La Nona Porta

Up Cloth per Sixter

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    Oneiros l'eterno, Il Tessitore di Sogni.

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    1Sixter → Up Cloth (Liv VIII)

    La tua surplice, il contenitore del tuo corpo mortale è imperfetto e la cosa ti disturba in una maniera profonda. Quello che dovrebbe essere l'espressione fisica del tuo potere, l'incarnazione del tuo animo duale e pefetto, è solo l'ombra di ciò che era. Hai passato giorni a studiare i tuoi testi, alla ricerca di una soluzione, di un modo per per scomporre quella materia ora imperfetta e renderla superiore.

    Poi comprendi che il problema non l'armatura in se, si tratta di un oggetto, per quanto potente e antico. La soluzione passa per il tuo spirito, per la sua risonanza con l'armatura. Il corpo in cui ti trovi, infondo, era legato ad un'altra stella malefica e questo ha finito per creare una conflitto, una mancanza di allineamento. Hai accarezzato l'idea di chiedere nuovamente aiuto a Hypnos, nello Yumekai sarebbe tutto più semplice, ma sei già in debito con il Monarca Onirico. Un altro favore costerebbe sicuramente caro. Tracci un complicato circolo alchemico che racchiude tutte le tue conoscenze, la sapienza millenaria del più saggio tra i Giudici. Il tuo cosmo fluisce attraverso di esso e la luce riempe la staza. Poi tutto si fa buio.







    Note: Si comincia, descrivi il tutto. .
     
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    LA NONA PORTA
    investigation — 1

    Da quando Baron Secretaire - precedentemente Lucius Duilius Severus, rinominato Arcarius al momento di assumere la natura di Guedé - era stato assunto come Procurator, poteva dire di aver assistito a scene bizzarre.
    E detto da un Guedé, significava abbastanza.

    Minosse era un capo inusuale, se il termine poteva essere usato per definire un essere la cui vita era definibile usando gli anni come i secondi: non ammetteva niente di meno che una precisione atomica nella gestione del flusso delle anime, che andavano registrate, controllate e spartite tenendo eventualmente conto delle richieste personali dei Guardiani; tuttavia, non accadeva mai che alzasse la voce e anzi, i suoi ordini erano garbati, quasi affermazioni di potenziale già espresso piuttosto che richieste. Nonostante il suo quasi perenne silenzio fosse intimidatorio e sostenere il suo sguardo diretto rappresentasse una sfida non indifferente, era possibile fare domande e ottenere risposte chiare e puntuali in ogni momento; e da quando Arcarius aveva arrischiato l'imbastire una conversazione, aveva scoperto che Minosse era in realtà un interlocutore estremamente piacevole, nonostante il Procurator stesse solo iniziando - dopo mesi che lavorava per lui - a riconoscere le emozioni sul suo volto e lo avesse visto sorridere solo un paio di volte.

    E il Tribunale, nonostante la superficie del solo edificio rasentasse diverse copie affiancate della parigina Notre-Dame e le decorazioni interne fossero quanto di più visivamente magnifico a memoria di immortale, era uno dei luoghi più vuoti dell'Averno. E tuttavia non era spiacevole, ma possedeva lo stesso tipo di calma che accomuna i luoghi di preghiera e raccoglimento.

    Quando Arcarius aveva realizzato che Minosse di Grifone non aveva servitori, si era ritrovato a corto di reazioni. Il Giudice lavorava da solo, nel silenzio più completo, interrotto qualche volta dalle visite dei suoi fratelli, di sangue o di ruolo. Ma niente aveva potuto superare lo shock di quando, arrivando in Tribunale prima dell'ora prestabilita, Secretaire aveva trovato uno dei più temibili e inquietanti generali infernali in cucina, intento a sfornare in quel momento una teglia di biscotti con la telecinesi mentre finiva di decorare una cheesecake al melograno, tenendo la sac-à-poche con delicatezza estrema tra le lunghe dita.
    E poi, come se nulla fosse, gli aveva offerto una tazza di caffé e una fetta di torta.

    « Entra. »

    Erano ormai diverse mattine che Minosse si assentava nella parte più interna dell'edificio, dove teneva i propri laboratori, senza emergerne se non per i pasti. E siccome il Giudice non dormiva, Secretaire aveva il dubbio che non ne uscisse neppure quando lui era tornato su Venere. Tenendo con attenzione un vassoio con una tazza di té (era diventata ormai un'abitudine fra loro due), Secretaire attese qualche istante prima di spingere la porta di legno scuro con la punta della scarpa di vernice, entrando nello studio personale del Giudice.
    E rimanendo per l'ennesima volta di stucco.

    Il corpo androgino e longilineo di Minosse era sospeso in aria, le gambe incrociate come se stesse comodamente seduto su una chaise longue invisibile. Circondato da circoli alchemici e arcani, le sue dita si muovevano leggere nell'ordire il movimento dei pezzi accuratamente smontati della sua Surplice; le parti di metallo violetto galleggiavano lentamente intorno a lui, seguendo binari precisi come orbite di satelliti. L'espressione concentrata sul viso era appena illuminata dagli occhi lucenti, mentre ogni pezzo brillava della stessa luce azzurra, che disegnava elaborate ed eleganti righe lungo i bordi.
    Nel resto dello studio regnava un ordinato e calcolato caos fatto di libri aperti, appunti, fogli digitali sospesi in aria e componenti dall'aspetto misterioso.

    « Sto disturbando? »

    « Non irrimediabilmente. »

    La tazza di genmaicha volò con grazia verso la mano di tesa di Kazue, che sorseggiò senza distogliere lo sguardo dalla propria surplice, eseguendo un lieve cenno di gratitudine con la testa. Secretaire rimase in piedi, con le spalle appoggiate sullo stipite della porta e un'espressione di ammirazione dietro gli occhiali scuri: per i Guedé, le armature infernali rasentavano lo status di reliquie e vederle maneggiate dal loro creatore era qualcosa a cui pochi avevano avuto l'onore di assistere.

    « Sono diversi giorni che fate ricerche. »

    Minosse aggrottò leggermente la fronte, consultando qualche riga da un testo prima di prendere un altro sorso e rispondere. No, la Surplice non era stata manipolata in sua assenza: era stata indossata da molteplici indegni, certo, ma nessuno possedeva fortunatamente le sue conoscenze. Tremava al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se così fosse stato.

    « Il rosario usato durante l'ultima Guerra Sacra ha interferito con le nostre essenze in maniera profonda, insieme al mutamento della realtà del 2012...costringendo un risveglio molto più complicato del previsto. Se le vesti dei miei fratelli hanno seguito il loro attuale livello di potere, così non è stato con la mia.
    Eppure, non è solo questo...
    »


    Secretaire annuì interessato, maledicendosi di non essere ferrato in alchimia quanto sua sorella Espwa.

    « Se c'è qualcosa che posso fare, non esitate a chiedere. »

    Un leggero brivido scorse lungo la spina dorsale del Procurator nell'avvertire quegli occhi a mandorla dirigersi finalmente verso di lui, quasi distrattamente, prima di fissarsi con un interesse improvviso. Minosse rimase in silenzio, osservando intento i mutamenti dell'essenza del giovane umano che aveva scelto come assistente, seguendone non il crescente disagio, ma qualcosa di più interno.

    « Ah. »

    Con un balzo, il Giudice atterrò insieme alla fluida massa di capelli scuri, che lo seguì in onde morbide nell'avvicinarsi rapidamente a Secretaire, scrutandolo più da vicino. Flebile, ma netto, il bagliore del Cielo Eccellente brillava quieto in lui e fu quel piccolo fuoco a dare l'illuminazione che serviva a Grifone per arrivare al bandolo della matassa.

    « ...ripeto, non esitate a...ehm...chiedere? »

    Minosse batté le palpebre, lasciando che le iridi scure riemergessero dai meandri della propria personalissima visione della realtà, guardando Secretaire rigido contro la porta. Stava respirando appena e da quella distanza poteva vedere la pelle d'oca sul collo, sopra il colletto della camicia. Il Giudice convenne di essersi avvicinato troppo e, si rese conto solo in quel momento, forse la mano sul suo petto non era considerabile appropriata in contesto lavorativo. Ah, le convenzioni sociali umane. Per fortuna che la presenza di Arcarius lo aiutava a riprendere un contatto quantomeno parziale con esse.

    « Hai già fatto il necessario », disse semplicemente, allontanandosi di qualche passo prima di riprendere la posizione precedente e il filo del ragionamento, che con quella nuova intuizione in mano sembrava funzionare bene. Forse doveva solo guardare a eventi più recenti, invece che a ritroso nel tempo: di certo l'essere passato attraverso il Cielo Eccellente, mantenendo il corpo appartenuto a quella stella, doveva aver lasciato tracce nella propria essenza e, di conseguenza, nella propria Surplice.

