With Pain comes Strength

Up Cloth per Eltanin17

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    I



    Stai sorridendo.
    Te ne accorgi all’improvviso, anche se i muscoli della tua faccia sembrano quasi essere indolenziti da uno sforzo eccessivo. Da quanto tempo stai sorridendo, ti è impossibile capirlo. E’ il giorno più bello di tutti, il giorno più importante – quello che, con le preghiere ad Apus, hai atteso per tanto, tanto, tempo.

    I cavalieri d’oro del grande tempio sono lì, davanti a te, e ti stanno rivolgendo i migliori complimenti – i migliori sorrisi, a loro volta. Vedi Andrea del Leone, vedi Rigel del Cancro, Dha della Vergine, Alexis della Bilancia, Achille del Sagittario – ma, soprattutto – vedi Bartolomeo del Toro, il Gran Sacerdote, che sorride fiero.

    Nonostante l’impresa virtualmente impossibile per un saint con la tua esperienza, hai sconfitto la Primarca del Kraken, Sanya, costringendola ad un’amara ritirata – con la promessa di un nuovo scontro. La notizia si è sparsa in fretta e letteralmente tutti si sono complimentati con te.

    Odette di Apus, La Risoluta.

    Senti una mano afferrarti le spalle, forse è solo uno dei funzionari del Grande Tempio che – chiamandoti a gran voce – cerca di complimentarsi tra la folla.

    Odette
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    Odette!
    .
    O D E T T E



    Un pesante boato, e i suoni ovattati attorno a te cominciano a farsi più distinti. Il ronzio nella testa, tuttavia, non ti permette di mettere a posto il disordine che si è scatenato sopra di voi. Sei con la schiena contro una parete, ed il sapore del sangue ti riempie le labbra – assieme alla sensazione di avere più costole rotte. Sei spezzata, Apus, e la profonda ferita al tuo fianco lo conferma, così come lo conferma lo stato pietoso della tua cloth. Il diadema è rotto in più punti, gli schinieri sono completamente andati – i pezzi di armatura sulle tue braccia puoi contarli a stento, tanto che sono pieni di crepe e rotti in più punti. Perforazioni, dentellature irregolari. L’uccello del paradiso ti ha difeso più e più volte durante la missione di recupero civili.

    Il mezzo di trasporto, uno di quelli in stato utilizzabile per coprire grandi distanze, sta tornando alla base – sei riuscita a mettere al sicuro i civili. Tu, David, Carlos e Isabella siete rimasti indietro per coprire la fuga. Siete gli unici in possesso di abilità tali da poter tenere a bada il corrotto che ha minacciato quella povera gente, e tu sei l’unica in possesso di un’armatura di Atena. E’ tua responsabilità proteggerli, lo sai, perché è questo che fanno i Cavalieri del Grande Tempio, fanno da scudo alle avversità.

    Isabella e David sembrano essere immobilizzati in una sorta di sogno ad occhi aperti, imbambolati come lo eri tu fino a pochi secondi fa. Il tuo compagno di squadra si alza, una volta accertatosi della tua incolumità. Lo vedi correre verso il nemico, forme particolari, simili a disegni che non hai mai visto. Uno di essi si abbatte sul corpo corrotto, che sembra immobilizzarsi per qualche secondo. Stava prosciugando i tuoi amici della loro energia vitale e, nonostante le ferite sparse su tutto il corpo, nonostante la tua cloth quasi inutilizzabile, devi intervenire.

    Cosa fa un saint in una situazione del genere?

    Cosa fai, Odette?



    __________________________

    Eccoci qua!

    Scena divisa in due fasi, la prima è la tua mente che vaga attraverso uno degli scenari che vorresti di più, vittima di un'illusione mentale. Appena ne esci, tuttavia, ti rendi conto di essere nel bel mezzo di un combattimento contro un corrotto ad energia blu, che dispone di Illusione Mentale, Assorbimento Cosmico e Privazione Sensoriale.
    I tuoi compagni sono tutti Energia Verde - Carlos, che è riuscito a scampare all'illusione mentale, ha usato l'abilità Sigilli per depotenziare il nemico. La tua cloth, a causa degli scontri, sembra essere molto danneggiata.

    Ora sta a te, come svegli i tuoi compagni di squadra?
    Come ti prendi cura del corrotto?
    Divertiamoci :zizi:
     
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    La vista del grande tempio non era mai stata così stupenda e radiosa. Era come se un nuovo sole colpisse le tredici case, come se dei raggi più lucenti circondassero la statua della dea. Il grande tempio tutto riluceva di una luce candida, nuova, come se la pressante oscurità che avvolgeva il mondo fosse stata dissolta. Le case, nella valle antistante il santuario, si bagnavano in quella preziosa novità, facendo di loro delle gemme in terra. Qualcosa di nuovo aleggiava nell’aria, qualcosa di glorioso, qualcosa di potente. Si poteva respirare una nuova aria al Grande Tempio e nei suoi dintorni. Come se la corruzione che copriva il mondo fosse stata spazzata via, allontanata fino a ridurla ad uno sbiadito e triste ricordo.

    LC-Santuario%20(3)



    Odette camminava fiera, a testa alta, per la strada principale della valle, quella che alla fine portava alla grande scalinata e quindi alla piazza antistante le dodici case. Il suo passo era sicuro; nemmeno nuoceva alla rigogliosa erba sottostante che si chinava per renderle omaggio, ai sassolini che si spostavano volentieri al suo passaggio. La gente del Grande Tempio accorreva numerosa al bordo della strada. Chiunque era presente aveva lasciato il proprio lavoro per essere lì. Anche gli impossibilitati a muoversi si erano radunati davanti alle finestre per non perdersi il momento.

    Odette passava in mezzo agli esultanti. Sorrideva guardando i loro volti e alzando la mano a mo’ di saluto ora a destra ora a sinistra con particolare riguardo per i più piccoli che in prima fila cercavano il suo sguardo.

    Era una sensazione così galvanizzante, troppo forse, praticamente indescrivibile. I dettagli, soprattutto sullo sfondo apparivano sfuocati, come se quella mente non riuscisse a processare tutto quel piacere. L’emozione della folla che gridava a gran voce il suo nome, le loro mani alzate, i loro occhi, le loro vesti. Il paesaggio felice, l’aura d’oro di ricchezza, di magnificenza, che permeava quel momento.

    L’oro, il colore degli eroi, il colore delle armature donate ai guerrieri più forti e valorosi. Il colore dei saint più forti e più devoti ad Athena e alla causa. Anche l’oro si era affacciato a guardare, si stava chinando in attesa del suo passaggio.

    Rigel del cancro, suo primo maestro, sorrideva fiero. Andrea del leone, guida morale ed eforos del grande tempio, gioiva silenziosa dall’altra parte. Vicino a loro c’erano gli altri gold saint che Odette aveva visto solo da lontano, di cui aveva sentito solo voci. Ys, custode delle armature, poi Achille, l’attuale freccia di chirone, Dha la saint più vicina per abilità agli dei, Kyros gold dalla doppia faccia, Alexis custode dell’ordine. Mancavano ancora quattro delle dodici costellazioni maggiori, ma anche l’armatura dei pesci, di scorpio, di capricorn e di acquarius erano lì a rendere omaggio ad un nuovo eroe.

    Poi c’era anche lui, il più retto e fiero fra i saint, il baluardo della dea, la montagna che sorreggeva tutto e tutti: il gran sacerdote, Bartolomeo del Toro. Anche lui, il secondo uomo più forte e importante della loro società, era lì in prima fila ad aspettarla sulle scale che portavano alle tredici case e ad Athena.

    Ecco, la dea. Lei non era visibile al momento, ma la sua aura di pace e gloria risuonava eterna, più forte anche dell’eufonia delle dodici costellazioni principali. Nike, la dea della vittoria, il simbolo d’oro simile ad un aquila, era percepibile e illuminava il cammino di quella saint di bronzo, che quel giorno nulla aveva da invidiare ai ben più forti cavalieri d’oro.

    Mai si era sentito di un cavaliere di Apus giungere a tanto, ma l’uccello del paradiso aveva creato un nuovo miracolo. Quella ragazzotta venuta dal nulla, quella marchiata più e più volte sull’esile corpo, quella che aveva sfidato l’infausto destino propostole, che aveva affrontato l’inferno, ascendeva ora alla gloria del paradiso.

    L’angelo della vittoria era disceso dalla mano della dea della giustizia e della guerra e aveva coronato quel suo saint con una corona di alloro, simbolo di un nuovo eroe. La pianta nobile però era in ombra: il diadema, becco dell’armatura di Apus brillava molto più fiero, la più ricca delle corone.

    - Odette, Odette, Odette!-

    Il popolo, lo stesso che l’aveva schifata, ora acclamava a gran voce il suo nome, tutti vogliosi di ricevere almeno un frammento di quella luce.

    Come cambia l’opinione pubblica… Il giorno prima erano arrabbiati per la possibile guerra con Atlantide, guerra indirettamente causata dal saint dell’uccello del paradiso. Ora eccoli lì, ad acclamare lo stesso pennuto e solo perché aveva fatto scappare la primarca del Kraken con i tentacoli fra le gambe. Sanya era stata battuta in maniera plateale e aveva dovuto richiamare il suo esercito, salire nel suo mezzo subacqueo e scappare a gambe levate. Non si scherza con un saint dopotutto, un colpo ha effetto su di loro una sola volta. Ricordava il suo volto, rosso di rabbia o invidia mentre pronunciava parole amare in quel dialetto delle profondità dei mari. La sua armatura era rotta in più punti e si muoveva appena per via dei marchingegni meccanici che animavano quelle cloth d’oltreoceano. Una macchina però non può pensare come un umano, come un essere vivente. Quella era la superiorità delle vesti create da Athena, quello il motivo per cui Apus era ancora intero mentre Sanya fuggiva.

    - Odette! Odette! Odette! –

    Le voci si accavallavano, così come i visi, e le vesti. Il tutto si faceva più indistinguibile, come il sogno che era.

    - Viva Odette la risoluta! -

    I canti continuavano anche davanti al Gran Sacerdote che nemmeno riusciva a placare la commozione della folla, anzi rimaneva lì, immobile, braccia conserte, a ridere sotto quei baffi che portava esageratamente lunghi.

    La gente spingeva, come ad un concerto, sperando di guadagnare quel centimetro in più di vicinanza al suo eroe. Un centimetro qua, uno là ed ecco che la prima mano di qualcuno arrivava a toccare lo spallaccio dell’armatura… no… toccava la spalla…


    - ODETTE!-



    Un boato assordante, come un’esplosione nucleare, spazzò via il grande tempio, i cavalieri d’oro, la gente comune. Tutto si dissolse in frammenti di polvere, schegge di armature e sangue, tanto sangue.

    Odette riaprì piano gli occhi mentre una nuova immagine si componeva sulle sue retine. L’aura dorata di eroismo era assente, le acclamazioni silenti, il grande tempio distrutto. Attorno a lei si apriva un paesaggio in rovina, i resti forse di una piccola metropoli. C’era una carcassa arrugginita di una macchina a diversi metri di distanza, costruzioni demolite e irriconoscibili, le piante avevano spaccato il cemento arrivando a respirare sopra di esso. Un muro semidistrutto sosteneva appena la sua schiena.

    Una mano si levò dalla sua spalla, l’unico frammento di sogno che era rimasto intrappolato nella realtà, o viceversa, non ne era sicura. C’era qualcuno che l’aveva toccata. Cercò lo sguardo di quella persona, ma nel muoversi una profonda fitta le attraversò le viscere. Un rantolo di dolore lasciò la sua bocca, ma quell’urlo strozzato provocò un nuovo dolore al corpo tutto. Il fianco doleva da matti, come se stesse per implodere sotto il peso degli organi interni. Le costole sfrigolavano, forse spezzate in più punti e pungevano i polmoni e il cuore, stringendo entrambi in una morsa lancinante che rendeva difficile anche solo pensare.

    La mano sulla sua spalla apparteneva a questo giovane adulto che ora correva in una direzione ben precisa, da solo, in pasto a quella che era una creatura enorme simil-umana se non fosse per gli arti di troppo e decisamente animaleschi: un corrotto.

    Ci volle qualche secondo a metabolizzare, ma una volta fatto la situazione apparve limpida come l’acqua e disperata come il sangue che si sentiva scorrere in gola.

    Erano in sei, Odette, il latino brasiliano o spagnolo Carlos, l’americano David, l’italianissima Isabella, l’infermiera Monica, anch’ella italiana, e Josè. Cinque utilizzatori di cosmo e un’infermiera erano stati inviati tutti assieme per questa missione di recupero di alcuni civili in arrivo presso il territorio greco. Era raro che così tante persone, soprattutto così tanti sensibili, venissero assegnate ad una stessa missione, soprattutto considerando la penuria di guerrieri di cui il grande tempio disponeva. Quelli però erano stati gli ordini e ad essi si sarebbero tutti attenuti. Erano partiti il giorno prima con un camion militare, avevano recuperato i civili a tarda notte e avevano ripreso il viaggio di ritorno verso casa.

    Era appena l’alba di un nuovo giorno estremamente nebbioso e appena appena uggioso quando quella temibile creatura apparve dalla nebbia, annunciata appena dalla sua temibile aura che attanagliava le viscere dei presenti. Un mostro simile era stato avvistato a diversi chilometri di distanza e forse era proprio per la sua immane stazza che così tanti guerrieri erano stati mandati al salvataggio.

    Il mostro era enorme, quasi il doppio più alto di un alto essere umano. Era una donna prima di divenire corrotta, o almeno così era possibile intuire. I suoi tratti somatici femminili erano ancora riconoscibili sebbene i nuovi arti che gli erano spuntati dalla schiena che usava per agire e muoversi, avevano tutto fuorché aspetto umano. Pareva un ragno per certi versi. Aveva due lunghe zampe seghettate, come le braccia della mantide religiosa, e un altro braccio era armato come se fosse una falce. Un altro arto si era fuso con l’originale braccio della donna, tramutandolo un braccio umano spropositatamente lungo, con lunghi artigli gialli.

    Il peso che gravava sull’umore dei presenti aumentò sempre di più fino a che la corrotta apparve come per magia, nascosta dalla nebbia e da ciò che rimaneva dei palazzi. Atterrò di fronte a loro con la grazia di un ragno che si appropinqua alla preda caduta nella sua rete.

    Josè, che stava guidando il mezzo, girò il volante rapido per evitare la collisione e per sfuggire dall’enorme arto che minacciava di afferrarli. Il mezzo sbandò, quasi non si capovolse su se stesso. Josè mantenne la calma e con un immane sangue freddo riportò il mezzo sulla giusta rotta.

    Odette si gettò giù dal mezzo in corsa, pronta ad ingaggiare battaglia o almeno a coprire la ritirata del camion, con lei altri tre eroi. Atterrarono decentemente sull’asfalto con una capriola atletica per poi rialzarsi. Solo graffi potevano essere trovati sui loro corpi e vesti.

    Si disposero fra il mostro e il mezzo, fianco a fianco, con Odette leggermente più avanti degli altri. Lei era la saint, lei quella che vestiva una delle sacre armature, lei quella prescelta dalle stelle. Se c’era qualcuno su le cui spalle gravava la salute di tutti era proprio lei.

    La corrotta li osservò con trepidante attesa, leccandosi appena le labbra grigie e carnose con la sua lingua lunga e serpentesca. Si lanciò quindi lei all’attacco per prima, saggiando i riflessi dei suoi avversari, della carne mandata al macello. Erano solo un piatto pronto, servito in faccia all’affamata, erano solo bocconcini prelibati da cui iniziare un succulento pasto. Non sazia si sarebbe poi lanciata all’inseguimento dei rimanenti spiedini viventi scappati alla sua fame.

    Erano in quattro a lottare con lei. Carlos intrepido muoveva le braccia in aria mentre il cosmo seguiva il flusso dettato dalle sue mani creando forme geometriche luminose, che venivano scagliate come rituali magici contro il nemico. Un cerchio a terra, come un enorme raggiante sole, sembrò fermare la corrotta.

    La saint cercò Isabella e David. Lei era apparentemente addormentata, distesa a terra a quasi un chilometro di distanza, David era addirittura penzolante da ciò che rimaneva di un guardrail. La strada su cui stavano combattendo dava su uno strapiombo sotto cui un tempo scorreva vigoroso un fiume ora pressoché in secca. Era un dono che il guardrail aveva fermato quello che poteva benissimo essere un viaggio di sola andata per la morte.

