Carousel of Rotten Dreams

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    Hell’s Passenger

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    Specter di Hades
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    E' un bellissimo giorno di sole.
    Ormai hai ben 7 anni, e finalmente puoi finalmente visitare [REDACTED]! Hai dovuto insistere tanto con i tuoi genitori, ma alla fine sei riuscita a convincerli a mandarti con i tuoi fratelli.
    Davanti a te si staglia orgogliosa e luminosa l'entrata del Luna Park - per qualche motivo non riesci più a ricordarne o leggerne il nome, anche se ti rimane sulla punta della lingua, ma il pensiero di tale stranezza ti passa presto dalla mente quando i tuoi fratelli ti danno una spintarella in avanti per farti proseguire.

    Attorno a voi, colorato e vivo, il parco non vi appare altro che un piccolo paradiso in Terra per voi piccini: non ci sono adulti a vista d'occhio, solo voi bambini che vi potete godere autonomamente le varie attrazioni e delicatezze di esso, senza restrizione alcuna. Oltre alle attrazioni vi sono inoltre i vostri felici compagni, alberi e piante dotate di un viso gentile, dolce e sempre sorridente, con cui certi bambini si dilettano a giocare felicemente.

    Guardi con meraviglia bambinesca ciò che ti circonda, e nonostante la tua natura ti ritrovi comunque completamente immersa nella bellezza idilliaca del luogo. Nella tua mente la musica di un calliope continua a suonare, senza mai fermarsi, e il rumore di risate è bellissimo - ma nonostante ciò, una parte profonda del tuo inconscio ti dice che qualcosa non torna, ma sparisce così velocemente che te ne dimentichi in frazioni di un attimo.

    La tua attenzione viene presto colta dall'attrazione principale del parco, un'enorme giostra che sembra uscita da un palazzo reale, essendo sfarzosa all'inverosimile: decine di bambini sono sopra, continuando a girare, a girare e girare ancora, attirandoti in una dolce trance che ti fa dimenticare tutto il resto.

    Ti senti attirata come una falena alla luce, e ci sali prontamente: ti diverti, ti diverti tantissimo, al punto tale che non realizzi neanche che i tuoi fratelli sono spariti. E quando scendi, stanca ma felice, finalmente realizzi che qualcosa non torna - dove sono finiti i tuoi amati fratelli?

    Nonostante tale pensiero dovrebbe riempirti di panico, la musica incessante del calliope ti fa rimanere calma, e ti convinci che non possono essere andati molto lontano: ti guardi attorno, iniziando a cercarli.
    Eventualmente, ti pare di vedere la figura di Axel e Gustav vicino alla grande quercia principale del parco - sono lì, accanto al tronco, ma per qualche motivo ti paiono stranamente fermi, anche se non ti rendi conto della stranezza della cosa pur avendola davanti a te.


    Quando lì raggiungi, senti un forte rumore di vapore, simile a quello di un treno che si ferma bruscamente, il rumore della stufa a vapore che risuona nell'aria con violenza, seguita dal gracchiare di uno stormo di corvi. Per un istante chiudi gli occhi, e quando gli riapri vedi Axel e Gustav piegati su se stessi in forme geometriche impossibili, attaccati ai rami della quercia.

    Tutto il parco ha perso il suo bellissimo colore, e il sentore di putrefazione e morte ti pervade con una violenza quasi oscena, mentre noti che tutti i bimbi sono diventati masse di carne fusa alle singole attrazioni del Luna Park o con gli alberi stessi.

    E finalmente, guardando davanti a te, il tronco della quercia si gira, guardandoti: il suo è un viso sorridente, fin troppo, e senti il tuo sangue raggelare mentre l'albero inizia a piangere lacrime nere - la sua faccia si contorce in maniera irreale, sfasando continuamente dalla realtà. Sei completamente paralizzata dalla paura, e quando finalmente hai un minimo di controllo sul tuo corpo la quercia si piega, ridendo e afferrandoti - senti un dolore immenso pervadere ogni cellula del tuo corpo, consumandoti, divorandoti - e, anche se la tua è la mente di una piccola bimba di sette anni, capisci che ti sta assorbendo.

    L'unica cosa che senti, prima di esalare il tuo ultimo fiato, è la musica del Calliope divenire un fortissimo stridio gorgogliante senza senso.

    [...]

    Ti svegli.

    Il tuo corpo è madido, sudaticcio - la tua pelle è fredda, e continui ancora a sudare. Per un attimo ti pare di ricordare cosa hai sognato, ma ogni memoria di ciò sparisce in questione di pochissimo, lasciandoti solo la sensazione di aver sognato qualcosa di strano, qualcosa che hai già sognato prima, ma di cui non ricordi assolutamente nulla. E' una cosa che ti sta consumando, anche se nelle tue memorie tali sogni si sono manifestati solo nell'arco degli ultimi sei mesi - ma non sei mai sicura di ciò, poiché dimentichi.

    Sono passati ormai sette anni da quel fatidico giorno in cui ha perso tutto: da allora tu, Axel e Gustav avete speso gli ultimi anni nella relativa sicurezza del parco Tyresta. Ormai vi siete adottati, avete imparato come procacciare il vostro cibo e semplicemente sopravvivere in generale, evitando corrotti e quant'altro - nonostante il parco non sia particolarmente grosso, vi siete dovuti limitare a certe zone, poiché vi siete presto accorti che alcune parti del parco erano tante corrotte da essere inaccessibili - ovviamente non vi è chiaro il concetto di Corruzione, ma sapete che in certi punti vi sono solo mostri, e quindi non osate addentrarvi.

    Per vostra fortuna vi siete insidiati in una piccola baita vicino al lago - essa è una zona dove pare che i mostri non passino spesso, o che perlomeno è meno infetta di altre, e da allora avete continuato semplicemente ad andare avanti giorno per giorno, dividendovi le mansioni necessarie e facendo il possibile, nella speranza che magari un giorno sarete abbastanza fortunati da essere trovati da qualcuno.

    La speranza è l'ultima a morire, dice il proverbio, eppure ogni giorno pare sempre più lento, inesorabile.

    E una parte di te, ancora un'altra volta, si chiede se ne vale la pena.




    [Benvenuta al tuo add :zizi: Grosso post introduttivo in due parti, che serve per preparare il resto dell'add e presentarmi il tuo pg. Nella prima parte tutto ti appare come vero, vivido, non realizzi che è un sogno finché non ti svegli, eppure durante tutto ciò alcune cose ti saranno sfocate, incerte. Nella seconda parte, vorrei che mi introducessi Christina e i fratelli Axel e Gustav, cosa e come avete fatto per sopravvivere come tre semplici bambini ed adolescenti negli ultimi anni dell'Armageddon, le vostre emozioni (principamente di Christina, ma preferirei vedere anche un po' dei fratelli per capirne la personalità) e così via. Mi raccomando, siì dettagliata.
    Buon divertimento, se hai bisogno di chiarimenti o altro mandami pure un pm.]