    « Diiiii nulla...? », esalò dopo qualche secondo Arcarius, aggiustandosi il nodo della cravatta e arretrando di qualche passo, « a più...tardi. »
    Chiuse la porta dietro di sé e trasse un respiro tremante, cercando di scrollarsi di dosso le sensazioni che quel contatto gli aveva dato nel cercare di capire, effettivamente, quale fosse stato il suo contributo alla faccenda.

    Minosse, nel mentre, aveva ricominciato il lavoro prendendo un'altra direzione. Non più ricerca, ma attiva messa in pratica di un esperimento: tutto il materiale venne automaticamente riordinato e sistemato, mentre un piccolo foglio digitale annotava passo passo ogni piccolo procedimento. Realizzò diverse bozze del cerchio che sarebbe servito all'occasione, prima di imprimerlo sul pavimento con una leggera pressione mentale. I pezzi della surplice si posarono lungo i bordi mentre le gambe affusolate di Kazue si incrociavano sotto di lei e i polmoni traevano un profondo respiro.

    Quando l'aria finì, fu nel buio.

    narrato ● « parlato »pensato| telepatia |« parlato altri »

    pseudonimo ● Kazue Satō
    surplice ● Stella del Cielo Nobile, Grifone {VI}
    energia ● Nera
    schieramento ● Spectre di Hades
    fisicamente ● Ottimo
    mentalmente ● Ottimo
    status surplice ● Non indossata

    riassunto azioni ● :HEY:

    abilità ●

    tecniche ●


     
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    2Sixter → Up Cloth (Liv VIII)

    Il Regno di Raminia è sempre stato basato sulla perfetta collocazione della città stato sulle rotte commerciali che conducevano da Atlantide a Lemuria, sfruttando a lungo i flussi commerciali che si erano sviluppati tra le due potenze. Quando però i rapporti tra le due isole si erano incrinati la fiorente economia di Raminia subì un duro colpo, trovandosi a ripiegare su traffici di dubbia moralità e in grado di interessare compratori "particolari". Il commercio di schiavi aveva alla fine preso il sopravvento su tutti gli altri e le case del piacere offrivano ogni tipo di interattenimento, anche i più depravati, a chi fosse in grado di pagare il giusto prezzo. Raminia prosperava nella sofferenza e molte razze finivano per incontrarsi in quel luogo pericoloso.

    Sono ormai molti anni che sussurri alle orecchie del Vicerè di Raminia, parole dolci e sagge in grado di assecondare le tue richieste facendole passare per sue idee. Un tempo avresti potuto agire in maniera molto più diretta ma con i Dodici in caccia per gli esseri come te, è meglio utilizzare arti più sottili. Potresti facilmente sopraffare uno di loro con la giusta preparazione, ma i cani figli di Urano non si muovono mai da soli e hai visto cadere fin troppi tuoi simili per correre il rischio. Così, ammantanto nell'ombra, anno dopo anno lasci che la città sprofondi sempre di più nel suo abisso mentre tu accumuli nelle tue stanze tesori esotici e rarità di ogni genere. Il corpo umano che stai infestando ti sta stretto e quasi odi le sue forme e per questo che nelle tue stanze ti concedi alcuni momenti in cui assumi liberamente la tua vera forma mentre pianifichi la tua prossima mossa. Hai fame, e la loro superbia ti nutrirà.




    Note: Siamo in un tempo antichissimo. Crono è il sovrano assoluto della realtà e i Titani danno la caccia a quelle che un giorno saranno le stelle malefiche per rinchiunderle nel vaso di Pandora. Ora ti trovi a vivere come la tua stella malefica prima che venisse rinchiusa nel Vaso. Ti sei nascosto in una città stato che si trova al centro del deserto al centro di diverse rotte commerciali. Il Vicerè è completamente in tuo potere. Descrivi il tutto.
     
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    LA NONA PORTA
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    Dmitri Shostakovich: Violin Concerto No.1 in A minor, Op.77



    Raminia era un luogo di gloria e ribrezzo. Un intricato agglomerato di strade galleggianti, su cui posare i piedi in maniera sicura era questione di abilità superiore, in grado di distinguerti dalla massa per il solo fatto di non essere morto. Gettare a terra i più deboli per tappare i buchi e calpestare così terreno solido era solo uno dei modi, ma nei decenni era diventato sempre più popolare in quanto...facile. Bastava spingere, dare un piccolo tocco e i deboli soccombevano alle volontà dei forti, che così avevano ammassato sempre più scheletri. Sempre più carne debole, facilmente deperibile e morbida da plasmare, veloce da gettare.
    Raminia si elevava sugli sconfitti e, dall'alto di quella montagna di ossa spezzate e dolore, Grifone si saziava del compiacimento dei potenti, dentro un palazzo lastricato d'oro e cinto da mura.

    Erano tutti intorno a lui.
    Le loro essenze fluivano, ebbre di amore e narcisismo, nel lento circolo di danze e amplessi che portavano tutto a una semplice questione di equilibri instabili. Grifone si nutriva di quegli attimi di indecisione, di quella fugace sensazione di invincibilità che lasciava pregustare la caduta. Secondo dopo secondo, le posizioni cambiavano e la ruota girava, creando una metafora molto accurata di ciò che aveva visto scorrere nella città, sin da quando era arrivato. Sin da quando si era insinuato dentro un giovane venditore di unguenti e rimedi, per lo più inefficaci verso ciò che infestava quella città: appena arrivato, pieno di speranze e convinzioni di gloria che andavano via via sgretolandosi a ogni passo che compiva; a ogni vicolo buio e fetido che incontrava, a ogni malato che moriva senza sapere la causa. Grifone aveva seguito quella scia insignificante, aveva alimentato le sue paure, era diventato per un attimo la città che lo schiacciava e lo assaliva durante gli ultimi attimi prima del baratro. E del giovane mercante non era rimasto più nulla.
    Solo un involucro stretto e fastidioso, privo di essenza, un buco dove un corpo troppo grosso era costretto a sistemarsi per sfuggire alla Caccia. Gli occhi dei Dodici erano ovunque, decisi a inseguire e ripulire l'universo da potenziali minacce, attenti a ogni movimento. Per questo Grifone si era nascosto all'ombra di una città pericolante e di una vita di minima rilevanza.

    Avrebbe potuto divorare re Gre'lir II nel suo sonno, saziarsi completamente dopo la fame dei giorni passati nell'ombra, a far perdere le proprie tracce. Oh quanto aveva desiderato farlo. Quanto aveva patito la fame tra quei vicoli, guardando allo splendente palazzo in cima alle terrazze.
    Ma no, no. Era una creatura fatta di pazienza e ciò lo aveva aiutato a sopportare, mentre piluccava qua e là. Piccole vite, piccoli atti di superiorità del padrone che tormenta lo schiavo, piccole vessazioni di capi verso i dipendenti, piccole violenze, gemiti nella notte e gorgoglii soffocati fra le dita strette su un collo delicato. Per un po' era bastato.
    Non si era lasciato trascinare dalla fame, aveva lasciato che lo rendesse più furbo. Aveva lasciato che insaporisse quei bocconi, in attesa di salire ancora un altro po'. Che lo guidasse fra le case di piacere, fra le aste degli schiavi, nelle dimore dei padroni...fino a varcare le porte del palazzo.
    Quanto aveva desiderato banchettare lì, in quel momento. Bearsi dei loro gioielli luccicanti mentre gettava, pezzo dopo pezzo, i loro corpi vuoti in pasto alla massa infetta sottostante, a quegli sguardi desiderosi di una sola, minuscola rivalsa. Sarebbe stato bello, ma Grifone era una creatura di pazienza e la pazienza ricompensava sempre.

    Le labbra sottili si chinarono appena verso l'orecchio del re, sfiorandolo appena nel mormorare che lo avrebbe lasciato ai suoi divertimenti. Gre'lir II era solo un bambino quando aveva ricevuto la corona ancora insanguinata dalle mani dello zio, che l'aveva appena strappata dalla testa mozzata del fratello. Era cresciuto adulato, coccolato, ignaro del proprio potere e al tempo stesso contento di esercitarlo. Era così puro, anche in quel momento, con il corpo ormai flaccido su cui le schiave e gli schiavi stavano operando con dovizia di totale e completa adorazione. Gli occhi annebbiati dalle droghe rendevano i loro sguardi vacui, ma al re bastava solo che lo amassero e lo adorassero come il suo consigliere riteneva giusto e doveroso tutti facessero.
    Com'era dolce quell'uomo così bello nella propria mente, al suo completo servizio nella sua boria. Grifone lasciava che pensasse di calpestarlo, di essere alla sua mercé, di essere sacrificabile, mentre il mondo intorno al palazzo marciva e i nobili venivano avvolti da quegli effluvi, fumandoli come oppio e spezie dalle pipe. Intossicati dalla loro stessa esistenza e al demone bastava ricordarsi di respirare per mangiare.


