WOA XI: BRING BACK THE '80s

Gabriel

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    Ciao, Gabriel!

    Come puoi ben vedere dal layout, hai deciso di imbarcarti in una vera follia. Infatti mi sento un po' nostalgica, e ho deciso che la traccia di questa woa sarà dettata da una particolare decade che ha influenzato la vita di tutti: I FAVOLOSI ANNI '80.
    Ora, ti ho chiesto di scegliere un numero, e hai scelto il numero 6. Questo è servito a me per determinare l'anno esatto della tua traccia, che quindi sarà

    IL 1986

    Nel 1986 riappare la cometa di halley dopo 76 anni, che si dice portatrice di sventure; infanni nell'anno assistiamo ad uno dei più grandi incidenti nucleari della storia, l'esplosione di un reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina.
    Ma tu non ti occuperai di nulla di tutto ciò.
    Ho deciso che la tua traccia sarà un qualcosa proveniente da quell'anno, qualcosa che nel bene o nel male è passato, a suo modo, alla storia.
    La tua traccia è musicale. Dovrai trarne più ispirazione possibile, perché è l'unico elemento che riceverai.
    Si tratta di...

    You give love a bad name - Bon Jovi


    Il singolo di un album passato alla storia, Slippery when wet. Un testo ben preciso senza tanto senso profondo, ma sicuramente hai il peso di una leggenda. Ne saprai fare buon uso?
    - Prendi spunto dalla tua traccia, solo da quella, e in che modo vuoi. L'anno può entrarci o meno, a tua discrezione, non sarà fondamentale nel giudizio dell'attinenza.
    - Hai tempo fino al 7 Settembre alle ore 20
    - Puoi cambiare la traccia UNA SOLA VOLTA, ma non puoi cambiare l'anno. Puoi decidere di comune accordo con un altro utente di scambiarvi le tracce, ma non si torna indietro. Le richieste vanno fatte nel topic delle WOA.
    - Non c'è limite di battute. Tuttavia sconsiglio sempre di fare una one shot eccessivamente prolissa.
    - Puoi fare TUTTO quello che ti pare usando il tuo pg. Non mettere in mezzo pg di altri a meno che tu non abbia il consenso del giocatore.
    - La tua woa può essere ambientata ovunque e in qualsiasi tempo.

     
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    CRIMSON DEFILER

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    La lancia attraversò il petto di Johanna da parte a parte, fermandosi per attrito a circa della propria lunghezza. L’impatto fu tanto violento che Johanna stessa venne spostata indietro di un paio di metri per inerzia, lasciando una scia di stivali consumati sull’asfalto nell’inconscio tentativo di rimanere in piedi.
    Il suo intero corpo si tese come una corda. Strinse i denti mentre il sapore del sangue, fin troppo familiare, si arrampicava sulla sua lingua. Quando finalmente riuscì a fermarsi tutta la tensione venne meno e si piegò in avanti, vomitando sangue. Uno spruzzo rosso vivo, diretto dai polmoni. Un attacco di tosse la scosse, facendo grattare le costole sulla superficie della lancia. L’intero movimento le fu orribilmente doloroso. Poi si rese conto di essere stata attraversata completamente da una lancia e allora arrivò il VERO dolore. Un colpo perfetto, magistrale. Lanciato con precisione millimetrica al punto da frantumare lo sterno, attraversare cuore e aorta e fuoriuscire dalla schiena, spostando gentilmente da parte il retro del polmone e la colonna vertebrale.
    Sarebbe dovuta morire sul colpo per una infinità di ragioni. O almeno qualunque altro cavaliere al suo posto. Johanna aveva visto partire quel colpo, e aveva reagito preventivamente. O meglio, è stato il suo cosmo a farlo, e i millenni di esperienza codificati in esso mediante la Khala, la rete psionica che collegava tutti i seadragon dei tempi d’oro. Il corallo aveva già creato una incrostazione provvisoria attorno alla lancia e raccolto al volo i brandelli di cuore, mantenendo un minimo di funzionalità cardiaca, mentre il tenuissimo filo di aorta rimasto integro fu utilizzato per crearne un surrogato di dimensioni inferiori.
    Un consumo cosmico sfiancante, ma l’unica vera debolezza di Johanna erano le morti istantanee a cui non poteva reagire. Meglio stanca che morta. Con il sangue che colava copioso dalle labbra e ansimante, Johanna sollevò finalmente lo sguardo, con una smorfia tra l’orripilato e il divertito. Nemmeno lei sapeva bene cosa stesse provando in quel momento, mentre i contorni della sua mente erano dilaniati dal conflitto tra la reazione lotta-fuga e il diniego psicotico.

    Devi fare di meglio se vuoi uccidermi… - Il suo campo visivo era annebbiato, i contorni di Undyne erano sfocati al punto da renderle faticoso il distinguere la sua figura. Come per rispondere a una muta richiesta la telchina avanzò di qualche passo, tornando definita.

    Undyne non rispose. Sibilò e sputò a terra, voltando il capo. Anche dopo un atto di alto tradimento l’onore le impediva di mancare di rispetto al suo generale in quel modo.