    Edited by ×LostMemories× - 1/5/2019, 20:24
     
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    Auta i lóme! Aurë entuluva!

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    Quella mattina non aveva avuto bisogno di essere svegliata come tutti gli altri giorni, con sua madre che entrava in stanza e apriva le tende di scatto per poi litigare con la figlia per farla scendere dal materasso, la bambina quel giorno era già in piedi quando il sole aveva fatto capolino su Stoccolma e aveva inondato di luce la cameretta. Christine non riusciva a stare ferma: completamente vestita continuava a passare dal lettuccio alla seggiola, per poi passeggiare davanti alla portafinestra e guardare giù in strada, l’ansia e la gioia dipinte assieme sul visetto tondo, ad aggrottare le fini sopracciglia bionde.
    Era immersa in un dibattito tra quella parte di sé che scoppiava di felicità e quella più prudente, quella che le diceva di aspettare e scendere giù al piano terra e confrontarsi un’ultima volta con i genitori prima di gioire definitivamente.
    ”Lo so che l’hanno promesso, ma se cambiassero idea? Se non mi facessero andare, dicendo che sono ancora troppo piccola? Ho sette anni, non sono più una bambina piccola! E poi non andrei da sola, ci sarebbero Axel e Gustav e Oscar con me, loro hanno promesso e ripromesso mille volte che non mi avrebbero mai lasciata sola. È un’occasione unica, io voglio assolutamente visitare quel posto, sono stata brava per tutto l’anno e ora non possono negarmi questo piacere e questa gioia, altrimenti li odierò per sempre…
    E se… e se… e se…”

    Rimuginava senza sosta la piccola Oxenstierna, mordicchiandosi l’unghia del pollice sinistro per l’agitazione. Nella notte sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa che avrebbe potuto portare Karl e Wilhemina a scambiare il proprio si che era costato tanta fatica ed insistenze alla figlia minore, con un categorico no, ed era questo che l’innervosiva tanto da svegliarsi prestissimo e non riuscire a stare ferma.
    Alla fine si decise ad uscire dalla stanza, dopotutto aveva insistito tanto per andarci e i suoi genitori avevano accordato il permesso, per quale motivo avrebbero dovuto ritirarlo?

    Per sua fortuna e immensa soddisfazione, non era accaduto nulla di quello che aveva negativamente ipotizzato, e ora Chris si stagliava con tutta la sua piccola figura davanti all’ingresso del Luna Park, mano nella mano con Axel che si guardava attorno con un’aria a metà tra l’imbarazzo di essere lì con una neo-settenne e l’orgoglio della responsabilità verso la salute e la sicurezza della sua unica sorella. Le sembrava persino che si sforzasse per tenere il petto in fuori, come un cane da guardia, forse per impressionare i fratelli, oppure lei.
    Però Christina non lo stava nemmeno guardando, aveva lo sguardo smeraldo calamitato verso l’insegna luminosa, che recitava… Aggrottò le sopracciglia, eppure si ricordava il nome, era proprio lì, davanti ai suoi occhi e non riusciva a leggerlo. Per la bambina ora erano solo un mucchio di lettere prese a casaccio e montate assieme su un pannello di legno colorato, e lei non riusciva proprio a metterle assieme per formare le parole.
    ”Che strano. Eppure lo conoscevo… ho passato un mese buono a parlarne, com’è possibile che me lo sia-”
    Una spinta interruppe il flusso di pensieri, perché quasi la fece inciampare nelle scarpette nuove. La biondina rifilò un’occhiataccia ai fratelli, sapendo che erano stati loro. Oscar non la guardò nemmeno e Gustav ridacchiò divertito, beccandosi una gomitata di Axel che gli mozzò il fiato.
    Stirando le labbra in un sorriso (Per cosa si era preoccupata? Non ricordava…) precedette i fratelli, tirandosi dietro il maggiore che si fece condurre all’interno.

    Oltre la soglia era tutto un altro mondo e Christina osservava a bocca aperta ciò che la circondava, il cuore colmo di gioia e muta gratitudine verso i genitori. La prima cosa che l’aveva colpita era quanto tutto fosse colorato. Non solo per le innumerevoli sfumature che le danzavano attorno agli occhi, ma anche per la vividezza di ognuna di esse. Ogni tinta che riusciva a raggiungere con lo sguardo pareva più brillante di quanto non fosse all’esterno, per poi sfocarsi appena distoglieva lo sguardo.
    Poi… nessun adulto in vista. Con un sorriso Chris pensò che forse il più grande era proprio Axel, forte dei suoi sedici anni compiuti a gennaio, mentre tutti coloro che erano presenti nel suo campo visivo avevano un’età media attorno agli otto o nove anni.
    E le giostre poi! Ce n’erano di tutti i tipi, da quelle tipiche dei Luna Park a quelle più inusuali e per questo interessanti, e lei era intenzionata a provarle tutte quante, dalla prima all’ultima, visto che non c’erano nemmeno restrizioni a quelle considerate un po' più pericolose, cosa che le aveva acceso gli occhi verdi della scintilla dell’avventura. Normalmente non si sarebbe entusiasmata tanto, ma era un posto talmente bello… come ci si poteva tirare indietro di fronte a tutto quello?
    Tutti attorno a lei sorridevano e riempivano l’aria di risate gioiose, ogni bambino e bambina giocava in allegria con alberi e piante, anch’essi con in viso un sorriso che esprimeva gentilezza e dolcezza.
    La biondina era il ritratto della felicità più pura, aveva persino gli occhi a cuoricino mentre si abbeverava, come un vagabondo appena uscito dal Sahara, di tutto ciò che quell’ambiente riusciva ad offrirle, tutto quanto e ancora di più fino a ricolmarsene e avere lacrime di gioia che le rigavano le guance. Era… magico, non aveva altre parole per descriverlo, forse l’unica adatta era ’Paradiso’. Era come un cuore pulsante di vita collegato a doppio, no, triplo filo con il suo corpicino sopraffatto dalla contentezza.

    Tirando su con il naso e pulendosi il viso con la manica del vestitino per evitare che i fratelli la vedessero in lacrime (Avrebbero fatto pressioni per tornare indietro, e quella era davvero l’ultima cosa che voleva), Christina tornò a guardare con occhi lucidi l’ambiente festoso attorno a sé, le risate che riempivano l’aria e a tratti l’assordavano.
    Era tutto così pieno di possibilità, senza la supervisione degli adulti (che, nonostante tutto, le pareva proprio strana. ”E se qualche bambino si facesse male?”, ma due secondi dopo stava guardando affascinata quell’organetto* che non era tale e le rimostranze erano già sparite nella corrente dei proprie pensieri), che non sapeva proprio da dove partire. Quale giostra provare per prima? Quella dove di poteva sparare alla pila di bicchieri di carta? Oppure quella dove si tiravano i cerchietti di plastica attorno ai birilli? Oppure ancora…
    Voltandosi per guardare di nuovo tutto attorno a sé e finalmente decidere, la biondina rimase senza fiato. L’attrazione più bella e grande e meravigliosa di tutto il Luna Park si stagliava imponente di fronte a lei. Pareva il Kungliga slottet** da tanto era grande, anche se doveva ammettere che fosse enormemente più lussuosa, anzi era decisamente sfarzosa ed appariscente, di una ricchezza ostentata. Lì, altri bambini si stavano divertendo, e giravano e giravano e giravano, e lei sentì i crucci che l’avevano attanagliata allontanarsi (Perché si era preoccupata? Quel posto era fantastico!), fino a svanire del tutto.