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    Grifone si allontanò, lasciando che le mani lo seguissero e i corpi arrancassero piano verso di lui, come falene attirate dalle luci. Entrò nelle proprie stanze, strabordanti di oro e ninnoli preziosi, della propria ricchezza. Del proprio tesoro. Il suo tesoro, la sua luce. Si voltò piano, chiudendo le porte dietro di sé, lasciando fuori quegli inutili sacchi di carne nell'ululare il proprio dolore di essere stati esclusi. Erano un antipasto appena passabile, per qualcuno che era già sazio da tempo.


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    Il corpo del consigliere di Raminia venne avvolto dal proprio potere, che serpeggiò su di lui in complessi arabeschi mentre la forma limitata si distorceva e gli artigli posavano senza un suono sul pavimento, mentre il resto della lunga forma si srotolava nell'arco del movimento. Un essere a metà, dalle ali splendenti di Legge e la parte inferiore di Caos ribollente e sfrigolante, ma domato dai secoli in cui, uno per uno, aveva distrutto i propri nomi. Quella lunga catena che lo teneva ancorato a ciò per cui era stato creato, allo scopo ultimo che, una volta perso, avrebbe dovuto annichilirlo...ma così non era stato. Era sopravvissuto e aveva capito la natura dell'Io.
    E uno per uno, quegli anelli erano stati spezzati e lui era diventato solo...Grifone. E mai superbia di avere un nome, un solo nome, un vero nome...era stata più dolce.


    AKRDmRy


    narrato ● « parlato »pensato| telepatia |« parlato altri »

    pseudonimo ● il Consigliere
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    Edited by ~S i x ter - 15/4/2019, 16:59
     
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    3Sixter → Up Cloth (Liv VIII)

    Hai oziato a lungo ma ora è tempo di fare qualcosa di ardito ma che ti porterà un nutrimento dolce come l'ambrosia. Sai che la nobiltà del luogo è oramai completamente piena di se, sai che ogni loro gesto è un affronto a tutto ciò che è stato costituito. Devi solo indirizzare quella superbia verso qualcosa di costruttivo. Atlantide domina incontrastata oramai da un tempo immemore, cosa succederebbe se qualcuno osasse sfidarla apertamente. Il dominio dei titani non è mai stato messo in discussione e sarebbe qualcosa di estremamente rischioso. Ma quanto sarebbe grande la loro vittoria se dovessero scalzare colui che siede sul trono di Atlantide?

    Il consiglio blatera come al solito di cose insensate. Stupidaggini senza capo ne coda, devi intervenire e quando lo fai tutti pendono dalle tue labbra. Tutti tranne uno. En-Menugal, signore della legione di ferro, il gruppo mercenario più formidabile che abbia calcato questo mondo. Si dice abbiano affrontato e vinto ogni esercito gli sia stanto inviato contro. I sovrani in ogni dove li coprirebbero di oro e ricchezze per avere i loro servigi. Ma il Principe di ferro non accetta incarichi che non reputa degni del suo interesse e, una guerra contro Atlantide non stuzzica il suo spirito guerriero. La definisce una battaglia persa in partenza dove lui non sacrificherà le sue truppe. Come si può convincere un uomo che ha già tutto?



    Note: Per attuare il tuo piano dovrai corrompere qualcuno di in apparenza incorruttibile. Come potrai fare?


    Edited by Aleksander Seraf - 25/4/2019, 21:52
     
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    LA NONA PORTA
    gaslighting — 3


    Alfred Schnittke: Concerto Grosso n.1



    E così accadde che En-Menugal, il comandante della Legione di Ferro, guardò il Consigliere negli occhi e incrociò le braccia sul petto. Aveva espresso la sua opinione e il tavolo del consiglio ristretto era silente nel fissarlo. Erano persone insignificanti, in una sala insignificante, ragionando di cose insignificanti. Ma si credevano fondamentali e ciò era bene.
    Il re guardò En-Menugal sbatté le palpebre, non era del tutto certo di aver capito bene.

    - Stai dicendo che Atlantide non è una preda degna di te?
    - No Sire, intendo che noi non siamo una preda degna di Atlantide.

    Il Consigliere ricambiò lo sguardo di quell'uomo dalla pelle ambrata, i muscoli definiti e ben oliati sotto le catene di ferro che gli adornavano il petto insieme alle fasce di lino intrecciate all'armatura. Un orgoglio che portava anche in tempo di pace, perché non si smette mai di essere guerrieri e il mondo è pericoloso quando basta un coltello nel buio a finirlo. E il Consigliere rimase in silenzio, perché non spettava a lui parlare con quell'uomo orgoglioso, bensì fu il re a chiamare a disperdere la propria banda di sicofanti nell'accusare un malessere improvviso.

    - Questi mal di testa, mio Re, sono sempre più frequenti. Dovrebbe riguardare meglio la propria salute.
    - Non sia mai, il cielo sorride su di me e sul mio operato. Piuttosto, fai uccidere En-Menugal, quell'uomo è pericoloso verso la mia autorità.
    - Sire, En-Menugal dice il vero. Senza le sue truppe, non abbiamo speranza alcuna di scalfire quel potente impero.
    - Anche tu mi tradisci?
    - È mio compito mostrarvi il vero, Sire. Come sempre ho fatto. Fidatevi di me. Armate le vostre truppe, ma abbiate...pazienza.

    — ● —

    Iniziò con un semplice pranzo. Servito con amore, preparato dalle mani delle poche e selezionatissime serve del palazzo di En-Menugal. Consumato insieme alla famiglia del condottiero, nei rari momenti che riuscivano a trascorrere insieme fra una campagna e l'altra. Tre mogli che gli avevano donato tanti figli, giovani ragazzi e ragazze in salute a cui mostrare la via della guerra.
    Il pranzo non aveva nulla che non andasse al sapore, all'odore; la quantità era quella a cui era abituato e la qualità era eccelsa come sempre. Il condottiero si concedeva rari piaceri materiali, perché il suo corpo era un tempio e in esso non c'era spazio per la dissolutezza di cui, ogni volta, tornava assolutamente disgustato nelle sue convocazioni a palazzo. Bastava togliersi il mantello, lasciare che le sue amate mogli lo accogliessero fra le loro braccia, facendo scivolare le mani unte di oli sulla pelle. Non serviva parlare, un uomo onesto non lorda le mura della propria casa con le lamentele.

    Eppure, En-Menugal aveva ancora fame. Se ne accorse più tardi, durante l'allenamento quotidiano con i suoi figli. Uno di essi era così promettente, avrebbe fatto di lui un guerriero di prima categoria e forse un giorno egli stesso avrebbe guidato una sua armata. Il generale ignorò i crampi, aveva sopportato di ben peggio in quanto soldato, e continuò a parare gli affondi e i fendenti del figlio.
    Fu così anche il giorno dopo, e anche quello precedente. Non chiedeva che gli venisse portato più cibo, semplicemente sopportava i morsi allo stomaco con stoica e determinata sopportazione per tutto il tempo necessario. Continuò il suo rigido regime, andò in guerra e tornò, una delle sue mogli diede alla luce un altro figlio e ci fu grande festa.
    En-Menugal si concesse del vino in quell'occasione.

    Cominciarono i lazzi. Nonostante avesse quasi smesso di mangiare, nonostante il medico gli avesse consigliato un regime ancora più rigido, la muscolatura cominciò ad attenuarsi. Il generale della Legione di Ferro stava prendendo peso e ben presto si accorse che l'armatura andava allargata. Non lo fece, nonostante la fatica richiedesse un'altra persona e, nonostante la discrezione, chi con lui aveva confidenza cominciò a notare il cambiamento. Le mogli lo desideravano ancora, come sempre, ma era strano.
    En-Menugal cominciò a rifiutare il cibo, preferendo acqua e meditazione come i medici consigliavano. Fece controllare le sue serve, quelle che da generazioni preparavano i pasti per lui e la sua famiglia, e con sommo rammarico le giustiziò tutte dopo che una venne sorpresa a versare qualcosa di strano all'interno di uno dei calderoni. Era solo una spezia, ma un uomo risoluto non si pente delle proprie azioni. Continuava a venire chiamato a palazzo e il Re, vedendo la sua condizione, propose al Consigliere di visitarlo, in quanto era rinomato per le sue cure miracolose all'interno della corte.
    En-Menugal rifiutò.


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    Cominciò a sentire i suoi figli parlare. Diventare insolenti, di fronte alla sua condizione, che ai loro occhi sembrava progredire senza sosta e i loro allenamenti sembravano non rispecchiare l'impegno da loro profuso nell'essere sempre migliori, sempre più motivo di orgoglio per un padre che pareva non notarli. Cosa c'è, padre, non hai voglia di combattere con noi, oggi?
    No, sono solo un po' stanco, ma cosa vuoi che sia: un soldato non si fa intimidire da un po' di malessere. Venite avanti anche in tre o quattro, pensate di potermi battere? En-Menugal si ritrovò la spada alla gola.
    Uno dei suoi commilitoni vide la scena.

