And Now This is Our Last Dance

Oliver - Raia

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    Oliver aveva portato con sé l’arma segreta, quella che lui e Raia – in giorni ormai passati – si erano ripromessi di usare soltanto in caso di estrema necessità. Certo, con il loro tipo di vita, erano caduti in tentazione più di una volta; esecutori e primarchi erano sottoposti ad una pressione psicologica di gran lunga più pesante, rispetto a comuni membri dell’esercito imperiale. Quella scorta l’avevano scelta insieme, ed era stata una delle decisioni più importanti. Un semplice foglio di carta, una penna, e le idee erano volate con una rapidità impressionante – annotate dalla ragazza giusto qualche ora prima della fine del turno. Tutto, poi, era stato chiuso in una cassa di legno, di grandezza media, e chiusa con un piccolo lucchetto. Forse avevano preso la questione, nella loro ironia, troppo seriamente. Eppure, c’era quel bisogno di sapere che – anche in una delle situazioni peggiori – avrebbero avuto almeno qualcosa di buono, e quel qualcosa di buono era uno dei loro hobby preferiti, tra le urla degli uomini e delle donne alla fine del turno, tra le contese a braccio di ferro – per le quali Raia aveva un record di una vittoria in più. Erano brevi serate, ma erano le loro serate, e niente – nessuno – avrebbe potuto portare via tutto quello da loro. O, almeno, aveva sempre creduto questo.

    Doveva essere un semplice scontro dimostrativo, una testimonianza di rapporti distesi – se non di amicizia – tra Atlantide ed Asgard. Raia era stata scelta personalmente da Seadragon per partecipare all’incontro, e – di fronte a lei – il campione di Asgard, Galdor Manelvagor. Dopo lo scontro con Sanya, l’elfo aveva incrociato i pugni con l’esecutore del Leviatano, seppur in maniera del tutto amichevole. A quel tempo, si era reso conto della sua pericolosità e, contro la Prima Dama, aveva deciso di sguainare la spada; cosa che non aveva fatto contro di lui. Eppure, Oliver era stato orgoglioso della partecipazione della sua amica; lei era un genio in quanto a tattiche di combattimento e – con assoluta tranquillità – avrebbe puntato sulla sua vittoria. Ricordava ogni cosa di quel giorno; l’aveva salutata prima di entrare in arena, per prendere posto dietro Lady Johanna, assieme agli altri esecutori dell’Atlantico. E la folla, la folla aveva urlato di gioia per la Portatrice di Tempesta, per la Prima Dama, per il più forte guerriero del regno – dopo la Primarca. Qualsiasi altro membro dell’esercito avrebbe provato un’invidia fuori dal comune, ma non lui. Era una sensazione quasi fraterna, priva di qualsivoglia punta negativa – Oliver era stato felice, emozionato, perché lei avrebbe combattuto ancora una volta, ed avrebbe dato prova della sua forza fisica, così come quella d’animo.

    E quindi un colpo, poi un altro, una schivata, una lama di luce. Un continuo scambio di offensive e difese sul campo di battaglia che aveva visto il sudore e il sangue di tanti guerrieri – prima di loro. Il sorriso di Cuordimetallo, così come il suo entusiasmo, si era spento con un singolo attacco – assieme alle grida degli spettatori. Qualcosa si era rotto, in Raia, qualcosa che non si sarebbe più riparato – qualcosa di diverso da una semplice ferita da combattimento, di un osso rotto, di un lembo tagliato. Perché loro non erano Seadragon, loro non riuscivano a rigenerarsi o a recuperare le forze con così tanta rapidità – lo sapeva lui, lo sapeva lei, lo sapeva qualsiasi altra persona. Una volta perso un arto, non avrebbero potuto utilizzarlo di nuovo.


    E quella era stata la realizzazione di entrambi.

    Lei non si rigenera.




    Oliver aveva ignorato i Primarchi, dirigendosi nel punto più alto dello spalto, e aveva iniziato a urlare verso l’amica. Qualsiasi traccia di un precedente sorriso era sparita dal suo volto e le labbra non avevano fatto altro se non urlare di smetterla, di interrompere lo scontro. A costo di oltraggiare gli ospiti, sarebbe sceso sul campo per intromettersi, per evitare altri danni permanenti – così come quello che aveva privato Anzu della possibilità di restare in piedi su due gambe. Con la scale pronta ad essere utilizzata, soltanto le parole della Primarca dell’Atlantico avevano avuto l’effetto necessario a farlo desistere, così come l’espressione cosmica del Dragone del Mare. A denti stretti, a pugni chiusi, il Fabricator aveva sputato fuori una frase nella sua lingua madre, prima di abbandonare gli spalti in rabbia. Sì, avrebbero potuto dargli del codardo, del debole, ma non sarebbe rimasto lì a guardare. L’anticamera dell’arena era stata testimone della rabbia e della frustrazione del ragazzo – che aveva incrinato più e più volte le pareti d’oricalco.


    Al termine dello scontro, assieme al personale di supporto, Oliver era corso in arena – oltrepassando Galdor – ed urlando il nome dell’amica. Le aveva retto le spalle, si era assicurato della sua incolumità, perché era questo che faceva un fratello minore – era questo che facevano loro due. Le piccole gocce di luce avevano riempito l’aria di una carica supportata dal silenzio, figlio del respiro trattenuto dopo l’attacco in larga scala della Portatrice di Tempesta. L’esecutore aveva posato gli occhi sulla gamba offesa, stringendo ancora una volta i denti. La prognosi era stata la più devastante, Raia aveva perso l’uso dell’arto. Di quella giornata ricordava estremamente poco; la ragazza era stata messa a riposare in isolamento, nessuno avrebbe potuto o dovuto disturbarla al di fuori della Primarca. Era rimasto con Assunta e Gennaro, abbassando gli occhi di fronte alle lacrime della nonna e al silenzio tombale del nonno. Dopo aver trascorso la notte fuori dalla porta, facendosi dare il cambio dagli amici più vicini a loro, era tornato a casa – aprendo la prima bottiglia disponibile e cadendo in un blackout subito dopo.

    Eppure, nemmeno in un periodo così buio, Raia aveva smesso di essere Raia. Sì, era stata irascibile, arrabbiata, frustrata – sull’orlo di una crisi totale – ma non aveva mai smesso di essere sé stessa. Anzu aveva lottato il più possibile per tornare ad una vita normale. Dover essere costretta a diversi momenti di immobilità l’aveva resa molto più insofferente, ma – a pensarci – anche lui avrebbe avuto reazioni del genere. E il tempo era passato, portandosi dietro nient’altro che grida, lacrime e insulti a quel fato che aveva deciso di lasciare una profonda ferita nel corpo, quanto nel cuore.


    Non aveva incontrato alcun tipo di problema nel dedicare quella giornata soltanto ad una delle persone più importanti, per lui. Familia era un concetto estremamente particolare, per i messicani. Sì, il sangue contava – anche troppo – ma quel concetto si estendeva anche alle persone più vicine, quelle che avevano un legame affettivo altrettanto forte, e Raia era famiglia. Raia era il sorriso alla fine di Mechanus, era la nuova casa, la stabilità, il nuovo inizio. Qualsiasi ostacolo davanti a Cuordimetallo sarebbe stato abbattuto, in nome della sua amica. Quanto aveva raccontato di lei a Lawrence, quante volte avrebbe dovuto dirle grazie – forse troppe. Si era assicurato di trovarla nel giorno libero, a volte impiegato per riposare dallo sforzo della sua condizione. L’arma segreta sotto il braccio, sperando che nessuno – a parte lei – avrebbe visto il contenuto. Un amaro sorriso si dipinse sul suo volto, prima di esser scacciato come il più lontano dei pensieri. No, non era morta, non aveva subito ferite tali da mettere a repentaglio la sua vita. Lei era sempre lì, e ci sarebbe sempre stata. L’avrebbe accompagnata dovunque, e – insieme – avrebbero passato ancora una volta del tempo insieme, come avevano sempre fatto tempo addietro. Era il loro momento, loro soltanto. Avevano condiviso così tanto tempo assieme che aveva imparato a memoria gli orari dei turni - e, quella sera, l'avrebbe dedicata tutta a lei. Con addosso abiti informali, aveva fatto capolino dove si trovava in quel momento - nei suoi appartamenti di palazzo - salutando. Subito dopo aver bussato, si appoggiò con la spalla ad una delle colonne ornamentali, incrociando le braccia.

    Va tutto bene ora, e sai già il perché.




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    Edited by ~Rain~ - 24/8/2019, 22:33
     
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    Le prime settimane furono un inferno da cui Raia entrò e uscì a tratti, come un lunghissimo incubo.
    Aveva affrontato ferite orribili, era uscita da situazioni in cui la morte l’aveva quasi trascinata via e i suoi dottori erano abituati a prepararsi psicologicamente: se era Anzu a entrare in infermeria sorretta da un commilitone, c’era da fare gli straordinari. Se lei era sveglia, le veniva riferita la cosa in modo chiaro e tondo e lei rideva fra i denti stretti, oppure insultava bonariamente i presenti incitandoli a fare del loro meglio, perché doveva tornare al lavoro e i doveri non aspettavano.

    Stavolta non ci fu nessun sorriso e l’equipe del dottor Dawson rimase in silenzio per diversi minuti. Anzu era incosciente e la ferita era qualcosa che, a prima vista, scatenò sensazioni di rassegnazione e terrore generali. L’ultima perché nessuno voleva assistere alla reazione dell’Esecutore una volta sveglia, la prima perché la medicina atlantidea era in grado di sistemare molto, ma per quella ferita c’era poco da fare. La carne era stata tranciata disordinatamente insieme ai muscoli e ai nervi, intaccando anche il femore, ma il problema maggiore era la cauterizzazione istantanea: essa aveva sì permesso a Anzu di continuare a combattere per diversi secondi successivamente al danno, senza perdere troppo sangue, ma era anche la ragione per cui, a conti fatti, ricostruire la ferita si prospettava un processo a dir poco infernale.
    E che ora c’era una scelta grave da prendere.

    Quando Raia si svegliò, era da sola. I sensi ovattati, la bocca impastata e una sensazione di dolore lontano, sordo proveniente dall’intero corpo, ma soprattutto dalla gamba. Gli occhi danzarono appena fra le ciglia nell’andare verso le coperte, cercando di allungare una mano: il formicolio era insopportabile. Dovevano averla imbottita di antidolorifici così tanto che sentiva quella zona…leggera. E anche la testa era leggera, così tanto che ripiombò in un sonno agitato.

    Una mano le passava un panno umido sulla fronte. Il panno profumava di buono, di pulito, la mano era attenta e delicata. La voce era familiare, se ne aggiunse un’altra che parlava altrettanto a bassa voce, qualcosa sulle medicine e sulla riabilitazione. Come al solito, si preoccupano troppo. Sarò già in piedi fra qualche giorno.

    « Nennè...! Ciao amore di nonna, mi senti? »

    « Titti non sforzarl-ah è sveglia davvero stavolta. Ciao piccolina, siamo qua, ci sei? »

    Un vago grugnito di risposta, un colpo di tosse per la gola secca. Le labbra non erano screpolate, qualcuno doveva averle umettate regolarmente dopo averle tolto il piercing, quindi il lieve sorriso non causò nessun taglio. I visi stanchi dei coniugi Di Fiore erano entrambi nel suo campo visivo insieme alle carezze tenere, affettuose.

    « Ti do un bicchiere d’acqua, aspetta che ti alzo appena appena la testa. »

    La mano di nonna Assunta le cinse con delicatezza la nuca, affondando tra i riccioli bisognosi di una doccia senza nessun problema. L’acqua fresca le bagnò prima le labbra, poi la gola riarsa e le causò un sollievo immediato, ma un po’ troppo entusiasta: il dolore al costato le ricordò che tossire doveva fare un male boia, ma non quanto si aspettava.

    « Quanto...ho dormito? »

    « Eh una settimana buona. Ti serviva, però. »

    Raia annuì piano, guardandosi un po’ intorno: non era nei suoi appartamenti, ma nell’ala di terapia intensiva dell’ospedale interno al Palazzo di Corallo. Gennaro uscì a chiamare l’infermiera e in pochi secondi la stanza fu gremita di personale che, con delicatezza, invitò i nonni ad aspettare fuori. Anzu si morse il labbro inferiore, divertita nello scorgere l’espressione di assoluta furia che attraversò il volto della nonna nell’istante precedente all’inconfondibile, netto suono delle mani sui fianchi: Assunta Di Fiore era appena entrata in guerra e ci volle l’intervento del dottor Dawson, arrivato in soccorso del suo assistente, perché fosse chiaro che i Di Fiore non sarebbero andati proprio da nessuna parte.

