[TRAMA] Wicked Game

~Rain~ → Energia Viola

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    WICKED GAME~Rain~ → Energia Viola
    PROLOGO


    What a wicked game you play to make me feel this way.
    What a wicked thing to do, to let me dream of you.
    What a wicked thing to say, you never felt this way.
    What a wicked thing to do, to make me dream of you


    ***



    È passato tanto tempo da quando ti sei rilassato così. Certo, c'è sempre qualcosa da fare sia nel settore che a Mechanus, ma mentre sei immerso nel tuo ultimo progetto, nella tua ultima idea che stai testando...ti accorgi per un attimo di essere sereno. Di avere quell'attimo di pace in cui i pensieri negativi sono allontanati.

    Dura poco. Prima che tutto ti ritorni alla mente come una nuvola di vapore soffocante.

    Senti l'enorme mano di Neumannus posarsi sulla tua spalla. Siete soli in laboratorio al momento, un po' come ai vecchi tempi. La sua stretta è solida, paterna, senza giri di parole. Non ce n'è bisogno.

    Non ti scordare di quella cosa, ma stai attento.

    Il Tenno ti passa un file e lo riguardi per l'ennesima volta, dopo aver passato il sigillo dei servizi segreti. È una richiesta di incontro, anonima, ma venata di un'urgenza.

    È un filmato di una donna, sta guardando in camera con gli occhi accesi di determinazione. Sembra stare registrando da un sotterraneo o qualcosa dove la luce va e viene ma...dèi, ogni momento in cui la luce illumina lo schermo, quasi ti si ferma il cuore. Anche se ha visto giorni migliori, qualcosa in lei semplicemente ti abbaglia anche separati da uno schermo.

    La sua voce è miele caldo colato al lume di candela. La senti anche se il segnale è disturbato.

    Ma non è infatuazione. Oh no.

    Azae...so che sei lì. Dobbiamo incontrarci. Sei l'unico che capirebbe perché sto contattando te, fra mille altri...l'unico che capirebbe quanto è importante ciò che devi proteggere.

    Cosa succederebbe se lei...lui...loro ci mettessero le mani sopra. Si stanno già muovendo.

    Ti prego.


    Riconosceresti quella donna in ogni universo.

    12d27d2c5163bd59ef95245dd83a1422

    È Circe.






    Su4sahH

    Beh, benvenuto nel tuo test per la viola, splendore!

    Le coordinate sono quelle dell'isola di Tonga. Circe non si farà mai vedere da nessun altro che non sia tu, ma sta a te decidere se vuoi andarci armato, con l'esercito o altro. Non ti dà un tempo limite, né una data...e a dire il vero neanche un obbligo.

    Vuoi andarci?
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    Wicked Game
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    La tazza di caffè doveva essersi ormai raffreddata, poggiata all’estremità del banco da lavoro da troppo tempo. Ne aveva preso giusto un sorso, distrattamente, prima di tornare al lavoro. Non aveva nemmeno dato uno sguardo all’orario in cui era entrato nel laboratorio personale della Città di Ferro, si era semplicemente svegliato la notte prima, con un’idea, e non aveva chiuso occhio dalla notte precedente. Non era più strana come sensazione, svegliarsi e dirigersi lì quando anche la più piccola idea balenava nella sua testa. Era più forte di lui, doveva realizzarla – doveva mettere in moto la macchina e produrre, lavorare, pensare. Così si era ritagliato il giusto quantitativo di riposo, all’interno del laboratorio stesso, in modo da restare in forze anche durante il giorno seguente. Non era una cosa del tutto estranea a lui. Aveva cominciato proprio dormendo in un laboratorio, di fronte al tavolo con i progetti di Mechanus. Ogni giorno si era alzato e aveva fischiettato la propria canzone fino ad incontrare il tenno, pronto a passare altre ventiquattro ore in sua compagnia, per poi tornare nello stesso – piccolo – laboratorio e lavorare alle proprie idee, prima di addormentarsi ancora. No, Oliver conosceva anche fin troppo bene quel ritmo di lavoro, il suo corpo era tranquillo sotto una pressione del genere – non aveva di che preoccuparsi. La parte più ruvida della lima andò a grattare il piccolo innesto di ayatan, che produsse una scintilla azzurra.



    Sentì una perla di sudore scendere dalla fronte e scontrarsi con gli occhiali da saldatura, ma non ci fece caso, la sua completa attenzione era indirizzata sul prototipo di autogestione e limitazione della carica cosmica necessaria ad alimentare un circuito energetico. Solitamente, l’input e l’output erano impostati secondo un certo grado di entrata ed uscita, per regolare un quantitativo minore – o superiore – era necessario intervenire manualmente. Ma cosa sarebbe successo se avesse realizzato un dispositivo in grado di aumentare o diminuire la portata, in maniera intelligente, grazie ad un’analisi del flusso in tempo reale? Se la carica si fosse rivelata troppo instabile e grande, allora il dispositivo l’avrebbe diminuita – viceversa, se si fosse rivelata troppo debole o limitata, il dispositivo l’avrebbe aumentata. Non era molto diverso dal concetto di una porta che bloccava un’enorme affluenza. Aprendone solo un po’, sarebbe passata attraverso uno spazio limitato – dando vita soltanto a un piccolo rivolo d’acqua – se invece la porta fosse stata completamente spalancata, allora non ci sarebbe stato alcun impedimento alla piena. Ecco come funzionava, quel meccanismo era ciò che regolava la porta dell’affluenza di cosmo in maniera sicura ed efficiente. Alzò per un attimo gli occhi, alla ricerca del nuovo componente necessario – una guarnizione da applicare nel corpo che si sarebbe incastrato sopra al generatore. Allungò una mano per prenderlo da una manciata sparsa sul tavolo, ma il primo agguantato si ruppe sotto lo sforzo di inserirlo. Troppo stretto. Il secondo andò già meglio; si trattava soltanto di un prototipo, un gioco fatto per divertirsi. Se avesse correttamente svolto il suo lavoro, avrebbe analizzato in maniera ancor più dettagliata il progetto, cominciando la realizzazione in serie con componenti più adatti. Poggiò il saldatore su una piattaforma d’oricalco vicina, ed il fumo che esso generava fu subito aspirato dal sistema di areazione, disperdendo qualsiasi odore di metallo o bruciato.




    Passò alla parte più importante, la prova sotto sforzo energetico. Prese un paio di cavi di gomma e li collegò ad una piccola batteria – che emanava un bagliore azzurro – tramite dei connettori; l’altra estremità dei cavi, dotati di piccole pinze, andarono a chiudere in una morsa piuttosto stretta le due parti dell’autogestores, così amichevolmente rinominato, indirizzate ad essere caricate attraverso il cosmo. La batteria si illuminò in maniera maggiore, trasferendo una piccola carica di cosmo all’apparecchio – che si attivò prontamente. Sul piccolo schermo iniziarono a comparire dati relativi al flusso e alla potenza, e il volto di Cuordimetallo si illuminò con un piccolo sorriso, che si spense allo spegnersi improvviso del display.Lo guardò per un secondo, con gli angoli della bocca piegati verso il basso, cercando di capire cosa fosse successo. Forse era ancora troppo debole per gestire un quantitativo simile di cosmo? Ma se non era riuscito a gestire una batteria standard, come avrebbe potuto controllare quelle ben più grandi che alimentavano le apparecchiature imperiali? Doveva riprovare. Prese a smontare di nuovo tutte le parti in oricalco e materiali vari, procedendo ad analizzare le parti bruciate dopo la conduzione energetica. Forse avrebbe dovuto rinforzarle con una doppia calibratura; si mise al lavoro per tentare quella strada, d’altronde era così che bisognava fare con i nuovi progetti, tentare ogni strada fino a trovare quella perfetta, o almeno quella più vicina alla perfezione.



    E furono proprio quei tentativi su tentativi ad eliminare qualsiasi altra preoccupazione dalla sua testa. Non fu una cosa di cui si rese conto, non fu qualcosa che realizzò completamente – come un’epifania – ma il completo diradarsi delle nuvole all’interno della sua mente. Spedì lontano da quel luogo, fisico e non, tutto ciò che non era utile al lavoro di quel momento; l’asetticità di ciò che lo circondava, assieme ai problemi che avevano preteso tutta l’attenzione possibile, costituì un grande muro oltre il quale non riuscirono a passare le distrazioni di un regno, di una vita. Non era poi tanto diverso da ciò che aveva fatto con Amaterasu, tenersi impegnato attraverso un lavoro di natura sciocca, ma che era stato così importante da mettere in ordine tutto ciò che c’era dentro di lui. Alla fine del loro percorso, la via era stata riordinata, era stata pulita, e così avrebbe continuato a fare, ritagliandosi momenti del genere a qualsiasi costo, momenti in cui non doveva fare altro che essere un ingegnere, un progettatore, e portare avanti il suo lavoro con zelo e dedizione per raggiungere picchi sempre più alti, per dare alle persone una vita migliore di volta in volta. Combattere per quel mondo era il compito più nobile che aveva deciso di accettare, l’orgoglio più grande, ma non era l’unico.



    Poteva cambiare la realtà attorno a lui, la vita delle persone, anche con le sue idee – con le sue invenzioni. La corruzione ed il chaos potevano essere sconfitti tramite quel genere di potere, ma era un altro tipo di battaglia che avrebbe permesso alla gente di ritornare ad una vita simile a quella condotta prima dell’armageddon. Tutto cominciava dalla calma che poteva raccogliere in quei momenti. Non ci fu più la voce nella sua testa, né la sensazione della mano sulla spalla. Non doveva più chiudere gli occhi per combattere la tentazione delle illusioni, non doveva nemmeno più chiudersi nella sala d’allenamento per sfogare la rabbia con lo sforzo fisico. Era calmo, era sereno, e andava bene così. Andava bene così perché avrebbe finalmente potuto guardare in avanti, non più indietro. Andava bene così perché c’era ancora tanto da fare, e ogni cosa avrebbe richiesto il massimo delle sue attenzioni e della sua concentrazione. Andava bene così perché tutto era una lezione da assimilare e fare propria, per poi usarla per confortare ed aiutare persone che ripercorrevano gli stessi passi, che affrontavano quel tipo di esperienze. Non si accorse nemmeno di star sorridendo, mentre saldava di nuovo altri tipi di componenti, mentre si rendeva indaffarato e cercava gli attrezzi, mentre leggeva i progetti appena modificati. Una bellissima distrazione, un salvavita fatto di pareti di metallo, di congegni, di strumenti da usare – il rumore del laboratorio e il lieve ronzio dei sistemi, il suono del piede che tamburellava sul pavimento mentre pensava.



    Una composizione che aveva amato, che aveva imparato ad amare come molti altri prima di lui. Qualsiasi ingegnere a Mechanus avrebbe confermato le parole del proprio Re, dicendo che il miglior posto in cui stare era proprio la stanza dove tutto accadeva, dove l’immaginazione sublimava in realtà, con la possibilità offerta dal luogo in cui erano orgogliosi di abitare e lavorare. Il corpo di Oliver si rilassò a tal punto che ogni suo movimento divenne naturale, una conseguenza al pensiero sviluppato sul momento – sul da farsi – che diventava quasi un’esibizione. Cammina, ispeziona, sostituisci, stringi – alimenta – analizza ancora, correggi. Comunicò ad E.m.i.l di aprire l’ologramma del progetto, forse era arrivato ad una soluzione definitiva. Anche quella sensazione era gratificante, la stabilità dopo un problema – il sorriso dopo la preoccupazione. La base custodita da Neumannus aveva confermato l’assenza di problemi nei lavori, così come la base centrale ad Hammerfall aveva risolto i piccoli intoppi nati qualche giorno prima. Avrebbe potuto dedicarsi a quel giocattolo per il tempo necessario. Il tenno, che era rimasto nel laboratorio con lui per tutto il tempo, procedeva ad annotare i valori base dei generatori su cui avrebbero dovuto sperimentare, in modo da fornire dei dati per una prospettiva. Anche la sua figura fu quasi completamente eliminata dalla concentrazione che Oliver aveva accumulato in quel momento. L’unica cosa che vedeva erano i circuiti, la macchina, la possibilità oltre quel piccolo valico da scavalcare. Doveva soltanto-


    Non ti scordare di quella cosa, ma stai attento.




    La mano sulla spalla lo costrinse a voltarsi di scatto, per ritrovarsi a fissare il maestro negli occhi – o quelli che di fatto erano occhi, per loro. Aprì e chiuse gli occhi velocemente, un paio di volte, arrivando a strofinarli per qualche secondo. Tutto tornò a bussare alla sua porta, compresa la consapevolezza di ciò che aveva detto il Guardiano. Spostò lo sguardo verso il pavimento, riflettendo un attimo. Ancora non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi di fronte ad un evento del genere. Non era qualcosa che capitava tutti i giorni – nonostante la vita non ordinaria che conduceva. Annuì, alzandosi per un secondo e notando come il tenno fosse diventato leggermente più basso, o forse era lui che era diventato più alto. Non doveva dimenticarsi di quella cosa, già, come avrebbe potuto? Quella comunicazione, forse sarebbe stato meglio dire richiesta d’aiuto, era pervenuta a lui tramite una consegna diversa dalle altre. L’intelligence l’aveva accolta e passata ad Elyan che – eliminando ogni traccia di goliardia e divertimento nella sua voce – l’aveva direttamente consegnata al suo Primarca. Era stato colto completamente di sorpresa, in una giornata tranquilla – e ciò aveva avuto molto più impatto del solito. La prima volta aveva dovuto riascoltare il messaggio più di una volta, continuava a distrarsi a causa del tono, anche se preoccupato – come se fosse andata di fretta.



    Nonostante ciò, il suo aspetto non lasciava trasparire timore o paura, solo un’evidente voglia di risolvere ciò che stava succedendo, una voglia espressa in modo altrettanto evidente tramite il suo sguardo. Gli occhi fissi avevano incontrato quelli di Oliver, che all’udire l’inizio del messaggio aveva pensato soltanto una cosa – non sono Azae. Ma forse la donna si era riferita semplicemente alla discendenza della sua armatura, non avendolo incontrato di persona. A pensarci più volte, dopo aver riposto la tavoletta d’oricalco, aveva anche sorriso con rabbia, sarebbe stato troppo offensivo rivolgersi a lui con il nome che portava ufficilamente: Scilla. Sollecitato da Neumannus, Oliver riaprì nuovamente il messaggio. Ancora una volta sentì la sua voce e qualcosa dentro di lui si dimenò. I capelli rossi, la pelle chiara, la voce – tutto imprimeva su di lui un effetto che, senza nemmeno pensarci troppo, lo intimoriva. Non come nemico, non come minaccia, ma per l’effetto incontrollato che sarebbe potuto nascere. Chiuse ancora una volta il messaggio, e il silenzio tornò all’interno del laboratorio – un silenzio che il tenno attendeva di rompere, ascoltando le considerazioni del Fabricator Comandante ancora una volta. Già- finalmente disse, alzandosi e incrociando le braccia, compiendo qualche passo per riflettere.



    Non mi fido moltoPer via di ciò che è successo tanto tempo fa? L’allusione dell’altro fece riferimento a tutto l’accaduto al tempo prima del loro tempo. Oliver annuì, senza smettere di muoversi per l’ambiente. Era ovviamente in cerca d’aiuto, ma per quale motivo? Qualcosa che entrambi avevano da proteggere. Perfino le memorie connesse al khala, in alcuni punti, faticavano a sincronizzarsi – nonostante la sua ottima gestione del flusso fatto di vite, alcuni punti ancora si mostravano come immagini e scene più difficili da ricordare. Gli era stato detto che sarebbe stata una cosa naturale, che sarebbe tutto migliorato con il tempo – fino ad arrivare alla possibilità di leggere tutto come davanti ad una grande biblioteca. Qualcosa che entrambi abbiamo da proteggere da qualcuno. Lei, lui, loro. Ripeté l’ultima frase con un tono leggermente più basso. A chi si riferiva? Chi è che poteva mettere in uno stato di allerta perfino un essere potente come Circe? Ciò non alleggerì molto le sue preoccupazioni, tutt’altro, servì soltanto ad aumentarle. Aveva fatto appello al bisogno del Primarca di proteggere qualcosa – se non qualcuno – e ciò aggravò ulteriormente la sua posizione nei confronti di tutto ciò. Non avrebbe potuto rifiutare una richiesta di protezione, non avrebbe potuto lasciar andare tutto – ignorare, farsi da parte – e lasciar evolvere un ipotetico pericolo.



    Forse stava soltanto giocando con lui, forse era soltanto un altro dei suoi trucchi, come tutti quelli che aveva usato su tanti uomini ignari, come quello che aveva usato – alla fine – su una ninfa innocente. Eppure, la voce nella sua testa non poté fare a meno di ricordargli che c’erano forze anche più grandi di loro, che potevano minacciare anche le divinità. Sospirò, guardando di nuovo Manny. Ha parlato ad Azae, non al Primarca. Vuole che vada da lei. L’intelligence gli aveva fornito anche i dati necessari a rintracciare lo spazio dal quale era partita quella comunicazione. Il tenno digitò le coordinate sullo schermo che avevano nel laboratorio, e una mappatura generale – con evoluzione sul punto specifico – si presentò ai loro occhi. Il mare attorno circondava quello che era un piccolo punto terrestre, un’isola persa e isolata da tutto il resto, un posto fatto per allontanarsi da tutto, o per custodire qualcosa lontano dalla presenza del mondo. Lì, dove l’azzurro ed il blu si univano e formavano una linea, attraverso il loro contrasto. Quindi intendi andare da solo? La voce era rimasta estremamente seria, a tratti preoccupata, ed aveva assunto tutte le connotazioni di un padre. Quante volte avrebbe dovuto ringraziarlo ancora. Scosse la testa, cominciando a sistemare tutto ciò che aveva messo in disordine, senza smettere di parlare con lui.



    Sarebbe da incoscienti, non voglio ritrovarmi da solo all’interno di una possibile trappola. Però, è sempre stata schiva alla presenza di possibili minacce. Tornò di nuovo a guardare il tenno, che nel frattempo aveva recuperato il suo martello, agganciandolo di nuovo dietro la schiena. Anche lui sembrava impaziente. Vorrei che venissi tu con me. Abbiamo affrontato situazioni anche più pericolose, sei l’unico capace di fermarmi o di riportarmi indietro, se qualcosa dovesse succedere.



    Di solito, i Primarchi esibivano un certo orgoglio nel considerarsi i più forti dell’Impero. Certo, era normale, una determinata posizione portava ad una giusta presa di orgoglio ed onore, che sfociava in un pensiero del genere, adottato anche durante gli approcci con altre fazioni. Tuttavia, Oliver – specialmente rifacendosi ad un maestro come il tenno – non si era mai spinto oltre quella linea, definendosi in tale modo. Sapeva fin troppo bene che c’erano individui anche più forti, così come sapeva che – se da un lato poteva permettersi il lusso di definirsi un maestro, per alcuni – dall’altro era ancora chiaramente un Re che doveva imparare. A tanto aiutavano le memorie che aveva su determinati addestramenti o determinati compiti, ma se era vero che ogni generazione gettava le basi per rendere la prossima più forte, allora Cuordimetallo voleva imparare molto altro, considerarsi ancora un allievo per assimilare tutto ciò che c’era da assimilare in quel mondo, per tramandarlo alle persone – in futuro – e renderle migliori, più forti, più preparate ai pericoli che non avrebbero finito di avvolgere quel mondo. Per questo, non aveva ancora problemi ad asserire come – a livello di pura potenza – Neumannus fosse più avvantaggiato di lui. Ecco perché era un aiuto prezioso, in combattimento, così come in qualsiasi altro aspetto della sua vita. Con lui accanto si sarebbe sentito molto più sicuro, abbassando la probabilità di morire da solo e lasciare la sua armatura incustodita. Sarebbe venuto con lui, perché era ciò che gli atlantidei facevano; non affrontavano pericoli così grandi da soli – se avessero dovuto incontrare la fine, sarebbe stata accanto ad un amico.



    Vuoi stare vicino al tuo allievo, ancora una volta?





    Quello non sarebbe stato il momento della partenza, si accordarono per risolvere prima le necessarie incombenze – per i quali giorni volarono più veloci del solito – prima di poter dedicarsi a quella missione così enigmatica. Decise di concedersi il lusso dell’attesa, in modo da anticipare qualsiasi impegno regale, così come qualsiasi missione estremamente necessaria. C’erano cose che doveva sistemare, c’erano cose che doveva preparare in virtù di un pericolo maggiore. Quando, invece, arrivò il giorno stabilito – il viaggio Il viaggio non fu affatto silenzioso. Discussero dei metodi più efficaci di approccio alla questione. Non sembrava esserci una forte presenza corrotta, consultando gli scanner, ma ciò poteva cambiare in qualsiasi momento. Perché Circe si era recata in un posto simile? Cosa l’aveva spinta ad uno spostamento del genere? Queste furono soltanto poche delle tante domande che i due si scambiarono. Si era lasciato dietro un messaggio estremamente specifico; se non fosse tornato in un lasso di tempo considerevole, Gauss si sarebbe dovuto prendere cura di tutte le questioni, comprese quelle della sua sparizione. Avrebbe fatto di tutto per assicurarsi l’incolumità di Neumannus, anche nella peggiore delle situazioni, e avrebbe fatto di tutto affinché il lascito di Scylla fosse tornato ad Atlantide, a casa. Proprio perché non sapeva cosa aspettarsi dalle parole della donna, proprio perché non sapeva a quali pericoli sarebbe andato incontro, aveva organizzato tutto in modo tale da non lasciare alcun dubbio, da non lasciare alcuna parola non detta.



    Notando la sua aria preoccupata, il tenno che lo stava accompagnando aveva tentato di tirarlo su di morale – e forse aveva anche ragione. Non sempre poteva ridursi tutto ad uno scontro, non sempre pericoli simili potevano essere aggirati mettendo la propria vita in gioco. Non sempre, aveva risposto Oliver, ma le vite che conducevano sembravano spingere continuamente in quella direzione. Il veicolo su cui erano saliti si fermò proprio sulle coste dell’Isola di Tonga, e un paesaggio altrettanto bello si aprì ai loro occhi. Il vento accarezzava il suo volto in maniera non troppo forte, spostandogli una ciocca di capelli. Almeno inizialmente, di Circe non c’era traccia. Alla sua mente riaffiorarono i ricordi della donna, con un’espressione ben diversa da quella preoccupata che aveva esibito prima. Un sorriso, un atteggiamento simile a qualcuno che sapeva di avere l’altro in pugno. Le mani morbide e le dita affusolate che si muovevano in una danza fatta di magia e poteri arcani. Il passo leggero e le vesti attorno che sembravano sostenute dal vento stesso. Una figura tanto bella quanto terribile, capace di stregare gli uomini non solo nell’animo – ma anche attraverso la sua magia. Volubile, capace di ira e gelosia – e l’origine della sua armatura lo avrebbe ribadito più e più volte, se fosse stato lì con loro. Fece un cenno al Guardiano di Mechanus, dicendogli di restare più indietro, mentre compiva qualche metro verso l’entroterra della piccola isola. Aveva indossato l'armatura, ma l'aveva occultata attraverso i suoi poteri illusori, per restare pronto a qualsiasi eventualità. Un trucco che aveva imparato tempo addietro, in altre situazioni. Il suo cosmo si espanse in una fiamma tranquilla, non aggressiva, in modo da farsi percepire senza impedimenti. Non poteva fidarsi di lei, non ancora, non senza aver fatto più luce su quella storia. Così, la sua mente si aprì con un messaggio indirizzato a colei che gli aveva chiesto aiuto.




