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    W.O.A. IV
    6 WORDS
    ♛ winner: Ravenes ♛

    NANOPOD

    Era solo un pezzo di torta.


    WNKxCWY

    TERMINE ULTIMO: 24 AGOSTO

    REGOLE AGGIUNTIVE W.O.A. VI
    - La frase data come traccia dovrà concludere la vostra opera. Ogni altra conclusione invaliderà la prova che non sarà considerata come in gara. Potrete ovviamente utilizzarla, se desiderate, in altri punti del vostro racconto.
    - L'immagine che fa da sfondo alle parole non deve essere considerata come elemento fondamentale da tenere in considerazione.
    - Talvolta nella traduzione del testo può essermi scappata una parola di troppo per esigenze linguistiche, spero possiate capirmi. Ho cercato in tutti i modi di attenermi alle sei parole, a volte però non è stato proprio possibile.
     
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    Who Dares Wins

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    The ballad of Ethan and Juan

    Las Vegas è una città singolare. Ogni anno, milioni di allocchi e criminali si riversano nelle sue colorate strade in cerca di casinò come api impollinatrici. Perché è quello che fanno, gettano i loro sudati guadagni nella vana speranza di fare il colpo della loro vita, di svaligiare legalmente qualche slot-machine o tavolo da blackjack. Molti di loro sanno bene che il sistema è ben oliato e controllato dagli stessi proprietari delle imprese ma pochi decidono di ascoltare il proprio subconscio, ritrovandosi con le tasche vuote qualche ora dopo e forse con uno stretto cappio al collo e uno sgabello ribaltato.

    Due giovani ladri pieni di talento cercavano di piantare le loro infime radici nei meccanismi di quell'agglomerato urbano di neon e peccato, cercando in ogni modo di evitare le cerchie d'affari delle potenti famiglie mafiose del capoluogo.
    Il processo era semplice e parecchio remunerativo, oltre che assolutamente illegale.
    Si puntava alle zone commerciali delle città, LV in questo caso, dove i container da centinaia di paesi erano accuratamente organizzati per peso, azienda e soprattutto contenuto.
    In poche settimane e con precise e ragionate mazzette indirizzate ai concessionari di mezza città riuscirono a instaurare un influsso concreto, stabile e copioso di denaro riciclato rivendendo a prezzo di fabbrica le vetture sparite dai siti di spedizione.
    Non importava quale vettura: utilitarie, furgoni, berline; qualsiasi cosa andava bene finché generava introiti. Per certi versi era meglio trattare con pezzi meno costosi, se avessero cominciato a esportare pezzi da collezione o rarità varie avrebbero attirato occhi indesiderati.
    Questi due precoci professionisti si chiamavano Ethan e Juan.

    Crebbero insieme nelle difficili zone povere della città di Dallas tra gang afro-americane e individui delle più basse categorie sociali. Ma crebbero bene, crebbero sani, intelligenti e acculturati; almeno fino al diploma. Il meraviglioso sistema universitario americano non permette alla feccia del ghetto di iscriversi ai prestigiosi corsi di economia ai quali il cinico ragazzo texano aspirò per tutta la sua giovinezza. La risposta negativa dei genitori e i suoi recenti piccoli precedenti penali gli fecero imboccare la strada della criminalità, ma il suo intelletto non svanì insieme ai suoi sogni, tutt'altro.

    Juan era un buono. Juan era grosso. Juan era forte. Juan era incredibilmente leale. Il solito ragazzo timido e taciturno, raggiunse i 125 chilogrammi per 2,10 metri d'altezza in maggiore età. L'unico amico sincero della sua vita fu il pallido Ethan che vide in lui un enorme, utile e facilmente controllabile potenziale.

    Dieci anni dopo e con parecchia esperienza alle spalle rimanevano perfetti sconosciuti. Bravi, molto bravi, ma perfetti sconosciuti. I colpi alle piccole banche di contea e banchi di risparmio non servivano a farsi un nome, non che lo volessero, ne avevano bisogno. Erano in disperata ricerca di una soffiata interessante, qualcosa che li avrebbe sistemati per la vita senza doversi appoggiare al sì stabile import/export.

    La vita a Las Vegas è fatta di sfarzo e divertimento, inutile negarlo. Ben presto persino due esperti dediti al lavoro come loro due si fecero corteggiare dalle luci e le tentazioni dei locali. Comprarono appartamenti, negozi, attività. Si circondarono di donne meravigliose e lusso sfrenato, ma non raggiunsero mai la vera felicità, il vero senso di soddisfazione, quella scintilla d'adrenalina che il rapinatore conosceva bene, con la quale viveva. Erano ladri, non truffatori.