    Spero tu abbia preso la giornata libera allora – disse Johanna, chiedendosi poi da dove avesse trovato tutto quel senso dell’umorismo. La perdita di sangue l’aveva indebolita, sentiva le ginocchia deboli e il peso della lancia aggravava le cose. Barcollò verso una parete in rovina e vi si accasciò contro, respirando rapidamente e a fatica. L’unica volta in cui non era uscita da Atlantide con la sua scale indosso era stata anche quella in cui la sua migliore amica aveva deciso di tradirla. Non sapeva dire in che punto finisse la coincidenza e cominciasse il destino crudele. Chiuse gli occhi per un istante, sperando che tutto fosse solo uno strano sogno. Con abbastanza tempo e tranquillità, Johanna sapeva che sarebbe stata in grado di cavarsela da quella situazione, di rigenerarsi abbastanza da potersi rialzare e tornare al suo mezzo, ma aveva già capito che non era quello il caso.

    Riaprì gli occhi quando sentì i passi di Undyne avvicinarsi e sollevò lo sguardo, incontrando il suo occhio destro, l’unico rimasto. Lo vide lucido. Undyne si tolse la maschera isolante che usava quando rimaneva in superficie per lunghi periodi e la lasciò cadere a terra, guardandola di rimando. Johanna sbatté le palpebre, sofferente e disorientata, mentre cercava di decifrare l’espressione della telchina. Sembrava sul punto di piangere. La sua mandibola era visivamente contratta e le sue labbra erano arricciate in una smorfia di profonda sofferenza.
    In quel momento, Johanna si rese conto di quanto poco sapesse in verità di Undyne.
    Si erano conosciute dopo la crisi del leviatano, con il ritorno dei telchini –gli uomini pesce un tempo al servizio di Atlante e poi di Poseidone – nella città sommersa. In principio era solamente stata scelta per fare parte delle sue truppo, diventando poi in poco tempo il suo sottoposto diretto per meriti sul campo. E poi sua amica.
    Da parte sua l’aveva sempre trovata estremamente simpatica ed energica, e non era il tipo da farsi i problemi se una sua amica ha la pelle blu a squame e le branche sui lati del collo. Poi Undyne si era praticamente autoproclamata sua personal trainer, quindi tutto per il meglio. Anche se a volte l’entusiasmo di Undyne l’aveva portata ad esagerare ad esagerare e a dimenticare che Johanna non condivideva la sua mostruosa forza fisica. Quando Undyne la sfidò a sollevare uno dei mezzi militari della sua divisione le esplosero un paio di vertebre. Rigenerate in poco tempo, per fortuna, ma la lezione era stata imparata.
    Eppure, dopo tutto quel tempo, Johanna realizzò che Undyne non aveva mai parlato di sé. Non si erano mai fermate a parlare di come stesse, di come si sentisse. Il suo umore era sempre stato immutabile. Era anzi lei a fare domande continue a Johanna, chiedendole più volte se certe cose che aveva sentito riguardo gli umani nei tempi del mito fossero vere. Aveva una strana ed idealizzata idea degli esseri umani, al tempo.
    Johanna si rese conto di averla data per scontata e una pugnalata di senso di colpa si fece strada nella agonia puramente fisica che la stava consumando. La considerava la sua migliore amica, ma non sapeva davvero chi fosse.
    Doveva rimuovere la lancia, ma in quel momento non ne aveva le forze. Sollevò la mano e la portò all’arma, spingendo debolmente per farla uscire dalla schiena. Se si era mossa di qualche centimetro, Johanna non lo notò.


    Ahio, mi hai infilzata. Ma sei stronza? – Chiese Johanna con un filo di voce, cercando di buttarla sul ridere. Non aveva ancora realizzato il fatto che Undyne avesse veramente colpito per uccidere, un angolino della sua mente pensava ad un accidente. In America succedeva continuamente, prima dell’armageddon. Sai quanta gente ha sparato per sbaglio all’amico vicino al poligono di tiro, bucandogli un piede. Il giorno dopo ci si rideva su.
    Ma Undyne non sembrava avere voglia di ridere. Il suo labbro inferiore tremava, sembrava sul punto di esplodere. Dopotutto, veder morire Johanna non le sembrava soddisfacente come le aveva fatto intendere in un primo momento. Ma nel suo occhio, in fondo, Johanna vedeva ancora rabbia. Una rabbia incontenibile e bestiale. Cercò di allontanarsi un poco, strisciando con il fianco appoggiato alla parete, ma la punta della lancia si impigliò in qualcosa, smuovendo l’intera massa incrostata nel suo petto, facendola grattare contro i polmoni. L’irritazione si arrampicò lungo la sua gola in un attimo, facendola piegare in avanti in una tosse così convulsa da riempirle gli occhi di lacrime e da rompere quanto si era già formato. Un altro fiotto di sangue uscì dalla sua bocca, con abbastanza forza da arrivare oltre i suoi piedi, macchiando gli stivali di Undyne.

