Espada

Add Shenanigan

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    Hell’s Passenger

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    Ti svegli.
    La prima sensazione che pervade il tuo corpo è un'immensa stanchezza. Nonostante tu abbia passato la notte in maniera più o meno tranquilla, il tuo corpo è come un macigno - la tua mente è annebbiata, e i tuoi sensi deboli.
    Ti sembra quasi di essere rimasto sveglio tutta la notte, ed hai l'aria di una persona che necessità di dormire ancora. Eppure, sai di non potertelo permettere.
    Passato qualche minuto in cui il tuo organismo finalmente si riprende, i ricordi iniziano a riaffiorare rapidamente: dopo essere stato messo in salvo da tuo "padre", hai vagato senza meta e senza scopo per una quantità di tempo che fai fatica a ricordare, sostentandoti con quello che trovavi e vivendo come potevi.
    Eventualmente, seguendo uno dei sentieri di un bivio con dei cartelli di legno illeggibili, ti sei ritrovato in una fitta foresta. Rapidamente però ti sei accorto che essa è costantemente ammantata da una fitta nebbia: fai fatica a vedere già dopo qualche metro di distanza. Avendo con te qualche scorta di cibo, i primi giorni passano relativamente tranquilli mentre cerchi di uscire da quel labirinto: presto però ti accorgi che la nebbia non pare voler sparire, e non riesci a trovare un'uscita - ti sei perso. Il cibo presto finisce, e nei giorni successivi riesci solo a trovare abbastanza cibo da tenerti abbastanza forte per muoverti, anche se continui a patire fame e sete.
    In particolare, negli ultimi due giorni, ti pare di vedere e sentire cose che non riesci a spiegarti. Ombre e rumori estranei diventano parte costante della tua temporanea routine, e la tua mente vacilla in preda alle sue deprivazioni, ma riesci in qualche modo a rimanere sano - purtroppo però non sai quanto riuscirai a durare.
    La notte precedente sei riuscito a trovare rifugio in una capanna di legno abbandonata, le cui condizioni sono relativamente buone, abbastanza da concederti di resistere al freddo della notte.
    E ora, la mattina dopo, ti ritrovi a dover decidere cosa fare.


    CITAZIONE
    Benvenuto al tuo add.
    Divertiamoci: presentami il tuo pg, e le sue reazioni davanti alla situazione difficile in cui è stato messo. So che è un primo post impegnativo, ma mi serve per capire meglio il tuo pg data la sua particolare condizione. Finisci pure il post con te che decidi il da farsi. Per qualunque dubbio mandami pure un pm.
     
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    Preludio.
    A fianco di una strada sterrata giaceva la capsula oramai quasi interamente distrutta, con l'oblò in frantumi e lo sportello aperto, da cui fuoriusciva un fumo nero e in cui a malapena si poteva notare l'interno completamente rivestito di un morbido tessuto imbottito rosso, che oramai era usurato e da cui fuoriusciva l'imbottitura; a fianco, invece, il corpo stremato e seminudo del dodicesimo esperimento della sede spagnola della Emochip. Il figlio prediletto, l'unico vicino alla completezza e, per puro caso divino, l'unico a salvarsi e a continuare ad esistere, l'unico a guardare con i propri occhi come la Corruzione lentamente divorava e scioglieva tra le sue fauci tutte le forme di vita che incontrava, come un mendicante che non sente l'odore del cibo da settimane e che finalmente si ritrova davanti un tavolo stracolmo di viveri. Per sua fortuna Anmas non venne spedito in mezzo ad una cittadina distrutta e piena di corrotti, bensì suo "padre" aveva deciso di mandarlo in un posto ben preciso, un posto a lui familiare e a cui ha pensato pochi istanti prima di essere assalito da quelle figure scure e feroci, poco prima di esalare l'ultimo respiro. Al di fuori della città di Valladolid, infatti, vi si trovava una pianura percorribile per vari chilometri al cui interno erano presenti ville di lusso e campi coltivati, ma tra l'immensità generale del luogo vi era una locazione specifica, una enorme villa che sembrava caduta in rovina da anni e anni ma che, all'interno delle sue mura, celava il luogo dove effettivamente iniziarono gli studi del Dottor Ninguez. Il corpo senza forze e ammaccato dalla caduta della capsula di salvataggio si sollevò dal terreno, con i lunghi capelli che oramai danzavano prima qui e poi lì, mossi dal freddo vento invernale che sembrava soffiare incessantemente solamente sul ragazzo; gli occhi erano socchiusi, ogni tanto sembravano spalancarsi forse a causa del dolore provato, ma ritornavano poi a rilassarsi lasciando visibili solamente le pupille color ghiaccio. Gli stivali neri si impregnavano di terriccio mentre calpestavano l'erba, erano passi pesanti, impregnati delle uniche forze rimaste all'unico sopravvissuto a quel disastro; mentre le immagini dei vari scienziati massacrati e delle cellule criogeniche distrutte che rilasciavano liquidi che poi si mischiavano al sangue sul terreno, Anmas vide un rifugio sicuro nella villa che un tempo fu laboratorio, nonché casa sua. Entrò aprendo la porta scricchiolante, poggiandosi con il braccio e il gomito sulla maniglia dorata oramai arrugginita, lasciando riflettere i raggi della luna sull'uscio dell'abitazione che era scura e piena di polvere, la quale si sollevava come se il parquet stesse sbuffando violentemente ad ogni suo passo. Chiuse l'entrata dietro di sé e si accasciò sulla sedia, poggiando la testa, il petto e gli arti superiori sul tavolo, respirando affannosamente per lo sforzo fatto in precedenza. Non appena le gambe tornarono a funzionare normalmente, ovvero dopo quasi un'ora, l'esperimento riuscito decise di alzarsi in piedi e di rovistare tra le cianfrusaglie lasciate lì dall'impresa di trasporti ingaggiata da suo "padre". Tra i cassetti posti in cucina riuscì a trovare qualche frutta oramai vicina alla marcitura, oltre a delle barrette energetiche e delle bibite gassate che gli studiosi utilizzavano per stare svegli durante le lunghe nottate passate a perfezionare il SER-745w, ovvero il "Simulador de Emocciones y Reacciones", il chip impiantato all'interno del cervello di Anmas e collegato ai nervi fondamentali, che invia stimoli a tutto il corpo e gli permette di provare dolore e piacere, oltre a varie emozioni inserite già da Ninguez nella versione precedente.
    Il dodicesimo prese le barrette e le bibite e le ripose nelle tasche esterne del lungo cappotto nero decorato con borchie e con una calda pelliccia bianca, poi decise di lavarsi la faccia utilizzando un rubinetto posto sul retro della casa, vicino ad un recinto dove ricordava che vi fossero prima dei suini utilizzati per varie prove scientifiche, ma non diede troppa importanza a ciò, così si asciugò il volto sulla maglia al di sotto del cappotto e poi lo chiuse di nuovo facendo passare i bottoni posti in un'estremità dentro gli spazi posti sull'altra estremità, prima di correre oltre mentre da molto lontano, dietro di lui, sentiva delle urla soffocate e acute e; sul cielo nero intanto, apparve un elicottero tinto di bianco e rosso che molto velocemente sorpassò la testa del giovane senza curarsi troppo di ciò che vi era sotto, in direzione Valladolid, riconoscibile solamente per la nube nera gassosa che si innalzava potentemente diventando un tutt'uno con il cielo stellato. Sembravano passate oramai ore da quando era uscito dalla capsula ed effettivamente il suo corpo sembrava sentire ancora di più la stanchezza, così dopo qualche chilometro si fermò su un ponte in pietra di epoca romana, che passava sopra un corso d'acqua abbastanza largo portando verso una lontana distesa verde; lì Anmas mangiò alcune barrette energetiche e bevve una bevanda in lattina, sedendosi a terra con la schiena poggiata sul corrimano in pietra. Oramai il sole stava apparendo dietro i monti innevati visibili all'orizzonte, con le sue lingue di fuoco che lentamente facevano tingere il cielo di un rosa caldo e leggero, come una luce che brucia sempre di più in mezzo alla totale oscurità.

    Da cosa sto scappando esattamente? Perché hanno voluto prendere Cesàr? Chissà se è ancora vivo...Chissà...

    Pensò, ripensando all'ultimo sguardo dato a colui che Anmar considerava come un vero e proprio padre, non come un creatore.
    Il suo sguardo, stanco e malinconico, su posò sulla strada oramai percorsa piena di erbacce e di terriccio, salendo poi verso quella nube di fumo nero che ancora si alzava verso il cielo, ancora più visibile. Ne era trascorso di tempo, la stanchezza si faceva sentire, ma doveva fuggire e ritrovare le forze e, soprattutto, un luogo sicuro dove poter sopravvivere all'Apocalisse. Ad un tratto un dolore lancinante, quasi come una scossa elettrica, colpì la mente del giovane facendogli provare come una sensazione di distacco, come se una parte di lui fosse stata trascinata via dal suo corpo da una misteriosa forza. Il dolore passò, ma quello era solamente il primo piccolo cambiamento dovuto alla caduta dolorosa dalla navetta, il primo di una lunga serie di eventi che avrebbero segnato Anmas dopo l'Armageddon.

    Giorno uno.
    Il sole era oramai alto nel cielo e i suoi raggi illuminavano il percorso che il dodicesimo esperimento avrebbe dovuto seguire pur di scappare dalle figure corrotte che avevano praticamente raso al suolo il laboratorio. Una volta alzatosi in piedi il dolore alla testa sparì e, dopo essersi portato una mano sul capo e aver ripetutamente imprecato, decise di camminare a passo svelto verso una fitta foresta che si estendeva per una decina di chilometri, a circa due ore di strada dal ponte in pietra. Tutto il percorso era piena campagna, con folti campi di grano e terreni da cui spuntavano cavoli, pomodori e carote stranamente marce o putride e continuava così per vari metri, fino a quando tra le casette in pietra completamente vuote non notò qualcosa di terribile e disgustoso: in uno spazio buio tra due abitazioni vicine trovò ammassati una decina di corpi, maschili e femminili, giovani e vecchi, in un lago di sangue che lentamente si andava espandendo macchiando il terreno. La puzza gli fece quasi venire la nausea e la visione si fece più macabra quando arrivarono degli uccelli a picchettare sulle teste dei cadaveri, staccando a volte pezzi di carne, occhi e unghia. Anmas decise di non soffermarsi su quella scena e di cominciare a correre via, in modo da arrivare il prima possibile alla foresta in cui pensava che le figure non potessero addentrarsi; le paranoie stavano lentamente offuscando la sua visione della realtà e la scossa ricevuta non aveva di certo aiutato, così che, dopo aver corso fino ad avere il cuore in gola, si fermò solamente alla vista di un pozzo di pietra accanto al quale era poggiato un secchio di legno attaccato dalla parte del manico in ferro ad una fune all'apparenza molto resistente. Decise di calare il secchio tenendo saldamente la fune con entrambe le mani, scrutando con gli occhi glaciali il fondo ma senza alcun risultavo, visto che la luce non pareva arrivare fin lì. Dopo qualche secondo sentì uno scrosciare, dovuto all'acqua che aveva riempito quasi completamente il secchio, così decise di ritirarlo con grande foga fino a quando non arrivò in superficie; gli occhi del ragazzo quasi brillarono alla vista di quell'acqua potabile, dopo aver sofferto la gola secca per una giornata o anche più, visto che oramai aveva perso conto del passare dei giorni e sembrava di rivivere in loop sempre lo stesso lasso di tempo. Per sicurezza mangiò anche la penultima barretta energetica e continuò il suo viaggio fino a quando, al calare del sole, non arrivò davanti alla folta foresta piena di querce colossali che fecero sentire per un istante Anmas della grandezza di una formica, fino a quando il suo sguardò non notò una fitta nebbia che sembrava ricoprire tutta la parte esterna della foresta e, da varie spazi tra i rami e tra i fusti, sembrava inebriarla anche internamente, donandogli un alone di mistero che lo preoccupava leggermente. Si addentrò nel bosco e si mosse tra vari rami e tra rampicanti difficili da rimuovere, perdendo di vista la strada che sembrava oramai essere sparita dietro di lui, poi decise di seguire dei cartelli penzolanti in legno che sembravano attaccati ai rami e a delle rovine in pietra per miracolo, tra cui uno di essi, a forma di freccia, riportava una scritta leggibile: "SORV". Il resto era completamente cancellato dallo scorrere del tempo.
    Si addentrò ancora di più verso il cuore della foresta, notando che la nebbia diventava sempre più fitta man mano si avvicinava al punto in cui il cartello puntava, ma non gli diede troppa importanza fino a quando non inciampò rovinosamente sull'enorme ramo di una quercia, rotolando al di sotto di un piccolo burrone e ritrovandosi davanti l'uscio semi-aperto di una piccola abitazione in legno. Sulla sua guancia si aprì una piccola ferita rossa da cui sembrava uscire lievemente un po' di sangue, ma, cosa ben più grave e che fece disperare ancor di più il giovane, le sue tasche erano completamente vuote. Tutto il cibo e il beveraggio era andato perduto; provò per qualche minuto a cercare dietro di sé ma la nebbia era così fitta da non permettergli quasi di vedere oltre le punte dei piedi. Decise di entrare nella baracca che sembrava appartenuta al sorvegliante; non era il massimo che avesse visto, vi erano buchi profondi nelle mura, il pavimento e così la sediolina e il tavolo scricchiolavano, la porta non si chiudeva bene ed il camino era oramai inutilizzabile visto che sembrava essere stato allagato dalle frequenti piogge. Lo stomaco del giovane cominciò a brontolare e sentiva la gola raschiare da quanto era secca, ma di cibo e di acqua lì dentro non vi era neanche l'ombra. Si distese sopra il lungo tavolo in legno che scricchiolava incessantemente e che stranamente riusciva a reggerlo, si tolse il lungo cappotto nero in pelliccia e lo utilizzò come coperta, mentre le sue braccia ricoperte solamente da una luna maglia nera gli facevano da cuscino su cui poggiare il capo. Non chiuse occhio quella notte, nonostante il sonno lo stesse divorando vivo, nonostante i suoi occhi pregavano per chiudersi almeno per qualche ora; distanti vi erano ululati e movimenti violenti delle foglie, una leggera pioggia faceva cadere delle gocce d'acqua sul tetto le quali, attraverso i buchi presenti, cadevano con un rumoroso tic sul pavimento. Le mura parvero girare intorno a lui, vide facce e ombre muoversi negli angoli della casupola, sentiva persone bisbigliare all'esterno dell'abitazione come se stessero preparando un piano malefico alle sue spalle. I rumori si fecero sempre più forti, le facce sempre più vicine, fino a quando gli occhi e la mente del giovane non cessarono. Riaprì gli occhi di scatto.
    Era ancora dannatamente stanco, gli occhi sembravano uscire fuori dalle orbite e sembrarono passare solamente un paio di minuti. Fuori era ancora tutto buio e le gocce dal tetto, nonostante con un ritmo molto più lento, continuavano a cadere sul terreno. Decise di uscire fuori pur di non impazzire, cercando incessantemente per la barretta e per la lattina che aveva precedentemente perso cadendo da quel piccolo burrone; si arrampicò verso una parte che sembrava molto simile a quest'ultimo, strappando qualche rampicante nel movimento compiuto con le ultime forze rimaste, ma non trovò nulla di ciò che aveva perduto, ma, destino volle, che ai piedi di un enorme albero di cui non riusciva neanche a scrutarne i rami, trovò due succose mele rosse. Forse erano sporche di fango o feci, ma tutto ciò di commestibile era succoso in quel momento per Anmas. Le mangiò rapidamente infilzando con i canini la buccia ed estraendone la polpa, masticando i pezzettini e ingoiando il succo gustoso. Non appena finì rimase in ginocchio ad ansimare, poi sentì come un bisbigliare provenire da davanti a lui e un paio di occhi gialli apparire dietro l'albero di fronte, scrutandolo dalla testa ai piedi con le loro pupille di colore nero come il petrolio; non appena si girò di scatto essi si fecero più vicini.
    Non riuscì neanche a vedere ciò che era accaduto dietro di lui, poiché si mise a correre verso la direzione in cui ricordava esserci la casetta in legno, fin quando non la trovò e vi entrò di corsa, quasi tuffandosi in avanti, chiudendo poi il varco dietro di sé con un violento tonfo. Si mise verso uno degli angoli ove delle casse di legno vuote sembravano proteggerlo da tutti i lati, si tolse nuovamente il lungo cappotto nero e se lo mise addosso, rannicchiandosi e coprendosi dalle spalle ai piedi con esso; scrutò l'uscio per molto tempo, minuti, forse ore, non riuscì a capirlo ma l'unica cosa che lo preoccupava oramai era la bestia che si stava addentrando verso quella che era diventata la sua dimora. La porta si spalancò e degli artigli neri apparvero sull'uscio, poi tutto il corpo nero, di quella che sembrava un'enorme pantera, si palesò di fronte agli occhi impauriti del numero dodici; un balzo felino, accompagnato da un ruggito violento, verso Anmas, che spalancò gli occhi e con la voce rauca e profonda urlò a squarciagola.


    AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!

    Giorno due.
    Si risvegliò nuovamente nell'angolo della casupola del sorvegliante, con la testa poggiata su una scatola di legno, rannicchiato, in una posizione del tutto non naturale e molto scomoda, tanto che quando rilassò e distese le gambe sentì un dolore lancinante alle ginocchia. La testa gli pesava tanto, tantissimo, gli occhi giravano da soli ogni tanto e la sua soglia dell'attenzione era drasticamente bassa, tant'è che non riusciva a concentrarsi più di una manciata di secondi su un oggetto. Si ricordava tutto della notte precedente ed aveva capito che la pantera era solamente un incubo; qualche raggio di sole al di fuori dell'abitazione gli diede un po' più di sicurezza nell'affrontare la nuova giornata. Non appena si mise in piedi un senso di nausea lo colpì all'improvviso ma dentro il suo stomaco oramai non vi era più niente da gettare se non i succhi gastrici che gli avrebbero fatto bruciare ancora di più la gola. Riuscì a resistere, nonostante una parte di lui ripeteva di rimettersi a dormire in modo da poter recuperare a pieno le ore perse di sonno, visto che non sapeva neanche quanto aveva dormito, ma i raggi del sole sarebbero durati poco in mezzo a quella fitta nebbia e a quelle querce colossali, così che non ebbe scelta se non di proseguire il suo viaggio alla luce del giorno. Guardò dietro la casupola, dal lato opposto del piccolo burrone da cui era cascato, notando un sentiero più o meno grande tra una fila di alberi; tutti gli uccelli sembravano scappare via verso quella direzione e ciò poteva essere un segno positivo o negativo, ma solamente arrivandoci avrebbe potuto esserne sicuro. Indossò nuovamente il cappotto, lo chiuse con i bottoni argentati e lentamente si incamminò verso il sentiero fra gli alberi che sembrava aprirsi davanti a lui.


    Anmas della Lama Cinerea [IV]
    Status Fisico: Affamato, assetato, dolore alla testa e leggermente alle ginocchia, piccola ferita sulla guancia sinistra
    Status Psicologico: Un po' paranoico e con leggere "illusioni" dovute al poco sonno, alla fame e alla sete.
    Status Adamas:
     
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    Il sentiero è piuttosto tranquillo, forse anche troppo.
    Esso si dirama tra gli alberi come un'unica linea dritta di cui non riesci a scorgere la fine. Ai tuoi lati la vegetazione è troppo fitta per permetterti di osservare i tuoi dintorni con accuratezza.
    E dunque cammini.
    Cammini.
    Cammini.
    E cammini finché non ti rendi conto che hai perso completamente il senso del tempo. Da quanto stai camminando? La nebbia non pare voler sparire, e il tuo corpo pare al limite. Sei affamato e assettato, eppure ti spingi in avanti, forse guidato dalla disperazione.
    Più volte senti la tua mente vacillare a causa della fatica, e una parte di te vorrebbe fermarsi per riposare.
    Eppure, qualcosa ti ha spinto più volte a decidere di non farlo: ti senti osservato, come se qualcuno o qualcosa ti stesse continuamente seguendo senza avvicinarsi, limitandosi a rimanere nel perimetro attorno a te senza però farsi vedere, come se volesse semplicemente tenerti d'occhio. Ogni tanto senti dei rumori, come il fruscio delle foglie o dei cespugli, o un corvo che gracchia, ma per la maggior parte del tempo vi è un silenzio spettrale sconfortante. L'assenza di rumori ti fa percepire di più il tuo battito cardiaco, e senti ogni tuo singolo respiro pervadere l'interezza del tuo corpo.
    L'aria si è fatta rarefatta, sottile e fredda, e ogni tanto non capisci se sei ancora sveglio o meno, se stai allucinando di nuovo o se ciò che senti è reale.
    Ad un certo punto, nonostante la fitta nebbia, riesci a guardare distante abbastanza da notare qualcosa: è come una grossa chiazza nera, densa e altrimenti indescrivibile. Non riesci a comprendere cosa sia, ma per qualche motivo una parte di te è restia dall'andarci incontro. E' forse la tua immaginazione, o c'è davvero qualcosa?
     
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    IIoL6WuFBAnmas ✧ Energia Bianca ✧ Lama Cinerea { IV }
    Cinque minuti. Erano passati all'incirca cinque minuti, secondo i calcoli del cervello esausto e offuscato di Anmas, da quando era entrato in quell'apertura fra i rami, tra i verdi rampicanti che cadevano dal cielo, ed aveva seguito il sentiero in terriccio che sembrava essere l'unico percorribile. L'unico che avrebbe portato il ragazzo a qualcosa, l'unico ad averlo chiamato a sé e attirato come una voce esterna in grado di ammaliarlo. Quel lungo percorso tra gli alberi gli ricordava quando, passato il periodo natalizio, Cesàr lo portava in campeggio per un paio di giorni, attrezzati solamente con una borsa frigorifera per le bevande e un enorme zaino pieno di cibo, oltre ad una grande tenda rossa. Era solito passare su un promontorio l'ultimo dell'anno, guardando i fuochi d'artificio innalzarsi in cielo sopra le teste dei cittadini di Valladolid, bevendo una birra con colui che lo aveva creato e cresciuto come un padre. Anmas non avrebbe mai dimenticato quelle parole, quel sorriso gioioso alla mezzanotte del primo di Gennaio del 2012, quegli occhi lucidi che gli avevano quasi perforato il petto fino a toccargli il cuore. Quelle parole che, da qualche minuto, gli continuavano a rimbombare in testa, come il botto dei fuochi d'artificio che uno dopo l'altro, ad intervalli regolari, venivano sparati nel cielo in lampi blu, verdi, rossi, gialli.

    Ti voglio bene, Anmas… Sei il figlio che non ho mai avuto. Se Vera fosse ancora qui, tra di noi, sarebbe fiera di me come marito e come padre, sarebbe fiera di come sei cresciuto e di come ancora continuerai a crescere. All'inizio pensavo di odiare questo lavoro, che tutto il tempo passato a studiare le emozioni, i pensieri e i modi di fare degli uomini, solamente per rinchiuderli dentro un'intelligenza artificiale, fosse stato tempo sprecato che avrei potuto passare con lei… Invece è sempre stata contenta delle mie scelte e le ha sempre supportate, se sei qui adesso è anche grazie a lei. In te c'è una parte di Vera ed è grazie a te se non la dimenticherò mai.

    Se la ricordava Vera, aveva passato un anno insieme a lei, a guardarla ogni volta dall'interno della cella criogenica dove riposava e, a volte, usciva con lei e Cesàr come se fossero una vera e propria famiglia. Non poteva avere dei bambini a causa di un incidente avuto da piccola, un incidente sul motore guidato da suo padre; lui morì, lei riuscì a salvarsi ma ricevette un intervento miracoloso al ventre che durò circa sei ore. Anmas, dunque, era considerato come il figlio genetico della coppia da parte di entrambi. A volte sentiva la donna chiedere al marito di fare dormire il ragazzo lì, in una grande villa a pochi chilometri dalla città di Valladolid, in modo da potergli leggere qualche fiaba, rimboccargli le coperte e poi, il mattino dopo, preparare la colazione composta da latte e cereali e portargliela direttamente a letto. Il dodicesimo esperimento si ricordava bene anche quando morì, in una stanza di un ospedale qualsiasi: quella notte Cesàr aveva bevuto un po' troppo, entrò nel laboratorio piangendo, accese una piccola luce in grado di illuminare parte del suo viso e, singhiozzando, guardò negli occhi il ragazzo. Normalmente a quell'ora le luci erano tutte spente e oramai gli scienziati erano andati a casa, dalle famiglie, dopo aver posto tutti gli altri corpi utilizzati come esperimenti nelle proprie celle criogeniche. Ma quella notte era tutto diverso, poiché Anmas vide l'uomo che ammirava, che rispettava e a cui teneva di più al mondo, colui che etichettava quasi come un supereroe, sgretolarsi come una qualsiasi persona di fronte a lui, sommerso dalla tristezza, dalla nostalgia e dalla rabbia. Dopo due ore in cui il giovane non disse una parola, lo scienziato lo guardò negli occhi e lo abbracciò, prima di riporlo nella sua cella e di dargli la buonanotte. Da lì in poi Cesàr si riprese progressivamente, sviluppò un nuovo modello di chip solamente per Anmas in cui mise dentro i gusti di Vera nei colori, nel cibo e nella musica; lei amava i Nirvana, era uno spirito libero che non si cibava di carne, che aveva tappezzato tutta la grande villa di verde e di blu, con un murales di Kurt Cobain sul muro dell'ingresso. In quel modo sì che una parte di lei non sarebbe mai scomparsa.
    Nel frattempo continuava a camminare in quella distesa quasi infinita, tant'è che i cinque minuti sembravano diventati mezz'ora, le gambe cominciarono a tremare e delle fitte violente sembravano azzannargli i polpacci. La nebbia continuava, fitta, a non fargli vedere nulla se non le mura di alberi e rampicanti a destra e a sinistra, oltre al terreno leggermente fangoso su cui battevano i grossi anfibi neri e che si distingueva solamente per la presenza, ogni tanto, di più o meno piccoli insetti che sfrecciavano da una parte all'altra del sentiero designato. Il silenzio più tombale era cascato su quel luogo e la stanchezza oramai gli aveva quasi fatto perdere le speranze, ma ogni volta che, sconsolato, decideva di sedersi a terra e riposare, la sua mente gli ricordava il sacrificio fatto dal dottor Ninguez; più ci pensava e più era determinato, più affrettava il passo per qualche metro, prima di ritornare ad arrancare sulle proprie gambe a causa delle fitte e della stanchezza. Il fiato si fece più pesante, tant'è che ogni sospiro era accompagnato dalla comparsa di una piccola nuvoletta bianca davanti alla bocca, che lentamente spariva nell'aere circostante.
    Il cuore, invece, aumentò rapidamente il proprio battito. Tum. Tutum. Tutum, tutum, tutum. Le paranoie sembrarono mangiarlo vivo, ad ogni battito del proprio organo la sua mente lo illudeva che il prossimo sarebbe stato fatale e che, di lì a poco, esso sarebbe scoppiato facendolo accasciare a terra. A causa di ciò portò la mano destra sulla parte sinistra del petto e si strinse la maglia, quasi strappandola con le unghia di notevole lunghezza, mentre con l'altra mano cercava di aggrapparsi a qualcosa in modo da non cadere, ma, dopo qualche metro, le sue gambe cedettero facendolo crollare sulle sue ginocchia, macchiando di terra i suoi pantaloni. In lontananza sentì il rumore di un volatile sbattere le ali, per poi gracchiare mentre pian piano si allontanava. I suoi occhi si mossero velocemente, prima sinistra, poi destra, di nuovo sinistra, di nuovo destra. Qualcuno sembrava giocare con lui.
    Le foglie si muovevano in un leggero fruscio, prima di fermarsi completamente, come se qualcuno si stesse muovendo o volesse che il ragazzo si accorgesse di lui.

    Che sia la pantera di prima? No, non può essere, mi sarebbe già saltata addosso… Chi diavolo è? Che sta succedendo? Sono quelli che hanno ucciso tutti gli scienziati nel laboratorio? Devo scappare, cazzo. Dannate gambe, muovetevi…

    Ora anche i rami sembravano muoversi come se spostati da una forte brezza, accompagnati dalle foglie che seguivano i loro movimenti, ed alcune di esse si staccarono a causa di ciò. Dopo qualche secondo le gambe riuscirono a sollevare il corpo, si distesero e lentamente il corpo del dodicesimo continuò a muoversi verso una meta oramai indefinita, invisibile a causa della nebbia oramai cristallina, come se un vento gelido stesse per avvicinarsi di lì a poco. L'aria sembrava farsi più rarefatta, ad ogni respiro sembrava diminuire la quantità di ossigeno ricevuta, i polmoni non si riempivano più completamente; sentiva più freddo del solito, nonostante il cappotto, poiché nelle mani cadevano leggere e minuscole gocce d'acqua che lo bagnavano anche sui lunghi capelli color cenere. Ad un certo punto Anmas pensò di delirare non appena vide, distante da lui, una chiazza nera e di forma indefinita, come se lo stesse aspettando da molto tempo. Sembrava quasi fatta di olio e, non appena il giovane chiudeva gli occhi e li riapriva, essa sembrava cambiare forma e diventare qualcos'altro. La sua mente, a causa del poco ossigeno e della stanchezza, perse lucidità e lo fece stare per vari minuti fermo e immobile a notare le varie forme che la macchia nera assumeva, come se fosse un gioco: prima una forma umana con due teste, poi un orso dai lunghi artigli, poi una giraffa molto bassa. Fino a quando non accadde qualcosa.

    Cosa sto facendo? Le mie gambe si stanno muovendo da sole, come se quella macchia fosse una calamita. Non voglio andarci, io… Non voglio sapere cosa cazzo è quella cosa. E' un sogno, vero? Fa che sia un sogno.