    I truffatori inoltre possiedono curiose doti magnetiche. Attirano a se ogni tipo di piantagrane e ficcanaso fastidiosi, come quello che dovettero sotterrare in fretta una fredda notte di Marzo, nell'unico posto dove nessuno si sarebbe degnato di guardare, non per la pericolosità, ma per l'incredibile numero di corpi presenti nella zona. Il deserto. Le sabbie che circondano la città sono disseminate da inquietanti quantità di cadaveri più o meno decomposti, più o meno intatti.

    yM165vV



    15 chilometri da Las Vegas, deserto del Nevada. Ore 22:34, Giorno 1

    “Ci sono un fottìo di buche nel deserto, e in quelle buche ci sono sepolti un fottìo di problemi. Solo che lo devi fare bene. Insomma devi aver già scavato la buca prima di presentarti con un pacco nel porta bagagli, se no si parla di scavare per mezz'ora, quarantacinque minuti, e chi lo sa chi si può presentare nel frattempo. In quattro e quattr'otto ti tocca scavare altre buche e cazzo ci puoi restare tutta la notte.”

    Juan roteò gli occhi al cielo stellato, entrambi circondati dallo spettrale silenzio delle secche distese. L'unica luce proveniva dai fari della grossa berlina blindata con la quale svolgevano le loro mille mansioni quotidiane, gestivano le attività e controllavano i conti in giro per i quartieri.

    “So come si scava una buca Ethan, ogni volta con sta troiata da sapientino del cazzo, se non mi pagassi peggio di un calciatore ti avrei già spaccato quella faccia da schiaffi tempo fa.”

    L'uomo più esile, in giacca e cravatta, osservava l'amico mentre scavava quella profonda fossa seduto sul cofano del veicolo con una corta sigaretta in bocca. Senza un sorriso neppure accennato rispose prontamente:

    “Sì, sei bravissimo a usare la vanga, un carpentiere nato. Ciò che non sai fare è controllare i tuoi fottutissimi istinti da animale selvaggio il quale sei. Potevi ficcargli un proiettile in gola allo stronzo, potevi spingermelo addosso e mi lasciavi usare la corda di pianoforte ma nooo il luchador doveva assolutamente lanciarlo giù di peso dall'undicesimo piano vero? Dovevi riempire di budella il vicolo dietro all'Hotel vero? Cosa avrei dovuto fare se fosse finito in strada? Hai una vaga idea di quanti favori avrei dovuto utilizzare per cancellare il casino che tu avresti potuto fare?”

    Juan scavava ligio e silenzioso, azzardando una piccola risposta in auto difesa.

    “Sapevo che c'era il vicolo di servizio, altrimenti non l'avrei fatto.”

    “Ah ma allora sei proprio un coglione! L'hai proprio voluto fare, eri conscio del fatto che avresti fatto una cazzata ma l'hai fatta lo stesso! Meraviglioso!”

    Slittò giù dal cofano per andare a calciare arrabbiato uno pneumatico facendo ondeggiare leggermente la carrozzeria, sputò con disprezzo la sigaretta finita sulla scura sabbia, aprendo poi il fortunatamente capiente bagagliaio, storcendo immediatamente il naso.

    “Gesù Cristo Juan ma gli hai dato anche la rincorsa a sto tizio? Sembra il chili che faceva tua madre, ma con troppe ossa di mezzo. Spera che i giornali abbiano isolato bene perché se trovo una sola macchia di sangue qua dentro te la faccio leccare. La prossima volta che un poliziotto ci scopre lo immobilizzi, poi mi chiami! Che qua devo tenere insieme la baracca da solo se non vogliamo farci trent'anni a Guantanamo.”

    “Siamo ancora nelle liste FBI? Pensavo ci avessero accantonato quei frustrati.”

    “Sono più attivi che mai, e se non facciamo qualcosa la McGuire è anche capace di metterci un sacco in testa quando meno ce lo aspettiamo e tanti saluti agli affari.”

    “Elizabeth? Quella del liceo?”

    “Quella lì, almeno lei ha fatto carriera, dall'altra parte della barricata ma pur sempre carriera. È stata assegnata al nostro caso a causa delle precedenti informazioni in suo possesso riguardo al nostro background. Sa tutto di noi Juan, ed è intoccabile.”

    “Dubito sia antiproiettile socio.”

    “Non per quello, se quella muore ci salteranno addosso tanti di quegli sbirri da riprodurre un fottutissimo colpo di stato, è il suo unico caso al momento e noi siamo gli unici uccelli nel mirino.”

    Fece rotolare grugnendo il corpo per terra avvolto da mezza dozzina di lenzuola, rilassando finalmente le già basse sospensioni della vettura. Utilizzando la corda da tenda già attorno al collo del fagotto lo trascinò fino alla buca che l'armadio sud americano aveva appena finito di scavare.
    Con un tonfo il cadavere cadde preciso al suo interno. Prese anche lui una pala e cominciò ad aiutare l'altro nella procedura di copertura del baratro funerario.

    Un lavoretto veloce e senza intoppi, come piacevano a lui. La berlina puzzava ancora di sangue fresco, costringendoli a tenere aperti i finestrini per tutto il viaggio fino alle rispettive abitazioni.

    “Juan, ci sono tre modi di fare le cose qui: il modo giusto, il modo sbagliato e il modo in cui le faccio io. Se Rothstein ha ben deciso di venderci al miglior offerente io ho ben deciso di ritornargli la merce. Potremmo fare una soffiata alla polizia, potremmo rovinargli gli affari in cento modi diversi, li ho proprio qua davanti agli occhi che mi passano davanti come saette. Oppure dico che possiamo andare nel suo casinò del cazzo e fargli mangiare così tanto piombo da renderlo un falso di Picasso.”