    Portò la mano sinistra al muro dietro di se’, la destra davanti in modo da cercare degli appigli a cui affidarsi, qualcuno che la aiutasse a rialzarsi. Doveva fare qualcosa. Lei era il cavaliere, eppure Carlos stava dimostrando un coraggio e una forza che lei non aveva. Con il respiro più profondo possibile richiamò a se’ l’energia delle stelle, delle sue stelle. Da quelle maggiori Alfa Gamma Delta Kappa a quelle minori Beta Zeta Eta Epsilon. Dagli ammassi globulari, alle galassie che si intravedevano nel cielo notturno. Lasciò che il suo corpo fosse attraversato dalle loro benefiche onde, che ricaricassero le membra stanche e la inondassero del loro potere celeste. Anche Apus parve beneficiarne, sembrò tornare più rosea e più brillante.

    L’armatura dell’uccello del paradiso era però a pezzi, profondi solchi ne minavano la stabilità, molti frammenti erano mancanti, seminati sul campo di battaglia come polvere. Il custode della prima casa, il cavaliere d’oro di Ariete, non sarebbe stato felice di dover riparare quella cloth. Era una delle più giovani, una che non si era ancora mai distinta nel corso dei millenni. Sarebbe tornata a casa come un uccello spiumato, una a cui dover dedicare molto tempo e risorse, cosa che nessuno al santuario poteva permettersi.

    Era un lavoro da fare nonostante tutto. Per Odette o per il prossimo guerriero di Apus, qualcuno avrebbe vestito quella sacra armatura fino a giorno in cui la costellazione avrebbe smesso di brillare e sarebbe stata considerata estinta. Altri guerrieri avrebbero portato quella cloth, probabilmente molto meglio di lei adesso, e le avrebbero porto maggior cura.

    Sempre che la cloth fosse riuscita a tornare a casa.

    Un frammento. Bastava che anche solo un frammento raggiungesse sano e salvo Athena e l’armatura avrebbe continuato a vivere.
    Uno qualsiasi delle schegge cadute dai braccioli, anche solo un tallone degli schinieri, qualunque pezzo sarebbe bastato a ricostruire l’uccello del paradiso ed a farlo tornare a volare.

    Non si poteva dire lo stesso per loro quattro. Erano umani, un colpo di pistola, un colpo preso male alla base del cranio, un’artigliata in piena pancia e nonostante avessero tutti i pezzi a posto sarebbero morti, spariti dal mondo, assorbiti da un mostro affamato.
    Le quasi indistruttibili cloth erano l’unica cosa che li separava dall’essere mortali comuni, nemmeno il cosmo, che tanto li aiutava a sopportare, sarebbe bastato contro colpi del genere. Tutto sommato nessuno di loro era meno fragile che uno dei tanti sopravvissuti presenti in quel momento nel camion.

    Il corrotto si mosse appena: il potere di Carlos non bastava a tenere a freno la bestia: si sarebbe spezzato a breve. Approfittando della residua immobilità del nemico richiamò al suo fianco il vento, plasmandolo un una corrente che dolcemente sarebbe andata ad accarezzare i volti e i corpi di Isabella e di David, prima di dirigersi sul nemico cercando di accerchiarlo creando uno spesso anello di vento, con un diametro di circa un metro, un’altezza di due spanne ed era collocato all’altezza dei fianchi della creatura. Avrebbe fatto in modo di limitare i movimenti del mostro, un po’ come stava già facendo Carlos, anzi cercava di potenziare a suo modo l’effetto dei sigilli del suo compagno, in modo da guadagnare tempo, sperando che i suoi compagni fossero ancora vivi e che si riprendessero presto dal sonno in cui il mostro li aveva fatti cadere. Avrebbe cercato di rendere tagliente il suo vento in modo da scoraggiare la bestia ad avvicinarvisi o dal tentare di spezzare quella presa che le aveva avvolto contro.

    - Isabella! David! – Urlò verso i suoi compagni, sperando che la voce aiutasse nel loro risveglio.

    Si avvicinava a passi lenti ed incerti verso il suo compagno Carlos in modo da spalleggiarlo in quella difficile impresa.
    Se l’anello fosse riuscito ad instaurarsi avrebbe fatto in modo da far partire otto lame di vento da esso, in modo che ruotando in senso antiorario convergessero sul corrotto. Otto lame, come gli otto venti maestri. Sarebbero nate di due spanne, come l’anello che le aveva generate, per poi andare a svilupparsi in altezza distribuendo il loro taglio lungo tutta la superficie della lama. Sarebbero cresciute solo fino a cinquanta centimetri, d’altronde il corrotto era molto vicino, ma avrebbero potuto lacerarlo pesantemente visto che provenivano da multiple direzioni.

    Non poteva fare di più. Non poteva fare altro. L’armatura di Apus scricchiolava mentre il cosmo la attraversava, come se minacciasse di non poter sopportare quel carico di energia.

    Il cuore era già grave per la presenza del corrotto, ma la situazione lo faceva ancora più pesante e faceva l’anima piangente. Il frangente era abbastanza disperato, quasi senza speranza. Come potevano loro quattro sfidare quella bestia immonda che aveva rotto la cloth con tanta facilità? Quella non era una sfida del loro calibro, non era pane per i loro denti.

    - SVEGLIATEVI! – Implorò urlando sempre rivolta ai compagni. Avevano bisogno dell’aiuto di tutti se volevano prevalere o anche solo sopravvivere. Non c’era altro modo per uscire vivi da lì.

    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Diverse ferite ed un nuovo profondo solco al fianco (oramai li colleziono nd Odette) Leggermente affaticata per l'energia vitale prosciugatale mentre sognava.

    Stato Mentale:
    Risvegliatasi dal felice sogno, torna alla brusca realtà con l'animo inquieto ed impaurito. Sa di dover mettere al sicuro gli altri, di dover mostrarsi forte nonostante le avversità, ma sa anche che la cloth non reggerà per molto.

    Stato armatura:
    Indossata, ma mancano gli schinieri. Rotta e scheggiata in più punti, con diversi profondi solchi a minarne la stabilità.
    Riassunto Azioni:
    Risvegliatasi dal sonno forzato Odette Chiama a se il cosmo per andare ad assistere i sigilli del compagno. Il vento accarezza Isabella e David provando a svegliarli prima di andare a circonda il corrotto con un anello di vento che minaccia di ledere alla bestia se prova a liberarsi da esso [Attacco forte]. Per dare ancora più tempo agli altri due e a Carlo per rinforzare il suo attacco prova ad attaccare con otto lame di vento che si staccano dall'anello per andare a colpire il corrotto in otto punti diversi. [Attacco debole] Odette è più concentrata sul trattenere il nemico che sul danneggiarlo, per questo l'anello è l'attacco forte rispetto alle lame successive.

     
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    II



    David ed Isabelle, a seguito della tua offensiva contro il corrotto, sembrano destarsi dal sogno illusorio – proprio com’è successo a te. Si guardano sconcertati prima di riformare il gruppo, coperti dal cosmo dell’Uccello del Paradiso. I poteri di Carlos sembrano dare il tempo al tuo attacco di riuscire, il corrotto urla e si dimena nel momento in cui il vento colpisce, ma il suo corpo non riceve altro che qualche taglio, qualche lembo strappato.

    Una grande bordata cosmica si estende verso di voi, il suo contatto è mirato a indebolire il vostro cosmo. Ma non è solo quello ciò a cui il corrotto ha pensato, no; le sue braccia si estendono fino a raggiungere la vostra posizione – la pioggia di colpi discendente porta con sé una strana sensazione, come se la vostra vista si annebbiasse sempre di più, ad ogni artigliata, vertendo sull’orlo della cecità.

    Carlos!
    Urla Isabelle, a denti stretti, vedendo la figura del ragazzo saltare in avanti. Nuove forme sacre si formano nelle sue mani, mentre altre vengono proiettate sotto ognuno di voi. Il vostro amico crea un sigillo per potenziare il vostro cosmo, in modo da irrobustirvi e non permettervi di subire seri danni – ma, nel farlo, riceve in pieno l’offensiva nemica, accasciandosi a terra in preda agli effetti degli attacchi.

    Lo ha fatto per te, perché sa che - facendo appello alle capacità della tua cloth, della tua costellazione - puoi richiamare un potere che pochi padroneggiano, un potere che può dare a te, e al tuo team, una chance in più di tener testa a questa piaga. Il mostro si vede formare addosso un nuovo sigillo che, grazie agli sforzi del tuo amico, riesce a ridurre ancora un po' il suo potere. I membri della squadra, coloro in possesso di cosmo, volgono verso il vostro assalitore le loro forze - proiettili cosmici, lame, esplosioni. E' naturale, tutti vogliono essere all'altezza di questo combattimento, ispirati dalle azioni dei cavalieri - azioni come le tue.

    La battaglia non è finita
    C’è ancora speranza, Apus.


    __________________________

    Il corrotto subisce l'offensiva, riportando dei danni, ma subito dopo si libera dal sigillo - rispondendo con una bordata di cosmo che veicola la privazione d'energia (attacco debole - sfondamento) prima di rivolgervi una raffica di colpi che portano privazione sensoriale, cercando di togliervi la vista (attacco forte). Per effetto di un'ultima restrizione cosmica, la sua energia scende a Rossa, i membri della squadra cosmo-dotati gli rivolgono offensive di vario genere, per dare una mano al tuo prossimo attacco.
    Come introdotto nella traccia, c'è un altro potere che puoi usare per un vantaggio tattico sul corrotto. A volte abilità che non possono essere parate sono abbastanza utili in battaglia. Non aver paura di dare fondo al cosmo (quando serve) :zizi:


     
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    La donna, se ancora di un organismo di sesso femminile si poteva parlare, si contorse appena nella presa dei due cosmi uniti. Non era abbastanza però, non lo sarebbe mai stato. Erano solo i cosmi di un semplice cavaliere di bronzo da poco tornato in attività e di un cosmo dotato qualunque, nemmeno prescelto dalla dea. Era quasi ingiusto che le 88 armature fossero così restie a concedere la loro protezione, l’umanità stava morendo sotto i feroci colpi di quelle bestie, il santuario aveva retto l’impatto a stento, il Jamir, dove erano nate, era caduto quasi del tutto sotto la corruzione, perché le sacre armature non proteggevano quei pochi uomini che servivano la dea? Perché non accorrevano in loro aiuto? Perché Apus era volato da lei? Se lo era chiesto tante, troppe volte e la costellazione rimaneva silente alla sua supplica. Cosa aveva lei, che Carlos, Isabella o David non avevano? Era davvero possibile che il solo nascere protetto da una costellazione garantisse l’ascesa al rango di Saint? Perché solo così pochi erano bagnati dalla luce delle stelle? Cos’è, facevano tutti appello a costellazioni estinte? Tante domande, nessuna risposta.

    Di sicuro quello non era il tempo né il luogo per farsi tali domande, in mezzo ad un campo di battaglia, davanti ad un feroce mostro. David e Isabella li raggiunsero subito risvegliati dal loro sogno forzato. Chissà cosa passava nella loro mente sopita, chissà quali desideri colmava il loro cuore. Era quasi un dispiacere doverli strappare a quella allucinazione gioiosa per riportarli alla cruda e disperata realtà.

    Colpi di cosmo grezzo fu quello che loro cominciarono a lanciare, energia grezza che veniva scagliata come proiettili verso il mostro che accusava, ma ancora non era abbastanza. Era un po’ come quattro zanzare che tentavano di assaltare l’umano; prima o poi il più grosso si sarebbe stufato e sarebbe passato alla carica. Era proprio questo che la donna fece. Mosse appena le braccia, dissipando un’onda di cosmo che avrebbe investito tutti e quattro. Odette provò ad intercettarla innalzando un muro vento fra loro, abbastanza largo da coprire tutti i compagni e alto quanto il mostro stesso. Le correnti ubbidirono al suo comando, ma queste si dissiparono subito facendo tornare quieta l’atmosfera. Il mostro era decisamente troppo forte: nessuno scudo poteva sostenere i suoi attacchi. L’onda di cosmo del mostro avanzò colpendo tutti quanti e prosciugandoli delle loro energie, un po’ come succede a stare sotto il sole cocente ad agosto. Non faceva caldo, non era nei poteri della bestia, ma la sensazione di spossatezza si diffuse sui loro corpi rendendoli estremamente affaticati, molto più di quanto già non fossero. Le gambe tremarono appena, le braccia volevano lasciarsi cadere lungo i fianchi, la testa pareva girare vogliosa di adagiarsi a qualcosa. Non potevano permetterselo. Non potevano lasciarsi vincere.

    La bestia infierì nuovamente attaccandoli con gli artigli della sua enorme mano.
    - Indietro! – ordinò loro la saint, consapevole del fatto di non poter parare quell’attacco. Cercò di vincere la resistenza del corpo esausto e di arretrare anche lei per evitare le artigliate del mostro che agitava la mano in maniera casuale come a scacciare le mosche noiose che erano loro quattro.
    Si prese una bella botta che la spostò di diversi metri verso lo strapiombo, ma ebbe il riflesso di frapporre le braccia coperte dall’armatura per incassare quel colpo. Altre crepe si formarono sui bracciali, altri frammenti si staccarono dalla cloth: come gli schinieri anche i bracciali non avrebbero retto per molto ancora. Odette strinse i denti, il sapore del sangue in gola era fastidioso, ma ancora di più lo era la situazione che a lei sembrava senza via di uscita. Non la vedeva rosea, anzi, non la vedeva affatto. Come se la nebbia fosse calata improvvisamente sul campo di battaglia, il contorno del corrotto appariva sfuocato, non definito, appena appena distinguibile dal grigio e nero dello sfondo.

    - Carlos! - Isabella aveva urlato il nome del loro compagno. Odette volse lo sguardo al gruppo e, tramite il movimento di uno di loro, capì il motivo dell’urlo: quell’incosciente si stava gettando nuovamente alla carica, senza strategia, senza protezioni, armato solo dei suoi poteri. Odette imprecò sottovoce nella lingua natale, quel tipo stava disubbidendo ad un ordine di un superiore o ancora peggio quel tipo stava cercando di farsi volutamente ammazzare!

    Strinse i pugni sanguinanti insicura di come agire. Vedeva ancora peggio le figure geometriche magiche arancioni che partivano da Carlos e che andavano ad accerchiare il mostro e loro stessi. Sentì come una carica di energia da quel simbolo arancione mobile che era stato disegnato ai suoi piedi. Con esso arrivò anche un’epifania: forse Carlos aveva ragione, forse in quel caso la miglior difesa era proprio l’attacco. Avevano provato quanto inutili fossero i loro scudi, quanto inefficaci i loro tentativi di schiare il ben più agile mostro. Non potevano scappare e darsi alla fuga. La creatura nemica aveva un’agilità ben superiore alle loro e nemmeno dividendosi sarebbero riusciti a salvarsi tutti. Magari, con molta fortuna tre potevano salvarsi dalla corrotta, ma nessuno garantiva loro che altre bestie non fossero in agguato. Tre, potevano salvarsi, ma uno sarebbe comunque stato divorato dalla bestia. Uno su tre, era un prezzo comunque troppo alto da pagare. Per quanto la situazione fosse disperata potevano solo rimanere lì e combattere. Al contrario del corrotto avevano il numero dalla loro parte, dovevano solo usarlo adeguatamente.

    Inspirò a fondo, come per assorbire le energie provenienti dal simbolo a terra per farle proprie. Richiamò quel che rimaneva dell’armatura, si appellò alla propria costellazione. C’erano molte cose che Rigel le aveva insegnato. Il cavaliere di altare e ora Gold Saint del cancro le aveva detto in uno degli addestramenti da lui supervisionati che ogni essere vivente era costituito di tre parti: fisico, mente e anima. Distruggere una delle tre portava irrimediabilmente alla distruzione delle altre due, se c’era uno sbilanciamento in una, le altre ne avrebbero risentito. Quello di cui loro due, fra molti altri erano dotati, era un potere pericoloso, molto più insidioso di altri, ma di vitale importanza in certi fondamentali casi. Quello che lo distingueva però era che non poteva essere parato, se non da altri custodi di anime.

    Doveva usarlo. Doveva veicolare della forza spirituale contro quel mostro. Attaccare il suo corpo non aveva avuto molto effetto. La sua mente alveare e corrotta era impossibile da toccare. Il mostro aveva dato prova di poter fare lo stesso contro di loro. Danneggiava i loro corpi, giocava con le loro menti. Non aveva dato prova di essere un custode di anime, non aveva ancora toccato la profondità di nessuno di loro.

    Le mani si mossero lente e fluide nell’aria mentre disegnavano la costellazione dell’uccello del paradiso; una costellazione piccola e semplice, bistrattata da tutti, persino quelli che le avevano dato il nome. Stavolta però si sarebbero ricordati di Apus, si sarebbero ricordati di quanto male può fare una cosina così insignificante se colpisce nel punto giusto.

    Attese, inglobando sempre più cosmo dentro di se’. Aspettava l’attimo perfetto nella quale il corrotto sarebbe stato abbastanza distratto da Isabella e David da non accorgersi nemmeno di lei. Non vedeva bene, non serviva in verità. Avrebbe lasciato che le stelle tintinnassero per lei indicandole l’attimo giusto.