    Le sue gambe effettivamente compivano enormi passi e molto velocemente, come se effettivamente la stanchezza fisica avuta prima fosse scomparsa per un attimo; pensò quasi di sognare per un attimo, di essersi addormentato sul terreno fangoso a causa della scarsità di cibo e acqua e del sonno non sufficiente che continuava da oramai tre o più giorni. Non voleva andarci incontro, che fosse un incubo o fosse la realtà, cercava di indietreggiare e di fermarsi, tant'è che la sua gamba sinistra si poggiò violentemente sul terreno e da lì non si mosse, mentre quella destra sembrava voler continuare ad andare avanti. Sembrava volesse trascinare il resto del corpo ma con scarsi risultati e ciò non aiutava per niente il ragazzo: continuare quella strada e andare incontro alla macchia oscura oppure tornare indietro e darsi in pasto a qualsiasi predatore, corrotto o animale che esso sia?
    La scelta era ardua, ma il solo pensiero di fare la stessa fine di suo padre lo fece andare dritto tra le braccia del destino. Le sue gambe ripresero a muoversi, molto più lentamente e con un passo non molto deciso, verso quella figura nera che sembrava aspettarlo, immobile e possente, oltre la leggera coltre di nebbia che gli offuscava la visuale.

    ZHVSGINNarrato | Parlato | Pensato | Altri


    dati e abilità

    STATO ADAMAS
    FISICO ✧ Fitte sulle ginocchia e sui polpacci, stanco e con un graffio sulla guancia.
    STATO PSICOLOGICO ✧ Mente offuscata e difficoltà a concentrarsi.
    ALTRE INFO

    ✧ abilità ✧


    tecniche
    ✧ nome tecnica ✧



    scheda


    Edited by Shenanigan‡ - 5/1/2019, 19:47
     
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    Ogni tuo passo ti sembra pesante, come se il tuo corpo stesse trascinando dietro di sé dei macigni legati ad esso.
    La sensazione di trance che ti guida è ipnotica, e non riesci a resistere a quello che il tuo corpo pare comandarti, come se fosse necessario per te avvicinarti.
    L'ombra durante tutto ciò rimane immobile, smettendo di mutare di forma, come se incuriosita avesse deciso di limitarsi ad osservarti.
    Anche avvicinandoti, l'ombra non rimane che una chiazza scura, senza forma, e ti pare quasi che essa sbordi fuori dalla "realtà", come un'entità evanescente che non ti sai ben spiegare.
    Eventualmente ti ritrovi faccia a faccia con essa.
    Per diversi attimi nulla accade, ma senti il tuo corpo pervaso da una sensazione di freddo che aggrappa la tua anima con forza - non ti provoca dolore fisico, ma è come se qualcuno stesse tenendo tra le proprie braccia l'essenza stessa del tuo essere, come per ghermirla nel suo freddo abbraccio.
    Poi, senza neanche lasciarti il tempo di accorgertene, l'ombra si espande, coprendo il tuo intero campo visivo di nero fino ad ingoiarti completamente.
    Senti solo per un singolo istante una sensazione di incredibile calore, quasi piacevole, e poi il tuo corpo cede, gettandoti nel mondo di Morfeo.

    Sogni.
    La tua coscienza vaga nell'infinito spazio, come in cerca di qualcosa. In quei attimi la tua mente non pensa, semplicemente è - ed allo stesso tempo non è.
    Colori indescrivibili accompagnano la musica bellissima che compone l'universo, creando forme geometriche complesse, catturando completamente la tua attenzione.
    Energia primordiale esce ed entra nel tuo corpo come un flusso costante, prendendo lentamente forma, guidata da qualcuno la cui stessa esistenza è qualcosa che non puoi comprendere. Senti il tuo corpo divenire man mano solido - eppure, per qualche motivo sai che esso non è il corpo di Anmas, ma di qualcosa di diverso, di più grande.
    La materia che ti compone è scossa da un'energia incredibile, come squassata da una potenza che non riesci a descrivere. Essa, al posto di provocarti dolore, ti riempie di rinnovata essenza: i tuoi sensi si annullano temporaneamente, lasciandoti nuovamente al buio, facendoti sentire solo e debole - ma presto essi tornano.
    La tua mente ancora una volta non riesce ancora a comprendere pienamente cosa stia succedendo. L'unica cosa che riesci a vedere, stavolta, è una landa piena di spade. Ovunque tu possa vedere, vi sono solo lame e spade di ogni tipo. Abbandonato in quel mondo di metallo, ti rendi finalmente conto di una semplice cosa.
    Tu sei la Spada.

    Ti svegli.
    La testa ti fa male, e ti ci vogliono diversi secondi per riacquistare completamente la visione, poiché i tuoi occhi vengono inondati da una forte luce. Quando sei completamente sveglio, la prima cosa che vedi è un soffitto rosso, come se fossi in un casa.
    Non capisci cosa è successo, e il tuo sogno per il momento non è qualcosa a cui hai tempo di pensare, poiché senti una voce umana al tuo fianco.

    "Oh, finalmente ti sei svegliato."

    Girando la testa verso la direzione della voce ciò che trovi è un anziano vecchietto vestito in maniera più o meno elegante, che ti guarda con interesse da dietro il suo monocolo. Ti sorride.
    Noti di essere in una grande stanza, e di essere appoggiato su un letto.
    Se provi a parlare, il tuo corpo è scosso da un colpo di tosse improvviso, e il vecchio ti porta dolcemente alla bocca un bicchiere d'acqua per rinfrescarti la gola.
    L'anziano signore ti lascia tutto il tempo che ti serve per riprenderti, rimanendo in silenzio ad osservarti.
    Dove sei finito?
     
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    Su, Anmas. Vieni qui, dai, passo dopo passo. Non preoccuparti, ti tengo io la mano. ATTENTO! Ti ho detto di andare piano, ancora le tue funzioni motorie non sono al massimo delle loro potenzialità, le tue gambe non riescono a reggere tutto il peso. Su, riproviamoci, non demordere… Bravo, così e... Ecco, ce l'hai fatta. Cinque metri, non male! Due metri in più rispetto a ieri. Stiamo facendo passi da gigante nell'ultima settimana, ragazzo. Puoi rivestirti, ci rivediamo Lunedì, buona giornata. Ciao Cesàr, buon proseguimento.

    E dopo aver appuntato con una penna ad inchiostro nero sul suo solito taccuino a righe bianche uscì dalla stanza in ferro del laboratorio, chiudendola poi dietro di sé con un pesante stridio. Quell'uomo era Pedro Gadèa, soprannominato "brazo de hierro", ovvero braccio di ferro; era stato uno sportivo molto importante nel mondo dell'atletica, avendo vinto anche una medaglia di bronzo alle olimpiadi. Dopo il suo ritiro aveva intrapreso una carriera come fisioterapista e personal trainer, aiutando molti calciatori e giocatori di pallacanestro a migliorare il loro fisico e a riprendersi da infortuni più o meno gravi. Così, durante la prima metà del 2011, la Emochip decise di ingaggiarlo e stipendiarlo in modo che testasse le abilità fisiche dei propri esperimenti, aiutandoli dai primi passi fino alla maturazione vera e propria, in modo da perfezionarne il fisico e, grazie alle proprie abilità, da aiutare il CEO Cesàr Ninguez a perfezionare il chip SER-745w anche nel campo delle azioni e delle reazioni. Anmas odiava quell'uomo, non sopportava il suo modo di fare rozzo e grossolano che nascondeva davanti agli altri scienziati; non capiva perché colui a cui era legato così tanto da considerarlo il proprio padre lo guardasse con ammirazione e si fidasse ciecamente di lui, tanto da lasciarlo spesso solo con il ragazzo, chiusi per qualche ora in una camera blindata all'interno della struttura. Odiava il suo fisico ricoperto da grossi bozzi muscolosi, odiava il suo sorriso sfrontato, odiava il suo ciuffo castano ingellato. L'unico motivo per cui seguiva i suoi comandi e non si ribellava mai ai suoi modi di fare era solo per non deludere Cesàr e gli altri studiosi che avevano impiegato anni a perfezionare il suo modo di comportarsi con le altre persone. L'odio da parte sua era accettato, sì, ma solamente quando richiesto.

    Riconosco quello sguardo, Anmas. Non sempre le persone che odiamo devono essere respinte, a volte possono essere utili per noi in un qualche modo. Non pensare che a me stia simpatico, anzi… Ma il lavoro è lavoro, e l'amore paterno è l'amore più grande di tutti. Per questo voglio solamente il meglio per te e per chi lavora in questa struttura, in modo da facilitarci un po' il nostro compito. Cerca di resistere un altro po', intesi?

    E con una pacca sulla spalla anche lui uscì dalla porta, lasciandolo da solo in quella stanza illuminata dai neon e dalle luci provenienti dai vari macchinari che segnavano i battiti cardiaci e mostravano dati vari, come nome, età e percentuale di riuscita di ognuno degli esperimenti all'interno della struttura scientifica.
    Si sentiva in quel modo anche nel cuore della fitta e nebbiosa foresta, con i muscoli delle gambe quasi completamente intorpiditi e con il respiro affannato solo dopo qualche passo. Le sue palpebre ogni tanto si serravano, per poi riaprirsi di scatto, mentre il suo corpo continuava a trascinarsi con fatica e dolore verso quella enorme macchia nera che sembrava aspettarlo, impaziente, in una forma ovale con piccolissime diramazioni su tutti i lati, come dei piccoli tentacoli pronti ad afferrare qualcosa. Sembrava come un'apertura, anzi uno strappo, nel tessuto della realtà, come un buco nero che aveva arrestato il proprio potere distruttivo nell'attesa che il giovane dai lunghi capelli bianchi entrasse nel suo raggio d'azione. Dopo una ventina di passi finalmente Anmas si ritrovò di fronte ad essa, a pochi centimetri di distanza, percependo un senso di profondità all'interno della chiazza, come se essa fosse un portale che lo avrebbe portato in un'altra dimensione; provò a parlarle ma, aprendo la bocca, uscì solamente una piccola nube bianca e il suo respiro si fece talmente freddo che, sotto i raggi del sole, parve emettere dei piccolissimi cristalli ghiacciati. Tale sensazione presto entrò anche all'interno del suo corpo, come se gli organi interni e persino le ossa fossero inebriati da quella fredda brezza, e poi ancora più all'interno, come se una stretta congelata stesse soffocando la sua anima e il suo spirito, trascinandoli con violenza al di fuori del suo corpo. Tutto ciò, tuttavia, non provocò dolore; il ragazzo sentì solamente come una figura, molto più antica e grande di quel che la sua mente potesse concepire, abbracciare il suo essere, cullandola tra le proprie braccia come un qualcosa a cui era legato e di cui era alla ricerca da secoli. Sentì come se alla sua anima fosse mancato un pezzo fondamentale per tutto questo tempo e, finalmente, lo avesse trovato tra gli alberi e le piante di quella foresta millenaria.
    Il suo corpo rimase immobile, il suo capo lentamente scivolò all'indietro e il suo sguardo si volse verso il cielo. Rimase in quella posizione per un paio di secondi, con gli occhi spalancati, prima che accadesse qualcosa: l'ombra si espanse sotto il giovane, coprendolo interamente all'interno di una cupola nera in cui gli occhi non riuscivano a vedere completamente nulla. La sensazione glaciale provata prima si tramutò in un calore piacevole che lo rassicurò, permettendogli di esalare un respiro che rilasciò tutta la paura e le preoccupazioni dell'esperimento fuori dal suo corpo, verso la vasta e infinita distesa buia che lo aveva inglobato; poi, dopo qualche secondo, il respiro divenne completamente stabile e il suo corpo si gettò tra le nere e calde braccia che lo stavano cullando.

    La sua mente si spense per un attimo, lasciandolo in preda ad un sogno stupefacente per la sua incredibile bellezza e complessità, in cui Anmas vide forme e colori che un umano non avrebbe mai potuto neanche immaginare, poiché abituato a ciò che i propri occhi vedono, mentre questo sogno era diverso, era ancestrale; era una distesa infinita, nera, in cui riuscì a vedere la propria coscienza vagare all'interno di essa sotto forma di una piccola forma ovale e bianca con una piccola coda che gli permetteva di fluttuare tra le distese tutte uguali di quel luogo. Essa si muoveva con fatica per i primi passi ma poi ogni movimento cominciò a venire naturale, anche i più complessi; intorno a questa piccola macchia bianca ci furono esplosioni di colori, come i fuochi d'artificio sparati nel cielo, verdi, rossi, arancioni, poi colori mischiati tra di essi, colori che non si riescono neanche a spiegare, poi essi si mischiavano tra di loro formando visi, triangoli, poi si dividevano come scintille con vita propria che accerchiavano quella nuvoletta bianca prima di viaggiare a gran velocità al di sopra di essa, schiantandosi in una piccola esplosione che generava altri colori e musiche, incantevoli musiche, arpe che venivano pizzicate con incantevole maestria, flauti che sembravano provenire da paesaggi dell'oriente, chitarre che venivano strimpellate da maestri dello strumento. Tali suoni diventarono un tutt'uno che accompagnava ogni passo di quella macchiolina bianca all'interno di quell'universo fatto di colori e disegni, che formavano pianeti, stelle, poi forme indefinite che sembravano spianare la strada a ciò che sembrava l'unica parte dell'essenza di Amnas ammessa lì dentro; non sapeva perché fosse lui, non sapeva perché aveva assunto quella forma. Lo sapeva e basta, lo sentiva. Non controllava più il suo corpo, la sua mente era totalmente spenta e non riusciva neanche a pensare, eppure in un modo non definito guidava i movimenti a zig-zag di quel puntino minuscolo, che schivava le esplosioni di colori e, ogni volta che si avvicinava ad una delle forme geometriche non di umana concezione, la musica si faceva più intensa, come se stessero soffiando con violenza su quei flauti e stessero provando a graffiare l'udito altrui con quelle arpe dai suoni acuti. Lentamente riusciva a sentire qualcosa di invisibile e intoccabile poggiare le proprie mani attorno a quella macchia bianca, con movimenti leggiadri e precisi, facendo fluire l'energia da cui era composta l'essenza del giovane al di fuori di essa, per riempirla poi con nuova essenza vitale che non gli apparteneva; la figura primordiale che stava facendo ciò non era neanche possibile da immaginare, era infinita e immortale, era puro etere presente in ogni particella che formava quel luogo mistico pieno di colori e musiche varie. Sembrava soffiare un vento forte ogni volta che quella mano eterea sfiorava la coscienza del giovane e, pur non potendolo vedere, sentì un corpo non suo formarsi e concretizzarsi attorno ad essa, donandogli nuovamente un guscio vuoto dove poter entrare e da poter governare, in cui rifugiarsi e finalmente diventare un tutt'uno con quella parte di sé che aveva perso anni, secoli, se non millenni fa, ma esso era più grande, andava oltre ciò a cui un umano poteva puntare.
    La materia era quasi completamente formata attorno ad essa, quando qualcosa la scosse e fece tremare quella visione di colori e musiche, come un fulmine a ciel sereno; la musica si fece distorta, il flauto stonò e alcune corde della chitarra sembrarono rompersi, mentre i colori scattavano qui e lì formando immagini astratte e non seguendo più una logica ben precisa durante i loro movimenti. Un altro fulmine venne scagliato, facendo comparire un'immagine sfocata per qualche istante prima di sparire nuovamente, poi, dopo di ciò, la calma. Nonostante la scossa il suo corpo fu rinvigorito completamente e la sua energia vitale completamente ripristinata, anzi, rinnovata; la propria essenza adesso sembrava più grande e più decisa nei propri movimenti, fluttuava alla perfezione attorno a quelle forme di triangoli, cerchi e quadrati che fluttuavano nell'immenso spazio formando poi comete che lasciavano scie verdi e gialle sopra la sua testa, mentre le musiche tornavano stabili e ammalianti. Tutto ciò per quello che sembrarono al ragazzo all'incirca venti secondi, prima del buio più totale, come se qualcuno avesse staccato di netto la spina.
    Poi, dopo qualche secondo, un'esplosione di elevata intensità, quasi come l'esplosione primordiale chiamata Big Bang, diede nuovamente vita alla coscienza del giovane e gli mostrò immagini più colorate e precise rispetto a quelle precedenti.
    Davanti a sé si apriva una immensa distesa in pietra che proseguiva per migliaia e migliaia di chilometri; non riusciva a vedere una fine a quel percorso e le sue gambe non sembravano potersi muovere. Quel mondo tinto di giallo e arancio, con una leggera tempesta di sabbia che di tanto in tanto gli inebriava la vista, aveva conficcate sulle proprie scaglie in pietra una miriade di lame di diversa forma, grandezza e colore; scrutò alcuni spadoni enormi che probabilmente erano appartenuti a guerrieri forti e muscolosi, che difendevano i loro valori grazie a quelle armi possenti, poi scrutò lame ricurve utili a coloro che facevano della velocità e dell'agilità la propria tattica, lame doppie, lance, armi mai viste prime. Il ragazzo tese il braccio e sentì queste armi vibrare leggermente, quasi provocando un piccolo terremoto che gli fece tremare le gambe, mentre il metallo si muoveva rilasciando un sibilio acuto e fastidioso che, non appena smise, lasciò posto a due voci, una anziana e rauca e una che sembrava proprio quella del ragazzo, come se stesse parlando a se stesso; le due voci si sovrapposero mentre il mondo attorno a sé cadeva a pezzi, ritornando nel buio ancestrale e creatore di ogni cosa che gli si succedette.

