WOA XI: BRING BACK THE '80s

Dorcas

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    Ciao, Dorcas!

    Come puoi ben vedere dal layout, hai deciso di imbarcarti in una vera follia. Infatti mi sento un po' nostalgica, e ho deciso che la traccia di questa woa sarà dettata da una particolare decade che ha influenzato la vita di tutti: I FAVOLOSI ANNI '80.
    Ora, ti ho chiesto di scegliere un numero, e hai scelto il numero 2. Questo è servito a me per determinare l'anno esatto della tua traccia, che quindi sarà

    IL 1982

    Per l'Italia è un anno glorioso, la nazionale di calcio vince i mondiali in Spagna, i russi atterrano su Venere e la Cina adotta la sua attuale costituzione.
    Ma tu non ti occuperai di nulla di tutto ciò.
    Ho deciso che la tua traccia sarà un qualcosa proveniente da quell'anno, qualcosa che nel bene o nel male è passato, a suo modo, alla storia.
    La tua traccia è musicale. Dovrai trarne più ispirazione possibile, perché è l'unico elemento che riceverai.
    Si tratta di...

    Survivor- Eye of the Tiger


    La canzone più suonata in tutte le palestre del mondo e sicuramente la più motivante in assoluto. Fanne buon uso!
    - Prendi spunto dalla tua traccia, solo da quella, e in che modo vuoi. L'anno può entrarci o meno, a tua discrezione, non sarà fondamentale nel giudizio dell'attinenza.
    - Hai tempo fino al 7 Settembre alle ore 20
    - Puoi cambiare la traccia UNA SOLA VOLTA, ma non puoi cambiare l'anno. Puoi decidere di comune accordo con un altro utente di scambiarvi le tracce, ma non si torna indietro. Le richieste vanno fatte nel topic delle WOA.
    - Non c'è limite di battute. Tuttavia sconsiglio sempre di fare una one shot eccessivamente prolissa.
    - Puoi fare TUTTO quello che ti pare usando il tuo pg. Non mettere in mezzo pg di altri a meno che tu non abbia il consenso del giocatore.
    - La tua woa può essere ambientata ovunque e in qualsiasi tempo.

     
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    Darian del Lupo Grigio {III} Energia Rossa Eletti di Gea



    Audatia, ci siamo. la voce mi giunse all'orecchio distorta a causa delle cuffie ma di aprire gli occhi non mi fidavo per niente, concentrata com'ero nell'aggrapparmi al bracciolo del sedile, feci un piccolo sforzo di fiducia apri lentamente gli occhi. Le nocche quasi bianche e quel senso di vomito perenne da almeno due ore, erano diventati oramai compagni fidati di quel viaggio di merda che avevo intrapreso per... Già, per chi?Non ci posso credere che la Lupa ha paura di volare. Gli scoccai un'occhiata fulminante ben poco interpretabile se non con un "taci, idiota!", stavo per dare voce a quel pensiero ma una serie di sobbalzi mi fece stringere maggiormente al sedile e desiderare di trovarmi a terra il più presto possibile. Tieniti forte, l'atterraggio sarà brusco.

    Dove mi trovavo per giustificare una simile conversazione? Su un maledetto elicottero, ovviamente. Il perché ancora faticavo a spiegarmelo, avevo accettato di accompagnare il pilota solo perché mi aveva promesso che si sarebbe messo al sicuro, ben pochi erano così pazzi da essere rimasti nel loro paese, senza cercare aiuto da nessuno. Bhe tutti tranne Ethienne, era uno dei sopravvissuti e sapeva decisamente il fatto suo anche se probabilmente definirlo sano di mente non era proprio il termine perfetto. Insomma, chi avrebbe potuto possedere un piccolo elicottero, con tanto di carburante, per una traversata dal Galles all'Inghilterra?

    Lieta di sentirlo, basta che arriviamo a terra. risposi in fretta, i sobbalzi erano oramai una norma e quasi mi ci ero abituata. Triste da pensare, quelle forti correnti d'aria tagliavano il cielo sempre più cupo man mano che andava calando il sole. Non che durante il giorno ci fosse un cielo limpido primaverile, era sempre di una bella tonalità giallognola che ricordava il momento in cui i terremoti si facevano più forti. Avevo questa strana fissazione per il meteo ultimamente, ma chi non l'aveva? Eravamo tutti condannati, si trattava solo di scegliere come morire, quando, per mano di chi e per quale causa.