    No sei tu la stronza Johanna! – Esclamò d’un tratto Undyne, fendendo l’aria con la mano e chinandosi ad afferrare l’estremità della lancia più vicina a lei. Con una cattiveria poco convinta vi diede uno scrollone. Il metallo si agitò nel torace perforato di Johanna, frantumando ulteriormente la crosta di corallo e facendo ricominciare l’emorragia. La vista di Johanna si annerì per qualche istante. Non sapeva cosa fossero quelle migliaia di spilli in quello che rimaneva del suo cuore, ma ipotizzò fosse un infarto. Un dolore allucinante e bruciante, assurdo. Cercò di urlare ma la sua gola era contratta.
    L’intero circuito cosmico e mentale era incendiato, per usare un termine comprensibile. La Khala, la rete neurale che collegava Johanna ai seadragon passati gridava all’unisono tradimento. Una indignazione così potente da somatizzare nel corpo di Johanna. Accenni di scaglie di corallo comparvero sulle parti più sottili della sua pelle delle braccia. Piccoli artigli sulle dita. Un processo lentissimo, dato il poco cosmo stanziato per ciò che non fosse il mantenere in vita Johanna, ma inevitabile. Syphon le urlava di alzarsi e uccidere all’istante la telchina, macchiatasi di ALTO TRADIMENTO, attaccando un supremo ufficiale di Atlantide per motivi non ancora chiari. Ma mentre a quegli uomini di altri tempi e altri onori non poteva interessare il motivo, Johanna li voleva sapere. Voleva capire perché quella che fino a quel momento aveva ritenuto sua amica l’aveva attaccata così di improvviso, durante una rapida visita alla terra ferma. Stavano camminando - Undyne un po’ più avanti di lei – e chiacchierando, quando d’improvviso Undyne si era girata materializzando la sua lancia e scagliandogliela contro, portandole alla situazione in cui si trovavano in quel momento.
    Mentre perdeva sensibilità alla faccia, Johanna pensò come fosse un modo stupido per morire quello. Era sopravvissuta un po’ a tutto nella sua carriera, l’idea di morire per colpa di una amica le sembrava quasi offensiva. Il fatto che non fosse uno spectre era una magrissima consolazione. Aspetta, forse lo era.

    Johanna sollevò la mano e la appoggiò alla lancia. Tutti i muscoli del suo corpo erano contratti mentre il bruciore nel suo petto aumentava. Annaspava. Non riusciva a respirare. Il suo cosmo stava lavorando disperatamente per mantenerla in vita.
    Poi la lancia scivolò fuori, dalla stessa direzione in cui era entrata. Johanna si accasciò all’indietro, scivolando contro la parete che le aveva dato un misero sostegno fino a quel momento. Il cosmo di Johanna ronzò nel suo petto, i polipi in piena azione come una colonia di formiche disturbate da qualcosa. Il buco sanguinolento,i cui bordi erano lievemente cauterizzati dall’attrito violento della lancia e dal cosmo di Undyne, cominciò a richiudersi. Il cuore tornò ad avere un accenno di integrità strutturale mentre il corallo in azione nella sua testa per riparare ai danni dati dal mancato circolo sanguigno le procurò fitte lancinanti. Un po’ d’acqua pura venne mandata in circolo per mantenere il volume. Misure disperate per tempi disperati.

    Johanna tossì sangue per l’ennesima volta, poi si voltò sul fianco, gemendo e piagnucolando per il dolore. Cercò di alzarsi. Era una combinazione assurda di sofferenze. Se Johanna fosse stata capace di certi pensieri, avrebbe desiderato di morire per porre fine a tutto. Ma Johanna non era tipo da desiderare la morte, aveva troppe cose da fare, doveva tornare da Diana. Quella scintilla, quel piccolo pensiero fece scattare la testa di Johanna verso Undyne. Doveva esserci furia nei suoi occhi storti, perché di rimando la telchina la colpì al mento con la parte finale della lancia, facendo scricchiolare la sua mandibola e mandandola nuovamente distesa a terra.
    Ancora stordita Johanna si ritrovò a guardare il cielo grigio e spento, prima che la sagoma di Undyne la sovrastasse. Si guardarono ancora una volta negli occhi, poi Undyne sollevò la lancia sopra la testa, con la punta rivolta verso il basso. La khala vibrava nei circuiti metallici nel suo corpo, ma in quel momento quell’ammasso di carne, ossa e corallo le sembrava così distante, come se fosse sfasato dal suo vero io. Undyne vibrò il colpo.

    Johanna impiegò qualche secondo a capire di essere ancora viva. Batté le palpebre incrostate un paio di volte, nella penombra che il corpo di Undyne gettava sul suo volto. La lancia era conficcata nell’asfalto alla destra del suo viso, così vicino che la lama aveva lacerato la pelle. Sulla sua guancia un grosso taglio luccicava pallido. C’era rimasto poco sangue in giro, se non si contava quello assorbito dai suoi vestiti. Il respiro di Johanna era una serie di piccolissimi rantoli.
    Qualcosa di freddo e bagnato le cadde sul viso rovente. Una lacrima non sua rotolò sulla sua pelle cadendo dal lato opposto della lancia. Undyne stava piangendo, sorreggendosi alla lancia conficcata a terra. Non era una lacrima solitaria, ma un pianto disperato e silenzioso. Johanna vedeva la sua bocca aprirsi e chiudersi mentre chiudeva l’occhio. I suoi capelli scarlatti formavano una coltre attorno al suo viso. La telchina lasciò andare la lancia e arretrò, coprendosi il volto con le mani. Tutto questo non fece altro che aumentare la confusione di Johanna.