    Raia voleva sedersi e le sconsigliarono di farlo. Alla domanda sul perché le veniva sconsigliato di fare qualcosa se, tutto sommato, si sentiva bene, furono Assunta e Gennaro a sedersi. Insieme al dottor Philip Dawson, che si assise su uno sgabello: si passò una mano fra i capelli biondi ormai ingrigiti e si sistemò gli occhiali sul viso, acquisendo un’espressione molto, molto seria nell'umettarsi le labbra per parlare.

    « Dottore, ho perso una gamba. »

    La stanza crollò in un silenzio di tomba. Raia raccolse le mani in grembo, spostando appena il tubicino collegato all’iv.

    « Non ho avuto una commozione cerebrale, mi ricordo cos’è successo. E ho gli occhi che funzionano bene, nonostante tutto. Quindi ora io mi siederò un po’ come posso e lei mi spiegherà la faccenda facendo finta di essere ad Atlantide e non in un film drammatico sull’invalidità. »

    L’iniziale sgomento del dottore venne subito sostituito da un rapido cenno del capo nel vedere l’espressione negli occhi dorati della donna di fronte a lui. La schiena dritta, la voce ferma e la lieve pressione del canino sinistro sul labbro inferiore indicavano che no, non si trattava di una calma facile da mantenere. Il dottor Dawson era ad Atlantide dall’attacco del Leviatano e aveva dovuto dire a molti, moltissimi civili le notizie più orribili della loro vita. La differenza fra l’atteggiamento di un civile e quello di un soldato era abissale, ma un Esecutore…era un livello ulteriore.

    « Quello che vorremmo chiederti, Raia, è cosa vuoi fare ora. Ci sono due scelte, come puoi immaginare. »

    « Voglio solo sapere quale mi rimette in piedi prima. »

    « Nennè, non dovresti davvero pensare ora a- »

    La testa di Raia si piegò appena verso Gennaro, scoccandogli uno sguardo che bastò a silenziarlo immediatamente. Assunta fece sedere il marito, tenendogli fermamente una mano tremante fra le sue. Gennaro Di Fiore, nel suo patriottismo e senso storico acutissimo, era fin troppo consapevole dell’immediatezza della scelta, ma anche delle conseguenze di essa.

    Quando l’equipe medica lasciò la stanza, fu Raia a rompere il silenzio pieno di disagio che era venuto a crearsi, e lo face con una frase di una semplicità disarmante, ma così efficace all’interno di quella famiglia da strappare con un colpo solo ogni indecisione, ogni timore e ogni stralcio di oscurità. Grazie a quella frase, nessun discorso venne fatto e non un’oncia di negatività contaminò quelle tre persone che si erano unite a causa di tragedie e dolore, ma da esse ne avevano tratto l’animo di oricalco necessario ad affrontare ogni cosa.

    « Nonna, io avrei un po' di fame. »

    ***



    « No, no e no. Bernadette, non farmi venire lì. Ne abbiamo già parlato, non possiamo organizzare il ricevimento per l’orfanotrofio E il ballo in onore dei veterani nella stessa serata. Se mi chiedi ancora una volta perché invece di trovarmi un’altra data, hai bisogno di una vacanza, non di un aumento. »

    Le dita di Raia scorrevano velocissime sugli holoscreen mentre il viso preoccupato e rassegnato di Bernadette Havisham, l’incaricata alle raccolte fondi, annuiva e terminava la chiamata. Con un ringhio frustrato, la testa riccioluta di Raia affondò nel cuscino dietro di lei mentre lei si artigliava la faccia, mugolando. Il prurito al moncone era diventato insopportabile ormai, soprattutto da quando le avevano impiantato l’innesto. Era quel tipo di prurito interno a una ferita ormai guarita, che contrastava orribilmente con le fitte di dolore fantasma con cui stava convivendo da un paio di settimane. Nessuno dello staff del Palazzo di Corallo era psicologicamente preparato ad avere non solo la Prima Dama a riposo forzato, ma anche la Prima Dama incapace di occuparsi in prima persona delle faccende.
    Era bastato letteralmente un giorno dal trasferimento nelle sue stanze perché anche Johanna si rassegnasse all’idea che no, Raia non aveva la minima intenzione di prendere ulteriori giorni di riposo senza quantomeno monitorare la situazione.
    Anche perché rischiava di diventare ingestibile.

    Raia espirò attraversò le dita, sopprimendo per l'ennesima volta il bisogno di grattare qualcosa che non c'era. O meglio, che non poteva essere grattato, in quanto la ferita interna che collegava le terminazioni nervose alla base di incastro della futura protesi era ormai guarita e probabilmente non prudeva fisicamente, ma le dava quella sensazione.

    « Bernadette? »

    Grugnì finalmente, attendendo la risposta pacata della ragazza dall'altro lato della linea.

    « Hai provato a guardare il 26? Possiamo trasformare la cena in un high tea e liberare la sala dei ricevimenti per le otto. Se i ragazzi sono veloci, per le nove dovremmo essere operativi per il ballo. Assumi un altro catering, dì a Octavian che hai il mio permesso o non ne usciamo più.
    E scusa se sono stata sgarbata.
    »


    Doveva alzarsi. Sì, doveva decisamente alzarsi, stare seduta la stava facendo andare giù di testa. Si allungò per prendere una fascia di stoffa dal cassetto del comodino, con cui si legò i capelli per tenerli lontano dal viso. Con un'espressione di corrucciata determinazione, lanciò la gamba sana fuori dal letto e posò la pianta del piede nudo sul pavimento.

    Fu lì che ebbe un mancamento. Le dita afferrarono la coperta, artigliandola spasmodicamente nel fissare fisicamente l'avanzatissimo pezzo di tecnologia attaccato al moncherino. La protesi vera e propria doveva ancora arrivare dai laboratori, aveva effettuato le misurazioni qualche giorno prima. Il profondo respirò arrivò tremolante, poi mano a mano più calmo e sicuro. Si massaggiò le tempie fra le dita, rimettendo in ordine i pensieri: aveva già fatto la fisioterapia quella mattina, il bisogno di alzarsi era semplicemente per abitudine. A quell'ora del giorno, Raia era in allenamento per mantenere il fisico a regime ottimale e la mancanza di adrenalina le stava facendo formicolare il corpo.

    Andrà tutto bene.

    « Va tutto bene ora, e sai già il perché.»

    Raia alzò di scatto la testa, realizzando improvvisamente di non essere sola. Il cervello aveva registrato il bussare troppo tardi e questo la portò a una reazione a scoppio ritardato: la gamba scattò in avanti in un riflesso condizionato dimentico dell'assenza dell'altra e Anzu si scaraventò a terra da sola, riuscendo ad atterrare appena in tempo su una mano. Sospirò esasperata, ma non poteva fare nulla per nascondere l'effettiva gioia che provò nel vedere, quasi a testa in giù, l'alta e solida figura di Oliver.

    « Se ti avvicini e provi ad aiutarmi, ti chiameranno anche Manodiferro. »

    Distanziò le braccia, facendo peso sulle dita prima di tenderle e spingere: con un fluido movimento, atterrò nuovamente con il sedere sul letto, sollevando entrambi i pollici in segno di vittoria. Guardò il viso di Oliver per un lungo momento, poi lasciò che il proprio viso si sciogliesse in un sorriso. Si aggiustò lo short da basket - viola Lakers - sul moncherino e si alzò - stavolta con maggiore grazia e fermezza - per iniziare a rifare il letto.

    « E se mi guardi così, forse dovrai farti anche gli occhi nuovi. Su, ragazzone, sei un Fabricator e hai il cuore di oricalco. Non è la fine del mondo, mi devo solo...

    ...beh, appena arriva la protesi mi dovrò abituare, ecco.
    »


    Si strinse nelle spalle. Doveva affrontare la cosa con praticità.

    « Più che altro, guardati! Sono stata fuori combattimento per poche settimane, ma ti sento già...diverso? Sarà l'amore? »

    Sghignazzò, sedendosi poi tranquilla sul letto rifatto prima di indicare la cassa con aria complice.

    « Sbaglio o quella ci eravamo ripromessi di berla se uno dei due andava in pensione? »

    narrato | « parlato » | pensato | × telepatia ×
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    Nome | Raia Droshar
    Scale | Anzu {IV}
    Energia | Rossa
    Status Fisico | Ottimo Eh
    Status Mentale | Ottimo
    Status Scale | Non indossata

    Riassunto Azioni | Eccoci!


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    Our Last Dance

    II

    Non nascose un piccolo sussulto nel vedere Raia provare a rialzarsi. Non aveva bisogno di una mano – era stato chiaro a tutti – e la frase pronunciata nei secondi successivi aveva confermato la questione. La Prima Dama di Seadragon aveva una forza di volontà tale da smuovere interi palazzi, e la povera Bernadette ne aveva avuto un piccolo assaggio. Se ti avvicini e provi ad aiutarmi, ti chiameranno anche Manodiferro. Un movimento naturale, quasi elegante, la rimise in piedi – la fortuna di essere soldati dell’impero, l’esser allenati a compiere i movimenti più difficili anche in situazioni sfavorevoli. Alzò le mani in segno di resa. Hey, ho imparato a mie spese cosa vuol dire mettersi contro di te. Perché se c’era una cosa definita “leggendaria”, oltre alla sua efficienza, era proprio l’impossibilità nel mettersi sulla strada di Raia. La vide sorridere e ciò lo rincuorò, anche in una situazione del genere aveva adottato un atteggiamento – se non positivo – quantomeno fiero. Entrò nella stanza, cercando di far saettare lo sguardo tra gli elementi decorativi per non finire a fissare il moncherino. Era una cosa che avevano fatto, spesso, anche con lui – con il cuore artificiale – e che, a lungo andare, aveva trovato quasi stancante. Adagiò la cassa ai piedi del letto, prendendo posto accanto a lei. Che rimanga tra noi, a Bernadette piace quando una persona usa un certo tono – tranquilla.


    E se mi guardi così, forse dovrai farti anche gli occhi nuovi. Su, ragazzone, sei un Fabricator e hai il cuore di oricalco. Non è la fine del mondo, mi devo solo.. Beh, appena arriva la protesi mi dovrò abituare, ecco. Le prese la mano, stringendola sia con gentilezza. Non poté davvero fare altro che sorridere, era quasi naturale in sua presenza. Anche un Fabricator si preoccupa per sua sorella maggiore. Lasciò passare quei secondi di silenzio, tentando di riempire l’imbarazzo con un cambio di discorso, al quale – fortunatamente – trovò rimedio la ragazza, accennando a Law. Una smorfia divertita gli illuminò il volto, lasciò andare la presa gettando la testa indietro e stendendosi sulla parte di letto che aveva occupato. Guardò il soffitto, sul quale erano dipinti – come in tutte le altre stanze – eleganti venature e ghirigori dorati. Non passava molto tempo in quella parte del palazzo, avendo una casa fuori dall’ambiente regale; fu catturato dalle geometrie decorative per qualche secondo, prima di continuare. Già, già. Sta.. Funzionando, a quanto pare. Ci siamo visti qualche giorno fa. Portò in alto la mano, tendendola verso il soffitto come a raggiungerlo, ad accarezzarlo. Mi ha letto qualcosa, di un autore che non ricordo. Blake, credo? Non lo so, non ho mai sentito questa gente prima. Diede qualche buffetto leggero alla parte del letto che si trovava dietro Raia, invitandola a stendersi con lui. Eppure, il mio cervello ha ricordato queste due frasi, non escono dalla mia testa.