    Merda. un tonfo più forte - e le imprecazioni di Ethienne - mi annunciarono che avevamo finalmente toccato terra. Mi tolsi le cuffie e aprii con un calcio lo sportello di quel dannato veicolo, non si vedevano mezzi aerei da almeno tre anni, a parte qualche raro ritrovamento dell’esercito o quelli dei black saint, ma non mi venne in mente di chiedere come aveva fatto a procurarselo e comunque non mi interessava realmente. 'Sta città fa proprio schifo. Si stiracchiò e tirò fuori il suo borsone dal mezzo, era armato di fucile a canne mozze e una mini uzi dietro la schiena, per non parlare delle piccolezze nascoste lungo tutta la sua persona. Non mi interessava come andava in giro, non era un problema mio e soprattutto non ero la sua bàlia.

    Come il resto del mondo, no? Mi scrocchiai il collo e indossai la mia armatura. Non mi preoccupavo che di essere preparata, di quello che sarebbe successo me ne sarei occupata dopo. Mi voltai verso il mio compagno di volo e gli porsi la mano in segno di saluto. Non farti uccidere, non posso averti sulla coscienza. Quello prese la mano e la strinse, mi regalò il migliore dei suoi sorrisi vacui e già sapevo che sarebbe stato probabilmente lui il primo a muovere il fuoco. Quando mi lasciò la mano rimasi per qualche minuto a fissarlo allontanarsi poi mi voltai e mi potei dedicare finalmente al mio intento.

    Il panorama era degno dei migliori film post apocalittici, almeno quelli che si divertivano a produrre quando ancora era presente un briciolo di speranza. I palazzi sembravano vittime di qualche bombardamento, le strade piene di macerie e detriti. Ogni tanto si sentiva una scossa di poca intensità ma che in una città sventrata e distrutta, faceva crollare le ultime strutture trascinando nella tomba chiunque si fosse trovato nei dintorni. Alzai lo sguardo e in lontananza scorsi il London Eye miracolosamente in piedi, scossi la testa sorridendo.

    Mi stupii di trovarmi dopo qualche ora dopo davanti allo Zoo. L'aria era stranamente pesante e ogni passo alzava una lieve polvere, il suolo era ricoperto da uno spesso strato di rifiuti ma non mi sorprendeva visto che i luoghi di 'divertimento' erano stati i primi ad essere abbandonati. Guardandomi intorno le gabbie sembravano vuote, anche se tutte contenevano una o più carcassa degli animali che precedentemente li abitavano. Mi avvicinai alle sbarre di quella che sarebbe dovuta essere la gabbia dei lupi e quello che vidi mi strinse il cuore, la bestia fiera che popolava le foreste e ne regnava incontrastata era ridotta a un cumulo di pelle tirata, ossa sporgenti e pelo caduto a chiazze. Morire di fame non è augurabile a nessuno, non avere la possibilità di cacciare e dipendere dagli uomini, era quasi peggio.

    Ero fissa in quei pensieri quando dal fondo della gabbia si mosse lentamente qualcosa e solo quando si avvicinò alle sbarre potei realmente riconoscere cosa fosse. Sicuramente un tempo aveva avuto il pelo folto e luminoso mentre adesso si limitava ad essere di un grigio smorto e spento, il corpo smagrito dalla fame ma almeno in vita, mi fissava coi suoi occhi gialli come a chiedere aiuto.

    Il lupo - o quello che ne rimaneva - sembrava diffidente ma non potevo dargli torto. Quanto tempo aveva vissuto in quella gabbia, costretto a nutrirsi di un suo simile e lentamente condannato a una morte lenta causata dell'abbandono di quel luogo? Capivo il punto di vista degli uomini, il momento in cui la terra tremò e cominciarono a crollare i governi, le città collassavano e ogni forma di ordine veniva spazzata via, nella loro mente c'era un unico pensiero: sopravvivere.