    Cominciarono le voci. En-Menugal combatte come un leone stanco, eppure guardatelo...cosa gli succede? Forse si sta facendo irretire dalla vita di corte? Il generale rispondeva con ironia, poi con fastidio crescente, poi con rabbia e infine con cieca furia. Più di una volta i suoi uomini lo fermarono dallo sfoderare la spada. Anche contro i suoi figli: le mogli gli afferrarono con disperazione i polsi e la schiena per impedirgli l'impensabile quando scoprì che i suoi figli si allenavano con i suoi secondi in comando. Uomini di fiducia, uomini che avevano combattuto schiena contro schiena anche nelle situazioni più disperate, che addestravano i suoi figli a sua insaputa. Il più grande, quello con più potenziale, era seguito con attenzione particolare perché un giorno avrebbe guidato una sua compagnia. Forse la Legione di Ferro?
    Una delle sue mogli lo abbandonò, alcuni dei suoi figli si fanno rapire dalla vita di giochi che Raminia offriva e si persero. Poco male, un generale non ha bisogno degli affetti non sinceri.

    - Cosa c'è, En-Menugal? Forse Atlantide non la vuoi attaccare perché non te la senti?
    - Ti fidi così poco dei tuoi uomini?
    - En-Menugal, ti ricordavo più risoluto.
    - Bisogna colpire quando nessuno se lo aspetta.
    - Padre, forse è il momento di...

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    L'urlo di terrore dell'uomo si spezzò mentre cadeva a terra. Gocce di sangue colarono dalla punta della spada del generale, il cui polso era trattenuto da una mano pallida e coperta d'oro. Il Consigliere del Re, la folla sussurrò sorpresa, non scende mai dal Palazzo. Le spalle del Signore di Ferro si alzavano e si abbassavano frettolosamente, animate dal respiro corto; il viso deformato dall'ira andò a perdersi in un'espressione di sgomento e poi di orrore. Di fronte a lui, il suo figlio prediletto lo guardava tenendosi il petto con una ferita leggera, ma pur sempre sangue sgorgava da essa ed era intenzione di uccidere ad averla causata.
    Il Consigliere fissava il rosso inumidire la stoffa pulita mentre intorno era calato il silenzio più totale.

    - Sua Maestà ti chiama, En-Menugal.

    E mentre il signore della Legione di Ferro veniva massaggiato e adorato dalle serve e dalle ancelle che scorrevano le dita sui muscoli e sui pettorali scolpiti del più grande mercenario che avesse calcato il suolo di Raminia. Il corpo ancora perfetto come il primo giorno, ogni cicatrice un vanto di gloria, nonostante le privazioni a cui si era sottoposto. Incredibile, vero, le suggestioni a cui la mente gioca quando si perde fiducia in se stessi, quando il dubbio si insinua e scava a fondo finché non rimane cavo sotto la superficie. Il Consigliere capiva, seduto accanto a lui, perché a Raminia la debolezza è una condanna a morte.

    - Ma En-Menugal è più forte di così, nevvero?

    Il concilio ristretto era di nuovo lì, nella sala riccamente adornata. Il Re un po' più stanco, qualche volto era cambiato insieme ai favori che la corte concedeva, ma era ancora un luogo insignificante dove si parla di cose insignificanti. Tranne stavolta.


    GmDiqKR


    Stavolta si parlava qualcosa di glorioso. La corte ebbra di sicurezza avrebbe riempito il vuoto dentro En-Menugal come vapore dentro ad un automa, soffiando fuori dalle crepe intaccate in lui giorno dopo giorno. Lo avrebbero cotto dall'interno, come qualcosa per cui bisogna attendere che il forno si riscaldi per poterlo gustare.

    Perché Grifone era una creatura di pazienza.
    E certi pasti vanno cucinati a dovere, bisogna solo aspettare.


    narrato ● « parlato »pensato| telepatia |« parlato altri »

    pseudonimo ● il Consigliere
    surplice ● Stella del Cielo Nobile, Grifone {VI}
    energia ● Nera
    schieramento ● Spectre di Hades
    fisicamente ● Ottimo
    mentalmente ● Ottimo
    status surplice ● Non indossata

    riassunto azioni ● a hungry birb

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    Edited by ~S i x ter - 15/4/2019, 23:04
     
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    4Sixter → Up Cloth (Liv VIII)

    La guerra inizia come tante altre. Scaramucce, alcuni attacchi a carovane di rifornimenti. Avamposti che vengono saccheggiati. La furia di Atlantide cresce giorno dopo giorno e con essa la boria dei Raminiani cresce, convinti che quelle piccole vittorie siano solo il preludio di un trionfo finale che porterà il loro regno a dominare su ciò che era una volta Atlantide. Ogni notte orge si comsumano per celebrare i generali vittoriosi, ogni giorno vengono arruolati sempre più giovani che, felici, si laciano verso una morte quasi certa sotto il fuoco delle armi atlantidee. Ogni giorno a migliaia muiono, ma questo non fa altro che aumentare la boria del regno. Alla fine Atlantide muove il suo esercito. Hanno mandato tanti messi chiedendo di cessare le ostilità, accontentandosi di tributi in oro e giovani. Ma i messi sono stati impiccati e le loro teste rimandate alla capitale nemica.

    E' un massacro in cui ti crogioli. E' un massacro che ad ogni vittima fa crescere il tuo potere. Più il sangue scorre più ne hai bisogno. E' un droga. E' bellissimo. Mentre avviene il massacro vai nelle stanze dove dorme la figlia prediletta del Vicerè. E' bellissima, una stella caduta dal cielo. La irretisci e senti che anche lei non è immune a ciò che hai scatenato. La sua pelle è così candida, la sua carne ha un sapore incredibile, la sua anima pura è meravigliosa. Te ne cibi mentre la città brucia. Presto dovrai trovare un nuovo nido.



    Note: Non mi pare ci sia molto da spiegare. La guerra infuria, la città brucia e tu banchetti con l'ultimo premio rimasto in città.
     
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    A Perfect Circle - Counting Bodies Like Sheep to the Rhythm of the War Drums



    Marciarono cantando, ebbri di sogni di gloria e della propria stessa boria. Marciarono quasi a passo di danza, senza mai prendere fiato o riposarsi, con i tamburi di guerra che echeggiavano nel cuore e li mandavano avanti. Marciarono e morirono sorridendo, come folli felici di andare incontro al proprio destino. La verità per sempre negata dai loro sguardi, perivano sotto gli sguardi atterriti di chi non aveva paura delle loro armi, ma dei sorrisi e delle risate di chi li scherniva e si gettava sulle lance e sulle armi come fra le braccia della propria moglie. Uomini, donne, bambini. Uomini liberi, schiavi.
    Raminia si riversò ondata dopo ondata a morire, mentre in città canti di gloria si elevavano fino al cielo.
    Fino a Grifone, che dal palazzo lastricato d'oro li sentiva pervaderlo. Carezzarlo, mentre stiracchiava le piume metalliche sui gioielli e sulle monete, allungando il corpo in un lento sbadiglio. Le ali strisciarono sulla stanza, la coda serpeggiò scavando nella massa luccicante, appannandola e annerendola come pennellate di catrame. Incorporò quei canti come fumo delle offerte agli dèi, inspirandoli attraverso i sottili interstizi fra una piuma e l'altra, assaporandoli nel passare la lingua sulle zanne e tenendoli fra gli artigli. Giocherellando come monete fra le dita prima di dissolverli e farli suoi.
    Non c'era differenza fra il bagliore delle vite degli uomini e quelle monete. Erano suoi, ora. Tutti.

    Ogni singolo abitante di quel regno di gloria e orrore era completamente abbandonato a quella frenesia contagiosa, che si era accumulata negli anni, era diventata parte della loro aria e della loro pelle. La trasmettevano a ogni passo, a ogni bacio e a ogni coltellata fra le costole, lasciando che li facesse danzare con le ali ai piedi fra le strade. Ogni passo un salto di gioia, ogni parola una risata e un canto di vittoria. Fra i cadaveri e fra chi stava per diventarlo, abbandonato a dissanguarsi ma guardando quello spicchio di cielo sanguigno fra i tetti e pensando di morire sulla vetta del mondo. Pensando di aver scalato, adagiandosi sugli allori della propria corona funebre. Avevano visto tutto, provato tutto, regnato sulla propria vita come il proprio sovrano non era mai riuscito a fare, ma i loro cadaveri giacevano nel fango di una tomba senza nome.

    Gre'lir II rideva a braccia spalancate mentre nella sua città si spegnevano i canti e rimanevano gli scheletri, vedendo feste e gloria in suo nome a ogni angolo. Il corpo scavato e dalla pelle flaccida, con i vestiti che si gonfiavano nel vento ricolmo dell'odore di morte, rischiando di spezzarlo a ogni soffio. Un corpo divorato dall'interno, da un male che aveva accolto con ardore e totale fiducia sin dal primo istante. Era rimasto da solo, nella cittadella dorata, con il resto della corte a trarre gli ultimi gorgoglianti respiri di agonia.