    Under every grief and pine, runs a joy with silken twine. Il tono di voce quasi combatté nel pronunciare quelle parole. Quando gli ho chiesto a cosa si riferissero, mi ha spiegato che c’è gioia – c’è del bene – anche in una situazione negativa, anche in ciò che non ci aspetteremmo normalmente. L’altra mano prese ad accarezzare l’intarsiatura al bordo del letto. E’ un po’ come per noi. Sai, c’è voluto un po’ di tempo per abituarmi alla sensazione del cuore meccanico. Dolore fantasma, repulsione di un corpo estraneo, insofferenza. E forse capiterà la stessa cosa nel periodo di abitudine della tua protesi; però, nonostante ciò che ci è stato portato via, abbiamo guadagnato qualcosa in più, qualcosa che ci permette di continuare a combattere, di continuare a vivere. Incrociò i suoi occhi per un attimo, regalandole qualche secondo di serietà. La sua era stata una terribile sventura, ma una protesi l’avrebbe rimessa in piedi – le avrebbe permesso di essere anche più forte di prima. Si tirò su, raggiungendo la cassa senza alzarsi. Il lucchetto si aprì con uno scatto sordo e il coperchio si sollevò in pochi secondi. Sì, era la scorta del giorno della pensione, ma Oliver – in un ragionamento quasi egoistico – aveva deciso di accorciare i tempi e di rendere quel periodo degno della consumazione. Sono sicuro che potremmo fare uno strappo alla regola, ne apriremo una sola. Prese una bottiglia di whisky, ammirandone l’aspetto. Glenfiddich del 1937, questo lo hai trovato in missione, se ricordo bene, no? Lo passò alla ragazza, continuando a destreggiarsi tra il contenuto della cassa per rimettere tutto al suo posto.


    E comunque, da quel che so, anche tu hai fatto una buona strage di cuori. Potremmo davvero mettere su un duo comico, io e te. Poi ebbe un’idea – conoscendo la passione per la musica dell’amica. Si alzò in piedi, raggiungendo il borsone che aveva appoggiato all’entrata. La distanza da officina a palazzo non era molta, e ciò gli aveva permesso di poter fare una piccola fermata per recuperare il registratore che ascoltava durante il lavoro. La traccia selezionata fu la stessa che la ragazza aveva messo in sottofondo durante la loro prima serata passata assieme, dopo il lavoro.


    Lasciò che la musica arrivasse ad un moderato volume, prima di voltarsi verso l’amica. Sorrise, invitandola a prendere un sorso di whisky, prima di avvicinarsi imitando uno scoordinato e ridicolo movimento di ballo. Perché avrebbe fatto di tutto per farla ridere, per allontanare la sua testa da pensieri riguardanti l’incidente, il lavoro, la carica di stress della giornata. Oliver si sarebbe fatto carico di un po’ di quel peso, per quel giorno, e lo avrebbe convertito in un lungo sospiro di sollievo – perché era quello che facevano loro due, infondo; si prendevano cura l’uno dell’altro. Indicò Raia, senza smettere di avvicinarsi in modo quasi comico.

    Twenty-five years and my life is still
    Trying to get up that great big hill of hope
    For a destination



    Oliver aveva passato i primi minuti a guardare i volti delle persone nel locale. Non conosceva nessuno, se non Raia. La ragazza lo aveva letteralmente trascinato lì al termine della giornata lavorativa di entrambi – asserendo che se non fosse riuscito a divertirsi lì, probabilmente non ce l’avrebbe fatta da nessuna parte. Era uno dei pochi posti in cui, in contrapposizione alla rigida funzionalità del settore, avrebbero potuto lasciar andare la maschera da soldati. Alcune facce le aveva già viste nelle squadre dell’esercito, altre invece doveva averle incrociate a palazzo. Si avvicinò al bancone nel momento in cui la gente sembrò non assaltare più il povero gestore. Si sedette su uno sgabello ordinando la prima cosa venutagli in mente, per poi osservare l’ambiente circostante alla ricerca di Raia, che aveva iniziato a cantare – tra le persone salutate – una canzone.

    Tu ricordi questa canzone, so che la ricordi.

    Sorrise.






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    Baby shark dododo
    [...]
    Sister shark dododo
    [...]
    Mommy dragon dododo
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    Daddy Pan dododo



    Per Sandra essere diventata EE SE CUH TOH RE aveva portato dei vantaggi che non si era aspettata. Principalmente quello di poter andare un po' dove le pareva. Ormai era diventata brava, era diventata ubbidiente, faceva tutto quello che la mamma, la sorellina e la sorellona le dicevano. In cambio aveva dolcetti e coccole. Certi giorni un po' più di una, certi giorni un po' più delle altre. Però era stato chiarito che il numero di entrambe non poteva scendere sotto i due ogni giorno, a parte quando non era proprio possibile. Ma in quel caso le era stato promesso un recupero.

    In quella particolare giornata, Sandra era per conto suo in giro per il perimetro che le era stato concesso come esplorazione. Non poteva allontanarsi troppo dal palazzo da sola, ma più faceva la brava, più le allargavano l'area. Ultimamente era sempre stata brava, non aveva mai fatto male a nessuno in taaaanto tempo, e quindi non le avevano dovuto più fare le punture. Per questo Sandra era contenta. Contenta per l'assenza di punture, e contenta per il fatto che - nonostante sapesse di non capire bene le cose - stava facendo la brava persona. In quella particolare giornata, poi, Sandra non era completamente da sola, aveva Oreo che le trotterellava accanto, con le orecchiotte morbide che facevano su e giù al ritmo delle zampotte corte. Sandra si fermò a fargli un gritto tra le orecchie prima di riprendere a camminare. Poi si fermò di botto perché non ricordava se aveva spinto il bottone che dava il cibo a STORMAGEDDON DARK LORD OF ALL, lo squalo gigante in miniatura che le era stato regalato per natale. Poi ricordò che aveva il timer e riprese a camminare.

    In tutto questo, Sandra stava portando di traverso tra le braccia un oggetto lungo, arcuato, metallico e pesante. Impacchettato male e infiocchettato peggio. Contemporaneamente, c'era un'intera divisione del mechanicus che stava letteralmente ribaltando l'interno del loro mezzo di trasporto proveniente direttamente da Mechanus alla ricerca di ciò che Sandra aveva innocentemente sottratto. L'aveva fatto in buona fede eh, quei signori coi tubi in testa ci stavano mettendo troppo con le loro preghierine. Le avevano dette tre volte, poi uno degli altri voleva dirla anche lui una perché diceva che era fan di Raia e voleva che la sua preghierina fosse sempre con lei accanto alla sua SPESSA COSCIA e gli altri l'hanno preso a schiaffi nella nuca e quindi Sandra è arrivata e l'ha portata via per conto suo. Così canticchiando tornò a palazzo.

    Baby shark dododo
    [...]
    Sister shark dododo
    [...]
    Mommy dragon dododo
    [...]
    Daddy Pan dododo


    Avvicinandosi alla porta della stanza di Raia, Sandra sentì chiaramente il cosmo di Oliver assieme al suo, perciò, Sandra si avvicinò alla porta, l'aprì pianissimo pianissimo - il bussare ancora non le riusciva bene bene e non voleva rovinare la porta di Raia - e appoggiò la testa al muro facendo capolino con un occhio dalla piccola apertura.

    Posso entrare?




    Non state facendo la lotta vero?
    - Quella era una storia per un altro giorno. Poi senza veramente aspettare una risposta, spinse la porta un poco di più con la fronte facendola aprire ulteriormente, finché non poté entrare la sua testa. La larghezza della testa fu sufficiente a far entrare Oreo, che corse verso Oliver e cominciò a nasargli le caviglie, sentendo odore di Gabriel Candicio. Poi senza aprirla ulteriormente Sandra si infilò nella stanza, scivolando con un unico movimento, un mezzo passo di danza, per poi mostrare il suo regalo. Ribadiamo, incartato male e infiocchettato peggio. La protesi di Raia. Sandra ovviamente non poteva saperne le specifiche tecniche, ma era l'assoluto top delle protesi, fatta per heavy duty da guerra e uso intensivo di cosmo, oltre che ricalibrato per non andare in cortocircuito ad alti voltaggi e dotata di oscillatori interni per armonizzarsi alle vibrazioni sonore create da Raia. Era praticamente il modello aggiornato di quella che aveva Sandra al braccio, era anche dello stesso colore e aveva la stessa livrea, ma più slanciata. Ciondolò verso il letto e appoggiò quel bestione metallico sul lenzuolo, tirando l'orlo dei vestiti di Oliver indicandola. Al fatto che queste cose erano da Oliver c'era arrivata anche lei.

    Poi si voltò verso Raia. - Ora siamo come sorelle. - Allungò la mano metallica davanti a sé.


    IW7FzxT

    NOME ⁕ Sandra Derham
    ENERGIABlu
    CASTA ⁕ Cavalieri Imperiali di Poseidone
    SCALE

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    Raia rimase in silenzio durante il discorso di Oliver, guardandolo semplicemente. La testa era leggermente inclinata, in ascolto, mentre il sorriso tranquillo assumeva contorni quasi mesti per diversi secondi: un'ombra era passata sul viso di Anzu, mentre il dolore di Oliver si connetteva al suo. Non potevano essere più diversi e non potevano avere passati più diversi, ma Atlantide aveva permesso loro di avere una nuova vita, che aveva incluso legami con le persone più disparate.
    Un meccanico di Città del Messico e un'ex studentessa di Management dalla nazionalità combattuta.
    Mentre lo guardava parlare, preso in quel piccolo dolore condiviso, combatté ferocemente l'istinto di porre una mano sulla sua spalla. Quel piccolo gesto avrebbe portato a una catena di eventi verso la quale non voleva andare, che li avrebbe trascinato a fondo solo lei nel migliore dei casi, entrambi nel peggiore.

    E no, Raia non voleva togliere a Oliver quel piccolo momento: notò la luce nei suoi occhi mentre parlava di Lawrence e si concentrò sul calore che il ricordo portava dentro il compagno d'arme. Lo usò per riscaldarsi, per allontanare la brezza fredda che ogni tanto le avviluppava il cuore e la congelava nel terrore, di notte. Si concesse quell'attimo di egoismo, assorbendo ciò che Oliver le stava portando con un'avida discrezione che la portò a raccogliere le mani in grembo. In silenzio.

    « Joy & Woe are woven fine. »

    Disse piano, socchiudendo appena le palpebre sulle iridi dorate in quello che era un sorriso dapprima triste, poi improvvisamente ironico. Come un lieve calo di tensione, Raia riprese a scintillare e ogni traccia di tristezza venne spazzata via dal viso mentre l'associazione veniva spontanea e naturale insieme a un ricordo.

    « Blake è decisamente più poetico di come l'ho imparata io. Mio padre diceva sempre che la vita è come un'eterna sbronza: i momenti di euforia passano, rimane l'emicrania.

    E sai la soluzione?
    »


    Il suo sguardo seguì intenta la mano di Oliver sulla bottiglia di Glenfiddich e la prese, ammiccando: aveva pronunciato il detto in farsi e poi in una maniera comprensibile anche all'altro, prima di rilassarsi in un accenno di risata che, calda e tranquilla, accompagnò il versare dello scotch in entrambi i bicchieri.

    « Continuare a bere, tanto di qualcosa devi morire. »

    Clink. Il cristallo risuonò con allegria, facendo danzare il liquido ambrato all'interno. Raia fece fare un rapido giro all'alcolico sulle pareti del bicchiere - non era un tulipano, ma lei non era neppure in condizioni di far arrivare due bicchieri giusti dalla cucina - e ne inspirò intenta l'aroma. Le riportava in mente cose buone, bei ricordi e risate ammiccanti davanti all'ultimo giro.

    « Sì, la bottiglia era ancora chiusa. Non che il precedente proprietario abbia avuto l'occasione di aprirla. »

    La bottiglia veniva da quella che doveva essere stata l'abitazione di un ricco italiano. Una villa di campagna vicino Parma, diventata teatro di omicidi brutali che avevano inzuppato il parquet fino a farlo prima gonfiare e poi sbriciolare sotto la Scale di Raia, che era precipitata nella tavernetta, o più probabilmente ex-sala dei giochi. A parte i cadaveri disseminati nel terreno - una fuga di gas e la porta sbarrata avevano decretato la fine della famiglia nel sonno - nel mucchio di roba accatastata come riserva per il fuoco Raia aveva trovato quella bottiglia. L'aveva presa d'impulso, ansiosa di lasciarsi alle spalle quei corpi scheletriti, soprattutto quelli più piccoli.

    « Beviamola anche per loro. »

    Accompagnò il bicchiere alle labbra, assaggiando piano. Ebbe un lieve brivido, dato che non beveva da diverse settimane, quindi considerò il primo sorso quasi sprecato prima che i sapori cominciassero a distinguersi sulla lingua. Sorrise prima di deglutire, concedendosi un secondo sorso che finalmente sprigionò ogni dovuta sfumatura.
    Guardò Oliver, che aveva quasi buttato giù il bicchiere e cominciò a ridere.