    Undyne? – facendo appello alle ultime forze rimaste, Johanna si tirò su a sedere, e con estrema fatica si rialzò in piedi, appoggiandosi con la spalla alla parete. Guardò in basso, sul suo petto. Una crosta provvisoria di corallo aveva già riunito i pezzi di sterno disponibili e aveva cominciato la ricostruzione.
    Un altro sforzo dai… - strinse i denti e bruciò il suo cosmo. I circuiti divennero visibili solo per un piccolo istante, una scintilla di una batteria scarica. Il suo cuore ricominciò a battere in modo più continuo e regolare. Sempre molto debole e lento, ma almeno c’era. Più il tempo passava e meno capiva cosa stesse succedendo nella testa di Undyne. Corruzione? No, non ne dava segno. Inoltre il cosmo che sentiva provenire da lei era immutato, se non estremamente tormentato. Ribolliva e schiumava come una tempesta.
    Johanna mosse un paio di passi seguendo la parete e Undyne sollevò il viso dalle mani, le spalle scosse dai singhiozzi silenziosi. Guardò Johanna con un misto di orrore e paura, l’espressione di qualcuno che si aspetta la punizione per ciò che ha fatto. Forse a buona ragione, pensò Johanna. Ma nelle sue condizioni attuali non era assolutamente in grado di ucciderla o scappare. Doveva guadagnare tempo e approfittare della momentanea confusione di Undyne.

    Perché? – Le chiese Johanna. Undyne si guardò le mani, come se non fosse completamente certa di quello che era appena successo, di quello che aveva fatto. Poi guardò Johanna.
    Io…ho tradito Atlantide…ho attaccato un sacro generale… - la realizzazione si fece strada nel suo volto, assieme ad altra paura - Io..io…non volevo. Mi sono arrabbiata e—è-è colpa tua Johanna!

    COLPA MIA?
    – Gridò Johanna di rimando. La sua rabbia venne stroncata sul nascere da un altro attacco di dolore e tosse sanguinolenta. L’indignazione nel tono di Johanna sembrò offendere Undyne. A quel punto Johanna si aspettò quasi un altro attacco.
    Sì! – Undyne si asciugò l’occhio col palmo della mano – Non hai fatto altro che parlare tutto il giorno dei tuoi amici di superficie, a raccontarmi storielle. Certo alcune erano divertenti ma ogni volta. OGNI. VOLTA. Finisci per parlare sempre di quel soldato di Gea, di come è simpatico, di come è bravo con i bambini!

    Si portò le mani al petto. – Anche io sono brava con i bambini! Che cosa ci vuole a prendersi cura di una capra quando io gioco con Diana ogni santo giorno quando tu sei impegnata! Forse dovresti impegnarti anche tu a prenderti cura di tua figlia!

    Johanna arricciò il labbro. Il suo andirivieni di rabbia e confusione si stava brutalmente sbilanciando in favore della prima. D’un tratto Undyne aveva cominciato a dare di matto, prima la attacca e poi le dice di prendersi cura di Diana? Si staccò dalla parete e batté le mani. Lo schiocco echeggiò nel silenzio irreale, normale di quei tempi.

    Oh certo! Uccidiamo il mio capo perché non passa abbastanza tempo con sua figlia, così si che imparerà a farlo, la cattivona. Sono proprio un genio, io! – Johanna aveva sollevato il mento, guardando Undyne dall’alto in basso, per quanto possibile data la differenza di altezza. Se c’era una cosa che Johanna non aveva MAI sopportato, erano le critiche di chi non si faceva gli affari propri e criticava come si occupasse di Diana.
    Quest’ultimo scoppio di Johanna sembrò avere qualche effetto su Undyne, che si morse il labbro e abbassò lo sguardo, mortificata. Ma Johanna incalzò.

    Che cos’hai in quella testa, i pesci rossi? – Nel frattempo il corallo stava andando a prelevare materiale di riserva in giro per il corpo di Johanna, in modo da poter dare un po’ più di sostanza al sangue che stava tornando a circolare in lei. Riacquistò un po’ di colore, di cui buona parte andò al suo volto, paonazzo dalla rabbia. – Ti farò friggere nella forgia di orialco per questo, stanne certa! Fottuta traditrice! Ti rendi minimamente conto di ciò che hai fatto? Sei la mia seconda in comando e hai tentato di uccidermi!

    Johann continuò ad inveire contro di lei, che abbassò ancora di più il capo e si limitò a subire fino a che Johanna non riprese a tossire in modo convulso, concludendo la sfuriata.