    Come in trance, Christina mollò la mano di Axel, che si voltò verso di lei e le disse qualcosa (”Che cosa sta dicendo? Non sento… che bello, è proprio bello qui… voglio salire su questa giostra e rimanerci per sempre…”) e iniziò a infilare un passetto dopo l’altro, dapprima lentamente e poi con maggior vigore, ritrovandosi a correre verso l’attrazione principale del parco, fino a salirci su.
    Non si era mai divertita così tanto, non in presenza di estranei. E forse anche con chi estraneo non lo era. Rise, rise e rise, ballò, danzò in cerchio con le braccia alzate al cielo e con la testa rovesciata all’indietro, senza alcuna preoccupazione al mondo. Non importava che fosse sola, che si fosse separata dai suoi fratelli, in quegli istanti di pura gioia loro non contavano nulla, importava solo della felicità selvaggia che le scorreva nel proprio piccolo corpo, scuotendolo tutto e facendola sentire davvero in Paradiso.

    Non avrebbe mai voluto scendere, sarebbe rimasta per sempre in quel palazzo stupendo a ballare seguendo una musica che aveva un ritmo diverso per ognuno di loro (E la cosa aveva perfettamente senso, non era qualcosa che poteva mettere in dubbio, era così e basta), ma iniziava ad essere stanca e aveva sete, solo che non era lei ad avere i soldi per pagarsi una bibita fresca, ma Axel. Al nome del fratello fece seguito quello di Gustav e Oscar, e la consapevolezza di anche solo avere dei fratelli tornò alla mente.
    ”Dove sono andati? Eppure li ho lasciati qui…”
    Non si sentiva in preda al panico, non era spaventata dal rimanere sola in un posto che conosceva a malapena, perché ’Chi avrebbe potuto farle del male? Tutti lì erano gentili e pronti ad aiutarla, non c’era pericolo! Sicuramente erano lì vicino, bastava cercarli!’, questo le sussurrava la musica dell’organetto come per infonderle calma e sicurezza, e alla bambina affiorò un sorriso beato. Certo, che stupida che era stata! Guardarsi attorno, ecco cosa doveva fare.
    Voltò la testolina a destra e a sinistra, alzandosi in punta di piedi e girando su se stessa per vedere oltre le teste dei bambini più alti di lei. Corse di qua e di là nello spiazzo davanti alla regina delle attrazioni, allungano il piccolo collo per cercare tre chiome bionde come la sua, che la stavano cercando come lei cercava loro.

    Ed ecco Axel e Gustav, erano vicino alla grande quercia principale del parco, in effetti non molto lontani da dove si trovava lei. Se si era preoccupata, era stato invano: erano lì, accanto al tronco, avevano sempre vigilato su di lei. Felicissima di vederli, Christina sorrise, scoprendo il dentino mancante che le era caduto tre giorni prima, aprendole una finestrella proprio davanti, che si vedeva tantissimo quando stirava le labbra.
    Erano fermi però, e la cosa, più che stranirla, la rese curiosa. Come mai non si avvicinavano? Sapevano che lei era li, e allora perché rimanevano immobili come delle belle statuine? Poco importava, sarebbe andata lei da loro.

    Saltellando, ancora immersa nei felici ricordi della regina delle giostre, coprì la distanza che la separava dal sangue del suo sangue. ”Axel! Gustav! Indovinate cosa-“
    Un forte rumore, come di un treno a vapore lanciato a folle velocità che si ritrovava a frenare bruscamente o della stufa a vapore che emetteva il suo alto e assordante fischio, seguito dal gracchiare inquietante dei corvi che attendono solo di potersi cibare della carne, possibilmente umana, la interruppe a metà della frase.
    Sorpresa, Chris sbattè le palpebre, e quell’attimo bastò perché tutto quello davanti a lei si capovolgesse: attaccati ai rami della quercia come strambi frutti, Axel e Gustav erano come degli origami, i corpi piegati, spezzati e ricomposti in strane forme geometriche impossibili. Così com’era impossibile che fossero ancora vivi dopo quello che era accaduto loro, e la biondina gridò a pieni polmoni, le mani nei capelli, a stringerli e a strapparli, come se il dolore fisico che doveva provare potesse farla svegliare da quello che le sembrava un incubo ma era così reale.
    Il suo fu un urlo straziante, inarticolato, che parlava di dolore e perdita e incredulità - si stava divertendo così tanto, com’era possibile che ciò avesse potuto accadere, in un momento così bello? ”Comecomecome… FolliafolliaFOLLIA!” -, ma anche e finalmente di paura, non solo per se stessa ma anche per i fratelli. Lacrime di terrore a quella vista scendevano copiose sulle guance, a seguire gli stessi sentieri che lacrime di gioia e stupore avevano percorso sulla sua pelle all’entrata del parco.

    Voltando il viso per guardarsi indietro, ecco che quello stesso parco stava diventando sempre più grigio, i colori prima così vividi ora erano disciolti e assorbiti nel terreno fino a scomparire, e un odore dolciastro la colpì talmente forte da farla barcollare e tenere la mano davanti alla bocca per trattenere il conato di vomito a quel sentore che, ne era certa, voleva dire morte e putrefazione.
    Deglutì più e più volte, respirando con la bocca invece che con il naso, gli occhi spalancati sullo scenario alieno che si dispiegava di fronte a lei: i bambini, tutti quanti e anche quelli con cui aveva giocato e ballato fino a poco prima, erano diventati solo degli ammassi di carne senza più le loro sembianze e fusi assieme alle attrazioni che stavano provando, o con gli alberi con cui stavano giocando.
    Era… era… non credeva ci fossero parole per descrivere ciò che le si srotolava davanti agli occhi increduli e feriti, in nessuna lingua al mondo. Com’era possibile… com’era possibile tutto ciò…