    La bestia mi fissava da dietro le sbarre con gli occhi giallo spento, indeciso sul da farsi, lo sentivo. Decise in breve però, perché avanzò zoppicando e tremando finché non avvicinò il muso alla gabbia per leccarmi una mano. Sorrisi di quel gesto, nonostante tutto ero sensibile su certe cose. La bestia sembrò annuire, come se prendesse atto della sua situazione, mi limitai a seguirla con lo sguardo quando si incamminò lentamente verso il fondo della gabbia.

    - Sembra che oggi sia destinata a veder fuggire tutti.

    Superai in fretta la zona dei rettili, non mi preoccupai nemmeno di guardare cosa fosse rimasto in quelle vecchie teche, non ne avevo bisogno per capire che era un grande cimitero in esposizione. Non che fossi dotata di una particolare sensibilità ma semplicemente vedere i resti dei figli di Gea, mi faceva un po’ strano. Giunsi in un punto dove la vegetazione aveva raggiunto una certa altezza e mi fermai ad osservare per terra, tutto intorno c'erano delle orme, qualche foglia schiacciata e un paio di rametti spezzati. Inarcando un sopracciglio, cercai di trovare un punto d’inizio e dilettarmi alla ricerca di sopravvissuti.

    Quando uscii dallo zoo, tutto è sempre più scuro. Probabilmente pioverà a breve, sento le nubi addensarsi e l’odore di pioggia e sabbia in procinto di cadere. Dopotutto, il fiuto sviluppato mi aiuta in quasi tutte le situazioni. Camminando mi ritrovai a passare davanti a una vecchia palestra, una di quelle con le vetrine che danno sulla strada – ormai totalmente distrutte – per motivare gli iscritti a migliorarsi, l’insegna ormai totalmente abbattuta. Mi scopro quasi nostalgica nonostante al Tempio Nero avessi una sala a disposizione, manca sempre quel qualcosa in più.

    Entrai da una vetrata distrutta che dava su quella che pareva una sala attrezzi, in ogni angolo della stanza roba ammucchiata e impolverata, tappetini di gomma ormai bucherellati, piccoli pesi ricoperti di sporcizia. Uscendo da lì, mi dirigo verso il bancone dell’ingresso, c’era ancora un vecchio computer fisso attaccato alla presa elettrica, uno stereo a batterie e un cumulo di fogli e schede plastificate, apro un cassetto e trovo un centinaio di sterline sparse, richiudo dopo aver frugato un po’, semplice curiosità visto che non saprei che farmene dei soldi.

    Nello stereo sembra esserci ancora un cd, premo play e un suono leggero e distorto si diffonde per tutta la sala.

    Risin' up, back on the street
    Did my time, took my chances
    Went the distance now I'm back on my feet
    Just a man and his will to survive
    So many times it happens too fast
    You trade your passion for glory
    Don't lose your grip on the dreams of the past
    You must fight just to keep them alive


    Mi spunta un sorriso automatico nel sentirlo ma non la spengo, abbasso il volume regolandolo a un piacevole sottofondo mentre continuo il mio giro.

    It's the eye of the tiger
    It's the thrill of the fight
    Rising up to the challenge of our rival
    And the last known survivor
    Stalks his prey in the night
    And he's watching us all
    With the eye of the tiger


    Poi un odore familiare, come se l’avessi già sentito prima mi colpisce le narici come uno schiaffo secco. Tasto la cicatrice in viso, poi quelle ai polsi da sopra l’armatura, per finire in quelle alla schiena in prossimità dei reni e al ventre. Gesti automatici che quasi non mi accorgo di compiere, rabbrividisco appena, secondo il fisioterapista sono stata fortunata a riprendere l'uso completo di entrambi gli arti, i medici erano molto pessimisti circa le mie condizioni, soprattutto per quanto riguardava la cicatrice sul viso, avevo rischiato di perdere l’occhio ma a quanto pare sono dura da fare fuori. Mi muovo nella direzione della traccia, uscendo dalla sala, mi incammino verso l’edificio accanto, un palazzo di quattro piani abbastanza grazioso ma mi faccio prendere dai ricordi e non riesco a prestare una particolare attenzione ai dettagli architettonici. Sembra ieri.