    Il messicano scrollò la sigaretta fuori dal finestrino, entrambi odiavano sporcare il portacenere della BMW appena consegnata dalla Germania, ci misero giorni a capire come cambiare la lingua del navigatore.

    “Chiamo Consuelo delle pulizie, ci deve un favore dopo che le abbiamo venduto la casa a prezzo stracciato.”

    “Lo vedi perché sei mio socio? Ricordati di ringraziarla per quel polpettone di settimana scorsa.”


    yM165vV




    Retro dell'Imperial Casinò, Las Vegas. Ore 23:00, Giorno 1

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    Rolling Stones - Can't you hear me knocking



    Ethan aprì il bagaglio posteriore, fece scattare due piccole serrature nascoste e rimosse il finto fondale rivelando un piccolo arsenale portatile.
    Si accese un'ultima sigaretta mentre la signora di mezz'età vestita da operatore sanitario li osservava poco sorpresa, era fin troppo abituata a vedere regolamenti di conti tra gli abitanti meno ragguardevoli della contea.
    Di buona lena i due uomini caricavano pistole e mitragliette, abbastanza piccole da poter essere nascoste facilmente sotto i vestiti. Juan, grazie al suo fisico imponente, riuscì anche a nascondere un corto canne mozze sulla schiena, fermato da una cinghia.

    “Pronti? Pronti. Grazie Consuelo, apprezziamo veramente il gesto. Ben presto questo posto subirà un forzato cambio di gestione.”

    “Ethan caro, qualche mafioso in meno in questa città non farà altro che bene, non c'è bisogno di ringraziarmi; state solo attenti a non farvi ammazzare.”

    Superarono la porta tenuta aperta dalla signora annuendo velocemente, ritrovandosi poco dopo nel corridoio che collegava l'ufficio della direzione con la stanza conteggio. Non avevano bisogno di soldi, non avevano bisogno di morti inutili, volevano solo liberarsi di una spina nel fianco.
    Due sole guardie fuori dalle grosse porte di mogano intente a vantarsi a vicenda delle foto dei propri figlioletti sui cellulari.

    Il più snello dei due ladri si piazzò di fronte a loro, provocandogli un coccolone.

    “Scusate, sapete se questo è l'ufficio del direttore?”
    Tentarono di estrarre le armi ma i loro crani impattarono a velocità tale da provocare a entrambi gravi emorragie cerebrali grazie a Juan che apparve dietro di loro facendoli cozzare con le enormi braccia.
    Con un potente calcio l'entrata alla stanza si spalancò violentemente, Ethan passò sotto al braccio del collega con rapida eleganza, piantando due proiettili accuratamente silenziati alle guardie del corpo in piedi accanto all'esagerata scrivania.
    Oltre ai due nuovi cadaveri nella stanza erano presenti solo quell'uomo sulla cinquantina coi capelli laccati e un vecchio texano vestito da cowboy, con tanto di stivali fibbiati e cappello ridicolo.
    Il primo era sicuramente Sam Rothstein, l'altro... L'altro non aveva importanza.
    L'ebreo già sudava copiosamente ancor prima di aprir bocca, respirando velocemente e rischiando l'arresto cardiocircolatorio a causa dell'improvvisa tachicardia causata da una doppietta mozza a pochi centimetri dalla faccia.

    Juan teneva sott'occhio il boss, Ethan passeggiava per l'ufficio giocherellando coi vari souvenir e soprammobili. Tenendo in mano un finto Fabergé si avvicinò lentamente al grassone del sud sul divano di pelle, muto come una roccia e tremolante come una foglia.

    “Signor Powell, ho tentato di contattarla negli ultimi giorni ma diamine è più facile parlare con il Presidente.”

    Rothstein, visibilmente scosso tentò di tagliare corto: “Bennet so perché sei qui, abbassa le armi e non fare cose per le quali potresti pentirtene.”

    “Tu chiudi quella fogna, schifoso verme newyorkese. Anche tu hai avuto tutto il tempo del mondo per evitare di venderci agli sbirri. La prego di scusarci signor Powell, come ho detto avevo intenzione di “parlare” anche con lei, sa... Riguardo i miei soldi, quelli che ho investito in quelle azioni e che poi sono magicamente scomparsi? Li ricorda sì? Ecco credo di rivolere i miei soldi.”

    Michael Benedict Powell nacque cinquantasei anni prima nella stessa città del giovane ladro, spiegando così la curiosa similarità d'accenti. Sovrappeso dall'infanzia, non è mai stato bravo ne a gestire lo stress ne il denaro degli altri.

    “Ah..ahahah signor Bennet... Le avevo spiegato che sarebbe potuto succedere, i mercati sono imprevedibili, le aziende azzardano e si ritraggono, ne avevamo parlato ricorda? E... E poi cosa vorrebbe fare, ricorrere alla violenza?”
    Si asciugò a lungo la fronte con un fazzoletto di lino mentre ridacchiava falsamente, evitando il contatto visivo con l'uomo.
    Ethan d'altro canto decise di sedersi al suo fianco prendendosi qualche secondo per mettersi comodo sulla finta pelle di mucca, portando un amichevole braccio attorno alle spalle del connazionale.