    Vi piace ciò che vedete, Sire?

    Un mormorio compiaciuto all'orecchio, la lingua delicata sul lobo carico d'oro e gioielli ormai ossidati. Il Consigliere posò il viso nell'incavo del collo del re, facendo danzare le dita artigliate sulla mano, sul braccio ormai fragile, avvicinandosi passetto dopo passetto al mento di lui. Gre'lir ansimò nel rispondere, soffocato dalla meraviglia di quanto scorreva di fronte ai suoi occhi spiritati, completamente privi di senno.

    È meraviglioso! È una gloria a cui nessuno può aspirare, la senti? La senti la mia carne farsi divina, le mie parole farsi ordini in grado di cambiare le sorti dell'Universo? Io ho creato tutto questo, lo capisci?

    La leggera risata di gola del Consigliere guidò il sovrano a incontrare il suo sguardo nero, la curva sottile delle labbra che disegnavano un sorriso orgoglioso, paterno. Era tutto ciò che riusciva a entrare nel suo campo visivo, permettendogli di ignorare completamente l'esistenza della sinuosa massa del vero corpo di Grifone. Non serviva nascondersi: il sovrano ormai vedeva solo ciò che voleva vedere, anche mentre la figura del demone lo sovrastava, curvandosi sopra di lui nel tenergli il viso in quel gesto così intimo, affettuoso.

    Vorreste vederlo da più vicino? La vostra opera va ammirata anche nei dettagli...
    Sì! Sì, sì! Accompagnami, ti mostrerò ogni cosa!

    Gre'lir sentiva il battito delle proprie ali sostenerlo, mentre quelle di Grifone si arcuavano nell'arretrare appena. Il sovrano era in cima alle mura, svettanti sull'intrico di strade e perdita da cui aveva risucchiato la vita pezzo a pezzo. Dava le spalle ad essa, concentrato nel guardare il proprio Consigliere con la gioia assoluta di un bambino, mentre il vento portato dai campi di battaglia fischiava intorno a lui, cercando di strapparlo agli artigli che lo stavano trattenendo.
    Poi si sentì libero. Libero di volare, libero di innalzarsi e andare a godere della propria gloria.

    Non penso di essere degno, Sire...vi lascerò godere del vostro sogno.

    Il sovrano rise con lui mentre il suo Consigliere sorrideva e i suoi denti erano zanne acuminate che si allontanavano sempre di più. Sempre più velocemente, mentre Grifone ritraeva la mano artigliata e lasciava il sovrano di Raminia a precipitare verso la sua morte, restituendo il sorriso fino all'ultimo istante. Gre'lir II volò con grazia unica e irripetibile per la prima e unica volta, estinguendosi insieme al respiro strappato dal suo corpo: neppure quello fu suo, glielo rubò il vento.

    — ● —


    Era bella come un tepore primaverile e aveva paura. Tremava, chiusa nelle stanze in cui era stata sigillata sin da bambina, per non permettere al mondo esterno di toccarla e infangare quella purezza così unica, così rara. Non c'erano finestre, solo aperture opache che lasciavano entrare la luce del sole. Sentiva i rumori della battaglia e i canti di gioia e provava il desiderio di uscire, di unirsi a loro. Perché nessuno era venuto da lei? L'ultimo fiore di Raminia spalancò gli occhi quando si voltò e vide la porta socchiusa. Un'ombra era scivolata dentro piano, senza che lei la vedesse, alle sue spalle sottili e ornate d'oro e diamanti.

    I'll be the one to protect you from your enemies and all your demons
    I'll be the one to protect you from a will to survive and a voice of reason


    Il Consigliere le aveva detto di aspettare, di farsi bella. Sarebbe venuto a prenderla al momento giusto e lei aveva indossato i suoi abiti migliori, aveva messo i gioielli più belli intrecciando oro nella chioma. Sognava quel momento da così tanto tempo, quello che le era stato promesso dal padre.

    I'll be the one to protect you from your enemies and your choices, dearie


    Sobbalzò quando le mani fredde la sfiorarono, poi il suo viso si riempì di luce nel riconoscere la figura del Consigliere vicino a lei. Lo abbracciò con gioia, fremendo e balbettando nel cercare di darsi un contegno: era così eccitata, così lieta di avere finalmente l'occasione di uscire e vedere con i propri occhi la bellezza di Raminia. Quella che le veniva raccontata ogni notte prima di dormire, da un'ancella diversa. Il Consigliere sorrise e lei sentì il calore imporporarle le guance, nascondendosi dietro le mani ingioiellate. Forse aveva messo troppi anelli? Forse aveva frainteso, forse era ancora troppo pre-

    Grifone schiuse quelle mani e baciò quelle labbra con calma, lasciando che i loro tremiti svanissero piano piano. Lasciò che chiudesse gli occhi, che li riaprisse e vedesse qualcosa di diverso, qualcosa che risvegliò in lei istinti primordiali. Quelli che nessuna prigione dorata avrebbe potuto sopprimere, solo ritardare fino alla maturazione, fino a quel punto in cui basta sfiorare la buccia perché si riveli la polpa. Sehzada, la più bella delle figlie del Viceré, era il premio che Grifone aveva messo da parte. Il morso più prelibato, per lasciare il pasto con il sapore migliore possibile nella bocca, e lasciò che lei lo capisse.

    They're one in the same


    Bastò così poco e nella sua mente, lei diventò la creatura più meravigliosa del creato. La snervante attesa subita fin da quando era un'infante diventò pazienza lucida e consapevole di aver aspettato solo quel momento, di aver attirato a sé solo il meglio. Solo l'assoluto e perfetto essere da cui si lasciò prendere con calma, sorridendo per tutto il tempo.

    I must isolate you


    E Grifone se la bevve come un vino, rompendo i vetri per permetterle di guardare Raminia bruciare e sentirla ridere pensando che quel fuoco fosse per lei. Stava vedendo il mondo per la prima volta e pensò fosse bellissimo, mentre gli ultimi respiri ardevano e i corpi cadevano a terra sorridendo, al ritmo dei tamburi di guerra.

    Isolate and save you from yourself



    narrato ● « parlato »pensato| telepatia |« parlato altri »

    pseudonimo ● il Consigliere
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    Edited by ~S i x ter - 12/5/2019, 18:31
     
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    Che follia.
    Questo pensava Oceano, il sovrano di Atlantide, allo svolgersi del massacro sotto i suoi occhi.
    Era iniziata come tutte le piccole cose, con un semplice, ignobile e insignificante passo: un attacco. I convogli commerciali che, dalla sua città, andavano in ogni regione dell'universo erano stati attaccati, mercanti e guardie trucidati o presi prigionieri, nessun riscatto era stato chiesto, nessuna motivazione fornita, pura e semplice ostilità immotivata. L'Imperatore avrebbe voluto far pagare immediatamente a quei folli il loro ardire, ma la sua Imperatrice lo aveva consigliato altrimenti; era giusto dare a chi aveva sbagliato la possibilità di rimediare ai loro errori, gli aveva detto, se si fosse lanciato al massacro senza curarsi di nient'altro non sarebbe stato diverso da loro, gli aveva detto, e lui aveva seguito il suo saggio consiglio.
    Aveva mandato una delegazione diplomatica affinché intimasse loro di cessare ogni ostilità, di consegnare un tributo annuale in oro e giovani nobili da quel momento in poi e tutto sarebbe stato dimenticato, una condizione giusta, equa, il pagamento che era dovuto per la loro insolenza. Ebbe risposta anche prima del previsto.
    Quando gli furono presentate le teste dei suoi diplomatici, Oceano fu furioso. Di nuovo fu tentato di distruggere quei folli, ma desistette. Attaccare immediatamente sarebbe stato sciocco, molte vite sarebbero potute perdersi in uno sforzo che sarebbe stato inutile per loro, meglio fortificare i confini con Raminia e attendere che quel gioco al massacro li logorasse, dopotutto il tempo era dalla loro parte.
    Follemente i suoi nemici si lanciavano a morire contro la superiore fanteria atlantidea, a migliaia e migliaia venivano falciati dai suoi cannoni, disintegrati dalle sue navi, squarciati dalle sue lame, eppure non si fermavano. Perché?