    ----

    Oslo, Norvegia, inizi 2012.

    I ritorni dalla caccia mi davano sempre quella sensazione di superiorità a cui mai avrei rinunciato. Sapere di aver sfruttato al meglio le mie capacità ed essere riuscita a completare ciò che mi si chiedeva di fare, mi dava quel brivido superiore quasi al caffè.

    - Non cominciamo a dire eresie.

    Ehi Tony, te lo consegno già impacchettato. Gli manca solo il fiocco in testa. Lo dico a metà tra l'allegro e il compiaciuto ma non posso nascondere che sia stato un grandissimo bastardo rompipalle, più di tre anni dietro a questo simpaticone, a pianificare, organizzare, seguire e persino lottare. Più volte era riuscito a scappare dopo avermi messo k.o ma alla lunga, l'ho vinta io. Sempre e comunque.

    Il bestione mi lancia un sorriso untuoso e io rimango impassibile, se fosse possibile gli avrei già tolto dalla faccia quell'espressione compiaciuta ma davanti la polizia, non posso farmi tentare dall'ira e pensare di farla franca. Sono pur sempre la loro ultima risorsa e a quanto pare, gli piace credere di avere una sorta di controllo su di me. Mi scosto i capelli dal viso e rimango a fissare il detective che lo prenderà in custodia. Tony Dhor è alto circa un metro e ottanta, largo di spalle, capelli corti squadrati freschi di rasatura, gli occhi che, per quanto possano essere di una calda tonalità color cioccolato, non nascondono il fatto di essere occhi da sbirro, vuoti, disillusi. Solo la bocca da un tocco più simpatico a quel viso così serio, rendendolo quasi umano in quei rari momenti in cui mi vede. Forse ha una cotta per me o più semplicemente gli piaccio per come svolgo il mio lavoro, in ogni caso non ho il tempo per stare dietro agli ego dei vari collaboratori.

    Mi verrai a trovare, bambolina? è la voce di Eli Crane, il mio uomo, la mia preda. Mi volto a fissarlo malamente e riesco solo a farlo ridere, mi trattengo dall'alzargli il medio - assegnandomi una grossa quantità di punti per il mio autocontrollo - e rimango un attimo pensierosa, non dovrei incoraggiarlo e quel gesto sicuramente l'avrebbe divertito ancor più. Sei una fottuta spina nel culo. E tanti saluti al ferreo autocontrollo. Saluto con un cenno Tony e me ne torno al mio appartamento, chissà se ricordo ancora la strada di casa.

    Sento degli ululati fuori e mi sveglio di soprassalto, madida di sudore allungo la mano alla tastiera del letto alla ricerca della pistola. No, non dormo mai senza. Accendo la luce e per un attimo perdo contatto con la realtà, cieca e vulnerabile, punto l'arma al vuoto del mio appartamento. Il click del condizionatore mi fa trasalire e mi costringo a rimanere calma, non c'è nessuno dentro. A parte me e le mie piante grasse. Ripongo la pistola nella fondina, una Browning Hi-Power a cui sono molto affezionata, e mi stringo nelle braccia.

    Quando squilla il telefono mi viene quasi un colpo, quando rispondo è Jess, la nuova recluta di Dhor, che mi informa di come Crane non voglia parlare con nessuno se non con me. Quel grandissimo bastardo. È un pensiero, un attimo appena e già mi sto rivestendo, pronta per ricominciare. Non ho idea di cosa voglia esattamente, ma se era necessaria la telefonata per farmi presentare in stazione di polizia, allora la situazione era stressante. Allungo la mano ad afferrare il piccolo contenitore sul comodino, mi verso nella mano due pillole e le butto giù di colpo, solo qualche attimo e poi sono pronta ad andare.

