OVERTURE
Il labirinto, una gigantesca realtà di tecnologia aliena ai mortali, dove tutto splende dell’ardente fuoco della conoscenza ed è impregnato della scienza antica. Eppure, più è grande la luce, più le ombre si allungano, e anche la più grandi realtà hanno dei piccoli segreti.
Nei suoi meandri più profondi, nei recessi più bui, al di sotto dei corridoi illuminati e stanze piene di sfavillante tecnologia, vi era una piccola porticina, nascosta ai più. Di quella porta, poche persone ne sono a conoscenza, soprattutto fra i grandi abitatori di quel complesso: i titani.
Una targa impolverata era stata posta al di fuori, con sopra una scritta in una lingua antica più del mondo, il cui significato è intelligibile a una manciata di esseri, così pochi che si contano sulle dita di una mano. Nel trascriverlo in greco moderno, quel concetto assumerebbe i caratteri e un significato non molto dissimile alla parola:
ναός
Ebbene quella porta tanto misconosciuta si aprì lentamente, lasciando che una parva lingua di luce si allungasse nell’ambiente oltre la soglia. Un buio di eoni veniva lacerato dalla lama luminosa, rivelando un’ambiente immenso in un mare di tenebra, sul quale, immota come un ramo nella notte, si erge una passerella metallica.
Una figura longilinea attraversò la porta e se la richiuse dietro. Tutto tornò al buio e al silenzio, se non fosse per un rumore preciso e calmo di passi sul metallo. Lentamente e con una cadenza quasi musicale, quei passi percorsero per intero la struttura metallica fino ad arrivare dall’altro lato.
Dal respiro caldo che emetteva, l’essere che si era introdotto in quell’ambiente sembrava calmo, e non fece trasparire nessuna emozione. Nel buio, un fruscio di capelli, poi un suono felpato e prolungato, come di stoffe strofinate su una superficie liscia.
Ancora nulla, solo il respiro di quell’essere concentrato, in attesa.
Fu questioni di attimi prima che un lampo di luce scaturisse da quello che al centro della sala potrebbe essere un pilastro. Quello che uscì da quel dispositivo non fu propriamente una luce, ma pura conoscenza. Sono dati animati in stratificazioni di luce, punti e linee. Si dipanarono dal centro, simili a un onda di marea accompagnati da un suono basso e monocorde.
Quella mole di energia rivelò la stanza, un’enorme sfera cava, mentre davanti al pilastro la figura di quell'essere che aveva azionato il meccanismo era immersa totalmente nella luce. Le figure fatte di eterea luce accecavano, precludendo la facoltà di delineare bene ogni singolo dettaglio dell’essere. Quello che fu palese è che quella figura fosse una donna dalla lunga chioma.
Il caos sfavillante durò per pochi attimi e in breve tempo arrivò al parossismo, per poi spegnersi e far ripiombare l’ambiente nella tenebra più assoluta.
Rimase sospeso, piccolo, in lontananza, un singolo puntino. Simile a una lucciola che vola in quel vuoto cosmico, eppure esistente.
In quel buio, si sarebbe potuto indovinare che quella presenza sorridesse. Aveva una voce calda, femminile, suadente, mentre rifletteva fra se e se:
“Bene, il protocollo funziona ancora.”
La lucciola si avvicinò al centro della sala. Da vicino sembrava avere una forma geometrica, simile a un piccolo prisma, e fece abbastanza luce da illuminare il volto di quell’essere. Mnemosine della memoria. Quando si muoveva lei, qualcosa bolliva in pentola
“Eccellente, non vedo l’ora di iniziare”