    “Sa, credo che si sia fatto un'impressione sbagliata di me. Credo, in tutta franchezza, che dovrei spiegarle esattamente cos'è che faccio. Per esempio domani mattina mi sveglierò molto presto, farò una passeggiata fino alla banca, verrò a trovarla e se lei non ha pronti i soldi per me io quella testa di cazzo gliela spacco in due davanti a tutti quelli della banca. E quando io starò per uscire di galera, se tutto va bene, lei starà per uscire dal coma e indovini un po'? Le spacco di nuovo quella testa di cazzo, perché sono uno stronzo di merda, non me ne frega della galera. Questo è il mio lavoro. È questo che faccio.”

    Powell chiamò istintivamente il nome dell'unico alleato presente al momento, facendo scattare nervosamente in piedi il rapinatore che grazie a lui tornò come una scheggia sull'argomento principale.

    “Sam! Sam, giusto. Sam, perché hai cercato di fregarci? Credevi davvero che un detective solitario sarebbe riuscito ad incastrarci? Ho controllato la sua macchina fotografica, nulla. Non è nemmeno riuscito a beccarci con le mani nel sacco, e chissà quanto l'hai pagato questo detective amico mio.”

    Il volto dell'ebreo cambiò esprimendo prima paura, poi pura rabbia. Si costrinse a parlare a denti stretti per non urlargli in faccia.

    “Tu. Tu figlio di puttana, tu hai comprato insieme al gorilla del tuo amico l'unico terreno rimanente in questa città dimenticata da Dio abbastanza grande da ospitare un casinò degno di tale nome. Abbiamo oliato gli appalti per mesi prima che tu arrivassi e sganciassi una somma esagerata. Cosa diavolo vorresti farci? Una pista per i go kart!?”

    Entrambi gli intrusi ridacchiarono strofinandosi il mento.

    “Beh socio non è una cattiva idea, potremmo metterci una bella piscina in mezzo, così facciam pagare doppio il biglietto.”

    “Diamine Juan sei un genio, non ci avevo minimamente pensato al circuito. Domani contattiamo subito gli architetti. Quanto a te Rothstein, sei arrivato alla tua fermata.”

    Un veloce cenno col capo, un disperato e pietoso urlo inumano. Il cervello del direttore del casinò andò a colorare di rosso il nero vetro antiproiettile e insonorizzato dell'ufficio. Almeno qualcosa, quel giorno, fu dalla loro parte.

    “Hai premuto entrambi i grilletti?” Juan grugnì “Allora prendi entrambi i bossoli e ficcaglieli in bocca. Quanto a te panzone ascolta bene cosa fai. Tu ora scatti fuori da questo posto, alla porta giri a destra e cominci a dire a tutti i tuoi schifosissimi amichetti che Ethan Bennet-”

    “E Juan Sanchez.”

    “E Juan Sanchez non si fanno prendere per il culo da nessuno in questo cesso di paese, claro? Sparisci.”

    Eseguì l'ordine alla lettera, piagnucolendo nel mentre.

    “Ce la prendiamo tutta sta minchia di città Juan. Non un metro quadro in meno.”
    Trionfanti uscirono dal retro spalancando la porta a due mani, come se entrassero in una sfarzosa sala da ballo. Altro non era che il solito vicolo, con la solita automobile.
    Con un sadico sorrisetto sulle labbra andò a sbloccare la vettura con il classico doppio suono elettronico. I vicoli di Las Vegas son bui di notti, raramente è presente una sufficiente illuminazione e ciò li rende perfetti per svolgere qualsiasi affare losco di cui si ha bisogno. Informazione importante che i due dimenticarono, ancora scossi dall'adrenalina. Dal nulla apparvero e il nulla gli fecero vedere, mettendo due pesanti sacchi di iuta neri sulle teste di Juan e Ethan, che cominciarono subito a dimenarsi. Un secondo dopo vennero entrambi folgorati da un pungente dolore dietro al collo, quel tipo di dolore che solo un grosso ago da operazione può causare. Dieci secondi più tardi persero completamente i sensi.

    yM165vV



    Luogo sconosciuto. Ore 06:30, Giorno 2

    “Wakey wakey boyos. It's daytime, you know.”
    No, il risveglio non fu dei migliori, il pesante sonnifero non gli permise nemmeno di dimenarsi o lamentarsi, si arresero con disgusto all'improvvisa luce loro offerta una volta rimossi i sacchi con violenza.
    L'ambiente attorno a loro puzzava di chiuso e carburante, ma l'aspetto era tutt'altro che coordinato.
    Erano seduti a un'enorme ed elegantissima tavola di pregiato legno antico, adornata soltanto di un sobrio centro tavola ricamato. I muri, ricoperti di tessuto bordeaux, erano adornati di meravigliosi quadri più o meno famosi, ma incredibilmente riprodotti.
    A capotavola un anziano affiancato da una strana figura con in volto una strana maschera da samurai rosso cangiante.