    Volevi me, Crane, adesso sono qua. Parla! Iniziai direttamente senza lasciare spazio alla gentilezza e professionalità, quando cominciò a parlare di come quella famiglia uccisa, ritrovata poi pezzo dopo pezzo nel bosco dietro la loro casa, era stata opera sua, cominciai a incazzarmi. Di solito non lo facevo mai, ma avevo visto le foto di quelle persone da vive ed ero stata sulla scena del crimine a inzupparmi le scarpe di sangue, fanghiglia e schifezze varie, vomitando un paio di volte a fine giornata. Era l’ultima serie di omicidi che aveva compiuto quell’animale e solo dopo quasi cinque ore dopo, Dohr riuscì a fargli confessare gli omicidi di venti persone, tranne il primo. Su quello si era impuntato, continuava a ribattere che non era stata opera sua, almeno non completamente. Era stata uccisa una ragazza poco fuori il campus universitario, Siri Dahl, brillante studentessa di teatro e stella nascente della squadra di ginnastica artistica universitaria. Stava tornando all’alloggio quando era stata avvicinata e rapita. Venne trovata due giorni dopo, completamente martoriata e mutilata in più parti, come se fosse stata sbranata da qualche animale - forse più di uno. Le indagini e l’autopsia rivelarono che era stata violentata più volte sia nelle prime ore del rapimento che tra una tortura e l’altra, probabilmente anche il cadavere della ragazza era stato abusato.

    Quella? Non era niente di che, non è stata opera mia, non solo almeno. Voglio il merito per la mia arte ma sono umile, quando non è roba mia non posso prendermi il merito, ho una mia etica, sai bambolina? La frase mi colpì al petto, probabilmente fu la prima volta che mi lasciai andare a quel modo in un interrogatorio, mi alzai dalla sedia di colpo e con un movimento fluido e rapido, scavalcai il tavolo per gettarmi al collo di quello con tutta l’intenzione di soffocarlo. Aveva le manette, bloccato al tavolo che lo teneva fermo e sarebbe stato solo questione di secondi prima che potessi finalmente ottenere quello che volevo. Avevo poggiato le mani attorno al suo collo e stavo stringendo con tutto l’intento di spezzargli o quanto meno schiacciargli la trachea, quando mi sentii presa di peso dalla vita e tirata indietro: era Dhor con il suo secondo, Tore Bourgeois, poliziotto simpatico e affabile, franco-norvegese e dalla stazza possente, quasi quanto tutto il resto dei poliziotti della centrale.

    Venni portata fuori dalla stanza senza troppi complimenti, con quel cane di Crane che rideva gracchiando. Ho ancora la sensazione sotto le dita della sua gola, solo pochi minuti e avrei avuto una giusta vendetta. Mi dimenai urlando insulti vari, prima che Bourgeois abbandonò i convenevoli e cominciò a scuotermi per farmi riprendere. Forse fu tentato dal posarmi qualche ceffone ma non era professionale e lui, alla sua etica ci teneva parecchio. Il tempo di riprendere fiato e rendermi conto dell’enorme cazzata che la porta si riapre e Dohr esce fuori, l’aria attorno a lui era elettrica come se potesse far scoppiare una tempesta col semplice pensiero. Non bastò altro e me ne andai, avevo compromesso un’indagine e quando mi incamminai verso l’uscita circa un’ora dopo, passando davanti le celle, sentii distintamente un “ci sentiamo più tardi bambolina!”, non c’erano dubbi sulla voce.

    Quando tornai a casa, in automatico avviai la segreteria, il primo di tutti i messaggi era l’ultimo che mi aveva lasciato Siri, “Ehi Dadi, ti aspetto alle 19 fuori la palestra ok? Devo tornare in campus per quella relazione hai presente? Non darmi buca come tuo solito, ti amo!” Era sempre strano sentire la sua voce, ma non avevo il coraggio di cancellarlo, era come se in realtà fosse ancora viva e aspettasse me fuori dalla palestra. Il giorno in cui era stata presa sarei dovuta andare a prenderla, ma al solito dopo i miei allenamenti, ero andata in centrale e il lavoro mi aveva assorbito fin troppo tempo, quando provai a chiamarla senza alcuna risposta pensai stupidamente che era uno dei suoi soliti momenti, l’indomani mi presentai alla sua lezione ma nessuno l’aveva vista.

    - Mi sento in colpa quasi sempre.