    Vo..volevo dire che. Volevo solo dire che anche io ci so fare con i bambini. Tutto qua. – Undyne si afferrò il braccio destro con la sinistra, incerta su cosa dire.

    Sono queste le tue ultime parole, Undyne? – Chiese Johanna, raggiungendo il piccolo comunicatore portatile nella sua cintura. A quel punto l’unica cosa rimasta da fare era chiamare soccorso immediato e portare Undyne ad Atlantide per processarla. In virtù della loro forse falsa amicizia, le doveva almeno quello, piuttosto che farla giustiziare sul posto. O forse voleva solo farlo per la soddisfazione personale di vederla in catene ed implorare. Anche se pensandoci, Undyne sembrava abbastanza conscia di ciò che aveva fatto, e non ne era contenta. Aveva detto di essersi arrabbiata. Sospirò, cercando di raggiungere il bottone nella sua tasca inzuppata di sangue con lentezza, senza sembrare sospetta o farla scattare un’altra volta. Non era in grado di sopportare un secondo attacco in quel momento.

    Ti sei arrabbiata perché parlavo di Dennis? – Chiese, cauta. Al nominarlo Undyne sollevò il capo e la guardò. L’occhio iniettato di sangue e i denti appuntiti conficcati a fondo nel labbro inferiore in un estremo tentativo di trattenersi. Diede un pugno alla parete, e questa esplose in una nuvola di calcinacci e polvere. Ci volle fin troppo perché si depositasse, in quell’aria immobile.

    Sì! Non lo sopporto! Non capisco cosa tu ci possa trovare in lui! Non sai neppure se lo vedrai mai più! Mentre io invece sono qui, sono SEMPRE stata qui con te, tutti i giorni! In palestra, in battaglia! Ti sono stata sempre fedele e devota! – Undyne si indicò con entrambe le mani al petto, per sottolineare il suo punto.

    E cosa c’entra? – chiese Johanna, non capendo dove volesse andare a parare la telchina. Undyne si portò le mani al volto con frustrazione, ringhiando a denti stretti.

    RRRGH JAKUL, JOHANNA! Sei DAVVERO stupida come dicono! – Si avvicinò a Johanna, che si mise subito in guardia e allontanò la mano dal comunicatore. - La tua forza d’animo, la tua DETERMINAZIONE, il tuo coraggio. Tutte le tue qualità!

    Undyne scosse la testa, guardando altrove, con un accenno di tristezza nello sguardo. – Io ti amo Johanna, Johanna. Da tanto tempo, forse dalla prima volta che ho servito sotto di te.

    Johanna rimase in silenzio. L’improvvisa e inaspettata, almeno per lei, dichiarazione di amore di Undyne la spiazzò completamente. Per un istante dimenticò di essere appena stata trafitta, tanto le era aliena la cosa. Lei non era neppure umana, come poteva essersi innamorata? Come funzionava la cosa? Come funziona per i telchini? Mille e mille domande le saturarono la mente, persino nel Khala era piombato il caos.

    Non scherzare Undyne, non è il momento. – Disse poi, abbassando le spalle stancamente. A quel punto la situazione era piombata nel ridicolo per lei. Era esausta, disidratata e dissanguata, non era il momento per sopportare le battute di una traditrice, stava solo cercando di cavarsela.

    SONO SERIA JOHANNA! – Gridò Undyne di rimando. – Come non lo sono mai stata in vita mia. All’inizio ero contenta così, di amarti nell’ombra. Di guardarti diventare l’eroina di cui Atlantide ha sempre avuto disperato bisogno, fin dalla fine dei tempi del mito. Poi hai cominciato a ricambiare le attenzioni che ti davo. Ne eri contenta, mi piaceva farti sorridere. Poi è arrivato LUI. E mi hai abbandonata come uno straccio lurido! Come se non ci fosse mai stato niente tra di noi!

    Dal tono angosciato Undyne era passato nuovamente a quello furioso, ma si fermò quando vide lo sguardo di Johanna. Duro. Inamovibile. Una pressione tale da costringerla a zittirsi nuovamente e distogliere lo sguardo.

    Tra di noi non c’è MAI stato nulla Undyne. Non mi ero neppure accorta che ti fossi innamorata di me, COME posso ricambiare un sentimento di cui non so nulla. Qualunque cosa tu abbia pensato, è stato solo nella tua testa. Non ho mai pensato che stessimo insieme, ne sapevo che tu lo pensassi. Se davvero credevi questo, hai ragione. È colpa mia.

    Johanna sospirò pesantemente, un po’ più stabile sui piedi. Le sue parole sembravano aver ferito profondamente Undyne, che stava tremando. Le dispiaceva enormemente, forse era davvero stupida come dicono i maldicenti, se non si era accorta che la sua seconda si fosse innamorata perdutamente di lei. A quel punto comprese il suo astio verso Bieffe. Era gelosa, una gelosia possessiva nata dal credere di essere l’unica nel cuore di Johanna, che in verità non aveva mai pensato ad Undyne in quel senso. Semplicemente non era il suo tipo, e a costo di apparire ristretta di vedute, le piacevano solo gli uomini. Umani, tra l’altro. Per quanto si sforzasse in quel momento, non riusciva in nessun modo a immaginarsi con Undyne in un contesto romantico. Undyne cadde seduta, come un panno gettato al suolo, senza forza o sostanza.