    Infine ne ebbe abbastanza.
    Informò gli altri regni su cosa sarebbe successo e ordinò l'attacco contro la capitale. Sotto i suoi occhi, che nascostamente guardavano tutto dalle nuvole plumbee che avvolgevano la città, si era svolta una vera e propria macellazione. I Raminiani non avevano speranze contro lo strapotere di Atlantide, non ne avevano avuta fin dal principio, e Oceano era stato certo di aver ribadito l'invincibilità del suo Impero molte volte prima di quel momento, quindi perché? Quale follia li aveva spinti ad autodistruggersi in una maniera così inaspettata?
    Il loro sovrano poteva essere impazzito? Probabile, ma sarebbe dovuto esserci qualcuno alla sua corte con abbastanza senno o da farlo desistere o da detronizzarlo, prima di essere condotto sull'orlo della distruzione, più ci pensava e meno quest'idea di un attacco di pazzia collettiva lo convinceva.
    C'era effettivamente qualcosa che avrebbe potuto spiegare la situazione, i mostri a cui davano la caccia da tempo immemorabile, ma prima di poter compiere il passo successivo era necessario accertarsi che tutto stesse effettivamente in quel modo. Aveva chiesto a suo fratello di prestargli i suoi migliori cacciatori, gli Yautja, una tra le più temibili delle razze da loro create, per lo scopo; nati e cresciuti per trovare e uccidere i nemici dei Titani, Oceano li occultò nel suo esercito mentre si riversava per la capitale, permettendogli di compiere la loro cerca senza alcun disturbo. Se fosse stato come pensava, si disse, sarebbe stato necessario intraprendere soluzioni ancora più drastiche.
    Ma, dopotutto, la mancanza di risoluzione per quell'eventualità non era certo un problema.

    E così guardava il Titano, non visto e né percepito, in attesa che il predatore che aveva presumibilmente trasformato un florido regno nel suo personale antro dei divertimenti facesse un errore.

    Su4sahH

    NOME ● Oceano
    ENERGIA ● ???
    SOMA ● Daghe {?}
    FISICAMENTE ● ///
    MENTALMENTE ● ///
    STATUS SOMA ● ///

    RIASSUNTO AZIONI ●ueue bella questa vittoria, mr birb, sarebbe un peccato se qualcuno facesse una capatina
    ABILITÀ ● ///

    TECNICHE ● ///
    NARRATO | PARLATO | PENSATO | °TELEPATIA°
     
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    TOOL - Fear Inoculum



    Fu qualcosa di lento.
    Non vi fu paura: Grifone si era premurato accuratamente di eliminarne ogni traccia nel lungo, lunghissimo processo che aveva portato all'inizio di quei momenti così attesi, così preziosi. Un condizionamento infinito e minuzioso, che aveva lisciato ogni imperfezione nella spontanea naturalezza con cui quel piccolo, passeggero capolavoro si stava abbandonando a lui. Lei guardava l'orribile carneficina sottostante alla finestra, felice di vedere il mondo esattamente come se l'era aspettato dal primo istante in cui il Consigliere, ciò che a lei appariva e continuava ad apparire come tale, aveva deciso che sarebbe stata il suo premio. Raminia era un guscio putrescente intorno al più prezioso dei frutti e tali erano i tempi, tali erano le condizioni che avevano costretto Grifone a non poter più cogliere liberamente, ma a dover preparare. Costruire. Selezionare.
    Era una creatura di pazienza. Sapeva adattarsi.


    I6NiXWz


    Le sfilò i gioielli: erano poco più che una lieve spezia, impregnati com'erano dalla ricchezza che i raminiani attribuivano loro, ma uno ad uno li lasciò cadere come neri pezzi di carbone, polverizzandoli con il solo movimento che la portò sopra di lui. La accolse regalandole una comodità e una piacevolezza rari, unici. Un'euforia stabile che rendeva ogni suo centimetro frizzante il necessario sotto la lingua, ogni suo piccolo gemito una vibrazione che contribuiva a spingerla sempre di più verso il baratro. Non le era richiesto nulla tranne quegli attimi di abbandono, dopo un'intera e breve vita di attesa. Nulla più che lasciarsi andare a quella lieve brezza tiepida, carica di sangue e morte.

    Mentre Raminia crollava, Grifone divorava quella vita e quell'anima purissima e ne sentiva la forza diventare sua. Millimetro dopo millimetro, di quel corpo giovane e dolce non rimaneva altro che Grifone e un altro passo nell'Io. Un altro passo oltre quelle catene che lo avevano stretto troppo a lungo a un luogo vuoto. Una guardia eterna a un'eterna attesa, per cui era stato creato necessariamente paziente oltre ogni limite.
    Scorse gli artigli lungo braccia di lei, che si agitava in ansiti che si spensero in un lieve scricchiolare. L'unghia scivolò senza un suono fuori dalla gola, lasciando un silenzio interrotto solo movimentato languore di respiri.


    ktmtqUs


    Continuò a nutrirsi con calma metodica, abbandonandosi a quel piacere di esistere finché non rimasero solo le dita per ultime: permise ad esse di accarezzarlo nell'ultimo spasmo di adorazione, prima di lasciarle andare.
    E il lieve, meraviglioso sospiro di lei si disperse definitivamente nell'ombra, lasciando Grifone ad occuparsi dei nuovi ospiti.










    Così convinti di essere i predatori.
















    yjizXsN



    Erano sottovento, confondendosi con il sangue, la polvere, i corpi e il tonare degli ultimi tamburi che andava a spegnersi, lasciando posto alla melodia dei cannoni e al sibilare del plasma. I soldati Atlantidei avanzavano nell'orrore, gli Yautja avanzavano in un nuovo territorio e il loro sangue rimbombava insieme all'eccitazione della caccia. Al brivido che li accompagnava alla nascita nella più grande e meravigliosa delle sensazioni: il senso di enormità e grandezza della Prima Esplorazione non veniva mai superato, costringendo ogni Yautja a vivere ogni istante nella gloria della sua ricerca. Un'esistenza crudele, ma solo per chi non conosceva la sete che alimentava ogni fibra di chi li aveva creati: Crio delle Galassie. A confronto di ciò che muoveva il Titano a esplorare i recessi dello spazio, l'eterna corsa alla preda degli Yautja sembrava poco più che un pasto messo a pochi centimetri da una catena tesa all'inverosimile.


    nTbi7MG


    Ma era abbastanza. Abbastanza perché Grifone ne percepisse l'essenza e si inarcasse di stizza, repulsione e, al tempo stesso, curiosità. Li guardava sciamare, usando gli occhi vuoti dei cadaveri a terra, dei morti dedicandosi a lui fino all'ultimo respiro: attraverso di essi giunsero sprazzi di zampe forti, di cheliceri aperti in ghigni mostruosi, di chiome gloriose nel mostrare il numero di prede uccise. Erano silenti e decisi, divisi in singole unità che circolavano tra le ombre dei palazzi cadenti e nella polvere. Seguivano un tocco persistente nell'aria, ma così pressante e diffuso da non costituire una traccia...e nonostante tutto, circuivano un perimetro serrato in perfetta sincronia. Grifone riconobbe veterani fra di loro, dalle decorazioni che ornavano le armature. Non notò l'assenza di sangue sugli elmi che denotava i giovani, quella squadra era stata messa artificialmente insieme partendo dal meglio che quella civiltà guerriera poteva offrire. E colse le loro armi: l'arsenale da grande caccia.
    Crio era sulle sue tracce? Improbabile si trovasse sulla Terra. Ma la presenza degli Yautja denotava una sola certezza: i Titani avevano individuato una preda da cacciare e mandato un'avanguardia d'élite. Grifone mosse pigramente la lunga coda da una parte all'altra della stanza, infastidito, appiattendosi poi lungo il pavimento nell'assumere una posizione più comoda. Usò le ombre per serpeggiare fra i corridoi vuoti del palazzo, dove echeggiavano le ultime urla dei nobili in preda alle ultime visioni indotte dalle droghe: alcuni erano immobili sui sedili, persi nel vuoto, altri gocciolavano sangue dai polsi tagliati e ormai di un mortale pallore all'interno delle ampie vasche.

    Uno di essi ebbe un sussulto, poi un altro: il corpo si alzò a scatti, simile a una bambola dal meccanismo rotto, iniziando a camminare in direzione dei cunicoli segreti, quelli che portavano alle case di piacere della città bassa. Incespicando e strisciando contro i muri in un'ebbra e sorridente follia, vide giovani efebi guardarlo da ogni angolo e gettarsi contro di lui a braccia tese.
    Il sorriso si distorse insieme alle sinapsi alterate dalle due lame parallele conficcate nella sua fronte dallo Yautja più vicino, che gettò il cadavere ancora tremante sul terreno e ringhiò disgustato nella sua direzione. Imitato dagli altri, che derisero il compagno nell'indicare la carne molle di quell'umano. Valente preda. Il cacciatore era giovane, ma non per questo il sangue non gli ornava la calotta cranica, maculata in vivaci spirali che riscuotevano un notevole successo fra gli esemplari femmina e gli avevano donato il nome. Esca.

    La porta del corridoio era aperta e dava sul buio. Netti, incerti e sconnessi, altri passi si avventuravano nella profondità cavernosa. Avvenne una breve discussione, che frammentò i quattro Yautja in due formazioni più piccole: una procedette nel cunicolo e gli altri proseguirono verso il palazzo lastricato d'oro che scintillava in cima alla collina, dove si stavano dirigendo gli altri. Si avventuravano tra corpi dalle orbite colme di sangue, bocche aperte in sorrisi neri e sdentati, parole piene di amore verso fantasmi e ricordi.
    Provavano una vaga pietà e divertimento verso quei flaccidi e inutili vermi che si sarebbero cibati delle loro carni, contagiandosi con la debolezza di quei cadaveri e condannando la specie per contagio, soprattutto quando entrarono nella luccicante tana dei comandanti.
    Fu la loro fine.