    Il resto erano i soliti messaggi di lavoro, mentre lasciavo che il nastro girasse, cominciai a farmi il caffè, stavo per versarmi una tazza bella grande con doppia panna quando una voce roca e sconosciuta lasciò che ogni rumore nella stanza si fermasse, fu riempita solo da un minuto buono di respiro e risatina nervosa, sembrava stare per riattaccare ma la voce misteriosa si lanciò in un discorso, per quanto sconnesso, interessante e sconvolgente.

    - Rakar… Audatia… Urlava il tuo nome mentre…
    Avete sbagliato persona… Questo è merito mio…
    Non suo… Vedrai.
    Cercami… Stevenson, Reiki.


    Rimasi bloccata per un attimo prima di lanciare la tazza al suolo con rabbia e poi raccogliere i pezzi. Reiki Stevenson era il figlio di un magnante petrolifero, arrogante bastardo che si era macchiato di chissà quante nefandezze ma mai era stato trattenuto in una stazione di polizia per più di ventiquattr’ore. Sia per via dei grandi avvocati del paparino, sia per la sua grandissima faccia tosta nel corrompere chiunque potesse andargli contro.

    Presi un grande respiro, erano passati quasi quattro anni ormai dalla morte di Siri, ero riuscita a catturare Crane ma se la voce nella segreteria era davvero di Stevenson e diceva il vero, allora avrei ghiacciato l’inferno pur di prenderlo e ucciderlo con le mie stesse mani.

    Ma dove andare a cercare? Dai fascicoli che avevo, le ultime tracce risalivano al mese scorso in Galles. Cosa diavolo ci facesse lì, lo ignoravo ma tant'è. Probabilmente - anzi sicuramente - dovevo trovare un contatto ma tutti quelli che avevo erano già al fresco lontano dalla città. L’unico ancora in zona era Crane. Forse avrei dovuto chiedere il permesso ma quando cominciai a farmi gli scrupoli di coscienza, ero già in macchina che guidavo verso la stazione di polizia. Chissà perché, non riuscivo ad ascoltare nemmeno me stessa. Mi concessi un attimo di fiato per analizzare la situazione, solo quando spensi il motore. Facevo bene a interrogare un criminale senza la supervisione di almeno un detective? Ovviamente no, ma non avrebbe mai potuto essere qualcosa di buono. Erano i miei problemi, le mie turbe, le mie fissazioni. Smontai dalla macchina e mi avviai all'interno, salutai all'ingresso con la scusa di aver dimenticato di firmare qualche verbale del pomeriggio e nessuno si offrì di accompagnarmi o sorvegliarmi. Deviai rapidamente per le celle e mi fermai davanti quella di Eli, quel fottuto bastardo pareva aspettarmi, seduto sul letto con le mani giunte e la schiena dritta, mi sorrideva divertito. Sapevo che saresti tornata, bambolina.

    ----

    La canzone continua a suonare, sento in lontananza le sue note decise. Mi avevano accompagnata durante la fisioterapia e ogni volta che il medico mi diceva di fare un determinato esercizio mi sforzavo per lei, era una delle sue canzoni preferite. Forse era un segno che dovessi riprendermi con quella, come se mi fosse accanto.

    Cammino lungo la strada e tra i rottami abbandonati delle auto, i rifiuti e le crepe negli edifici, sento quell’odore farsi più forte, è un misto tra sudore, paura, fame e abbandono. Come se sapessi realmente che odore abbia l’abbandono. Sono pronta a qualsiasi scontro ma sembra non esserci nessuno, il cosmo è pronto a qualsiasi attacco, lo sento che ribolle sotto la mia pelle.

    Non trovo niente di pericoloso lungo la strada ma quell’odore è sempre più forte, la canzone sempre più lontana o forse sono io a dissociarmi lentamente. Poi all’improvviso lo vedo: una figura antropomorfa, nera come la notte con qualche spruzzo di pelo e ossa che brillano sotto la leggera luce del giorno, filtrata dalle nubi in procinto di piovere, conferisce all’ambiente una sorta di aura dark – sembra un thriller.