    And I don't wanna fall in love
    This world is only gonna break your heart
    No, I don't wanna fall in love
    This world is only gonna break your heart
    With you




    'Circe, sono qui'







    hiaAmxR

    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ parlato altri


    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ Perfetto
    MENTALMENTE Ξ Preoccupato
    STATUS SCALE Ξ Indossata

    RIASSUNTO AZIONI Ξ Siccome non vogliamo ripetere la Varuna Experience, ho deciso di portarmi dietro Neumannus che, una volta attraccati sul luogo, resta indietro. Just in case :zizi:

    Strong, united, working 'till we fall

    ABILITÀ Ξ

    Reality Overwriting
    - Illusioni Ambientali
    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia


    TECNICHE Ξ -

    And we all lift, and we're all adrift together
     
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    C'è un momento in cui il vento si ferma e l'istante in cui riprende, senti un brivido alla base della nuca. Sai che è lì. Lo senti, lo sente il tuo corpo e ogni tuo poro, la pelle d'oca che ti squassa piano. Una parte di te ricorda quelle sensazioni, quella percezione di entrare in apnea ogni volta che condividevi il respiro con lei. Quelle uniche volte che l'hai incontrata, prima che il mondo cominciasse a seguire le pieghe di un destino insormontabile.

    È ancora la cosa più bella che tu abbia mai visto.

    Non è solo una bellezza fisica. Essuda da lei come un profumo, impregnandole i vestiti, i capelli, le stesse impronte dei passi. Se non fossi concentrato sulla situazione generale, forse ti accorgeresti che i vestiti moderni su di lei sembrano stridere in una maniera quasi ironica: ha un paio di jeans e le scarpe spaiate, una tshirt bianca sotto cui il contorno dei seni è ben intuibile.

    Sei davvero qui...in un certo senso.

    Una lieve risata, sbattendo le palpebre quasi incredula. Ti squadra dalla testa ai piedi, prima di passare lo sguardo a Neumannus.

    E lui non è nuovo. Non nello spirito, quantomeno.

    Hai richiesto la presenza di un Primarca, strega. Non commettere l'errore di pensare essa sia scontata.

    La voce del Tenno ha una sfumatura quasi gelida. Circe sbatte le palpebre interdetta per un istante, poi si passa una mano fra i riccioli rossi. Quel gesto così naturale fa tremare per un istante l'aura di perfezione che la circonda. Ti permette di vedere i vestiti malandati, i capelli senza forma e annodati, lo sporco sotto le unghie della mano.
    È magra, palesemente denutrita, con profonde occhiaie.

    Sospira.

    Prenditi pure il tuo tempo, Azae. O chiunque tu sia, connesso alla Khala. Lascerò che te ne renda conto da solo.

    Ed è lì che te ne accorgi. Senti solo una lievissima traccia cosmica da parte sua, qualcosa che probabilmente un tuo soldato potrebbe facilmente sopraffare.

    Circe è umana.

    Dell'Ammaliatrice è rimasto solo il nome e quella ragazza di fronte a te.

    ***

    Azae, quanto tempo.

    La senti prima che apra bocca. L'aria è diventata torrida, densa, nonostante tu sia in un ampio portico circondato dall'aria. I tuoi passi sono come compiuti attraverso la gelatina. Il palazzo reale di Cnosso domina la città e nei giorni belli come questo c'è una vista meravigliosa. Sei ospite solo per breve tempo, ma come al solito l'accoglienza di Minosse e Pasifae ha dell'incredibile.

    Circe ti si avvicina, posando i gomiti sulla balconata. Le braccia pallide e lentigginose bevono la luce del tramonto e dei suoi capelli in eguale misura.

    Ti devo le mie scuse, temo di avere messo mia sorella di pessimo umore. Certo, con te in giro potrebbe durare poco, ma non si sa mai.

    È prima della guerra. Prima delle armature. Prima di tutto, quando Azae è solo un principe che prova il suo valore e il suo ingegno.


    Su4sahH
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    Vediamo di gestirci due conversazioni in parallelo per un paio di post, ti va? :azd:
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    Forse, per lui, quella situazione aveva più le sfumature di stranezza che di pericolo. Nonostante ciò, non poté fare a meno di soffermarsi su quel brivido che aveva attraversato il suo corpo dalla base del collo, lungo tutta la spina dorsale. Non era passato molto tempo dal suo arrivo sul piccolo isolotto, ma la sua voce – proiettata tramite proiezione mentale – aveva sicuramente raggiunto la donna, la cui voce sembrava essere impressa a fuoco nella mente di Cuordimetallo, dopo aver riascoltato – ancora una volta – i messaggio che gli era stato recapitato. L’avrebbe trovata esattamente uguale? Come avrebbe dovuto accoglierla? Domande quasi superflue, ma per lui necessarie, cominciarono ad affiorare nella mente. Non riuscì a capire il motivo o la smania di tormentarsi con dubbi simili, eppure in quel momento – ripensando ai suoi occhi, ai suoi capelli, la sua pelle – sembravano gli enigmi più grandi di quel mondo. Come uno sbuffo di vento, inaspettato, rapido, davanti a lui apparve la stessa figura capace di annullare qualsiasi convenzione spaziale o temporale.



    Tutto sembrava convergere su di lei, come se la sua presenza avesse il potere di monopolizzare la realtà stessa al suo sorriso. In un lampo, quasi dimenticò di tutte le persone che aveva avuto – lei le superava. Le superava in tutto, senza neppure sforzarsi di farlo; una donna così bella avrebbe potuto avere eserciti interi. Una sensazione che assomigliava ad un ricordo di una vita così tanto lontana da sembrare quasi fantasia – il sole del mattino che la illuminava, le mani strette in una danza celebrativa, la voce che tesseva trame di gesta leggendarie con il suo canto. Ricordi e ricordi affiorarono a poco a poco, insinuandosi e facendo sentire il loro peso sulle percezioni di Oliver. In un’altra situazione, con altre esigenze, anche solo con il peso di un metallo diverso sul suo corpo – probabilmente avrebbe avuto molta più difficoltà a restare imparziale davanti a lei, nonostante ciò, restava tutt’ora la persona più bella che avesse mai incontrato fino a quel momento.



    Fu la sua voce a spezzare quella che si rese conto essere sospensione perfino del suo stesso respiro. Per un attimo, assecondando l’immobilità dello spazio attorno a lui, il suo diaframma si era contratto in una morsa che aveva trattenuto l’aria all’interno dei polmoni. Una sensazione che – a posteriori – avrebbe definito quasi simile alla tensione del respiro prima di una grande azione. E ancora una volta, proprio come tutte le volte in cui lo aveva fatto, il tono della voce prese a far scorrere il suo miele lungo il filo della loro storia. Era davvero così? O era soltanto l’effetto che la donna aveva su di lui? E se era conscio di essere soggetto soltanto alla sua aura di bellezza, perché non poteva smettere di provare quella sensazione così – irruenta? Parlò di come lui fosse davvero lì, si riferiva al primo uomo che aveva indossato quell’armatura. Poi, non mancò di osservare anche Neumannus, indicandolo con un rapido gesto. Non era nuovo nello spirito? Era una frase particolare da dire. A volte, certe persone sembravano saper dire più con quello che omettevano, che con le parole pronunciate.



    Un significato del genere, ad esempio, avrebbe implicato il cambiamento dell’aspetto, della forma. All’inizio, avrebbe connesso la cosa al semplice aspetto cambiato dopo i primi eventi di Mechanus, ma Circe non avrebbe potuto conoscere tutto ciò. La cosa gli diede da riflettere più del dovuto, una riflessione che fu spezzata soltanto dalla voce dell’amico. Era stato strano, Oliver era così abituato al suo tono gioviale e paterno, che ancora faceva un certo effetto sentirlo parlare con durezza. Le braccia del Primarca erano incrociate, ma il palmo della mano che spuntava fuori si aprì, come a calmare l’animo del suo guardiano. Fu in quel momento, anticipato dalle parole del tenno, che il ragazzo si rese conto di ciò che poteva trasparire dall’aria della cosiddetta strega.



    Il corpo umano, se non sottoposto a giusto nutrimento, cominciava a perdere di forza e tono muscolare. Con questa prerogativa, la pelle cominciava a diventare impercettibilmente più spenta, così come il volto cominciava a mostrare segni di debolezza maggiori. Ma non era soltanto quello. A mano a mano, dettagli più importanti cominciarono ad illuminarsi agli occhi del Fabricator Comandante. La prima cosa fu l’espressione, dietro il muro di bellezza quasi eterna che la difendeva; poi, ci fu il suo vestiario. Era avvolta in una maglietta, dei pantaloni che sarebbero stati più nelle corde di sopravvissuti all’armageddon, che sul corpo di quella che era una figura così antica da soverchiare perfino le grandi guerre del passato.



    Nemmeno a questo era abituato, vedere leggende cozzare con l’evoluzione dei tempi. Dove un tempo c’erano stati oli profumati, i veli più pregiati dei mari, adesso c’era fame – usura. Come doveva sentirsi nel vedersi così? Rassegnata? Umiliata? Laddove i suoi passi erano soliti calcare i marmi dei palazzi più ricchi, delle case più sfarzose, ora le impronte calavano sulla sabbia di un luogo deserto. Oliver avrebbe voluto darle qualcosa per riprendersi dal logoramento che sembrava averla colpita, ma non aveva messo in conto una variabile del genere. Si sarebbe aspettato un’apparizione di tutto rispetto, qualcosa a conferma del suo retaggio antico. Nulla di tutto questo, e con ciò arrivò l’ultima nota più importante – la consapevolezza di qualcosa che diede vita ad un pensiero più profondo ed enigmatico.

    Il cosmo di Circe, dov’era?



    Pensare ad una completa estinzione della sua traccia cosmica sarebbe stato errato. Era presente, ma era così debole e sottile che – se avesse avuto davanti qualcun altro – avrebbe preso quel segno per un iniziale risveglio, o per una presenza molto più debole della norma. Se nel presente in cui viveva Cuordimetallo esistevano individui come lui, persone in grado di estendere le proprie energie così tanto da scuotere la terra sotto i loro piedi, allora la donna sembrava essere uno dei punti più distanti da esso. La sua “forza” era ridotta ad un grado così basso che probabilmente non avrebbe dovuto impiegare nemmeno così tante energie per sopraffarla. Non che fosse suo desiderio. Un’altra volta – come nella richiesta d’aiuto – si era riferita a lui con il nome del figlio di Poseidone. L’espressione del ragazzo risultò ancora una volta contratta, le labbra un po’ più serrate e la fronte più corrugata.

    Kpw7roq

    Non sono Azae, mi chiamo Oliver.



    Quando un Primarca riusciva a raggiungere il picco della comunione cosmica che il khala forniva con i suoi predecessori, con il popolo tutto, alcuni arrivavano a confondere la figura del depositario con tutte quelle che lo avevano preceduto. Certo, i ricordi e le sensazioni ad essi legati finivano per accumularsi, per essere provati dal re di Atlantide, ma le personalità non si sovrapponevano. Anche quando succedeva con alcuni suoi sottoposti – specialmente i tenno – aveva speso una sostanziale quantità di tempo nello spiegare che lui era lui, e che gli antichi sovrani erano ormai ricordi ed insegnamenti. L’espressione che aveva rivolto lei si schiuse in una più preoccupata, odiava non capire cosa stesse succedendo. Finalmente, dopo diverso tempo dal suo arrivo, la posizione delle braccia si aprì. Le stese lungo i fianchi, sentendo i muscoli all’interno dell’armatura leggermente indolenziti dall’aver assunto quell’espressione per troppo tempo.



    Nonostante possieda i suoi ricordi, nonostante condivida molti dei suoi insegnamenti, siamo due persone diverse. Ti prego, tienilo a mente. Seguendo l’iniziale sorpresa, arrivò poi la pena – il dispiacere. Non doveva essere facile, per una come Circe, trovarsi a sopportare sforzi del genere. Sapeva che, se avesse voluto, avrebbe scelto altrimenti – avrebbe preferito non ridursi all’ombra di ciò che era una volta, forse avrebbe perfino evitato di chiedere il suo aiuto. Non gliene fece una colpa, probabilmente avrebbe fatto lo stesso a parti invertite. Un profondo sospiro, poi tornò a guardarla negli occhi – concentrandosi sul presente, più che sul passato. Si tratta di Scilla? Cos’è successo? Chiese inizialmente, riferendosi al perché di quel messaggio – al perché l’avesse mandato proprio qualche giorno prima. La ninfa di cui portava l'armatura non poteva essere in pericolo, il legame con la sua armatura l'avrebbe sicuramente avvertito se fosse stata sotto scacco di qualcuno. Eppure, il primo pensiero in virtù di una situazione simile volò a lei. C'era davvero tanta storia che tutti loro si portavano alle spalle, e sì - l'amore era terribile, per alcuni una maledizione. Ma anche prima di incontrare la ragazza gentile che viveva nella grotta dello stretto, i fili del destino si erano intrecciati per legare la strega e il primarca in un nodo difficile da sciogliere. Improvvisamente, però, decise di aggiungere un’ulteriore domanda, non diversa dalla prima. Una piega ascendente comparve sul suo volto, e l’espressione fu più preoccupata che tesa.

    Cosa ti è successo?



    Jqxt1hX

    Martin Phipps - Simple Harp (The Crown OST)



    L’odore di incenso si era ormai diffuso ovunque, creando una tenue foschia viola – abbastanza da far sentire la sua presenza, non troppo da essere opprimente. L’uomo era seduto in prossimità della balconata, e il crepuscolo aveva appena annunciato la sua presenza, terminando la giornata di molti – lì a Creta – sancendo il primo giorno di visita del Nono figlio di Poseidone. I colori della bruma si riflettevano come fuoco sul pavimento, lasciando penombra e luce a mescolarsi in un gioco dove l’una rincorreva l’altra allo scoccare di ogni minuto, ogni ora, che avrebbe sancito l’arrivo della luna, alta nel cielo. E lì, sul limitare dove la linea del parapetto si confondeva con quella che separava cielo e mare, Azae rigirava tra le mani un ninnolo di oricalco, un piccolo rompicapo – o almeno era stata quella la sua attività fino all’arrivo della donna. Aveva speso la mattina assieme al Re e alla Regina. Assieme alla maestra di chiavi, all'araldo di corte e al generale, parlando di amministrazioni di regni, di come stessero andando le cose a casa sua. Grandi feste e banchetti erano stati organizzati per l'arrivo del principe, esibizioni, canti, balli. Aveva occupato il lato destro alla tavola del re bianco, aveva sostenuto un brillante dibattito con la regina. Aveva raccontato di come il suo percorso di formazione fosse quasi concluso, e delle varie imprese o invenzioni che aveva già portato a termine. Raccolti incoraggiamenti ed inviti, aveva speso sincere parole di lode per quel regno, forse davvero uno dei suoi preferiti. Minos, sempre il più calmo tra i regnanti, gli aveva concesso il favore di mettersi in contatto con i suoi fratelli, di poter visitare l'ammirata Egina. Tanto aveva fatto Azae a Cnosso, compreso cedere al rosso dei suoi capelli. Lo stesso rosso che il tramonto aveva risaltato, facendoli bruciare ancor più.



    La pelle chiara dava loro modo di risaltare con l’arrivo di ogni nota di luce su di lei – e per un attimo le dita scorsero più lente sull’oggetto che aveva tra le mani. Il tempo stesso sembrava essersi fermato nella stanza a lui riservata dai signori dell’isola, alla sua presenza. Circe aveva un modo tutto suo di far innamorare gli uomini – e lo sapeva, lo sapevano entrambi. Nulla di irraggiungibile – piccoli trucchetti, un sorriso, uno sguardo più lungo del previsto, il gesto della mano che accarezzava i propri capelli. Cose che chiunque avrebbe potuto fare e che, al contempo, soltanto lei riusciva a compiere in modo corretto. Forse era quello il motivo per cui Pasifae si era alterata, forse era la sua presenza ad assorbire qualsiasi energia dalle persone attorno a lei, forse era quel suo essere conscia – un po’ sfrontata – dei doni che le erano stati concessi, i doni che aveva imparato a fare suoi. Il sorriso, senza che il principe se ne accorgesse, si distese un po’ di più – incontrando i suoi occhi.


    Il tempo ti è inviso, sembra evitarti a qualsiasi costo.

    GIx13CI

    Ti trovo bene, Circe.




    La mano libera si mosse per indicarle lo spazio di fronte a lui, dove la donna avrebbe potuto prendere posto. La vide avvicinarsi e poggiare le braccia sugli intarsi del parapetto. Nulla sfuggiva all’occhio dell’uomo, nemmeno la leggera piega della pelle sulla pietra lavorata. Avvolta nelle vesti e nei veli che più facevano risaltare la sua chioma e il suo pallore, la luce prese a bruciare attraverso riflessi caldi su di lei. La chioma, avvolta dal fuoco del tramonto, brillò con ancor più intensità, incorniciandole gli occhi chiari. Non osò dire niente di più, non per timore – ma perché non avrebbe mai interrotto con il suono della sua voce la bellezza che aveva ammirato fino a quel momento. Fu lei a parlare, ancora una volta, e quelle note presero a riempire l’aria attorno a loro con qualcosa di più – dietro la facciata – che una semplice scusa. Sì, allora la consorte di Minosse era davvero alterata. Abbassò gli occhi, mentre il suo volto fu colto da un’improvvisa espressione di ironia. Ci sarebbe voluto molto di più di entusiasmo ed arguzia dello studioso, di commenti vivaci e passionali, per poter riportare la regina al giusto stato di tranquillità – ma aveva fiducia nelle sue capacità. Nessuno avrebbe voluto contraddire un fratello di principi, un figlio di Poseidone. Forse lo sapeva, forse era questo quello che sperava – ma nulla sembrò avere più importanza in quel momento, se non il tramonto la donna che aveva davanti.



    Le vesti si piegarono sotto il leggero sforzo, e le mani – poggiate sul legno caldo – esercitarono la giusta pressione per alzarsi con tranquillità. Non era fretta, quella che stava provando, ma la necessità di stare più vicino a quella che sembrava la vera fonte di calore in quel luogo. Non fisico, quanto quasi emotivo – quello di una delle ragazze più belle che la corte potesse ospitare. Le braccia, avvolte nei tessuti dal valore di un numero non tanto esiguo di navi, imitarono la postura della donna – poggiandosi non molto distante da lei. Il volto del principe, i suoi lineamenti morbidi – al rosa vivo della sua pelle – furono investiti dalla luce un po’ meno intensa, quella che faceva da preludio alle stelle. Gli occhi neri si poggiarono sulle navi in arrivo e in partenza, sul porto lontano, sulle persone che tornavano alle proprie case. Corsero poi veloci sui contorni dell’entrate del palazzo, sui giardini, sulle persone che da esso arrivavano e andavano via. Infine, come attirato da qualcosa, li voltò alla sua destra, per incontrare la figura della donna. Eppure, sotto quella quantità di luce, lo sguardo scuro dell’uomo non sembrava completamente nero, ma come illuminato da una luce – un guizzo. Non era il colore del carbone, ma dell’onice raffinata.



    Sono certo che domani la Regina Pasifae avrà già dimenticato tutto. Funziona sempre così tra fratelli o sorelle, conosco un paio di cose sull'argomento. Anzi, nove.



    L’ironia colse ancora il suo volto, portandolo ad esibire un piccolo – nuovo – sorriso tra le sue labbra, chiuse dopo averle parlato. Le braccia, pur sistemate lì, erano incrociate. L’intera sua postura risultava rilassata, quasi come se si trovasse a casa sua. Non era la prima volta che Azae risultava ospite presso corti importanti quanto quelle di Cnosso. Nonostante ciò, l’accoglienza che aveva ricevuto era stata particolarmente calorosa, ma d’altronde era materia di leggenda il rispetto che il palazzo concedeva agli ospiti, ancor più a quelli di un certo peso. Una leggera folata di vento soffiò su di loro, spazzando via le tracce di incenso profumato.



    Azae lasciò che le sue dita scorressero lente sul punto in cui erano appoggiate, accarezzando delle piccole scanalature che formavano geometrie decorative, ma che non sembravano essere di alcun fastidio ad un tatto prolungato. Gli artigiani dell’isola, presso cui era ospite, conoscevano bene i segreti del loro lavoro, applicati in maniera più che magistrale sul palazzo della famiglia reale. Il mattino è pieno di occasioni, e la notte è fatta per i silenzi. Cominciò ammirando il rosso attenuarsi sempre di più, tingendosi di azzurro e rosa al lento saluto del sole. Ma al tramonto, entrambe le cose si toccano per un istante. Ecco perché lo apprezzo così tanto. L’ultima parte, invece, la pronunciò spostando ancora il volto sulla figura della donna. Non esibiva un sorriso, quanto un’espressione distesa – rilassata – con la linea delle labbra che imitava il limitare tra cielo e mare. Lo sguardo, uno sguardo che non era stato ancora indurito dai doveri più grandi, ma che era riflesso di un lungo percorso di apprendimento, illuminava con il suo verde il portamento nobile del ragazzo. Ancora un paio di giorni, e il suo percorso lo avrebbe portato alla volta dei mercati di Egina.


    Immagino non sappia che adesso sei qui con me, vero?


    Ma il tramonto era sospensione della giornata
    Il tempo fermo che dava opportunità.





    hiaAmxR

    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ 'telepatia'


    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ //
    MENTALMENTE Ξ Ollie è preoccupato, Azae è - beh.
    STATUS SCALE Ξ Indossata

    RIASSUNTO AZIONI Ξ Porto avanti entrambe le cose per tutto il tempo che vuoi :fiore:


    Strong, united, working 'till we fall

    ABILITÀ Ξ

    Reality Overwriting
    - Illusioni Ambientali
    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia

    TECNICHE Ξ //

    And we all lift, and we're all adrift together
     
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    Oh, ne è perfettamente consapevole, non dubitarne. Siamo a Creta, dopotutto.

    Si lascia andare in una piccola risata, con quella sua voce musicale. Il sole sembra accarezzare ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni suo respiro. Si dice abbia sangue di Titano, che il fuoco stellare di Iperione le divampi nelle vene attraverso la sua discendenza con Helios.

    E non le passerà tanto presto, temo. E neanche a Eeta.