    « Lawrence ti insegna poesia e non ti ha ancora insegnato a be...oh, no! »

    Twenty-five years and my life is still
    Trying to get up that great big hill of hope
    For a destination

    SzY1CJV

    La voce di Linda Perry aveva attaccato le parole di una delle canzoni più celebri delle 4 Non Blondes e, automaticamente, le labbra di Raia si distesero in un sorriso ampio, immensamente sereno e divertito. Oliver era al centro della stanza e stava accennando quasi dei passi di danza, con gli occhi accesi da un'espressione complice.

    Che è quel muso lungo, hermano?
    Nulla, davvero...forse sono solo stanco.
    Raia socchiude gli occhi, dubbiosa. Poi ordina due doppi Jack e comincia a bersi il proprio, ondeggiando al ritmo di una canzone che è appena passata sulla radio del bar dove sono andati a scaricare la giornata. Va verso il centro della pista, gettando all'indietro i riccioli nel seguire la canzone, prima di sorridere apertamente: è già lievemente brilla e serena, contenta di avere quelle ore tutte per lei e per la persona un po' sperduta che ha deciso di portarsi dietro.
    Non lo conosce ancora davvero, ma ha la sensazione che possa essere qualcuno con cui ci si può divertire, dopo aver superato il test Di Fiore.


    I realized quickly when I knew I should
    That the world was made up of this brotherhood of man
    For whatever that means



    Si stava avvicinando davvero. Voleva...ballare?

    « No, direi proprio di no, caro mio, non sono ancora ubriaca abbastanza! »

    Lei alzò il bicchiere in segno di difesa, stupefatta e lievemente imbarazzata. Il tono era divertito e la frase ironica, ma c'era un allarme percepibile e lei improvvisamente rigida, il corpo contratto da un'esitazione profonda che si trasmise lungo il braccio e venne interrotta appena prima di arrivare al bicchiere. Negli occhi di Raia per un attimo Oliver vide il panico sincero, mentre si lasciava prendere una mano tremante. Sarebbe risultata ridicola. Sarebbero inciampati. Sarebbe successo un disastro e avrebbe rovinato tutto.
    L'altra, quella con lo scotch, era libera. Gli occhi verde-oro guizzarono rapidamente dal cristallo al messicano, mentre il respiro si faceva più corto e la cosa rischiava di degenerare.
    Rischiava di trasformarsi in qualcosa di sgradevole.

    And so I cry sometimes
    When I'm lying in bed just to get it all out
    What's in my head
    And I, I am feeling a little peculiar


    « And so I wake in the morning
    And I step outside
    And I take a deep breath and...and I get real high
    And I scream from the top of my lungs
    What's going on?

    And I say...
    »


    Raia respirò ed era fra le braccia di Oliver. La schiena contro il suo petto, il bicchiere in una mano e le lacrime che scorrevano piano sulle gote. La voce era esitante, ma trovò improvvisamente una forza inaspettata che suonò nella stanza e la riempì di qualcosa che era un po' una risata, un po' un'agonia e un po' un sollievo profondo.

    « HEY YEAH YEAH HEEY YEAH,

    HEEEY YEAH YEAH!

    I SAID HEY!
    »


    « WHAT'S GOING ON? »


    E per una volta, Raia Droshar sentì di poter avere qualcuno a reggerla se fosse caduta. Di non dover dimostrare nulla a nessuno, di essere semplicemente fragile per qualche minuto. Per il tempo di una canzone. Passata a dondolare piano, lei su una gamba sola e lui con un cuore di metallo. Due bicchieri in una mano e due vite nell'altra, legati a doppio filo a qualcosa che li aveva salvati nel corpo e nell'anima. A un ideale più grande di loro, che oscurava quanto in realtà sembrassero goffi e ridicoli in quegli strani movimenti monchi, ma pieni di un affetto che portò la testa di Raia contro quella di Ollie mentre cantavano insieme, abbracciati stretti.

    E quando la canzone finì, si voltarono entrambi di scatto verso la figura che era entrata in quell'istante, preceduta dallo scalpiccio eccitato del cane. Sandra era in piedi, sorridente e con qualcosa di grosso e pesante in mano che aveva tutta l'aria di essere caduto da un camion - e probabilmente la parte del camion era vera, considerando lo sgomento che colse per un attimo il viso di Raia nel riconoscere cos'era l'oggetto.
    Si asciugò rapidamente le lacrime, cercando di controllare la voce nel guardare Sandra con qualcosa che non fosse assoluto stupore e, soprattutto, di reprimere un "Dove diamine l'hai preso quello?".

    Ora siamo come sorelle.

    Si fece accompagnare da Oliver vicino a lei, prendendole le dita metalliche con una mano e accarezzandole il viso con l'altra, seguendo il movimento che lei fece con la testa per prendersi ogni centimetro di quella carezza. La accompagnò fra le sue braccia, stringendola un po' per diversi momenti, prima di lasciarle un bacio commosso fra i capelli biondi.
    Inspirò ancora, controllando il respiro.

    « Eh sì, khanoomi. »

    Doveva darsi un contegno, maledizione. Strinse appena la guancia di Sandra fra due dita, prima di guardare Oliver in rassegnata serenità.

    « Se solo ci fosse un Fabricator per aiutarmi a collaudarla, eh? »

    Fece l'occhiolino.

    narrato | « parlato » | pensato | × telepatia ×
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    Nome | Raia Droshar
    Scale | Anzu {IV}
    Energia | Rossa
    Status Fisico | Ottimo Eh
    Status Mentale | Ottimo
    Status Scale | Non indossata

    Riassunto Azioni | :arross:


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    La figura di Sandra, in tutta la sua tenerezza, sembrò quasi illuminare la stanza di una luce diversa. Non aveva mai avuto a che fare direttamente – e personalmente – con le figlie della Primarca per più di qualche minuto, non aveva mai intrattenuto vere e proprie conversazioni, né scambi di battute. Eppure, non aveva mai fatto mancare loro, per rispetto verso Lady Johanna, un regalo nelle ricorrenze più celebrate. Perlopiù giocattoli meccanici, stupidaggini da tenere ferme su una mensola a prendere polvere. Non avrebbe mai potuto conoscere a fondo i loro gusti, così trovavano presenza nei pacchetti animali a molla, modellini, tutto ciò che poteva essere costruito, con inventiva e divertimento, in officina. La ragazzina era stata anticipata da Oreo, che aveva letteralmente assalito Oliver con tutta la sua energia. Una mano scivolò dietro la testa del corgi, grattando l’orecchio e giocando con il suo muso, colpendolo con rapidi ma morbidi colpi. Era riuscito a capire come guadagnarsi la loro fiducia, dopo essersi scontrato davvero troppe volte con Gabriel Candicio Montoya De la Rosa-Ramirez.


    SAI QUANTO HO DOVUTO RISPARMIARE
    PER QUEL COMPLETO?


    BORK.


    Domani hai una giornata di gioco con Oreo
    NON ROVINARE UN’OPPORTUNITA’


    BORK BORK.


    AAAAAAA, LE MIE SCARPE, PENDEJO-



    Dopo aver coccolato abbastanza il piccolo, si alzò dal pavimento per sorreggere Raia – accompagnandola fino a dove si era fermata la principessa dell’Atlantico Settentrionale, che aveva rivolto all’amica un sorriso così gentile. Non seppe davvero cosa pensare, né come sentirsi – era una sensazione che, per forza di cose, non riusciva davvero mai a categorizzare. A parte il piccolo Deku, non aveva praticamente mai a che fare con persone così giovani, e qualsiasi loro reazione lo mandava in confusione, totalmente. Percependo un tremito nell’andamento di Raia, così come una nascosta commozione, non poté fare altro che stringerle più forte la mano ed il fianco, come a infonderle più sicurezza e tranquillità. Non sopportava vederla così, nonostante la sua sicurezza, il suo approccio coraggioso. E come avrebbe potuto non essere coraggiosa in un momento del genere? Era un’atlantidea e – per di più – era una donna dell’Atlantico Settentrionale, il che era come un chiaro biglietto di presentazione. Loro erano forti, sempre, ventiquattrore su ventiquattro – non potevano permettersi di essere altrimenti.

    La forma del pacco che la figlia adottiva della Primarca portava con sé era facilmente intuibile, a causa della forma, dell’incarto – nonostante il totale impegno di Sandra – e delle sue sbirciate ai progetti. Quella protesi, senza vergogna nell’ammetterlo, lo elettrizzava così tanto da vergognarsi, quasi. Non aveva a che fare con la tragedia che aveva colpito l’amica, ma nella natura in sé dell’arto meccanico – nella sua composizione, nella sua struttura e nelle capacità che avrebbe potuto esibire, in combinazione ai poteri della ragazza. I vecchi progetti che aveva studiato a Mechanus erano ottimi, il top gamma dell’Impero, ma mancavano di alcuni accorgimenti che soltanto l’evoluzione nella teoria e nella tecnica avrebbe potuto loro conferire. E, dopo essersi intenerito per la carezza fatta alla figlia della Primarca, Raia riuscì a riempirlo di orgoglio ancora una volta – con una semplice frase.

    Se solo ci fosse un Fabricator per aiutarmi a collaudarla, eh?



    Gonfiò il petto, mentre i palmi delle mani andarono a scontrarsi l’uno con l’altro – velocemente – prima di essere sfregati con energia. Oggi è il vostro giorno fortunato, signorina. Si girò verso Sandra, accompagnando il sorriso con un occhiolino, muovendo la testa verso il letto. Aiutando l’amica a camminare di nuovo verso il punto su cui si erano seduti, prese posto a terra – proprio davanti a lei e davanti all’innesto precedentemente realizzato. Prese il suo tempo per dare un’occhiata, non sembravano esserci complicazioni – né infezioni – nella parte in cui oricalco e carne andavano a congiungersi. Raia aveva seguito alla lettera le indicazioni dei dottori per il trattamento post-operatorio, facilitando il processo di guarigione e di funzionamento. Ora, la parte di metallo che le era stata impiantata alla fine del moncherino funzionava come connettore. I nervi si collegavano ad essa tramite appositi canali – fornendo l’apertura necessaria ad interfacciarsi, e influenzare, la protesi che i migliori ingegneri avevano realizzato. Che dici, Sandra, vuoi farmi da assistente? Chiese il ragazzo porgendole la mano, in modo da farsi passare il regalo che l'altra aveva portato.

    Come molti avrebbero potuto immaginare – sì – l’installazione del connettore sulla carne di Raia era stata particolarmente dolorosa. Nonostante ciò, la protesi non aveva bisogno di alimentatori, a differenza del suo cuore, poiché utilizzava la forza del corpo umano. Il collegamento ad ogni singolo nervo, infatti, permetteva una precisa lettura dei segnali emessi dal cervello, che avrebbe reso l’arto funzionante come la sua controparte originale. Quel modello, inoltre, era stato fatto costruire secondo le precise esigenze di Raia; forma del corpo, massa, altezza e peso – ecco perché, una volta installato, l'amica non avrebbe potuto variare di troppo le proprie specifiche corporee, o l’arto non sarebbe riuscito a sostenere il peso, o sarebbe risultato troppo pesante da gestire, in caso contrario.

    And I try, oh my god do I try
    I try all the time, in this institution
    And I pray, oh my god di I pray
    I pray every single day
    For a revolution



    Con dolcezza, indicò all'assistente cosa fare; come posizionare la protesi, come aiutare a calibrarla in modo da essere funzionante al primo contatto. Era abituato a spiegare procedure del genere, anche se non gli era mai capitato di avere altri osservatori durante il lavoro. Gettò uno sguardo anche all’arto meccanico che, proprio la principessa, possedeva. Sai che sei davvero brava? Se vorrai, se e quando Lady Johanna ti darà il permesso, sarò felice di insegnarti qualcosa, principessa. Uno schiocco di dita, e un piccolo rivolo d'acqua si estese dal dito - pulendo una macchia formatasi sul connettore dell'amica. Dopo un breve giro di controllo, finalmente, fu pronto a posizionare nei binari l'arto meccanico. Dopo un breve giro di controllo, finalmente, fu pronto a posizionare nei binari l'arto meccanico. La canzone aveva rievocato quei ricordi, ricordi che - con il giusto passare del tempo - avevano lasciato nient'altro che risate, oltre a un lievissimo imbarazzo da parte del messicano. Con affetto fraterno cercò di rivolgerle uno sguardo serio, concentrato.