    “Non sono falsi, quello è un Van Gogh, quei due sono veloci sketch di Picasso e il pezzo dietro di te è uno studio di Leonardo. Li ha collezionati la mia famiglia nel corso dei secoli nell'unico modo che tu Ethan, spero mi concederai il Tu, conosci.”

    Confuso e semi-lucido il texano azzardò una poco ispirata risposta ironica “Non l'avevo ammazzato da neanche cinque minuti che già mi siete saliti addosso, voi mafiosetti siete incredibilmente permalosi.”

    Il wannabe samurai scattò in piedi a velocità allarmante con la mano già pronta sulla katana fino a quel momento nascosta dal suo fianco e dalla penombra della stanza; con un pacato cenno della mano l'anziano lo mise a cuccia senza pronunciare parola. L'inquietante maschera bellica non si staccava un secondo dai due.
    “Il mio nome è Laurent Maurice LeBlanc, nipote di Maurice LeBlanc.”

    “Lo scrittore?” domandò Juan. “Silenzio!” urlò il samurai.

    “Lo scrittore.” rispose tranquillo Laurent, continuando a mangiare a minuscoli bocconi la sua scarna e singolare colazione composta da una singola fetta di roastbeef contornata da mezza patata lessa.

    “Mio nonno fu il più grande esponente della mia nobile famiglia. Probabilmente voi lo avrete studiato a scuola per il suoi lavori sul leggendario personaggio Lupin. Sempre se le scuole americane insegnano anche cose buone riguardo al resto del mondo.” Il sottile accento francese accompagnava una voce flebile e soave, quasi rilassante. “La sua attività di scrittore era solo un hobby portato avanti tra un lavoro e l'altro, e per lavoro sapete benissimo cosa intendo. I suoi romanzi non sono nient'altro che pagine di un lungo diario scritte con un nome diverso. La famiglia LeBlanc è la migliore famiglia di ladri professionisti mai esistita e mio nonno era spanne sopra il resto dell'albero genealogico. Divenne una fiaba raccontata da ogni anarchico e criminale del globo, divenne l'incubo delle forze di polizia di ogni nazione, che fecero salti mortali per nasconderne la fama. La cosa più divertente è che non venne mai catturato e mai trovarono prove riconducenti a lui.”

    Ethan e Juan si guardarono più seriamente faccia a faccia, l'effetto dell'anestetico stava finalmente dissolvendosi.
    “Questa è una storia tanto interessante quanto improbabile signor LeBlanc, cosa c'entra con noi?” Era palese che al vecchio di Rothstein non poteva importare minimamente del mafioso americano, tanto meno del Casinò.

    “Arrivo al dunque, che con voi giovani d'oggi non si può conversare più di nulla.” Sorseggiò compiaciuto un po' del buon vino nel calice posto perfettamente al centro della tovaglietta di seta.
    “Nel corso degli ultimi trent'anni, utilizzando l'eredità dei miei avi e le mie conoscenze ho instaurato una società ad alto livello di segretezza che amo denominare “Arsène”. Tale organizzazione è composta da poche decine dei migliori ladri e rapinatori oggi viventi, con singola eccezione per il posto dedicato a mio nonno, il quale possiede anche una sua maschera, caratteristica che accomuna tutti i membri, me compreso. Ovviamente, mangiare mascherati è leggermente contro producente, vogliate scusarmi.
    Il mio fidato collaboratore qui accanto, Shinsuke Watanabe, una volta era come voi un uccello smarrito, un pozzo di talento sprecato e gettato nei rozzi ranghi di... Come diavolo si chiama... Ah, la Yakuza. Io mi sono ripromesso di reindirizzarlo sulla buona strada, quella che permette di guadagnare cinquanta milioni di dollari in centrotrenta secondi. La conoscete sicuramente anche voi, ammiro i vostri colpi alla First World Bank e al museo di Copenaghen, lavori fini ed eleganti, come il vestito che indossate. Lo apprezzo, almeno non dovrò vestirvi io. L'unica cosa che siete tenuti ad indossare durante il lavoro saranno le maschere.”


    Un cameriere vestito quasi solo di nero apparve dal buio con un grosso vassoio, Scoprendolo con un elegante gesto della mano, portò alla tenue luce dei lampadari due maschere inquietanti tanto quanto quella del giapponese.

    “La maschera viola cernierata è per te Ethan, il viola è il mio colore preferito, per me rappresenta l'avarizia, ma anche il lutto. Ti donerà tantissimo; la cerniera rappresenta il fatto che devi chiudere quella dannata bocca se non vuoi cacciarti in guai peggiori di quelli in cui sei già, nel futuro.”

    Aveva ragione, in quel momento aveva alle calcagna la totalità delle famiglie mafiose di Las Vegas, persino quelle in guerra si allearono temporaneamente per dargli la caccia.

    “Tu Juan avrai la maschera di Calaca, ti ricorderà il tuo paese natìo e soprattutto ti rammenterà di rimanere giusto nel tuo cuore. Voi due non avete mai ucciso innocenti, e questa è una cosa buona.”

    “Nessuno ha chiesto loro di venire coinvolti, ci occupiamo solo di chi ci ostacola.”