    Tu sei la spada.

    Anmas riaprì gli occhi e si alzò di scatto in posizione supina, mentre una luce lo abbagliava completamente negandogli la vista per qualche secondo. Immagini offuscate ruotavano intorno e il suo respiro era affannoso, come se avesse avuto un incubo terrificante. Era sveglio e il sogno precedente era completamente svanito; passarono i secondi e la testa smise di girare, mentre riacquistava l'utilizzo della vista, così poté guardarsi intorno e notare che il luogo in cui si trovava non era più il bosco tetro in cui aveva passato gli ultimi faticosi giorni. Il soffitto aveva una tinta bordeaux e una lampada illuminava la stanza di quella che sembrava un'abitazione. Il suo corpo si trovava su un soffice letto con una coperta blu imbottita che lo copriva fino al ventre. Attorno un tavolo con due sedie, un camino acceso con un fuoco che scoppiettava mentre bruciava i ceppi di legno mutandoli in cenere, provocando un suono che riempiva completamente quella camera da letto. Portò la mano destra fino al capo, poggiandola sulla fronte; non capiva cosa fosse successo, quel sogno oramai sembrava lontano, nonostante riusciva a ricordarne persino i minimi particolari. Nessun colore scoppiettante intorno a sé, nessuna musica ad accompagnare il tutto, nessuna distesa piena di lame di vario tipo attorno a sé, ma solamente una stanza semi-vuota in cui aveva riposato per ciò che parvero ore. Poi il silenzio fu interrotto da una voce anziana che finalmente lo fece sentire più al sicuro, anche se la confusione provocata dagli avvenimenti che aveva vissuto continuava a turbarlo.

    Oh, finalmente ti sei svegliato.

    Ruotò la testa di novanta gradi, fin quando non riuscì a vedere la figura di un uomo di età avanzata che sedeva su una sedia in legno oramai mangiata dagli anni, che scricchiolava ad ogni minimo movimento del suo busto. Aveva un naso rossiccio e gonfio, due folti baffi bianchi e qualche capello bianco sulla testa che sembrava poter cadere di lì a poco, con indosso una veste elegante leggermente rovinata di color rosso, con dei bottoni dorati che provavano a chiuderla completamente lasciando intravedere una maglia bianca indossata sotto di essa. Due piccoli occhi neri scrutavano il viso del ragazzo, con uno di essi visibili dal retro della lente pulita di un monocolo dorato. Anmas provò a parlare ma, non appena portò aria ai polmoni, fu colpito da una violenta tosse che gli tamburellava sul petto, provocandogli qualche leggera fitta indolore. Con aria preoccupata la figura anziana si alzò, mostrandosi in tutta la sua bassezza e in una leggera goffaggine, mentre si diresse verso il tavolo in legno su cui era poggiata una brocca in vetro piena d'acqua. L'uomo prese un bicchiere da uno sportello, lo pulì con un pezzo della sua tunica, poi versò il liquido quasi fino a farlo sgorgare al di fuori di esso e lo porse al giovane ragazzo che, senza pensarci due volte, lo bevve tutto d'un sorso. Restò a fissare il vuoto mentre cercava di calmare il battito frenetico del proprio cuore e di stabilizzare il proprio respiro, poi diede il bicchiere in mano all'anziano come a chiedergli un altro bicchiere pieno d'acqua; quest'ultimo lo fissava incessantemente, con fare curioso e preoccupato, come se aspettasse di sentire la voce del ragazzo, pronto a rispondere ad ogni sua domanda. La risposta del ragazzo non si fece aspettare, dopo qualche secondo passato in totale silenzio a fissare il viso del vecchio illuminato dal lampadario.

    Dove sono? Chi sei tu?
    E soprattutto… Chi sono io?


    ZHVSGINNarrato | Parlato | Pensato | Altri



    dati e abilità

    STATO ADAMAS
    FISICO ✧ Condizioni perfette, battito del cuore accelerato e leggero taglio sulla guancia destra
    STATO PSICOLOGICO ✧ Molto confuso dopo il sogno
    ALTRE INFO

    ✧ abilità ✧



    tecniche
    ✧ nome tecnica ✧




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    "Solo tu puoi sapere chi sei, ragazzo. Ti ricordi come ti chiami?
    Io sono Rodrigo Garcia, il sindaco del piccolo villaggio di Cerro Blanco.
    Alcuni degli abitanti ti hanno trovato al limitare della foresta, e ti hanno recuperato. Ci hai messo quasi tre giorni a risvegliarti, immagino tu abbia una certa fame."


    Con l'accenno di un sorriso, il vecchio ti offre un altro po' di acqua, riempiendo nuovamente il bicchiere. Dopo che ti sei completamente ripreso, egli decide di alzarsi dalla sedia fatiscente per aiutarti ad alzarti.
    A quel punto vieni condotto senza alcuna fretta per delle scale, fino ad arrivare assieme al signore in una ampia stanza in cui vi è anche un lungo tavolo già apparecchiato. Seduta al fianco del tavolo vi è in attesa una ragazza vestita da domestica, la cui età probabilmente si aggira attorno a quella tua, o per meglio dire all'età che il tuo corpo dimostra.
    La prima cosa che fa Rodrigo è fare un cenno alla giovane, per poi accomodarsi a capotavola. Si gira verso di te, osservandoti in maniera amichevole con l'accenno di un sorriso ed invitandoti a sederti con un cenno della mano.

    "Prego, prego, accomodati, e non farti problemi a mangiare."

    Il tavolo non è eccessivamente pieno, ma hai davanti un pasto completo con ogni tipo di pietanza, passando da semplice verdura a carne.
    Considerando non vedi cibo decente da chissà quanto, esso ti pare quasi qualcosa degno di un re.
    Il pasto passa dunque tranquillo, con l'anziano che cerca di imbastire un discorso, intenzionato a capire le tue condizioni.

    "Dimmi, come sei finito nella foresta? Ti ricordi qualcosa?"



    [Post di transizione, descrivi come preferisci il luogo, la ragazza e il pasto. Ovviamente rispondi alle domande come preferisci. Sei anche libero di fare le tue.]
     
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    Solo tu puoi sapere chi sei, ragazzo. Ti ricordi come ti chiami?
    Io sono Rodrigo Garcia, il sindaco del piccolo villaggio di Cerro Blanco.
    Alcuni degli abitanti ti hanno trovato al limitare della foresta, e ti hanno recuperato. Ci hai messo quasi tre giorni a risvegliarti, immagino tu abbia una certa fame.


    Il vecchio sembrava uno che ci sapeva fare. In fondo, non è da tutti essere il sindaco di un villaggio, grande o piccolo che esso sia. Anmas cominciò a provare un po' di ammirazione per quell'uomo, sia perché non vedeva una figura amichevole da giorni, sia perché lo aveva preso in custodia e si era preso cura di lui. Era andato spesso fuori città, non aveva fatto chissà quanti viaggi, eppure non aveva mai sentito nominare il villaggio di Cerro Blanco: probabilmente non aveva così tanti abitanti e per questo la sua visibilità sulle cartine geografiche era limitata a un piccolo puntino nero, quasi invisibile, dopo la distesa verde e misteriosa che era la foresta da cui era appena fuggito, senza sapere esattamente come. Aveva un paio di domande che gli frugavano per la testa e che avrebbe voluto gettare addosso a colui che si era presentato come Rodrigo Garcia, ma decise di attendere per il momento e di aspettare: in fondo, avrebbe mai creduto alla sua storia? Avrebbe mai creduto al fatto che il giovane che aveva fatto entrare dentro casa sua non è altro che un esperimento? Un corpo comandato da un chip impiantato nel suo cervello? Non ne aveva la minima idea, eppure qualcosa dentro di sé gli diceva di attendere e di fidarsi dell'uomo, nonostante una parte di sé fosse riluttante all'idea di restare lì per altro tempo. L'anziana figura intanto versava l'acqua dalla brocca al bicchiere e ciò gli ricordò il sogno fatto precedentemente, in cui l'energia vitale di qualcuno era entrata nel suo corpo donandogli nuova linfa. Un'altra scossa al cervello lo colpì, probabilmente a causa di un danno o una perdita di dati del chip; gli fece muovere la gamba destra, scoprendosi completamente fino ai piedi e gettando la coperta sul pavimento in legno. Il signor Garcia gli porse un bicchiere d'acqua pieno quasi fino all'orlo, con un sorriso caldo e amichevole stampato sulle labbra, che rassicurò per qualche istante il dodicesimo. Lo bevve tutto d'un fiato e poi poggiò il bicchiere sul comodino in legno che aveva di fianco, mentre con il corpo si girò dando le spalle alla figura dai folti baffi bianchi e toccando con le suole degli stivali il pavimento scricchiolante in legno. Sospirò profondamente.

    Urrrgh… Vita del cazzo.

    Bisbigliò, alzandosi in piedi e indossando il lungo cappotto nero che aveva sempre indossato: esso era poggiato su una sedia in legno e sembrava essere stato pulito prima di essere posizionato lì, visto che non presentava più macchie di fango dovute alle cadute rocambolesche nella foresta. Poco dopo il ragazzo si morse le labbra, come se quelle parole appena dette non fossero state effettivamente pensate da lui, come se la sua bocca avesse avuto vita propria per un istante. Si voltò verso il vecchio e sulle sue labbra spuntò un sorriso forzato, mentre lentamente e con qualche fitta alle gambe fece il giro del letto, arrivando faccia a faccia con l'uomo che lo aveva soccorso.

    Anmas. Credo di essere Anmas. Non ho un cognome, teoricamente è Ninguez, ma poco importa ormai. E non sono sicuro di poterlo ricordare solamente io, ormai. Quasi tre giorni? Non sembrava passato così tanto tempo… Ringrazia gli abitanti da parte mia non appena puoi. Comunque, non credo di poter restare a lungo, mi fermerò a mangiare qualcosa e poi toglierò il disturbo.

    Detto ciò guardò Rodrigo dirigersi verso la parte più lontana al letto della stanza, dove erano presenti delle scale in legno che portavano verso il piano inferiore della casa: il ragazzo lo seguì come un'ombra, aiutandosi ad ogni passo tenendosi con la mano sinistra sul corrimano in legno. La prima cosa che vide non appena arrivò fu la porta d'ingresso, anch'essa in legno, con accanto una finestra chiusa e coperta da una tenda dello stesso rosso scuro del tetto. Sulla sua destra un'altra porta, serrata; sulla sinistra, invece, si apriva un lungo corridoio che portava verso la sala da pranzo, adiacente alla cucina. Al centro della stanza era presente un tavolo rotondo con tre sedie, sopra di esso era presente una tovaglia a quadri bianca e rossa e sopra di essa erano poggiati un paio di vassoi di varie grandezze, con all'interno carne molto cotta e succosa, insalata con patate e pomodori, carciofi bolliti e del pane tagliato a grandi fette con cui venivano accompagnate le pietanze. Inoltre, accanto al cibo erano presenti una bottiglia di acqua naturale e una bottiglia già aperta e utilizzata di vino rosso fatto in casa. Non appena entrò nella stanza il giovane vide una donzella su una delle sedie, vestita come le donne che venivano a pulire il laboratorio e che spesso sgridavano Anmas per le sporcizie che lasciava in giro, ma molto più bella e con il viso più pulito; il lungo abito nero la copriva fino alle caviglie, con un merletto nero vicino al collo. Poggiati sul tavolo davanti a sé vi erano due guanti bianchi di stoffa, con un rivestimento in pizzo sulla parte del polso.
    Il capo, invece, era protetto da una sorta di cappello femminile bianco in stoffa che copriva i suoi capelli biondo platino, con due ciocche che cadevano al di sopra delle spalle fino a sfiorarle; il viso era roseo, gli occhi azzurri e le labbra sottili e delicate: al giovane sembrò quasi di avere di fronte una delle bambole di porcellana che ogni tanto portavano agli esperimenti femminili della Emochip, notando soprattutto la somiglianza con la bambola della piccola Dolly, l'esperimento numero sei, con cui ebbe vari scambi di battuta durante le ore artistiche all'interno della sala comune. Il sindaco fece un cenno alla ragazza ed ella si voltò velocemente verso il ragazzo, scrutandolo da capo a piedi, facendo poi un cenno con il capo accompagnato da un dolce sorriso che fu ricambiato all'istante. Il vecchio si sedette a capotavola e ridacchiando invitò Anmas a sedersi e mangiare come se essa fosse casa sua, senza fare complimenti. Quest'ultimo prese posto sull'unica sedia vacante e con mediante l'uso della forchetta e del coltello tagliò un pezzo di quella carne arrostita, accompagnandola poi con un paio di patate e poggiando agli estremi del piatto bianco di ceramica tre grosse fette di pane. Decise di lasciar stare il pomodoro; Anmas odiava il pomodoro a fette e la sola presenza di esso gli provocava un terribile senso di disgusto. Normalmente l'esperimento avrebbe cercato di intavolare un discorso con le due figure, chiedendo domande di vario tipo, ma si limitò a mangiare con foga tutto ciò che aveva nel piatto, senza preoccuparsi minimamente dell'opinione che i due si sarebbero fatti di lui. Non ci volle molto ad imbastire un discorso, infatti l'anziano prese la situazione in mano e con una domanda tanto generale quanto specifica si rivolse al ragazzo, catturando anche l'attenzione della donna.

    Dimmi, come sei finito nella foresta? Ti ricordi qualcosa?

    Anmas ingoiò i pezzi di cibo presenti nella sua bocca e versò un po' d'acqua nel suo bicchiere, bevendola nuovamente in un sorso solo; poggiò le posate sul piatto e guardò verso l'alto, mentre le varie immagini dell'incontro e dello strano sogno si mescolarono senza confondersi, creando ricordi lucidi nella sua mente, che egli dovette solamente ordinare prima di formulare le frasi. Si schiarì la voce e poi, battendo nervosamente l'indice della mano destra sul tavolo, con un sorriso leggermente nervoso stampato sul volto, decise di raccontare tutto l'accaduto al signor Garcia.