    Con un singhiozzo mal trattenuto tornò a guardare di fronte a sé, a guardare i corpi dei propri fratelli così orrendamente mutilati, e la quercia si mosse. Il tronco si voltò verso di lei, il viso era sereno e sorrideva; era qualcosa di troppo strano e di profondamente sbagliato in mezzo a tutto quell’abbandono che sapeva di morte, non c’era da fidarsi e Christina s’irrigidì. Non si sentiva più le gambe, il suo intero corpo era paralizzato dalla paura e di fare anche solo un passo indietro non se ne parlava proprio, aveva paura che sarebbe caduta e non si sarebbe mai più rialzata.
    Trattenne addirittura il respiro, quando gli occhi lignei iniziarono a piangere. Non aveva la minima idea di quello che stava succedendo, era talmente terrorizzata e sfinita che non riusciva nemmeno a pensare, e il proprio sangue parve raggelarsi quando Chris notò il colore delle lacrime, di un nero intenso, che presagiva altro dolore.
    L’intero volto di legno iniziò a contorcersi, esibendosi in smorfie che in qualsiasi altro momento sarebbero state buffe ma non adesso, che avevano l’unico effetto di spaventarla ancora di più. Non pareva nemmeno reale, e in certi attimi pareva essere proprio al di fuori della realtà stessa, come se fosse qualcosa che abitava a metà tra due mondi differenti.
    Quando la biondina pensò che forse, forse, era il momento di filarsela prima di fare la fine dei bambini e dei fratelli, e riuscì a malapena a fare un passetto indietro, ma ecco che la quercia rise e si piegò in avanti - non voleva che scappasse via - e l’afferrò con i suoi lunghi rami. Un altro alto grido lasciò le labbra della piccola, il cui corpicino era scosso e pervaso da un dolore mai provato prima, nemmeno quando si era rotta una gamba l’anno precedente cadendo dalla bicicletta dopo che aveva voluto a tutti i costi farsi togliere le rotelle. Questo dolore, oltre ad essere svariate centinaia di volte più intenso e travolgente, costringeva la propria mente ad essere tutta concentrata su di esso, e la biondina a malapena riusciva a cercare una via d’uscita a tutto quello, la faceva pensare ad una fiamma che la stava consumando fino alle ossa, divorandola tutta, da capo a piedi. La quercia, che le era sembrata così bella e maestosa, la stava assorbendo, affamata della vita che Christina poteva offrirle.

    Con il corpo mezzo fuso con il tronco e l’altra metà che stava venendo fatta propria dall’albero, Chris fece lo sforzo enorme di voltare il viso verso il resto del parco, allungandovi una mano in cerca di aiuto. E gridò nuovamente, implorando e chiedendo un soccorso che non sarebbe mai arrivato.
    Con un ultimo barlume di consapevolezza, mentre ormai solo la testa spuntava ancora dal legno, e solo per metà, sentì la musica dell’organetto, prima così bella e cadenzata, divenire uno stridio gorgogliante che le trafisse potente le orecchie e, requiem, l’accompagnò nella morte.

    […]

    Nel buio, Christina aprì gli occhi di scatto. Respirava in modo affannoso, complice anche il groppo in gola che si era formato mentre dormiva, ed era così sudata da avere una sensazione di bagnato tra i capelli. Si sentiva la pelle fredda, congelata, ed eppure continuava a sudare, il cuore che pompava rumorosamente il sangue nella cavità toracica tra i polmoni.
    Era stato un sogno, solo un sogno. Un incubo estremamente realistico, anzi. Ma già mentre si autoconvinceva della cosa, ecco che i particolari sfumavano e non si ricordava più cos’avesse sognato, di esso rimaneva solo la consapevolezza che quello che le suggeriva il proprio inconscio era strano, perché sapeva, ne era assolutamente certa, di averlo già sognato prima, eppure non se lo ricordava. Era una cosa a dir poco frustrante, non solo perché poi la lasciava li, tra le coperte, a rimuginarci sopra per un tempo indefinito, ma anche perché non era la prima volta che succedeva. Ad occhio, tutto quello era cominciato circa sei mesi prima, o almeno così ricordava; purtroppo non poteva esserne certa, perché, così com’era arrivato il sogno, così esso spariva dalla sua memoria, con la stessa rapidità, e lasciava indietro pochi indizi su cui basarsi, e nessuno molto utile.

    Chris spostò lo sguardo verso dove sapeva esserci le sagome addormentate dei fratelli, immaginandoseli raggomitolati su se stessi come lei in quel momento oppure sdraiati con gambe e braccia larghe a formare una X. In effetti era molto più probabile la seconda ipotesi visto che qualcuno stava russando, e dalla posizione da cui proveniva il suono, quel qualcuno pareva essere proprio Axel, che durante il giorno respingeva con forza anche solo la possibilità di ronfare così rumorosamente. Un mezzo grugnito del ragazzo le strappò una risata silenziosa.
    E poi, come sempre, il flusso dei pensieri passava dal sogno che non ricordava, e tutte le implicazioni di questo che riuscisse anche solo ad immaginare, alla loro situazione attuale. Erano passati… sei, no sette anni da quella notte in cui avevano dovuto fuggire da casa propria senza il resto della loro famiglia, erano stati sbattuti in strada, rischiando di venire coinvolti in più di una rissa per quel poco cibo che erano riusciti a sgraffignare in piccoli furti, vivendo all’addiaccio e in case sfollate, e quando avevano capito che nemmeno quell’ambiente era sicuro avevano migrato a sud come le rondini.
    Erano stati giorni terribili quelli, pieni di incertezza e con la vita di ognuno di loro sul filo del rasoio. Avevano dovuto arrangiarsi con quello che trovavano e sopravvivere. Era stato come vivere in campeggio, ma con il rischio perenne di poter morire da un momento all’altro, e con una bambina al seguito. Non che ora fosse diverso, ma adesso quella bambina era un po' cresciuta e una mano la poteva dare, cosa che faceva più che volentieri.

    Subito dopo la morte della propria famiglia, Christina aveva praticamente smesso di parlare, se voleva comunicare o chiedere qualcosa prima toccava uno dei fratelli per attirare l’attenzione e poi indicava o faceva dei gesti, come se avesse avuto ancora due anni. Se avesse avuto qualche anno in più forse si sarebbe resa conto del dolore che ciò provocava sui visi di Axel e Gustav, che avevano subito le stesse perdite ed in più erano sufficientemente grandi da capire tutte le implicazioni della cosa. Lei invece si era comportata da bambina quale era e da un lato si era chiusa nel mutismo, mentre dall’altro ci sperava ancora. Sperava che tutto quello fosse un incubo e che si sarebbe svegliata presto, correndo tra le braccia della madre per raccontarle tutto e farsi consolare, rassicurare che tutto quello che aveva vissuto non era reale. Si sentiva anche in colpa, perché non era rimasta in buoni rapporti con Oscar, anzi avevano litigato giusto la sera prima che lui… e a lei era rimasto il rimpianto di non essersi scusata.
    Ed eppure ogni giorno si svegliava non nel lettuccio di casa, ma in un letto più grande di lei e con i colori sbagliati, con le molle che cigolavano e il cuscino che perdeva le piume. Passava la sua giornata seduta con aria apatica davanti al piccolo fuoco, bollendo l’acqua del lago per privarla delle sue impurità prima di berla una volta raffreddata, oppure guardando Gustav che cuoceva la poca carne che Axel portava loro. Il più grande aveva imparato a fare cappi e trappole con lo spago, riuscendo a catturare piccoli animali di terra e uccelli.