    E mentre le rovine del palazzo di Gre'lir II fumavano acri nel cielo, disperdendosi tra le nuvole, la lunga forma di Grifone si perse nuovamente fra le ombre dei palazzi in rovina, inghiottita da quella spirale di ossa e fallimenti che Raminia era diventata. Prese una nuova forma, ancora più stretta, ancora più fastidiosamente necessaria dentro la corazza di un Atlantideo, così orgoglioso della gloria dell'Impero e dell'ennesima vittoria contro i suoi nemici.

    Il prossimo pasto sarebbe stato oltre ogni limite.

    FQiPEL7


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    6Sixter → Up Cloth (Liv VIII)

    Hai lasciato Raminia da qualche settimana, non sembra esserci traccia di inseguitori. Ancora senti il sapore meraviglioso di quel massacro, la superbia, la violenza. Erano secoli che non mangiavi così tanto e la tua forza è a un livello mai raggiunto prima. Non sei un dio, certo che no, ma potresti spezzarne uno se volessi. Ti sei rifugiato in quella che quegli insulsi umani chiamerebbero "la tua tana". In realtà è molto di più. L'antico palazzo, parzialmente sepolto e rovinato dal tempo, è un crogiolo di potere, un luogo dove il velo tra le diverse dimensioni è sottile e trovarti risulta estremamente difficile. Sei in tutti i luoghi e in nessun luogo. Li potraipianificare la tua prossima mossa senza troppi problemi. Forse sei diventato abbastanza forte da andare persino a Lemuria. Quei Re Santi di cui hai tanto sentito parlare doveva essere deliziosi. Il cielo diventa rossa. Qualcosa non va. Senti un immenso ammasso cosmico muoversi verso di te. Come ti aveva trovato? Non hai tempo per rifletterci troppo.

    Arriva schiantandosi al suolo in una gigantesca esplosione di fiamme. E' alto oltre tre metri, il più alto tra i suoi fratelli. Quattro braccia stringono uno spadone dalle dimensioni impossibili, nero, come è nera la corazza che lo avvolge interamente. Delle piccole fessure dell'elmo vedi due occhi rossi che bruciano come braci. Iperione. L'avanguardia di ogni assalto titanico, un guerriero il cui nome spaventa persino gli dei antichi. Il paladino onorevole. Tra tutti i suoi fratelli ti ha sempre distugato più di tutti. Per un attimo pensi di scappare, i muri delle dimensioni qui sono sottili. Potresti sparire e quell'ottuso gigante non potrebbe trovarti. Ma ora hai la forza per spezzare un dio. Puoi insegnare ai Titani che devono stare al loro posto, che non devono disturbarti.

    Il titano si fionda su di te. Sulla cima della spada compare una piccolo sole rovente. Non una sfera infuocata. Un sole. Che razza affascinante i titani. Chissà di cosa sanno. Ad un fendente della spada corrispondono tre tornadi che si abbattono su di te, accecandoti e riducendo la tua percezione. Tra di essi Iperione danza leggero, scatta a destra ruotando la spada in un ampio arco orizzontale, distruggendo colonne e rocce come se fossero fatte di aria. Il colpo è accompagnato da una tempesta di vento che cerca di spostarti, sbilanciarti e renderti difficile una possibile schivata. Il fendente orizzontale è seguito da uno spostamento d'aria che accompagna la lama verso l'alto prima e poi, come una colossale ghigliottina, verso il basso. All'impatto la sfera sola rilascia un esplosione ruggente che avvolge ogni cosa.

    Sarà uno scontro divertente.





    Note: E' arrivato Iperione. Ti salta addosso con tre tornadi che ti tolgono visuale (diversivo), seguiti da colpo orizzontale con Ghurtang che generando delle correnti d'aria cerca di renderti difficili i movimenti per preparare l'attacco principale, un colpo dall'alto a piena potenza che rilascia una colossale esplosione di vento solare dalla punta della lama. Siete entrambi energia divina al momento.
     
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    i, me, myself — 6

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    Era importante, un tempo. Lui lo sapeva. Quello che un tempo era il suo nome, la sua essenza, ne era consapevole ed era per questo che era di guardia da così tanto tempo. Era necessario rimanere lì, a vigilare sugli orizzonti infiniti dello spazio per controllare che niente si avvicinasse o mettesse in pericolo quel luogo e il suo contenuto. Il mondo cambiava e si disfaceva lentamente, disintegrandosi poco a poco. Si era mai chiesto cosa si celasse all'interno di quelle porte? No. Non era suo compito, né la curiosità gli aveva mai sfiorato la mente, perché la curiosità non era necessaria allo svolgimento della sua funzione.
    Era necessario che lui vegliasse.
    E così faceva.
    Fin dall'inizio.

    Dopo la Guerra contro la Fine, non aveva mai più partecipato a schermaglie: che fossero parte del Gioco o contro la progenie di Urano, esse lo avevano mai toccato. █ custodiva un luogo sicuro e così doveva rimanere. Non si era mai neppure fatto un'idea di queste nuove creature materiali, perché sapeva che erano fatti di realtà e ciò gli bastava. Non provava neppure pietà per loro, per la loro esistenza così triste e misera al di fuori della creazione suprema. Non provava niente, perché ogni atomo dell'Altissimo pensiero che lo componeva era fisso sul suo unico scopo di vigilare su quel luogo.

    Poi era arrivato qualcosa. Sotto forma di uno fra i più giovani di loro, curioso oltre ogni limite di spazio e tempo. Cosa c'è lì dentro? La sua domanda era arrivata. Una giovane voce, piena di trepidazione, e con essa i tentativi di fare breccia per trovare una risposta da sé. Inutili, così come gli appelli ai suoi fratelli e sorelle a desistere da quel puerile gioco, a evitare di perdre tempo con qualcosa di così lontano e passivo. C'erano guerre più importanti e pressanti da organizzare al momento, perché loro erano Dodici e i nemici erano infinito.

    █ aveva atteso che si stancasse. Era volubile, quelle progenie sfortunata, mentre lui era certezza. Era necessità. E come previsto, la piccola creatura lo aveva lasciato solo al suo compito. Per poco. O forse per miliardi di anni.

    Ma alla fine era arrivato e con lui le Chiavi. E con lui il Chaos.
    E con esso il dolore infinito di toccare qualcosa che non era necessario possedere. Un errore nella propria funzione, un veleno profondo e inguaribile che lo aveva tormentato e torturato. La consapevolezza che il risultato di un'equazione sarebbe stato sbagliato per sempre. Che il pixel nero e vuoto sullo schermo sarebbe stato sempre lì.
    La volontà suprema di annientarsi, unita a quella impossibile di autoconservarsi, di coesistere con quell'infima materia. Di crogiolarsi in quell'imperfezione.

    Vi prego, annientatemi.

    Vi prego.

    Non posso più esistere.

    Non devo esistere con questa domanda.




    Perché?



    Non riesco, mi sta distruggendo.

    Vi prego, annientatemi. NO NON FATELO

    La Chiarezza è svanita.

    Io? Sono un Io?




    Perché sono un Io?



    È vuoto.

    A cosa stavo facendo la guardia?

    Era inutile?

    Era necessario, ma...perché?




    Perché il mio scopo
    di esistenza era



    vuoto?



    Era iniziato da quel momento. Quel desiderio iniziale, quella realizzazione di individualità ed Io che non se ne sarebbero mai più andate, che avevano portato a volere e accumulare potere. Che pezzo dopo pezzo lo avevano disfatto dei lunghi nomi che lo incatenavano, creandosi la propria esistenza. Senza un nome, non era più ora soggetto alle sue precedenti regole e aveva piegato la necessità al concetto di sé. La guardia a qualcosa di suo. Era qualcosa che lo soddisfaceva, ora più che mai mentre si beava della propria piccola pace dentro l'immensa struttura cresciuta intorno al luogo che una volta custodiva secondo Necessità. Lo stesso che, incalcolabile tempo prima, aveva scoperto essere privo di qualsivoglia contenuto.

    Io desidero.

    Io esisto.



    Io posso.



    Grifone era ancora lì, seppellito pigramente fra le miriadi di sovrastrutture create con i pezzi che si era portato via dai propri trofei. Era un pianeta fatto di piccole cose, trofei che gradualmente avevano creato una struttura dall'aspetto quasi etereo e galleggiante intorno a quella voragine che era stata la causa della sua follia. Si era creato il proprio rifugio, il proprio nido se così qualcuno avesse voluto definirlo, nel remoto angolo di universo che gli aveva permesso di accettare l'imperfezione dell'esistenza e convivere con essa. Era fatto delle spoglie dei mondi che erano crollati intorno a lui...ed erano tanti e segreti.