    Bing.

    - GIUDIZIO DI ALKONOST –
    Gridare il nome della sua tecnica più potente l’aiutava a veicolarne le energie, a far esplodere il cosmo attorno a se, a diventare solo il guscio rotto dell’enorme volatile violaceo che ascendeva da lei, usava il suo pugno esteso come rampa di lancio e si scagliava contro il nemico con furia cieca gridando il suo urlo di battaglia.

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    Il grande rapace spirituale avrebbe cercato di colpire in pieno il corrotto, trapassargli il petto, come se nemmeno esistesse, per andare a dilaniare l’anima con il suo becco e a creare confusione in essa con le sue maestose ali.


    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Diverse ferite ed un nuovo profondo solco al fianco (oramai li colleziono nd Odette) Decisametne affaticata per l'energia vitale prosciugatale e per la quantità di cosmo che sta bruciando in quel nuovo e più potente colpo.

    Stato Mentale:
    Devo tenere al sicuro gli altri, ma quel pazzo di Carlos va a suicidarsi! Ma porca t***a, guarda se devo fare questa cosa adesso...

    Stato armatura:
    Indossata, ma mancano gli schinieri. Rotta e scheggiata in più punti, con diversi profondi solchi a minarne la stabilità.
    Riassunto Azioni:
    Cerca di difendere se stessa e gli altri dai colpi del mostro, ma con il divario di energie è impossibile e subisce appieno entrambi gli attachi. Cerca di difendersi dalle artigliati usando l'armatura che si rompe ancora di più.
    Visto il tentato suicidio del compagno capisce che forse è ora che tiri fuori l'arma più potente a sua disposizione e quindi lancia la tencnica Giudizio di Alkonost, a piena potenza in faccia alla corrotta.

    4) Giudizio di Alkonost: Offensiva - Fisica e Spirituale
    Odette usa il braccio con la mano piatta e le dita unite per disegnare la costellazione dell'uccello del paradiso.
    Raggiunto il punto quattro chiude la mano formando un pugno che ritrae verso di se caricando il colpo. Questo conta come la quinta stessa di Apus. Il pugno viene poi scagliato contro l'avversario a distanza lontana o ravvicinata che sia. Se è a distanza ravvicinata e il pugno colpisce l'avversario gli effetti sono maggiori. A colpo subito i due cosmi, di apus e dell'obiettivo, risuonano parlandosi. Apus testa la solidità del cosmo avversario, con le sue credenze e volontà. Questo effetto spirituale colpisce l'anima dell'obiettivo arrecandogli danni psicologici che possono arrivare anche a mettere chi la subisce in una profonda crisi esistenziale. Solo una persona fermamente fiduciosa nelle proprie possibilità potrebbe riuscire ad uscire indenne da questo colpo. Uno spirito non temprato subendo il colpo può degenerare in una spirale di depressione dove mette in dubbio ogni sua conoscenza e capacità.




    CITAZIONE
    Come introdotto nella traccia, c'è un altro potere che puoi usare per un vantaggio tattico sul corrotto. A volte abilità che non possono essere parate sono abbastanza utili in battaglia. Non aver paura di dare fondo al cosmo (quando serve)

    Esatto, La parola chiave è il quando serve. Nel round prima non aveva molto senso usarlo nell'ottica di odette, ora che uno di loro ha deliberatamente deciso di uccidersi è il caso di tirare fuori l'artiglieria pesante.
     
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    III



    Il tuo attacco spirituale, forte della volontà di salvare e proteggere i più deboli, attraversa il corrotto da parte a parte – lo vedi dimenarsi nel dolore, accasciarsi e cercare di riprendersi. Ti guarda con odio, un odio di chi non potrà mai dimenticare, Odette.

    Una cortina di fumo nero si forma attorno all’intera figura del nemico e una cupola altrettanto nera si estende progressivamente verso di voi. Copre i metri che vi separano con facilità disarmante, prima di avvolgere te e tutti i presenti in un continuo indebolimento fisico. Stai cedendo, e manca poco al tuo svenimento – così come quello di tutta la squadra.
    E, nella disperazione, una voce.

    Sono gli altri soldati del Grande Tempio, corsi nel momento dell’arrivo dei civili che hai portato in salvo, che hanno indicato loro l’esatta posizione. Vedi una pioggia di cosmo variopinta abbattersi sul nemico, così come le urla dei tuoi compagni – scesi a prendere te e gli altri. Perché sì, i Saint proteggono la gente di Atene, ma la gente di Atene sa come ripagare i Cavalieri per i loro sacrifici. Tutte le tue speranze sono state raccolte da quelli che – adesso – hanno messo in fuga il corrotto.
    Monica corre verso Carlos, facendosi aiutare da due uomini più grossi per caricarlo sul mezzo di trasporto, ha subito davvero tanti danni in battaglia e – nel tornare a casa – ti tende la mano, vuole stringerla, assicurarsi della tua incolumità. Gli altri si accertano delle condizioni di David e Isabella, prima di avvicinarsi a te.

    L’armatura di Apus è quasi inutilizzabile, te ne rendi conto solo mentre sei in cammino verso casa. Crepe simili a venature sono disegnate sui pezzi “integri” – si fa per dire – e molte zone di protezione importanti sono totalmente assenti. L’unica cosa che sembra intatta è il diadema, il quale porta ancora il frammento del gioiello. Tutti la considerano una vittoria, e dovresti farlo anche tu.

    ---



    Passano un paio di giorni in cui ti rimetti completamente e – finalmente – ti rechi in direzione della prima casa – nella speranza di poter incrociare il Cavaliere d’Oro dell’Ariete, ma i soldati alla base della grande scalinata ti avvertono che Ys è assente per cause che nessuno ancora conosce. Non è stato visto di recente, così ti indirizzano verso una nuova traccia, il luogo chiamato “Jamir”. Forse potrebbe trovarsi lì.

    Quando provi a chiedere di più sull’ubicazione di quelle montagne, ti viene consegnata una mappa ed un foglio con tutte le direttive da seguire per non perderti. Puoi notare quanto sia distante, dovrai impiegare diversi giorni per arrivare lì. Devi prendere tutte le precauzioni necessarie poiché l’armatura non può più essere utilizzata in battaglia – eppure, Apus non è sparito, è rimasto connesso al tuo cosmo e ciò ti permette di usare tutti i tuoi poteri. Dopo i preparativi, l’indomani, ti metti in viaggio verso la tua meta. I tuoi compagni sono tutti lì a salutarti, ad augurarti buona fortuna.

    Il primo giorno, al di fuori della zona di protezione concessa dalla base, incontri il primo branco di corrotti. Sono sei, ma sono decisamente più deboli di quello che ha ridotto in pezzi la tua armatura.

    Il secondo giorno, a metà del tuo viaggio, incontri un corrotto più potente, che mette alla prova le tue abilità.

    Il terzo giorno, invece, non incontri nessun corrotto – finalmente puoi riposare bene, prima di riprendere il cammino. Quasi al termine del tuo viaggio, ascolti la voce di una bambina; sta urlando di paura, e senti dei passi correre in tua direzione. Ti salta addosso, pregandoti di aiutarla

    Ti prego, ti prego! Vuole farmi del male!

    Un nuovo mostro esce urlando dalla foresta. In tempo addietro doveva esser stato qualcosa simile a un lupo, o un cane, orrendamente sfigurato dalla piaga che affligge il mondo. Annusa l'aria per un secondo, prima di gettarsi in corsa verso di voi - allunga gli artigli e spalanca le fauci, vuole azzannarvi.


    __________________________

    Gestisci i nemici dei primi giorni in maniera autoconclusiva, il nemico alla fine - invece - è ad Energia Verde, tenta di azzannarti all'altezza della pancia. La bambina si è posizionata dietro di te.
     
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    nome Odette | energia Verde | casta Saint di Athena
    cloth Bronze Apus [III]

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    With Pain comes Strength
    -3-



    Il lamento del corrotto fu straziante, così alto per tono e volume che sembrò far esplodere le orecchie dei presenti. Gli occhi infiammati della fu donna erano puntati su colei sola che aveva causato un tal dolore proprio lì dove non poteva difendersi. Quello sguardo pesava, più di ogni altra cosa al mondo, come se solo guardandola potesse schiacciarla come una scarpa schiaccia una formica. Quell’odio che trasudava dal suo sguardo manifestava anche la piena attenzione di quel mostro che, ancora in piedi, non si sarebbe fatto scappare quei pasti. No, non era sconfitto, anzi, il potere di quei quattro marmocchi non era lontanamente abbastanza per farla fuori o farla battere in ritirata. Disprezzo era ciò che la creatura provava per loro quattro, fame e odio; soprattutto per lei che con un solo colpo era riuscita a fare quel male profondo ed incurabile.

    Di tutta risposta l'enorme rimasuglio di donna fece come per esplodere, mentre una nebbia nera si diffondeva sul campo di battaglia avvolgendoli tutti nel suo tetro abbraccio; una cortina fumogena utilissima per scappare o per nascondersi alla vista. La corrotta però non aveva alcuna intenzione di scappare: era lì, ferma, mentre manipolava con il suo cosmo corrotto quella nebbia lasciando che perforasse ogni difesa delle sue prede, lasciando che essi la respirassero e che si immergessero in essa sempre più in profondità. Non scappava, non aveva motivo di farlo perché ben sapeva quali malefici effetti causava il suo colpo, sapeva che ben presto avrebbe avuto dei pasti inermi da consumare vivi.

    La vista già offuscata della saint di Apus percepì tardi l’arrivo impellente di quella fitta nebbia, quando essa aveva già raggiunto alcuni dei suoi compagni, solo pallide sfumature di colore.
    - Allontanatevi!- cercò di richiamarli all’ordine, ma la coltre già li aveva inghiottiti tutti, nascondendoli ai cinque sensi. I loro cosmi ancora brillavano nell’oscurità, ma le loro fiamme sembravano farsi sempre più spente, come candele alla fine dello stoppino.
    La cupola d’ombra crebbe ancora e ancora fino ad inghiottire anche il cieco uccello del paradiso. Immediatamente la coltre sembra scaldarsi o meglio rendersi afosa come le fin troppo calde estati. Sembrava di essere all’una sotto il sole cocente, nel deserto e senza un riparo. Non era il caldo, non c’era davvero uno sbalzo di temperatura, ma le forze sembravano venire meno molto rapidamente, i muscoli sembravano afflosciarsi per mancanza di risorse.
    Il ginocchio cadde a terra, le mani si lasciarono andare, i muscoli si rilassavano. Il respiro si velocizzava, come se inglobare aria aiutasse a rimettere in moto quel corpo esausto. Nulla da fare. Era come essere in alta montagna, dove ogni minimo movimento costava una fatica immane, dove non c’era ossigeno da bruciare. Entrambi i palmi toccarono il freddo asfalto in un ultimo disperato tentativo di sorreggere il corpo troppo stanco per agire.

    Quindi, quando tutto sembrava star per finire, una pioggia di cosmo si abbatté sulla cupola. Frecce variopinte giunsero dal cielo, raffiche dalla terra e altri attacchi non meglio identificabili dispersero la cupola. In meno che non si potesse dire il corrotto era in fuga e sia allontana rapido sulle sue zampe ticchettando appena sul terreno. Passi familiari accorsero lungo il campo di battaglia, voci conosciute si udivano sempre più vicine. Più il corrotto si allontanava rapido più allentava il suo potere sui suoi pasti e più i loro cosmi tornavano a bruciare energie rinvigorendo appena i loro corpi esausti.

    La santa di Apus volse appena la testa, notando come la nebbia che affliggeva le retine sembrava schiarirsi garantendo una visione migliore, come l’offuscamento dato dagli occhi stanchi venisse lavato via la mattina. Tra le prime forme visibili poté riconoscere due omoni muscolosi che sollevavano di peso Carlos portandolo verso quello che era un camion di soccorso. Poco più in là Monica assisteva Isabella e ancora più distante altri salvatori aiutavano David a rimettersi in piedi. Erano stati salvati. Gli altri guerrieri erano giunti dal Grande Tempio di corsa per assisterli nella battaglia.
    Non sembravano esserci altri saint fra loro, non indossavano nessuna delle sacre armature, erano solo tanti uomini dotati di cosmo. Erano accorsi in loro aiuto, senza esitare, perché al Grande Tempio si era tutti una sola e grande famiglia e si sa, famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

    I giorni di recupero erano lunghi. Troppo lunghi. Nonostante il cosmo aiutasse in maniera non indifferente la rigenerazione dei tessuti lesi, e ancora meglio guarivano i prescelti nati sotto stelle legate alla cura, ci vollero un paio di giorni prima che la protetta di apus fosse di nuovo in piedi. Poteva leggere, esprimersi, vagare a suo piacimento, ma la maggior parte del tempo era sempre dedicata ad una sorta di meditazione compiuta davanti al totem dell'armatura. Apus era solo una versione più spezzata di lei. Si reggeva in piedi a stento, i vari pezzi erano tenuti assieme dalla sola forza cosmica che impregnava le vestigia. Molti frammenti, soprattutto i più piccoli, mancavano all'appello. L'uccello sembrava ansimare pesantemente come se il solo esistere fosse un peso fin troppo gravoso. Il suo colore, una volta roseo brillante, sembrava quasi essere ingrigito, come un sorriso spento dalle avversità. Odette seduta davanti al totem, lasciava fluire liberamente il proprio cosmo. Entrando in armonia con esso, provò a dirigerlo all’armatura come cercando di donarle la propria linfa vitale. Tentò di assemblare quei frammenti che giacevano a terra, sperando che come una colla il suo cosmo potesse aiutare a rinforzare la cloth, almeno per il momento, almeno aiutarla a sopravvivere.

    Vederla così grigia e spenta era un tuffo al cuore. Aveva vissuto tante avventure con lei, nel bene e soprattutto nel male. L’armatura, per quanto silente, era una compagna di vita, un’amica, una sorella, una madre. Seppur muta era sempre stata presente. Aveva avvolto il suo corpo in caso di necessità. Aveva sostato accanto a lei nelle ore dei dubbi. Aveva sostenuto le sue lacrime e le membra stanche. Aveva custodito il suo riposo. Sebbene fosse saint da meno di un anno, Odette sentiva come lei e la cloth fossero legate da sempre da un invisibile filo rosso del destino per volontà delle stelle. Era come aver trovato l’anima gemella ed ora era come esserle accanto sul letto di morte. Quella non era solo un’armatura. Non era solo un pezzo di metallo. Era una parte di se’. Era quell’animo guerriero che voleva speranza. Quel sorriso che resisteva al terrore. Quegli occhi che ancora cercano il bene nell’umanità.

    Dall’altra parte, in carne ed ossa c’era invece un animo fragile, spento e triste. Un animo che ha perso prima gli amici, poi la famiglia e infine il proprio eroe. Un animo reso sempre più debole dalla corruzione, quasi rovinato dal peso della vita.

    Odette aveva bisogno della sua cloth, senza era come essere spogli. Aveva bisogno di una difesa, di qualcuno che ancora potesse proteggerla dal mondo esterno, di speranza e di felicità. Dall’altro canto l’armatura aveva bisogno di un prescelto, di un qualcuno disposto a diventare un eroe. Qualcuno che non avendo niente, non ha più niente da perdere.
    Avevano bisogno l’una dell’altra. Erano due facce della stessa medaglia, i due lati separati del cuore umano.

    Non ci volle molto a capire che non avrebbe mai raggiunto il risultato che sperava di ottenere. Non poteva rinsaldare qualcosa di così distrutto. Solo due persone potevano, stando alle leggende, solo due avevano le conoscenze necessarie per svolgere tale lavoro. Il bronze saint dello scultore, la cui armatura non aveva ancora trovato un legittimo proprietario, e il sacro ariete, il gold saint della prima casa. Ys, così si chiamava, mancava dal Grande Tempio da sempre, ma da qualche parte nel mondo c'era un custode della prima casa. Doveva trovarlo.
    Apus non era in condizione di proteggere il suo corpo né di sostenere il suo cosmo. Da quando era tornata a combattere dopo la strage con Sanya, aveva sentito qualcosa di nuovo, forte anche delle parole del leone d’oro. Si sentiva più forte, forse lo era davvero, difficile a dirsi, ma di certo sentiva Apus come fare fatica, come se Sanya avesse fatto qualcosa alle vestigia dell'uccello del paradiso. Doveva sapere se era vero, doveva chiedere ad ariete di rimettere in sesto la cloth. Senza, non aveva la sicurezza di essere utile.

    Arrivò quindi il giorno della completa dimissione dall’ospedale. Odette richiamò la cloth, lasciando che essa si chiudesse nella protezione del pesante scrigno di bronzo. Vedere lo scrigno chiudersi attorno alla cloth era come avere un uccello che torna al nido. Apus sarebbe stato più al sicuro e più protetto. Di certo nessuno avrebbe potuto estrarlo da lì se l’armatura stessa non avesse voluto uscirvi.