    Mi vede, sembra sorridere crudelmente e si getta contro di me, non è molto forte almeno a quanto sembra a una prima occhiata. Concentro il cosmo e arresto la sua corsa con le ombre che scivolano a bloccargli - e bruciargli – le gambe, mi sibila contro ma non ho paura, non ho nulla da perdere e l’unico mio compito adesso è rendere giustizia alla memoria di Siri.

    Creo delle lingue di cosmo nero e le indirizzo contro le sue braccia, lo costringo ad assumere l’innaturale posizione a X, sforzando e bruciandolo leggermente nei punti in cui il mio potere tocca la sua carne corrotta. Mi avvicino lentamente, vorrei torturarlo nello stesso modo che amava fare lui ma forse gli farei un favore, non ho intenzione di gli concedergli la grazia di una morte rapida.

    ----

    Molde, Norvegia, metà 2013.

    Respiro piano, devo controllare il battito e riprendere la calma. È buio, mi sono lanciata in una corsa contro il tempo per evitare di perderlo ancora, è quasi un anno che gli sto dietro. Dopo quella telefonata e la chiacchierata con Crane, è come se cercasse proprio me per divertirsi. Sono stata tentata dall'abbandonare ogni proposito di cattura e cercare di andare avanti ma non credo che potrei mai perdonarmi il fatto di non essere stata io a prenderlo e a ucciderlo. La polizia sarebbe stata troppo morbida con lui e nel peggiore dei casi, sarebbe uscito dopo nemmeno un anno. I soldi fanno fin troppo.

    Ci sono stati scontri in tutto il mondo, come se contemporaneamente stesse crollando ogni cosa, ogni governo così come ogni certezza di sopravvivenza. Molti vengono spostati in luoghi sicuri, centri controllati dall’esercito per evitare il contagio di qualcosa che non saprei nemmeno definire… zombie? Forse peggio, prende chiunque essere vivente, dagli umani alle piante e persino gli animali. Il pianeta è scosso da terremoti e inondazioni, nessun luogo è sicuro ma a quanto dicono i telegiornali più si è a nord, più possibilità di salvezza si ha. Un mio contatto mi ha informata della presenza di alcuni soldati speciali, forse hanno svolto un addestramento più mirato contro queste cose, fatto sta che riescono a farli fuori senza sprecare interi caricatori. Personalmente, non ne ho incontrato nessuno fin’ora. Ho solo il mio obiettivo e devo riuscire a prenderlo. Per Lei.

    I miei passi sono leggeri, il sentiero è sgombro ma quanto meno riesco ad essere furtiva, la radura in cui mi affaccio però mi mette in guardia e improvvisamente i rumori del bosco si sono spenti. Si sente solo il mio respiro, i miei movimenti, il sangue che circola. Riesco a percepirlo, lo so che è lì, è vicino eppure non riesco a individuarlo. Perché?

    Sento il suo respiro sulla nuca e il momento in cui mi volto, la pistola in pugno, è già troppo tardi. Un piccolo gesto e mi scaraventa contro un tronco dall'altra parte del circolo alberato. Come ha fatto? Sono stordita, mi rimetto in piedi e prendo la mira, barcollo troppo quel colpo mi ha quasi azzerata, la vista mi si offusca e comincio a vederci quasi doppio. Lo vedo un attimo prima del suo scatto, la pistola vomita scintille e illumina solamente per quei brevi secondi. Un ringhio non troppo lontano, davanti e dietro di me, tutto intorno mi avverte della presenza di alcuni lupi. Punto la pistola al suolo, è un attimo prima di sentire un fischio netto, i lupi ululare e la lotta iniziare.

    Mi risvegliai in un ospedale, dolorante, bendata e intubata. Mi feci prendere dal panico ma un’infermiera mi informò che ero stata salvata da qualcuno e riportata in città, avrei dovuto fare fisioterapia oppure sarei rimasta bloccata. Le cicatrici sarebbero sbiadite piano piano ma mai del tutto, soprattutto quella sotto l’occhio, mi portai istintivamente una mano a toccarmi la guancia ma tutto quello sentii fu un gonfiore innaturale e un pizzicare perenne.