    Okay, io lo racconto, sta a voi crederci o no. Non sono un umano, intesi, io sono un esperimento. Cioè, cioè, sono un umano va bene? Il mio corpo è umano, ma in realtà sono vivo grazie ad un chip impiantato nel mio cervello che mi tiene in vita e che mi permette di possedere tutto ciò che un umano possiede. Ricordi, sogni, emozioni, paure, dolore… Capito, no? Ecco, è successo un casino, delle figure strane hanno massacrato tutti quelli all'interno del laboratorio e poi, mio padre, Cesàr Ninguez, mi ha infilato in una navicella e spedito il più lontano possibile da quel posto, sacrificandosi per me, ecco…

    Una profonda nostalgia lo colse nella mente e nell'animo. Il suo sguardò si posò sulla mano che aveva posto sul tavolo e notò come essa cominciò a tremare, forse di paura, rabbia, odio, paura. Sentiva qualcosa bloccato in gola, come se un pezzo di cibo gli fosse rimasto incastrato poco prima; non era quello, sapeva benissimo che qualcosa non andava. Aveva provato tristezza e malinconia, ma notò che qualcosa non andava e che le scosse al cervello subite in precedenza significavano qualcosa. L'occhio destro cominciò a lacrimare, prima qualche goccia, poi a piangere ininterrottamente. Il giovane provò ad asciugarsi, ma esse continuavano a scorrere, così rimase con un fazzoletto poggiato al di sotto dell'occhio, mentre la vista da quest'ultimo si fece un po' offuscata.

    D-dicevo... Così sono finito in una foresta dove ho viaggiato per giorni, forse una settimana, non so bene… Poco cibo, poca acqua, poco sonno, una pantera era anche entrata nella mia casetta in legno, per Dio! Poi, infilandomi meglio tra qualche radice esposta e qualche tronco enorme di quercia, sono finito in un passaggio infinito, il mio corpo non reggeva, ma ad un certo punto vidi qualcosa: un'enorme macchia nera che mi guardava negli occhi, mutando forma ad ogni battito di ciglia, tra la foschia presente in quel bosco maledetto. Così, con le ultime forze rimaste mi sono trascinato verso quell'ombra e poi lei mi ha avvolto completamente, come in un abbraccio infinito che mi ha fatto cadere nel sonno più totale. Ho visto migliaia di cose, pianeti, galassie lontane, esplosioni di luci e di colori, accompagnati da musiche fantastiche di arpe, chitarre e flauti; era tutto bellissimo, ma sentivo il mio corpo sparire e lentamente venire ricreato da zero, come se un maestro abile nell'arte della creta lo stesse modellando a sua immagine e somiglianza… O almeno penso. In ogni caso poi ho visto una distesa di spade, infinita, di tutti i tipi, in mezzo ad un vasto deserto… Poi cominciarono a tremare, una, due, dieci, cento, MILLE! E POI ZAC, UNO SQUARCIO E TUTTO BUIO, ACCOMPAGNATO DA UN TERREMOTO! ED E' LI' CHE HO PERSO I SENSI!

    E mentre il suo tono di voce si fece più alto una scossa di rabbia e adrenalina percorse tutto il suo corpo; istintivamente si alzò in piedi e strinse in un pugno la sua mano destra, portandola in alto e sbattendola con rabbia sul tavolo. Tutto ciò che era sul tavolo ebbe un sussulto e pezzi di verdure e di carne volarono per terra, macchiando il pavimento. Anmas rimase in quella posizione per qualche secondo, senza capire cosa fosse successo, fissando negli occhi il vecchio che si era preso cura di lui; le sue mani tremavano, il cuore gli batteva rapidamente e il suo respiro era di nuovo pesante e affannoso. Si sedette nuovamente sulla sedia di legno, versò altra acqua nel suo bicchiere e bevve qualche sorso, prima di alzarsi nuovamente in piedi e di guardarsi intorno con fare disperato.
    Sapeva che tutto ciò era causa dei danni subiti al chip impiantato nel suo cervello, ma provava a restare calmo poiché sapeva, grazie a suo padre, che esso aveva un sistema di auto-riparazione totale, e che gli sarebbero voluti solamente un paio di giorni per riprendere completamente tutte le funzionalità, nonostante molte, a causa della mancanza di dati, sarebbero potute essere corrotte e di fatto avrebbero potuto alterare il comportamento del ragazzo.

    Scusate, potete dirmi dov'è il bagno?

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    FISICO ✧ Ottime condizioni, tranne qualche fitta là e qua.
    STATO PSICOLOGICO ✧ Messo non molto bene a causa dei danni al chip.
    ALTRE INFO ✧ Okay, Anmas sta leggermente soffrendo di bipolarità a causa dei danni al chip :asd:

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    Garcia ascolta la tua spiegazione con uno sguardo di quasi impassibilità, come se la cosa non lo turbasse in alcun modo; non lo puoi vedere, ma nei suoi occhi vi è un scintillio di interesse indecifrabile.
    Anche davanti al tuo scatto improvviso di umore, si limita ad aspettare che le tue energie si scarichino, mentre la giovane domestica rimane come pietrificata davanti alla tua improvvisa furia: il viso non nasconde il suo spavento, ma rimane comunque ferma nonostante ciò.

    "Per piacere, Dorothy, sistema un attimo il tavolo, ci penso io a portare il giovane Anmas al bagno."

    Dopo un attimo di esitazione la giovane donna riprende il controllo delle sue facoltà, mettendosi immediatamente a lavoro, mentre il vecchio si avvicina alla tua persona in maniera tale da condurti verso la tua destinazione.
    Attraversate il corridoio di prima fino ad arrivare al fondo di esso, dove c'è un bagno: non te ne eri accorto, forse in preda alla tua stanchezza, ma la casa pare più grossa di quanto ti paresse prima.
    Rodrigo rimane in attesa che tu finisca ciò che devi fare, come una guardia silenziosa che è abituata a certe situazioni.
    Dopo di che con fare cordiale ti riconduce alla stanza in cui ti sei svegliato, con gentile fermezza.

    "Anmas, vedo che sei ancora turbato. Ti consiglio di riposare un po', se hai bisogno di qualcosa non farti problemi a chiedere, Dorothy è sempre quasi sotto in salotto."

    Dopo di che ti lascia da solo nel silenzio del tuo temporaneo alloggio, sparendo da dietro la porta senza lasciare quasi traccia.

    [...]

    Passano i giorni.
    Presto il tuo corpo si riprende totalmente dal suo viaggio, e ti pare tutto tranquillo. La tua mente pare quasi iniziare a stabilizzarsi, anche se a volte hai dei schizzi di umore che però impari presto a controllare.
    Durante ciò hai tempo di uscire dalla casa di Rodrigo ed esplorare il villaggio: esso è un piccolo insediamento collocato al limitare di una grossa scogliera affacciata all'oceano.
    Impari a conoscere presto i suoi abitanti, e nonostante tutto ti pare tranquillo, anche se sai di dover ripartire presto: purtroppo, però, i tuoi eventuali sforzi di "fuga" non trovano successo. L'unica direzione che puoi prendere oltre l'oceano stesso è di nuovo la foresta, ma essa rimane ammantata dalla nebbia, che per qualche motivo non pare affliggere la zona oltre la vegetazione alta, come il villaggio stesso.
    Provando ad entrarci, spesso ti ritrovi di nuovo al punto di partenza, come se ti continuassi a perdere in quel labirintico luogo.
    E dunque, ogni singola volta, ti ritrovi di nuovo a Cerro Blanco.
    Presto passano i mesi, e pian piano ti abitui a vivere in quel piccolo luogo: Garcia ti ospita in quella stanza della sua dimora, ed ti ritrovi presto, anche se non ti è richiesto, a dare una mano per far funzionare al meglio la vita del villaggio, facendo qualche lavoretto qua e là. Nel mentre impari a conoscerne gli abitanti, in particolare Dorothy, che per forza di cose è la persona con cui spendi più tempo. Rodrigo è quasi sempre con voi durante le ore dei pasti, ma altrimenti è spesso preso da impegni personali o lavorativi.
    A volte ti senti così in pace che il pensiero di andartene ti pare sfuggente, lontano, come qualcosa che non più ti appartiene, eppure...



    [Bene, vorrei che descrivessi te che ti abitui alla situazione e alla vita nel villaggio. La situazione è abbastanza idilliaca: non vedete traccia di corrotti, e per quanto semplice attività come agricoltura, pesca e quant'altro aiutano a sostentare la vita degli abitanti del luogo. Vorrei che finissi con te che vai a dormire dopo una lunga giornata. Per domande varie sai dove contattarmi.]
     
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    Per piacere, Dorothy, sistema un attimo il tavolo, ci penso io a portare il giovane Anmas al bagno.

    Rodrigo Garcia aveva assistito a quella scena impassibile, con il suo solito viso di sempre, ma con gli occhi neri che brillavano di curiosità e di compassione per ciò che il giovane stava passando. Non sembrava che il comportamento di Anmas gli fosse stato di disturbo, anzi, sembrò quasi accendere qualcosa dentro di lui, un interesse che provava a nascondere, di cui l'esperimento non si era completamente accorto; la ragazza, tuttavia, sembrava leggermente nervosa e, probabilmente, impaurita dal momento di rabbia e frustrazione avuto dal ragazzo poco prima, nonostante il suo sguardo fosse rimasto uguale. La guardò negli occhi e qualcosa gli si bloccò in gola, riempiendogli la mente di sensi di colpa vari.
    Dorothy prese i vari piatti e, con un modo di fare apparentemente nervoso e sbrigativo, con lo sguardo basso e fisso verso il pavimento, li portò in un lavello quadrato, cominciando a pulirli con una pezza gialla e con l'aiuto dell'acqua del rubinetto. Dopo un po' si voltò e prese anche i vassoi argentati, poggiandoli vicini al lavello e riprendendo ciò che stava facendo, senza dire una parola. Anmas vide la preoccupazione in lei quando, mentre camminava avanti e indietro dal tavolo, con la mano destra stringeva con molta forza uno degli estremi in pizzo del proprio abito da pulizia. Lo sguardo del giovane si staccò dalla figura femminile non appena il braccio del sindaco di Cerro Blanco lo avvolse da spalla a spalla, spingendolo gentilmente verso l'uscita della stanza, con un sorriso rassicurante stampato sulle labbra; non vi era cattiveria nei suoi modi di fare, nonostante ciò che era appena accaduto, sembrava aver già perdonato tutto al ragazzo. Dopo un lungo corridoio che portava verso la porta principale, sulla sinistra, vi si trovava una porta in legno bianco, con un pomello dorato che dava un tocco di colore al tutto; non appena il ragazzo entrò nel bagno e chiuse la porta dietro di sé, Rodrigo Garcia si mise davanti alla porta con la schiena poggiata sul muro, come il bodyguard di qualche VIP che veglia su di lui giorno e notte, ininterrottamente. Probabilmente, pensò Anmas, il compito di un sindaco comprende anche questo.
    Dentro il bagno, dalle piastrelle bianche in ceramica, sovrastava tutto un enorme specchio che andava di estremità in estremità; il bagno, affiancato da un bidet, era in ceramica bianca e pura, senza un minimo cenno di sporcizia. Il ragazzo passò sopra un lungo e largo tappeto bordeaux, prima di arrivare sulla tazza e di abbassare la cerniera dei pantaloni; pensava e ripensava a cosa dire, a come scusarsi, in modo non esagerato.
    Dopo essersi schiarito la voce, sperando che Rodrigo potesse sentirlo, decise di parlare e di far sparire quella strana sensazione che lo faceva mandare giù la saliva con difficoltà.

    Senti, Rodrigo... Mi dispiace per quello che è successo, non ero in me stesso, era come se... Come se un'altra persona avesse preso il controllo del mio corpo. Non sono una persona del genere, anzi, sono l'uomo più buono e gentile che tu possa conoscere. Non accadrà mai più, cercherò di fermarmi se mai dovesse accadere di nuovo. Fai avere le mie scuse a Dorothy... L'ho vista leggermente scossa... Comunque sto uscendo.

    Dopo aver richiuso la zip dei jeans neri, si precipitò verso il lavandino, guardandosi un attimo allo specchio; non si riconosceva pienamente, nonostante fosse sicuramente lui quello riflesso, e non capiva il perché. Mise una piccola quantità di sapone sulla mano destra, poi strisciò le mani l'una contro l'altra, formando una piccola schiuma piena di bolle di sapone, poi le passò sul viso e chiuse il flusso d'acqua. Con gli occhi socchiusi prese una tovaglia bianca e si asciugò mani e viso, prima di dirigersi verso la porta e di aprirla, notando come l'aziano fosse di fronte a lui, sul primo gradino della rampa di scale che portava alla stanza da letto. Gli fece un cenno e Anmas lo seguì, passo dopo passo, come un'ombra, stando in silenzio per tutti i ventiquattro scalini che percorsero. La stanza era stata pulita, la legna era stata cambiata e nuovi ceppi di legno erano messi l'uno sopra l'altro, a forma triangolare, mentre il lenzuolo e la coperta erano di colore diverso, sistemati perfettamente su quel letto a una piazza dove il giovane aveva dormito nei giorni precedenti. Rodrigo gli diede una pacca sulla spalla e, con il suo solito sorriso, lo rassicurò.

    Anmas, vedo che sei ancora turbato. Ti consiglio di riposare un po', se hai bisogno di qualcosa non farti problemi a chiedere, Dorothy è sempre quasi sotto in salotto.