    Con la pandora’s box in spalla si incamminò verso le case dello zodiaco, sperando di poter vedere l'ariete d'oro, o proseguendo, tentare di chiedere consiglio a chi di dovere. Salì le poche scale che innalzavano la prima casa dello zodiaco dal suolo, ma qui venne fermata da due guardie, due soldati di ariete. I due, in armature di giochi di maglia, dialogarono con la saint per sapere il motivo di tale visita. Odette spiegò loro la situazione brevemente, richiedendo, se possibile, un incontro con il riparatore. I due soldati si guardarono fra loro, poi uno dei due sparì dentro la casa. Quello rimasto raccontò alla santa del fatto che Ys non era presente e non lo sarebbe stato per un lungo indefinito tempo. Si trovava nel Jamir, rivelò, là sulle aspre montagne dover erano nate le cloth.

    Jamir, da quanto tempo non sentiva quel nome. Ricordava il freddo e le nubi basse. Gli alberi sopravvivevano a stento sui picchi più alti e con loro, a stento, sopravviveva il campo di guerrieri lemuriani. Erano pochi, ma ancora custodivano saggezze antiche e ancora addestravano futuri guerrieri e cavalieri. La lotta contro i corrotti era giornaliera, esattamente come lo era per il Grande Tempio e sebbene il posto fosse ormai stato saccheggiato della sua conoscenza era comunque importante difendere quell’antico e sacro luogo. La catena montuosa del Jamir era il luogo dove Rigel l’aveva portata ad addestrarsi quando ancora la voce sprigionava il suo cosmo. Con lei altri guerrieri cantavano e da loro Odette aveva appreso tanto.

    Il ricordo di tale luogo offuscò appena la sua cognizione. Il soldato spiegava dove fosse, ma Odette già sapeva. Il secondo soldato ricomparve sulla soglia con una mappa dettagliata. Se voleva davvero raggiungere Ariete, non c’erano molte altre possibilità di incontrarlo dopotutto, doveva recarsi fino a là.

    Grecia-Cina. C'erano tipo quattro giorni di viaggio andando spediti e alimentati dal cosmo. Avrebbe volentieri preso una macchina, ma ci avrebbe messo ancora di più, la benzina non avrebbe retto quel lungo viaggio e non c'erano conferme sullo stato delle strade. Poteva chiedere un passaggio a Rigel o agli altri saint custodi dei teletrasporti, ma nessuno poteva stabilire quanto ci avrebbe messo in Jamir e se fosse stato possibile riparare l'armatura. Non avrebbe avuto comunque modo di tornare al Grande Tempio, se non facendosi dare un altro passaggio o facendosela a piedi. Di certo non era simpatico scomodare i cavalieri per una cosa così banale, soprattutto con i tempi che correvano tutti avevano ben altro da fare che stare dietro a lei.

    I galli nelle campagne antistanti la valle non avevano ancora cantato che Odette era già in piedi, pronta ad affrontare un nuovo giorno. Aveva da prepararsi al meglio per il lungo viaggio e di certo doveva organizzarsi con le provviste. C'erano solo pochi giorni di viaggio ma non poteva ne portare troppo, il che l'avrebbe appesantita né troppo poco il che l'avrebbe messa solo in difficoltà. Radunò del cibo semplice, una pagnotta, del formaggio e insaccati secchi e Monica si fece trovare con una borsa piena di strumenti di primo soccorso in caso avesse incontrato qualche corrotto potente.
    Partì appena possibile con lo scrigno in spalla e una piccola saccoccia con le provviste indossata attorno alla cintura.

    La giornata non era delle migliori con nuvole che minacciavano l'ira di Zeus. Il meteorologo aveva detto che era più probabile a parer suo che si mettesse a grandinare, ma non me era troppo sicuro dato l'afflusso di cosmo che influenzava il meteo.
    Viaggiò per ore senza incontrare nessuno se non alberi e sterpaglie, colline e città diroccate. Erano circa le tre di pomeriggio, forse, quando una alta torre attirò l'attenzione della saint. Era apparentemente in rovina ma da essa pendeva ancora un ampio stendardo seminuovo per lei facilmente riconoscibile. Su di esso infatti capeggiava la Nike di samotracia nella sua rappresentazione tipica del bastone impugnato dalla dea Athena e da tutte le sue incarnazioni. Il simil-uccello dorato era da sempre simbolo dei saint ed in quei giorni bui più che mai simbolo di speranza. Quella torre era di sicuro abitata e sorvegliata da una o più vedette dotate di cosmo telepatico, che informavano la base dei cambiamenti nel territorio, dei movimenti della corruzione e dell'avvistamento dei superstiti. Era probabile che loro l'avessero già avvistata, ma la saint espanse comunque il suo cosmo in direzione della torre a mo’ di saluto. La risposta fu abbastanza rapida e secca: sali.

    Chiunque avesse spedito quel rapido messaggio telepatico sembrava agitato e terribilmente felice di vedere uno scrigno di pandora. Poteva quindi esserci un pericolo imminente in vista. La porta per la torre era seminascosta nel terreno e bisognava prima scendere per poter poi salire. Odette ascese la torre con rapidità mentre risvegliava nuovamente il cosmo. In cima trovò una situazione tranquilla con due persone dedite al loro lavoro. Odette chiese informazioni sul motivo di quel messaggio affrettato e i due risposero che dall'altra parte della collina stava marciando un gruppo più o meno folto di corrotti. Un gruppo di avanscoperta probabilmente, ma poteva dare problemi imbattercisi impreparati. Offrirono quindi alla saint un pasto e del ristoro temporaneo mentre la pesantezza sul cuore iniziava a farsi sentire. Gli occhi delle vedette avevano letto correttamente i segni ed un’ora e mezza più tardi un folto gruppo di quelli che parevano uomini uccello si manifestò volando dal retro della collina adiacente. Erano circa una decina e non sembravano troppo forti, anzi sembravano pulcini senza piume appena usciti dal nido.

    Il gruppo di volatili si divise ulteriormente, alcuni volatili andarono verso nord, altri verso est e sono poco più che una manciata volarono verso la torre. I loro occhi giovani e pronti erano penetranti, come quelli delle aquile delle vette più alte. Non sarebbe stato difficile per loro trovare prede da mordicchiare con il loro affilato becco. Avvicinandosi sempre di più alla torre si trovarono in difficoltà quando un improvviso e misterioso vento contrario sembrò nascere dal nulla sotto le loro ali e cominciò a sballottarli da una parte e dall’altra, contro il paesaggio e contro loro stessi.

    Gli abitanti della torre erano scesi in campo facendo il primo passo contro quei futuri aggressori: i loro colpi cosmici saettavano rapidi contro i corrotti che appena nati vedevano già la loro vita sfuggirgli tra le ali.
    Dopo neanche dieci minuti le piume grigiastre coloravano il suolo come neve marcia.

    Aspettarono ancora qualche minuto per vedere se a quella minuscola orda fosse seguita una nuova avanzata, ma non arrivò mai nulla, nemmeno un segno vago di una nuova possibile ondata. Odette riprese quindi il cammino.

    Il secondo giorno sorse più caldo e soleggiato di quello prima. Il cielo si era aperto o forse aveva passato ormai da un pezzo la coltre di nubi temporalesche. Avanzò a passo rapido e sicuro calcando Chilometri e Chilometri senza mai fermarsi. I bagagli non pesavano nemmeno sul suo corpo, solo le scarpe non parevano troppo felici di essere così usate.

    Man mano che avanzava il terreno si faceva sempre più brullo nonostante le montagne fossero ancora distanti. Secondo la mappa prima di avvistarle avrebbe dovuto attraversare un deserto e quello bastava e avanzava a giustificare il cambiamento di territorio.

    All'imbrunire quando il cielo iniziava a punteggiarsi di stelle Odette captò qualcosa alle sue spalle. Era una sensazione pressante, tipica dei corrotti, ma era così forte e così vicino; era come avere una lama alla gola. Non c'era prima, ne era sicura, ma adesso voltandosi poteva ricollegare quel sentore ad una specie di pozzanghera nera come la pece, una pozza che pareva bollire e grumi si alzavano in volo come una bolla. Essa cambiava costantemente forma e grandezza, allungandosi e accorciandosi come una pasta lavorata da una massaia italiana. Tranne un punto che rimaneva sempre tale. All’interno della parte mobile c’era un‘impronta, quella di Odette, che rimaneva sempre stabile e nemmeno sfiorata dai cambiamenti che le accadevano attorno. Come un ditto in pochissimi secondi la sostanza appiccicosa e riflettente aveva preso la forma della saint. Davanti ad Odette c'era una nuova Odette, interamente nera e ghignante, con tutta l'intenzione di ingaggiare battaglia. Così fu, lo scontro era inevitabile. La sostanza non si sforzava neanche di schivare i colpi. Calci e pugni trapassavano la gelatina che subendoli si spostava, per poi tornare alla forma originale. Era come affrontare l'acqua o uno di quegli schifosissimi slime.

    L’Odette nera imitava le sue movenze sferrando ora colpi fisici diretti e ora lanciando parte del suo materiale gommoso. Non poteva riprodurre i colpi cosmici che Odette aveva iniziato a scagliare da lontano, ma quelle bombe gelatina erano anche più spaventose. Come mostri alieni, tutti i colpi mancati cominciavano a muoversi per tornare al corpo principale. I colpi invece andati a segno si espandevano per quanto possibile sull’ospite generando oltre al dolore bruciante come acido, una sensazione di freddo e immobilità. Era come affrontare il latex vivente dei peggiori hentai giapponesi. Almeno non poteva replicare attacchi tentacolari visto che la vera Odette non ne disponeva.

    La saint iniziò a correre per allontanarsi dalla bestia. L’altra che copiava ogni sua mossa a suo modo le veniva dietro copiando la sua andatura e la sua velocità. Non era possibile liberarsene, non così almeno. L’idea di Odette che aveva visto in qualche film dimenticato era quella di non combattere, la creatura che la copiava avrebbe dovuto fare la stessa cosa, ma l’idea non funzionò. Con somma sorpresa la creatura cominciò ad evolversi ed usare mosse già viste contro la fuggitiva. Si inseguirono per un po’ scagliandosi colpi vicendevolmente tra difese schivate e nascondigli momentanei che fornivano coperture improvvisate.
    Quindi l’epifania: Tra tutte le mosse copiate dalla sostanza una mancava: non attaccava mai con il calcio sinistro. Poteva essere che il fulcro di quello strano corrotto fosse proprio lì?
    Odette iniziò a farci più caso ed in effetti la creatura non solo non attaccava con quella parte del corpo, ma tendeva ad alzarla il meno possibile, come a preservare il piede, o forse, l’impronta. Era già strano prima che la forma del suo piede, quella che era rimasta impressa nella pozza, non venisse lambita dai cambiamenti, ma possibile che quella stessa impronta fosse il fulcro di quella creatura? Che fosse il suo cuore o cervello? Magari era proprio l’impronta che gli consentiva di copiare e agire come la creatura che l’aveva calpestata.
    Quello poteva spiegare anche quel sentore di corruzione apparso dal nulla: il corrotto aveva preso ad esistere nel momento stesso in cui Odette l’aveva calpestato per sbaglio. Intelligente, pensò.

    Fatta quella scoperta sensazionale, rimaneva però da sconfiggere la creatura, cosa non troppo facile dato che i muscoli andavano via via a bloccarsi man mano che la crosta nerastra si applicava al suo corpo. Non faceva troppo male, il bruciore diminuiva con il tempo lasciando un freddo pizzicorino e l’irrigidimento che rendeva difficoltosi i movimenti.
    Capito di dover distruggere il cuore della creatura, la sua stessa impronta, Odette tornò alla carica e con una folata di vento ben piazzata riuscì a fare lo sgambetto alla falsa sé, facendola cadere e dandole tutto il tempo di attaccare quel piede su cui ancora c’era disegnata l’impronta della scarpa.
    Il corrotto cercò di modificarsi per andare a coprire l’orma, ma con un po’ di fatica Odette riuscì a piazzargli un ultimo e più forte colpo cosmico che, penetrando la mutazione, andò a frantumare l’orma. Il corrotto cadde al suolo come un gavettone d’acqua e il suo resto melmoso si sparse tutto attorno come fango che si asciuga al sole.
    Assicuratasi che la creatura fosse morta, Odette riprese il cammino con la consapevolezza di dover fare più attenzione a dove metteva i piedi. Avrebbe fatto qualche chilometro prima di metter giù campo per dormire, doveva almeno mettere un po’ di terreno fra se’ e il mostro in caso qualcos’altro ci camminasse sopra.

    Il terzo giorno passò fin troppo lento e calmo, anzi proprio la non presenza di alcun nemico era ciò che metteva in allarme la saint. Era così surreale essere così lontani da casa, in mezzo al territorio inesplorato ed essere così tranquilli. Era come essere una formica che passa inosservata nelle terre degli umani consapevole del fatto che essi potevano arrivare e schiacciarti in ogni momento. Ogni macchia nera del corrotto del giorno prima si era seccata ed era caduta a terra come pelle cotta al sole, dura e ruvida come creta.
    Passò la mattina, fu sera e fu di nuovo mattina.

    Risvegliatasi dopo un sonno fin troppo tranquillo la saint si rimise in viaggio. Il terreno dapprima sabbioso e desertico stava andando a salire trasformando la fine del deserto roccioso in montagne. Non doveva mancare poi molto alla vetta che tocca le nuvole e quindi alla città nascosta. I raggi del sole erano caldi, ma non abbastanza da allontanare il freddo della catena montuosa. Sulle cime era sempre inverno e copiosa cadeva la neve anche d’estate. Il vento ruggiva come non mai e toglieva ogni particella di ossigeno; la pressione che premeva sulle spalle si alleggeriva man mano che si saliva di quota.
    Aveva ancora un bel tratto da fare per raggiungere le nubi, ma non doveva mancare ancora molto alla fine del viaggio. Già si pregustava l’idea di ascendere alla torre dove si diceva lavorasse Ariete e i suoi apprendisti. Non ricordava bene di aver mai visto una costruzione simile nel suo apprendistato in Jamir, ma nei duri allenamenti non aveva avuto molto tempo per prestare attenzione all’ambiente circostante, soprattutto coi frequenti attacchi dei corrotti.

    La salita si faceva man mano più impervia e i sentieri si facevano nascosti in mezzo la natura sempre più rada. Intoccati da nessuno i percorsi erano stati celati alla vista, le piogge e le nevi avevano chiuso alcuni passaggi e le frane provocate dai mostri o dalla natura rendevano più ardo ascendere al cielo.

    Forse era la mancanza di persone con cui parlare o la carenza di ossigeno che iniziava a farsi sentire, ma tutto quel viaggio sembrava essere metaforico per quella mente lasciata a se stessa.
    Come Dante che affronta i gironi dell’inferno per uscire e riveder le stelle, la sua anima aveva vagliato a lungo sul mondo carico di sofferenza. Da quando aveva preso il velo di Athena il mondo era cambiato nuovamente e si era fatto più luminoso, con la stessa speranza delle anime in purgatorio di essere salvate da dio. Era un cammino lungo e difficile, fatto di colpe da espiare per l’une e da corrotti da debellare per l’altra, ma entrambi sarebbero usciti prima o poi a riveder le stelle.
    Quelle stesse stelle da cui arrivava la loro forza, quella rosa celeste composta dai santi più vicini a dio… ecco perché i cavalieri erano anche chiamati saints!

    Il fiume solitario di pensieri era inarrestabile, ma si scontrò con un urlo sconvolto ed un ululato che come una diga riportarono in riga i pensieri.
    Da uno dei boschi montani che costeggiavano il crinale, uscì correndo quella che sembrava una bambina piccola e terrorizzata. Filava via dal bosco con le sue gambette corte ed gridava spaventata. Subito dietro a lei balzò fuori dalle frasche un enorme lupo-istrice corrotto.
    La belva non rallentò la sua corsa vedendo come ora la sua preda avesse trovato rifugio, ma anzi la sua velocità aumentò e la bava ai lati delle fauci aperte sembrava colare a rallentatore. Solo un lupino, ne aveva affrontati già un paio, ma non poteva sottovalutarlo così velocemente. I suoi fratelli già le avevano dato filo da torcere più volte ed ora era anche senza armatura. L’uccello del paradiso che l’aveva sempre protetta ora giaceva addormentato nel pesante scrigno alle sue spalle. Era così ferito, non poteva chiedere il suo aiuto, come non lo aveva chiesto contro la sua ombra due giorni prima.

    Fece cenno alla bambina di starle dietro, ma non troppo vicino: voleva avere la mobilità necessaria senza farle del male.
    Il lupo sembrava aver cambiato bersaglio: i suoi occhi ora puntavano alla saint che suo malgrado si era frapposta fra lui e la bambina.