    Un giorno, forse sei mesi dopo la grande fuga, la biondina aveva capito che non aveva senso continuare a non parlare, non avrebbe riavvolto il tempo, non avrebbe riportato indietro i morti. Non avrebbe riavuto la sua famiglia, e non sarebbe riuscita a scusarsi.
    Le prime parole che pronunciò furono un ”Mi dispiace” detto con una vocina roca e tremolante, seguita poi da un pianto liberatorio che coinvolse presto anche Axel e Gustav, che l’abbracciarono e la stritolarono quasi, ma lei non disse nulla, era solo felice di averli li vicino a lei. Almeno loro non li aveva persi, era questo quello che doveva pensare, perché se così fosse stato lei sarebbe morta molto prima. Doveva tutto ai suoi fratelli.
    Nella notte successiva aveva parlato, più a se stessa che ad un ipotetico spirito di Oscar, per chiudere definitivamente con il peso che avvertiva alla bocca dello stomaco, e quando si era risvegliata era più libera, pronta a ricominciare.

    Era stato come una catarsi: se Christina in quei sei mesi prima era stata oltremodo taciturna, ora sembrava quasi purificata da quel pianto. Aveva accettato che non c’era più speranza per i suoi, che non sarebbero tornati, che era solo una vana speranza, e che era ora di risollevarsi e pensare a chi era rimasto.
    Axel e Gustav, come ringalluzziti dall’improvviso ritorno della loro sorellina, non avevano smesso di sorridere per una settimana, anche se per il minore non faceva alcuna differenza, lui sorrideva sempre. Anche la piccola aveva le labbra stirate in un sorriso, certo, ma da quel momento è sempre stato velato da un certo grado di tristezza.

    Nel tempo ciò che li legava si era fatto molto saldo, e Chris poteva affermare che non era più solo la sorella minore di Gustav e Axel, ne era la madre, la figlia e la confidente migliore, e loro potevano dire altrettanto di lei. Si erano adottati, in un certo senso, e avevano ricostruito loro stessi, adattandosi al nuovo mondo che li circondava.
    Christina aveva imparato a dare una mano praticamente in tutto: mentre Gustav le mostrava le piante, le radici e le bacche commestibili per separarle da quelle che non lo erano, Axel le aveva insegnato i nodi e come usare e riutilizzare lo spago per le trappole, oltre che ad essere paziente, perché gli animali non erano così stupidi come l’essere umano li ha sempre dipinti.
    Per difendersi non avevano nulla di particolarmente efficace, perché quella era una rest house, un rifugio dove ci si fermava a riposare, non un bunker anti-atomico provvisto di armi. Perciò rimanevano in vista del piccolo edificio, senza mai addentrarsi nel folto del bosco; negli anni avevano mappato anche le zone che erano più pericolose e facevano attenzione a non avvicinarcisi nemmeno, perché pullulavano di mostri e non avevano alcuna voglia di morire, e sicuramente non per mano loro.

    Ma la rest house era un luogo relativamente sicuro. La zona non era particolarmente battuta da quei mostri - non sapevano come altro chiamarli - e ogni volta che ne vedevano uno mollavano tutto per andare a chiudersi dentro all’edificio per uscirvi solo quando la via tornava libera. Non era una soluzione permanente, ma solo temporanea, in attesa di qualcuno che li notasse e li salvasse, ma che loro non sapevano se sarebbe mai arrivato, e questa cosa pesava sui pensieri di tutti quanti, rendendoli un po' più cupi.
    Axel, in particolare, essendo il più grande con i suoi ventun anni, era quello che si sentiva più responsabile, non solo per i fratelli ma anche per tutta la situazione e l’empasse che si era creata negli anni essendo colui che aveva proposto il Piano, e ciò si vedeva dalla curva che avevano preso le sue spalle, come se stesse tenendo su da solo il peso del cielo e del mondo intero tutto da solo. Era il fratello maggiore ed era stato cresciuto in questo modo, per sottrarre il peso che gravava sul sangue del proprio sangue e prenderlo su di sé.
    Gustav, al contrario, era quello che cercava di alleggerire la situazione. Christine non aveva ricordi di lui in cui il ragazzo non stesse sorridendo. Anche con la fine del mondo in atto, lui trovava sempre un motivo per sorridere, che fosse per la particolare forma di una nuvola oppure per i boccioli in fiore in primavera, con i loro colori sgargianti. Era sempre positivo e ottimista, e si era auto-assunto il compito di sollevare il morale generale.

    Christina invece non recuperò mai la spensieratezza dell’infanzia, gettata al vento con la cenere e il puzzo acre della polvere da sparo. Lavorava alacremente, il viso aggrottato per la concentrazione e la fronte resa lucida dal sudore; intrecciava trappole di corda, raccoglieva legna per il fuoco o acqua da bollire per poterla successivamente bere.
    E quando non aveva nulla da fare, solitamente nel tardo pomeriggio, ecco che raccoglieva il bastone meno nodoso e storto che avesse trovato e faceva finta di uccidere l’aria. Alle volte insisteva con Axel perché le facesse da avversario - Gustav se n’era tirato fuori sin da subito e non voleva sentire ragioni -, anche se il maggiore si lamentava che gli sembrava di fare da sacco da boxe più che da nemico.
    Chris ne aveva bisogno come l’ossigeno che respirava, l’aiutava a scaricare la tensione e non pensare. Perché negli anni trascorsi in quella frustrante immobilità, la bambina, ora ragazzina, era arrivata a chiedersi una cosa: valeva la pena sperare ancora di venire salvati?



    *L’organetto è la calliope menzionata nel tuo post. Solo che Chris non sa che si chiami così, sa solo che assomiglia ad un organetto
    ** Il Palazzo Reale di Stoccolma

    Non bisogna dimenticare che Chris e i fratelli sono in una rest house, un posto che non è solo un bungalow/baita (non c’è una vera e propria traduzione) per dormire, ma ci sono tante cose utili per rimanere lì, come anche le padelle e tutta una serie di arnesi per accedere i fuochi, come gli acciarini
     
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    Hell’s Passenger

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    I giorni passano, inesorabili e quasi volutamente lenti, ogni momento scandito da un profondo sentimento di resa da parte tua - è comprensibile che alla tua giovane età, dopo tutto questo tempo, le cose appaiono ancora più difficili di quanto non fossero già.
    D'altro canto, è vero che le cose stanno peggiorando: negli ultimi giorni di caccia Axel ha notato che i pattern delle creature stanno rapidamente cambiando, senza alcun apparente motivo, e mentre non si avvicinano ancora eccessivamente alla vostra zona, sono divenuti tanto strani nei loro movimenti che ogni uscita dalla baita, per quanto necessaria, diventa un azzardo, un gioco che per quanto vi serve rischia di chiedere troppo.