    Ok, ci siamo. Ascoltami, è la prima messa in funzione – la prima volta che i tuoi nervi si collegano alla protesi, ti farà male. Prese a spiegargli cosa sarebbe successo di lì a poco, per prepararla psicologicamente agli eventuali dolori, o alle eventuali sensazioni che si sarebbero susseguite. Sentirai una forte scossa partire dalla base della gamba e salire attraverso il fianco; poi, il dolore si stabilizzerà, diminuendo fino ad una quantità sopportabile. Dobbiamo dare tempo ai nervi di abituarsi all’intero sistema, quindi potranno volerci un paio di settimane – forse meno, forse di più – dipende da quanto ti sforzi. Si voltò di nuovo verso Sandra, facendo cenno di avvicinarsi. Vedi quella bottiglia laggiù, dottoressa Sandra? Indicò la bottiglia che avevano aperto poco prima del suo arrivo. Puoi darla a Raia? L’aiuterà. Aspettò l’esecuzione della richiesta, prima di passarla all’amica. Al finire della mia strofa, un bel respiro, avanti che si va.

    Fece un profondo respiro, assieme all’amica, prima di posizionare la parte superiore della protesi in direzione dei rispettivi canali di comunicazione dei nervi. Con lentezza l’avvicinò sempre di più, cantando la strofa assieme alla Prima Dama, invitando anche l'amica a fischiettare il motivetto con loro. Raia era stata privata della sua mobilità per troppo tempo, aveva bisogno di tornare pienamente operativa – aveva bisogno di tornare ad essere la forza della natura che nemmeno una sfortuna del genere avrebbe potuto spegnere.

    And I say, hey yeah yeah
    Hey yeah yeah
    I said hey
    What's going on?


    Clack.



    Ora siamo uguali, tutti noi.




    hiaAmxR

    narrato Ξ parlato Ξ pensato Ξ parlato altri
    CASTA Ξ Cavalieri Imperiali di Atlantide
    FISICAMENTE Ξ //
    MENTALMENTE Ξ //
    STATUS SCALE Ξ //

    RIASSUNTO AZIONI Ξ We all prosthesis bros and sis now
    Strong, united, working 'till we fall


    ABILITÀ Ξ //

    TECNICHE Ξ //
    And we all lift, and we're all adrift together


    Edited by ~Rain~ - 10/11/2019, 16:28
     
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    Con il sorriso ancora in sospeso sul volto, Raia vide Sandra illuminarsi nel momento in cui Oliver le chiese di fargli da assistente. La giovane si impettì, gonfiando il petto di orgoglio e prese immediatamente a tirare Anzu verso il letto con decisione e quasi un po' troppo entusiasmo. Saltellando su una gamba e cercando disperatamente di non perdere l'equilibrio, Raia atterrò di peso sul letto con sollievo, limitandosi a guardare Oliver maneggiare l'arto meccanico con fare esperto. Si illuminava di una luce tutta sua, quando aveva ingranaggi fra le mani. Ogni traccia di goffaggine data dalla stazza imponente spariva e le dita diventavano capaci di movimenti minuziosi, attenti e carezzevoli verso quello che era uno dei materiali più resistenti del pianeta...ma che per lui sembrava vetro.

    Si sedette di fronte a lei e i loro occhi si incontrarono, stavolta con serietà assoluta da parte di entrambi. La canzone continuava ad andare, ma il testo era inframezzato dalla spiegazione di Oliver che stava preparando Raia a quello che, potenzialmente, poteva essere uno dei dolori più intensi che avrebbe potuto provare nella sua vita. Non c'era alcun tipo di preparazione possibile per esso, se non un antidolorifico da elefante a cui Raia non poteva assolutamente assuefarsi. Preferiva vivere la giornata in sofferenza, ma essere vigile e cosciente riguardo i suoi doveri, lasciando il sollievo per la notte.
    E così sarebbe stato anche ora.

    « Khanoomi, ho bisogno di una cosa prima. »

    Raia sorrise quieta, prendendo la mano calda di Sandra nella sua dopo aver preso la bottiglia.

    « Vai in cucina e chiedi due caffé grandi, per piacere. E una torta, ok? Scegli tu quella che vuoi, dì che ti mando io perché sei un Esecutore grande e responsabile, e puoi portare il vassoio da sola senza rovesciarlo. »

    Sandra aggrottò le sopracciglia, cercando di memorizzare le istruzioni e chiedendo se fosse una missione ufficiale. All'assenso della donna, ripeté le indicazioni un paio di volte, facendosi correggere da Raia che le teneva ancora la mano finché non la vide soddisfatta del risultato e poté allontanarsi a passo svelto ed eccitato.

    « Chiudi la porta. »

    Clack.

    « Non voglio che assista, era addormentata quando le hanno attaccato il braccio. Grazie per averla coinvolta, comunque. »

    Sul viso di Raia, Ollie poté vedere un sollievo e una preoccupazione notevoli. Aveva dato a Sandra istruzioni precise, certa che l'avrebbero tenuta occupata abbastanza da permettere al Fabricator l'installazione ed evitarle uno spettacolo che avrebbe potuto scatenarle una crisi. Mandandola in giro per il palazzo, era certa che qualcuno l'avrebbe intercettata, allungando ancora di più i tempi mentre la ragazza sarebbe stata impegnata a bilanciare il vassoio un minuscolo passettino per volta. Il cuore di Anzu batteva all'impazzata e le dita stringevano nervosamente il copriletto quando si chinò a raccogliere un pezzo di cuoio da sotto il cuscino: lo aveva usato nei giorni precedenti per evitare di digrignare i denti nel sonno dal fastidio, e ora era contenta di averlo richiesto.

    « Nel primo cassetto ci sono dei tappi. La stanza è insonorizzata ma...farò del mio meglio. »

    Bevve tre lunghi sorsi dalla bottiglia, la passò a Oliver per finirla e poi infilò la fascetta in in bocca, stringendo. Un profondo respiro e annuì decisa, chiudendo gli occhi nel prepararsi al peggio.

    Che arrivò.

    L'ondata di dolore la fece schizzare in avanti e l'urlo venne soffocato in un brevissimo e acuto mugolio che incrinò il vetro e scatenò una lieve, ma consistente onda d'urto. Il dolore si propagò come una fiammata per tutto il nervo sciatico, contraendole gran parte del corpo in una sofferenza continua e altalenante man mano che il resto dei nervi venivano coinvolti. Fu un'agonia che sembrò durare minuti interi, prima di sfumare in un dolore sordo e costante, intervallato da fitte più acute durante gli spasmi elettrici che misero in funzione l'arto meccanico.
    Le linee di giuntura vennero gradualmente illuminate, tingendo di una luce dorata il viso imperlato di sudore di Raia che ansimava convulsamente. In quegli attimi maledisse qualunque cosa, se stessa più di tutti per essersi cacciata in quella situazione.

    Aprì piano gli occhi e la vista riprese fuoco gradualmente fra le grosse lacrime che le abbandonavano le ciglia. Stava ancora stringendo i denti e il respiro attraversava rumorosamente le narici prima che passasse a respirare con la bocca, sputando la fascetta a terra con ben poca grazia. Un elaborato insulto in farsi concluse l'ordalia mentre cercava di controllare il tremore della gamba meccanica mentre Ollie la osservava con attenzione.

    « Se perdo un altro arto, fatemi fuori durante l'anestesia. Per i Sette. »

    Esalò, lasciando che le ultime sillabe si trasformassero in un'esitante e roca risata. Espirò, scoprendo i denti nel fastidio quando sentì le mani di Ollie maneggiare ancora la gamba, cercando con molta calma di piegarla per verificare lo stato delle articolazioni. Sembrava soddisfatto, anche se ragionevolmente provato dalla situazione.

    « Se devo alzarmi, costringimi a farlo ora o impazzisco. »

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    Scale | Anzu {IV}
    Energia | Rossa
    Status Fisico | O O F
    Status Mentale | Ottimo
    Status Scale | Non indossata

    Riassunto Azioni | AHIA


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    Il respiro della ragazza era così lento, così tranquillo. Ad Oliver era sempre piaciuta la delicatezza che aveva, anche nel dormire. Non l’aveva mai sentita russare, non l’aveva mai sentita muoversi tra le lenzuola – una notte trascorsa in una calma quasi innaturale per quel posto. Accarezzò la cicatrice sul fianco destro, ripercorrendo i centimetri con l’indice; lo faceva sempre in modo quasi distratto quando stava con lei. Riesco sempre a capire quando sei sveglio, anche da qui. Alzò la testa dal divano, regalandole un’occhiata sorpresa. Elda, sono le tre del mattino, dovresti dormire. La ragazza si alzò a sedere, lasciandosi cadere i capelli scuri sugli occhi e sulle guance; gli fece cenno di avvicinarsi e il ragazzo, con svogliatezza, percorse i pochi centimetri che separavano il divano dal letto. Fa meno male la testa?Stavolta abbiamo davvero esagerato. Imelda scrollò le spalle, tornando a poggiare la testa sul cuscino, guardando il soffitto assieme all’amico. Non ci provare nemmeno. Il messicano si voltò verso di lei, inarcando un sopracciglio e accennando un sorriso. Non sai nemmeno cosa stavo per dire, o fareEsé, ti conosco da quando eravamo bambini, sei un libro aperto. Uno sbuffo, e facendo il finto offeso si voltò, dandole le spalle. La ragazza rise e gli poggiò una mano sulla schiena, strattonandolo. Non sei così bravo quanto credi, con le ragazze, eséSmettila di chiamarmi esé, lo sai che non mi piace. Finalmente riuscì a farlo voltare, in modo da poter guardarlo negli occhi. Tengo così tanto a te, Viero – lo sai – solo.. La situazione si rivelò così imbarazzante da portare entrambi a ridere, rivolgendo lo sguardo al soffitto, alle crepe che lo attraversavano.



    Non si fece cogliere di sorpresa dalla nota soffocata di dolore, l’aveva avvertita e lei era riuscita a ridurre al minimo l’espressione di sofferenza. Ne aveva installate tante di parti meccaniche ai soldati mutilati, così come aveva provveduto alla manutenzione di coloro che già possedevano arti meccanici. Osservò il riscaldamento della gamba meccanica, così come i segnali d’attivazione e di regolarizzazione. Le dita corsero veloci sui punti di giuntura, testando la loro forza e regolando la protesi per rispondere al meglio alle caratteristiche fisiche dell’amica. Un gioiello degno di Mechanus, qualcosa che anche i Fabricator dell’era passata avrebbero potuto invidiare – uno sforzo congiunto che aveva dato vita a qualcosa che sembrava così difficile, soltanto per Raia. Perché a lei si doveva più di quanto c’era da ammettere, ad un’amica – una sorella. Il ricordo di un’altra vita lo prese alla sprovvista, accostando la figura della ragazza ad un volto perso tra le tracce dell’armageddon, tra i palazzi crollati e le vite rubate. Sbatté le palpebre più velocemente del normale, scacciando dei pensieri troppo poco adatti ad un momento del genere, un momento di festa – perché Raia avrebbe potuto camminare di nuovo, combattere di nuovo, vivere di nuovo.

    Il prossimo arto perso sono autorizzato ad usarlo come arma contundente per sfogare la rabbia, mi farai prendere un colpo di questo passo. La voce assunse un velo di preoccupazione in quelle parole – la stessa preoccupazione che aveva mostrato il giorno dell’incidente. Si spostò leggermente, posizionandosi al fianco di Raia, per permetterle di provare ad alzarsi. E’ la prima volta in assoluto, quindi non mi aspetto un doppio carpiato, ma vediamo di testare l’equilibrio, forza hermana. Le braccia si aprirono a supporto di un’eventuale caduta, una caduta che non si sarebbe verificata perché, conoscendola, avrebbe impiegato qualsiasi lezione appresa durante addestramento ed allenamento per mantenere un bilanciamento del corpo impeccabile. Quello era uno dei tanti aspetti positivi dell’essere un soldato addestrato – o meglio, un soldato addestrato in maniera convenzionale.

    So che te l'ho già detto un milione di volte, ma mi dispiace non essere riuscito ad evitarlo. Nessuno si aspettava una cosa del genere, nemmeno lady Johanna. So che una protesi risolve tutto, ma è stato.. Drastico. Si mise in piedi, pronto ad osservare il tentativo della ragazza e a tentare di spostare la sua mente su un altro argomento, parlando e distraendola. Non so come si evolveranno i rapporti con Asgard; Non ho parlato con Galdor e non posso sapere se un colpo del genere sia stato intenzionale o no. Conoscendo chi ci governa, non ho ancora un'idea precisa in mente.