    Il vecchio annuì compiaciuto “Ciò che voglio da voi è che diveniate membri a tutti gli effetti della Arsène, diventerete Zipper e Calaca, sparirete dalle anagrafi, smetterete di esistere come le precedenti persone a cui siete abituati essere, diverrete mie nuove braccia. Diverrete le persone che svaligeranno il Golden Grin Casinò.”

    Quasi caddero dalla sedia, persino Shinsuke roteò di scatto la testa verso il suo capo.

    “Il Golden Grin? Mi sta prendendo per il culo? È impenetrabile quel caveau, lo sa bene anche lei.”

    “Linguaggio Ethan, Manners Maketh Man. Ricordalo sempre. Non siamo ladruncoli di quartiere, siamo gentiluomini. Comunque, c'è una falla nella sicurezza nel Golden Grin. Ogni martedì il cambio delle guardie ha un ritardo temporale di trentacinque secondi, lasciando la porta d'entrata ai piani inferiori aperta per tale tempo. Dato che le guardie cambiano azienda spesso per evitare spese eccessive l'entrata non è nemmeno protetta da scan della retina o laser. Se riuscite ad avvicinarvi entro lo scadere del tempo, neutralizzare e nascondere le guardie sarete alle porte del caveau in men che non si dica.”
    Sin dalla ripresa di coscienza il texano tentò in tutti i modi di liberarsi dalle manette d'acciaio che lo tenevano imprigionato alla poltrona, riuscendoci in silenzio poco dopo la fine della spiegazione. Purtroppo, qualcuno lo aveva scoperto molto tempo prima, lasciandolo fare. Il suono del meccanismo della pistola e il freddo metallo della canna fecero trasalire Ethan per qualche secondo quando un'altra figura apparve dietro i due ladri. Una donna sul metro e settanta, snella al ventre, dai fianchi formosi e con una maschera da lepre bianca si introdusse con voce allegra e sicura. In totale contrasto con i due grossi cerchi bui che le facevano da occhi.

    “Avevi ragione Laurent, ci sa fare.”

    Il vecchio sospirò paziente. “Lei è Hare, l'esperta informatica selezionata per il lavoro. Rimarrà a bordo per tutto il tempo dell'operazione, che avverrà domani notte a mezzanotte in punto.”

    “A bordo? Esattamente, dove siamo?”

    “A bordo del mio Mriya privato, ovviamente.” sorrise compiaciuto sottolineando le numerose rughe tenendo i polpastrelli della mani uniti davanti alla bocca.

    In quel momento Ethan e Juan captarono in un istante la reale capacità economica di LeBlanc e dell'Arsène di conseguenza.

    “Come la dividiamo la torta?” “Cinquanta milioni.” Ethan spalancò la bocca, Juan respirò affannosamente. “A cranio.”

    “Madre de Dios.”.

    Ci fu qualche secondo di silenzio mentre la donna riponeva la semiautomatica nella fondina nascosta dietro la giacca grigio scuro. Un leggero colpo di tosse, probabilmente dovuto alla vecchiaia, e Laurent continuò a esporre le istruzioni, questa volta andando leggermente nel macabro.

    “Desidererei inoltre il più basso quantitativo di vittime innocenti. Comprendo che l'adrenalina sarà copiosa e che molte cose possono andare storte ma ricordatevi dei civili per favore, ponete attenzione anche ai normali poliziotti canadesi, non sono abituati a così tanta azione e molti di loro hanno il college dei figli da pagare. Se vedete uniformi FBI invece, non esitate a riempirle di piombo.” Hare e Menpo, nome in codice del giapponese, rimasero in silenzio acconsentendo agli ordini del loro superiore, solo gli ultimi arrivati Zipper e Calaca inarcarono le sopracciglia risultando parecchio dubbiosi sulla logica della situazione.

    “Dovete sapere che per ogni eroe esiste una nemesi, la nemesi di mio nonno era quel...maledetto...infame...inferiore rifiuto d'uomo di Sir. Conan Doyle. Gli rimase attaccato tutta la vita. È a causa sua che non riuscì mai ad avere la Gioconda tutta per se.”

    “Mi faccia indovinare, i romanzi di Homes sono anch'esse pagine del suo diario con nomi diversi.”

    “Cosa? No, assolutamente. Quelle storielle le scrisse nel tempo libero inventandosele di sana pianta. Il mestiere di dottore era solo un'elaborata copertura del suo ruolo d'agente segreto. Doyle è il padre dei secret services mondiali, fu uno dei padri fondatori del MI6 e dell'FBI americano successivamente. Ho conti in sospeso con la sua famiglia da ormai oltre un secolo. Ogni suo araldo deve perire, di atroci dolori, trapassato da tanti proiettili quante le stelle nel cielo.”

    Ethan capì che la discussione stava velocemente sfociando nei deliri di un vecchio pazzo quindi decise di non girare il coltello nella piaga.