    Si guarda le unghie belle, curate, prima di spostarsi un ricciolo rosso dietro l'orecchio con un gesto che fa brillare un anello di ricchissima fattura. È l'unico gioiello che porta, noti, a differenza della sorella che sembra prediligere l'indossarne molti.

    Ma sarei curiosa di una tua risposta, a dire il vero.

    Poi sposta lo sguardo su di te. Le sue iridi hanno preso il colore del tramonto e la vicinanza fa quasi male. Senti fisicamente il tuo respiro abbandonare il corpo, il calore montare, la pelle d'oca ergersi dolorosamente. Le cartilagini sfregare l'una contro l'altra, il tuo corpo e la tua mente urlare di averla. Sembra durare un'infinità di agonia. Sembra di morire.

    Chiude gli occhi. Sospira, guardando il sole. Sembra quasi stanca ora, ma tu respiri di nuovo aria fresca.

    Se avessi la possibilità di scegliere fra la libertà e i tuoi doveri...

    Circe è così. È la sua mera presenza a farlo. Il suo potere, ma anche la sua maledizione.

    Cosa faresti? Non sto parlando di semplice libertà come la intendono tutti...intendo la reale possibilità di cambiare. Di mutare il proprio destino.


    ***



    Oliver.

    Annuisce. Che bel suono ha il tuo nome sulle sue labbra. Ride amaramente alla tua domanda, raccogliendosi la zazzera disordinata lontano dal viso con un mollettone. Sembra aver rinunciato completamente alle illusioni, o forse ha esaurito la forza che le aveva permesso di imbastirne una.

    È successo esattamente quello che avevo previsto. Quello che sapevo dal mio primo respiro, ogni volta che chiudevo gli occhi. E nonostante tutto, mi sono comunque lasciata cogliere impreparata. Ironico, no?

    Allarga le braccia sulla desolazione intorno a voi. L'Armageddon.

    Ho gettato tutto in quest'unica speranza di contattarti. Ancora...non riesco a crederci, davvero.

    Neumannus si irrigidisce al tuo fianco e Circe sembra quasi sussultare. Alza le mani di scatto per proteggersi, poi le rilassa, un riflesso condizionato. C'è qualcosa che non ti riesci a spiegare nell'atteggiamento del vecchio Tenno, di cui ricevi un messaggio.

    | Hai davanti una donna che ha ucciso suo marito, un principe di sangue reale, pur di fare ciò che voleva. Non ti puoi fidare. Non ha mai pagato per le conseguenze delle sue azioni. |

    D'accordo, d'accordo. Oliver...io ho bisogno di aiuto. E non so a chi altro chiedere in tutto questo mondo...anche perché, al momento, le mie possibilità sono limitate.

    Si stringe la radice del naso, inspirando di frustrazione prima di guardarti con quei suoi occhi impossibili, anche in quella forma.

    Quello che ho fatto...non c'è nessuno disposto ad aiutarmi, per tutto ciò che ho fatto. Non c'è mai stato. Ma nonostante tutto, qui, si indica la tempia, c'è qualcosa che non deve cadere nelle mani sbagliate.

    Prima che lei mi trovi. O meglio, che loro, mi trovino. Sanno che stiamo parlando. Io...io ti ho messo già in pericolo dal momento in cui hai messo piede su quest'isola.


    Ah, maledetta! Ecco a cosa stavi giocando! Primarca, dobbiamo andarcene ora!

    Neumannus ringhia, mettendo mano al martello, in vigile allarme.

    Circe è caduta in ginocchio, le spalle le tremano.

    Devo continuare a proteggere le mie conoscenze, la mia ricerca. È tutto quello che ho, dopo tutto questo tempo...

    | OLIVER! |

    Un brivido freddo ti scorre sulla spina dorsale. Qualcuno ha messo piede su questo mondo. Qualcuno il cui Cosmo è a dir poco soffocante e sta dirigendosi a gran velocità verso di voi.

    Su4sahH

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    Le lettere si condensarono e furono pronunciate in un modo tale da portarlo quasi ad avvicinarsi un po’ di più, in sua direzione. Oliver, Oliver. Avrebbe voluto sentirglielo ripetere così tante volte, se le circostanze fossero state diverse. Le labbra, dopo averlo pronunciato, si presero il tempo di esibire un’espressione decisamente più adatta alle circostanze, alla situazione di evidente pericolo e nervosismo in cui verteva la donna. La sua àncora, che in quel momento era Neumannus, gli intimò di non abbassare la guardia davanti a lei – perché sì, la sua bellezza continuava ad essere senza pari, anche nel degrado dell’inferno che avevano attorno, ma tanto sapeva esserlo anche la sua pericolosità. Aveva impiegato una serie di sforzi così grandi da lasciarli senza pari – ciò aveva avuto un impatto decisivo non solo sul suo corpo, ma anche sulle sue capacità. Non poté fare a meno di chiedersi se, come ripetuto dall’amico, anche in quella forma fosse stata una minaccia da non prendere alla leggera. A volte la cosa più pericolosa in quel mondo non era un attacco nemico, non era il bruciore del cosmo più pericoloso, ma le parole che – proprio come la medicina più dolce – correvano veloci nella mente e nel cuore di una persona. Circe era maestra di arti che non dovevano essere considerate tali, non solo magiche – ma arti che implicavano la manipolazione e il desiderio. Nonostante questo potere fosse ancora tanto vicino alla donna, sembrava essere in un pericolo così grande che nemmeno le sue capacità – straordinarie e non – avrebbero potuto tirarla fuori. Il tenno lo avvertì ancora una volta, e il Primarca serrò i denti dietro un’espressione preoccupata. L’infatuazione per una donna così poteva nascere veloce come una scintilla prima del fuoco, ma si fidava del suo maestro – del suo amico – e avrebbe adottato lo stesso approccio anche con lei, anche combattendo il dolore di resistere alla bellezza.



    ‘So che non possiamo fidarci di lei, ma se c’è la minima possibilità che abbia tra le mani qualcosa di importante, qualcosa che non deve essere violato da nessuno, allora dobbiamo aiutarla. Non è in grado di costituire una minaccia.‘



    Ma nello stesso momento in cui Cuordimetallo fu sul punto di terminare la proiezione di pensieri, rispondendo al Guardiano di Mechanus, arrivò alle sue orecchie la consapevolezza dello sbaglio che aveva fatto la strega che aveva di fronte. Anche solo contattandoli, anche solo all’arrivo su Tonga, qualcuno era stato messo in allerta. Pur trovando ragioni per biasimarla – come l’essere costretta ad un atto del genere per evitare pericoli e condanne più grandi – Oliver non poté non dannare quella situazione. Percepì rapidamente Neumannus mettere mano al martello, così come percepì la figura di Circe cadere in ginocchio in preda alla debolezza e alla disperazione. Diviso, tra ciò che andava fatto e ciò che sentiva di fare, Scylla si ritrovò a far saettare gli occhi dal compagno alla donna per un paio di secondi. Serrò le labbra, indossando l’elmo dell’armatura. Luci azzurre presero a illuminare le scanalature dell’armatura, così come le fessure degli occhi. Un rumore secco, quello delle placche d’oricalco che si riassestavano e sbuffavano una sottile e minima nube di vapore – non abbastanza condensato da poter essere d’intralcio. Si chinò verso la donna, afferrandole i lati delle spalle – delle braccia – per aiutarla a rimettersi in piedi. Quel contatto sarebbe stato qualcosa di cui gioire, ma la situazione stava esigendo la necessità di ragionare a sangue freddo – di ragionare velocemente. La voce, che risuonava vagamente più profonda – seppur non troppo dura – attraverso il modulatore, cercò di rimettere in sesto anche il suo spirito. Posso proteggerti, ma non potrò farlo come devo se non mi dici cosa succede. Cos’hai scoperto, cos’è in pericolo, cosa non vuoi che altri trovino.



    'OLIVER'

    Vicino.




    L’aria diventò improvvisamente pesante, come se un grosso masso fosse calato su tutti loro. Guardò Neumannus, che aveva lo sguardo diretto in un altro punto – così come guardò poi Circe e l’espressione di disperazione che aveva adottato. Il respiro morì nei polmoni per un brevissimo secondo, prima di diventare irregolare. Le aspettative della donna erano diventate realtà e la minaccia incombente si era realizzata nella manifestazione del piano in cui si trovavano. Non si rese conti di aver spalancato gli occhi in un’espressione di sorpresa, così come non si era reso conto che il suo corpo e la sua mente avevano reagito preparando il cosmo in una forma difensiva. La presenza stava arrivando con velocità sempre crescente, sarebbe stata lì in pochi momenti. La presa si fece più salda attorno al corpo della donna, scuotendone le membra con un po’ più di vigore. La rapidità dell’avvicinamento era tale da lasciare loro un piccolo margine di reazione – del quale il Primarca avrebbe approfittato velocemente, impartendo due ordini diversi. Sapeva cosa fare? Sì, aveva il coraggio di farlo? Anche. La sua mente proiettò i pensieri verso Neumannus ancora una volta, ogni traccia di dubbio o tentennamento era scomparso. 'Voglio che imprimi su di me tutti i sigilli di potenziamento o resistenza che conosci.' Era una consistente consolazione sapere di avere il supporto delle abilità dell'altro, specialmente contando il suo livello di combattimento. Con il suo aiuto, sarebbe stato in grado di affrontare anche la situazione peggiore. Il suo cervello sembrò quasi dividersi in due entità separate – una in comunicazione con il compagno, l’altra con il compito di scuotere Circe dalla paura, di farsi fornire qualsiasi dettaglio in merito alla questione nel minor tempo possibile.


    Non abbiamo tanto tempo, Circe, prima che sia costretto a occuparmi del resto.

    Sempre più vicino.




    In un attimo, dopo aver rivolto lei quelle parole, tornò a parlare al tenno – riprendendo il discorso di prima. Il suo corpo, nel frattempo, armeggiò con i comandi del veicolo che avevano lasciato sulla costa, attivandone i sistemi e preparandolo per una partenza rapida. 'Sei in grado di proteggerla, portala lontano da qui e fallo. Non voglio che ti fidi di lei, né voglio che la supporti, ma devi tenerla in vita a tutti i costi. Fidati di me.' E una mano di nuovo si mosse rapida, schioccando le dita e coprendo la donna e l’amico sotto la miglior illusione che fosse riuscito a creare. Un mano di riflessione ambientale, e sotto quello una bolla di invisibilità, e sotto ancora l’assoluta eliminazione di qualsiasi fonte fisica di riconoscimento. Avrebbe guadagnato abbastanza tempo per permettere loro di fuggire verso il mezzo di trasporto e – nel frattempo – avrebbe fronteggiato quella che sembrava essere una delle minacce più grandi percepite fino a quel momento. Sentì un brivido lungo la schiena e degli spasmi colpirono il fianco destro. Qualsiasi cosa si fosse presentata davanti a lui, avrebbe guadagnato tempo a qualsiasi costo, ma non avrebbe potuto farlo con sicurezza senza sapere dalla donna tutti i dettagli. Sto mettendo la nostra vita in pericolo per te, voglio che mi ripaghi con la stessa fiducia. I brividi cominciarono a farsi più intensi, segno della restrizione della distanza tra loro e qualcuno. Nello stesso momento in cui Circe gli avrebbe rivelato tutto, con la massima velocità, Neumannus avrebbe dovuto portarla via – entrambi coperti dalla sua illusione. Sarebbe scomparsa all’uscita del raggio d’azione, ma a quel punto ci avrebbe pensato Oliver a dare loro tempo di scappare ancora più lontano. Chiuse gli occhi per un attimo, raccogliendo tutto il coraggio possibile. Era da stupidi pensare in leggerezza e ignorare la paura, allontanandola e rifiutandola, ma la forza poteva essere trovata riconoscendola e superandola con determinazione. Così faceva lui, così avrebbe continuato a fare. Dietro l’elmo, uno sguardo eloquente – affrettato – si posò sulla donna, così come si posò sul tenno, aspettando il compimento delle iniziali direttive che gli aveva impartito.



    E alla loro partenza, si sarebbe voltato
    Guardandolo negli occhi.
    Ancora più vicino.





    Rise, e il volto di Azae si aprì in un sorriso con lei. Spostò lo sguardo sulle sue mani, e Azae fece lo stesso. Era quasi un pianeta che gravitava attorno al sole – lo stesso sole che sembrava aver dato la sua benedizione alla bellezza della donna, troppo grande per essere ignorata, troppo importante e necessaria per non renderla il centro dei pensieri di un uomo. Fece scorrere il suo sguardo dalle dita affusolate – su cui brillava un anello particolare. La superficie dorata sembrava aver assunto sfumature rosse a causa del tramonto su cui la luce era riflessa, così come la pietra preziosa si stava brillando con un piccolo bagliore che si rifletteva sulla pelle bianca. L’uomo si avvicinò ancora, stando attento a non sfiorarla. Non perché non avesse voluto, ma perché sapeva che la loro era una danza, una danza fatta di provocazioni, di movimenti – di non detti e di accenni. Circe suonava la musica, e Azae sapeva muovere i passi su quel luogo che faceva da teatro con una delle viste più belle del mondo conosciuto. Era così diversa dalle sue sorelle e dai suoi fratelli, ma allo stesso tempo tutti potevano essere riconosciuti da quel tono che nessuna parola avrebbe descritto adeguatamente; un misto di ironia, istigazione, divertimento, aspettativa. Per un attimo la immaginò assieme agli altri, al palazzo di Helios, al cui fianco si trovava Perseide. La corte del sole, diretta discendenza titanica. Aveva letto più e più volte, innamorato dei segreti e delle tecniche, pur non riuscendo a capirle completamente. Uno dei motivi per cui aveva intrapreso quel percorso d’istruzione, uno dei motivi per cui sentiva ancor più preziosa la presenza della donna, il cui fuoco sembrava iniziare ad eclissare anche il rosso del tramonto, sempre più lontano.


    E infine, arrivò il dolore.




    Ancora una volta, nient’altro sembrò avere più importanza in quel momento. La luna e le stelle, pronte a rispondere alla chiamata del sole, sarebbero state come pallide candele a confronto. La notte avrebbe trovato una nuova luce, quella della donna che adesso aveva poggiato su di lui gli occhi, una luce che lo stava attirando come una falena verso la fonte, consapevole o meno. Le labbra di Azae si arricciarono ancora una volta e il respiro si fece più pesante e lasciò il suo corpo come se gli avesse tirato via l’anima. Il corpo sotto le vesti fu colto da brividi di freddo, nonostante il calore di quel momento. Forse non era la brezza attorno a loro, ma l’effetto che aveva su di lui. La mano, poggiata sul parapetto, si strinse leggermente di più – cosa avrebbe dato per averla, tutto. Cosa avrebbe fatto per sentire la sua voce e il suo respiro, tutto. Cosa avrebbe pregato per accarezzare quella chioma di fuoco, tutto. Nessun prezzo sarebbe stato troppo alto da pagare per lenire il dolore che il suo corpo stava provando a stare così lontano da lei – anche a un soffio di distanza. Faceva male, voleva avvicinarsi – doveva avvicinarsi – ma nel momento in cui raccolse la pazienza di compiere un passo ancora verso di lei, Circe voltò il capo, rompendo quel canto di sirena che sembrava risuonare non alle orecchie, ma nel suo cervello, nei suoi nervi, in ogni cellula del suo corpo. L’aria che si era fermata attorno a loro sembrò scorrere ancora sulle sue guance, si rese conto di essere di nuovo consapevole della realtà al di fuori dei suoi occhi. Provò un senso di liberazione, una liberazione che ben presto cominciò a sapere di vuoto.




    Ben presto si rese conto che quella danza si era trasformata in una caccia. Lui era li segugio che cercava la volpe, lei, impegnata a correre nella foresta – prendendosi gioco di lui in un prendersi e lasciarsi che sembrava infinito, nel breve tempo che stavano condividendo. Ogni volta che aveva l’impressione di raggiungerla, di saperla sua, lei gli mostrava quanto si sbagliasse – scappando ma attirando sempre di più le sue attenzioni. Una caccia fatta di continue attenzioni ai dettagli, anche i più piccoli, nella speranza di poter tendere la mano e arrivare da lei. Con lo sguardo della donna volto verso lo spettacolo davanti a loro, Azae chiuse gli occhi, rilassando ogni muscolo del suo corpo e tornando a respirare con regolarità. Forse era lui la volpe che correva per la sua vita, e forse era lei il segugio che lo stava chiudendo in una trappola. Il corpo si mosse ancora, lento, sotto lo sforzo che il vuoto del suo sguardo mancato comportava, per sfogare la smania in una ripetuta carezza sul marmo sotto le loro braccia. Non fu sorpreso dalla domanda, aveva ormai capito che la sua stessa presenza lì avrebbe presupposto qualcosa. La natura dell’intera questione non gli fu chiara, ma Circe restava Circe, ed un uomo in grado di comprenderla completamente – tra dei e uomini – doveva ancora nascere.




    Se avessi la possibilità di scegliere fra i miei doveri e il mutare il mio destino. Riassunse il discorso con le sue stesse parole. Scoprì che se non dette con la voce della donna, avevano un suono molto meno piacevole – molto meno convincente. Cosa sapeva? Cosa vedeva quando incrociava gli occhi del Principe di Atlantide? Un tiranno? Un uomo illuminato? Un cadavere? Una nota nervosa venne suonata tra le corde del suo spirito, e Azae si fermò completamente, lasciando calare su di loro un silenzio interrotto soltanto dalle lontane voci degli abitanti oltre il palazzo di Cnosso, così come quello dei flutti distanti che si infrangevano sulle navi – il cui numero era diminuito con il calare. Forse Circe aveva capito il peso della domanda che sembrava aver fatto a cuor leggero, ma che era stata ricevuta dal ragazzo come uno dei quesiti più importanti della sua stessa vita. Con una simile proposta, aveva gettato le basi per l’interrogativo più grande; in quel momento, chi era? Cosa voleva? Amava poter essere libero di viaggiare e scoprire il nuovo in ogni angolo del mondo. Voleva conoscere le menti più brillanti, voleva trovarsi davanti ad enigmi e difficoltà – risolverli e conoscere sempre di più, fino a riversare tutto ciò che aveva appreso per costruire meraviglie che le persone avrebbero potuto soltanto immaginare, e ammirare. Voleva cambiare le vite degli uomini portando un’era di progresso, voleva arrivare sempre più in alto – senza nessuna corda a bloccarlo. Eppure, Azae amava sedere con i suoi fratelli, sfidare ogni volta Atlante o Eumelo, studiare i segreti della mente con Mneseo e Mestore, discutere con Evemone sulla natura stessa dell’arte. Amava parlare e confidarsi con Diaprepe. Non avrebbe mai potuto rinunciare alla bellezza del camminare tra le strade di casa sua, di guardare il sorriso della loro nobile madre. Ancor più amava rialzarsi da terra dove suo padre, spirito di tutti i mari, lo spediva durante le loro lezioni di combattimento. La mano poggiata sulla sua spalla, le promesse marchiate a fuoco nella sua anima. Azae era tutto questo, anche in giovane età. Era i primi passi sul cammino che univano mente e corpo, fantasia e ingegno, libertà e rigore. Preferire l’uno all’altro avrebbe significato rompere l’equilibrio che il principe aveva considerato più importante di qualsiasi cosa.




    Ruppe il silenzio con un nuovo sospiro, mentre le sue mani si estendevano in direzione dell’orizzonte, afferrando qualcosa che non c’era – ma che forse ci sarebbe stata, un giorno lontano. Ognuno di noi nasce con le aspettative di un futuro glorioso sulle spalle. Prese a parlare. L’affluenza sotto di loro era diventata sempre minore col passare dei minuti. I nobili principi e principesse di Creta dovevano essere rientrati dalle loro mansioni giornaliere, quelle che costringevano alcuni dei figli di Minosse e Pasifae ad assentarsi da palazzo per interi momenti della giornata. La famiglia reale di Atlantide ha dato una luce, una guida, a coloro che l’avevano persa. Ognuno di noi un giorno sarà responsabile di quella luce. Le sue parole erano sistematiche, razionali, come quelle di una persona che aveva soppesato con giusta importanza la questione che gli era stata rivolta. Infine, la sua postura – appoggiata su quel blocco di pietra – tornò dritta, in piedi. Un piccolo movimento, e si ritrovò di fronte a Circe. Con una lentezza che sorprese anche lui, che stava compiendo quel movimento, la mano sinistra salì all’altezza del volto della donna. Sfidò ancora il dolore e il peso di quello sguardo che avrebbe potuto togliere la vita con un solo battito delle palpebre, e poggiò il palmo proprio sulla sua guancia. Il pollice strofinò quei pochi millimetri che lo separavano dagli occhi, con ancora più lentezza e tranquillità. Non è felice l’uomo che sceglie e sacrifica, ma quello che ha la forza di soffrire e conquistare entrambi. Facendo suo quel dolore, si avvicinò ancora di più – non tanto da incontrare il volto di lei, ma abbastanza da fare suo il peso di quella bellezza e avere vicino. Avrò la libertà e la forza di decidere il mio destino, una volta che avrò adempiuto ai miei doveri. Con altrettanta gentilezza, la mano destra prese quella della donna – la stessa che aveva ammirato, recante l’anello – e la chiuse in una stretta delicata, seppur decisa.


    A che gioco stai giocando con me,
    Ερωτοτροπία?


    [dalliance]



    What a wicked game you play, to make me feel this way
    What a wicked thing to do, to let me dream of you
    What a wicked thing to say, you never felt this way
    What a wicked thing to do, to make me dream of you.




    hiaAmxR


    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ parlato altri


    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ Ottimo
    MENTALMENTE Ξ Esattamente questo
    STATUS SCALE Ξ Indossata - Ottimo

    RIASSUNTO AZIONI Ξ
    Riguardo alla prima parte, Oliver chiede a Circe di rivelarle tutto nel minor tempo possibile, aggiugnendo la richiesta a Neumannus di buffargli l'impossibile addosso. Dopodiché usa ambientali per nasconderli da tutto, e da ordine al Tenno di proteggere Circe e protarla via di lì.

    Appena se ne vanno, si volta.
    Strong, united, working 'till we fall

    ABILITÀ Ξ

    Reality Overwriting
    - Illusioni Ambientali
    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia


    TECNICHE Ξ




    And we all lift, and we're all adrift together
     
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    Circe ti guarda, stringendoti forte per un attimo. Ti fissa negli occhi e per un attimo vedi quegli occhi, quello sguardo e un brivido ti coglie. Per un istante sei di nuovo a Creta e sei di nuovo Azae che la sta guardando. Per un attimo sei solo un altro uomo al suo cospetto. Per un attimo sei Odisseo. Sei Scylla e quegli occhi sono l'ultima cosa che hai visto prima di diventare un mostro.

    Jqxt1hX



    ***



    È un sorriso dolce e divertito quello che ti rivolge, socchiudendo appena le palpebre su quelle iridi che sembrano cambiare colore a ogni movimento. È intrigata e per un attimo ti rendi conto di avere davvero catturato la sua attenzione.