    Poi diede le spalle al giovane, camminando verso la scala in legno e voltandosi, di tanto in tanto, per assicurarsi che stesse effettivamente riposando. Non appena si sedette sul letto, l'esperimento da laboratorio si tolse il cappotto e gli stivali, porgendoli su una sedia adiacente, poi, dopo essersi alzato in piedi, si diresse verso la finestra della stanza, quasi nascosta da un alto armadio in legno, dietro una tenda bordeaux. Una volta spostata il giovane riuscì ad ammirare gran parte del villaggio, che proseguiva dritta e partiva dall'abitazione del Sindaco, continuando fino ad una piazza rotonda, con una fontana che rappresentava degli angeli con mazzi di fiori tra le mani; di lì in poi si diramava come i rami di un albero, tra diverse case o fattorie, passando tra campi coltivati e arrivando, in fondo, ad una distesa completamente rossa di fiori, probabilmente orchidee. Tra le grida di gioia dei bambini che giocavano a pallone, lo sguardo di Anmas si posò su quella piantagione di fiori cremisi, limitata da un recinto quadrato in legno, all'interno del quale un via vai di gente curava le piante e le portava all'interno o all'esterno di un grosso capannone, dove probabilmente venivano sistemate per la vendita. Molto dietro, oscura e misteriosa, appariva invece la foresta in cui era scappato dopo essersi svegliato dalla capsula di salvataggio; la nebbia era quasi invisibile, ma riusciva a percepire quella miriade di sguardi che lo avevano accompagnato per tutto il percorso, fino a quando non fu sovrastato dall'ombra che, nel suo caldo abbraccio, aveva spento i suoi sensi. Sulla sua destra, in lontananza, vide una scogliera frammentata dare sul mare, probabilmente l'oceano considerando la posizione geografica del territorio, con un paio di imbarcazioni legate su un molo di legno in perfette condizioni. Dopo qualche minuto decise di chiudere la tenda e gli diede le spalle, preoccupandosi di accendere il camino. Una volta fatto ciò, si voltò verso uno scaffale attaccato al muro, sopra al quale erano sistemati una decina di libri di diverso colore e grandezza: ne scelse uno in base al colore della copertina, senza preoccuparsi del nome o dei temi trattati, poi si distese sul letto, sotto le coperte imbottite. Sfogliò una cinquantina di pagine: il libro narrava di un Re che aveva perduto la sua famiglia e i suoi amici e che, in preda alla disperazione e alla rabbia incontrollata, andò alla ricerca di coloro che lo avevano fatto soffrire, portandogli via i suoi cari e tutti i suoi territori, oltre al suo onore. La stanchezza, tuttavia, travolse il ragazzo, facendogli lentamente chiudere gli occhi, fino a quando non crollò in un profondo sonno. Quella notte Anmas non sognò. Non sognò nemmeno i tre giorni successivi, i quali passarono velocemente all'interno delle mura della casa, in cui l'esperimento riuscì a conoscere meglio Dorothy e la aiutò con le varie faccende di casa, come il bucato, la pulizia della casa e la preparazione del cibo. Dietro la sua timidezza si nascondeva una ragazza pura e intelligente, con conoscenze di ogni tipo, come un'enciclopedia da cui Anmas assorbiva, giorno dopo giorni, insegnamenti fondamentali da utilizzare nella vita di tutti i giorni. Ella sembrava essersi dimenticata di quel momento di rabbia, non parlarono mai di quella giornata; presero un rapporto amichevole, quasi fraterno, dopo che il ragazzo riuscì a far breccia in quella timidezza che utilizzava come scudo. Parlarono del loro passato mentre tagliavano ortaggi e preparavano uno stufato di verdure e coniglio, lei gli confidò di essere un'orfana e di non aver mai conosciuto i propri genitori, finché, all'età di quattro anni, il signor Garcia non la prese sotto il suo tetto e la crebbe come se fosse sua figlia. Lui, invece, gli raccontò tutti i suoi anni passati in laboratorio, di come il suo corpo fosse "morto" e di come in realtà Anmas, come si era presentato, non fosse altro che un chip impiantato all'interno del cervello di un altro uomo.
    A pranzo e a cena, durante la pausa e la fine del suo lavoro da sindaco, era presente anche Rodrigo, che si accorse subito del rapporto scherzoso preso dai due ragazzi. I tre raccontavano della propria giornata e poi, alla fine di ogni pasto, pulivano la sala da pranzo e andavano ognuno nelle proprie camere. In quei tre giorni Anmas riuscì a finire di leggere il libro, nonostante si addormentasse sempre nei punti cruciali del racconto.
    Il quarto giorno arrivò e, non appena sveglio, il ragazzo percepì a pieno le forze che, durante il viaggio attraverso la foresta, erano quasi completamente sparite. Le gambe non avevano più fitte e i suoi muscoli non erano più intorpiditi; dopo essersi alzato in piedi ed essersi rivestito, con un sorriso stampato sul volto, scese giù per la solita colazione, trovando una tazza di latte con dei cereali poggiati sul tavolo, insieme a delle fette di pane ricoperte di fresca marmellata artigianale. Si sfregò le mani e cominciò a mangiare, mentre Dorothy entrava nella stanza e gli scompigliava i capelli, attirando la sua attenzione.
    Finita la tazza di latte, il ragazzo la guardò, poggiata di fronte a sé sul ripiano del lavello, prima di parlarle con un tono euforico.

    Finalmente ho recuperato tutte le mie forze, Dorothy! Riesco di nuovo a correre, anche se non devo sforzarmi troppo per evitare delle ricadute. Ma sai che significa questo? Significa che finalmente posso proseguire il mio viaggio. Non ringrazierò mai abbastanza te e Rodrigo per quello che avete fatto per me, ma prima o poi tornerò e vi porterò un sacco di regali, lo prometto!

    Dorothy rimase scossa dall'affermazione del ragazzo: avevano legato molto negli ultimi giorni e probabilmente non si aspettava qualcosa del genere. Anmas lo notò e smise di sorridere, pensando a continuare il suo pasto, mentre la fanciulla lo attese e poi si preoccupò di lavare i piatti e di sbrigare le altre faccende di casa.
    Anmas si fiondò subito fuori dalla casa, cominciando a girare per il villaggio, conoscendo facce nuove e i vari luoghi d'interesse, come la piazza centrale e la taverna, tra le facce sorprese di coloro che non l'avevano mai visto, bisbigliando tra di loro, incuriositi, e quelle che invece l'avevano riconosciuto. Un uomo di mezz'età si avvicinò a lui e gli porse un fiore color lilla, infilandolo con prudenza nel taschino all'altezza del petto.

    Tieni, Anmas. E' bello vederti stare bene. Io sono Rubio! Ti ho trovato fuori dal bosco giorni fa e ti ho portato a casa di Rodrigo, mi ha informato sulle tue condizioni in questo periodo. Quest'azalea ti porterà fortuna. Se vuoi passa nel mio campo, due braccia giovani e forzute come le tue mi aiuterebbero!

    E ridacchiando se ne andò, senza neanche dare il tempo al giovane di ringraziarlo. Percorse velocemente tutto quanto il villaggio e poi, arrivato di fronte alla foresta, si guardò indietro: i suoi occhi puntavano la casa del sindaco, a cui doveva molto; il suo ultimo pensiero prima di partire, invece, era a Dorothy.

    Stammi bene, Dorothy. Prometto che ci rivedremo.

    E così facendo si fiondò subito nell'apertura tra gli alberi, ripercorrendo anfratti già percorsi e mai visti, mentre la nebbia si faceva ad ogni passo più fitta. Rivide la casa in legno in cui aveva alloggiato, non salì per il burrone, svoltò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, cercando di leggere quelle indicazioni in legno che oramai erano state cancellate dal tempo. Stette all'incirca un'ora in quel luogo, muovendosi tra erbacce e rampicanti, fino a quando non riuscì finalmente a vedere uno spiraglio di luce che quasi lo accecò.
    Con amarezza si accorse che era ritornato al punto di partenza: i suoi sforzi nell'ultima ora erano stati totalmente inutili. Un misto di rabbia e disperazione si manifestò in lui, il che lo portò a cadere sulle proprie ginocchia e a battere pugni al terreno.

    CAZZO! Dannazione, voglio solo tornare a casa!

    Quella rabbia immotivata cessò completamente e un dolore lancinante gli colpì nuovamente la testa per qualche secondo, prima di svanire e di esistere solo nei suoi ricordi. Si rialzò e con fare preoccupato andò via, verso la dimora dove alloggiava, ma fu fermato da Rubio. Non voleva fermarsi, aveva paura di poter fare del male, che quegli scatti prendessero il controllo del suo corpo e lo portassero ad azioni che, altrimenti non avrebbe mai fatto. Ma una parte di sé voleva aiutare, voleva integrarsi alla vita di comunità del villaggio, in modo da alleggerirgli il peso di ciò che era accaduto e, magari, di fargli ritrovare la sua strada in quel mondo caotico. Si accordò con Rubio per dare una mano nei campi: doveva curare quelle miriadi di orchidee rosse e, successivamente, trasportarle in quel capannone dove poi, insieme agli altri lavoratori, le avrebbe poste in dei vasi e ancora in delle casse di legno.
    L'economia di Cerro Blanco, difatti, dipendeva per la maggior parte dalla vendita di piante, poiché, il clima e il territorio su cui fu costruito, erano due fattori favorevoli alla crescita regolare di piantagioni varie, tra cui, nello specifico, di orchidee. Così, giorno dopo giorno, alla routine quotidiana di Anmas, si aggiunse anche il lavoro nei campi, in cui doveva stare per circa sei ore, dalle quattordici alle venti, e il guadagno si aggirava a dieci euro al giorno; non era molto, ma ben presto il ragazzo utilizzò il suo lavoro come sfogo, sopprimendo quei pensieri negativi e di fuga, nonostante sentisse il richiamo della foresta soprattutto durante le ore notturne. Imparò a conoscere la gente del luogo, le varie personalità, cominciò a salutare tutti ogni giorno durante il tragitto tra la casa di Rodrigo e il campo. Di ciò, oltre ad Anmas, fu felice anche il sindaco, che lo trattò sempre come un figlio e decise di regalargli un orologio tascabile di metallo, in modo da poter controllare sempre lo scorrere del tempo.
    Dorothy, nonostante il timore dei primi giorni dovuto al discorso fatto da Anmas, ben presto si calmò e ricominciò ad avere con lui il rapporto di prima, sgridandolo ogni tanto per i suoi soliti ritardi a lavoro. Passò Gennaio, poi molto velocemente anche Febbraio, pieno di piogge e maltempo, poi si affacciò la Primavera con l'avvento di Marzo. Durante questi mesi il pensiero della fuga attraverso la foresta svanì completamente, mentre quello di un futuro in quel villaggio affacciato sull'oceano si fece più saldo e ricorrente; inoltre, i dolori e gli sbalzi d'umore via via si fecero più rari, mentre pian piano si sentiva maturare e diventare un vero uomo.
    Era il terzo giorno di Maggio, la solita routine quotidiana era oramai arrivata al termine, Rodrigo e Dorothy erano andati nelle proprie stanze e Anmas fece lo stesso, spogliandosi e lasciando addosso solamente la maglia bianca e i boxer neri. Diede un altro sguardo al di fuori della finestra, verso quella distesa buia e verde, ripensando a Cesàr, la sua famiglia, anche se, con il passare dei mesi, pensò di aver trovato una nuova famiglia che si sarebbe preso cura di lui, nonostante il pensiero del padre scomparso lo disturbava soprattutto la notte, con incubi riguardanti quelle figure malefiche che avevano sterminato il laboratorio della Emochip. Figure che, stranamente, non erano mai comparse in quel di Cerro Blanco. Che fosse un segno del destino? Anmas non se ne preoccupò troppo, l'indomani avrebbe dovuto raccogliere più orchidee del giorno prima, e poi, se ne avesse trovata una più bella delle altre, l'avrebbe portata a Dorothy. Si mise sotto le coperte, lasciando la finestra socchiusa, poi guardò il camino spento fino a quando le sue palpebre non si fecero pesanti, fino a serrare i suoi occhi. Cominciò a sognare.

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    I tuoi occhi si aprono con chiarezza in un mondo bianco e nero, in cui i colori non esistono.
    Sei sdraiato sul terreno, in mezzo all'erba, e alzandoti hai modo di osservare di essere in una foresta: essa non è però quella a cui ti sei abituato nel corso dei mesi, ma è invece una lunga selva di alberi particolari dalla peculiare forma. Ognuno di essi ha un singolare aspetto decisamente unico, che non segue le regole della realtà come a te conosciuta. Essi paiono infatti formare figure geometriche non euclidee che la tua mente fa fatica anche solo a recepire. Se ti avvicini ad essi, però, noti una cosa peculiare: sono infatti al tatto ruvide e dure come una roccia, come se gli alberi fossero fatte di qualche minerale.
    Avanzando nella foresta il tuo corpo è pervaso da un senso di sconforto, di incertezza, ma allo stesso tempo la tua mente è incredibilmente lucida.
    Vieni guidato da una sensazione strana che ti indica dove andare in maniera istintiva: essa ti porta su una strada battuta in mezzo ai gruppi di alberi. Su di essa si stagliano, in numero sempre più crescente man mano che progredisci, una moltitudine di lame conficcate nel terreno o nei tronchi rocciosi circostanti, come se ci fosse stata una battaglia.
    Cammini e cammini, ma il tempo non pare passare: non provi alcuna sensazione di fame o di sete, come se non potessi provare tali sensazioni in primo luogo.
    Eventualmente, arrivi ad un piccolo lago: guardando dall'altro lato di esso, noti una figura umana che non riesci bene a distinguere, poiché la sua figura rimane celata nelle ombre. L'unica cosa che riesci a notare sono gli intensi occhi rossi che ti osservano: la sensazione che più invade il tuo corpo è stranamente una di familiarità, anche se non comprendi il perché.
    Dopo svariati attimi di silenzio la figura stranamente sparisce dietro la vegetazione, ma prima che tu possa fare qualunque cosa ti senti spinto da dietro: il tuo corpo viene gettato nel lago, e perdi nuovamente coscienza.

    [...]

    Ti svegli.
    Il sudore pervade il tuo corpo, ma i tuoi pensieri sono indirizzati a ben altro: cosa diamine hai sognato? Erano mesi che non avevi una notte del genere, ma non riesci a comprendere la natura o il senso di ciò che hai visto.
    Il tuo intero corpo pare improvvisamente essere in preda ad un senso di adrenalina, e ti senti come forzatamente guidato verso l'esterno della casa.
    Incapace di contestare pienamente i comandi del tuo corpo, per quanto strani, eventualmente ti trascini fuori dalla casa come guidato da una trance: i tuoi passi nella fredda e silenziosa notte del villaggio ti portano eventualmente alla cima della scogliera - essa è appena fuori da esso, sul suo limitare, ma vi è una differenza rispetto all'ultima volta che ci sei stato.
    Infatti, sulla fredda erba e roccia si staglia un campo di fiori bianchi.

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    In cima allo scoglio, in mezzo a quel mare di fiori guidati dal vento, noti la figura di una donna guardare verso l'oceano: è vestita con un lungo abito nero come la notte, che contrasta fortemente contro la sua pelle pallida e luminescente. Essa pare notare la tua presenza, e girandosi ti sorride, guardandoti con i suoi tanto famigliari occhi rossi.