    Capisco…Voi umani siete…complicati. E meravigliosi. Ed ero davvero contenta dell’idea di essere la tua favorita, la..la tua compagna.
    - A quel punto Johanna non aveva la minima idea di come uscire da quella situazione, quindi la lasciò parlare, attanagliata da una gelida angoscia.

    Poi hai cominciato a parlare di quell’umano, e quando parli di lui il tuo volto si illumina, sembri davvero felice come non ti avevo mai vista prima…e non riesco ad accettarlo. Voglio essere io a farti sorridere così. E hai cominciato a parlare di lui costantemente oggi, di tutti gli aneddoti che ti ha raccontato quella notte…L’idea di essere accantonata per qualcuno che probabilmente non vedrai mai più mi rende furiosa. E questa volta non sono riuscita a contenermi…

    Johanna sospirò di nuovo, con la mandibola contratta. Johanna non era una esperta in amore, aveva avuto un solo uomo in tutta la sua vita ed era stata una unione di comune accordo, senza vero corteggiamento. Semplicemente d’un tratto si sono trovati l’una nelle braccia dell’altro. A ripensarci una fitta di nostalgia le attraversò le viscere. Le mancava suo marito da morire, ma Dennis le aveva fatto sobbalzare il cuore come mai negli ultimi dieci anni. Era innamorata di lui? Non sapeva dirlo con certezza. Aveva visto la luce in lui, quella bellissima scintilla che le faceva dare valore indescrivibile alle cose della sua vita.
    Guardò Undyne e non vide nulla. Solo una donna triste, la cui sofferenza era colpa sua. Un rimorso orribile le danzò nella mente. Pensieri strani andarono a tempo con esso. Un senso di desiderio in contrasto a un senso di dovere.

    ..È stata come una vocina…dentro la mia testa, la mia voce anzi, a dirmi che se non puoi essere mia non devi essere di nessuno. In quel momento mi sembrava giusto, non mi interessava cosa sarebbe successo dopo, visto che non ci saresti stata più. Probabilmente mi sarei uccisa con le mie mani.


    Estrasse un pugnale dalla cintola e ne guardò la lama dorata luccicare nella luce grigia del mezzogiorno.

    Undyne – Cominciò Johanna, avvicinandosi cautamente. – Posso capire come ti senti…ti perdono, ok? Sono ad un punto della mia vita in cui una lancia del cuore non mi fa arrabbiare più di tanto. Ho subito di peggio da gente più cattiva, lo sai.

    Undyne la guardò. - Non voglio essere perdonata, voglio che tu mi ami come io amo te!

    Non funziona così Undyne! Non puoi amare qualcuno e PRETENDERE di essere ricambiata. Si finisce solo per stare male! È così che l’amore si becca una cattiva reputazione! Li vedi sempre, nelle caserme, quei soldati amareggiati che dicono che tutte le donne sono stronze solo perché non li ricambiano! Lo sai quanto mi da fastidio?

    A quel punto i polmoni erano completamente rigenerati. Nemmeno se n’era accorta, ma era grazie a quello che riusciva nuovamente a pronunciare frasi lunghe senza avere attacchi di tosse. Anche il cuore era sulla buona strada. Le ossa delle costole invece venivano lasciate per ultime, con la dovuta attenzione per non fargli perforare nuovamente i polmoni.

    Ma perché non vuoi amarmi? Cosa ha lui che io non potrei mai avere? – Sbottò Undyne, conficcando il pugnale a terra. La lama di orialco penetrò nell’asfalto come burro. Johanna incrociò le braccia, sulla difensiva.

    PRIMO, non ho mai detto di amarlo. Secondo…! – Si fermò prima di dire una ovvietà assoluta, perché per qualche assurdo motivo le era tornato in mente un aneddoto su certe specie di pesci che le aveva raccontato Diana. In virtù di ciò, Si zittì da sola. Undyne si rialzò, con una strana scintilla nell’occhio.

    Ho capito. Posso capirlo, voi umani vivete vite brevi ma intense, è una passione momentanea. Lo dimenticherai in fretta, lo eliminerò e tutto tornerà come prima, e potremo concentrarci su di noi e su di Atlantide. – Chiuse l’occhio e sorrise, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Questo le impedì di vedere il pugno di Johanna, che la prese in piena mandibola e la buttò a terra. Sangue bluastro colava dalle nocche di Johanna.

    Ora basta Undyne. BASTA! Accetta un rifiuto come un’adulta responsabile, invece di fare la pazza! Questo non è amarmi, questo è volermi. Come una cosa! Un oggetto! Non ti interessa cosa provo io…è sbagliato.