    Gioco ad esistere, Azae. Un gioco le cui regole sono in perenne cambiamento. Chissà, forse la prossima volta che ci incontreremo, ne avrò afferrata qualcuna anche io.

    Perdonatemi, grande Azae...

    Ti volti un attimo, l'incantesimo si è spezzato. Acalla, Maestra di Chiavi e la maggiore delle figlie di Minosse e Pasifae, si è avvicinata. Probabilmente ha bussato, probabilmente ha cercato di attirare con molta educazione la tua attenzione senza riuscirci. Ha un bel sorriso pacato mentre ti avvisa con dispiacere che la regina Pasifae l'ha mandata ad avvisarti di un contrattempo improvviso a Naxos che merita l'attenzione sua e di suo marito, ma che saranno di ritorno per cena.

    Non avete avuto occasione di vedere la città, gradite una passeggiata?

    Ti rendi conto in quel momento di essere solo insieme all'eco di un profumo. Circe è svanita ed è l'ultima volta che l'hai vista.


    ***



    Le regole. Le risposte. Ecco cosa sta cercando, ecco cosa deve proteggere...questo è ciò che ti sovviene nel retro della mente, quando la vedi allontanarsi in tutta fretta al seguito di Neumannus, che ha accolto il tuo ordine senza esitare. Sei avvolto dai suoi sigilli e loro dalla tua illusione mentre si defilano in un istante.

    E la tua attenzione è improvvisamente concentrata su altro. Sul Cosmo soffocante che si è materializzato di fronte a te, il tempo di un battito di palpebre. Una figura umanoide, con le ali che compiono un ultimo respiro nell'aria senza averla davvero smossa, allungandosi in ombre tetre. È invece la spiaggia a devastarsi intorno a voi mentre una maschera d'osso ti fronteggia, a un millimetro di distanza. Non hai avuto tempo di reagire. Sabbia, polvere, il crepitare dell'energia dei sigilli di Neumannus che sfrigola mentre la presenza si fa appena in avanti per guardarti negli occhi.

    C̴̖͇̩̉̒͆͋̋̾̾͑͜Ơ̴͍͓̫̖͙͚̩̦͔̣̠̌̄͐̍̏̆͂̊̀̓̚͠͠͝ͅM̷̨̩̠̫̅̑Ȅ̷͕̱̟͉̾̕ ̶̧̫̞̱͖̙́͋̑̾͂̔̌̒͜͠

    P4EZKdS
    COME HAI POTUTO CADERE IN TRUCCO DEL GENERE?


    La figura si stacca improvvisamente. La voce che ti ha rimbombato nella testa ha avuto una forza tale da rintronarti per un secondo, darti la sensazione del sangue che cola dalle orecchie se fosse stata a volume vero. Hai tempo di imbastire una difesa, o un attacco che semplicemente si infrange su di lui mentre cambia forma, ne assume una esile, androgina, dai fluenti capelli neri che frustano l'aria.

    Non ti guarda neppure, il viso pallido e contratto scruta i dintorni con uno sforzo visibile, che si trasforma presto in fastidio quando nota la tua illusione. Nei suoi occhi vorticano linee azzurre, angolazioni impossibili che ti causano un brivido quando finalmente si fissano su di te.

    H6GGR2I

    Localizza il tuo Tenno. La tua nave, qualunque cosa sia vicino a lei. Adesso.

    È un ordine perentorio, senza repliche. La sua voce è poco più di un sussurro, ma si incide nell'aria come coltelli. Hai di fronte non solo uno Spectre...ma un Giudice. E qualcosa nel tuo animo riconosce istintivamente le tracce in quel Cosmo. Minosse, o chiunque sia la creatura aberrante che ne porta il nome e indossa la surplice di Grifone, chiude gli occhi e lascia un espiro fra i denti serrati.

    Raggiungete entrambi una conclusione terribile, pochi istanti dopo.

    È troppo tardi.






    La traccia cosmica di Neumannus è svanita.







    Su4sahH

    Hai le coordinate della nave dopo un po' di sforzo (devi fare un override manuale di diverse funzionalità). È a diversi kilometri di distanza, ancora sommersa, ma completamente disattivata.

    ...decidi pure cosa fare. Hai anche un birbito a Nera vicino che sembra lievemente incazzato.
    ▼ DM's Corner


    Edited by ~S i x ter - 16/2/2021, 14:27
     
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    La ascoltò parlare ancora una volta. Le regole del gioco, qualcosa a cui nessuno poteva sottrarsi – né uomini, né dei – qualcosa di immateriale, eppure, dotato di una gravità tale da impedire qualsiasi moto di ribellione a quello che era, di fatto, il destino. Potevi osservarle, contemplarle, potevi perfino farle tue – ma nessuno sarebbe mai riuscito a romperle o renderle invalide. Non aveva un nome, e allo stesso tempo ne aveva anche troppi. Fato, volontà, ordine delle cose, casualità; un moto perpetuo di opposizioni e similarità, di abissi e linee sottili da infrangere con una parola. Circe desiderava afferrarle tra le dita, con la stessa forza di una persona che strappava, ma con la stessa tranquillità di una carezza. Possedere le regole significava agire in esse, significava essere liberi. Perché no, magari avrebbe raggiunto anche lui una simile volta, magari sarebbe stato anche lui padrone di qualche regola, di qualche segreto – il concetto più potente del loro mondo. Una voce lo riportò alla realtà, sottraendolo a quei pensieri – una voce che aveva già sentito prima. Per un attimo temette la reazione di Acalla nell’osservarlo insieme alla sorella della regina, ma quando il principe di Atlantide fece per voltarsi, per incontrare un’ultima volta gli occhi della donna, non trovò nient’altro se non il pallore delle pietre colpite dal sole. Abbassò gli occhi con l’aria di un cacciatore che aveva perso la volpe un’altra volta; con la brezza del mare a portare via anche l’ultima traccia di lei, si voltò verso la figlia di Pasifae e Minosse – che si erano dovuti recare a Nasso, lasciandolo alle cure della famiglia. La figlia maggiore stava ferma, lontano dal punto in cui si trovava lui. Lo sguardo aperto in un’espressione educata, le lunghe trecce che le cadevano avanti, poggiate sulle vesti regali. Il ragazzo annuì, dopo aver chinato il capo nel più classico saluto dovuto alla famiglia, percorrendo lentamente la distanza che li separava. Solo se mi farete l’onore di essere la mia guida, nobile Acalla. La guardò con un sorriso, accettando. Quando fu sul punto di abbandonare quell’ambiente, si voltò ancora verso il punto in cui aveva parlato con Circe – incerto della realtà di quel dialogo. Forse non l’avrebbe più rivista, forse l’avrebbe incontrata ancora, ma una cosa era certa.


    L’avrebbe trovata con delle risposte.




    Risposte, era quello a cui puntava la donna che l'aveva stretto con forza. Per un momento aveva quasi esitato, sentendo l'espressione della sua gratiduine - ma qualcosa lo aveva profondamente inquietato nel modo in cui l'aveva guardato prima di andare via, scortata dal tenno. Come un presentimento che trovava appiglio nella natura stessa della scale e dei suoi poteri. Aveva fatto la cosa giusta? Cosa aveva appena fatto? Oliver avrebbe voluto riflettere di più sull’eco dell’intuizione che si era fatta sentire nella sua mente, ma la sua attenzione fu completamente rivolta alla minaccia che rapidamente – sempre di più – si stava avvicinando a lui. Fu come lasciare andare il respiro dopo averlo trattenuto, fu come liberare qualcosa costretto per troppo tempo. Attorno a lui, una forza violenta esplose, capovolgendo tutto quello che fino a quel momento era stato immobile, trattenuto dalla sospensione che Circe aveva portato, a modo suo. Alzò le braccia, parallele al suo busto, rendendo più spesse le parti della scale che si scontrarono con la forza arrivata esattamente davanti a lui. Percorse qualche metro di distanza, mentre i sigilli sul suo corpo vibravano con forza – scaricando l’impatto che avevano assorbito. Una nuvola di polvere ancora più spessa si alzò, riempendo l’aria di qualche metro, al termine della quale non poté non incontrare gli occhi fissi nei suoi. No, era sbagliato definirli occhi, erano qualcosa che andava oltre la normale concezione di sguardo – qualcosa che sembrava quasi osservare la parte più profonda di Cuordimetallo, oltre la carne, oltre l’oricalco innestato nel suo corpo, oltre le ossa. Lo spirito del Primarca si sentiva scrutato, e assieme a quella sensazione di disagio – arrivò la voce nella sua mente. All’inizio fu un rumore acuto, come quello che il cervello umano provava a seguito di alto picco dovuto all'acufene. Quel suono fantasma si tradusse in una voce che tuonò attraverso i pensieri, portandolo ad aprire gli occhi a seguito di ciò che aveva realizzato qualche secondo dopo. Il suo istinto fu quello di portare le mani ai lati della testa, come a coprire l’udito, ma non avrebbe sortito alcun effetto. Serrò i denti, arrivando quasi al punto di attaccarlo – quando le forme del mostro cominciarono a cambiare con rapidità. Osservò la carne ridursi, cambiare colore, il volto – se volto poteva definirsi – trovare fattezze sempre più vagamente umane. Una serie di lastre livide passarono a ricoprire la superficie di quello che scoprì essere un corpo molto più piccolo della forma che aveva assunto fino a quel momento. L’aria si fece ancora più pesante – non immobile – ma carica di quella che sembrò una forte tensione. E dopo la confusione iniziale, dopo aver respinto quell’arrivo, dopo aver visto il mostro mutare in forma umana, arrivò la reale percezione cosmica di chi aveva di fronte. Avendone incontrato più di uno, sul suo cammino, non fu difficile realizzare che la minaccia entrata in quella dimensione era uno spectre. Ma avendo capito ciò, una nuova serie di informazioni stimolarono gli impulsi della sua mente.



    Il suo cosmo era estremamente controllato – lo aveva realizzato la prima volta che l’aveva incontrato, la prima volta che era stato accolto a palazzo. Un rigore esemplare, come una melodia appresa e suonata in modo quasi meccanico ed efficiente. Non una nota fuori posto, non un suono prolungato per più tempo del dovuto. Chiaro come la cera di una candela, come il tessuto che indossava, era stato esempio di rettitudine. Il volto posato in un’espressione neutra, che anche nelle emozioni non lasciava trasparire altro se non un accenno. L’uomo che aveva mantenuto un regno fatto di imparzialità, un regno che non aveva ceduto davanti alle richieste sia di Atlantide che di Lemuria – che aveva conservato la sua integrità, la sua scelta di non schierarsi. Adesso era davanti a lui, ancora una volta, e non gli aveva rivolto più parole di benvenuto, di accoglienza, ma un’intensa frustrazione nell’apprendere la scelta che aveva compiuto. Perché sì, anche mutato nell’aspetto – anche mutato nel suo essere – colui che aveva davanti, così simile ad Eaco, non era nient’altro che il Re di Creta, Giudice di Hades. Le ali della sua surplice si estesero, e la sua posa – nonostante il riverbero del cosmo che ancora sfrigolava contro i suoi sigilli – sembrava essersi acquietata. Minosse. Pronunciarlo fu strano – non lo aveva mai incontrato personalmente, ma l’immagine del re pallido era quasi marchiata a fuoco nella sua memoria, una memoria più antica di quella del ragazzo. E così, anche il secondo fratello si scoprì essere nelle grazie del Signore dei Morti. Ma quello che poteva essere vagamente ricondotto a lui, era molto diverso dalla figura che la sua mente aveva dipinto. Gli occhi, che non erano cambiati, erano pieni di una luce che non apparteneva al normale modo di pensare, ma che sembravano virare su un’estrema razionalità – o una follia controllata. Quello stesso sguardo era fisso su un punto lontano; aveva percepito il compagno? Stava per partire verso quella direzione? Istintivamente assunse una posa da combattimento, l’avrebbe intercettato, nonostante il ricordo che aveva di lui – l’avrebbe combattuto con ogni mezzo possibile. L’avrebbe fatto, sì, se non avesse lasciato uscire quelle parole così dure, e così piene di una terribile consapevolezza.


    Come hai fatto a cadere in un trucco del genere.




    Il sangue gli si gelò nelle vene nel rendersi conto di ciò che aveva fatto. Fu sul punto di rispondere, di provare a dire qualcosa, quando si rese conto che il Giudice non era interessato a combatterlo, quanto più a tentare di trovare ciò che stava cercando nel punto lontano. No. Si disse, voltandosi nello stesso punto. Continuò a ripeterlo dentro di sé più e più volte. Accecato com’era stato dall’aura di Circe, preso dall’effetto che ancora aveva su di lui, aveva dato ascolto alla parte più buona di sé, quella che non gli permetteva di negare l’aiuto a chi era in difficoltà. A chi sembrava in difficoltà. Oliver aveva messo in pericolo non sé stesso, ma il suo più fidato amico, colui che gli aveva permesso di combattere fino a quel momento. Ma non poteva essere così – Neumannus era una delle persone più forti che avesse conosciuto. Non aveva incontrato la sua fine a Mechanus, la prima volta, non aveva ceduto a secoli di attesa o battaglie – non sarebbe finito così, vero? Lui non poteva morire, era una delle luci che gli permettevano di avere ancora speranza, specialmente dal momento in cui ne aveva persa una delle più importanti. Cuordimetallo scosse la testa, serrandosi in un’espressione sofferente, dietro il proprio elmo. Per diversi secondi gli mancò l’aria, e ciò lo portò ad aprire il visore del proprio elmo, percependo il residuo dell’aria smossa da Minosse colpirgli lentamente il volto, permettendogli di prendere un attimo di respiro. Stava succedendo ancora, stava di nuovo provando quel senso di angoscia – di paura – che un’altra spiaggia gli aveva già riservato, con il suo silenzio. Ecco che la promessa che si era fatto, di non lasciar più nessuno correre simili pericoli, veniva infranta di nuovo per la sua ingenuità.


    La prima procedura fu indirizzata a prendere il controllo della nave da remoto. Digitò velocemente la procedura sullo schermo, ma la richiesta fu prontamente rifiutata a causa di un errore anomalo. Riprovò più volte, fino ad alzare lo sguardo ed imprecare. Lo stesso errore continuava a ripetersi secondo dopo secondo, rendendo impossibile riuscire ad appropriarsi dei comandi a distanza. Allora, Cuordimetallo scelse di provare con una procedura di comunicazione – tentando di accedere al sistema di trasmissione che era presente sulla nave. Neumannus, sono io, rispondi. Qualcosa sembrava, tuttavia, aver tagliato la possibilità di mandare un messaggio in tempo reale. Neumannus, dannazione - RISPONDI. Con una ripetizione quasi ossessiva, si trovò a riprovare e riprovare le procedure – assicurandosi che non avrebbero portato alcun altro effetto soltanto dopo svariati tentativi. L’unica opzione disponibile – realizzò cercando di tranquillizzare la parte del suo cervello che ormai già stava preparando il peggio – era forzare un tentativo di localizzazione.


    Il braccio si mosse così rapidamente che quasi si scontrò con le placche d’oricalco del petto. Un piccolo sportello metallico si sollevò, facendo uscire quello che sembrava un minuscolo proiettore – dal proiettore, poi, una tenue luce azzurra si allungo in piccoli raggio verso l’esterno, proiettando quella che sembrava – di fatto – una tastiera atlantidea, così come una mappa che ritraeva la superficie sulla quale erano atterrati. La mappa si allungò ancora di più, cercando di dare lui una visuale completa, con tanto di posizione del mezzo di trasporto che avevano utilizzato per arrivare sull’Isola di Tonga. Nulla. Assolutamente nulla. Le dita di Oliver cominciarono a scorrere con ancora più velocità e rabbia sulla tastiera, ogni comando sembrava essere inutile per localizzarla velocemente – come una persona che tentava di comunicare con un’altra senza ricevere alcuna risposta. Dannazione. La presenza di Grifone lì davanti a lui non migliorava di certo la situazione, ma le sue intenzioni abbastanza lontane dall’aperta ostilità verso di lui – in quel momento – sembrò dargli una sicurezza maggiore che l’avrebbe portato a concentrarsi solo su quello che doveva fare, ovvero una localizzazione forzata con un bypass di funzione. Ogni veicolo prodotto da Oliver, tanto nel Pacifico Meridionale, quanto nell’Atlantico Settentrionale, era dotato di questa possibilità. Era stata una misura preventiva nel caso in cui figure importanti si fossero trovate in pericolo – in quel modo avrebbe avuto l’opportunità di rintracciarle o prendere comando del mezzo di trasporto, guidandolo di nuovo a casa. La moto di Raia, quella di Seadragon, quella di Sanya – la sua stessa automobile. Sarebbe stato sciocco, avendo a disposizioni simili possibilità, non approfittare di una misura di sicurezza ulteriore, gli era sempre stato detto di prepararsi a qualsiasi evenienza – o meglio, tutte quelle che si sarebbe potuto aspettare. Perché un evento del genere, Oliver, non lo aveva preso in considerazione. Con un po’ più di tranquillità si sarebbe dato dello stupido – avrebbe fatto collidere i pugni su qualsiasi superficie vicina – avrebbe imprecato ed urlato. Ma in quel momento, il tempo marciava contro di lui – e più ci metteva per individuare Neumannus e Circe, meno avrebbe avuto per salvarlo. Sì, salvarlo.



    || ACCESS GRANTED ||
    Welcome, Primarch.





    Fortunatamente, aveva diretta comunicazione con i sistemi che regolavano i veicoli, e che permettevano di chiamare soccorsi. Quello non fu difficile, non bastavano che un paio di comandi. La cosa che gli importava di più, tuttavia, era attivare il canale diretto con il tenno. Non risponde, dannazione – non risponde. Si lasciò andare, ancora incurante dell’essere ascoltato da Minosse – o chiunque fosse quell’essere che più si avvicinava al Re di Creta. Si concesse il lusso di chiudere per una manciata di secondi gli occhi, impegnandosi a riflettere sulla procedura più efficace. Un circuito di possibilità si aprì dinnanzi ai suoi occhi, alcune viravano in maniera segmentata – con determinati compiti da svolgere prima di avere accesso. Altre, che avrebbero potuto destabilizzare il sistema tramite forzature, avevano una via più breve verso il suo obiettivo, ma molto più pericolosa. Strinse i denti sentendo i muscoli della mano quasi provare dolore sotto lo sforzo. Se fosse stata una normale tastiera, si sarebbe rotta dopo qualche colpo, ma la natura dello strumento che stava utilizzando in quel momento gli consentì di sfogare parte della sua rabbia anche in quel modo. Un mezzo sospiro innervosito anticipò il colpo di fortuna, l’intelligenza artificiale che stava ancora terminando di sviluppare rispose alla sua chiamata, presentando a lui un quadro fatto di simboli stilizzati – di matrice atlantidea, ovviamente – che presero a scomporsi in appositi spazi dove poter digitare i comandi necessari. Aveva scelto di optare per la seconda possibilità, quella più veloce. Per quanto importante fosse, fare le cose in sicurezza, una situazione del genere richiedeva un intervento tempestivo. Alzò per un attimo gli occhi, osservando l’altro che scrutava in un punto lontano da lui – da loro – prima di riabbassarli e utilizzare l’indice sinistro per picchiettare una sola volta, dando avvio alla procedura.




    Input: sc/manualoverride/exe
    Password: 15C0TA25ss



    Select Model: PM-317-A65

    Result: found
    DMS Lat: 21° 10' 44.3496'' S
    DMS Long: 175° 11' 53.6712'' W



    Status: inactive






    Avendo selezionato il modello specifico, con la sua sigla di riconoscimento, Oliver non fu infastidito da eventuali presenze o localizzazioni di altre navi del suo regno. Si sarebbe concentrato soltanto sul veicolo preso in custodia da Neumannus. L’espressione distesa che il suo volto assunse pochi attimi dopo la riuscita della procedura, tuttavia, scomparve ancora una volta nell’apprendere che il mezzo di trasporto che stava cercando non era poi tanto lontano da lì – i sensori indicavano una piccola luce nera che non lampeggiava, ma era fissa come a dare una continua notifica alla persona dietro lo schermo. La legenda, di solito, dava alle luci azzurre la piena funzionalità del veicolo; la luce rossa, invece, segnalava il mezzo con problemi di sistema – o di manutenzione – ma ancora attivo. Infine, la luce completamente nera segnava semplicemente la presenza, priva di stato di accensione. La differenza tra l’intermittenza o la luce fissa dava modo di capire se il veicolo fosse in movimento, o spento. Il volto si allungò in avanti, verso il punto che aveva segnato la mappa. Non c’era nient’altro che una distesa di acqua salata di fronte a loro, probabilmente dovevano essersi immersi subito dopo aver acceso i motori, scendendo nelle profondità. Quando finalmente provò a dare esito positivo di almeno quella ricerca, ancora una volta, il respiro morì dentro, senza trovare la forza di uscire.


    È troppo tardi.
    Non di nuovo.
    No.




    Non è troppo tardi, mi hai sentito? Disse con odio, quasi a denti stretti. Non gli interessava quante forze avrebbe dovuto muovere, non gli interessava se avesse dovuto rivoltare il mare – se avesse dovuto scandagliare ogni centimetro di fondale oceanico. Non avrebbe permesso ad un altro compagno di sparire nel nulla, non avrebbe lasciato ripetersi ancora una volta lo stesso errore. Oliver fece scattare le placche dell’elmo. Non sarebbe rimasto di nuovo seduto a piangere e a lamentarsi sul non aver fatto niente di più. Questa volta – questa volta sarebbe intervenuto, questa volta avrebbe stravolto qualsiasi prospettiva negativa, perché anche solo immaginare tutt’altro sarebbe stato impossibile per lui. Il visore del Primarca di Scylla si chiuse di nuovo davanti al suo volto, facendo comparire di nuovo l’espressione metallica della conformazione della scale. Le coordinate del veicolo immerso erano ben chiare sul display olografico che proveniva dalla scale, ma il ragazzo aveva abbassato il braccio – con l’altro puntato in una direzione lievemente diversa. Se c’è anche una singola possibilità di ritrovarli allora darò fondo a tutte le energie. Devi dirmi cos'è che nasconde Circe, questa cosa è una mia responsabilità! Interruppe la frase quasi con sorpresa, rendendosi coknto del modo in cui stava per concluderla – nonostante ciò, con un tono meno deciso, trovò sfogo tra i suoi pensieri. E’ una mia colpa.