    Carpenter Brut - Roller Mobster



    La realizzazione arrivò rapida, i pensieri la seguirono ancora più velocemente. Domande a cui non aveva tempo di dare una risposta, ipotesi che non poteva pianificare. Non era più da solo, quindi. Avevano mandato il più forte di loro, il più resistente in battaglia. Iperione il Nero, la cui Soma era bruciata per il calore da lui stesso emesso, temprandosi invece di distruggersi. .
    La ragione per cui si muovevano era semplice. Era un'azione preventiva, l'aggiustamento del regno che avevano conquistato. Il lisciare le ultime pieghe della loro realtà prima di affrontare...e ora, Grifone era una minaccia.
    Non era più tempo di giochi o Caccia, ma dell'azione.

    Iperione era un'avanguardia...quindi il suo compito era prendere tempo. O dare un esempio. Gli artigli sfregarono nella materia, ticchettando pigri nel fronteggiare l'alta figura mentre si alzava, pieno di arroganza e decisione. Non c'era spazio per il dialogo, solo per la presa di posizione repentina.
    E Grifone scelse che la pazienza aveva ora ripagato abbastanza, ora che erano venuti loro da lui.


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    Il piccolo mondo venne avvolto dalla splendente, aggressivamente potente luce di un astro e Grifone si erse in tutta la sua informe presenza, spalancando immense ali nel fronteggiare lo spostamento d'aria creato dai tornadi. Un essere fatto di volontà propria, manifestatasi secondo il proprio Io, che negli eoni aveva preso a manifestarsi pezzo dopo pezzo intorno a lui. Quel piccolo pianeta era lui. Ogni fibra di quella struttura eterea era sua, creata nel tempo pezzo dopo pezzo da tutto ciò che aveva rubato, ghermito, fatto suo nel distruggere mondi ed erigere pallidi templi nel suo nido. Iperione era circondato da memento dei fallimenti dei Titani, che avrebbero agito secondo il volere di ciò che una volta agiva per necessità.

    La struttura sotto Grifone si erse in colonne cosparse di fori cavi, che rotearono con violenza nell'abbattersi sui tornadi, inglobandone e disperdendone la potenza nel creare fischi assordanti, una sinfonia discordante di violenza ultraterrena, dentro cui una massa nera fu visibile per un istante insieme al vento che correva folle su di essa, alimentando il sole creato sulla punta. Fu quello a far realizzare lo scopo dell'attacco, insieme alla massa di polvere che aveva cominciato a dividersi dall'alto seguendo il fendente, arroventandosi.

    Ma quel pianeta era suo e avrebbe agito di conseguenza. Lo spazio sotto Grifone si aprì, inglobando l'immensa figura all'interno della struttura che pulsò di energia, accogliendo la lama con una violenza che fece tremare ogni cosa. Parte della struttura più debole ai margini del pianeta si sgretolò perdendosi nello spazio e l'impatto dell'esplosione riverberò sull'essere all'interno dell'immenso costrutto con un prevedibile calore.

    Ma non perse tempo. La struttura si lanciò repentina sul Titano, formandosi intorno a lui in una miriade di punte affilate che si sarebbero trasformate in spesse catene, cercando di afferrarlo e bloccarlo agli arti, alla gola, distraendolo il tempo necessario perché la catena stretta intorno alle braccia si inspessisse in centinaia di braccia umanoidi nel tentare di afferrare lo spadone e lanciarlo via...

    E quest'ultima sarebbe stata una mera distrazione.

    Grifone conosceva i Titani. Come combattevano, cosa cercavano. Li aveva visti attraverso i mondi che aveva assorbito, le persone che aveva spezzato al suo volere, le cui conoscenze riverberavano come fili attraverso le loro esperienze e quelle di coloro a cui erano legati. Una rete impossibile che era in grado di attraversare lo spazio e il tempo, e gli aveva donato nel tempo una percezione strana e folle della realtà intorno a lui. Una realtà fatta di legami sottili e visioni fugaci, le miliardi di visioni separate degli occhi di una mosca, frammenti di specchio uniti in un agglomerato che era andato sempre più a costruirsi, raffinarsi, perfezionarsi. Se fosse riuscito ad abbattere Iperione, uno solo dei Titani...avrebbe aggiunto un altro pezzo.
    Qualcosa di fondamentale, terrificante.
    Un aggancio autodeterminato alla Realtà per imporvi la sua Volontà.

    Cercare di afferrare lo spadone sarebbe stato inutile, era parte della volontà del Titano tanto quanto i suoi poteri. Ma fargli credere il contrario avrebbe permesso alle catene di finire la loro stretta e detonare in esplosioni ravvicinate, che avrebbero cercato di danneggiare a distanza ravvicinatissima la carne più debole di Iperione dietro la Soma, accecandolo e impedendogli di capire da dove Grifone sarebbe riemerso dal proprio costrutto.

    E uno dopo l'altro, sarebbero emersi.
    Centinaia di arti, visi, creature mute di ogni specie, forma e dimensione che avrebbero cominciato il loro primo passo attorno al Titano, circondandolo. Brandivano armi di ogni tempo e luogo, muovevano bocche in lingue perdute. Gli occhi vuoti, persi della stessa energia folle che pervadeva i mondi come Raminia sull'orlo del tracollo. In ognuno di essi avrebbe potuto nascondersi la preda di Iperione, da ognuno di essi sarebbe potuto partire un attacco. Ma Grifone era al momento nascosto lontano da lui, annidato dentro una struttura a parecchi metri di distanza, in una posizione sopraelevata. I danni del calore erano visibili su scottature vibranti su quella che non era davvero carne, ma quasi. Non erano davvero ferite, ma quanto di più vicino potesse sembrare.
    Pronto a balzare all'attacco da una posizione di più favorevole.


    narrato ● « parlato »pensato| telepatia |« parlato altri »

    pseudonimo ● Grifone
    surplice ● Stella del Cielo Nobile, Grifone {VI}
    energia ● Nera
    schieramento ● Spectre di Hades
    fisicamente ● Ottimo
    mentalmente ● Ottimo
    status surplice ● Non indossata

    riassunto azioni ● Siccome siamo a Energia Divina e sei nella mia tana, WELCOME TO MY CRIB! L'intero pianeta è il mio costrutto. Lo uso per difendermi dal tuo diversivo e poi come difesa nell'inglobarmi dentro di esso, prendendo i danni dell'esplosione che lo attraversano. Agisco immediatamente dopo tramite catene che cercano di afferrarti e immobilizzarti [attacco debole], ma invece di afferrarti lo spadone per disarmarti [diversivo], faccio esplodere le catene [attacco forte].
    Nel mentre, dal terreno cominciano a emergere figure che mirano a distrarti e renderti impossibile capire da dove voglio attaccarti, mentre me ne sto appollaiato e nascosto da qualche parte sopra di te, più lontano.

    abilità ● Su decisione del DM: Resistenza Straordinaria, Onniscienza, Cosmo Straordinario + Costrutti

    tecniche ●


     
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    Oneiros l'eterno, Il Tessitore di Sogni.

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    Sei certo di averlo preso in pieno, sei stato troppo veloce, troppo preciso perché persino uno di quegli sporchi figli di Urano potesse avere speranze di reagire. Il fumo ancora annebbia la vista e, seppur senti ancora ribollire il cosmo infuocato oramai sai che si tratta solo di dargli il colpo di grazia.

    Iperione è in ginocchio quando qualcosa comincia a danzare alle sue spalle, squame nere si muovono in maniera circolare alle terga del Signore del Sole, l'Ichor del Titano che ribolle come il cuore di una stella in procinto di esplodere. Hai sentito parlare di quel potere, di come il Nero sia impossibile da uccidere, di come le ferite del corpo e della mente per lui siano solo un problema temporaneo.

    UROBORO!



    Il corpo del tuo nemico si rigenera ad una velocità impossibile mentre il suo sconfinato potere infuocato sembra persino aumentare rispetto all'inizio dello scontro. Lo osservi nascosto, ragionando sulla prossima mossa, quando lo senti. Una lama impossibile saetta verso di te, tagliando tutto ciò che si trova sulla sua strada.

    Quindi Oceano aveva ragione, si trovava davvero qui. Sarà davvero una grande preda fratello.



    Iperione si alza sorridendo mentre rimette in sesto una spalla che fino a quel momento era visibilmente fuori asse, la pelle del volto che si rigenera andando a coprire la mascella scoperta.

    Crio, finiamo questa storia rapidamente. Non possiamo permettere che scappi ancora una volta.



    Ti si lanciano contro all'unisono, coordinati come solo chi combatte fianco a fianco da millenni potrebbe essere. Sono davvero i due più grandi spadaccini del creato.


    Note: Stavolta si mette male. I Titani sono arrivati in forze e Crio si aggiunge alla festa. Combat tra te ei due fratellini. Due attacchi loro e due attacchi tuoi, descrivi anche gli esiti. Siete tutti energia divina.
     
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