    [Procedi come preferisci]
     
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    I sogni possono spesso incarnare la realtà, trasformandola a proprio piacimento e cambiandola di volta in volta, creando scenari tanto fantastici quanto misteriosi, in cui inconsciamente la persona si ritrova a viaggiare, trovando cose che spesso non riesce a spiegarsi, neanche dopo aver ripreso conoscenza. Aperti gli occhi, Anmas si ritrovò a vedere un vasto luogo aprirsi tutt'intorno a sé, con una peculiarità importante che distingueva quello scenario fantasioso dal resto: tutto era in bianco e nero. Nessun colore, il tempo sembrava essersi fermato e neanche un filo di vento sembrava soffiare. La prima cosa che vide, ritrovandosi disteso su un enorme prato, fu il cielo, senza stelle e senza luna, nonostante l'orario in cui era andato a dormire. Mise i palmi delle mani a terra e, aiutandosi con le gambe, si alzò in piedi, ammirando le alte querce che sovrastavano quel luogo: si ritrovava al centro di una foresta secolare, molto simile a quella in cui si era ritrovato spesso nei mesi precedenti in quanto a grandezza, se non che gli alberi avevano forme particolari: i lunghi tronchi spesso assumevano forme simili a chiavi di violino, o forme astratte che rispecchiavano la natura fantastica del luogo, in cui i rami si intrecciavano tra di essi e formavano triangoli, quadrati, esagoni, oltre a varie forme geometriche di dubbia esistenza, tant'è che la mente di Anmas fece fatica a processare il tutto. Il ragazzo, non appena si alzò in piedi, si avvicinò a tali costruzioni oniriche e poté, grazie al tatto, comprendere che non era legna ciò che li formava, bensì strani materiali rocciosi simili ai minerali più rari del pianeta, come dei cristalli ruvidi e pesanti che avevano perforato la terra sottostante. Gli intrecci dei rami, come spuntoni fatti di ossidiana, si intrecciavano tra di loro in un arco che lasciava spazio al giovane per entrare all'interno dei suoi meandri, quasi a invitarlo a passare di lì alla ricerca di un qualcosa non ben definito. Era buio all'interno, il che provocò più di qualche ripensamento in lui, chiedendosi se tutto ciò fosse opera della stessa ombra che aveva abbracciato mesi e mesi fa; ma quello era reale, volle pensare in quel momento, rincuorandosi e prendendo coraggio prima di stringere i pugni e di entrare in quella selva rocciosa a passi piccoli ma sicuri. La lucidità non gli mancava, sebbene ad ogni passo quell'ansia e quel timore si facevano più vicini, quasi a stringergli il collo con le loro mani forzute e invisibili, ma egli non rallentò mai il proprio passo, anzi lo accelerò. Vi erano bivi, strade che andavano verso e il basso e percorsi che si innalzavano, nessun segno di fauna in quella foresta senza colori, nessun cartello con indicazioni, ma ogni percorso sembrava diverso ai suoi occhi, come se avesse già percorso migliaia di volte quella foresta, uscendone sempre indenne. Girò a destra, poi a sinistra, passò tra due tronchi così vicini che i rami pungenti e affilati gli sfiorarono il viso, come lingue di serpenti velenosi che non vedevano cibo da mesi. Camminò e camminò, minuti, forse ore, passarono mentre un percorso ben preciso, in terra battuta completamente nera, non si aprì davanti a lui: un percorso dritto che sembrava non terminare mai, al cui interno e ai lati erano presenti prima dieci, venti, poi cento lame. Spade, spadoni, lance, lame curve e dritte, dalle forme più varie e dai motivi più particolari, conficcate a terra oppure sugli alberi, creando un cimitero di armi senza fine, dentro il quale Anmas si mosse per tutta la durata della strada. Sembrava il luogo di una battaglia tra eserciti numerosi, tant'è che dopo qualche minuti il giovane fece fatica a muoversi evitando di tagliarsi o di staccarle dal terreno, non volendo mutare la forma di quel luogo che sembrava avere un qualcosa di sacro. Passarono ore, al suo corpo sembrarono giorni e poi settimane, quel cimitero di lame affilate si fece sempre più fitto e più grosso, tant'è che vide lame arrivare persino alla stessa grandezza dei tronchi degli alberi, elevandosi alte e maestose in cielo; ci furono volte in cui avrebbe voluto fermarsi ad ammirare quelle opere di guerra e aspettare, nonostante fosse attratto da un qualcosa di non definibile, una sensazione strana che sembrava forzarlo a continuare. Non sentiva la fame, non sentiva la sete. Nell'aria non un minimo rumore, neanche il fruscio delle foglie o il soffio del vento, mentre il suo naso non sapeva distinguere l'odore di un luogo da quello di un altro. Sembrava tutto uguale e lo sembrò per tanto tempo.
    Finalmente il suo corpo si fermò e quella sensazione svanì, mentre il percorso in terriccio veniva diviso in due da un enorme lago di acqua cristallina, il quale rifletteva gli alberi e il viso di Anmas sulla sua superficie. L'esperimento alzò lo sguardo e riuscì a scrutare una figura umanoide molto lontana, dall'altra parte della riva, nonostante i suoi bordi erano confusi ed era difficile distinguere ciò che era tessuto di un vestito da ciò che era la sua pelle. In mezzo alla mancanza di colori, comparvero due piccole luminosi punti rossi che sembravano essere gli occhi della figura; rilassò i pugni e quell'ansia che prima gli stringeva il collo sparì completamente, donandogli un senso di sicurezza e tranquillità. Quella figura sembrava incredibilmente familiare, ma non riusciva a capire il perché: che fosse uno degli scienziati del laboratorio? O magari uno degli abitanti del villaggio di Cerro Blanco? No, non aveva mai visto nessuno con quegli occhi scarlatti, non aveva motivo di sognare qualcuno che non conosceva, pensò tra sé e sé. Eppure quest'ultima lo guardava, immobile, come se fosse stata lì fin dall'alba dei tempi, aspettando il suo arrivo con molta pazienza, in un labirinto naturale in cui nessuno, se non Anmas, avrebbe avuto accesso. Il silenzio continuava a regnar sovrano su quel luogo, fin quando la fitta vegetazione non sembrò quasi chiudersi in se stessa, facendo sparire la figura dagli occhi cremisi in un sol battito di ciglia. Il ragazzo non ebbe neanche il tempo di pensare o di guardarsi intorno: una spinta, diversa da quella di un calcio o di una mano, lo fece cadere in avanti in modo rocambolesco, facendolo cadere nel lago. Riuscì a voltarsi ma, mentre veniva sommerso dalle acque e spariva sul fondale buio, non riuscì a scrutare nessuno sul bordo dello specchio d'acqua. Così, mentre i sensi sparivano ad uno ad uno e gli occhi si chiudevano, il corpo di Anmas sembrò toccare finalmente il fondale di terra, ma, questa volta, riuscì a sentirlo sul suo vero corpo e non in sogno.

    Ah… Sono… Sono qui!

    Il suo corpo era bagnato da gocce di sudore che lentamente cadevano sul letto. La prima cosa che fece fu guardarsi le mani, prima di voltarsi e fissare la camera intorno a lui, la stessa in cui si era addormentato: capì subito di aver sognato, ma per lui fu uno shock tremendo dopo i mesi passati a non sognare nulla. Cosa diamine era quella figura? E quel luogo? Le lame gli ricordarono il vecchio sogno già avuto quando fu abbracciato dall'ombra: che fosse nuovamente lei?
    Poté nuovamente ammirare i colori e tutto ciò lo rassicurò, nonostante un'ansia costante gli dicesse di fuggire da quel luogo, verso la scogliera rocciosa che dava sull'oceano. Provò a calmarsi, finché il suo respiro non tornò regolare, ma le sue gambe sembravano muoversi da sole non appena le alzava dal pavimento. Si alzò di scatto dal letto e riuscì a mettersi i suoi stivali e la sua lunga giacca, mettendo all'interno della tasca destra l'orologio donatogli da Rodrigo, mentre il suo corpo, così come nel sogno, sembrava ricevere spinte che cercavano di portarlo verso le scale. Provò a saldare i piedi a terra, ma la spinta si fece più forte; non capiva cosa stava accadendo, mentre nella sua mente ripercorreva, passo dopo passo, tutti gli attimi percorsi nel sogno. Una scarica di adrenalina gli percorse la schiena, fino alle gambe, facendolo correre giù per la scala di fretta, in equilibrio precario, senza mai farlo cadere; cercò di non fare rumore in modo da non svegliare Dorothy e Rodrigo, poi, sbattendo la porta dietro di sé, sospirò e si mise una mano in faccia, come a rimproverarsi per il gesto appena compiuto.

    Stupido! Non dovevo sbattere la porta, non voglio farli preoccupare. Devo andare alla scogliera, non voglio che mi vedano… La scogliera. Perché la scogliera?

    Ci pensò su, ma la sua testa era annebbiata, mentre la sua vista puntava solamente su un punto ben preciso: la cima della scogliera. C'era stato una volta nei mesi passati, insieme al signor Garcia e Dorothy, a guardare il tramonto. Il cielo era tinto di rosa e, tra un bicchiere di vino e l'altro, i tre avevano riso e scherzando, raccontando vari aneddoti. Non vi era nulla di interessante, se non un paio di grossi pezzi di legno incastrati nella roccia, utilizzati come corrimano in modo da non cadere al di sotto ed evitare incidenti; i suoi passi si fecero più decisi e più grandi, tanto da coprire più spazio rispetto a prima. Il mare schiumoso sbatteva violentemente sulla parete in pietra, schizzando con la sua acqua salata il viso del ragazzo e rendendo il pavimento inclinato ancora più scivoloso di quello che già era, ma nonostante ciò Anmas non perse mai l'equilibrio. Non poteva fare nessun passo falso.
    Arrivò sulla cima della scogliera e, con grande sorpresa, sul pavimento di quel piccolo terrazzo che dava sul mare, si apriva un piccolo prato fiorito color cenere, in cui il fusto di ognuno di essi veniva mosso da una forte brezza marina, trasportando anche petali ad ogni suo passaggio. In mezzo a quella fioritura bianca, noncurante del forte vento, una donna alta e vestita di un lungo abito nero, il quale le copriva tutto tranne le spalle e parte della schiena, con una pelle giovane e pallida che sembrava riflettere i raggi della luna. Ella mirava l'oceano aprirsi dinnanzi a sé, ferma come una statua. Anmas non capì subito, fece dei piccoli passi per avvicinarsi il più possibile a lei, fino a quando non arrivò a pochi metri dalla cima. Si voltò, lasciando svolazzare i suoi lunghi capelli neri e mostrando il suo tratto più interessante, che scombussolò internamente il ragazzo: due occhi scarlatti che sembrarono penetrare nell'anima del ragazzo. Dopo qualche secondo di interminabile silenzio sorrise dolcemente, facendo aumentare quel senso di familiarità che l'esperimento ebbe durante il sogno; non sapeva chi fosse, né dove l'aveva vista, ma sapeva bene che lo stava aspettando e lui, seppur con qualche ripensamento, si era presentato all'appuntamento e non l'aveva delusa. Provò a pensare a cosa dire, ma le sue labbra si schiusero e la sua voce sembrò uscire da sola dalla sua bocca, mischiandosi con il forte respiro del vento marino che dava forme sempre diverse ai capelli di entrambi.

    Sono qui.

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    FISICO ✧ Condizioni perfette.
    STATO PSICOLOGICO ✧ Leggermente confuso.
    ALTRE INFO ✧ Eddaje, cominciamo. :zizi:

    ✧ abilità ✧


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    La donna ti guarda.
    No, piuttosto che donna riconosci quell'entità davanti a te come qualcosa di non umano.
    Ora che sei in sua presenza comprendi che quell'essere possiede una natura che van ben oltre le tue conoscenze attuali.
    Eppure, nuovamente, senti quella famigliare sensazione di benessere, di contentezza.
    Con l'abbozzo di un sorriso gentile, la pallida esistenza si avvicina con passi delicati verso la tua direzione: la terra pare tremare lievemente sotto i suoi passi, e il campo di fiori si apre in maniera praticamente spontanea, come se comprendesse di doverla lasciare passare. Il soffio del vento pare suonare una melodia incomprensibile, danzando e sollevando i petali dei fiori in cielo.
    Eventualmente, dopo quella che ti pare una lunga attesa, ella ti raggiunge, mettendosi di fronte a te e penetrandoti negli occhi con il suo sguardo indecifrabile.
    Pare studiarti per diversi attimi, come per constatare qualcosa, mantenendo un silenzio tombale prima di finalmente parlare.

    "Sei arrivato molto lontano, Anmas.
    Hai dovuto affrontare un difficile percorso, ma ne valsa la pena - è ora per te di ricordare."


    Gentilmente prende tra le sue mani il tuo capo, e con calma poggia la sua fronte contro la tua.
    In quel singolo attimo la tua mente inizia a processare una quantità di informazioni enorme, al punto tale che ti senti la testa quasi scoppiare dal dolore - un dolore tanto atroce e primordiale da essere indescrivibile.
    E dopo il dolore viene il sapere.
    Ricordi tempi lontani e ormai dimenticati all'uomo, di battaglie in mondi sperduti e con civiltà antiche, non umane. Ricordi ogni singola emozione associata a quella vita che avevi dimenticato, partendo dalla semplice felicità alla pura furia, in un turbinio di sensazioni che non eri capace di provare o che non avevi mai provato fino ad allora.
    E infine, ricordi il suono del metallo che danza.




    "͉͇͖̔̉͋ͣͭͬS͔̲͙̙̗̊ͩͥͤͨͫ́v̧͚̻̤̽͂̉͆̒̍̍̈́͡ͅe͇̜̜̼̱͈̣ͦ̄͊̇͑̀͠͝g̷̹̮͎̰̟̼̣͊̽ͣ͛͊́ͯ̂̔͜l̷͔͇̭̰̭̙̖ͭͩ͐ͮͫ̽̚͢i̺͇̠̙̺͉̗͚͉ͥ̐͝͠a͈̹̳͑̔ͯ̾͒̽̉́̍tͧ͑͘͏̣̹̝̱͔͓̟͎i̙̖͕̝̥̞̬ͩͩ̓͜͝,̧̱̥͈͌̅̌̀͗ͤͯ́ ̷͉͙͚̦̼ͪͬͤ̃͑͑̍̐ͪͅL̶͈͓̣̫̤͖͔͛́͒̆͜a͇̘̩͖͊m̓̅͊͏̜̺͚͔͕͔̺̠͘a̢̜͙̙̟̙̦̹̙ͦͯ̿̒͑̄̀͑̍ ̡̥̟̞̣͍̞̬̅ͪ̚͝C̲̺̺̒ͩ͗̓̎̓́͢ị̷̜̹̬͔̫̟̣̎̀̾͝ͅń̶͕͔̺͖̖ͩ̊̅ͥ̔ͥ̚͞ḛ̹̖̼̥̩̪̼̌ͪͤr̳̯͕͖͍ͬͯ̾ͦ̀͠è̡̠̭̓̋̈̀a̫̥͔ͣͥ̾̉͊̊͂ͣ̚͜.̨̝̲̳̬̯̯ͣͦͬ̈́̉ͤͨ̉͘ͅ"̸̼̙̭͍ͪ͛͗̉̒





    La donna allunga il braccio destro, e dalle sue tasche estrae un grosso globo di metallo scuro e scintillante: con incredibile velocità tira un pugno verso il tuo stomaco, colpendolo con forza assieme alla sfera, che viene di conseguenza risucchiata prontamente nel tuo corpo.
    Immediatamente l'essenza di tale oggetto si disperde dentro di te, invigorendo il tuo corpo e inondandolo di energia primordiale e antica: una sensazione incredibile di completezza ti riempie, ed assieme al dolore vi è anche un incredibile piacere. La sfera si allarga e si espande in un labirinto di piccole lame, eppure nonostante esse penetrino nella tua carne il dolore è minimale, soppiattato da una sensazione di indescrivibile soddisfazione.
    Il tuo risveglio è completo.