    Si voltò, provando ancora una volta a tentare di percepire il cosmo del tenno, forse qualche flebile traccia di Circe. Ancora nulla, come prima – quando entrambi avevano notato la sparizione. La sua mente cominciò ad elaborare tutte le possibili spiegazioni. Forse Circe l’aveva semplicemente portato fuori dal suo raggio di percezione – ma, ancora, per essere spariti anche da quello di Minosse, chiaramente più vasto del suo, voleva dire che non si trovavano più su quel piano dimensionale. Sì, piano dimensionale – forse avevano semplicemente cambiato dimensione. Nessuno tra la sua cerchia di conoscenze aveva dominio su un potere simile. Avrebbe potuto chiamare tempestivamente Johanna, ma le acque di Tiamat ragionavano su una natura diversa, che non tutti potevano attraversare. In ogni caso, non avrebbe avuto il tempo di chiamare soccorsi – era una cosa che andava affrontata immediatamente, senza perdere altri secondi utili. I dispositivi della scale si illuminarono, i propulsori cominciarono ad accumulare cosmo necessario a muoversi a grandi velocità verso il punto di cui aveva ottenuto le coordinate. Non gli importava quanto ci avrebbe impiegato per arrivare lì – né cosa avrebbe trovato, avrebbe spostato tutta l’acqua dell’oceano fino a scendere a terra, per trovare la nave. Non gli importava nemmeno quanta energia avrebbe speso per muoverla – metro dopo metro – fino ad ottenere quel risultato. Ancor meno gli interessava se il Grifone fosse andato con lui. I mesi passati in sofferenza dal precedente lutto tornarono a bussare alla sua porta, portando con loro la stessa sensazione che aveva provato allo spegnersi del ciondolo che ancora portava al collo, dopo tutto quel tempo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per riportare a casa l’amico, per mantenere accesa una di quelle luci che non si sarebbe permesso di lasciar spegnere.

    Puoi pensare che sia tardi

    O tornartene da dove sei venuto

    Ma io non mi arrendo, non questa volta.




    hiaAmxR


    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ parlato altri


    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ //
    MENTALMENTE Ξ Impaurito ma in qualche modo determinato
    STATUS SCALE Ξ Indossata - Ottimo

    RIASSUNTO AZIONI Ξ

    EDIT: ho modificato lo stile di alcune frasi per il mio ocd
    Strong, united, working 'till we fall

    ABILITÀ Ξ

    Reality Overwriting
    - Illusioni Ambientali
    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia


    TECNICHE Ξ

    And we all lift, and we're all adrift together


    Edited by ~Rain~ - 22/2/2021, 14:43
     
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    Su quel volto strano, a un soffio dalla perfezione simmetrica senza raggiungerla, a un soffio dalla bellezza senza essere propriamente tale, passa una nota di visibile fastidio che sei abbastanza sicuro non derivi dalla tua risposta, tanto più dal tempo che hai impiegato a darla.

    Allora vai, Primarca.

    Non hai mai sentito una voce più gelida. L'ordine frusta l'aria con un'autorità devastante, pregna di una minaccia che definisce strettamente l'unica via libera: obbedire. Qualcosa dentro di te si rivolta dal disgusto nel realizzare che no, quel mostro non ha alcuna autorità su di te. I tuoi fratelli amavano pensare che l'autorità di Minosse su Creta fosse una concessione di vostro padre, che se Poseidone avesse voluto, l'intera isola sarebbe semplicemente sparita ad un suo comando, disintegrandosi fra i flutti in nome dell'Impero. Ma ti rendi conto che non c'è nient'altro da fare. Che quell'ordine ha semplicemente inciso una direzione, ma non ti ha imposto di seguirla.

    Ti supera in un paio di passi che non smuovono neppure la sabbia sotto di lui.

    E se davvero pretendi di avere risposte dopo questa dimostrazione di assoluta idiozia, sei riuscito a non sorprendermi per l'ennesima volta.

    Siete sul posto in pochi istanti. La figura slanciata di Minosse, sospesa a pochi millimetri dall'acqua con le braccia incrociate sul petto, osserva la navetta che hai recuperato ed è ora aperta. La figura di Neumannus è spenta. Il tenno è letteralmente disattivato, ancora ai comandi come se non si fosse accorto di nulla quando è successo.
    E dentro il suo petto, al posto del core che lo ha tenuto in vita, vedi un singolo frammento cristallino, di un blu vivo, conficcato profondamente.

    Ciò che stai affrontando è gigantesco. Lo senti roboare nelle orecchie, devastante, ad un passo dal sommergerti. È troppo. Non puoi farcela. Nessuno è fatto per farcela, deve esserci un limite a quanto stai provando ora.

    Ma sembra che qualcuno non abbia finito di giocare.

    Come ghiaccio rotto. Una mano che ti ripesca per la collottola da un fiume gelido. Uno schiaffo in pieno viso. Ritorni a respirare, il nero recede dalla tua visuale tremante. Appena in tempo perché dal cristallo una luce improvvisa colori l'abitacolo e intorno a voi. Un'emanazione cosmica terrificante, sbagliata, che sembra scatenare disgusto anche nello Spectre.

    Sprazzi di arcobaleno vi avvolgono, in un'ironica bellezza che però mostra solo i riflessi visibili di qualcosa di errato, componenti che non dovrebbero essere mostrate al mondo.

    E in mezzo ad essi, Circe, che si muove avvolta dalla proiezione di Tzeentch come raggi di sole la accarezzassero.

    opKKaq0

    Incredibile, Oliver. Davvero. Avevi la risposta nelle tue memorie, eppure mi hai chiesto cosa cerco? Ero curiosa di sapere come funzionasse ciò che chiamate Khala...ed è assurdo come tutto sia sempre nelle mani sbagliate.

    L'emanazione rivolge lo sguardo verso lo Spectre, la cui mascella ha un'impercettibile contrazione. Di rabbia, di disgusto...è impossibile dirlo con certezza.

    E voi più di tutti dovreste saperlo.

    Ne ho la prova davanti a me, risponde senza battere ciglio il Giudice.

    Una risata dolce e ironica, la sua risata, si allarga dall'emanazione, che torna a guardarti come se l'altro non esistesse.

    Davvero, mi dispiace per il tuo cagnolino di metallo, ma ero troppo curiosa di capire come funzionava. Non ho potuto resistere, un peccato che ci fosse solo qualche brandello...poco soddisfacente, ma ahimè, i tempi sono difficili per tutti.

    Ma perché non venite a discuterne di persona? O meglio, chi di voi due arriva primo. Mi sono sempre piaciute le gare!


    Sorride, battendo le mani.

    Siete poco lontani da qualcosa che ho lasciato apposta per l'occasione. Un mio frammento, qualcosa che ho conservato in caso di emergenza, ma che non mi è servito. Vorrei davvero riaverlo, ora, ma forse serve più a voi...curiosi. Se lo trovate, verrò di persona a congratularmi con il vincitore...

    Nella tua mente c'è un'immagine. È l'anello di Circe, i cui contorni brillano vividi all'interno dell'ultimo ricordo che hai di lei.

    E ti sovviene una domanda, a cui non hai risposta. Un vuoto mentale:

    chi le ha dato quell'anello?


    Lo stesso fastidio sembra percorrere il viso di Minosse per un attimo, prima che un ultimo sorriso si allarghi sul viso di Circe.

    ...c'è sempre spazio per una piccola deviazione al Piano, in fondo.

    L'emanazione scompare e siete soli. C'è un lungo silenzio, prima di avvertire uno degli occhi scuri e penetranti di Minosse guardarti di sbieco, senza dire una parola.



    E non riesci a muoverti.

    Su4sahH

    Scusa il ritardo, tesoro :zizi:

    Credo che ci sia un sacco da scrivere in questo post. Alla fine, sei bloccato in una presa telecinetica a Energia Nera, con gli effetti del bonus di Mino (discombombulate mentale).
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    Mi sarei aspettato un messaggero più- adeguato.
    Sì, adeguato.
    Insomma, il primo umano arriva morto
    Bastano alcune piccole emanazioni caotiche ad atterrarlo
    Perché non hai indossato l'armatura?
    Igiovani sono sempre incauti, vedo.




    Schioccò la lingua in risposta all’esortazione di Minosse. Non perché avesse voluto provocarlo, non perché avesse voluto opporre la sua volontà – ma perché nella sua testa nulla era più importante del soccorrere il suo amico, nulla era più importante del raggiungerlo e riportarlo su, in salvo. Per la supponenza infernale, per la forza di colui che aveva accanto, nella mente di Oliver, non c’era il minimo spazio. I suoi muscoli si mossero, così come il suo cosmo prese a vibrare con forza attraverso l’armatura – attraverso il suo corpo – generando quella che fu una pesante onda d’urto, che quasi cozzava in modo errato con la delicatezza dei passi dello spectre, compiuti con calma – che non era sinonimo di tranquillità – ma che viaggiava alla stessa velocità, se non maggiore, fino a quel punto. Per più di un secondo, il suo animo divenne irrequieto, come se a separare il suo corpo dal mezzo di trasporto non ci fosse un’immensa distesa d’acqua, ma nient’altro che una superficie sottile, che si sarebbe increspata sotto le sue dita, che gli avrebbe permesso di raggiungerlo semplicemente allungando il proprio braccio. Ciò che avrebbe soltanto dovuto fare sarebbe stato espandersi oltre quel velo, per tendere la mano a Neumannus, per permettergli di ritornare a casa. Speranza, quella che nutriva Oliver, quella che animava la sua volontà – la lanterna che non si spegneva e che gli permetteva di illuminare tutto ciò che aveva attorno. E all’affermarsi della volontà del Primarca, molto più che un sottile strato d’acqua si mosse. Sotto la sua mano, la superficie dell’oceano prese a dimenarsi con violenza. Data la quantità enorme di acqua sotto di loro, il suo controllo sarebbe stato graduale – impiegando la capacità di manipolarla per generare vortici. La prima cosa che tutti pensavano era che il gorgo di Cariddi fosse capace soltanto di portare distruzione e abbattersi violentemente sui nemici, ma ciò che dimenticavano – ogni volta – era che un vortice, se voluto dal suo evocatore, aveva all’interno una zona di sicurezza, un punto che gli avrebbe permesso di isolare la nave da tutto il resto, dagli altri pericoli.



    Quando anche il secondo braccio di Scylla fu protratto in avanti, le acque sotto di loro cominciarono a muoversi con ancora più forza e velocità. Cominciarono a distorcersi in un movimento orario – generando sempre più spazio verso il centro. Ad ogni centimetro di spazio, avanzava il ragazzo; ad ogni centimetro di spazio, la distanza si accorciava sempre di più. Passò diverso tempo dal momento in cui Oliver cominciò ad esibire segni di sforzo, dalla sensazione che gli procurava tensione ai muscoli, che gli imponeva di stringere i denti – eppure, sentì il suo animo diventare ancora più irrequieto. La traccia cosmica di Neumannus non aveva accennato a rispondere, nemmeno una volta, ma forse non si era trovato nemmeno più sul veicolo, no? Forse la risposta a quella domanda stava nel fatto che si fosse allontanato sempre di più. Forse era riuscito a tornare a casa. Non importava la fuga di Circe, l’avrebbe ritrovata, ma ciò che non avrebbe potuto più recuperare sarebbe stata la vita dell’amico, e per lui, quello era l’obiettivo più importante. Sentì la sensazione di una mano sulla spalla, la ignorò. La stanchezza poteva giocare brutti scherzi ad una mente capace di creare illusioni. Continuò a spostare la massa d’acqua, secondo dopo secondo, aprendosi a forza la strada verso il punto in cui si sarebbe trovato il veicolo, dove si sarebbe convinto dell’assenza del tenno, perché era quella la risposta a tutte le sue paure – lì non c’era, ma era ancora vivo. Doveva essere ancora vivo. Un movimento del braccio, che ormai cominciava a reclamare riposo, e le acque attorno alla nave si sarebbero mosse di nuovo, generando una spinta tale da portare a galla il veicolo con sicurezza. Forse sarebbe uscito da lì – ferito, sì, ma ancora capace di parlare. Forse aveva soltanto soppresso momentaneamente la capacità di generare cosmo; infondo, erano tutti in grado di farlo. Si sarebbe visto soccorrere, e sarebbe uscito appoggiato al proprio martello, con la sua solita risata, con la sua solita pacca sulla spalla. Ragazzo mio, gli avrebbe detto, infrangendo qualsiasi formalità. Questa volta ci ho quasi rimesso i circuiti. E si sarebbe lasciato andare ad un sorriso, si sarebbe lasciato andare ad un insulto, noncurante della presenza del giudice, noncurante del tradimento di Circe.



    Un ultimo slancio, e Oliver adagiò il veicolo sulla terra dietro di loro. Le giunture di ayatan scricchiolarono pesantemente, e l’oceano in rotazione si infranse generando onde alte decine e decine di metri. Non gliene importò nulla, il ragazzo era ormai già vicino alla nave. Aveva già adagiato le mani sullo scafo, atterrando. Un battito, due battiti, tre battiti – tutto cominciò a scorrere più lentamente. Il sangue circolò con più forza nel suo corpo e il cuore meccanico cominciò a brillare con più intensità, a diventare sempre più caldo. L’elmo si aprì con uno scatto, mostrando il volto preoccupato di Oliver. Era lì, proprio lì – accasciato al suolo in una posizione strana. Manny disse ad alta voce. Manny, va tutto bene- Cercò di adottare un tono rassicurante, avvicinandosi di ancora un paio di passi. Neumannus? Nessuno lo aveva colpito, e allora perché era caduto a terra? Perché il corpo di Oliver si era improvvisamente sentito debole, schiacciato da un peso che nessuno aveva visto? Le mani premute sul corpo del tenno, la testa abbassata sul punto in cui una volta si era trovato il suo nucleo – ed ora nient’altro se non un piccolo frammento blu. Erano le onde in movimento quel rumore che sentiva nelle orecchie? Era la risacca il movimento che stava scuotendo quella nave? Ben presto scoprì che non fu niente di tutto ciò a circondare l’ambiente, non furono cause esterne – ma il suo stesso dolore. Ma questa volta la voce non fu bloccata, questa volta uscì naturalmente, come sangue da una ferita, facendosi strada a forza di opporsi ad un nuovo dolore. Un grido che tentava di soffocare tra i denti, un grido tutt’altro che profondo, tutt’altro che riflesso di un tuono – era l’espressione più pura della sofferenza di una persona che, gradualmente, stava diventando una pedina del destino in un continuo oscillare tra perdita e sofferenza. E chi è che tirava i fili se non Oliver stesso, quale dolore era più ingestibile di quello dato dalla consapevolezza di aver condannato qualcuno. Si scoprì incapace di muoversi, incapace di staccarsi di lì. Il suo volto era fisso in un punto che ormai non toccava più nemmeno il corpo dell’amico, nel suo freddo oricalco, nei suoi circuiti spenti. Era lontano da lì, a riflettere su qualcosa che continuava a grattare dietro la sua mente. Nessuno continuava a colpirlo, e allora perché era piegato in due dal dolore? Perché le sue mani adesso strette con forza, perché erano poggiate a terra, assieme alla sua fronte? La risposta era semplice, era semplice per tutti – tranne che per lui. Non stava chiedendo perché fosse morto, la domanda era diversa, era carica della consapevolezza di chi ancora fingeva di ignorare, di chi ancora tentasse di allontanare ciò che non poteva essere allontanato. Perché sei stato così stupido, Oliver? Perché hai lo hai lasciato andare? Perché non lo hai tenuto lì?




    Abbiate coraggio, sorridete di fronte al pericolo.
    Abbiate paura, piangete nel dolore.





    Sentì le gambe, piegate anch’esse in ginocchio, tremare assieme alle proprie braccia. Un brivido lungo la schiena, incurante del cosmo che si irradiava per il dolore, incurante del tremore che da quel punto si diffondeva, prese a cogliergli lungo la spina dorsale. Si sarebbe accasciato a terra, sarebbe crollato com’era giusto che fosse. Perché un’altra vita – come le altre, e allo stesso tempo diversa – si era spenta sotto la sua guida. Un’altra anima che si sarebbe aggiunta ai motivi per cui la sua si stava così lentamente deteriorando. I polmoni raschiarono producendo un verso roco, graffiato – aveva smesso anche di respirare. Si era fermato assieme ai suoi soldati, si era fermato assieme a Lawrence, si era fermato assieme a Neumannus. Sarebbe stato così facile semplicemente finire. Cessare d’essere. E l’avrebbe fatto, dio solo sapeva quanto avrebbe barattato ancora e ancora e ancora, fino a non avere più nulla, fino a ridare loro tutto – qualsiasi cosa – anche il bene più prezioso. Qualcosa stava tremando dentro di lui, perché il dolore non era l’ultimo segno sul foglio, l’ultima nota suonata. Il dolore era soltanto il saluto della disperazione, delle carni scosse. Basta, implorò. Non si sentiva altro se non un uomo in preda al dolore. Basta, ripeteva, basta, ancora. Sono soltanto un uomo, sono soltanto una persona, non riesco a portare tutto questo da solo. Sentì le forze mancargli ancora. Preghiere vuote, pronunciate semplicemente per nascondere quello delle lacrime che gli impedivano di vedere. No, non furono solo le lacrime, la vista del Primarca si fece sempre più scura, la luce cominciò a sparire gradualmente nei contorni – fino a lasciare niente di più del buio. A fronte delle decisioni sbagliate, sarebbe stato meglio lasciarsi andare – sarebbe stato meglio fermarsi lì. Riprendetevela, riprendetevi quest’armatura, cancellatemi dal khala – non voglio provare questa sofferenza, non voglio più perdere nessuno. Quante parole avrebbe voluto pronunciare. Avrebbe voluto lasciarsi andare all’egoismo che il lutto permetteva di provare, di concedersi il lusso del cordoglio, di allontanare da sé qualsiasi senso di colpa – di comportarsi, per una volta, come tutti gli altri. Odiò perfino quel desiderio, odiò il modo in cui mal si scontrava con il suo senso del dovere, con le sue responsabilità. Le dita si strinsero ancora una volta attorno al corpo dell’amico – un rantolio di sofferenza provenne, quasi soffiato, dalle sue labbra. Attorno a lui, tutto prese a diventare ancora più buio, più soffocato. Qualcosa lo aveva costretto a portare le mani sul limitare dell'armatura attorno al collo - qualcosa lo aveva costretto a respirare a fatica. Il plasma nel suo cuore cominciò a soffiare con più intensità, irradiando il colpo con ondate di calore soffocante, tutto prese a pulsare con forza, allontanando ancora una volta i rumori di quel posto, costringendolo ad affrontare il nemico dentro di lui.


    Ma sembra che qualcuno non abbia finito di giocare.




    L’abitacolo attorno a loro, all’improvviso, si colorò di uno spettro cangiante. Qualsiasi genere di tonalità prese a splendere, illuminando l’ambiente in cui si erano calati. Dal cristallo era cominciata a brillare quella proiezione, e per un momento il corpo intero di Oliver era stato avvolto da un brivido di dubbio – un dubbio che non trovò conferme quando la visione della donna, avvolta nelle emanazioni cosmiche che riflettevano quei colori, si presentò davanti ad entrambi. Non fu un gesto fisico, ma qualcosa sembrò quasi afferrare lo spirito e la mente del ragazzo, costringendola a non spegnersi, a non cedere a tutto quello. Non era qualcosa di positivo, non era speranza o determinazione, o necessità di combattere qualcosa; era l’imposizione a rivolgere la sua attenzione altrove, era la fine di un’attesa avvenuta in modo brusco. Tutto riprese forma attorno allo sguardo del Primarca, il cui nero della visuale cominciò a sparire lentamente – in modo graduale – permettendogli di vedere ciò che lo circondava in quel momento. Minosse era ancora lì, e non aveva detto una parola se non per quella frase che lo aveva riportato alla realtà. Forse il suo tono di voce, forse la previsione di un pericolo più grande lo avevano costretto a riportare Cuordimetallo lì, con lui, impedendogli di sparire nel dolore che voleva provare. E ciò sarebbe stato un male, perché se non avesse potuto provare sofferenza per chi aveva perso, avrebbe dovuto provare rabbia verso chi glielo aveva portato via. L’espressione di Oliver, stanca, in pena, fu quasi cancellata dalla visione di Circe che – in qualche modo – sembrava essere estremamente diversa da prima, eppure così dannatamente uguale a come l’aveva vista molto, molto tempo addietro, in un’altra vita. Adesso emanava cosmo, adesso la sua espressione non era più stanca, non era più sofferente, ma l’immagine più pura dell’ironia – di chi era riuscita ad ingannare qualcuno. Perché ci era riuscita, e Scylla ancora una volta era stato costretto a fare i conti con i risultati delle proprie scelte. La ascoltò parlare di come avesse tentato di recuperare qualcosa da Neumannus, con risultati poco soddisfacenti. Risultati, continuò a ripetere quella parola nella propria mente. Lo aveva trattato come niente di più di qualcosa da prelevare, da studiare, da dissezionare. Le braccia del Primarca vennero scosse da un altro tremito, per un secondo. Non era disperazione, o meglio, era l’altra faccia di essa – la rabbia. Dovette concentrarsi per non lanciarsi verso quell’emanazione, dovette concentrarsi per non cedere all’ira. Nemmeno le parole sarebbero state abbastanza per farglielo capire. E in quell’abitacolo, in quello spazio ristretto, Oliver non poté che puntarla con i suoi occhi, non poté che memorizzare quell’espressione, quei colori, quella risata così divertita. Le rivolse un’espressione cruda, che di buono non aveva nulla.


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    Per un secondo, la donna – che ormai era pregna dell’essenza di Tzeentch, la cui traccia cosmica era ben presente nelle memorie del khala – agitò davanti a sé la stessa mano su cui, molto tempo prima, aveva indossato quell’oggetto. Il riferimento fu naturale, così come il suo collegamento. La piccola parte della sua essenza si trovava lì, per qualche assurdo motivo. L’espressione si accigliò ancora una volta, stava tentando di ricordare il momento in cui l’aveva vista con quell’oggetto, rapportandola ad altri incontri precedenti – qualcuno doveva averle pur regalato l’anello, no? Qualcuno doveva averle permesso di ottenerlo, o di entrarne in possesso. Nonostante le domande, i denti di Oliver si serrarono e l’intero volto si contrasse con disprezzo, lo stesso disprezzo che sembrava aver adottato Minosse – che le aveva rivolto quella risposta. Un gioco, per lei era soltanto un gioco. Senza rimorsi, aveva condannato la ninfa dello stretto. Senza rimorsi, aveva tolto la vita al suo amico. Senza rimorsi, si era presa gioco di loro. E Oliver non poté fare a meno di provare odio nei suoi confronti, un odio che era raggiunto forse soltanto da quello provato per se stesso, per averle dato un’altra chance, per aver voluto credere nel cambiamento. Un frammento, un frammento per ritrovarla e restituirle tutto quello a cui lo stava sottoponendo. Tutta la sofferenza, tutte le emozioni negative, tutte riversate su di lei – per mostrarle che giocare con la vita aveva un prezzo, per mostrarle che la redenzione era possibile per tutti, ma che lontano da essa nient’altro sarebbe arrivato se non morte. Inaspettatamente, le gambe si mossero rispondendo ad un impulso dettato da una volontà non positiva, non buona. E quando fu sul punto di avvicinarsi a lei, quando fu sul punto di alzare la mano verso lo spettro di sovrapposizioni, la figura della strega sparì – eliminando la luce dal frammento, eliminando qualsiasi possibilità di estorcerle la verità.