    Mentre riuscite a far procedere la vostra routine in maniera più o meno regolare, ognuno di voi, in particolare te, capisce che c'è qualcosa di strano nell'aria, qualcosa di non necessariamente piacevole - è più una sensazione leggera, che sentite al limitare dei vostri pensieri, rendendola quasi inconsciamente di secondaria importanza.

    Un giorno, qualcosa cambia: dalla posizione della vostra baita riuscite a vedere, a grande distanza, figure lontane e indistinte aggirarsi al limitare del lago. Fate fatica a capire esattamente cosa sono, ma vi pare abbastanza chiaro che non sono umani. Per vostra fortuna, non si accorgono della vostra presenza, rimanendo solo nei dintorni, ma la cosa non è necessariamente un bene, poiché vi è sempre il dubbio di sé e quando arriveranno vicini a voi.

    A causa di ciò te e i tuoi fratelli decidete di rinchiudervi, come vostra normale procedura, in casa: avete fatto scorta di cibo e acqua per queste evenienze, e con un po' di attenzione dovreste riuscire a stare tranquilli per un po' di tempo - solo, dovete sperare che basti per il tempo necessario a far calmare la situazione esterna.

    La situazione per il resto pare quasi tranquilla, e anche se non c'è molto da fare, ognuno di voi cerca di passare il tempo come possibile: non c'è molto con cui svagarsi, è vero, ma dopo sette anni vi siete abituati ad un ritmo di vita più lento.

    Ad un certo punto, però, qualcosa accade: una febbre improvvisa invade gradualmente il tuo corpo, che senti bruciare di calore. Non ti fa male, ma ti rende debole, incredibilmente debole, e sei costretta a rimanere confinata nel tuo cigolante letto mentre i tuoi fratelli si prendono cura di te come possono. Non sei in apparente pericolo, ma la temperatura continua a variare a livelli costanti, cosa che da certo non poco spavento.

    E dunque, stesa sul tuo letto, sogni ancora una volta.

    Sei da sola, e cammini su un sentiero illuminato in mezzo ad una selva oscura: attorno a te, vi sono solo ombre ed oscurità, e l'unica via che ti pare sicura è quella di fronte a te, scandita dalla rassicurante luce delle numerose lanterne che compongono i bordi della strada.

    Ti senti come osservata, come se qualcosa o qualcuno ti stesse tenendo d'occhio: più volte, la tua curiosità desidera farti girare per controllare se c'è davvero qualcuno dietro di te, eppure non lo fai, perché i tuoi istinti ti dicono di non farlo - hai la sensazione che se ti girassi non riusciresti a proseguire sul sentiero.

    E dunque cammini, e cammini, e cammini ancora, sentendo il peso di qualcosa di enorme sulle tue spalle. Ogni tanto, ti pare di sentire le voci di Axel e Gustav chiamarti, dicendoti di aspettarli o di venire da loro, ma ti è chiaro che vengono dai lati del sentiero, laddove la luce non raggiunge e vi è solo tenebra.

    Eventualmente, arrivi alla fine apparente del sentiero: davanti a te vi è un enorme arco di un qualche minerale a te sconosciuto, che continua a cambiare colore di continuo assumendo a volte tonalità che ti portano disagio. Al di là della porta, in un mare di luce, ti pare di vedere figure indistinte, anonime: non capisci cosa sono, ma ti sembrano quasi rassicuranti.

    Eppure, allo stesso tempo, le voci di Axel e Gustav diventano sempre più incessanti, e il tuo desiderio di vedere dietro le tue spalle ti assale con incredibile forza, paralizzando temporaneamente i tuoi movimenti.

    Cosa farai?



    [Perdona il ritardo, a te :zizi:]
     
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    Auta i lóme! Aurë entuluva!

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    Carousel of Rotten Dreams, II
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    Il tempo passava, lento ed inesorabile, sovrano di ogni essere vivente, animale e vegetale, e perché no, anche minerale; ogni giorno era uguale a se stesso e nulla cambiava, a parte la percezione sempre più rallentata del mondo. La speranza di venire individuati e salvati iniziava a dissolversi, e Christina aveva paura del giorno in cui questa sarebbe svanita del tutto. Cominciava a stancarsi di fare sempre le stesse cose e di aspettare, soprattutto aspettare, erano sette anni che erano lì, in quel buco di parco dimenticato da tutti, e la biondina dentro di sé aveva già iniziato ad arrendersi, che ne fosse consapevole o meno. Che senso aveva fermarsi e sperare? Non era meglio salvarsi da soli?
    Aveva anche paura ad esternare questo suo pensiero e sentimento, paura che fosse condiviso anche dai suoi fratelli; paura e… sollievo, intimo e colpevole, perché non sarebbe stata l’unica a sentirsi così arresa.

    Come se tutto ciò non fosse già abbastanza un colpo basso per l’umore della ragazzina, quando Axel era tornato dalle ultime cacce aveva riferito di movimenti sospetti delle creature, che stavano cambiando abitudini senza alcun apparente motivo; certo, non si avvicinavano ancora in modo eccessivamente all’area che i tre fratelli tenevano e abitavano ormai da sette anni, ma i loro comportamenti erano divenuti strani ed imprevedibili, tanto che si era raccomandato mille e mille volte che lei e Gustav uscissero solo se strettamente necessario, in quanto era troppo rischioso anche solo allontanarsi di un passo se non precedentemente concordato.
    Ma se il fratello l’aveva presa bene, buttandola anche un po' sul ridere e beccandosi una delle epiche occhiatacce del maggiore, Christina aveva annuito, l’espressione seria e compita. Dopotutto Axel lo diceva per loro, per la loro stessa sicurezza, e la sorellina capiva queste motivazioni, non era restia a condividerle.
    Avevano iniziato a rimanere più vicini alla rest house, a piazzare trappole non oltre una certa distanza, ad accendere il fuoco appena fuori dal porticato, e andavano in due a prendere l’acqua, per non rimanere quasi mai da soli e non andare mai troppo lontani.

    Chris aveva continuato a svolgere le proprie attività con una punta d’ansia, un piccolo ma affilato stiletto infilato a forza tra i polmoni e lo stomaco che la metteva più in allerta del solito e non la faceva dormire tranquilla. Era una sensazione, qualcosa puramente dettato dal proprio istinto più che dalla ragione; eppure lei sapeva che c’era qualcosa di strano, né propriamente bello né necessariamente brutto ma solamente strano, come un delicato tocco di dita nella loro visione del presente che andava ad alterare il quadro generale senza che la ragazzina riuscisse a capire nel dettaglio cosa non andasse realmente.
    Erano pensieri passeggeri, che durante il lavoro quotidiano si riducevano ad essere un ronzio nemmeno troppo fastidioso in un angolino della propria mente, ma che Christina vedeva interessare anche i propri fratelli. E lei, che era sempre stata equiparata ad Axel e Gustav in tutto, che non vedeva differenze tra di loro, lei sapeva di essere l’unica dei tre a percepire maggiormente questa sensazione, anche se proprio non ne capiva l’origine né ad inquadrarla con precisione.