    Nello stesso momento, il rumore del dispositivo nella tasca di Oliver suonò, avvertendolo di un messaggio ricevuto. Il sinistro rimase in posizione, mentre il destro scivolò lungo il fianco - afferrando l'oggetto per leggere ciò che gli era stato inviato. Lo fece in silenzio, abbozzando un sorriso alla fine della lettura. A quanto pare, ci sarà una serata un po' più movimentata al solito posto, e sono tutti in ansia di vederti. Facciamo così - a grandi falcate, si posizionò davanti alla porta della camera di Raia - se riesci ad arrivare fino a qui, ci andiamo - altrimenti, porto cibo a velocità istantanea e passiamo tutta la serata a commentare vecchi film. Inarcò le spalle a mo' di scuse, piegando il collo da un lato. So di non essere Arthur, ma posso dargli del filo da torcere.

    Ed era vero, Raia e Oliver provenivano da un passato fatto di altre persone, altre esperienze – due mondi che forse non sarebbero mai venuti in contatto. Nel perdere la vecchia vita, ottenendo una seconda possibilità – tuttavia – si erano ritrovati. Quasi come un tiro di dadi giusto, una rara combinazione, i due esecutori avevano avuto l’opportunità di ricostruire quel qualcosa che avevano perso e che si erano lasciati dietro, tempo fa. Nonostante le situazioni imbarazzanti, nonostante i fraintendimenti, Cuordimetallo poteva considerare la ragazza una delle poche cose che lo tenevano ancorato ad una realtà che non era fatta soltanto di missioni all’esterno, di sopravvivenza contro la piaga. E chissà, forse il destino – in un’altra vita, in un altro tempo – avrebbe permesso anche ai due di incontrarsi, proprio come si erano incontrati lui e Lawrence. Un caso fortuito, un viaggio, un’amicizia in comune – sarebbero stati soltanto due amici, non il Fabricator e la Prima Dama. E Raia avrebbe avuto ancora una parte di sé stessa, non un freddo pezzo di oricalco a sostenerla. Il messicano fece un cenno con la testa ed aprì le braccia, muovendo le dita delle mani verso di sé.

    Respirò profondamente, così come lei fece prima del tentativo. Stare lì, passo per passo, sarebbe stato l’ideale – ma avrebbe insultato l’orgoglio di una donna che era abituata ad essere forte, così forte che spesso e volentieri aveva rivolto un pugno più che una richiesta d’aiuto. Perché era lei che aiutava gli altri, era lei che forniva il supporto necessario – abituata ad essere la colonna su cui tutti si poggiavano, in quel posto. Raia era Raia; questo era abbastanza. Tutti sapevano che quel nome e quei titoli erano sorretti da un’incrollabile determinazione, tipica di persone come loro. Per questo decise di lasciarle il suo spazio di manovra, di studiare i movimenti e gli sforzi necessari proprio come in una battaglia – avrebbe contribuito a riaccendere quel fuoco che si era solo affievolito un po’, ma mai spento. Prima un passo, poi un altro, e sarebbe tornata ad essere una forza della natura.

    Puoi farcela.






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    Raia si asciugò le lacrime e bevve un altro lungo sorso, questa volta direttamente dalla bottiglia, mentre Oliver lavorava alla calibrazione finale della gamba. Lo lasciò fare, permettendo al silenzio di riempire un attimo la grande stanza: la luce filtrava dalle finestre e la brezza artificiale gonfiava appena il tessuto delle tende leggere. Le stanze di Raia erano semplici, quasi spartane nel loro minimalismo: inizialmente aveva dovuto convivere con il lusso del proprio rango, ma man mano che aveva acquisito maggiore controllo, era riuscita a rendere anche i propri appartamenti un luogo calmo e logico - come voleva che fosse la sua mente quando tornava dentro quelle mura, a fine giornata.

    Inspirò un'altra volta quando Oliver si sedette accanto a lei, lasciandole osservare la protesi su di sé. Raia fissò la gamba artificiale con sguardo neutro, quasi assente nel compiere piccoli movimenti che le confermarono l'appartenenza di quel complesso di metallo e meccanismi al suo corpo, da quel momento in avanti. Mosse appena il piede, prima a sinistra, poi a destra. Arricciò con lieve fatica le dita - anche le dita! - poi mosse appena il ginocchio verso l'alto e stirò completamente l'arto, prima di incontrare lo sguardo di Ollie. Le stava tendendo la mano e lei la afferrò saldamente.

    Era un momento importante e Raia si concesse tutto il tempo di cui aveva bisogno per coglierlo appieno, ma si alzò. Era un dato di fatto, una cosa che doveva essere naturale e tranquilla invece di qualcosa da celebrare. Cercò di capire come mettere il peso, concentrandosi su un punto fisso della stanza nel ridistribuirlo: la sensazione di avvertire di toccare il pavimento proveniva dal peso esercitato sull'attacco e dalla certezza di avere un pavimento sotto di sé.
    Chiuse per un istante gli occhi, distribuendo quelle sensazioni ai lati dell'effettiva percezione che lentamente si innervava dai sensori sulla pianta del piede, fino ai nervi che la collegavano al moncherino e quindi al cervello. Era una protesi Atlantidea, in fondo: non semplice fibra di carbonio, ma l'effettivo sostituto di un arto che in combattimento le avrebbe trasmesso dolore se colpito.

    « Ollie, i rapporti con Asgard sono mantenuti. Ho guardato i rapporti due giorni fa. Il duello ha dimostrato quello che andava dimostrato: Asgard possiede un campione in grado di difendere i propri confini e...Atlantide rimane in piedi. »

    La voce di Raia si incrinò appena, mentre la mano destra massaggiava la radice del naso, stancamente.

    « Sono stata incauta. Era un avversario tosto e non ho combattuto al massimo del mio potenziale fin dall'inizio, come avrei dovuto fare: ho pagato la mancanza di rispetto verso il mio avversario e questo servirà a ricordarmi di non farlo mai più. »

    Il tono che uscì dalle labbra carnose della donna fu neutro, professionale. Alla fine della frase, incontrò lo sguardo di Ollie in maniera dura, quasi severa.

    « Siamo Esecutori, Ollie. Dobbiamo affrontare il fatto che uno dei due potrebbe non tornare ogni volta che usciamo da Atlantide. »

    Il viso si ammorbidì, dandogli poi un buffetto sulla guancia.

    « Forza. »

    Lo guardò sorridere al messaggio, alzando appena le sopracciglia in sorpresa quando sentì la proposta. Deglutì, soppesandola e immaginandosi conversazioni simili a quella che era appena avvenuta per tutta la sera. Silenzi imbarazzanti. Battutacce (e quelle le avrebbe preferite a qualunque silenzio imbarazzato) e più alcool di quanto le sarebbe stato consentito.

    « Io... »

    Disse piano, il volto ora puntato sulle mani tese di Oliver che la invitavano a compiere qualche passo. La sorpresa passò rapidamente alla malinconia quando menzionò Arthur, ma bastò quel pensiero a scatenarle una risata quieta.

    « Lo sai vero che la maggior parte dei commenti fatti ai vecchi film era da completamente ubriachi? »

    Fece un passo in avanti. Cauto, esitante.

    « E soprattutto, ormai sono passati quasi dieci anni e la posizione di migliore amico è già occupata da quanto...due? »

    Un altro, più sicuro.

    « Quindi non farti problemi di paragone, fare a gara con morto non fa bene all'autostima. »

    Lo raggiunse, espirando forte e poggiando la mano sulla sua spalla mentre gettava l'altra in aria, chiusa a pugno.

    « Ok, fa un male cane. Direi che non me la sento ancora di usci- »

    La porta si spalancò e una figura bassa fece imperiosamente il proprio ingresso fra le due ante, nella camera da letto di Raia. Posò entrambe le mani sui fianchi della divisa, compensando la bassa statura con un'altezzosità che la faceva quasi torreggiare rispetto ai due Esecutori.

    Tk6Kh8p

    « Droshar. »

    Il tono di Diana Derham, Principessa dell'Atlantico Settentrionale, avrebbe cagliato il latte.

    « Primo: ordinare ad una principessa di andarti a prendere una fetta di torta è aberrante. Esiste un campanello, ti è stato fornito uno stuolo di infermiere per ogni tuo bisogno e soprattutto, non è ancora l'ora del té. Quindi oggettivamente non capisco cosa ti aspettassi di trovare in cucina, né come Sandra avrebbe potuto risolvere la situazione. »

    dKPAORo

    « Secondo: Ramirez, c'è un plotone di Adeptus Mechanicus che ha richiamato alla mia attenzione la scomparsa della protesi destinata a Droshar. »

    Gli occhi azzurri di Diana si ridussero a due fessure, guardando prima Raia e poi Oliver, poi la gamba meccanica installata. Il rumore delle conclusioni tratte fu quasi udibile nel cervello della principessa, che alzò le sopracciglia e raddrizzò la schiena, espirando seccamente dal naso il proprio disappunto. Raia si rilassò contro Oliver, poggiando il gomito sulla sua spalla in una posa che rasentava la spavalderia: aveva sentito, in mezzo a quel disappunto, una punta di sollievo.

    « Terzo: fortunatamente la mia presenza ha risolto entrambi i problemi scatenati dalle vostra sconsideratezza. »

    « Cosa faremmo senza di te, khanoomi. »

    « Non usare quel tono con me, Anzu. »

    « Missione compiuta! »

    La voce di Sandra trillò nella stanza, mentre altre due figure facevano capolino dal varco aperto delle porte spalancate, completamente messe all'ombra della presenza considerevole di Diana. Una era ovviamente Sandra, che stava spingendo un carrello invece di portare un vassoio, aiutata da qualcuno che aveva tutta l'aria di volersi tenere a una distanza considerevole dall'intera scena. Un ragazzo alto e dinoccolato, con una zazzera di capelli neri disordinata sul viso pallido e contratto in un'espressione di concentrata preoccupazione. Stava guardando il carrello, poi Sandra, poi ciò che stava sopra il carrello prima di tornare a Sandra e poi a Diana e infine a Sandra di nuovo.

    BbENzUF

    « Jun! »

    Il viso di Raia si illuminò, attirando l'attenzione del ragazzo su di lei e sulla figura che le stava accanto. L'intero corpo di lui si irrigidì di scatto e un violento rossore gli imporporò il viso prima di distogliere lo sguardo. Tormentava l'orlo della maglietta a maniche lunghe nera, palesemente a disagio dei riflettori temporaneamente su di lui.

    « Ah sì, lui l'ho raccattato per strada, stava venendo a fare i controlli di routine. Ramirez, in salotto. Questo té non si apparecchia da solo. Lasciamo che il medico faccia i controlli a Raia e forse posso finalmente tornare alla mia giornata. »

    La fragorosa risata di Raia a quel punto interruppe ogni parvenza di formalità di quell'occasione, lasciando un assolutamente impacciato Jun a prendere il posto di Ollie come stampella provvisoria. Il ragazzo si avvicinò cautamente, senza il coraggio di guardare in faccia Oliver.

    « Ollie, ti presento Jun. È di poche parole, ma sono sicura che gli faccia molto piacere incontrarti di persona. E si è preso cura di me fino ad ora. »

    Il tono di Anzu si fece conciliante, più morbido, mentre la mano viaggiava calma per dargli un piccolo buffetto sulla spalla del giovane, che sollevò appena lo sguardo per incontrare un punto vagamente vicino al mento di Oliver.

    « ...onorato. Sono un...ehm... »

    La voce gli morì in gola, lasciando il posto a un mormorio incomprensibile, ma che sembrò abbastanza per far sghignazzare Raia, che guardò Ollie e alzò gli occhi al cielo prima di lanciargli un'occhiata implorante.

    « Pare che i nostri piani di uscire siano rimandati. Segui gli ordini di Diana e te la caverai, vi raggiungo fra pochi minuti...possibilmente più in ordine.
    Andiamo?
    »


    Jun annuì, improvvisamente più serio e determinato nel tenere leggermente la mano di lei nell'accompagnarla sul letto e chiudere la porta. Appena prima di farlo, tuttavia, tossicchiò brevemente.

    « ...sono...sonoungrandefan. »

    Prima di serrare i battenti.

    narrato | « parlato » | pensato | × telepatia ×
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    NOME | Raia Droshar
    SCALE | Anzu [IV]
    ENERGIA | Blu
    STATUS FISICO | Ottimo
    STATUS MENTALE | Ottimo
    STATUS SCALE | Non indossata

    Riassunto Azioni | HELLO LOOK WHO'S HERE


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    Quanto gli era mancato tutto quello.