    Noi Tenno non possiamo più farlo

    Voi sì.





    Forse era vero, forse il giorno peggiore per amare una persona era quello in cui la si perdeva. Mi avete tolto tutto. La mia vita, la mia casa, le persone a cui tenevo. Avrebbe voluto essere come tanti, diversi da lui. Avrebbe voluto trattare ciò che era successo come un semplice incidente di percorso, avrebbe voluto spingere lontano quella consapevolezza di esser stato la causa della morte del suo amico più caro. No, non era stato un amico. Neumannus era stato la sua famiglia, quando famiglia non aveva più avuto. La risata profonda, la voce piena di vita nonostante tutti quei secoli di solitudine, di buio lontano dal mondo; non aveva esitato ad aiutarlo, a prenderlo con sé, ad insegnargli tutto ciò che sapeva. Il tenno si era meritato l’affetto del ragazzo forse molto più di tutti su quel piccolo, insignificante mondo. E ora la mia famiglia. Perché era così che si sentiva, Oliver, in quel momento. Era così che si chiamava nella sua testa. Grandi re, Imperatori, sudditi, soldati, persone di qualsiasi genere – erano tutte uguali nel dolore, nella perdita, e non c’era niente a separare Cuordimetallo dall’ultimo dei codardi su quel pianeta. Colui che non riusciva a fare altro se non ritrarsi nell’angolo, con le mani premute sul viso, con la testa chiusa tra le gambe. Cos'altro volete di più? Il Saggio, l’erede di Azae. Mai epiteti sarebbero stati più sbagliati per lui, mai voci avrebbero cantato qualcosa di più falso. Il volto del tenno era spento, la sua luce non brillava più – la stessa luce che lo aveva illuminato quando gli aveva parlato la prima volta, o quando avevano combattuto insieme, la stessa luce che aveva ormai dato per scontata. La speranza di vederlo tornare a nuova vita, proprio come la prima volta, proprio come ogni volta in cui si era spinto al limite delle proprie forze, sparì presto. Chiuso, bloccato in un’espressione completamente vuota – senza la possibilità di reagire, di combattere, di offrire l’ultimo saluto – il Guardiano di Mechanus gli era stato portato via nel più freddo dei modi.



    COS'ALTRO DEVO OFFRIRE A QUESTO MONDO?





    Chinò il capo in avanti, aveva già deciso cosa fare. Sarebbe andato lì e avrebbe preso quel frammento, avrebbe vendicato così la cosa più vicina che aveva avuto ad un padre, fino a quel momento. Avrebbe messo Circe in ginocchio, e con essa Tzeentch, e non si sarebbe fermato fino a che non lo avessero entrambi implorato di fermarsi, di smetterla. Avrebbe mostrato loro cosa voleva dire perdere tutto – cosa voleva dire non riuscire più a respirare, non riuscire più ad alzarsi da terra. E oltrepassando il baratro, toccando il fondo, li avrebbe lasciati lì, impedendo loro di rialzarsi. Forse avevano ragione tutti loro, forse alcune persone non potevano essere salvate, forse si erano spinte troppo lontano dalla luce fino ad abituarsi al cammino più buio. Quando Oliver fece per muoversi, quando il suo corpo – animato da quella che era, di fatto, soltanto rabbia – provò a compiere un altro passo, si ritrovò impossibilitato da una forza più grande di lui. Si sentì l’armatura circondare da una presa immateriale, qualcosa che aveva imposto il peso sulla figura del Primarca attraverso l’espansione cosmica che proveniva dalla figura molto vicina a lui. Minosse aveva quasi impercettibilmente voltato il capo, rivolgendogli contro i suoi poteri per impedirgli di muoversi nel punto indicatogli. Rivolse a lui la stessa espressione che aveva rivolto a Circe, puntandolo a denti stretti. Lasciami. Intimò, la presa non cedette.



    Lasciami. Ripeté ancora una volta, espandendo il suo cosmo. Sapeva bene che le sue energie, anche fuori dagli inferi, non erano minimamente diminuite. Ad ogni espansione di fiamma cosmica, arrivò una violenta confusione localizzata esattamente nella sua mente. Continuò a urlargli contro quel singolo ordine, allentando – anche di un minimo – la presa in modo graduale. Per diversi attimi, tutto sembrò ruotare attorno a lui, come se l’intero ambiente fosse stato scombussolato da un movimento caotico. No, forse era soltanto il suo cervello che reagiva a quella situazione di immobilità. Gli angoli delle labbra si piegarono verso l’alto. No, è stata colpa mia se te lo sei preso, vero? Il sangue è sulle mie mani. Lasciò uscire fuori dalle labbra lo stesso rantolio, proprio come in precedenza. Era ancora impossibile definire a chi si stesse rivolgendo in quel momento, se al Giudice stesso, se a Circe, se all’incarnazione del Chaos – al mondo intero – oppure a sé stesso. Aveva bisogno di incolpare qualcuno, perché così avrebbe avuto come rimediare, perché così sarebbe stato libero. Il suo tono di voce non era più gioviale, né leggero. Era appesantito da qualcosa che aveva impresso il segno a fondo nella pelle, nelle ossa – fino a scendere ancora più giù, nello spirito. Più che una punta di dolore ancora fu presente sulla sua lingua quando sputò quella frase con rabbia. Tu che eri il giusto, tu che hai sempre le risposte, dimmelo - E' questo il prezzo da pagare per voler fare del bene? Era quello il prezzo che bisognava pagare per essere così stupidi? Si sarebbe detto, se avesse potuto. Adesso capiva perché nessuno credeva all’ideale che aveva sempre portato avanti in quel momento, adesso capiva perché molti avevano messo in discussione il suo essere così ottimista, il suo essere così buono. Perché dare speranza anche alle persone peggiori, provare a dare un’ultima possibilità, una mano nella speranza di redimerli, non portava mai qualcosa di buono. Ancora una volta il suo corpo prese a muoversi. Si aggrappò a qualsiasi cosa, in quel momento, per non restare ancora una volta immobile, chinato sul corpo dell’amico. Si aggrappò a qualsiasi cosa per trovare una possibilità di riportarlo indietro, ben conscio che ormai sarebbe stato impossibile. Ma certe persone non riuscivano a lasciar andare. Certe persone si spingevano negli angoli più lontani per non dire addio a coloro che amavano – facevano cose terribili, cose che le marchiavano per sempre. Le labbra si mossero ancora una volta; forse era rassegnazione, o forse la calma di chi ormai aveva deciso, di chi non sarebbe tornato indietro. Doveva trovarlo. Doveva trovarla. Le energie cominciarono di nuovo a fluire attorno a lui, modificando la sua armatura e ingrossandola per sbilanciare il controllo della telecinesi su di lui. Con una massa diversa da tenere sotto controllo, sarebbe stato necessario – anche solo per un secondo – ricalibrare la presa sul corpo di Oliver. Avrebbe approfittato di quel momento per imporre di nuovo la sua volontà verso l’esterno, per muoversi anche di un solo passo necessario ad andare avanti. La sua mente, intrappolata tra la confusione ed il lutto, prese a muoversi nella direzione opposta, nella direzione dalla quale era sempre fuggito. Per una volta, per una sola volta, Cuordimetallo si concesse il lusso di voler cedere, di voler oltrepassare la linea. Era molto diverso da ciò che aveva fatto in precedenza, era diverso da quando aveva combattuto nemici, da quando aveva fatto cadere con le proprie mani il Saint del Leone. Oliver non era semplicemente arrabbiato, voleva vendetta.



    Metterò fine a questa storia con le mie mani.



    Il suo migliore amico se n’era andato.
    Il suo maestro se n’era andato.
    Suo padre se n’era andato.
    E tutto si era spento.



    hiaAmxR




    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ parlato altri


    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ Danni da pressione telecinetica su tutto il corpo, confusione mentale.
    MENTALMENTE Ξ ...
    STATUS SCALE Ξ //

    RIASSUNTO AZIONI Ξ Ma io cosa ti devo dire a sto punto

    Strong, united, working 'till we fall

    ABILITÀ Ξ

    Reality Overwriting
    - Illusioni Ambientali
    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia


    TECNICHE Ξ



    And we all lift, and we're all adrift together


    Edited by ~Rain~ - 22/4/2021, 23:59
     
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    No, Oliver.

    La risposta alla tua domanda, inaspettatamente arriva. Forse era retorica, ma qualcosa nel tono in cui pronuncia quelle due semplici parole manda in allarme ogni tua cellula. La sua stretta non si fa più forte di rimando, ma rimane placida mentre osserva la reazione a un semplice, umanissimo gesto. Qualcosa di assolutamente terrificante sul suo viso che ha osservato la tua psiche dibattersi nella disperazione più profonda. Guardandoti a un passo dal baratro, quando sarebbe stato così facile spingerti, così facile prenderti e lasciare che il nero ti avvolga.

    Che il mondo crolli e tu ti erga come il suo salvatore ultimo e finale salvatore nel portare morte.

    Oh, come vorrebbe poterlo fare davvero.

    S4YUeMc

    Questo è solo il prezzo di esistere.

    Il Magister Officiorum sorride.
    Un sorriso calmo, pacato, sormontato da quegli occhi maledetti.

    È lì che ogni tua percezione si riallinea e sai di avere davanti un mostro. L'entità della tua sofferenza di fronte a lui è nulla. Non sei altro che l'ultima briciola di una catena infinita di anime e carne, di efferata crudeltà e follia scorsa di fronte a quegli occhi per migliaia di anni, sin dall'inizio di quella guerra infinita.

    Forse è completamente folle. O forse è così lucido da sembrarlo. Forse ha davvero visto qualcosa di segreto e impossibile. Sta di fatto che per lui sei solo parte di un infinito e la sua presenza è lì per dimostrartelo...forse volontariamente. Forse vuole che tu abbia quella realizzazione nel guardare gli occhi neri e completamente vuoti quando la luce della Storia si spegne in essi, prima che il viso ritorni serio e ti lasci andare.

    Lo spazio fra te e qualcuno che quella linea l'ha oltrepassata, portando la paura nel mondo, diventa di nuovo fisico. Ti guarda, ponderando il tumulto nel tuo cuore, poi inclina il capo verso destra e i suoi occhi hanno un lieve tremito nello spalancarsi appena.
    I suoi capelli si gonfiano improvvisamente come un mantello nella brezza pigra e calda, ma improvvisamente non sua in questo atto repentino. Uno sguardo di sbieco intorno a voi, guardingo, mentre il metallo della Surplice scricchiola nel distendersi. Capisci immediatamente da cosa sta venendo distratto, adesso, perché comincia a montare dentro di te con una potenza indescrivibile.

    Marcin Przybyłowicz - The Hunt is Coming (The Witcher 3: Wild Hunt OST)


    La tua Scale risuona, vibra ronzando furibonda, ringhiando, ruggendo, strepitando in mille battiti d'ali. La tua vendetta ha chiamato qualcosa dalle profondità dei flutti, che si agitano folli intorno all'isola mentre le onde scivolano su qualcosa di lucido e bianco.

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    Tuoni devastano l'isola, le nuvole gonfie si annidano sopra di voi e gli spruzzi dei flutti si confondono alla pioggia, nei fulmini che squassano cielo e terra in lampi di luce e buio. E fra i denti, fra le onde, fra la furia che ribalta ogni cosa...

    Emerge una zampa artigliata, le unghie affilate come rasoi. Fauci serrate, ringhianti, code luccicanti di scaglie, acqua che si dibatte in ogni direzione come un solo stormo. Poi un'altra, a fatica, mentre una figura si issa sovrastando l'isola.

    39a3d608747b1e9e2a502c640645f135

    [ SCYLLA ]
    Eye for an Eye, Tooth for a Tooth


    La tua vendetta ha chiamato un'altra vendetta. Covata millenni, sopita nel buio. Ma ora il momento è giunto e non sei solo...sei con chi ti ha accompagnato fin dall'inizio, con chi dona potere alla tua armatura. Colei con cui Azae ha stretto il suo patto ancestrale e che ora reclama violenza contro chi l'ha resa ciò che è.

    Le fauci di Cariddi sono spalancate nella fossa di Tonga, la più profonda dopo quella delle Marianne. Nel buio più assoluto, il salto più folle che ti possa fare nella tua vita...ma che ti condurrà esattamente dove devi andare.

    Su4sahH

    I AM THE STORM THAT IS APPROAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAACHIIIIIIIINGGGG

    INSOMMA ANDIAMO FULL MATTO A PIGLIARCI QUESTO ANELLO O NO?

    (Minosse ha pensato bene di YEETARSI via appena prima che compaia Scylla perché AIN'T NOBODY GOT TIME FOR THAT. Capisci che se ha intenzione di partecipare alla gara, lo farà in un altro modo)
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    Era solo quello.
    Soltanto un passo.


    Il tempo di un respiro, un battito di ciglia, il momento in cui il sorriso smetteva di essere tale. L’attimo in cui i muscoli del volto smettevano di sforzarsi, di contrarsi. Era il secondo di veglia prima di addormentarsi, era il rumore dell’osso che si spezzava, la spinta per rimettersi in piedi. Nulla di epico, nulla di magnifico, nulla che potesse avere gloria. Allo stesso tempo, era un’intera giornata, era il prodotto di una riflessione e la conseguenza di tutto ciò che era stato fatto fino a quel punto. Chi diceva il contrario, mentiva. Chi ne parlava con leggerezza, era uno stupido. Così veloce e senza sforzo era l’attraversare la linea e cadere giù, così liberatorio nel suo ignorare le conseguenze. Sei a una pessima giornata di distanza dall’essere me, devi solo allungare la mano. Quante frasi avrebbero potuto racchiudere in sé il concetto di quello che Minosse avrebbe potuto tradurre su Oliver. Quanto doveva essere difficile e terribile, in quel momento – in quel mondo – sforzarsi e stringere i denti per rimanere all’altro lato del muro. Ci si poteva appoggiare ad esso, ci si poteva appiattire contro e tentare di starci sopra il più possibile, ma mai attraversarlo o romperne la superficie. Abbassò la testa, sentendo la presa farsi sempre più stretta attorno a lui – sempre più forte. Era il cosmo, quello che sentiva attorno a sé, o erano gli artigli del Grifone? Era un sorriso di soddisfazione, quello nato sul suo volto, o era la smania per l’attesa di qualcosa di cui già conosceva l’esito? E se di destino si fosse trattato tutto ciò, perché non assecondarlo, perché non superarla – quella linea – e buttare giù l’intero muro. Così facile, così facile. La ripetizione sistematica nella sua mente prese a offrirgli davvero milioni di possibilità, di cui avrebbe dovuto sceglierne semplicemente una. Semplice, una parola così leggera e così terribile nelle sue conseguenze; sarebbe stato come fermarsi a riposare, come guarire dalle ferite o sentire il dolore lenirsi sotto una cura che di positivo avrebbe avuto soltanto il nome. Perché quella non era una cura, era una condanna, una condanna come l’avevano vista tutti quelli che si erano trovati attorno a lui. I suoi soldati, la sua famiglia, Lawrence, Neumannus. Qualcosa cominciò ad annerirsi. Forse era la pressione attorno all’armatura, forse il riflesso stesso del cosmo – mera traduzione di ciò che provava e ciò che sentiva. No, non era un colore fisico, niente di tutto ciò su di lui cambiava – ma era qualcosa che scattava nella sua mente, come un ingranaggio riposto di nuovo sui binari, come l’avvio di un motore.


    Questo è solo il prezzo di esistere.




    Il prezzo di esistere. Così poco, così tanto. Cambiava per ognuno di loro, e allo stesso tempo era sempre una sola ed unica risposta. Quanto vale vivere, per loro? Quanto valeva continuare su quella strada e mettere un piede avanti all’altro. Dimmi, se puoi, quanto valore dai alla tua vita. Ci riesci? Una persona? Cento? Un milione? Forse tutto l’oro del mondo, forse il potere, forse niente era mai abbastanza e quel poco era tutta la ricchezza di cui aver bisogno. Il suo sguardo si spostò lentamente su Minosse, il cui volto era fermo in un’espressione che quasi andava a scandagliare ogni attimo di storia, ogni volta che una persona aveva reagito in quel modo, ogni volta che si era lasciata andare – a quel vuoto – e aveva fatto il salto necessario per arrivare dall’altra parte. Ogni patto, ogni anima avvizzita, ogni luce diventata buio. Quanti ce n’erano stati prima di lui e quanti ancora ce ne sarebbero stati dopo. Cos’aveva fatto, Minos, per arrivare a questo punto? Cos’era successo alla sua famiglia, qual era stato il prezzo che aveva dovuto pagare per esistere? Aveva venduto il tuo ultimo centimetro di libertà? Aveva dovuto compiere atti orribili soltanto per trovare la forza di andare avanti? Il suo muro lo aveva abbattuto, aveva preso ogni pietra e l’aveva ordinatamente gettata nel vuoto. La sua non era stata leggerezza, lo sapeva. Ne era a conoscenza perché quell’espressione, le labbra serrate in alto dall’unione di calma e follia, parlavano per sé nonostante nulla di quel Giudice trasparisse dagli occhi. Forse era vero, l’unico modo per comprenderlo era raggiungere quel punto, arrivare davanti alla porta. L’aria attorno a lui, nonostante ferma nella presa che il suo corpo ancora aveva attorno, fluì naturalmente dentro di lui soltanto per lasciarlo con altrettanta lentezza. Il sorriso dei bambini che aveva portato a casa, un grazie detto da una persona uscita in tempo. La mano stretta attorno a quella dei suoi compagni, un cenno del capo, una parola di conforto, una pacca sulla spalla. La forza nata dal proteggere chi da solo non riusciva. Il benessere di tutte le persone che conducevano una nuova vita. Poter essere felice, poter provare dolore. Avere una sola opportunità per cambiare le cose e disporre il suo lavoro per aiutare coloro che se ne sarebbero fatti carico dopo. Pagare quel prezzo voleva dire ricevere qualcosa in cambio, qualcosa che avrebbe dovuto eguagliarlo in valore. Non era facile farlo, ma al contrario di quel semplice, il giusto comportava molte più difficoltà.


    Tell me, have you seen the thread of light?
    Just a hair, a fleeting thing, yet I clung to it.




    Fu qualcosa di graduale, all’inizio non riuscì nemmeno a realizzarlo, a rendersene conto. Una piccola pulsazione nella struttura intrinseca dell’oricalco che gli copriva il petto, le braccia, le gambe. La classificò come qualcosa di poco conto, come un improvviso riverbero del cosmo all’interno della scale che tentava di opporsi alla presa del giudice. In modo inaspettato, sentì la forza attorno a sé diminuire – non seppe dire se per volontà stessa del Grifone o meno. L’unica cosa certa era che avesse puntato lo sguardo in un punto diverso, un punto lontano. L’espressione si era increspata per un momento, e la scale pulsò ancora una volta. Fu in quel momento che Oliver abbassò lo sguardo sul suo stesso corpo. L’oricalco misto ad oro che correva su di essa, i fregi, la luce dei cricuiti – che prima sembrava essersi affievolita, assecondando lo spirito del suo possessore – adesso aveva ricominciato a brillare con la stessa intensità, forse anche maggiore. Una vibrazione, una risonanza, e la pulsazione tornò ancora più forte – così forte da non poter essere più ignorata o presa per un fenomeno isolato. Qualcosa stava succedendo in quel momento, qualcosa che Oliver, chiuso nel lutto della perdita, aveva completamente ignorato – sminuito – impegnato com’era nel chiudere e rompere qualsiasi altra opportunità, per il dolore, di trovare posto dentro di lui. Di nuovo, poi di nuovo, e ancora una volta. L’intermittenza di quell’eufonia sulla scale si assottigliò sempre di più, fino quasi a trovare una stabilità nel suo essere luminosa. Le sue labbra si schiusero leggermente in un’espressione di sorpresa, la stessa sorpresa che lo colse quando realizzò di non essere più bloccato dal Giudice di Hades. Avrebbe voluto voltare la testa verso il punto in cui era rimasto fermo per così tanto tempo, ma non ne ebbe il tempo, non ne ebbe il tempo perché qualcosa di diverso – quella volta – sembrò avvolgere il suo corpo. Era la stessa sensazione che provava quando indossava l’armatura, ma amplificata ai suoi massimi termini. Erano le braccia che lo cingevano da dietro, era il calore delle piume che si posava sul suo corpo per schermarlo dal freddo della grotta quando non aveva più avuto niente con cui coprirsi. Erano le spire che si erano posate sotto la sua testa perché non toccasse la roccia dura ed umida. Era la voce spaventata, ma anche dolce e – più di tutto – determinata. Era il mare che brillava sul tramonto che entrambi avevano osservato dal promontorio.




    Adversity causes some men to break
    Others, to break records instead.




    Io ti concedo il potere, Azae di Atlantide, e ti concedo di usarlo per ciò che tu riterrai giusto, poiché Saggio sei chiamato tra la tua gente, poiché onorevole sarà – d’ora in poi – la tua morale. Che le tue forze possano essere sorrette dall’orso e dal lupo, che il tuo spirito sia fiero come quello dell’aquila, tenace come il pipistrello e arguto come l’ape. Per te, e la tua discendenza, io concedo il favore dello stretto, io concedo il segreto della forma.


    Ciò che sei non ti rende peggiore di me, poiché anche io ho portato avanti battaglie terribili, sacrificando le cose più importanti. Ti prego, Cariddi, concedimi il perdono. Noi umani siamo abituati a condannare ciò che non riusciamo a capire, additandolo come mostruoso, dimenticandoci che – nella nostra imperfezione – anche noi possiamo essere mostri.



    Erano sempre state accanto a lui
    Anche quando aveva perso tutto.