    “Un'ultima cosa, poi vi lascio accompagnare alle vostre stanze; la tua ombra, la signorina McGuire, è già sulle tue tracce. La prossima volta se dovete liberarvi di una spina nel fianco fatelo con un silenziatore, non con un canne mozze. I miei collaboratori mi hanno riferito che l'ispettrice è già in viaggio verso la nostra destinazione. Deve avere infastidito parecchi superiori per ottenere la nostra locazione, è molto determinata. Voglio darle un'ultima possibilità, quindi tu andrai a farci una veloce chiacchierata per, diciamo, intimarla a lasciare stare il caso.”



    yM165vV





    Retro dell'Imperial Casinò, Las Vegas. Ore 23:51, Giorno 1

    Il solito via vai di poliziotti e volanti aveva ormai invaso qualsiasi angolo dell'Imperial. Come in ogni scena del crimine che si rispetti la moltitudine di omini in veste bianca scattava foto e scriveva rapporti, concentrandosi soprattutto sul cadavere trucidato ancora seduto sulla poltrona dell'ufficio, con la porzione superiore del cranio mancante.

    L'ispettrice McGuire, affiancata da un paio di collaboratori, osservava la scena con volto impassibile tenendo al caldo le mani nelle tasche dell'impermeabile. Un paio di poliziotti lì presenti si tenevano un fazzoletto alla bocca in un incredibile tentativo di non sporcare la zona con la cena appena divorata.

    Elizabeth aveva già visto abbastanza merda nella sua carriera da trovare un cervello spappolato su un vetro come normale amministrazione, nonostante la giovane età. Neanche trentenne riuscì a entrare in un'importante unità investigativa del Federal Bureau grazie alla sua eccellente laurea e alle sue brillanti doti teorico scientifiche. Ne catturò a decine, latitanti, assassini, stupratori, truffatori, rapinatori. Chi più importante chi meno ma nessuno, nessuno fu così sfuggente quanto la coppia del giorno di paga, chiamati così perché colpivano banche solo durante la consegna della maggior parte degli stipendi cittadini, in modo da garantire liquidità agli abitanti. Magnanimo, pensò. Ma non abbastanza da garantirgli la grazia, ovviamente.
    Notò i due bossoli in bocca al cadavere. Un numero preciso, chi l'avrebbe trovato, polizia o mafia non aveva importanza, doveva sapere che erano stati loro. Pensò fosse un gesto estremamente infantile e pericoloso, soprattutto proveniente da persone la quale ragione di vita è per l'appunto cancellare le proprie tracce. Probabilmente erano particolarmente arrabbiati con la vittima, un violento regolamento di conti terminato con un ciccione in stato di shock alla centrale. Un'altra cosa che i due sapevano era che il signor Powell soffriva di un disturbo della personalità che lo portava saltuariamente a inventare informazioni o distorcerle come meccanismo di difesa in caso di pericolo. Mentiva cronicamente per salvarsi la pellaccia. Era in pratica un codardo nato, la sua testimonianza non avrebbe mai retto in tribunale, la difesa l'avrebbe smontata in pochi passaggi.

    “Signora, abbiamo radunato le registrazioni delle telecamere di sicurezza. Un furgone e una berlina si sono allontanati da qui mezz'ora circa dopo l'omicidio.”

    “Grazie Mitchell, torna a casa dalla tua famiglia ora, quelle borse sotto agli occhi non le voglio nella mia unità.”

    McGuire era fredda ma ci teneva allo stato psico fisico dei suoi uomini, meno del suo; presto imparò che il trucco non fa miracoli e occhiaie vecchie di giorni fanno fatica a scomparire anche sotto tonnellate di fondotinta. Ben presto si arrese a ciò che chiamava gli occhi dell'ispettore.

    “Grazie signora, un'ultima cosa. Un grosso aereo cargo senza livrea è stato autorizzato al decollo quaranta minuti dopo, diretto verso il Canada.” “Nient'altro?” “Il McCarran non è stato autorizzato a dirci altro purtroppo.” “Che diavolo significa che non è stato autorizzato? Siamo il benedettissimo FBI per l'amor del cielo!” “Signora... Non ho una bella sensazione, sono decollati con gli stessi codici decollo dei 747 che volano fino all'area 51, chiunque sia a bordo è molto potente o conosce molte persone. O entrambe le cose.” “Che diavolo ci fai qui Mitchell, dovresti essere alla CIA a quest'ora.” scherzò bonariamente ma era perfettamente cosciente che il collega aveva piena ragione.
    Non le rimase quindi che rientrare nella volante borghese nera e dirigersi verso il McCarran International Airport. Destinazione: qualsiasi luogo quell'enorme uccello di metallo sarebbe atterrato.