    Era successo un giorno. Si erano svegliati presto come al solito, avevano fatto l’usuale colazione frugale con bacche e radici; e uscendo per andare a svolgere le rispettive attività avevano visto delle figure. Erano molto lontane e per questo nessuno dei tre - nemmeno Gustav che aveva sempre avuto un’ottima vista - riusciva a distinguerle con chiarezza per dire che cosa fossero, e si aggiravano sul limitare del lago opposto al loro.
    ”Per voi cosa sono?” La voce di Axel era poco più di un sussurro, e Christina poteva notare - dopo sette anni era anche normale visto tutto il tempo passato a strettissimo contatto - che c’era una nota di speranza. Quello che non diceva, per paura di osare troppo, era: sono umani?
    Beh, alla biondina non pareva, proprio per niente. E la sua opinione venne espressa da Gustav con un secco ”Nessun umano si muove così” che sgonfiò le aspettative del fratello maggiore, il quale aveva abbassato la testa per nascondere - senza riuscirci - l’espressione delusa.

    ”Gustav ha ragione, Axel. Anche se non si stanno dirigendo qui, non possiamo sapere se si avvicineranno e quando lo faranno. È meglio prendere delle precauzioni, non credi?” disse la più giovane dei tre, lo sguardo addolcito posato sul viso del fratello, tormentato e precocemente invecchiato di almeno dieci anni. Con le mani racchiuse quella tremolante di Axel, cercando di trasmettergli la propria sicurezza e le proprie preoccupazioni per lui e tutti loro; e quando il maggiore rialzò la testa, Christina fu intimamente felice di vederlo pieno di rinnovata forza a quel contatto.

    All’unisono i tre fratelli decisero di procedere con il piano difensivo, che il minore si ostinava a chiamare ’arrocco’ come una famosa mossa degli scacchi: si chiusero nella rest house, sbarrando porte e finestre fino a rimanere nella penombra, le armi improvvisate - semplici ma robusti bastoni di legno - sempre a portata di mano più per sentirsi al sicuro che per una vera e reale protezione.
    Non potendo uscire all’esterno, c’era poco e niente da fare a parte gettare supposizioni sul mondo che non vedevano ormai da sette anni, chiacchierare, inventare storie – Gustav era un oratore a dir poco fantastico – e ogni tanto controllare attraverso il poco vetro rimasto disponibile se le figure ci fossero ancora e cosa stessero facendo.
    Avevano cibo e acqua a sufficienza per una settimana abbondante, anche due se razionavano le scorte. Axel sembrava ottimista, per lui quelle… cose se ne sarebbero andate non appena non li avrebbero più visti avventurarsi all’esterno, e dava una stima di qualche giorno perché la situazione si risolvesse.
    Il fratello minore invece era restio a condividere l’ottimismo e la speranza del maggiore, un po' per abitudine - quando ancora erano nella loro casa di Köpmangatan, non perdeva occasione per dire la sua, che spesso era l’esatto opposto di quello che sosteneva Axel, quindi un po' tutti si erano abituati alla cosa e ai loro bisticci, o “discussioni animate” come le chiamavano - e un po' per puro ragionamento: perché se il maggiore era quello ottimista, leale e a tratti sentimentale di loro quattro, Gustav era la mente affilata e calcolatrice, che soppesava ogni minima cosa, la ragionava e ne cavava fuori un risultato completamente diverso. Christina alle volte sperava di aver preso e imparato da lui, e invece altre sospettava di essere pericolosamente simile ad Axel.
    Tuttavia, anche se divergevano sui tempi, tutti e tre concordavano su una cosa: era necessario rimanere chiusi dentro per far calmare la situazione lì fuori e potersi nuovamente avventurare all’esterno. Perché con quelle cose li fuori, imprevedibili com’erano diventate, uscire era ormai un’opzione da scartare a prescindere.

    ”Gu, raccontami ancora della storia della sirena…” Ancora prima che il fratello iniziasse a parlare, Christina era sprofondata nel divanetto del piccolo soggiorno, i piedi in grembo ad Axel.
    ”In alto mare, lontano lontano, l’acqua è azzurra come i petali del fiordaliso e limpida come puro cristallo, ma è profonda, talmente profonda che nessuna ancora riuscirebbe a toccare il fondo, e bisognerebbe mettere molti campanili uno sopra all’altro per poter arrivare dal fondo fino alla superficie. In quelle profondità vivono gli abitanti del mare…”
    La biondina, senza chiudere gli occhi, sprofondò in un sogno ad occhi aperti: vedeva una bella ragazza dai capelli rossi e la coda di pesce verde-azzurra, in sovrapposizione ad una statua scura su una roccia all’ingresso di un porto…

    ”…Quando giunse al castello del principe il sole non era ancora sorto. Si avvicinò alla magnifica scalinata di marmo illuminata dal chiaro di luna. Si fermò e bevve l’amara pozione bruciante: allora ebbe la sensazione che una spada a due lame tagliasse il suo fragile corpo, quindi cadde svenuta e rimase in terra come morta…”
    Christina iniziava ad avere caldo. Si spogliò del golfino e si sventolò con la manina candida, passando poi ad utilizzare un foglietto posato sul tavolino. Si sentiva le palpebre pesanti e il filo dei pensieri rallentato, oltre che la fronte che scottava.
    Il movimento non passò inosservato. Axel alzò la mano per bloccare Gustav, per poi posarle la mano sulla fronte - ”Oh, frescura!” - e ritirarla quasi subito. ”Chris, tu scotti!” Un’esclamazione che fece accorrere anche l’altro fratello, dapprima seduto sulla poltroncina e ora inginocchiato di fronte a lei che ripeteva il gesto del fratello.

    Dal canto suo, Christina si stava sforzando di mettere assieme le parole per formulare un pensiero quantomeno coerente, la bocca così secca che le sembrava il deserto di Atacama. Aveva la vista sfocata e non riusciva a farsi forza, a tirare su la testa e almeno appoggiarsi ai gomiti. Si sentiva debolissima, e quando Axel - il più forte fisicamente - la prese in braccio e la tirò su per portarla in camera, la biondina aveva il capo riverso all’indietro e le braccia abbandonate, una di traverso sullo stomaco e l’altra che pendeva giù, attirata a terra dalla gravità.