    Era un periodo particolare per tutti loro. Tra le battaglie e le missioni di lunga durata, assieme al tempo che si era ritagliato assieme a Lawrence, Oliver aveva dimenticato quella sensazione provata nell’interagire in dinamiche del genere. Vedere il comportamento più controllato, preciso e severo di Diana fare da contorno ad una situazione di velata ironia con Raia e Sandra, diede all’esecutore una sensazione di famiglia – la stessa cosa che aveva provato nel cenare a casa di Assunta e Gennaro, assieme alla Primarca stessa. Erano benedizioni per cui essere grato – il calore di persone che, nonostante tutto, si volevano bene come una vera e propria famiglia. Cuordimetallo sorrise, abbassando gli occhi per un attimo – imbarazzato. Doveva loro tanto, così tanto.


    Lo stesso sorriso sembrò illuminare il volto dell’amica nell’accorgersi dell’arrivo di un altro ragazzo – decisamente più giovane. Con aria incuriosita ascoltò la spiegazione, doveva esser stato uno dei medici con la responsabilità di trattare il suo processo di guarigione. Jun, si chiamava – con un imbarazzo molto simile a quello del giovane Deku. Era visibilmente in imbarazzo, un imbarazzo che avrebbe ben cancellato con la sua cordialità. Uno dei tanti punti in comune che avevano, la capacità di fare breccia anche nelle persone più introverse.


    Oliver si chinò un po’, approfittando di quei pochi secondi di silenzio, per rivolgere le sue parole a Jun. Grazie per esserti preso cura di lei – sappiamo essere decisamente imprudenti, a volte. Cuordimetallo sorrise, concludendo con un altro buffetto di incoraggiamento sul braccio. Il giovane provò un paio di volte ad esternare l’ammirazione, un’ammirazione che lo metteva spesso in soggezione. Gli Esecutori erano, dopo i Primarchi, le persone più famose ad Atlantide – fuori dall’ambiente militare, in cui ormai la loro presenza era diventata normalità – riscuotevano sempre un certo successo. Venivano chiamati a presenziare in impegni pubblici importanti quando la massima carica del settore non era disponibile, così come venivano invitati a partecipare alle esibizioni di combattimento in onore di particolari ricorrenze. Era una vita di sacrificio e lotta, ma aveva anche i suoi aspetti positivi.


    Con fare ironico, guardando verso Raia, alzò le mani in segno di scuse verso Diana. Hai ragione, princesa, tè regale in arrivo. Fece un veloce occhiolino a Sandra, muovendo la testa in direzione del salotto, prima di congedarsi dopo il saluto di Jun – un saluto che, senza la dovuta attenzione, nessuno sarebbe riuscito ad ascoltare.


    Ay, principessa Sandra – sono davvero una frana nel preparare tutto, mi aiuti? Oliver usò il miglior tono conciliante possibile, sfiorando quel servizio abbastanza piccolo per le sue dita. La porcellana era adornata da inserti di oricalco e oro sul manico, alla base e al bordo superiore – con la ripetizione degli stessi ornamenti sulla teiera. Il bianco perla della superficie liscia, invece, era abbellito dalla presenza di ghirigori colorati – dipinti a mano – che si dividevano in maniera diversa, con tonalità diverse, su ogni tazza. Niente a che vedere con ciò che aveva a casa sua. Anzi, ce l’aveva una teiera? Probabilmente no. I suoi compagni di squadra facevano sempre la stessa faccia perplessa quando rivelava loro che la gran parte del suo denaro era inutilizzato. Qualche volta, su modello di ciò che faceva Raia, lo versava in beneficenza – altre volte, invece, lo usava per comprare componenti e scorte non destinate all’officina, ma per uso personale. Quell’anno, invece, ne aveva usato una parte per comprare il materiale scolastico del bambino che viveva accanto a lui. Sì, forse avrebbe dovuto procurarsi una teiera.


    E, con il tè, bisognava accompagnare qualcosa da mangiare. Qualcosa – da – mangiare. Effettivamente, l’alcol che aveva accompagnato il breve momento di tranquillità con Raia aveva lasciato in lui una certa fame. Poggiò il dito sulle labbra e sulla punta del naso, mandando un messaggio silenzioso alla ragazzina, prima di far sparire una fetta di torta alle spalle della maggiore. Si fece spiegare il giusto dosaggio dello zucchero in una tazzina, assieme al corretto modo di mescolarlo. Tutte domande e interazioni costruite sulla base di un senso quasi giocoso, con entrambe – basato sulla sua finta ignoranza, nonostante il tono sempre fermo e deciso di Diana. Era fatto così, si divertiva a ironizzare in quel modo. Lady Johanna era fortunata ad avere due figlie del genere.


    Abbassò gli occhi di nuovo, riflettendo su tutto quello che si era lasciato dietro. Sulla voglia che avrebbe avuto di chiedere scusa a suo padre, di presentarsi davanti alla porta di casa – suonare il vecchio campanello mezzo rotto – e di guardarlo negli occhi, porgendogli la mano. Forse lui avrebbe ignorato quel gesto per abbracciarlo, proprio lì, sull’uscio. Forse lo avrebbe fatto entrare – e allora si sarebbe diretto nella camera da letto, dove sua madre riposava, e si sarebbe seduto accanto a lei, stringendole la mano. Lei gli avrebbe sorriso, tra un colpo di tosse e l’altro, e gli avrebbe posato il palmo sulla guancia – come faceva sempre – dicendogli che adesso andava tutto bene.


    Mi mancate così tanto.




    Chissà, magari anche lui – un giorno – sarebbe stato responsabile di un’altra persona. Sarebbe stato un genitore all’antica, probabilmente. Uno di quelli che, in piena tradizione messicana, chiamavano una figlia Caterina Blanca Maria Rosa Ramirez – o, il figlio, Esteban Julio Ricardo Francisco. Sorrise sotto i baffi ad un pensiero del genere. No, Law gli avrebbe urlato l’impossibile contro. E poi una famiglia ce l’aveva già – era in sua compagnia, proprio in quel momento. Doveva occuparsi di loro, garantire la sicurezza e la felicità di cui avevano bisogno, lavorando insieme agli altri.






    Ay mi familia.



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    o scontro tra Raia e Galdor fu una dura prova per Johanna. Ovvio, lo fu di più per Raia, ma Johanna dovette affrontare una prova a sua volta, durante quello scontro. Una prova contro se stessa, e contro tutto quello che aveva costruti, contro tutti i rapporti che aveva intessuto fino a quel momento, contro la stessa Atlantide che aveva forgiato con il sangue del suo corpo. Nel momento in cui aveva visto Raia subire quella orribile ferita, dovette sforzarsi per non alzarsi e chiudere lo scontro lì. In quel modo avrebbero potuto dare soccorso immediato a Raia e forse avrebbero salvato la sua gamba.

    Ma sarebbe stato un affronto. Un insulto, perfino. Prima di tutto a Raia e al suo orgoglio di guerriera e a ciò che rappresentava. La prova vivente per tutti i cittadini del suo settore che chiunque poteva raggiungere la vetta o servire l'impero al meglio delle proprie capacità. Raia era partita da nulla, in Atlantide, ed era arrivata ad essere l'esarca della primarca più potente dell'ultimo millennio. Raia era stata la fuori con e senza di lei, a combattere gli orrori che minacciavano la pace all'interno della bolla sottomarina dell'impero. Interrompere lo scontro in quel momento avrebbe significato distruggere per sempre la figura di Raia agli occhi della popolazione, sostituendola con un'altra che non sarebbe più stata dimenticata: una Raia sofferente che viene portata via in barella dall'arena mentre il suo avversario era ancora lì e ancor fin troppo in piedi, invece di una Raia che nonostante tutto si rialza e combatte ancora. Sarebbe stato quanto di più lontano possibile dal settore che aveva costruito. A sua volta, Johanna avrebbe compromesso la propria immagine sia al suo popolo che per il popolo che Galdor rappresentava. Sarebbe una dimostrazione di debolezza sia per Johanna, che avrebbe messo al primo i propri sentimenti per la sua amica e prima dama, che per Raia stessa.

    Ma sopratutto sarebbe stato un insulto alla sua amica. Johanna credeva in lei, in modo assoluto e se fosse sempre stata lì a salvarla, Raia non glielo avrebbe mai perdonato. Nonostante tutto, entrambe erano guerriere e entrambe avevano qualcosa da dimostrare a quell'universo freddo e indifferente. Lo spirito atlantideo ardeva in loro e emanava la luce di un faro attorno a cui le anime bisognose si rifugiavano. Non sarebbe stata una luce proveniente da una terra lontana a spegnere la loro.
    Eppure Johanna non poteva smettere di tormentarsi sul non avere interrotto lo scontro. Raia le avrebbe rinfacciato la cosa, prima o poi? Avrebbero litigato e avrebbe addossato a lei la colpa di avere perso una gamba. Johanna sospirò, percorrendo i corridoi.

    Non poteva immaginare cosa volesse dire perdere definitivamente un arto. Per lei ormai da anni perdere parti del corpo era poco più di un fastidio, data la sua capacità di rigenerarsi finché qualcosa non l'avesse uccisa definitivamente. A volte riusciva persino a dimenticare che la sua era una caratteristica condivisa da pochi individui al mondo e Johanna ormai aveva perso il pensiero di sentirsi incompleta. Il concetto di dolore fantasma era ormai diventato parte del suo essere. Ogni ferita, ogni trauma, ogni arto perduto erano intessuti nella sua carne che ostinata come poche altre cose continuava a tornare. Tutto questo, fino al punto che certe volte guardava lo specchio e si chiedeva se quello che trasportava in giro fosse ancora il suo corpo, o fosse stato sostituito in ogni parte almeno una volta. Ed in ciò, non poteva più comprendere come si potesse sentire Raia, costretta ad una protesi metallica. Arrivata davanti alla porta, sentì un allegro vociare all'interno. Prima di tutto Oliver, poi le sue figlie.
    Aprì la porta ed entrò, notando immediatamente la preparazione dolciaria.

    Dragon mom coming trough.

    L'unica cosa che sapeva di poter fare, era stare vicina a Raia in quel momento.






    u3RWw9c
    narrato parlato pensato °telepatia°

    NOME Johanna Derham
    ENERGIA Nera
    CASTA Cavalieri Imperiali di Poseidone
    SCALE Seadragon [VIII]
    FISICAMENTE ///
    MENTALMENTE ///
    STATUS SCALE ///

    RIASSUNTO AZIONI

    ABILITÀ
    ● PENDRAGON ●
    Il corpo di Johanna è percorso da innumerevoli e intricati circuiti di corallo e orialco atlantideo che fanno parte integrante della sua carne e delle sue ossa. Questo sistema permette una migliore diffusione e controllo del cosmo di Seadragon nel corpo di Johanna, che diventa capace di sopportare una quantità di energia maggiore rispetto ai normali cavalieri. Johanna ottiene così una maggiore massa cosmica da utilizzare durante i combattimenti, per attacchi, difese o per supportare la propria capacità rigenerativa. A parità di potenza Johanna compie meno sforzo nel controllare il proprio cosmo, e a parità di sforzo può di conseguenza evocarne una quantità maggiore che si traduce in attacchi e difese più potenti del normale. Quando il cosmo di Johanna arde alla massima potenza questi circuiti si caricano di così tanta energia da essere visibili attraverso la sua pelle.


    ● SPAWN OF TIAMAT ●
    Il primarca del drago marino deve il suo potere alla benedizione di Syphon, il figlio dei draghi primordiali Tiamat e Apsu. La sua volontà e il suo ruggito è capace di scuotere le onde dell'oceano e riverberare tra gli universi. Per mezzo del proprio cosmo, la primarca è capace di controllare, o addirittura creare, indefinite quantità di acqua primordiale. Il liquido che è l'origine nelle mani della guerriera diviene una delle più tremende forze della natura, plasmabile in infinite forme a seconda delle necessità. L'acqua creata dal cosmo possiede tutte le proprietà del liquido più puro, privo di qualsiasi sostanza esterna, ed è capace di colpire con incredibile violenza. Tuttavia quest'acqua è differente da quella comune, in quanto è capace di chiamare a sé l'antico potere di cui sono pregne. Creando vortici di acqua primordiale Johanna è capace di creare veri e propri portali su altre dimensioni in modo analogo a chi può piegare normalmente lo spazio e il tempo, sfruttandoli come meglio crede: come mezzo per attaccare da punti strategici, per risucchiare e inghiottire l'avversario, o più semplicemente per viaggiare. Le acque primordiali sono limpide e cristalline, e guardandole intensamente sembra di cogliere sprazzi di luoghi lontani e alieni tra le sue onde.