    C’era una cosa che aveva capito in quell’anno da saint: tutti adoravano morderle, graffiarle o comunque attaccare la sua pancia. Quel lupo non era da meno. Allargò le gambe e i piedi per piazzarsi per bene a terra, come un ricevitore nel football che è pronto a prendere la palla lanciata dal compagno. Preparò le mani davanti a se’ all’altezza della pancia pronta a parare l’arrivo della palla di pelo.
    Richiamò il cosmo, sembrava più facile già che era più vicina alla volta celeste. Lo canalizzò nelle sue mani e quindi fece partire da esse una forte corrente d’aria che spingeva contro il lupo. Con sempre più forza Odette lasciò fluire il suo cosmo fino a far rallentare il lupo rendendogli impossibile l’avvicinarsi a morderla.

    Odette ingrandì il flusso fino a farlo diventare una colonna orizzontale, piena, grossa poco meno di un metro di diametro. Cercò di tenerla direzionata sul muso della bestia in modo da infastidirla, renderle difficile l’avvicinarsi e soprattutto il tenere gli occhi aperti contro la corrente.
    A questa difesa divenuta diversivo sarebbe susseguito il contrattacco: otto lame taglienti, sempre di vento, avrebbero solcato la corrente come surfisti sulle onde, accelerate dalla stessa, con lo scopo di andare a scagliarsi contro la creatura lupesca con la speranza di tagliare più che qualche ciuffo di pelo ispido.
    Le lame erano a forma di mezzaluna, grosse appena una decina di centimetri l’una, erano fatte scorrere su parti diverse della corrente. Una alla destra una a sinistra una sopra e una sotto, le altre quattro correvano lungo le ipotetiche diagonali del quadrato circoscritto a quella corrente ventosa. Le otto non erano perfettamente allineate, ma come una spirale si susseguivano l’un l’altra a poca distanza creando forse ancor più confusione nel nemico che sperava di colpire.




    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Buona salute.

    Stato Mentale:
    La solitudine perchè... oh ehy che bello... un altro lupo... maaaaa la bambina da dove sbuca?

    Stato armatura:
    Quasi totalmente distrutta & non indossata
    Riassunto Azioni:
    Racconto dei giorni in maniera veramente sintetica, altrimenti sto post non arrivava entro la fine dell'anno.
    Il quarto giorno arriviamo a scalare il monte fino all'incontro con la bambina ed il lupo. Odette crea una corrente di vento per tenere lontana la creatura [Difesa], per poi dirigerlo in maniera più mirata sul muso, in particolare sugli occhi in modo da distrarlo [Diversivo] mentre lancia otto lame di vento contro il lupo. [Attacco]




    Rain ti chiedo scusa per l'immenso ritardo. Mi merito che la quest finisca con l'arrivo di Odette nel Jamir dove riceve la risposta " ma veramente Ys sarebbe appena corso al santuario...
     
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    IV



    Il lupo, colto impreparato durante l'assalto, viene sbalzato via dalla tua corrente difensiva - distanziandosi di qualche metro. Nella sequenza di lame che lanci, tuttavia, si muove con scatti e segmenti quasi innaturali, subendo profonde ferite su alcune parti del corpo, ma ignorando la traiettoria di un paio delle tue creazioni elementali. La sua lingua schiocca e - con il movimento della carne, all'altezza del muso - la pelle si ritrae su sé stessa, rivelando quello che sembra il teschio animale completamente illuminato. E' una luce malsana, tetra, e puoi chiaramente percepire un cosmo di natura sbagliata. Senza smettere di muoversi, i filamenti corrotti del viso vanno a intrecciarsi sul resto del corpo, facendogli assumere un aspetto più grosso e minaccioso. Lembi di carne, su cui si erano infrante le tue lame, si ricuciono con una strana velocità - tornando a formare la massa nera che ricopriva il suo corpo prima dell'attacco. E' tornato come nuovo.



    Il lupo corre senza smettere di fissarti negli occhi



    - se occhi possono essere definiti i suoi -



    Ulula, e il suo ululato porta con sé una bordata circolare di cosmo - dello stesso colore e della stessa natura malsana della luce che pervade il teschio. All'interno di quell'ammasso di energia spettrale, puoi percepire continue urla, lamenti, strazi e implorazioni di aiuto. Gli spiriti di tutti coloro che la bestia ha ucciso sono stati rapiti e inglobati per fortificarla - usati, adesso, per ferire te. Vuole averti tra i suoi artigli, sbranarti e aggiungerti alla collezione di quelle anime.

    La bambina continua a mantenere la sua posizione, troppo impaurita per muoversi. Volevo solo.. Stringe, nelle mani, un piccolo mazzo di fiori. Inizia a implorare l'arrivo di una possibile sorella e, dopo qualche secondo, puoi sentire le voci di persone - assieme ad un'ingente percezione cosmica - provenire in direzione dal villaggio non molto lontano da dove vi trovate. Tuttavia, non è abbastanza vicino da poter sperare nell'imminente intervento. No, ci sei solo tu a difesa tra l'innocente ed il male, Odette.

    Qualche secondo dopo la bordata cosmica, il lupo salta in aria, scendendo verso di voi e lanciando - nel mentre - una nuova offensiva spirituale; una riproduzione delle sue fauci si protrae dalla sua figura, dirigendosi verso di voi ad alta velocità. Eppure, puoi sentire il cosmo di Apus con te - anche se i resti dell'armatura sono chiusi nello scrigno. La costellazione ti protegge.


    __________________________

    Allora.
    Il corrotto subisce parte della tua offensiva, riportando dei danni ma curandoli grazie alla Rigenerazione, la sua seconda abilità. Nel mentre, si incazza un pochetto e, dopo un momento spooky, ti spara una bordata di spirito (ad) che serve da sfondamento per il lancio di un'emanazione spirituale a mo' di fauci (af) dall'alto. L'attacco è gestito ad una grandezza tale da poter colpire sia te che la bambina, in caso di successo.
    Come reagisci?
     
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    La bambina tremava tutta, stringendosi il più possibile nel suo mantellino, come se esso potesse proteggerla. Era solo stoffa, plastificata certo, un kway all’antica tipo, eppure era l’ultima cosa che aveva per difendersi dalle insidie della foresta, dalla sua umidità e per fuggire inosservata ai quei concittadini che ora la stavano cercando animatamente e che gridavano il suo nome per tutto il villaggio.
    Dall’alto del paradiso Apus li sentiva, li vedeva correre in lungo e in largo per il paese chiamando la bimba a gran voce, cercando sotto le panchine, nei cespugli, nei posti più disparati. Qualcuno già si preparava raccogliendo funi e imbragature temendo che qualcosa potesse averla fatta cadere in un precipizio. Le opzioni erano le più disparate e tra esse l’idea che un corrotto potesse averla afferrata mentre giocava da qualche parte non era poi così lontana dalla verità.

    La bimba strinse più forte a se’ il mazzolino di fiori e erbe trovati nel bosco. Potevano essere fiori decorativi come piante medicinali o ancora velenosi; Odette di certo non lo sapeva, ne aveva l'attenzione per curarsene: in quel momento la sua mente era rapida nello studiare quel suo inquietante avversario.
    Erano importanti per lei, altrimenti li avrebbe abbandonati nella fuga. Forse era andata nel bosco proprio per cercarli.
    Piangeva a bassa voce e pregava l'arrivo di qualcuno in particolare, la sorella. Questo poteva voler dire che c'era qualcun altro con lei nel bosco, che era sparito o aveva fatto una brutta fine, o al contrario che la bambina implorava la presenza di qualcuno più familiare piuttosto che una sconosciuta saint apparsa da chissà dove.

    Il lupo ringhiò sommesso mentre il suo corpo mutava. La pelle nera sembrava ritirarsi sulla sua faccia, come se il teschio sottostante fosse troppo grosso per lei. Il teschio apparve. Pulsava di un malsano colorito bluastro, fin troppo luminoso per essere reale. Odette si abbassò appena sulle gambe pronte allo scatto felino, mentre le braccia semirigide erano pronte anch’esse a saettare da una parte o dall’altra per colpire o parare.

    Mentre il lupo emetteva versi strani e la sua testa mutava, il suo corpo sembrava rigenerarsi: le ciocche di pelo ispido crescevano nuovamente e le ferite aperte si ricucivano come se un chirurgo invisibile lo stesse aiutando. Mentre si curava il teschio pulsava di luce e una puzza di cosmo marcio avvolgeva la bestia; se ancora era possibile chiamarlo cosmo. Era l’ultima scintilla di vita universale, quella tipica di ogni cosa vivente, eppure era corrotta, ammuffita e degradata a tal punto che era quasi difficile parlare ancora di cosmo. La corruzione faceva quell’effetto, degradava la scintilla stellare sempre di più fino a renderla un tetro lamento che minaccia il cuore dei viventi con il suo fetore.

    Ringhiava mentre alzava gli occhi dal suo corpo ristorato per posarli sulla creatura che aveva causato ciò. Odette non mosse nemmeno un muscolo per non dargli l’impressione di avere paura di lui. Ne aveva sempre, soprattutto ora che la sua fidata difesa giaceva dentro lo scrigno più debole che mai. Nonostante il tempo, era impossibile smettere di avere paura di quel male incurabile che da anni affliggeva il mondo. Era impossibile non tremare di fronte agli abomini creati da chissà cosa, abomini che tutt’ora avanzavano sul mondo dei viventi cercando di spegnere anche l’ultima resistenza. Avrebbero raggiunto anche i fondali degli oceani dove quei maledetti atlantidei si rintanavano. Avrebbero raggiunto anche Sanya e se la sarebbero divorata, quanto avrebbe pagato per essere lì ad assistere.

    Il lupo lanciò un possente ululato di rabbia, grave e intimidatorio, e con esso dal suo corpo partì quella che pareva essere un’onda bluastra che infrangeva l’aria, avanzando rapida e sicura.
    Odette non perse tempo e subito cercò di costruire una barriera avvolgendo se stessa e la bambina dietro di lei. Non sapendo bene che tipo di attacco sarebbe arrivato Odette plasmò la sua difesa di solo cosmo grezzo. La barriera semicircolare era alta tre metri e con un raggio di un metro e mezzo avanti a lei. L’aura malsana impattò con la barriera facendola sfrigolare appena, ma l’onda le passò attraverso senza subire rallentamenti, come un coltello incandescente nel burro.
    Quando l’aura impattò sul suo corpo superò anche quello senza troppa difficoltà e raggiunse le profondità più recondite dell’essere. Odette strinse i denti mentre una vampata fredda le congelava l’animo. Le sembrò di sprofondare all’inferno fin giù nel lago ghiacciato del cogito. Cadendo la metaforica rovinosa caduta sentì voci sofferenti, urla penitenti e grida di chi stava affrontando qualcosa di peggiore dell’inferno. Le parve di sentire le mani di quelle voci che tentavano di afferrarla nella sua caduta, ma lei sfuggiva a loro come il fumo. Un attacco spirituale, avrebbe dovuto capirlo prima, ma il cosmo corrotto non era mai facile da leggere.

    Il lupo non dette tregua e saltò in alto prima di sparare una seconda e più potente offensiva. Un muso lupesco dalle fauci spalancate si staccò dal vero muso e attraversò l’aria minaccioso, pronto ad ingoiare le due prede.

    Nonostante il freddo animo che rallentava il corpo Odette cercò di imbastire una nuova difesa, spirituale stavolta, ed il suo muro di puro cosmo si colorò di tante piume spirituali. Come due ali chiusesi attorno a loro, lo scudo fu abbassato per renderla una vera e propria semisfera che potesse proteggere la saint e la sua protetta da ogni lato.
    Le zanne della bestia si conficcarono nello scudo cercando di frantumarlo, ma la sua forma ad uovo gli permetteva di incassare il colpo cercando di dissipare quell’energia.

    “Sono qui. “
    Un tintinnio sordo parve arrivare dallo scrigno. L’armatura di Apus manifestava la sua presenza ancora una volta. Era come avere un uccellino poggiato sulla spalla.
    “Lo so. “
    Replicò la saint parlando alla cloth nella voce del silenzio, quella che usavano sempre per dialogare.
    “Fammi lottare. “
    “No, non ne sei in grado. Non voglio che ti rompa del tutto. “
    “Lascia almeno che ti dia la mia forza”
    La forza dell’armatura era minima e i sui pezzi distrutti, eppure il sacro uccello del paradiso non ne voleva sapere di morire dentro l’inferno del lupo.
    Sembrò vibrare appena mentre incanalava in se’ le energie della costellazione che rappresentava cedendole alla sua prescelta, avvolgendola in essa come una calda coperta atta a proteggerla dal gelido universo.

    Il morso del lupo frantumò la barriera, ma questa esplodendo in migliaia di piccoli frammenti tagliuzzò via l’immagine spiritica del lupo. Attacco e difesa si erano annullati a vicenda, ma non senza sforzo.
    Essendo il lupo ancora nella fase di volo non c’era però tempo da perdere. Nonostante la fatica, Odette disegnò con le mani le stelle della sua costellazione prendendo in prestito una nuova ondata di energia e incanalandola nel suo pugno, nel suo attacco più potente.
    Essendo che di norma un lupo non può muoversi in aria come un uccello, non c’era bisogno di distrazioni ulteriori, Odette era certa che quel suo colpo sarebbe andato a segno.

    “Insieme”
    - Giudizio di Alkonost –

    Il grande uccello violaceo nacque dall’uovo che era il suo pugno, materializzandosi sottile nell’aria mentre veloce viaggiava contro quella belva che minacciava la sua creatrice.
    Quello era per Odette il combattere insieme. Sebbene le mancasse la protezione che l’armatura donava al suo corpo, sentire il suo peso le dava infatti una sensazione di sicurezza maggiore, lottare con l’uccello del paradiso era per Odette lo scagliare contro il nemico i loro cosmi uniti, il volare con piume spirituali, il sentore del vento fra i capelli, il calore delle sue cinque stelle che ardevano nel petto allontanando anche la notte più oscura.



    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Affaticata.

    Stato Mentale:
    Dobbiamo farcela, insieme.

    Stato armatura:
    Non ndossata. Rotta in più punti.
    Riassunto Azioni:
    Odette cerca di difendersi da entrambi i colpi. Fallisce nella difesa del primo non riconoscendolo come attacco spirituale, ma rinforza la difesa e si protegge dal secondo annullandolo con la sua barriera.
    Data la posizione del lupo contrattacca immediatamente con la tecnica "giudizio di alkonost"
    Giudizio di Alkonost: Offensiva - Fisica e Spirituale
    Odette usa il braccio con la mano piatta e le dita unite per disegnare la costellazione dell'uccello del paradiso.
    Raggiunto il punto quattro chiude la mano formando un pugno che ritrae verso di se caricando il colpo. Questo conta come la quinta stessa di Apus. Il pugno viene poi scagliato contro l'avversario a distanza lontana o ravvicinata che sia. Se è a distanza ravvicinata e il pugno colpisce l'avversario gli effetti sono maggiori. A colpo subito i due cosmi, di apus e dell'obbiettivo, risuonano parlandosi. Apus testa la solidità del cosmo avversario, con le sue credenze e volontà. Questo effetto spirituale colpisce l'anima dell'obiettivo arrecandogli danni psicologici che possono arrivare anche a mettere chi la subisce in una profonda crisi esistenziale. Solo una persona fermamente fiduciosa nelle proprie possibilità potrebbe riuscire ad uscire indenne da questo colpo. Uno spirito non temprato subendo il colpo può degenerare in una spirale di depressione dove mette in dubbio ogni sua conoscenza e capacità.


     
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    V



    Il corrotto trema di fronte alla luce che il tuo cosmo - in risonanza coi pochi frammenti di Apus - emana, lungo la linea che la preparazione della tua offensiva traccia. Eppure, con la più feroce intenzione di spegnerla del tutto, si avventa verso di voi, spalancando ancora le fauci. Il tuo pugno si protrae in avanti e la luce del cosmo fluisce naturalmente sotto forma di spirito, l'uccello del paradiso si estende e vola verso l'obiettivo, travolgendo tutto quello che porta con sé.

    [ Giudizio di Alkonost ]



    Nello stesso momento, le fauci del lupo si spalancano ancora una volta, generando una versione orribile di sé stesso - composta della stessa energia che gli hai rivolto - e che si dirige verso di te. Il Giudizio di Alkonost lo investe in pieno, scaraventandolo contro una roccia - e il lupo spirituale colpisce te, nello stesso momento. A fatica, il mostro si rimette in piedi, dando l'impressione di voler continuare a combattere.