    Le coperte erano fresche, una vera delizia per il suo corpo così eccessivamente accaldato - anche se gliene avevano messe un po' troppe e allora la ragazzina aveva combattuto una debole guerra già persa in partenza con Axel per cercare di gettarle via, con il fratello che tornava a buttargliele addosso con aria di preoccupato rimprovero -. Subito Gustav diede una spintarella al maggiore per spostarlo e metterle una pezzuola imbevuta di acqua sulla fronte, facendola rabbrividire e sospirare di sollievo allo stesso tempo, aggrappandosi alle coperte come ad un salvagente in mezzo al mare. Adesso ogni parte del suo corpo le pareva di gelatina, riusciva solo a ruotare con fatica la testa di lato e offrire un fiacco sorriso in cambio delle premure dei fratelli.
    Ogni tanto la febbre scendeva, e allora le toglievano la pezza e le permettevano di scoprirsi un po', di uscire dal bozzolo delle coperte, ma con il solo risultato che la temperatura tornava a salire e lei aveva caldo e freddo assieme.
    ”Ora dormi, d’accordo? Vedrai che una bella dormita ti rimetterà in sesto. Ci prendiamo cura noi di te”
    Con un movimento che le diede il capogiro, Christina diede il suo debole assenso al piano, non lasciandosi tuttavia sfuggire l’occhiata preoccupata che Axel aveva gettato a Gustav, e non ci volle molto perché chiudesse gli occhi resi lucidi dalla febbre e scivolasse nel sonno.



    […]



    Era in un bosco, ed era da sola. Tutto attorno a lei era avvolto dall’oscurità, i rami degli alberi si confondevano con la volta priva di stelle fino ad essere un tutt'uno con il cielo nero; tutto era buio a parte il sentiero illuminato sul quale stava camminando, l’unica via che sembrasse sicura grazie alle lanterne che gettavano la loro luce protettrice sulla strada da percorrere. Il resto era oscuro e pieno di terrori.
    Mentre Christina camminava a testa alta, si sentiva osservata: da qualcosa o qualcuno, questo non lo sapeva; era curiosa di scoprirlo, di girarsi a vedere chi o cosa ci fosse dietro di lei a tenere d’occhio ogni suo gesto. Eppure ogni volta che ci pensava, l’istinto le irrigidiva le membra: non poteva farlo, non poteva voltarsi, non sarebbe riuscita ad proseguire lungo il sentiero altrimenti.
    ”Se mi guardo indietro, sarò perduta”
    Continuò a camminare e a combattere contro la curiosità, ripetendosi quella frase come un mantra salvifico, che la proteggeva da qualunque male e le permetteva di proseguire illesa. Avvertiva solo un enorme peso sulle spalle, e sperava che le fosse tolto quando sarebbe arrivata alla fine del percorso.
    Ogni tanto delle voci raggiungevano le sue orecchie, e a Christina il cuore le salì fino in gola nel rendersi conto che erano quelle dei fratelli, ma poi sprofondò giù fino allo stomaco quando la biondina capì con costernazione che provenivano dai lati del sentiero, dal bosco, dall’oscurità non mitigata dalla luce delle lanterne.
    ”Aspettaci, Chris!” diceva Axel.
    ”Vieni, sorellina, vieni da noi!” diceva invece Gustav.
    Christina continuava a camminare con espressione confusa, perché le persone che amava più di ogni altra cosa erano nell’oscurità e la chiamavano al di fuori del rassicurante sentiero. Ma se davvero le volevano bene come lei gliene voleva a loro, perché la volevano portare al di fuori dello spazio dove sarebbe stata al sicuro, perché la volevano attirare nell’oscurità, perché?

    Ed infine, la fine. Il sentiero apparentemente terminò, e la ragazzina si trovò davanti ad un enorme arco dal materiale sconosciuto e dai colori cangianti, alcuni che l’incantarono e la fecero rimanere a bocca aperta per la varietà infinita di sfumature, e altri che le procurarono più e più smorfie di disagio da tanto che la colpivano nel profondo. Al di là di esso, un bellissimo e incantevole mare di luce, con figure indistinte e anonime, tanto prive di elementi riconoscibili da non capire cosa fossero, ma l’istinto le diceva che non c’era nulla da temere da loro.
    Eppure... eppure… le voci dei fratelli continuavano a chiamarla, il tono si era alzato e la assordavano fino a sembrare una cantilena da farle sanguinare le orecchie, e la curiosità e il desiderio di voltare il viso e vedere cosa ci fosse alle proprie spalle aumentò a dismisura, tanto da rimanere paralizzata dalla pressione esercitata sul suo piccolo corpo da queste tre potenze che la opprimevano e la spingevano e la confondevano ancor di più.
    ”Se mi guardo indietro, sarò perduta…”
    Una lacrima di frustrazione scivolò fuori dalla palpebra inferiore e percorse veloce la guancia destra, seguita subito dopo da una gemella sulla gota sinistra. Cosa poteva fare? Aveva la sensazione che se si fosse guardata alle spalle, poi non sarebbe potuta andare avanti, raggiungere le figure in quel meraviglioso mare di luce che si stendeva all’infinito davanti ai suoi occhi, e l’avrebbe rimpianto per sempre.
    Tuttavia i fratelli la chiamavano e le loro voci contrastavano sia il desiderio di voltarsi sia lo struggimento causato dalla visione di ciò che c’era oltre l’arco, della pace e della serenità che regnavano nel mare di luce.
    ”Se mi guardo indietro, sarò perduta…”
    Si sentiva travolta, sopraffatta e schiacciata dall’enorme responsabilità della propria scelta, il cuore gravato dal peso dell’indecisione: non era del tutto sicura di voler oltrepassare l’arco e raggiungere le figure che sembravano quasi rassicuranti ma non lo erano del tutto; e tolta quell’opzione, rimanevano le altre due, e Christina si sentiva come strappata a metà.
    ”Io… io… non posso farlo, non posso…”
    Tremava, le braccia magre che circondavano il busto come a volersi proteggere da tutto quello, e fece qualche passo indietro sul sentiero. Le voci di Axel e Gustav erano una cantilena che le trapassava i timpani fino quasi a farli sanguinare, e le fece mettere le mani sulle orecchie, doveva farla smettere al più presto…
    Trattenendo un grido e accettandone le conseguenze, conosciute e non, Christina si girò.

    0SqweJS


    Status Cloth ~ Non ottenuta
    Mente ~ letteralmente assordata e confusa
    Fisico ~ febbrone da cavallo che va e viene

    Riassunto ~ bel trippone mentale
    Altro ~ per me Axel è anche lui un LB, mentre Gustav è un NB con tratti da CB. Inoltre per me Axel è tipo Norito Goshi di Seraph of the End, mentre Gustav è tipo Takiyuki Mihama di Pretty Rhythm: Rainbow Live.
    Köpmangatan è la più antica strada di Stoccolma [X]
    E comunque, sempre allegre le fiabe di Hans Christian Andersen, eh?
     
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3 replies since 1/5/2019, 17:26   272 views
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