    Si abbracciò da sola. Lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi. L’idea di essere oggetto di un amore così possessivo e folle la ripugnava nel profondo. Fino a quel momento aveva sempre ritenuto l’amore il motore primario di ogni cosa nel mondo, la forza invincibile che fa sempre trionfare il bene. L’idea che potesse essere la base di qualcosa di così violento e meschino scuoteva le fondamenta della sua realtà.
    Undyne si era rialzata e balzo su di lei, gettandola a terra.

    Dopo tutto quello che ho fatto per te, dopo avere dato tutto per te, è così che mi ricompensi? Dovevo ucciderti quando ne ho avuto l’occasione! – La voce della telchina era diversa, distorta. Le mani di di Undyne si strinsero attorno alla sua testa, la sollevarono e la sbatterono sull’asfalto. Più volte. La prima botta bastò a rintronare Johanna, già indebolita, e impedirle di difendersi in modo appropriato. Cercò di spingere via Undyne, cercò di graffiarla con gli artigli che erano cresciuti durante la sua ricostruzione come autodifesa inconscia. Penetrarono nella carne del viso di Undyne, sfregiandolo ma ciò non la fermò. La sclera dei suoi occhi da giallo topazio cominciò a tingersi di nero, i suoi lineamenti a farsi più affilati, più ittici che umani. Altri colpi contro l’asfalto, fino a che un sonoro crack echeggiò nel silenzio che le circondava.
    Johanna smise di muoversi.
    J..Johanna? – Undyne sembrò tornare in sé per un attimo. – Johanna? N..Non volevo…mi dispiace…rispondimi Johanna! JOHANNAAA!


    Johanna si risvegliò di soprassalto. L’aria fredda riempì i suoi polmoni e li fece bruciare. Maledì per l’ennesima volta le sue false morti, che stavano diventando una routine fastidiosa. Aprì gli occhi, vedendo il cielo stellato sopra di sé. Un dolore atroce ad un polpaccio la fece scattare seduta, per ritrovarsi faccia a faccia con un qualche animale deforme intento a mangiarle una gamba. Aveva cominciato da poco, non si vedeva ancora l’osso. Lo fece volare via con un calcio.
    Si guardò le mani e il petto, dove il sangue si era coagulato e completamente appiccicato al corpo, rendendola una cosa sola con i suoi vestiti. Poi si guardò intorno.

    Stavolta la ammazzo. – Sussurrò, concentrandosi per rilevare il cosmo di Undyne, per capire se si fosse allontanata o meno. Gamba a parte, il suo corpo aveva completato la rigenerazione. Undyne doveva averla data per morta ed era fuggita. Si alzò in piedi ed evocò la sua scale. Ogni piastra di metallo dorato andò al suo posto, facendola sentire di nuovo intera.

    Giuro che la ammazzo.

    Riuscì a rintracciare il suo cosmo e a seguirlo. Dopo qualche decina di minuti di cammino giunse ad una casupola fatiscente, il cui tetto era collassato. Attorno ad essa numerosi cadaveri di corrotti, uccisi di recente. Riconobbe facilmente l’opera di Undyne in quei corpo maciullati. Entrò nella casa e seguì i suoni che provenivano da una delle stanze. Una nenia incessante di una voce femminile, dalla stanza più buia. Johanna entrò decisa, il suo cosmo la illuminò a giorno. La fluttuazione della energia gettò strane ombre tutto attorno a lei, rivelando Undyne raggomitolata in un angolo.
    Tremava, singhiozzava, ripeteva scuse su scuse, come se Johanna fosse davanti a lei. Chiedeva scusa anche a Diana, a Poseidone, a tutta la sua razza. Poi Johanna lo notò. La corruzione la stava assalendo. Aveva cominciato a deformare il suo volto, rendendola più bestiale. Ma era lei, lo vide nel suo occhio. Era la sua Undyne, ed era spaventata. Ma determinata fino all’ultimo, stava lottando contro la corruzione. Il suo collo era teso.
    In quel momento tutta la sua rabbia svanì, si evaporò, e rimase solo una gran pena per quella povera telchina, che più di ogni altra cosa voleva essere amata. Si avvicinò e Undyne si voltò verso di lei. La sua pupilla stretta a uno spillo.

    No! Tu sei morta! Ti ho uccisa! Sei solo la corruzione che cerca di ingannarmi! – Le puntò contro la lancia, ma Johanna la afferrò e la strattonò via. Della erculea forza di Undyne non era rimasto che un timido tentativo di trattenerla. Si sedette sui talloni accanto a lei, aprendo l’elmo.

    Undyne, sono io. Calma… - Le toccò la guancia, espandendo il suo cosmo ed avvolgendola. Questo sembrò calmarla. Undyne aveva cercato di ucciderla perché la gelosia la stava corrompendo, o la corruzione aveva trovato terreno fertile dopo? La domanda gravò sul cuore di Johanna come un macigno. Decise di darle il beneficio del dubbio. Sperò di non doversene pentire.
    Undyne reagì al contatto, prendendo la mano di Johanna tra le sue, con la devozione che si mostrerebbe ad una santa.

    Sei tu…Johanna mi dispiace…la corruzione ha cercato di prendermi ma ho resistito. Non volevo tradire Atlantide…non volevo tradire te, amore mio. – L’elmo di Johanna si aprì. Prese la testa di Undyne tra le mani e se la appoggiò al petto, avvolgendola con il suo cosmo.