    Le voci diventano sempre più forti e - all'improvviso - avverti una pioggia di cosmo volare e dirigersi verso il nemico. L'animale corrotto guaisce, con un verso distorto, e scappa nella foresta. Quando le persone del villaggio arrivano, puoi osservare molti ragazzi che erano originariamente al grande tempio e che sono partiti per addestrarsi nelle vie del cosmo, così come molti altri uomini più grandi - evidentemente più esperti - appartenenti alla discendenza dello Jamir. La bambina si stringe ancora a te, prima di fare qualche passo verso gli altri.

    Mary, dove ti eri cacciata?
    Tua sorella ti stava cercando ovunque.
    Lo sai che non devi avventurarti nel bosco da sola!


    Lo so, ma è sempre così triste, volevo prepararle un bel mazzo di fiori. La bambina mostra quei pochi che aveva raccolto, danneggiati e strappati a causa della fuga. Ti guarda ancora, sorridendo con imbarazzo. Fortunatamente c'era la signorina! Lei mi ha salvato! Gli abitanti ti squadrano con sospetto finché non osservano lo scrigno che porti - poi assumono un'aria più distesa. Grazie per averla aiutata, abbiamo sentito le sue urla e quelle del corrotto. Ti manda il Grande Tempio? Ti chiede quello che sembra il capo, un uomo di media statura, con capelli lunghi raccolti in una coda che scende fino alle scapole - sulla sua fronte, il tratto distintivo degli abitanti del Jamir.

    Una volta spiegata la tua disavventura, ti conducono all'interno del villaggio, dove Mary - la bambina - ti prende per mano mentre saluta tutti gli altri abitanti. Ti rendi conto che il Tempio - e le zone della Grecia - non sono le uniche abitate e protette da brava gente, anche quel luogo è ben presidiato e le persone al suo interno sembrano condurre una vita pacifica, libera dalla pressione che comporta l'indossare un'armatura.

    -



    Arrivata ad una zona più tranquilla, senti una voce farsi strada da lontano - il tono è arrabbiato, nonché preoccupato. Una ragazza dai lineamenti non troppo dissimili da quelli della bambina si fa avanti - ha vari tatuaggi, nonché una divisa da costruttore che sporca in più punti.

    Non farlo mai più, mi hai fatto prendere un colpo!
    Va tutto bene, c'era un vero Saint qui a salvarmi!


    Le lentiggini del volto sono messe in risalto da una carnagione chiara e da occhi che, in quel momento ti guardano con la stessa diffidenza di uno sconosciuto. Cosa sei venuta a fare qui, Saint di Atena? Non ci serve l'aiuto del Grande Tempio, ce la possiamo cavare benissimo da soli.

    Prende per mano Mary, con irruenza - prima di voltarti le spalle e iniziare a camminare. Sai quanto mi ci vuole per aggiustare le protezioni degli altri? Non puoi farmi perdere sempre così tanto tempo. Riesci a captare questa frase dalla ragazza mentre si allontana da te.

    __________________________

    Il lupo fa un contrattacco - subisce l'interezza del colpo e infligge a te la stessa offensiva. Essendo un contrattacco, non c'è possibilità di evitarlo
    Al termine dello scontro, viene messo in fuga dagli abitanti che ti conducono al villaggio, dove incontri la sorella della bambina. Ha tutta l'aria di una che sa il fatto suo in materia di riparazioni, ma come esserne sicuri?
     
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    Fu solo quando il grande pennuto cosmico penetrò la creatura che Odette notò come nuovamente il lupo fosse passato all’attacco. Quello che le stava arrivando contro era una nuova emanazione del lupo stesso, le sue fauci, i suoi occhi, ma stavolta il colpo era molto più piccolo ed inevitabile. Quell’attacco era l’ultima risorsa del lupo, si disse, caricando il proprio attacco spirituale con ancora più forza; facendolo era certa di poter almeno indebolire ciò che avrebbe toccato il suo corpo.

    Il grande uccello sbalzò via il lupo, facendolo cadere rovinosamente a terra diversi metri più in là, vicino ad un basso cespuglio. Dall’altra parte del campo però anche la proiezione del muso del lupo aveva colpito la saint costringendola ad indietreggiare, scivolando appena sul terreno. Il dolore all’anima era lancinante, come se il lupo la stesse rosicchiando viva, mentre la sua lingua ispida la faceva rigirare su se stessa, scombussolandola e offrendola in pasto ai canini affilati.
    Odette strinse i denti cercando di non lasciarsi scappare nemmeno un gemito, ma il suo istinto, più veloce del conscio, la fece muovere fino a quasi toccare terra mentre il copro si chiudeva su se stesso per proteggere l’anima colpita.

    Il lupo tentò di rimettersi in piedi per primo, prontamente imitato dalla saint, ma invece che attaccare nuovamente il lupo fu costretto a darsi alla fuga perché una pioggia di diversi colori si abbatté su di lui. Attacchi cosmici erano piovuti dal cielo come frecce infuocate scagliate dalle difese del villaggio vicino. Gli abitanti del Jamir erano accorsi seguendo le grida o la sensazione di cosmo che aleggiava nell’aria. Erano almeno una ventina quelli in prima linea che ancora canalizzavano il loro potere pronti a fronteggiare una nuova minaccia incombente. C’erano uomini normali e lemuriani che si distinguevano dai primi per via di quello specifico simbolo disegnato sulla loro fronte. Le età erano diverse, c’erano i più grandi e i più giovani, donne e uomini, grandi e piccini, tutti per correre incontro a quel nemico che voleva papparsi una di loro, o nel caso dei più piccoli per offrire assistenza morale, per rafforzare il gruppo alla vista del predatore.

    Gli accorsi riconobbero di certo la bambina, lo si poteva notare nei loro sguardi e nelle loro parole e la piccola di rimando identificò subito i suoi alleati e vicini di casa. La saint non poté non notare una persona di età decisamente più avanzata tra le prime file. Aveva qualcosa di diverso dagli altri, compreso un bastone da passeggio e da lotta con una testa di montone sul pomolo. Era senza dubbio un lemuriano e per i suoi tratti diversi Odette non poté non pensare che fosse qualcuno di importante nel villaggio, forse proprio il suo capo. Fu lui infatti a rivolgere la parola a lei, la sconosciuta, dopo aver asserito la sua identità.
    Mentre la piccola riabbracciava i suoi compaesani stringendo felice il mazzolino di fiori raccolto nel bosco e parlando con alcuni di loro per spiegare i motivi della sua fuga, il capo villaggio aveva ingaggiato una discussione con la saint volendo sapere il motivo per cui un cavaliere fosse tanto distante dal Grande Tempio. Aveva riconosciuto quasi subito lo scrigno bronzeo che portava, asserì, era nel loro animo il riconoscere qualcosa fabbricato da loro stessi. Per l’anima insita nelle loro creazioni, esse non si sarebbero fatte portare in giro da chiunque. Odette gli raccontò la verità, sul chi fosse e sul motivo per cui si trovava lì, rispondendo a tratti anche ad altre domande che le venivano poste da altre persone.
    Camminarono insieme fino al villaggio dove le possenti mura li circondarono in un abbraccio protettivo. Il villaggio non era per niente come se lo ricordava, non che lo avesse esplorato molto. Quando Rigel l’aveva portata lì perché scoprisse le vie del cosmo, non aveva avuto molto tempo per gironzolare. Eppure qualche particolare sembrava ancora uguale, come i campi di addestramento accanto a cui passarono dove umani e lemuriani riscoprivano i loro poteri stellari e dove si allenavano grandi e piccini per difendersi dal male alle porte della città.

    Il gruppo si sfoltì man mano che avanzavano; ognuno tornava alla propria casa o al proprio lavoro. Il primo a lasciare il gruppo fu il sindaco, se così poteva essere chiamato, che insieme ai guerrieri era tornato sulle mura a concludere quell’ispezione che aveva iniziato prima che succedesse il casino. Era interessante vedere come ognuno avesse una vita propria. Nonostante fossero confinati su un piccolo villaggio di montagna, circondati da mostri, la vita sembrava felice e spensierata, continuava imperterrita anche più calma di quanto aveva sempre visto al Grande Tempio; come se per i lemuriani quella non fosse che un’altra delle tante calamità che avevano provato a distruggere la loro razza, come per i giapponesi lo erano i terremoti. Sembravano non farci quasi caso, ci convivevano, era stranissimo osservarli.

    Continuarono il cammino, oramai erano rimasti solo Odette e la bambina che aveva detto di chiamarsi Mary. La piccola raccontò molte cose alla saint indicandole ora il panettiere ora il suo luogo di giochi preferito. Ancora stringeva nella sua manina i fiori leggermente rinsecchiti per il troppo essere stretti e privi del loro nutrimento terreno, mentre con l’altra mano stringeva quella della saint come se cercasse protezione, conforto o semplicemente compagnia.

    - Vivo con la mia sorellona. E’ una brava persona, ma sempre così occupata, non riusciamo mai a giocare. E’ sempre presa nel suo lavoro, chiusa dentro e non mi vuole neanche parlare a volte. Parliamo poco, mi capita sempre più frequentemente che sia io a dover cucinare per lei e fare le faccende a casa. E’ sempre una giornata molto intensa sai? Soprattutto con la scuola. Ci chiedono di sapere così tante cose, ma io voglio anche divertirmi uffi! –
    Parlava a raffica balzando da un argomento all’altro come uno stambecco sui monti. Il suo discorso era semplice, ma estremamente appassionato. Ogni tanto rivolgeva qualche domanda alla saint chiedendo un suo parere o semplicemente cercando approvazione nel suo sguardo.
    - Vieni da lontano, no? Come si sta lontani dal Jamir? –

    La bambina sembrava estremamente felice di parlare della sua terra e di quelle confinanti che vedeva con il cannocchiale dalla sua casetta sull’albero, ma ancora di più di sapere cosa c’era al di fuori della sua montagna. Faceva strano ad Odette, era un po’come aver incontrato Heidi anche se quella era una bambina inventata che viveva sulle alpi, montagne molto più basse che si innalzavano da tutt’altra parte del mondo. Prima che Odette potesse rispondere a quella entusiasta richiesta però l’attenzione della piccola venne rivolta ad una ragazza che era sbucata da una viottola laterale, nascosta fra due case.
    -Oh quella è la mia sorellona!- Alzò la mano per salutarla, ma l’altra sembrava quasi più arrabbiata o preoccupata che felice. I suoi abiti erano sporchi, macchiati in più punti come se la sparizione fosse avvenuta mentre lei lavorava e aveva dovuto lasciare tutto per trovare Mary. Nonostante la piccola facesse la maggior parte delle faccende, era sempre sua la responsabilità.
    - Non farlo mai più, mi hai fatto prendere un colpo! - Aveva un leggero fiatone, come se avesse fatto di corse il giro dell’intero villaggio pur di ritrovare quella sorella scomparsa.
    - Va tutto bene, c'era un vero Saint qui a salvarmi! –
    - Cosa sei venuta a fare qui, Saint di Atena? Non ci serve l'aiuto del Grande Tempio, ce la possiamo cavare benissimo da soli. –

    Era di fretta, scocciata, diffidente e arrabbiata. Aveva un misto di emozioni ben visibili sul suo volto sporco di carbone forse e lentiggini. Non diede nemmeno tempo alla saint di replicare strappandole Mary di mano per allontanarsi con lei.
    Perché la sua voce celava così tanto astio o fastidio? Certo i lemuriani erano un popolo isolato dal tempo, ma erano comunque fratelli degli umani, combattevano la stessa causa per la sopravvivenza di tutti.
    Odette rimase sola con la mano alzata a mo’ di saluto, un’espressione triste e una risposta non finita in gola. Sospirò, doveva continuare quel viaggio in solitaria, di nuovo. Era stato salutare avere qualcuno con cui parlare dopo giorni di cammino nel silenzio dei suoi pensieri.

    -Sai quanto mi ci vuole per aggiustare le protezioni degli altri? Non puoi farmi perdere sempre così tanto tempo. –
    Protezioni? Aggiustare? Le ultime parole delle due sorelle che si allontanavano giunsero limpide alle orecchie di Odette come se fossero state dette da molto più vicino. L’aria limpida e pulita del tetto del mondo doveva aiutare di gran lunga in questo o forse l’area permeata di cosmo degli antichi.

    -Aspetta- gridò correndo loro dietro fino a raggiungerle nuovamente. – Hai detto qualcosa sull’aggiustare armature? – chiese per accertarsi di non aver sentito male, anche se era abbastanza certa delle parole che aveva udito.
    - Ho bisogno di riparare la cloth, sai dove posso trovare il maestro riparatore, il gold saint di ariete? –
    Ys era lì, da qualche parte, così le avevano detto al Grande Tempio i soldati a guardia della prima casa, ma in effetti non le avevano mai specificato dove trovarlo. Poteva essere in un luogo speciale o a prendere il pane in quello specifico momento.



    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Affaticata e leggermente infreddolita dalle basse temperature del Jamir

    Stato Mentale:
    Eddai che ci siamo quasi! Aspè, ma dov'è che devo andare?

    Stato armatura:
    Non ndossata. Rotta in più punti.
    Riassunto Azioni:
    Portiamo Mary a casa e cerchiamo di farci indicare la strada dalla sorella.

     
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    VI



    La ragazza si ferma di colpo, dandoti ancora le spalle. Riparare la tua cloth, erano state quelle parole a interrompere il suo discorso con la sorellina. La piccola si volta verso di te, con l’aria di chi avrebbe un sacco di domande da farti, ma vedi la mano libera della maggiore stringersi con forza – senti una bassa vibrazione provenire dal suo corpo e qualcosa ti è più chiaro. Proprio come le persone più forti che abitavano quel villaggio, anche lei possedeva un cosmo da non prendere alla leggera. Mary strattona la mano della sorella e si libera, correndo verso di te.

    Devi riparare la tua armatura? Ma Abigail può darti una mano, non è vero? – Si gira ancora una volta verso la ragazza, prima di tornare a guardarti con un grande sorriso. Anche la sorellona ha avuto un’armatura come la tua, poi si è fatta male duran-

    Mary.

    Il sibilo di Abigail è così duro da farla interrompere nel mezzo del racconto. Si volta e squadra lo scrigno dietro la tua schiena, cercando di capire i rilievi ai lati, per intuire la natura della cloth al suo interno. Uccello del Paradiso, non la vedevo da un po’. Il Cavaliere d’Oro dell’Ariete non è qui, è stato chiamato d’urgenza al Grande Tempio poco prima del tuo arrivo. Se fossi rimasta lì, lo avresti incrociato.

    Che strano il destino, vero?

    Andiamo! Mi ha salvato la vita! Questa volta, Mary punta i piedi sul terreno e stringe le guance in un’espressione di rabbia, anche se risulta troppo tenera per i sentimenti che prova in quel momento. Abigail sposta gli occhi su di lei – Non mi va a genio la gente del Santuario.

    Ma tu li aiutavi!
    E’ stato troppo tempo faMa tu mi dici sempre che non dobbiamo abbandonare nessuno!

    La discussione va avanti di botta e risposta, al termine della quale – con un’inattaccabile logica che solo i bambini innocenti possono esibire – Abigail sospira, portando una mano al volto in segno di sconfitta. Si avvicina a te e, con fare brusco, ti lascia intendere di volere lo scrigno. Una volta consegnatolo, ti mostra la via verso una casa di rocce più grande delle altre, dalla quale entrata proviene un calore torrido. Non appena varchi la soglia, il crepitio del fuoco ti investe – così come l’odore di bruciato e di ferro battuto. Vedi una grossa fornace alimentare un fuoco violento – sul quale stanno fondendo diversi oggetti di metallo. Abigail apre lo scrigno, che rivela le pietose condizioni della tua armatura. Ti guarda, poi guarda di nuovo Apus, poi di nuovo te.

    Che diamine hai fatto per ridurla in questo stato? Ci vorranno giorni per riportarla in condizioni decenti.

    Senti Mary sorridere da fuori, la sorella non le ha permesso di entrare - come sempre. Sposta lo scrigno e prende i resti della cloth pezzo per pezzo, adagiandoli su una grossa roccia levigata ed adibita a piano di lavoro. Sei fortunata che il cavaliere dell’ariete abbia lasciato dei materiali di fortuna per sistemare anche le armature d’argento e di bronzo, per sicurezza. La buona notizia - Saint di Atena - è che posso ripararla; la cattiva è che.. Tentenna per qualche altro secondo

    Ho bisogno del tuo sangue.

    Scava in una cassetta degli attrezzi, vicino a lei, per poi estrarre un coltello che non porta segni di ruggine – né di usura. Sembra nuovo, così come sembra nuovo il calice che ha posizionato accanto ai resti di Apus.

    E me ne servirà abbastanza.