    La sua scale emanò un ultimo bagliore intenso, e il vento prese a soffiare su di lui. Per un attimo sentì quasi di poter aprire le braccia e lasciarsi rimettere in piedi da esso, come se avesse avuto la forza di sostenerlo abbastanza da impedirgli di restare a terra un secondo di più. Per la prima volta, come se il suo volto si fosse dimenticato come fare, accennò un sorriso che spezzò quell’espressione afflitta. Il calore della scale non era più isolato al petto, alla schiena, ma si era esteso a tutto il corpo – dandogli ancora conforto. La brezza calma prese presto a diventare un tuono, e il tuono portò con sé la tempesta. Poté percepire il mare dietro di sé agitarsi assieme al cielo che stava eliminando ogni traccia d’azzurro, sostituendola con nuvole cariche di tensione. Dentro esse, improvvisi lampi presero a brillare proprio come era successo sulla sua scale – dapprima graduali, poi sempre più intensi. Boati riempirono l’aria circostante e ad ognuno di essi poté percepire il suo cosmo diventare sempre più intenso, sempre più carico e concentrato – come se stesse rispondendo ad un richiamo non lontano, ma vicino ogni secondo di più. Le mani, i cui palmi aperti erano poggiati sul metallo dell’abitacolo, si chiusero lentamente – stringendosi a pugno – con i dorsi che lo tenevano ancora sollevato, permettendogli di stare in ginocchio. Agitò la testa, scrollando via tutto quello che aveva pensato. Era così facile lasciarsi andare alla disperazione – ma più difficile era restare ancorato durante la tempesta. E lui non era altro che quello, un buon marinaio nella tempesta. Un tremito scosse la terra sotto, costringendolo a mettere più forza nelle braccia per non cadere. Come un nuovo gesto improvviso, una delle sue gambe si mosse, permettendogli di avere un nuovo appoggio, acquisendo più stabilità. Rialzati, Oliver, rialzati ancora una volta. E il suo intero corpo fu percorso da un tremito – no, forse era soltanto la determinazione che aveva ritrovato in quel momento, forse era la forza e la volontà che gli avevano dato ancora le energie necessarie e, con esse, la speranza di riuscire a opporsi di nuovo, per far sì che la Strega dei Mari non facesse più del male a nessuno, non come ne aveva fatto a lui – non come ne aveva fatto a loro. Un’altra spinta, e Cuordimetallo fu in piedi. Non barcollava, non trascinava più il suo corpo con afflizione. Un passo dopo l’altro, e con sicurezza uscì dall’abitacolo, voltando per un attimo la testa verso il corpo di Neumannus, stringendo ancora i denti e piegando il metallo della maniglia d’ingresso, semplicemente stringendolo. Quegli occhi volevano dire soltanto una cosa, non sprecherò tutto quello che mi hai dato, tornerò a prenderti. Tornò a guardare davanti a sé, fece ancora un passo.




    LD4yYz6

    [ An eye for an eye ]



    Scylla, la Bestia dello Stretto, la Mangiatrice di Navi – per lui, la ninfa dagli occhi azzurri. I suoi arti si erano fatti strada a forza, aggrappandosi ad ogni centimetro di terra attorno a loro per raggiungere quel luogo. Forse richiamata dalla magia di Circe, di cui ancora percepiva l’orrenda manifestazione, forse richiamata dal dolore che il cosmo di Oliver aveva lasciato andare attraverso la scale. Eccole, le varie teste di lupo che ululavano e ringhiavano senza sosta, latrando una maledizione le cui parole – i cui versi – non suscitavano altro che senso di rabbia e vendetta. Portava un lungo vestito intrecciato di piume, che non aveva lo scopo di celare quelli che erano gli arti inferiori, una robusta unione tra l’orso e il lupo stesso, che schioccavano e graffiavano come in attesa di qualcosa che sarebbe successo di lì a poco. Il corpo intero, sotto quei lampi, bagnato dalla pioggia che scendeva incessante e che si univa al mare in tempesta, sotto il cielo completamente nero, era avvolto dalle spire del serpente che si intrecciavano in più punti, conferendole un aspetto più vigoroso. Era armata, ogni singolo animale – in un modo o nell’altro – era concentrato sul suo corpo, ad esprimere tutta la forza e furia a cui una ninfa, condannata a simili condizioni per non aver fatto altro se non amare qualcuno, poteva dar fondo. Dietro di lei, assieme alla coda che ondeggiava con impazienza, si trovava un lungo mantello della stessa foggia del vestito che aveva addosso. Ad un’occhiata più attenta, ci si poteva accorgere che non era in realtà un semplice mantello, ma ali traslucide e sottili tanto da assomigliargli. Eccola a grattare e grattare con i suoi artigli fino a trovare la via della vendetta, fino a trovare il luogo in cui il Primarca, che aveva adottato il suo nome, si era trovato in sintonia con il suo stesso stato d’animo. Quel giorno, si sarebbe presa la sua rivincita sul fato avverso che le era stato destinato. Ricordava ogni singolo giorno trascorso prima di essere maledetta, ricordava ogni attimo dopo la condanna, le voci degli spiriti delle acque che passavano e ridevano, che la guardavano con disprezzo. Ricordava le spiagge lontane, ricordava i giorni passati in riva al mare con le sue sorelle. Quando era semplice immaginare, quando non aveva timori del gioco del destino, quando non esistevano canzoni non cantate o vini non provati. Ricordava il tocco del sole sul suo volto. Ma più di tutto, ricordava Circe.


    MpFlotv

    'Cause I like high chances that I might lose
    I like it all on the edge just like you
    I like tall buildings so I can leap off of 'em
    I go hard wit' it no matter how dark it is

    [ What's up, danger? ]



    Si fermò davanti a lei e percepì una delle teste spostarsi per osservarlo negli occhi. Le altre erano troppo impegnate a ruggire per fermarsi, ma quell’unico capo puntato davanti – con la lingua che schioccava e la bocca serrata – gli fece capire che altre parole non sarebbero servite. Scylla non avrebbe avuto bisogno di altro testamento, di altre frasi gettate al vento di quella tempesta, per dare ad Oliver la forza necessaria di portare avanti il loro compito. Perché vendetta sarebbe stata una parola troppo semplice; ciò che avrebbero portato avanti sarebbe stata l’eradicazione di una persona che aveva fatto del gioco sulle vite di mortali il suo passatempo preferito. Strinse con più forza i pugni e fece un cenno del capo, avanzando verso il limitare dell’isola, dove la spiaggia e le onde della tempesta si incontravano, dove l’acqua esplodeva in un moto incessante, quasi raggiungendolo. Il volto di Cuordimetallo era sferzato dall’aria che turbinava attorno, bagnato dalla pioggia che – in quel momento – aveva cominciato a battere più forte. Non ancora. Si era detto, avvicinandosi ancora di più. Superò l’immenso corpo della Bestia dello Stretto, sentendola scalpitare dietro le sue spalle. Guardava fisso davanti a sé, non al mare che stava assumendo una piega diversa nel suo roteare caotico, ma ad un punto a cui non avrebbe saputo ben definire. Gli ritornarono in mente le parole di Neumannus, così come era successo prima che si unisse alla battaglia di Lisbona – dopo averla guardata dall’alto. 'Quand’è che potrò dire di essere pronto?' Aveva detto, utilizzando l’avvitatore per sistemare la fonte del problema. Non era mai stato così insicuro di una soluzione simile. Un movimento sbagliato, e molti dei sistemi centrali sarebbero saltati – una mano meno ferma nell’esecuzione, e si sarebbe tagliato un paio di dita. Ma il tenno aveva continuato a fargli cenno di andare avanti, di mantenere una presa salda sull’oggetto. Erano passati diversi minuti, e Oliver era correttamente riuscito a sistemare il problema. 'Ecco, capito? La verità è che non saprai mai di essere pronto. Ma l’unica cosa che puoi fare è avere fede e fare un salto nel vuoto.' L’oricalco si sistemò finalmente attorno alla sua testa, chiudendosi di scatto davanti al suo volto per presentare al Primarca lo stesso scenario, ma filtrato dai visori della sua scale, fisicamente, e da qualcosa di più – dentro di sé. Le gambe toccarono l’acqua che sembrò – in un momento così violento e feroce – quasi salutarlo.



    EUf0flb

    [ A tooth for a tooth ]




    E nel caos che aveva di fronte a sé, nella tempesta che ormai era giunta a coprire tutto quel luogo, il mare davanti a sé cambiò ancora una volta. Proprio come prima, quando Scilla era affiorata, portando la sua rabbia su quella terra, l’acqua prese a ruotare con un rumore sinistro e spaventoso. Un profondo gorgoglio, un urlo soffocato – lontano – era soltanto il canto che anticipava il suo arrivo. Perché l’armatura che Oliver indossava non era stata benedetta soltanto dalla ninfa dagli occhi azzurri, ma anche da colei che aveva condiviso il suo stesso fato, colei che era stata destinata a terrorizzare gli incauti navigatori dal lato opposto della grotta. Cariddi stava ancora una volta spalancando le sue fauci, prendendo e rigettando l’acqua del mare anche di quel luogo, facendola esplodere verso l’esterno con una potenza e una furia che raramente avevano visto eguali. Una fila circolare di denti si estesero, e dentro essi un’altra e di nuovo, fino a scendere verso la parte più profonda del vortice. La rabbia di chi aveva visto la sua forma cambiare, la rabbia di chi era stata punita con l’abbandono del proprio corpo, in un’esistenza fatta di continua sommersione, di continua oscurità degli abissi – lontana da terre e affetti più cari. Le fauci continuarono a scendere e scendere, il buio riempito soltanto dal suono che sia Scilla, sia Cuordimetallo, si trovarono a provare. Ti vedo, avrebbe voluto dirle, sono qui con te. Sono qui con voi. Alzò lentamente una mano proprio verso Cariddi, e le acque attorno – quelle del mare – cominciarono a muoversi con ancora più velocità, con ancora più forza. Un nuovo getto d’acqua, rapido, si mosse verso Oliver – bagnando ancora una volta la superficie frontale dell’armatura. Alcune quasi evaporarono per il calore e il bagliore che aveva assunto, generando una piccola striscia di vapore che si disperse presto in aria, lasciando il passo ad un’altra goccia di pioggia. La mano, ancora puntata, adesso tendeva a qualcosa di lontano, forse l’anello di Circe, forse il suo volto – forse l’ultimo bagliore di speranza a cui aggrapparsi. Apprese con sorpresa, senza tuttavia rompere l’espressione dura – determinata – sul suo volto, che il suo corpo non aveva più tremato da quando era uscito dalla nave. Era fermo, preciso, e portava sulle sue spalle un’altra vita ancora, un’altra volontà e i ricordi ad essa collegata. Dentro di lui, nella matrice spirituale della fonte di coscienze e ricordi a cui era connesso, i circuiti cominciarono a pulsare con la stessa frenesia, come se ogni Primarca di Scylla – quelli che erano riusciti a superare la prova, quelli che erano parte di Oliver stesso – stesse mettendo una mano sulla sua spalla, esercitando una pressione, dicendo cosa avrebbe dovuto fare. Ma lui sapeva, lo sapeva bene, ogni fibra del suo corpo si agitava con consapevolezza.


    Io sono Oliver Cuordimetallo, il Cuore di Atlantide.

    Questo è l'ultimo giorno in cui porti dolore a qualcuno.
    Spero tu mi abbia sentito, spero tu abbia sentito tutti noi.




    E nello stesso momento in cui realizzò ciò che avrebbe dovuto fare, Cariddi spianò completamente la strada per un luogo ancora più profondo. Era una discesa abissale, qualcosa che lo avrebbe portato a toccare i fondali più neri, dove l’oggetto era custodito, dove il frammento del nemico si trovava in attesa. Fece un profondo respiro – era proprio come allora. Nonostante il mare e i fulmini fossero attorno a lui, pericolosamente vicini, ciò che lo separava in quel momento non era altro che il minimo spazio, la sempre presente linea sottile. Ma non era più la linea che lo teneva al di là del lasciar andare tutto, del lasciar cadere il mondo nel baratro; era la linea che lo separava dal compiersi di qualcosa di necessario – specialmente per sé. Varcarla, gettarsi da lì, avrebbe cambiato qualsiasi cosa. Nulla sarebbe più stato come prima – un capo migliore, una persona diversa, più consapevole dentro di sé e dentro il khala. Fece un passo in avanti e lo spazio si assottigliò ancora. Le mani si aprirono e si chiusero, lasciando andare la tensione che si tradusse in piccole scariche elettriche attorno al suo corpo. La presenza del cosmo sul suo corpo era intensa tanto quanto controllata. Non si torna più indietro. Aveva timore? Certo, nessuno sarebbe stato tanto stupido da compiere quel salto nel buio senza averne, ma come ogni volta – assecondando la qualità più grande che possedeva – sapeva fare della paura non un impedimento, ma uno stimolo a fare ciò che doveva essere fatto, ad affrontare con la testa – con la volontà. Cuordimetallo inspirò ancora una volta, lentamente, prima di lasciar andare tutto. L’aria attraverso l’elmo sembrò quasi dare più forza a quella tempesta, alla rotazione di Cariddi che stava mantenendo aperto e ben visibile il buio sotto di loro. La voce di Neumannus era chiara e forte nella sua testa, con i suoi insegnamenti, con le sue prediche, ma anche i suoi incoraggiamenti. Era davvero così, si trattava della cosa più importante – della lezione più significativa. Alzò la testa verso l’alto, e aprì le braccia verso l’esterno, come ad accogliere qualcosa e tutto allo stesso tempo. Le gambe esercitarono la pressione sulla sabbia umida e afflitta dalla tempesta. Lasciando passare qualche attimo, il tempo di un altro respiro, Oliver compì un grande salto, arrivando alto nel cielo – dove i lampi avrebbero potuto illuminare per un’ultima volta la sua figura, prima di lasciarsi cadere giù. No, non si era lasciato cadere – lo aveva voluto lui, lo aveva fatto lui. Fare qule salto serviva a dimostrare che che era pronto, e che lo sarebbe stato per ogni momento a venire.


    Era soltanto un passo
    Era soltanto un salto nel buio
    E lui l'aveva compiuto.



    Stiamo venendo a prenderti.
    Like - what's up, danger?




    hiaAmxR




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    Il passaggio aperto dall'esistenza stessa di Cariddi scorre a velocità folle nei bordi del tuo campo visivo. Vedi venature carnose che si mescolano a sfarfallamenti di energie cosmiche arcane, più antiche di quelle che scorrono nel tuo corpo dal momento in cui ti è stato donato il cuore di Azae e dal momento in cui Azae stesso ha cominciato a camminare sulla terra che è di diritto di Poseidone. La sensazione di accelerazione non sembra diminuire, anzi, accelera solo nonostante secondo i tuoi calcoli avresti già dovuto raggiungere velocità terminale da un pezzo. Sembra che non esista un concetto come resistenza dell'aria allinterno di Cariddi. Noti resti di relitti antichi o meno che galleggiano in quelle che sembrano pieghe temporali, o stasi dimensionale. Non ti è chiaro che cosa sia diventata ormai in verità Cariddi. Forse la sua voracità portata avanti per millenni le ha permesso di trascendere lo stato di semplice creatura maledetta da capricci altrui e diventare qualcosa di diverso, qualcosa di immensamente potente.

    Nel tragitto senti la risonanza tra le due creature che ti sono devote e la tua armatura ed il tuo cosmo, è una vibrazione, una pulsazione crescente che non fa altro che aumentare, la senti percorrere l'interezza del tuo essere e senti che la benedizione di scilla in questo momento sta accrescendosi, sta infiltrandosi nel tuo corpo. La furia di entrambi diventa una sola. La tua è la rabbia di chi è stato ingannato, di chi è perso, mentre la rabbia di Scilla e Cariddi è quella dell'offesa rivolta a chi ha minacciato il proprio branco. Sei contemporaneamente uno e tutte le bestie che precipitano verso gli abissi. La tenebra profonda ti avvolge, unita alla sensazione di freddo abissale. Una sensazione che tutti i primarchi conoscono fin troppo bene. Il respiratore agganciato alla tua scale si attiva e bolle sfuggono dagli sfiatatoi al lato del tuo collo.

    Sei immerso nell'oscurità totale degli abissi, con solo la luce del tuo cosmo a farti compagnia. Ma allo stesso tempo senti di essere in un altro luogo. IN qualcosa di diverso. In luoghi diversi. Forse non sei nemmeno più nella stessa dimensione in cui hai urlato la tua rabbia. Forse hai inseguito il tuo nemico in – altri – luoghi. Luoghi proibiti, luoghi confusionari. Luoghi caotici.

    La pressione dell'acqua(?) fa scricchiolare la tua scale e il tuo cosmo stesso sembra venirne oppresso. Ogni tuo movimento viene accompaganto da un senso di lentezza, di pesantezza, che coincide con ciò che ti aspetteresti nel trovarti a tali profondità . Tuttavia allo stesso tempo senti qualcosa di diverso e noti chiaramente che ai bordi estremi della luminosità del tuo cosmo – cose – si muovono. Si allontanano, si riposizionano forse. Forse stanno solo studiandoti, cercando un angolo migliore per colpirti.

    Il terreno sotto di te è ricoperto da alghe, coralli e altro che hanno forme chiaramente non naturali e tra esse si muovono strani vermi piatti che oscillano e danzano nell'acqua con la stessa leggerezza di una piuma nel vento. Un profondo senso di sbagliato comincia ad attanagliarti, mentre noti una crescente discesa nel territorio. Più avanzi, più la discesa diventa ripida. Forse in quello strano luogo hai trovato luoghi ancora più profondi. Un abisso in un abisso. Qualcosa di terrificante e incomprensibile.

    Poi l'oscurità sotto di te si muove. E capisci che non è mai stata oscurità in primo luogo. L'intero nero che si era disteso sotto di te era il corpo raggomitolato di qualcosa di enorme, le cui spire ora si srotolano sotto il tuo sguardo e di cui riesci a trovare un senso solo in deboli riflessi in scaglie capaci di soffocare quasi completamente la luce. Dalle tenebre sopra di te sbuca una testa. Enorme, appiattita, allargata, simile ad una enorme punta di freccia nera come il giaietto. La facciata inferiore è costellata da decine di strutture simili ad occhi rudimentali che luccicano bianchi nella tua luce. Una buona decina di metri del tratto inferiore si spalancano in una apertura oblunga che converge in una struttura circolare simile alla bocca seghettata di una lampreda circondata da filamenti traslucidi che sembrano prolungarsi e tastare l'acqua circostante. Una creatura insensata, su cui il tuo cosmo si riflette in cromie viola-porpora-oro. Un qualcosa di enorme e orripilante che è rimasto in agguato in attesa di qualunque cosa potesse giungere lì.

    [Hai una singola azione prima che ti balzi addosso]
     
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    Non aveva mai avuto modo di osservare così bene i riflessi all’interno di Cariddi. La prima volta, al tempo prima del tempo, il viaggio verso la tana di Scilla era stato così importante da costringerlo a trascurare quell’aspetto – anche nella fuga dal vortice marino. Al contrario, invece, Oliver era riuscito ad alzare la testa durante la caduta per osservare ciò che lo aveva rapidamente circondato. Lo stesso colore delle acque che era capace di lanciare sul campo di battaglia sembrava essere quasi pallido – nulla – in confronto a ciò che si trovava lì dentro. Una serie di tonalità cangianti, miste al profondo blu dell’oceano più scuro e, allo stesso tempo, con le sfumature più chiare e limpide dell’acqua chiara, illuminata. La natura che componeva la struttura stessa di Cariddi era magnifica, magnifica a dir poco. La capacità di irrompere con tale forza distruttiva, senza stancarsi mai, era soltanto la superficie – la leggenda più diffusa – ma nessuno era mai riuscito ad osservare quello che stava osservando lui. Nessuno si era mai spinto tanto in basso da poter rendersi conto di tutto ciò che era conservato lì dentro – così come tutt’attorno. Ne riconobbe un paio grazie alle memorie che aveva accumulato all’interno del suo spirito, altre riuscì quasi a identificarle per conto proprio. Ognuna appartenenva ad un tipo diverso di epoca, alcune addirittura risalivano ai tempi in cui i dieci figli dell’Imperatore camminavano ancora su quella terra. Non poté fare a meno di stringere i denti, rivolgendo il suo pensiero a quella volta – quando tutto non era ancora compiuto – quando il chaos ancora non aveva spezzato i loro legami, separandoli, mettendo fratello contro fratello, sangue contro sangue. Qualcosa lo costrinse a voltare leggermente la testa – forse una piccola scheggia volata via a causa del turbinio. Ben presto, però, si rese conto che non era vera e propria aria quello che stava percependo attorno alla sua armatura – con le gambe distese verso il punto in cui si era lanciato e le braccia lungo i fianchi. Tra le pieghe delle onde, che oramai erano diventate quasi un tutt’uno con lo spazio che occupava nel mondo – generando la cosa più simile ad una nuova dimensione, per tempo e natura fisica – Oliver si scoprì a realizzare come la sua caduta si stesse protraendo per un tempo indefinito.



    Del tutto simile al momento in cui Azae scese verso il punto più profondo della grotta, nello stretto delle due bestie, Cuordimetallo non si perse d’animo. Il punto del suo atterraggio sarebbe arrivato, e una simile profondità – una simile natura nel percorso che aveva intrapreso con quel singolo salto – delineava soltanto l’importanza di ciò che stava per affrontare, così come la sua pericolosità. Non c’era opposizione contro il suo elmo, contro il petto chiuso nell’oricalco, lungo le spalle o il punto più basso degli schinieri. L’aria sembrava semplicemente dimenticarsi di avvolgerlo o di rallentarne la caduta. Compì una piccola rotazione su sé stesso – amplificando quella che era la dimanicità della picchiata – prima di tornare a guardare sotto di lui senza alcuna traccia di paura negli occhi. Come avrebbe mai potuto provare paura in viso a ciò che era successo? Non c’era niente di tutto quello sul suo volto, non c’era niente di tutto quello nelle due fessure del suo elmo, soltanto la determinazione nata dalla consapevolezza, la consapevolezza di dover essere l’unico a porre fine a quella storia – una volta per tutte. Velocità di caduta, peso complessivo – scale inclusa – rotazione calcolata, tempo passato dal lancio. Ogni fattore fu incluso ancora una volta in quella che era l’equazione sempre presente all’interno della sua mente. Era qualcosa a cui ormai si era abituato, un calcolo che non doveva nemmeno più compiere attivamente; era naturale dover affrontare una serie di ragionamenti simili quando si possedeva un comparto tecnologico come il suo, utilizzato anche per combattere. A differenza di quelli che erano poteri derivati dalla trasmutazione del cosmo, proprio degli altri guerrieri, gli animali di Scilla – almeno nella loro controparte d’oricalco – dovevano essere gestiti dai sistemi connessi alla sua volontà; la loro applicazione – così come l’utilizzo delle funzioni connesse alla sua mente – era strettamente legata ai prinicpi scientifici e biologici che governavano il loro mondo. Non poté fare a meno di chiedersi se fosse sempre opera di Cariddi, se il suo inghiottire, il suo distruggere legami fisici di tutto ciò che entrava in contatto con lei – alla fine – non avesse intaccato anche la struttura stessa della realtà fisica, influenzando l’aria all’interno dell’immensa bocca, oltre al tempo e allo spazio. Potere, era quello che significava il fenomeno in sé a cui stava assistendo, che stava vivendo in prima persona attraverso la discesa verso tutto ciò che lo avrebbe aspettato, verso il suo obiettivo.