    ● THE SENTIENT ●
    Tra i poteri che Seadragon ha ereditato da Syphon, la progenie di Tiamat, c'è il corallo del dominio. Nonostante il nome e l'aspetto, questo corallo è una bizzarra manifestazione di carne caotica e aliena, composta da miliardi di micro organismi, capaci di generare uno scheletro estremamente solido da utilizzare come sostegno per la loro colonia e per il corpo principale che costituiscono. Questi organismi sono generati e sostenuti dal cosmo o dal corpo stesso della primarca. Nelle sue manifestazioni più semplici, il corallo del dominio può crescere come il suo analogo naturale, in forme ramificate ma lievemente più aguzze e crudeli. Bisogna essere abbastanza vicini per poter capire di cosa si tratti veramente, e allora è di solito troppo tardi. Il corallo naturale è una struttura rigida e calcarea, ma il corallo del dominio può piegarsi e articolarsi pienamente, secondo la volontà di Johanna e solo quando è completamente immobile può sembrare davvero un ammasso di roccia calcarea. Johanna ha assoluto controllo sulle forme che questa sostanza può assumere, e può diventare eleganti e bellissime armi da combattimento, o manifestarsi in una orribile massa brulicante. Ma le vere capacità del corallo del dominio sono altre, e ben più terrificanti. Questa carne aliena è un'unica massa neurale interconnessa, capace di ancorarsi ed invadere qualunque materiale, che sia vivente o meno. Nel caso di materiale non vivente, il corallo può invaderlo liberamente, espandendosi all'interno di esso e rendendolo parte della sua biomassa per accrescersi in dimensioni e peso, trasferendo ad esso il controllo intrinseco di Johanna. Questo le permette di controllare materiale ambientale e detriti risultanti dal combattimento per poterlo controllare liberamente e creare veri e propri costrutti simili a golem schiavi della sua volontà. Di fatto, qualunque cosa non sia viva nell'immediato nel suo raggio d'azione è una sua potenziale arma.
    Nel caso di creature viventi tuttavia la cosa si fa molto più interessante. Il corallo del dominio è capace di ancorarsi ai corpi e alle cloth come se fossero scogli nel mare, crescendo progressivamente e cercando costantemente di invadere le ferite provocate durante il combattimento, potendo estendere le proprie sottilissime propaggini anche tra le scanalature delle cloth avversarie. In poche parole, venire colpiti dal corallo di Seadragon - o da acqua contenente i micro organismi - fa sì che dei polipi aderiscano costantemente alla zona di impatto, iniziando un processo di crescita ed invasione. Una continua esposizione ad attacchi del genere può portare ad una costante espansione del corallo sull'avversario, che si ritroverà così appesantito ed ostacolato da una massa solida sempre più estesa sul proprio corpo. Ma la vera minaccia è quando il corallo riesce a raggiungere le ferite o la carne esposta della sua vittima. In quell'istante comincia un processo di fusione tra le due carni, portando ad un allacciamento neurale tra le due. Questo porta ad una costante interferenza con gli impulsi nervosi della vittima, rendendo così più difficile il controllo del proprio corpo e delle proprie facoltà mentali a causa di un crescente rumore bianco. Gli effetti neurali del corallo del dominio possono essere più raffinati, ma richiedono tecniche apposta.
    La connessione neurale con Johanna, permette inoltre al corallo di acquisire memoria genetica dai suoi tessuti, potendo così alterare i propri polipi in modo da replicare cellule umane, permettendole letteralmente di rigenerare continuamente ma lentamente il proprio corpo dai danni subiti, soffrendo così in maniera minore per essi. Se necessario, Johanna Può ardere il proprio cosmo per accelerare l'azione del corallo e curare in pochi istanti una grave ferita non immediatamente letale, o una somma di danni minori che raggiunge tale entità. Quando il corallo non è a contatto con il cosmo della Primarca, i polipi in esso muoiono, abbandonando sul campo di battaglia il loro scheletro colorato. Il colore del corallo solitamente riflette l'umore e lo stato mentale della primarca, a volte è possibile notare persino delle bioluminescenze sulla superficie.


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    La porta si chiuse e Kyoung-joon Park trasse un profondo sospiro di sollievo. Aveva già raggiunto una piccola postazione medica dentro la stanza, lasciata in perfette condizioni di ordine e pulizia, cominciando a trafficare con i macchinari e gli strumenti. I suoi gesti avevano una precisione ordinata e metodica, senza risultare freddi: anzi, qualunque cosa su cui si concentrasse appieno aveva l'innata capacità di rasserenare e tranquillizzare chi gli stava intorno. Raia si sedette sul bordo del letto e lo guardò con curiosità mentre era perso nel suo mondo: la timidezza impacciata che lo caratterizzava era sparita, lasciando il posto a una professionalità esperta.

    Kyoung-joon non aveva tecnicamente finito gli studi di medicina, ma aveva ottenuto un permesso speciale di esercitare come medico di base, sotto supervisione, grazie al suo talento. Inizialmente accompagnava il dottor Dawson nei controlli di routine, un'ombra rigida e ansiosa che tuttavia quando riceveva una sfida scattava come una molla, entrando in azione. A Raia quel ragazzo piaceva molto e aveva chiesto in fretta che fosse assegnato ai doveri di Palazzo, dove poteva tenere d'occhio i suoi progressi - ovviamente i suoi poteri curativi si erano rivelati assolutamente necessari da avere intorno in pronta risposta.

    « Kyoung-joon? »

    « Mh? »

    Jun rispose senza pensare, picchiettando con tranquillità la siringa di antidolorifico prima di guardare Raia e accorgersi che stava stringendo la bottiglia semivuota di whiskey.

    « Questo ha già fatto il suo dovere, oggi », disse lei quasi imbarazzata.

    Il viso del ragazzo passò attraverso almeno sei colori prima che fosse in grado di replicare qualcosa, quasi strozzandosi e incespicando nelle parole. Le mani piantate sui fianchi, gli occhi si serrarono sulle iridi scure in un'espressione furibonda.

    « C-cosa abbiamo detto sul bere alcolici? »

    Il suo modo di cercare di imitare l'assertività del dottor Dawson era quasi comico, ma Raia cercò di ignorare la cosa distogliendo lo sguardo per mostrare colpevolezza, assumendo un tono conciliante. Nonostante vederlo arrabbiato fosse esilarante, il ragazzo era davvero indispettito e gli occhi scintillavano di rabbia improvvisa.

    « Lo so, lo so. Ma non potevo rifiutare, non...a lui, ecco. Avevo bisogno di un bicchierino o due, parlavamo di cose pesanti e beh, montare la gamba ha fatto un male devastante. »

    Jun la fissò per un paio di secondi, poi espirò seccamente fra i denti e sul viso ritornò un'espressione neutra, quasi imbarazzata per essersi lasciato sfuggire quello scatto emotivo. Non andava bene, doveva essere professionale.

    « Perdonami, è che...non vorrei interferissero con i farmaci. La convalescenza è ancora lunga, soprattutto con la gamba nuova, e ci sono delle procedure da seguire... »

    « Le persone a cui avrei permesso di fare qualcosa del genere si contano su tre dita. Oliver è fra quelle. Quel pazzo si è operato il cuore da solo almeno sei volte da quando lo conosco ed è ancora vivo. »

    « Hm. Ti...ti devo...ehm...chiedere di svestirti », disse pianissimo, distogliendo lo sguardo e affrettandosi ad aggiungere, « s-solo i pantaloni, per piacere. »

    Raia dovette mordersi fisicamente il labbro inferiore per reprimere una battuta, prima di eseguire il comando e aspettare pazientemente che Jun riacquistasse contegno e si avvicinasse a lei, inginocchiandosi per ispezionare il moncone. Si era messo un paio di guanti di lattice e tastò con attenzione il tessuto cicatriziale alla ricerca di gonfiori, non trovandone. Poi chiese a Raia di eseguire alcuni semplici comandi per testare la risposta neurologica, confrontandola con la gamba sana.

    « Non mi hai mai detto se Jun va bene. »

    Ci vollero diversi secondi prima che il ragazzo realizzasse che si stava rivolgendo a lui.

    « Ah, sì, certo. N-nessun problema, mi chiamano tutti così. »

    Raia sorrise piano.

    « Come ti trovi dai nonni? »

    Fu come se un raggio di sole passasse improvvisamente sul viso di Jun, illuminandolo.

    « Benissimo! La signora Assunta cucina meravigliosamente, mi ha insegnato un sacco di cose e il signor Gennaro è davvero fantastico, è molto paziente e pieno di vita, si è ripreso davvero bene. Tempo pochi giorni e sarà a posto. »

    Continuò a parlare a raffica per diversi minuti, raccontando episodi in casa Di Fiore mentre completava i controlli (lasciando un promemoria di prelevare il sangue la mattina dopo alle 5). Gennaro aveva avuto un malore poco tempo prima e Raia aveva chiesto a Jun di tenerlo sotto controllo, approfittando anche per inserire un elemento di distrazione dentro casa dei nonni, per distrarli dall'incidente. Non potevano andare a Palazzo tutti i giorni e la mancanza di Raia, nonostante si sentissero tutti i giorni, cominciava a pesare. E a quanto pare, anche per Jun sembrava funzionare bene.

    « Puoi stare da loro finché vuoi, lo sai? »

    Jun si zittì all'improvviso, sollevando lo sguardo per incontrare quello pacifico e tranquillo di Raia.

    « Se vuoi, intendo. Posso organizzare un mezzo rapido ogni mattina per farti arrivare a lezione in tempo. »

    Lui sbatté le palpebre un paio di volte, poi distolse di nuovo lo sguardo e si affrettò a mugugnare qualcosa del tipo 'non è necessario', mentre si affrettava a sistemare la postazione.

    « Pensaci. Se te lo chiede la nonna è prassi, ma se te lo chiede il nonno...fanno sul serio. »

    Con un occhiolino, Raia si alzò cautamente e arruffò i capelli scuri del ragazzo, che aveva assunto il colore di un peperone maturo.

    « E ora andiamo a vedere che disastro hanno combinato di là. Resti per il té? »

    ***



    La voce di Raia si spandeva calma e tranquilla per la stanza, accompagnata dalle mani nel disegnare pigri arabeschi che la aiutavano a visualizzare i cali e le elevazioni della voce mentre era seduta. La schiena dritta, flessibile nell'accompagnare le parole per lasciare tutto l'ossigeno necessario ai polmoni. Le dita di Oliver pizzicavano le corde della chitarra nell'accompagnarla, mentre Sandra ondeggiava la testa a ritmo da un lato all'altro, stringendo una tazza di latte caldo con una contentezza che si irradiava come un calorifero intorno a lei.

    ♪ Guess I had my last chance
    And now this is our last dance
    You fell through the cracks in my hands
    Tell myself be stronger
    My heart's like a rubber band ♫


    Diana, con una tazza di té in mano e un'espressione di rara soddisfazione in mano, stava filmando la cosa in diretta con diverse migliaia di persone con l'hashtag #stillstanding: Raia le aveva dato il permesso di farlo, incoraggiandola a rassicurare il popolo durante la convalescenza. Secondo un tacito accordo tra le due, era stata Diana a preoccuparsi di riferire alla Prima Dama che la sconfitta in arena non aveva messo in dubbio la sua popolarità, soprattutto grazie al fatto di essere rimasta in piedi fino all'ultimo secondo, con una gamba maciullata...ma una determinazione incrollabile.

    ♫ And it's such a shame
    You'll always be the one who got away
    We both know that deep down you feel the same

    Hard to say it's over
    But I'm already someone else's ♪

    Raia aprì gli occhi nel momento in cui Jo aprì la porta, incrociando il suo sguardo. Si illuminò, con un largo sorriso a illuminarle il volto nell'alzarsi piano e intonare, volteggiando con cautela sulla gamba nuova che scintillava, catturando ogni luce della stanza.

    ♫ Baby, aah~ ♪


    Nonostante il dolore le infiammasse l'articolazione, non cadde. Non sarebbe più caduta, non di fronte a lei.

    Di fronte a nessuno di loro.




    narrato | « parlato » | pensato | × telepatia ×
    rBDq8G4
    NOME | Raia Droshar
    SCALE | Anzu [IV]
    ENERGIA | Blu
    STATUS FISICO | Ottimo
    STATUS MENTALE | Ottimo
    STATUS SCALE | Non indossata

    Riassunto Azioni | <3


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    uv7ZJKo

     
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