    __________________________

    Bene così, Sirio all over again (però meno)
    Post di transizione :zizi:
     
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    La ragazza che ben presto avrebbe scoperto chiamarsi Abigail si fermò a quella richiesta d’aiuto anche se era difficile capire se lo facesse per dovere o per gentilezza. C’era però stata una scintilla, un qualcosa che aveva fermato la durezza che vedeva dipinta sul volto e che aveva scheggiato la rigidità dei suoi movimenti. C’era speranza. Mary, la piccola ci mise del suo, alimentando quel fuoco con il suo calore, con un’aspettativa e una gentilezza di quel tipo che solo i bambini potevano avere. Una fraternità degna di chi è figlio del tutto, una purezza degna degli angeli del paradiso. Era difficile in un mondo come quello fatto di orrori e caos trovare ancora qualcuno che rispendesse luminoso, da solo, come una stella. Ci si faceva forza l’un l’altro al Grande Tempio, si ci appoggiava agli altri in caso di necessità, si risplendeva sì, ma come la luna, che trae la sua lucentezza dal ben più forte sole.

    I bambini però, quelli non corrotti dal mondo attorno, riuscivano ancora a godere di quella luce primordiale, di quel potere stellare intrinseco che si spegneva crescendo o che si sviluppava in cosmo. Era come una magia ogni volta, riuscire a regalare un sorriso ad un bambino era la sensazione più bella del mondo.
    Non che gli adulti fossero da meno, anche loro sapevano regalarti un motivo per cui valeva la pena vivere e lottare, ma i bambini avevano un modo di farlo particolare che riusciva a scaldare anche il cuore più ghiacciato.

    Così era stato per Mary che con la sua faccia teneramente arrabbiata aveva fatto arrendere la ben più testarda sorella.
    - Non potrò mai ringraziarti abbastanza del tempo che concedi. – Odette espresse la sua riconoscenza omaggiandola di un piccolo inchino con la testa e con un sorriso contenuto sul viso che in realtà ne nascondeva uno a trentadue denti. Ne rivolse anche uno alla sua piccola intermediatrice con una strizzatina d’occhio.

    Odette consegnò ad Abigail lo scrigno e la seguì fino alla sua fucina dove il fuoco ancora scoppiettava violento, gli strumenti erano caldi e dove tutto era pronto per un lavoro lasciato a metà per la scomparsa di Mary, la stessa bambina che ora le spiava da fuori la finestra, issatasi in piedi sulla panchina in modo da arrivare con le braccia a reggersi sul davanzale della finestra. Sorrideva e ancora stringeva il suo mazzolino di fuori che ballavano leggeri al vento.
    - Dovresti metterli un vaso prima che si secchino- le fece notare Odette vedendola sparire oltre il muro.

    Rimasta da sola con la ex-saint tornò più seria, anche per la valutazione che Abigail diede. Non era sicura di fidarsi totalmente di lei, soprattutto perché nessuno l’aveva informata di possibili aiutanti e sostituti dell’ariete d’oro. Era un vero peccato averlo mancato per così poco, ma allo stesso tempo sarebbe stato riprovevole disturbarlo dopo essere stato convocato dal gran sacerdote in tutta fretta. Era altresì vero che lo scrigno di Apus si era aperto con lei, segno che l’armatura riconosceva l’autorità di Abigail e la sua alleanza ad Athena. L’uccello del paradiso, così come tutte le altre cloth delle costellazioni, non si sarebbe mai aperto e rivelato vulnerabile di fronte agli occhi dei non degni.

    Aperto lo scrigno, il totem del sacro uccello, o quel che ne rimaneva, sembrava ancora più scolorito e debole dell’ultima volta che lo aveva visto, il giorno in cui lo aveva rinchiuso nella protezione dello scrigno. Nonostante non avesse partecipato in prima persona, soprattutto l’ultimo scontro con il lupo doveva essere stato deleterio per l’armatura che si era fatta tramite fra le stelle a lei consacrate e la sua saint.

    Stando alle parole di Abigail lo stato era pietoso, ma era riparabile. L’uccello del paradiso sarebbe stato salvato e quella era la cosa più importante.
    - Mi ha salvato in diverse occasioni, da avversari molto più potenti che fossero corrotti, spectre o atlantidei. Gli ultimi soprattutto temo possano aver fatto qualcosa alla cloth, magari averla manomessa con la loro tecnologia. Dal seguito di quello scontro percepisco come il grande uccello faccia fatica a sostenere il cosmo, come se si fosse indebolito. Per questo volevo vedere Ariete e avere il suo parere. Non fraintendermi, non dubito della tua preparazione in materia, ho solo paura per il mio compagno e voglio il meglio per lui, tutto qui. - Spiegò Odette cercando di essere più concisa possibile, ma riassumendo in maniera completa le varie vicissitudini che l’armatura aveva passato.

    - Ho bisogno del tuo sangue. E me ne servirà abbastanza. – La ragazza aveva fatto passare quella come la notizia cattiva e sebbene il pensiero alla parola abbastanza si fosse lasciato andare verso la disperazione, Odette cercò di mantenere il controllo. Da come ne aveva parlato, si convinse che se ora la cloth aveva ancora speranza era per tutto il suo sangue che aveva già bevuto durante gli scontri più accesi. Se l’aveva protetta fino ad adesso era per quello e avrebbe continuato a farlo per lei e per tutti i suoi successori. Era un piccolissimo prezzo da pagare per un futuro più radioso per tutti; così piccolo che quella non pareva nemmeno essere la notizia cattiva. Certo, non sapeva quanto era “abbastanza”, poteva anche essere così tanto che il suo stesso corpo ne sarebbe stato svuotato del tutto. Era un pensiero terribile offrire la propria vita. Una vita per una vita, era quasi sempre quello il costo perché qualcuno sopravvivesse.

    Odette annuì accettando il coltello che Abigail le porgeva. Tirò su la manica del maglione che copriva il suo corpo e che cercava di proteggendola dal freddo di quella sacra montagna. Non era abbastanza, i brividi la scuotevano di tanto in tanto, soprattutto ora che la calma era tornata e non vi era più bisogno di muoversi a passo svelto.

    Snudato il braccio, Odette chiese dove avrebbe dovuto far colare il sangue ed Abigail avrebbe risposto in maniera secca, indicando la coppa che aveva preparato in precedenza. Calò poi il silenzio gelato tra le due, solo il crepitio del focolare osava contrastare il vento esterno. Abigail si era appartata in un angolo a preparare gli altri ingredienti necessaria alla ricostruzione o forse a pensare ad altro come all’armatura lasciata in sospeso. Dall’altra parte la saint annuì nuovamente, strinse forte il pugno e morse la lingua per evitare di lasciarsi scappare anche solo un sussurro mentre lasciava che la fredda lama del coltello recidesse la carne del suo braccio sinistro in lungo taglio che andava da appena sotto il polso al gomito. Una lacerazione profonda che andava a pescare dai più piccoli capillari alle più nascoste arterie di quel braccio che leggenda vuole fosse il messaggero del cuore. Era risaputo che un pizzicore al braccio sinistro fosse ambasciatore di problemi cardiaci, non serviva essere medico per saperlo, oramai anche i corsi di pronto soccorso sponsorizzati dalle scuole informavano su queste piccole conoscenze.

    Il caldo lambire del fuoco scaldava la casa in roccia che risultava un inferno in terra se comparato alla freddezza dei venti che lambivano il tetto del mondo. Soltanto qualche spiraglio dell’aria esterna riusciva ad entrare dando un piccolo sollievo a chi stava all’interno. Il calore inoltre provocava l’apertura dei vasi e un più rapido fluire del sangue. Rosso e caldo scivolava lungo il braccio copioso prima di gocciolare fluido dentro la coppa. Sembrava un vino celestiale, come il sangue di Gesù nella fede cristiana. “Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti” Le parole della santa messa dove da bambina aveva cantato più volte come chierichetta le tornarono alla mente mentre il calice si riempiva poco a poco.

    Forse per le immagini che si facevano sfuocate o per la mente che prendeva a vagare in assenza di rifornimento, ma Odette lentamente, goccia a goccia, si sentì pervadere da uno stato di trance, di stanchezza fisica e mentale. Si sentì sempre più vicina a quel dio fattosi carne, sembrava di capire in maniera più profonda il significato dietro a quel rito che si svolgeva messa dopo messa. Un sacrificio enorme a cui in quel momento si sentiva affine. Il sacrificio di un uomo, o in quel caso, di una donna, per tutta l’umanità, per rinsaldare quell’alleanza tra l’uomo e il suo creatore, tra il protetto e il protettore; alleanza che per i saint avveniva in segreto, poiché in segreto difendevano da sempre la libertà dell’uomo ed in segreto vegliavano sulla dea Athena. Chissà se Gesù non era proprio un saint del dio cristiano pensò disegnando la sua immagine vestita con un’armatura dorata e bianca, quasi angelica. Chissà se attaccava lanciando l’aureola, un po’ come Xena.
    Chissà se lui non fosse morto solo per ricreare la sua armatura e quella dei suoi compagni affinché una nuova generazione di eroi potesse vestirsene e continuare la sua missione.
    In remissione dei peccati e per la vita eterna. Per cancellare gli sbagli dell’umanità, per riavvicinarla alla purezza della sua creazione, per farla rinascere come bambini innocenti agli occhi degli dei e perché continui a vivere nei secoli dei secoli, sempre forte e giusta.

    Fate questo in memoria di me.

    Fu silenzio.
    Fu buio.
    E nulla più.





    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    KO

    Stato Mentale:
    KO

    Stato armatura:
    Non indossata. Rotta in più punti. In riparazione
    Riassunto Azioni:
    E Sirio sia (awww best saint ever)

     
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    VII



    Rumori confusi.

    Un continuo brusio di voci, ma ancora non riesci a parlare - né a vedere.
    E' tutto nero, Odette, e nel buio puoi sentire la tranquillità, finalmente. Sarebbe così bello poter dormire e restare tranquilla, senza più battaglie e senza persone da dover salvare e proteggere. E' questo quello che pensi, o forse no?

    La tua coscienza comincia a svegliarsi secondo dopo secondo e il buio comincia a diradarsi, gli occhi si aprono e vengono quasi accecati dalla luce del sole che filtra dalla capanna. Sei stesa, devi essere svenuta per il troppo sangue versato. La ferita è fasciata e, nonostante i poteri curativi di qualche abitante del villaggio, continua a pulsare con notevole dolore. Forse ti rimarrà una cicatrice, un ricordo di ciò che hai passato per riuscire a ottenere ciò che è importante per te.

    Un leggero respirare e ti accorgi che Mary si è addormentata con la testa non molto lontana dal punto vicino alla tua spalla. Le braccia conserte e il volto nascosto tra esse. Non deve essere passato molto tempo da quando hai offerto il tuo sangue - eppure, la stanchezza di quella giornata deve aver reclamato il suo peso sulla bambina.

    Ancora qualche secondo e il tuo corpo ricomincia a rispondere pienamente ai tuoi comandi - hai modo di osservare la capanna in cui ti hanno adagiato per riposare: è semplice, dotata di beni di prima necessità. Un piccolo ripiano di legno - accanto al letto - è provvisto di un po' di cibo ed un bicchiere d'acqua. Un pezzo di carta porta la frase:

    Hai perso un po' di sangue,
    mangia per rimetterti in sesto.

    -Abigail



    Non molto lontano da dove ti trovi, puoi sentire il crepitio incessante del fuoco e il rumore di pesanti martellate, la sorella di Mary deve essersi rimessa al lavoro dopo averti portato lì; Mary, dal canto suo, sembra non dare cenno di risveglio. Tutto ciò che vogliono le persone - a volte - è assicurare benessere alle prossime generazioni, essere il pavimento su cui poi riusciranno a poggiare i piedi. Il futuro è nelle loro mani, e voi saints dovete renderlo il migliore possibile.

    Il villaggio, fuori, continua ad essere indaffarato nelle faccende di ogni giorno. Coltivare, rinforzare le difese, riempire grandi riserve di acqua e cibo, allevare animali - tutto ciò che permette la vita all'interno del campo. Una massa di bambini ti travolge, attraversandoti con risate e urla; dietro li rincorre un ragazzo non molto più grande di te, continuando a chiamare diversi nomi che lasciano il tempo che trovano nella tua memoria. Scusami, sono terribili - fortuna che Mary non è con loro adesso, è lei quella che aumenta la vivacità del gruppo. Cammini con Aiden - questo è il suo nome - che ti racconta di come è arrivato al villaggio, scampato all'armageddon con un gruppo di sopravvissuti, e di come sia stato accolto in quel luogo dai primi abitanti. Assieme ad altri coetanei, si occupa dell'istruzione e dell'educazione dei più piccoli. Ti racconta di Abigail e Mary, della sorella più piccola che sfida l'autorità dei più grandi nell'avventurarsi - ad ogni occasione - fuori dalle mura del villaggio, cacciandosi sempre nei guai assieme al suo labrador, Ulisse.

    Ti immergi completamente nei sorrisi e nei dialoghi con le persone del posto, fino a che non vai a sbattere contro una figura decisamente più grande di te. Lo stesso uomo che ti ha accolto, quello che sembra essere il capo, ti guarda con aria seria senza dire alcuna parola. Si volta lentamente verso Aiden che, quasi come a leggergli nella mente, annuisce e ti accenna un saluto, allontanandosi velocemente. Ti stavo cercando, cavaliere di Athena. Ti fa cenno di seguirlo e ti porta, dopo qualche minuto di cammino, in una zona più solitaria, dove è situato un grande pozzo. Senza spendere più di un paio di parole - si avvicina a te e poggia una mano sulla tua testa, concentrandosi. Un bagliore verde circonda l'arto, poi il tuo corpo intero, e senti le energie fluire in te velocemente, riempiendo il dolore della ferita con un tepore rassicurante. Recuperi quasi interamente le tue forze - l'uomo ha completato il suo trattamento medico iniziato con la prima medicazione. Si allontana di qualche passo, con le mani giunte dietro la schiena.

    Io sono Jun, e ho l'incarico di guidare la gente di questo posto nel condurre una vita tranquilla - se così possiamo definirla - tra i picchi del Jamir. Per aver salvato Mary ti ho già ringraziato, ma lascia che sia io - adesso - a fare un favore a te. Si volta e, con una mano dietro la schiena, punta l'altra a mo' di guardia. Mi ha descritto cosa hai fatto contro il corrotto, e dal racconto ho capito che tipo di colpi hai usato. Ecco perché vorrei ripagarti della tua gentilezza insegnandoti qualcosa sul corpo a corpo. Ti sorride in modo quasi paterno, prima di assumere completamente la guardia.

    Ma prima, mostrami le tue basi.



    __________________________

    Jun ti invita ad una piccola sessione d'allenamento, puramente corpo a corpo, aspettando la tua iniziativa.
    Da lui, per ora, percepisci un'energia Rossa.
     
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    Un rumore bianco iniziò a serpeggiare attorno alla saint, schiarendo l’oscurità con il suo corpo, come un cancellino intriso di gesso scorre sulla lavagna. Era una specie di formicolio caotico, come l’apparizione dei puntini bianchi e neri su uno schermo della tv. Più il rumore si faceva distinto, più i due colori si miscelavano e più una sensazione di pesantezza si faceva presente. Ogni puntino si faceva pressante, come se avesse un peso sul corpo e soprattutto sulla mente; la sola esistenza causava una fatica immane. Con l’andare di un tempo indefinito il caos sembrava farsi ragionato, sembrava rimettersi in ordine: Doveva essere così che era nato il mondo, una mano invisibile che aveva messo tutto al suo posto.
    I puntini si riorganizzarono, come fossero un gigantesco puzzle astratto, e formarono un’immagine, un corpo, un corpo umano, il suo corpo. Era disteso, su quello che pareva un giaciglio abbastanza comodo, con un cuscino, forse troppo morbido per i suoi gusti. Un lenzuolo, o un coperta leggera coprivano il corpo fino alle spalle pesando in maniera innaturale. No, non era il lenzuolo. Era una fatica inspiegabile che prendeva ogni muscolo ogni arteria, anzi, ogni più piccola cellula. Era come se tutto il corpo pulsasse di un dolore inspiegabile, come se ogni particella volesse gridare a gran voce” non sto bene”.
    Anche il dolore acquisì man mano un senso: quello che era indefinibile appariva man mano più organizzato, ad ondate, con un ritmo ben preciso.

    Provò ad aprire gli occhi, ma non solo le immagini erano sfocate ed indistinguibili, ma anche la più piccola lama di luce parve dolere alla retina, come se un ago l’avesse perforata. Li richiuse di scatto come risposta al dolore e decise di riservarsi qualche istante prima di provare ad aprirli nuovamente. Nel mentre, visto che la coscienza andava espandendosi, cercò di capire bene a cosa fosse dovuto tutto quel dolore, unito oltretutto ad un’insopportabile sensazione di stanchezza ed impotenza, un po’ come dopo aver una sbronza. Ne aveva avuta solo una in tutta la sua vita, la prima ed unica volta che aveva davvero alzato il gomito e si era ripromessa di non farlo mai più. Andò indietro con la memoria per cercare di scavare i motivi per cui lei ora era lì. Le cose più recenti che ricordava erano sfocate, indistinguibili. Il rosso scuro prevaleva sugli altri colori. C’era un po’ di giallo e tanto tanto nero. Ricordava anche del rosso scarlatto, denso, sangue. Il suo sangue. Si, stava offrendo il suo sangue per la riparazione di Apus! Abigail si era offerta di compiere quel lavoro vista l’assenza di Ys. E poi? Cosa era successo dopo? Niente, vuoto.