    Per quanto mi sforzassi di ricordare, non riuscivo a capire come avessi fatto a sopravvivere, ricordavo di aver svuotato due caricatori e aver lottato con i coltelli per difendermi, prima di perderli. L’unica cosa di cui ero certa era che avevo centrato in testa, con l’ultimo proiettile, Stevenson. L’avevo visto accasciarsi al suolo e dopo la massa morbida e letale dei lupi mi fu addosso. Sorrisi.

    L’infermiera mi diede delle pillole e mi aiutò a inghiottirle, avrei avuto molto da fare per riprendermi. Mi accorsi dopo che alla radio stava passando una canzone familiare.

    ... Face to face, out in the heat
    Hangin' tough, stayin' hungry
    They stack the odds still we take to the street
    For the kill, with the skill to survive...


    ----

    Creo gli artigli neri e lo guardo da poco meno di cinquanta centimetri di distanza, voglio vedere se un briciolo di memoria umana gli è rimasta ma a quanto pare no. Peccato, avrei voluto godere della sua presa di coscienza, nel vedere l’assoluto stupore di quel figlio di papà ormai ridotto a misero agente della corruzione, morire.

    Lo infilzo al petto e lascio esplodere una sfera di cosmo, il suo petto freme e poi esplode in piccoli pezzi appiccicaticci e sanguinolenti. Forse è una mia impressione ma ha sgranato gli occhi in modo fin troppo umano e di quella che dovrebbe essere la sua anima non rimane niente, nemmeno una fiammella. Corrotto fin da quando era umano.

    ... it's the eyes of the tiger
    it's the cream of the fight
    risin up to the challenge of our rivals
    and the last known survivor stalks his prey in the night
    and he's watching us all with the eye of the tiger…


    Sento la canzone quasi terminare e torno alla palestra, dove era partito tutto. Spengo lo stereo con click e prendo il cd, forse sono passati troppi anni da allora, la morte di Siri non l’ho mai superata del tutto ma sono riuscita a vendicarla e almeno le cicatrici che porto sono un segno che, nonostante la natura sia spietata è anche giusta.

    Siri sarà pure morta ma non è mai stata dimenticata. In un certo è come se mi avesse accompagnato sempre. Richiamo le Api del Bosco Sacro, mentre fischietto il motivetto della canzone della mia vita. Frank mi guarda storto ma sembra capire che ho chiuso definitivamente una parte della mia vita, che ho voltato pagina. Non ronza nemmeno infastidito quando gli passo accanto e lo saluto con un cenno. È ora di tornare al Tempio Nero.


    jTpFXa8
    narrato • parlatopensatoparlato altri

    Status Fisico
    Status Mentale
    Stato Darian indossata, integra

    Riassunto Azioni La traccia era atomica, la canzone la amo. Spero di non essere andata troppo fuori tema ma era un'occasione troppo bella per spiegare qualcosina sul bg di Audatia, la lupa mi comincia a prendere sempre più definizione.

    Abilità
    CITAZIONE
    Basic Istinct •
    Il suo rapporto con la natura è stretto, il lavoro e la caccia l'hanno resa più incline al prestare attenzione ai particolari e a sviluppare al meglio i sensi a disposizione. Non sempre la vista mostra per vero ciò che si vede e allora bisogna affidarsi all'olfatto, al tatto, all'udito e a volte persino al gusto. Riesce ad elaborare in fretta gli stimoli esterni di qualsiasi natura essi siano, non come una predizione vera e propria di ciò che sta per avvenire ma più quanto una sensazione molto forte, dando la possibilità di reagire di conseguenza.

    CITAZIONE
    Nera è la notte •
    In tutti i suoi inseguimenti, la parte migliore è stata l'attesa della sua preda al buio. Regolando il respiro, andando a crearsi una bolla di calma interiore, riesce a creare e a manipolare l'oscurità circostante, riuscendo così a prendere di sorpresa o ad attaccare i suoi bersagli. Le ombre possono assumere svariate consistenze e stati fisici e venire plasmate in più di una forma, il loro contatto reca un dolore fisico leggermente maggiore di quanti siano i danni realmente apportati, pur se rilevanti. Le sue ombre scottano, lasciando una traccia di leggera ustione in chi le subisce

    Tecniche ///

     
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