    Si accorse del brivido che aveva scosso il suo corpo, dal profondo delle ossa stesse. Non ci volle molto per realizzare che un risultato del genere era l’unione di ciò che aveva dentro – del punto più profondo in cui risiedeva il cosmo – che vibrava all’unisono con quello prodotto dalla sua armatura. Illuminata da una luce tenue, come a riflettere il legame più vivo che mai con Scilla e Cariddi. Era partita da un punto imprecisato sulla parte più alta del suo elmo, per poi scendere attraverso il collo, le spalle, le gambe. La luce derivata da quel legame, invece, aveva cominciato a diffondersi dallo stesso punto in cui poteva essere visto il cuore di Azae, il cuore di Oliver, che come sempre brillava al centro del petto e che gli permetteva di respirare, di vivere ogni giorno per combattere con tutte le sue forze. Un soffio più forte del normale al suo interno e il plasma, che da un lieve azzurro aveva cominciato a diventare sempre più intenso – riflettendo il colore del cielo e dell’acqua del mattino – prese ad espandere il bagliore su tutta la superficie d’oro e oricalco, permettendole di assumere un colore non più bruno, ma vivo come il più prezioso dei metalli. E quella stessa onda, quello stesso calore che aveva illuminato e riscaldato l’intera armatura – ora – si diffondeva esattamente sotto di essa con il medesimo movimento, con la medesima velocità. Per un momento i muscoli si contrassero, affrontando quell’evento, prima di rilassarsi e lasciarsi pervadere dalla benedizione. Non era poi tanto diverso da quando indossava quell’armatura. Prima – molto prima di diventare un Primarca – indossare la scale portava con sé soltanto un sentimento di carica, di rabbia nei confronti della battaglia; indossare uno dei sette tesori Imperiali, invece, portava con sé qualcosa di diverso. Onore, accettazione, appartenenza, dovere, i valori più alti della loro amata casa. Indossare la benedizione delle Bestie dello Stretto significava farsi carico di qualcosa di ancora più grande, di un retaggio le cui radici affondavano nel lascito spirituale di quelli venuti prima – a cui si sarebbe aggiunto – per aiutare tutti coloro che sarebbero venuti dopo. Forse era vero, il khala lo aveva cambiato un po’ – tanto quanto lui avrebbe cambiato la prossima generazione – ma nessuno avrebbe mai dovuto interpretarlo come qualcosa di negativo. Non era negativa la furia che sentiva dentro di sé, non era negativa la sensazione che lo portava a stringere i pugni nei confronti dell’inganno, la cui colpa era stata ripagata con l’aver perso ancora una volta ciò che era più importante, aveva trovato riflesso attraverso l’empatia ed il legame con coloro che gli fornivano la forza, a cui il proprio cosmo era legato a doppio filo.



    Se uno di loro era in pericolo, gli altri accorrevano per soccorrerlo, e così sarebbe accaduto per ogni singolo membro di quella che – di fatto – poteva essere considerata una sola entità. Scylla, quante volte si era chiamato così – quante volte era stato altrettanto nominato in quel modo. Non era soltanto un nome, non era soltanto un epiteto, lui era entrambe – ed entrambe erano lui – così come il suo respiro era quello di Azae. In quella caduta verso il buio, in quel salto di fede, Oliver si trovò a raggiungere ancora una volta una nuova meta – a coprire ancor di più la distanza che lo separava dalla completa comunione con il suo lascito spirituale. Le ali dell’aquila si spalancarono verso il buio, pronte a solcarlo con forza e fierezza; allo stesso modo si mossero le zampe del lupo, le cui fauci furono pronte ad azzannare il nemico con la loro forza e la loro rabbia. Il corpo del serpente, attraverso le correnti ascensionali, si muoveva veloce ed agile, assieme al pipistrello che sapeva orientarsi anche nella completa oscurità. L’ape, con la sua tenacia e la sua diligenza, procedeva con passo regolare. La forza dell’orso, infine, dava a tutti l’animo necessario per scendere e scendere sempre di più – fino al punto indicato, la cui strada era stata mostrata da Cariddi. Non seppe dire il momento in cui tutto successe, il momento in cui l’aria diventò profonda acqua. Forse lo era sempre stato, o forse aveva raggiunto la sua destinazione. Tutto ciò che seppe fu che la sua armatura – così come le bestie, così come il suo cosmo – reagì in modo quasi automatico. Un sibilo che durò soltanto un paio di secondi e un leggero movimento comparve sia a destra che a sinistra. La perfezione di quegli abissi – nella loro immobilità – furono increspati per qualche attimo dalla presenza estranea, dalla figura di Oliver che era discesa in modo quasi naturale, come il fluire di un ramo verso la foce. Se la sua luce, se il calore della scale e delle energie che possedeva non fossero stati presenti, avrebbe alzato la testa verso un’uscita, verso la superficie. Ma in quel momento non era ciò che voleva, desiderava raggiungere il punto più basso e rivendicare ciò che gli era stato tolto. Verso il buio apertosi davanti, Oliver non avrebbe spostato lo sguardo. Lo avrebbe puntato di fronte a sé, e ad esso avrebbe risposto con determinazione.



    Che fosse acqua a circondarlo, era chiaro. Ma non poté fare a meno di interrogarsi su che tipo di acqua lo stesse circondando. Le memorie e le conoscenze accumulate fino a quel punto sussurravano un’altra appartenenza di quel luogo, ad un lontano angolo della sua mente. Se non ci fossero stati i movimenti in un ambiente denso – saturo – così come le bolle accanto a lui e la sensazione di pesantezza sopra la sua testa, avrebbe quasi messo in dubbio la natura stessa di quel vuoto così opprimente che si trovava attorno. Era diverso da ciò che provava stando sott’acqua. Non era naturale. Gli angoli della bocca si piegarono in un’espressione dubbiosa, nell’attenzione che stava animando ogni fibra del suo corpo, poiché la realizzazione che non tutte le acque erano sotto il controllo dell’Imperatore lo preoccupò non poco. Esistevano altri luoghi, lo sapeva bene, in cui era pericoloso mettere piede – in cui non ci si doveva immergere con cautela. E se davvero Circe avesse ricevuto l’aiuto di uno degli dèi del chaos, allora nulla di quell’ambiente avrebbe dovuto portare con sé un senso di sicurezza o di stabilità. Il bagliore dell’armatura e del cuore non aveva smesso di essere presente su di lui, rischiarando quei pochi metri necessari ad individuare qualsiasi minaccia davanti o attorno a lui, ma la zona d’ombra – dove la luce non arrivava, dove il blu scuro si mischiava con il nero degli abissi – era costantemente presente attorno a lui, minacciando quella zona di sicurezza che aveva appena creato. Un piccolo movimento nelle acque lo costrinse a muoversi ancora. Non era sicuro restare lì, avrebbe dovuto raggiungere un’altra zona in tempi brevi. Cominciò a nuotare ancor di più verso il punto in cui sapeva – sapeva – che avrebbe trovato il frammento. Il corpo cominciò a trovare una forza opposta ad ogni metro di discesa, così come la propulsione cominciava a necessitare di forza sempre crescente per permettergli di andare avanti. Sentì una parte dell’elmo opporre resistenza, così come una parte della spalla fece. Nonostante quel luogo differisse dalla normale natura, forse era ugualmente soggetto alle sue regole. Minore distanza dall’abisso, maggiore forza di pressione.



    Non nascose una piccola nota di sollievo nel realizzarlo. Se quel posto seguiva comunque le regole dettate dalla natura fisica, allora poteva essere usato a suo vantaggio, poteva essere capito e – capendolo – ogni timore poteva essere allontanato. La determinazione ancora animava il suo corpo e per quel motivo, forse, non si era accorto di ciò che stava lentamente accadendo attorno a lui. L’ironia di come tutto ebbe inizio. La prima volta, così tanto tempo fa da provare quasi nostalgia, si era ritrovato involontariamente a cadere verso gli abissi – fuggendo dalla spiaggia e dalle creature che ormai aveva imparato a conoscere come ‘corrotti’. In quel frangente, mentre il suo corpo si abbandonava lentamente al destino che sembrava attenderlo, qualcosa aveva deciso di opporsi a tutto quello, qualcosa gli aveva permesso di arrivare sano e salvo alle porte di Mechanus, soccorso dal tenno che aveva perso. Tuttavia, questa volta era Oliver a nuotare volontariamente verso la fine di quell’oscurità, era Oliver a voler attraversare il buio per arrivare al punto desiderato. Lo avrebbe accompagnato la luce che aveva attorno, lo avrebbe accompagnato la consapevolezza di non essere solo – mai. Lo avrebbe accompagnato l’oscurità che si muoveva verso di lui. La natura più vicina alla sua immaginazione fu quella di appendici, di arti lunghi che si aggiravano nel buio che lo circondava. Avrebbe voluto chiarirne la provenienza e l’identità, ma ad ogni metro – toccando poi il suolo – la luce non faceva altro che rendere più spesso il muro nero che si stagliava attorno. Essere immerso in quelle acque gli permetteva di tener conto delle vibrazioni che si dipanavano da un punto all’altro e che attraversavano ‘l’aria’ attorno a lui con velocità e confusione. La luce del suo cuore metallico si fece più intensa e il plasma soffiò di nuovo, permettendogli di riscaldarsi e di combattere quello che era – di fatto – il gelo del punto più basso di quel luogo innaturale. Era tanto che gli avrebbe ghiacciato le ossa nel corpo se non fosse stato provvisto della sua armatura e del legame che lo stringeva alle due entità antiche, a dargli forza e a sorreggere la sua stessa carne, il suo corpo. Ma ciò che si stava muovendo attorno a lui, invece, sembrava essere a proprio agio con l’ambiente, tanto da muoversi abbastanza per girare e girare ancora. Ruotò lentamente il volto alla sua sinistra, ripetendo poi l’azione verso la sua destra. Percepiva, e la percezione senza possibilità di osservarne la natura costituiva soltanto un’ulteriore fattore di cui tener conto. Ma ciò non avrebbe fermato la sua avanzata, aveva un obiettivo da raggiungere, qualcosa da portare a termine.



    Un rumore secco lo costrinse a voltare ancora una volta la testa. Poggiò lo sguardo sotto di sé e notò che aveva appena rotto una piccola roccia al suo passaggio. Con la pressione dell’acqua che ancora gravava sulla sua figura, così come sui suoi movimenti, si chinò verso il basso per sfiorarla con le dita. Nel momento in cui si accorse della reale natura di ciò che aveva appena rotto. Era un piccolo ramo corallino, misto a flora che non avrebbe normalmente collegato ai tipici elementi del fondale terrestre. Dovette impiegare uno sguardo più attento per rendersi conto del reale pericolo che quella stessa flora portava. Minuscoli agglomerati cellulari, piccole piastrine vive ricoprivano la superficie di quel ‘corallo’ e di quelle ‘alghe’, producendo movimenti strani, sconnessi. Sapeva anche troppo bene che cose del genere, contatti simili in modo diretto, avrebbero potuto sortire effetti negativi sulla sua scale, così come sulla sua pelle – qualora avesse permesso loro di toccarlo. Si trattenne quindi dal raccoglierle e con preoccupazione crescente cominciò a guardarsi di nuovo attorno, il posto era circondato dallo stesso tipo di elementi. Un profondo respiro, e altre bolle – più grandi – circondarono la sua testa prima di salire verso l’alto e disperdersi nel buio sempre presente. Concentrò il suo cosmo ancora una volta per dargli movimento e natura uniforme, attorno all’interezza della sua figura, in modo da allontanare e rompere qualsiasi cosa sarebbe venuta in contatto con esso. Non poteva permettersi sbagli simili, non poteva permettersi errori che lo avrebbero messo in pericolo ancor prima di arrivare alla sua meta. In quel modo, continuò a camminare con l’obiettivo di scendere ancora più giù. Era ormai diventato difficile anche solo tener conto della geografia del luogo, della sua struttura, per avere chiara nella sua mente una possibile mappa, o una direzione. Nonostante seguisse le regole che conosceva, sembrava allo stesso tempo ignorarle tutte, presentando ai passi di Cuordimetallo una nuova discesa ancor più difficile di prima. Per un attimo perse la concentrazione, nello scoprire la rapidità del luogo su cui stava calcando i passi, e fu costretto ad utilizzare una mano per ancorarsi al pavimento, scivolando lungo quella discesa che in nessun altro luogo avrebbe portato se non nell’oscurità. Stava camminando per gli abissi da un tempo indefinito e, per tutto quel tempo, i movimenti attorno alla zona di luce non avevano smesso di seguirlo. Terminò quella discesa con un piccolo salto, scoprendosi alla presenza di una nuova distesa sconfinata.



    Alzò per un attimo la testa, quanta strada aveva compiuto? Quanto tempo ci aveva impiegato, ancora? Domande a cui dare risposta era diventato così difficile da scuotergli l’animo per un singolo istante. Stava scendendo nelle profondità di un luogo da cui aveva paura di non riuscire più a tornare. Non aveva detto nulla a nessuno, non aveva lasciato che ordini provvisori a casa. E se davvero non avesse più fatto ritorno? E se davvero l’abisso lo avrebbe inghiottito e spento la sua luce? Respirò profondamente ancora una volta per calmare il tremore che il freddo aveva inflitto al suo corpo, anche dentro la sua armatura. L’armatura. Se fosse rimasto lì sarebbe andata perduta come per le vesti di Crisaore. Avrebbero dovuto mandare uomini a recuperarla, ma dove? Se davvero si fosse trovato in un luogo oltre la dimensione a cui apparteneva, allora sarebbe stato ancora più difficile, ancora più pericoloso. Avrebbe dovuto invocare ancora una volta l’aiuto di Cariddi per permettergli un passaggio sicuro lontano da lì. E se quella volta la fortuna si fosse dimostrata non così clemente con lui? Scosse ancora la testa, cercando di allontanare quei pensieri. Non ne aveva bisogno, non in quel momento. Ormai era lì e avrebbe dovuto affrontare di tutto senza perdersi d’animo. Iniziare a nutrire dubbi del genere voleva dire restare con un piede ormai bloccato, lo avrebbe reso incapace di andare avanti con coraggio, lo avrebbe gettato nella follia – un altro abisso dal quale si sarebbe dovuto guardare. Non era solo e non lo sarebbe stato ancora per un po’. Gli animali attorno a lui gli conferivano la forza di avanzare e gli avrebbero dato anche il coraggio, la compagnia, per affrontare qualsiasi altra cosa si fosse presentata al suo sguardo, minacciandolo con pericoli che sarebbero andati oltre la normale natura. Quasi come a captare quel pensiero, la massa nera che lo aveva accompagnato si mosse di nuovo, con più intensità e più forza. Per un attimo sembrò smettere, ma Oliver si accorse di una semplice regolarità dei movimenti, intervallati da qualche secondo. Il Primarca arrestò il passo, portando un braccio verso l’alto come a scostare un velo invisibile. Si mosse ancora, ancora una volta.


    Infine apparve




    Fu impossibile definire la direzione dalla quale era apparsa quella creatura. L’unica cosa certa fu la dimensione e la sua struttura fisica tale da far impallidire anche la luce che Oliver portava con sé, la stessa luce che lo aveva accompagnato in quel momento, fino a quel punto degli abissi. Fu abbastanza, tuttavia, per determinate parte della struttura fisica di quella minaccia. Perché di una minaccia si trattava, senza dubbio. Per tutto il tragitto aveva avuto modo di studiare la natura e l’entità del Primarca, e lui glielo aveva permesso per darle almeno una possibilità di restare in disparte, di allontanarsi al suo passaggio. Ma la bestia aveva deciso di fare l’opposto, uscendo dall’oscurità totale per presentarsi alla vista, spalancando le fauci e permettendo di osservare gli occhi vitrei al bagliore del suo cosmo. Erano completamente assenti. Con la sua conoscenza degli animali, con il lascito degli studi del khala su ogni bestia del mondo fisico, poté intuire che la loro struttura si fosse ormai adattata all’ambiente completamente privo di illuminazione. Forse era completamente cieca. Ciò, tuttavia, non avrebbe dovuto trarlo in inganno – poiché ogni animale ed ogni essere vivente, se privato di un senso, amplificava gli altri per sopperire a quella mancanza, sviluppando capacità anche superiori. Il modo in cui lo aveva percepito era muovendo la massa corporea nelle tenebre, attorno a lui, ed era lo stesso in cui lo stava rilevando in quel momento. La sua testa, appuntita verso la fine, era completamente avvolta da tonalità scure – nere – che le permettevano di mimetizzarsi in quei fondali. L’unica nota di variazione fu trovata nel riflesso del resto del corpo, provvisto di scaglie, che sembravano far nascere note dorate e violacee su diverse zone lungo tutta la sua conformazione fisica. Schioccava i denti proprio come una bestia faceva prima di attaccare e il fremito della testa era esattamente lo stesso di un predatore. Ma la differenza tra i due era sostanziale, in realtà, poiché la bestia aveva dovuto studiarlo per tutto il tempo prima di provare a muoversi contro Oliver. Cuordimetallo, invece, non aveva bisogno di ciò, sapeva esattamente cosa dover fare e come farlo. Piantò i piedi sul fondale, portando dietro una gamba per acquisire maggiore stabilità. La stessa cosa fece con il braccio sinistro, le cui placche cominciarono a scattare velocemente prima di illuminarsi di una nuova luce dorata.

    'In nome dell’Imperatore di tutti gli abissi
    Ti darò quest’ordine una sola volta
    Togliti dalla mia strada.'



    La mente di Oliver si espanse verso l’esterno, con un messaggio che trascendeva il linguaggio stesso ma che portava con sé un’intenzione e una consapevolezza chiara. Doveva spostarsi, o ci sarebbero state conseguenze. Aveva lanciato quell’impulso psichico perché convinto della natura nemica, quella dell’essere una semplice bestia che difendeva il proprio territorio. Ma la sua attesa non portò i frutti sperati. Il corpo nemico sembrò quasi distanziarsi per un secondo, retrocedendo, in preparazione di quello che sarebbe stato il suo attacco. Fu proprio in quel momento che Oliver addensò il cosmo attraverso le parti di oricalco del pugno, proiettandolo in avanti prima di ripetere quel messaggio. Normalmente, le energie di Cuordimetallo erano dotate di una doppia sfumatura, possedevano sia l’oro che il cobalto, uniti in una fiamma che ne alternava continuamente le tonalità. Non ci fece caso, poiché la sua concentrazione era indirizzata altrove, ma in quel momento il cosmo che possedeva era completamente avvolto da diverse sfaccettature di oro, dalla più scura alla più chiara. Il medesimo colore, infatti, si riflesse nei contorni e nell’essenza stessa dell’orso che si estese verso la testa – verso le fauci – pronto a riversare sulla bestia il suo potere d’attacco che difficilmente poteva essere rivaleggiato. Non aveva importanza il pugno rallentato dall’acqua, quello che serviva era semplicemente l’animale dorato, fatto di cosmo, che con la sua natura avrebbe attaccato la testa del mostro, impartendo su di essa la stessa capacità di provocare danni esterni ed interni. L’aqua attorno a lui si mosse con violenza, creando vibrazioni dietro la figura del Primarca in risposta alla forza che aveva impresso dinnanzi a sé, tramite il colpo di una delle sette bestie di Scilla. Subendo un danno simile in modo così diretto, probabilmente l'intero cranio avrebbe subito ingienti danni, così come il volto in pieno, la fila di denti, gli occhi addirittura. Un collasso del lobo frontale, in una situazione del genere - in un animale del genere - avrebbe significato compromettere le capacità più importanti, come l'orientamento o la facoltà di capire cosa fare e quando farlo. Non aveva tempo da perdere con un animale appartenente ad un luogo esterno, ma gli avrebbe fatto capire nella sua lingua ciò che avrebbe dovuto fare, ciò che il messaggio di Oliver aveva prima impresso nella sua mente.



    'Ora.'



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    RIASSUNTO AZIONI Ξ E io glie tiro un pugno con l'orso sul muso per dire 'spostati'

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    Physical Reworking - Armi di Scilla
    Physical Reworking: One for All - Trasformazione
    Voz de Ola - Telepatia


    TECNICHE Ξ

    Cold, the air and water flowing
    Hard, the land we call our home

    Prima composizione bestiale di Azae.
    Il pugno dell'orso. Attraverso la manipolazione del proprio cosmo, e della propria armatura, Oliver può trasformare parte della sua scale - dotandola di grandi guanti meccanici, o gambali più robusti - per colpire il nemico con maggiore forza; procurando all'obiettivo, se andato a segno, gravi danni interni. Se non manifestati sotto questi aspetti, i poteri dell'orso possono trasformare parte della scale, facendole assumere l'aspetto di un grosso martello. Rottura di ossa, emorragie, tutto a disposizione della conformazione contundente che la scale di Scylla può assumere. Quando viene utilizzato lo spirito dell’orso, inoltre, il colpo a distanza assumerà le fattezze della stessa bestia – dirigendosi in prossimità dell’avversario per tentare di colpirlo con i suoi possenti artigli, causandogli – in caso di riuscita – lo stesso tipo di danno che causerebbe un impatto fisico dell’arma cosmica. [Danno: Interno, Rottura di Ossa - Arma: Grossa, Contundente]

    And we all lift, and we're all adrift together
     
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    VII

    La forza del tuo pugno riverbera insieme al tuo comando, scatenando onde concentriche che distorcono l'acqua intorno a te. Premono attraverso quella che sembra melassa, gonfiandola in strati conseguenti sempre più sottili, che esplodono uno dopo l'altro fino a impattare sulla superficie chitinosa della bestia. Vedi lunghe crepe dipanarsi dall'impatto, sangue lattiginoso gonfiarle prima che gli occhi pallidi si distorcano in direzioni differenti. La bestia viene spinta indietro dal contraccolpo, ma se per un attimo sembra incapace di pensare, non sembra del tutto privata della capacità di agire.

    Primitivamente. Istintivamente.

    La bocca irta di denti si apre in sezioni multiple, dilatandosi quasi arrivando a distendere lo spazio fra un dente e l'altro. L'acqua viene risucchiata dentro la bocca della creatura, cominciando a vorticare frenetica alternandosi a quelli che sembrano frammenti di specchio. Ti rendi conto che sei in grado di vederli solo perché essi riflettono la luce del tuo Cosmo, ma questo non aiuta la difesa: la forza della pressione verso quel vortice è immensa e senti un suono tintinnante farsi sempre più acuto e stridente.

    Il suono ti perfora il cervello, ma nel dolore vedi sprazzi di immagini sconosciute farsi strada nella tua mente. Appartengono a un altro tempo, un altro luogo, a qualcun altro che un tempo era. Pallide tracce di sogni e speranze annichilite da un istinto primordiale, da cui ti ritrai istintivamente per non perderti in esso.

    Le fauci del mostro sono vicinissime e ti accorgi di quello che i frammenti di spazio stanno riflettendo, e l'immagine non filtra nella visione, ma direttamente nei tuoi sensi. Quelle microscopiche visioni urlano, graffiano, bruciano e assaltano ogni tua percezione.

    cropped-immaterium

    Su4sahH

    E INSOMMA!

    Il mostro ha crea un [af] vortice d'acqua a Forza Strao (Energia Nera) che cerca di risucchiarti verso l'interno della sua bocca, dove potrebbero non esserci esattamente cose simpatiche. Per la precisione, l'[ad] è un assalto sensoriale alla stessa energia causato dalla prossimità a quelle cose orribili.
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