece turbinare la sua lancia battendola più e più volte per terra, Shinatsuhiko ed Heng'e sguinarono le loro spade. L'uno si alzò fino al soffitto della sala mischiando i suoi fulmini con quelli del Crogiolo mentre Heng'e, con un movimento sinuoso, fece turbinare la lama che aprì squarci nello spazio perdendosi nel cielo dove il Sole continuava a svettare.
    L'intero Crogiolo esplose di cosmo e furore.
    Agartha tutta avrebbe sentito il canto della Creazione. Era la dichiarazione di intenti dell'Araldo dell'Inizio. Non più parole ma azioni. Perché le parole erano vento ma le azione marmo.
    Alzarono i pugni al cielo. Le loro armi. I loro artigli. Cosmi oscuri o fatti di luce. Male o bene.
    La Corte ancora una volta si univa attorno al Sole non per proteggerlo ma per permettergli di sorgere ancora una volta per questo Mondo devastato.
    E il Sole si inchinò verso di loro. Il suo ringraziamento per quello che facevano, per la loro forza e coraggio e per il sangue che li offrivano.

    «Vi ringrazio ancora...grazie a tutti...non vi deluderò.»

    Si rialzò.

    «Ho mandato delle api verso i miei fratelli e al Parlamento Verde. Ma non basta. Che sappiano che il Tempio Sud è in guerra. Che io personalmente sono in Guerra.
    Sampitalakamui e Nikolaus andrete da Oberon e dalla Corte di Mezzogiorno.
    Che parli anche un uomo...un uomo che non ha cosmo ma che vuole combattere.

    Ajta tu andrai da P.A.N e dal Parlamento Rosso. Credo che ti troverai bene.

    Rakhramor ed Eleandra voi andrete dal Parlamento Verde. Nerthus ancora non ha aperto i suoi occhi ma abbiamo bisogno, in mancanza di Nerthus, della forza della Crescita. Tutta Agartha deve combattere.

    E per quanto riguarda Chernobog...»
    respirò. Chernobog...La sua controparte. Si poteva dire che fossero gemelli nel pensiero di G.E.A. Ma in realtà ognuno dei due era lontanissimo dall'altro.
    E vicino allo stesso tempo. Per questo sapeva che era il più difficile.

    «Menreiki trova Astolfo sui Carpazi e poi dirigetevi da Chernobog e al Trono D'Ossa.»

    Glielo doveva questo al bastardo di Astolfo. Si sarebbe divertito sicuramente. In più menreiki e Astolfo erano terribili. Peggiori di qualsiasi malattia perché erano puro male.
    Poteva mandare Yoko ma con Menreiki sarebbero state scintille e in più aveva per lei un'altra missione.

    «Yoko Kurama vai ad Asgard e porta il mio invito ai Cavalieri del Nord.»

    Bartolomeo stava facendo il suo. Amaterasu avrebbe onorato i patti.

    « Mandate l'invito anche ai Saint e ai Black Saint. Sōjōbō va dai Black Saint, dai saint andranno Sengen sama, Tate e Haku che già conoscono Andrea del Leone.
    Manderò delle Api al Ryūgū-jō, così Ryujin andrà ad Atlantide di fronte ai Sette.

    Un'ultima cosa...dite ai miei fratelli che devo parlargli immediatamente. Quindi finissero i loro affari.
    Io sono uno che ha poca pazienza di solito...»

     
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