    Shhh… - Le accarezzò i capelli sporchi, cullandola appena. Le cantò una ninna nanna, di quelle che cantava a Diana per farla addormentar quando era più piccola. Il respiro di Undyne si calmò. Dopo qualche minuto Johanna notò come le fattezze di Undyne stessero regredendo a quelle normali, anche se non completamente. Un lato del suo volto rimase visivamente deformato, tradendo facilmente la sua natura parzialmente corrotta. Rimasero così per tutta la notte, e Undyne si addormentò tra le braccia di Johanna. Il suo sorriso stanco fu la prima cosa che vide.

    Sono ancora io. – Disse Undyne, alzandosi a sedere.
    Dopo quanto mi hai fatto penare, è il minimo, stronza. – Johanna la colpì nella nuca con tanta forza da catapultarla in piedi. Entrambe risero, una risata liberatoria, stressata e isterica. Sapevano entrambe che la loro amicizia era stata danneggiata irreparabilmente. Era una sensazione strana, spiacevole, ma addolcita dalla consapevolezza che dopotutto una amicizia c’era ancora. Ma alzandosi in piedi, Johanna si chiese se avesse fatto la cosa giusta, se non avesse dovuto ucciderla quando poteva, invece di credere in qualcosa di soggettivo e volubile come l’amicizia. Mentre guardava Undyne uscire dalla stanza, pensò a come avere almeno qualche certezza nella vita la aiutasse ad andare avanti in quel mondo devastato. Non lo stava facendo per Undyne, ma per se stessa.

    Camminarono lentamente. Undyne aveva recuperato la sua lancia e la stava usando come bastone da passeggio. La porzione di pelle che arginava la corruzione riluceva strana sotto il sole mattutino, chitinosa quasi. Parlarono e scherzarono durante il tragitto, come per esorcizzare i pensieri di ciò che era successo, di ciò che avevano fatto. Una amica nel mondo distrutto era un tesoro inestimabile, ed erano disposte a difendere quella piccola e confortante idea fino alla totale dissoluzione del loro spirito.

    Salirono sul loro mezzo, grande come un piccolo yacht, chiudendosi alle spalle il portellone. Undyne respirò a pieni polmoni l’aria umidificata all’interno del mezzo, dopo un’intero giorno all’asciutto. Lo fece più volte e corse alle razioni d’acqua, reidratandosi. Seguita a ruota da Johanna, che aveva ancora un sacco di volume ematico da recuperare. Mentre Johanna impostava le coordinate per il viaggio di ritorno, Undyne si avvicinò al comunicatore di bordo.

    Qui è Undyne, stiamo tornando, preparate l’ingresso ovest. Allertate le unità di contenimento, sono stata parzialmente contaminata, portatemi immediatamente ai laboratori per essere analizzata a dovere. No NON mi importa che cosa mi succederà, abbiamo l’occasione unica di studiare la corruzione su di un soggetto non aggressivo, non DOBBIAMO lasciarcela sfuggire. – Johanna le strappò il comunicatore dalla mano.

    Sono Johanna, generalessa di Seadragon. Confermo quanto detto dal mio sottoufficiale, è stata contaminata ma ha combattuto valorosamente la corruzione. Ora è completamente cosciente. Chiudo. – Johanna disattivò il comunicatore e lo ripose nello slot della plancia principale. Terminati i preparativi per la partenza, Undyne si congedò.

    Vado alla vasca, Johanna. So che sembra fuori luogo dopo tutto questo, ma se rimango ancora un po’ dentro questa tuta la mia pelle comincia letteralmente a spaccarsi. – Johanna annuì e la guardò sparire dietro una porta scorrevole.
    Mentre l’oceano scorreva davanti all’abitacolo, Johanna raccolse le ginocchia al petto, mordicchiandosi il pollice. Pensieri, pensieri e pensieri. Johanna si tormentò in un vortice di interrogativi, di se e di ma. Il suo respiro accelerò progressivamente, in uno strano nervosismo. Quanto ci metteva Undyne a reidratarsi? Era spiacevole rimanere da sola dopo tutto quello che era successo. Aveva bisogno di compagnia.

    ‘Fanculo – Si alzò di scatto – Fanculo, fanculo fanculo. Fanculo a me, fanculo a Undyne, ma soprattutto fanculo a te, Johanna, brutta stupida idiota. Ti meriti tutte le disgrazie che ti vengono addosso. Te ne pentirai tantissimo.

    Si sfilò la giubba incrostata di sangue per la testa e la gettò di lato, dirigendosi ad ampi passi verso la vasca.
    Fu strano, frenetico e rabbioso, come una canzone rock degli anni 80.




    nYDvwNh

    Johanna Derham
    Sea Dragon [VI] - Energia Blu

    Stato fisico -

    Riassunto azioni - È pesante e noiosa ma già che c'ero ne ho approfittato per mandare avanti la storia della pg :zizi:

    Abilità -

    Tecniche -
     
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