    La seconda cosa che fece fu tentare di alzare la testa, ma come ci provò un capogiro spaventoso la costringe a riabbassarla; meglio quindi aspettare che gli occhi si riprendessero del tutto, così da poterli aprire.

    Appena fu certo di essere abbastanza sobria, provò a guardarsi attorno; l’ultima cosa che ricordava era Abigail di spalle, la coppa con il suo sangue sul tavolo, le gocce che scendevano sempre più lente e… un giramento di testa. In quel momento invece si trovava in quella che era di sicuro una stanza sconosciuta, povera, piccola ma accogliente. I rumori e gli odori, altri due sensi che si erano finalmente decisi a collaborare, cercarono di dare maggiori informazioni; non doveva essere poi lontana dal laboratorio di Abigail, o da un altro fabbro o simili: l’odore del fumo, il rumore delle martellate e il crepitio del fuoco erano facilmente riconoscibili.

    Accertatasi di dove si trovasse, o almeno avendone acquisito una vaga idea, cercò di capire quali fossero le sue condizioni fisiche.
    Abbassati gli occhi lentamente, rivolse lo sguardo a quanto restava di lei: era intera, nessun danno visibile, nessuna macchia di sangue. Scostò anche il lenzuolo, ma niente. L’unica parte che aveva avuto attenzioni pareva essere quel braccio sinistro fasciato con una stretta garza sporca di sangue. Aveva inciso lei quel lungo taglio lungo il braccio, ricordava ora chiaramente la lama argentea penetrarla e tagliarla. Aveva mosso lei quella lama.

    Un sussulto mosse appena il materasso. Odette cercò di voltarsi piano per scoprirne l’origine. Accanto al letto c’erano altri capelli, una testolina, delle braccia. Mary. La bambina sembrava chetamente addormentata con la testa fra le braccia. Il suo rispiro caldo le dava conforto e calore. Oltre a lei, sulla destra c’era un comodino con un bicchiere d’acqua un piattino ricolmo e una lettera appoggiata in bella vista al bicchiere. Mosse lentamente il braccio destro per raggiungere la missiva, un po’ per le sue reazioni non ancora completamente risvegliatesi e un po’ per non svegliare la bambina. La lettera era scritta da Abigail, testimoniava la sua elegante firma che andava in netto contrasto con la rude persona che appariva all’esterno.

    Ripose il biglietto sul comodino. Non aveva troppa fame, anzi sentiva chiusa la bocca dello stomaco e il solo vedere il cibo peggiorava la sua sensazione di malessere. Non aveva nemmeno troppa sete, il solo pensiero di bere le faceva venire dei conati di vomito. Aspettò diverso tempo prima di mettere mano al piatto, rimanendo ferma ad ascoltare le incessanti martellati nell’altra stanza e i respiri lenti di Mary al suo fianco.
    Quando finalmente la fame fu più forte del dolore, si appoggiò con il cuscino alla testa del letto e seduta cercò di mandare giù quei frutti quella verdura e quel pane che le si offriva. Non era molto, c’erano soprattutto cibi ricchi di liquidi e poveri di sale, cibi tipici della grande montagna su cui erano.
    Cercò di mangiare lentamente per non affaticare il suo sistema indebolito e altrettanto lentamente di sorseggiare quella purissima acqua di fonte, forse troppo fredda per i suoi gusti. Il tutto appariva delizioso, fresco e rigenerante. C’era anche una piccola barretta di cioccolato o simili, giusto quel tocco di dolce che arricchiva la giornata e restituiva il buonumore.

    Una nuova fiamma sembrò accorrere dopo il pranzo riempiendo il corpo con tutte quelle energie perdute, quella voglia di non stare in casa, ma di esplorare o fare qualcosa di utile. Non era ancora al top, ma come ragazza e come guerriera era dura da buttare giù, non sarebbe stata della spossatezza a bloccarla lì. Un guaritore poteva farlo, ma fino a prova contraria era libera di andare dove le pareva.
    Cercò di muovere Mary sul letto in una posizione ben più comoda; aveva un sonno davvero pesante o forse aveva vegliato sulla saint così a lungo che era ormai stremata, ma la bambina non pareva svegliarsi nemmeno con le cannonate. Le adagiò la testa sul cuscino e la coperta sul corpo prima di muovere i propri passi lontani dal letto e quindi fuori da quella stanza e quindi dell’abitazione.

    Quella era davvero la casa di Abigail e Mary, poco distante c’era anche il laboratorio della prima. Cercò di sbirciare all’interno, ma era troppo buio lì dentro e Abigail, di spalle, copriva la visuale.
    La sua attenzione venne però distolta quando un labrador di colore scuro, quasi caffè, si stava strusciando fra le sue gambe annusandola. La saluto con un “woof” allegro, forse aveva riconosciuto il suo odore in giro per il villaggio.

    -Ulisse sta buono – si sentì da lontano Abigail esortare il cagnolone che dedicò uno sguardo alla porta della fucina prima di andare ad accoccolarsi accanto ad essa, come un bravo cane da guardia. – Te invece fila via, i segreti delle cloth devono rimanere tali- Abigail era comparsa alla finestra per lanciare un minaccioso avvertimento prima di chiudere le serrande con un tessuto apparentemente leggero che preveniva il vedere all’interno, ma che lasciava passare i forti fumi dell’ambiente. I suoi occhi glaciali erano quasi più freddi dei suoi modi di fare. Forse era quello a tenerla bella fresca nell’inferno dove lavorava.
    Scusa, provò a risponderle, ma l’altra non diede segno di aver sentito.

    Non aveva null’altro da fare e di certo non voleva rimanere ferma con le mani in mano, quindi decise di camminare per la cittadina, fermandosi di tanto in tanto a riprendere fiato. L’aria sul monte era troppo rada e soprattutto in quel momento di debolezza sembrava pesare sul suo corpo stanco. Non ci aveva fatto troppo caso quando era ferma o ancora prima quando era arrivata al villaggio e ancora il cosmo alimentava il suo corpo, ma ora si sentiva si alleggerita di un sacco di aria, ma il corpo sembrava molto più pesante e difficile da muovere.

    Gironzolò senza una meta, ora verso l’esterno, ora verso i campi, ora nella zona del mercato. Ovunque andasse umani e lemuriani convivevano pacificamente, allenandosi, aiutandosi nei lavori, dandosi consigli e aiuti vari. Era praticamente come essere al Grande Tempio, solo in una zona apparentemente più piccola.
    Lei, un’estranea, che era stata accolta con riserva, passava come un fantasma per quelle vie, dove molti non facevano nemmeno caso alla sua presenza. Qualcuno accennava un saluto di cortesia una volta notato che lei li stava guardando, ma nulla di più. Era interessante notare come tutto il razzismo che avvinghiava il mondo fosse scomparso con l’arrivo della corruzione, come lì e al Tempio a nessuno fregava più nulla del colore della pelle altrui. C’era diffidenza verso gli estranei e per un buon motivo, ma nonostante tutto, la corruzione sembrava aver tirato fuori il meglio nell’umanità.

    Passando ai confini di un parco di fronte ad una chiesetta o simili, la sua attenzione fu attirata da una frotta di bambini di corsa e da un adulto che stentava a star loro dietro. Alcuni giocavano ad acchiapparello, un altro aveva con se un aquilone, due maschietti si affrontavano con spade fatte di bastoni di legno, mentre tre femminucce più mansuete seguivano il ragazzo con le loro bambole strette al corpo.
    Aiden, quello il nome del ragazzo, era uno dei tanti sopravvissuti, che ora si impegnava nella cura dei più piccoli. Era un tipo abbastanza rigoroso con i bambini, quanto aperto e socievole. Esigeva che i bambini fossero bambini, liberi e spensierati, stando ben attento a correggere i cavallini con un bel tiro di redini al momento giusto.

    Era così che si erano scontrati, quando due monelli avevano deciso di usare Odette come barriera tra quello che doveva acchiappare e la sua preda. La saint parve prenderla sul ridere mentre i due schizzavano via scappando dal loro tutore per riprendere il gioco un po’ più in là, in mezzo al verde.
    Aiden aveva saputo la notizia della saint, nel piccolo villaggio le voci correvano rapide. Sapeva che alloggiava a casa di Mary, che era un’altra delle bambine a lui affidate. Entrarono in argomento in maniera casuale con il ragazzo che pareva giustificare la freddezza di Abigail; doveva essere veramente dura tenere a bada Mary.
    Aiden indicò l’albero più alto del parco sulla cui cima c’era una specie di fortino di legno con una bandiera sporgente di una bambina che faceva la linguaccia.
    Spiegò come quello era il rifugio preferito dei bambini, che ora era un castello o forse una nave pirata, o perché no, un’astronave spaziale. Sembrava essere un tutt’uno con quelli più giovani tanto che riusciva a tenere d’occhio tutti e tutti i loro giochi in contemporanea. -Fermo, sta arrivando un pullman- aveva gridato ad alcuni che giocavano a fare gli adulti. -Si, mi piacerebbe una tazza di the verde, grazie- aveva invece risposto ad una bambina che giocava con le sue bambole.
    Era simpatico e ancora più magico era il fatto che riuscisse a tenere a mente tutto ciò che avveniva attorno a lui, come se avesse un cosmo animalesco, con sensi affinati e…

    Il cosmo, si! Avvertiva una scintilla di cosmo anche da lui. Era tipico per quel villaggio avere abitanti immersi nel potere delle stelle, come se tutti lo condividessero, chi più chi meno. Ora lo sentiva tornare anche in se, come se pian piano si stesse risvegliando anche lui, come un luccichio sperduto nella notte.

    Si erano poi avvicinati a due bambini che avevano incagliato il loro pallone in mezzo ai rami di un albero e non riuscivano a farlo scendere. Aiden dimostrando una forza e agilità insospettabili per il suo corpo esile aveva scalato con sicurezza l’albero, graffiandosi appena le mani sul tronco ruvido. Distratti dai bambini che intonavano una musichetta alla mission impossible, nessuno aveva notato l’arrivo di un altro individuo che senza dire nulla a nessuno aveva allungato il bastone con testa di montone fino in cima al ramo per far cadere la palla a terra.
    - Così non vale però - si lamentò il ragazzo scoperto che la sua scalata era stata inutile. I bambini risero come per sottolineare il fallimento. Aiden rispose loro con un altro sorriso, che venne però spento dallo sguardo più serio del nuovo arrivato che senza dire una parola aveva messo una certa tensione nell’aria.
    - Bambini credo sia il caso di rientrare. Luke dillo a tua sorella. Benji basta giocare. Osama, Omar andiamo!-
    Aiden parve frettoloso nel ricimare tutti, come se il nuovo arrivato, che era anche il capo villaggio gli avesse fatto notare qualcosa, come se fosse in ritardo per una prossima lezione.

    - Ti stavo cercando, cavaliere di Athena. Seguimi- Aveva poi esordito il signore quando erano ormai lontani dalle orecchie indiscrete di tutti. Era un incontro inaspettato, soprattutto era inatteso quell’ordine. Cosa poteva volere da lei il capo? Aveva fatto qualcosa di male? Prese a seguirlo imitando il suo religioso silenzio, chiedendosi a cosa fosse dovuto quel ritrovo. Raggiunto un luogo più isolato, che per certi versi sembrava il cortile interno di una chiesa abbattuta, il capovillaggio si sarebbe girato verso di lei e avrebbe appoggiato la sua mano libera sulla testa di lei facendone fluire un’energia cosmica curativa, di colore verde e dal delizioso profumo di menta fresca. Come un balsamo tutte le pressioni, i dolori e le fatiche scomparvero pressoché all’istante, lasciandone solo un pallido ricordo.

    - Io sono Jun, e ho l'incarico di guidare la gente di questo posto nel condurre una vita tranquilla, se così possiamo definirla, tra i picchi del Jamir. Per aver salvato Mary ti ho già ringraziato, ma lascia che sia io, adesso, a fare un favore a te. Mi ha descritto cosa hai fatto contro il corrotto, e dal racconto ho capito che tipo di colpi hai usato. Ecco perché vorrei ripagarti della tua gentilezza insegnandoti qualcosa sul corpo a corpo.-
    Solo allora si era presentato spiegando il motivo di quell’incontro e di quel luogo insolito.
    - Signore, non vorrei rubare il vostro tempo. Ho visto voi e il villaggio indaffarati, mi dispiacerebbe rubarla da incarichi più importanti ecco. Sarebbe però un onore imparare qualcosa da voi e vi ringrazio di questa opportunità- fece un piccolo inchino a mo’ di rispetto ad inizio incontro nel karate ed altri sport simili.
    - Non mi sento troppo adatta al combattimento ravvicinato. I miei muscoli sono… beh piccoli e i miei poteri sembrano concentrarsi più sulla distanza, ecco- cercò di spiegare mentre si allontanava di un passo prima di mettersi in guardia anche lei.
    Gambe divaricate e molleggianti pronte allo scatto, braccia sollevate a protezione del petto e pugni pronti erano il suo modo di prepararsi ad uno scontro in cui di certo non eccelleva. Lo sguardo fisso sugli occhi di Jun, pronti a leggergli un minimo cambiamento, un’intenzione, un barlume di movimento. L’altro però le fece capire che era sua la prima mossa e avrebbe aspettato quanto necessario purché lei la facesse.

    Non volendo far perdere troppo tempo all’altro Odette si mosse in avanti cercando di lanciare due rapidi colpi, prima un destro e poi un sinistro, diretti al petto dell’uomo, più rapidi che forti, in modo da attirare la sua attenzione su quella parte del corpo per poi invece cercare di sferrare un destro più forte diretto invece dal basso verso l’alto per colpire sotto il mento. I primi due colpi sarebbero stati tirati alla massima velocità a lei possibile in quel momento, ma senza alcuna traccia di cosmo che li ammantava. Solo nel colpo più forte, il diretto al mento, avrebbe cercato di colpire sfruttando il suo potenziale intrinseco.

    NARRATO      -PARLATO-      "PENSATO"      "TELEPATIA"

    Stato Fisico:
    Buono

    Stato Mentale:
    e tiriamo due mazzate, tanto non ho altro da fare.

    Stato armatura:
    Non indossata. Rotta in più punti. In riparazione
    Riassunto Azioni:
    bla bla bla Jun capovillaggio vuole lottare!
    Odette sferra due normalissimi pugni a velocità massima data dall'energia verde [Attacco Debole] per poi attaccare con un gancio ammantato di cosmo puro [Attacco Forte]

     
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    With Pain comes Strength

    VIII



    Jun osserva la tua figura avvicinarsi, piantando per bene i piedi sul terreno. Il braccio messo in posizione, davanti a lui, si muove con velocità - scontrandosi con i tuoi pugni. Protegge il petto interponendo l'arto, muovendo rapidamente il secondo - subito dopo - per intercettare il pugno al mento, mirando al tuo avambraccio per deviarlo. Il colpo struscia sulla sua guancia, disegnando una grossa zona quasi violacea. L'azione si blocca lì, lo vedi poggiare il palmo della mano sulle zone che hai mirato e - in pochi secondi - le loro condizioni cominciano a migliorare.

    Lo so, e tutti gli avversari che incontrerai non si limiteranno mai a rispettare la tua distanza. Ecco perché devi essere preparata a qualsiasi evenienza.
    Abbassa il capo, come ad approvare la strategia che gli hai rivolto contro, prima di rimettersi in posizione. Ora, prova ad osservare quello che faccio, e prova a contrastarlo.

    [Eagle's Dive]



    Carica il peso del corpo sulle sue gambe, lanciandosi in avanti, per portarsi a poca distanza da te, in posizione laterale. La gamba sinistra ruota con velocità, mirando alla base del tuo punto d'appoggio sul terreno, per farti cadere con una spazzata - mentre porta la mano destra, a palmo aperto, dietro di sé - lasciandola cadere in direzione del tuo petto, aggravando il danno che ti infliggerebbe la caduta.



    __________________________

    Bene così, l'attacco che ti viene rivolto contro è una spazzata laterale (ad) mirata a farti perdere l'equilibrio e a farti cadere con la schiena sul terreno. A questo, si aggiunge un colpo portato in direzione del tuo petto (af) che ha il compito di danneggiarti la zona mirata e aggravare l'impatto sul terreno.


    Edited by ~Rain~ - 6/1/2020, 15:27
     
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