    [Hai cosmo sbloccato e l'adamas, con ricordi e poteri pienamente a tua disposizione :zizi: Fammi vedere che ci sai fare e fai scintille con una bella trasformazione (aka get in the robot Anmas). Se hai dubbi sai dove trovarmi]
     
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    Lui la guardava dritto negli occhi; lei, con quei due rubini leggermente scavati nella pelle, ricambiava. Anmas sapeva bene che l'entità che si trovava di fronte a lui, nelle vesti di una giovane e bellissima donna, era qualcosa di eterno, che è sempre esistito e che probabilmente aveva posato lo sguardo su di lui già dal primo momento in cui era entrato nella foresta. Aveva preso quella forma, così come chissà quante prima di essa, per non spaventare l'animo dei mortali e per poter, finalmente, calcare lo stesso suolo degli uomini che l'avrebbero incontrata. Nonostante ciò, Anmas non aveva timore di lei, anzi, si sentiva unito come da uno stretto legame che non poteva essere sciolto, un filo rosso che, giorno dopo giorno, si era attorcigliato sempre di più attorno al corpo e allo spirito del ragazzo. Lo sguardo della misteriosa figura riusciva ad inebriare il suo corpo e, ad ogni passo che ella compieva in modo da avvicinarsi a lui, gli faceva provare un calore sempre più grande, al di sotto del tessuto della pelle, dei muscoli, delle ossa, fino a quell'essenza immateriale che risiede dentro ogni persona. Quel forte ticchettio che accompagnava ogni movimento delle gambe della figura femminile si mischiava con il vento, un sibilare armonioso che sembrava quello dei fiati, accompagnato dal battere incessante del contrabbasso. Quei pochi secondi sembrarono durare un'eternità.
    Con un sorriso roseo e spontaneo, la pallida figura era quasi arrivata di fronte al giovane; ogni volta che i suoi piedi toccavano il terreno, una scossa simile a quella di un terremoto faceva tremare il terreno, senza però lasciare crepa alcuna sulla roccia sottostante. Il campo di gigli bianchi, invece, si allontanava da lei, non mosso dal vento, bensì come se la sua sola presenza fosse in grado di spostare anche le radici di quei fiori, spalancando un sentiero di fronte ad essa, permettendole di raggiungere con facilità il punto in cui, impaziente, la aspettava il giovane. Candidi petali voltavano intorno alle due figure, facendo da cornice, mentre uno scambio di sguardi confusi procedeva per qualche secondo, in quel silenzio spezzato solamente dal sussurrare della corrente marina.
    Le pupille nere come le tenebre dell'entità, facendo su e giù, scrutarono tutto il corpo del ragazzo, soffermandosi su ogni piccolo particolare, come una ricamatura nel tessuto della giacca o ancora un piccolo taglio sulle sue mani, dovuto al faticoso lavoro nei campi al quale si era sottoposto nei giorni precedenti. La donna sorrise di nuovo: era pieno di certezze, era un sorriso compiaciuto, come un vecchio maestro che ha finalmente donato tutto al proprio discepolo. Le labbra piccole e rose si schiusero, mostrando una perfetta dentatura bianca; la pallida entità che l'aveva richiamato a sé, con una voce profonda e sensuale, proferì parola.

    Sei arrivato molto lontano, Anmas.
    Hai dovuto affrontare un difficile percorso, ma ne valsa la pena - è ora per te di ricordare.


    Si chiese per qualche secondo come facesse a sapere il suo nome; inoltre, gli diede la certezza che, come da suo presentimento, ella l'avesse osservato in tutto il suo viaggio, dall'entrata nella foresta fino a quel preciso momento. Magari l'aveva vista più volte, sotto svariate forme che quel pallido essere riusciva ad assumere, ma non gli diede troppa importanza. Senza neanche un attimo di attesa, non appena la donna fece avanzare le braccia a palmi aperti, come se già sapesse il da farsi, Anmas mise la testa tra i due arti, aspettando con gli occhi serrati che questa facesse la prossima mossa. Le mani dell'entità erano calde e soffici, sembravano quasi penetrare le guance del giovane, accarezzandole con cura e affetto, come se fosse un prezioso artefatto perduto da tempo.
    Lentamente le fronti dei due si toccarono: in quel momento una piccola scintilla apparve nella mente del ragazzo, mostrandogli varie scene, più simili a ricordi che a sogni, in quanto ad egli sembrò di averle già vissute; uomini in guerra, lame che si scontrano tra di loro provocando un suono acuto, scudi che vengono sbattuti dai possenti martelli da guerra di civiltà antiche, tra le urla e il sangue a fare da contorno. La testa di Anmas sembrò esplodere in un acuto dolore, molto più forte e continuo del solito dolore che ebbe nei mesi precedenti a causa del chip, come continue pugnalate al cervello; scomparso il dolore, rimasero solo i ricordi.
    Civiltà mai viste prima e mai studiate, dalle forme aliene e in mondi fantastici, in città colme di tecnologia mai vista prima, tra costruzioni metalliche che non riconobbe. Da un lato vi erano barbari dalle mille braccia, con spade, lance e martelli da guerra, che avanzavano senza paura contro un'orda di forme non ben definite, delimitate solamente da armature di forme e colori diversi; fu un massacro, il sangue schizzava ovunque e dai corpi dei deceduti veniva prodotta nuova sostanza vitale, da cui i macchinari assorbivano potere e sviluppavano nuove armi potenti dalle forme più varie. Il ragazzo riuscì a provare felicità quando vinsero quella sanguinosa battaglia, come se egli avesse combattuto tra le schiere di guerrieri formidabili; d'altro canto, la visione di una disfatta imminente, di un'armata così grande da occupare un intero pianeta, che si scagliava contro quelle figure aliene nelle loro vestigia corazzate, gli fece provare una disarmante rabbia. Si sentì rassegnato, riuscì quasi a sentire sul suo corpo ognuna delle ferite inflitte ad ognuno di essi; le emozioni si accumularono, gioia ad ogni fendente che trapassava le carni degli invasori, rabbia e disperazione ad ogni cavaliere ferito o ucciso, una terribile nausea nel vedere quel vasto esercito urlare e battere sui propri scudi. I due uomini al comando degli eserciti corsero l'uno verso l'altro, sfoderando le loro armi esotiche costruite con materiali che il giovane non aveva mai visto, si scontrarono in una battaglia dentro la battaglia, fin quando le loro lame, lucenti e affilate, non si scontrarono, provocando un suono metallico che rimbombò nella testa di Anmas, facendogli aprire gli occhi; poi, graffiandogli le orecchie, tra il suono delle armi che venivano sbattute ripetutamente, una voce esterna e quasi animalesca gli parlò.

    Svegliati, Lama Cinerea!

    La donna ritirò il braccio verso la tasca destra del suo lungo abito; tra i palmi pallidi, luminescente e metallica, una sfera nera dello stesso colore del cielo. Non gli diede neanche il tempo di assimilare tutto ciò che aveva appena visto, anzi, ricordato, che con un agile gesto della mano lo colpì in pieno stomaco, spingendo con forza la sfera verso la pelle del ragazzo. Essa, dopo un paio di tentativi di resistenza, riuscì ad entrare completamente nel corpo del giovane, come il nucleo di un robot che lo svegliò, facendolo animare. Sentì come un'implosione, poi la sfera diventò tanti piccoli raggi neri che, diramandosi in ogni direzioni, colpirono gli organi e i muscoli del ragazzo, partendo dal petto e arrivando alla sua mente, alle sue braccia, poi alle dita; si propagarono verso la parte del ventre, poi le gambe e, infine, i piedi. Delle leggere fitte gli colpirono le varie parti del corpo ma, oltre al dolore, un'assurda soddisfazione pervase il corpo del ragazzo, tanto da portarlo a urlare e, poco dopo, a scoppiare in una fragorosa risata. I suoi occhi per un attimo si fecero totalmente neri, prima di tornare del loro solito colore bianco, con le iridi azzurre; delle lame del colore del petrolio stavano perforando i suoi muscoli, perforandogli la cute, spuntando da braccia e gambe, persino dal petto. Alla vista di tali spuntoni, Anmas continuò a ridere sadicamente, poi, serrando le labbra e tornando serio, guardò con soddisfazione l'esistenza pallida davanti a lui. Essi si unirono tra di loro in un tessuto simile a quello delle armature viste nel sogno, ricoprendo tutto il suo corpo dello stesso colore della sfera che, poco prima, si era insidiata dentro di lui: il suo corpo fu completamente rivestito di quel materiale nero, unito a lui come uno strato ancor più posteriore della sua pelle.
    Mancava solamente un piccolo passo per il risveglio completo dell'entità che si era unita a lui.

    DE PUTA MADREEEEEEE!

    Un'aura scura brillava intorno a lui; l'Adamas, così seppe finalmente come si chiamava l'armatura che stava indossando, oltre a tutto ciò che vi era da sapere. Era un Gigante, era diventato un tutt'uno con la Lama Cinerea, tuttavia c'era qualcosa che ancora voleva mostrare: la sua vera forma. Non voleva restare chiuso in quel corpo, voleva risvegliare il proprio potere interno, ma aveva bisogno di un contenitore più grande, più simile possibile alla sua forma originaria. La sua armatura sembrò quasi sciogliersi, ricomponendosi subito dopo in una miriade di lame che volarono nel cielo, coprendo quasi interamente la luna; danzavano nel cielo, libere, come se avessero una volontà propria, senza seguire nessuna logica nei loro movimenti. Esse poi cominciarono a cadere sul terreno intorno ad Anmas, coprendolo in una cupola nera di aghi neri in continuo movimento, facendolo sparire dalla vista di quell'entità femminile che lo guardava compiaciuto. Dopo pochi secondi la cupola sembrò averlo inghiottito completamente, quando, dopo qualche secondo, due occhi completamente rossi, dello stesso colore splendente degli occhi della donna, non comparvero all'interno della struttura circolare; quattro gruppi di lame si distaccarono dalla cupola, formando quattro zampe meccaniche che si posarono sul suolo, graffiando il prato e schiacciando i fiori sotto di loro, mostrando i loro artigli felini; sul retro comparve una lunga coda nera, attaccata al corpo della belva, che pian piano si eresse, mastodontica, da quella cupola infernale. Infine, gli ultimi aghi neri che svolazzavano intorno al ragazzo sparirono, non mostrando più la sua figura che, oramai, si trovava all'interno di quella pantera robotica ricoperta, su tutta la coda, di enormi spuntoni neri. Il muso si avvicinò alla figura femminile, sbuffando e facendolo muovere leggermente quel manto di capelli scuri; poi, mostrando i suoi aguzzi canini, cominciò a parlare, fondendo le voci di Anmas e di quell'essere antico che si era, oramai, fuso con il suo essere. L'essere alieno in vesti di donna che lo aveva risvegliato non poteva essere che una Titanide, uno dei grandi esseri che comandavano le schiere di Giganti durante le Guerre Antiche.

    REA… TI SONO GRATO!

    E abbassò il capo in segno di rispetto, aspettando gli ordini della Titanide che stava ferma di fronte a lui, guardando ogni suo minimo movimento con piacere.

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    STATO ADAMAS ✧ Condizioni perfette.
    FISICO ✧ Perfetto.
    STATO PSICOLOGICO
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    AGUJAS ✧ Il Gigante della Lama Cinerea controlla come un'arma gli aghi che ha posto su tutta la propria armatura. Nel combattimento corpo a corpo essi vengono considerati come armi dello stesso grado della cloth in grado di rendere più difficile lo scontro ravvicinato contro di esso. Tali aghi possono perforare le armature e le carni di coloro che osano sfidare Anmas e possono essere infusi del cosmo del Gigante, diventando ancora più mortali.
    EL DE LOS AGUJAS ✧ La Lama Cinerea è in grado di controllare alla perfezione i suoi aghi, potendo staccarli dalla propria armatura a propria volontà e scagliarli contro il proprio nemico in offensive a distanza. Inoltre, può modificarne la forma e può assemblarli insieme per farli aumentare di taglia, creando veri e propri spuntoni in grado di schiacciare, oltre che perforare, il proprio nemico o, al contrario, facendoli diventare piani creando un muro difensivo in grado di resistere alle offensive avversarie. Il potenziale offensivo di questa abilità è molto elevato e gli spuntoni funzionano quasi come un'estensione degli arti del Gigante.
    EL GIGANTE ✧ Dopo il risveglio dei Giganti grazie a Prometeo gli umani prescelti hanno ricevuto il potere di unificarsi e diventare una cosa sola con la forma colossale di queste entità mitologiche. Il corpo di Anmas dunque è strettamente legato a quello del Gigante appartenente alla sua Adamas, consentendogli di "pilotare" il corpo originario della Lama Cinerea. Essa si presenta come una enorme pantera nera dagli artigli affilati, costruita grazie alla tecnologia migliore dell'universo; il cambio dalla forma originale a quella Gigante è quasi istantanea e, essendo collegati in stretto modo dalle vestigia che indossa, il dodicesimo è totalmente in grado di controllare la forma come se effettivamente fosse il suo stesso corpo. In questa forma, inoltre, i suoi aghi diventano un tutt'uno con il resto del corpo, applicandosi sulla parte inferiore e diventando una coda molto affilata e facilmente movibile che, a scelta del Gigante, può dividersi in vari spuntoni fluttuanti e ricomporsi liberamente.


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    Rea ride lievemente, osservandoti con uno sguardo compiaciuto.
    Allunga la mano senza cenno di esitazione, toccandoti la testa metallica quasi come se fossi un animale - d'altronde ciò non è una nozione falsa.

    "Vedo che il tempo non ti ha cambiato. Per fortuna il processo non ha avuto intoppi."

    Ora che hai di nuovo le memorie di un tempo ti senti come una persona nuova: sei conscio della tua condizione umana, eppure non ti sfugge che qualcosa dentro di te ti esclude dall'essere completamente considerato uno dei figli di Prometeo - è una sottile linea che fai ancora fatica a intravedere, poiché mente e corpo per quanto coscienti sono ancora in processo di assestamento.

    "Mi piacerebbe molto parlare con te, Lama Cinerea. Abbiamo tanto di cui discutere, ma sono sicura che hai qualcosa da concludere qui."

    Rea allunga poi la mano verso la direzione del villaggio di Cherro Blanco, poco dietro di voi: in quel poco tempo che ti pare essere passato, qualcosa è mutato - la fitta nebbia si è espansa fino a coprire interamente la piccola cittadina, e ora che il tuo cosmo è risvegliato sentì qualcosa trepidare nell'aria, qualcosa che ti crea emozioni strane, che non riesci a spiegare; sai solo che non sono piacevoli.

    Se ti giri nuovamente, Rea è sparita nel nulla, senza fare alcun rumore o lasciare traccia - sei di nuovo da solo, lasciato in balia a te stesso e qualcosa.

    [...]

    Il villaggio è incredibilmente silenzioso.
    Ora che sei risvegliato, riesci a vedere meglio i tuoi dintorni: anche se la nebbia rimane comunque alta, hai comunque una percezione migliore di ciò che ti circonda. Per la prima ventina di metri dal confine del villaggio tutto è relativamente tranquillo, ma arrivando vicino le prime abitazioni senti uno strano rumore: è come un gemito, flebile e dolorante, come un pianto di un animale bastonato.
    Presto, nel tuo campo visivo, appare qualcosa.
    E' una grossa creatura gobba, dai tratti deformi e orribili: essa continua a gemere, e nei suoi occhi riesci a cogliere una terribile sofferenza - per qualche motivo, ti pare famigliare.
    Ad un certo punto ti guarda, fermando i suoi movimenti e i suoi strazianti rumori per diversi attimi, prima di rilasciare un violento boato - in un singolo e potente scatto ti arriva addosso, pronto a dilaniarti con i suoi artigli.



    [Ok, ci siamo, tempo delle botte :zizi: questo consideralo autogestito, siete come pari energia. La creatura rilascia suoni estremamente fastidiosi e che ti creano dolore, puoi considerarlo una specie di abilità simile a Suono. E' grossa circa 3-4 metri. Concludi facendo quello che vuoi con la creatura e decidendo cosa fare. Per domande sai dove trovarmi.]
     
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