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    Cafè Avenue, Toronto. Ore 10:05, Giorno 2

    Infine l'Antonov atterrò veramente a Toronto. McGuire scese dal jet della compagnia governativa maledicendosi per il freddo becco che si insinuava in ogni apertura del largo cappotto. Era vistoso, elegante e appariscente ma incredibilmente leggero. Totalmente inadatto al freddo clima della città canadese, rabbrividì osservando la gente per strada passeggiare tranquillamente come se niente fosse in felpa e jeans, avrebbe ucciso per un piumone in quel momento.
    Raggiunse con la sua stessa auto caricata sull'aereo uno dei numerosi bar affacciati sul lago, ne scelse uno a caso, non importava minimamente quale, l'importante è che avesse il riscaldamento.
    Non fu fortunata, a quanto pare i canadesi non soffrono il freddo o sono parecchio taccagni, tant'è che l'aria calda era accesa al minimo sindacale, dovette sedersi sotto un lampadario per emulare una lucertola in cerca di calore.
    Aprì distrattamente il meno di cartoncino appiccicoso abbandonato sul tavolino, ma sapeva perfettamente cosa ordinare: solito caffè doppio e cupcake ai mirtilli, la mattina non riusciva stranamente a digerire altro. Corrucciata e parecchio infastidita, nervosa e stanca dall'insieme dei recenti eventi della sua vita, trasalì come una suora quando l'adolescente e scattante cameriera con l'apparecchio si palesò come uno spettro di fronte a lei. “La sua colazione signora!” disse, procedendo a piazzarle davanti un omelette con un bicchiere di succo d'arancia.
    “M-ma io non ho ancora ordinato...” “Oh! È già pagata! Gentilmente offerta da quel signore che sta uscendo ora.” Un magro tizio in giacca e cravatta, RayBan Aviators in volto, usciva gobbo dal locale intento a leggere il giornale del mattino. “Ah, mi scusi un secondo.” Elizabeth si alzò in fretta dalla cigolante sedia, raggiungendo a passo spedito l'uomo che stava già passeggiando sul gelido lungolago. Sapeva benissimo chi fosse, come lui sapeva benissimo chi fosse lei, entrambi giocarono al gatto col topo ma l'agente non sapeva di essere lei il roditore.
    Si introdusse violentemente e arrogantemente, tentando di piazzare subito le basi gerarchiche della conversazione “Hey! Bennet aspetta! Aspetta un attimo. Senti, è un po' di tempo che sono di pessimo umore, è molto seccante. Ma sai cosa potresti fare per risollevarmi il morale?”
    L'uomo si girò apparendo falsamente sorpreso, scrollando leggermente le spalle. “No? Come posso aiutarti?”
    “Levarti di torno. E non parlo di andartene da questa città, ma proprio fuori da questo stato. Non ti voglio più vedere, non ti voglio più sentire, neanche sentire la tua puzza, vattene via.” fece leva sui problemi che l'uomo le creò ai tempi delle scuole superiori, bullizzandola assieme al suo amico per suo fisico massiccio. Elizabeth sovrastava di parecchio in altezza Ethan, era più larga, muscolosa e forte di lui, i tempi nella squadra d'atletica prima e nell'addestramento poi la resero una macchina da guerra efficiente ed intelligente, grazie al suo accurato istinto nei casi più intricati. Ma sapeva anche che l'ex compagno di scuola era imprevedibile, una molla pronta a scattare in ogni momento. Non importava quanto uno fosse grosso, Ethan partiva alla carica. Se lo attacchi con i pugni, Ethan torna con una mazza. Se lo attacchi con un coltello, lui torna con una pistola. E se lo attacchi con una pistola, ti conviene ucciderlo, perché continuerà a tornare e tornare fino a quando uno dei due non è morto. Decise di portare avanti la scena della traumatizzata, sperando che la sua copertura non fosse saltata.
    “Sì scusa ma, tu sei amica mia?” “No, non sono amica tua.” “Ah, be', io avevo l'impressione che tu fossi amica mia, perché mi piace programmare la mia vita con gli amici. Ma se non mi sei amica e vuoi programmare la mia vita sei un po' presuntuosa, anzi direi che sei una gran maleducata. Io non sono il tuo schiavo, lo capisci bella?”
    Le dita le tremavano mentre qualche capillare rosso cominciava ad evidenziarsi nei suoi grandi occhi marroni. “Oh Santo Dio, sapessi quanto mi dispiace di averti offeso brutto pezzo di merda!”
    L'uomo chiuse di colpo il giornale, alzando piano le mani accanto alla testa in un ironico gesto d'arresa “Uhh, stanno quasi per prendermi le convulsioni! Lo sai che m'hai proprio scosso? Sto tremando tutto. Uhh!...Non ti conviene prendermi a male parole amica mia. Sai com'è, io mi potrei irritare, le cose potrebbero degenerare... e io per legittima difesa ti potrei fare qualcosa che non ti piacerebbe per niente, qui, adesso.”
    Sapeva che stava parlando sul serio, sapeva che era capacissimo di massacrarla con qualsivoglia metodo in quell'istante, in mezzo a tutta quella gente, ma era troppo boriosa e orgogliosa per tirarsi indietro “Se vuoi saltarmi addosso, io sono qui che aspetto.” Piegò il giornale, mettendoselo in tasca “Mi stai minacciando?...Mi stai davvero minacciando?” “Hai afferrato il concetto.” “No perché lo sai che è mio diritto stare qua, lo sai benissimo. E se io resto qua, tu che cosa fai?” “Te li puoi ficcare dove meglio ti pare i tuoi diritti. Attento a dove metti i piedi, e sai di cosa parlo.” “E che mi puoi fare? Arrestarmi? Sei una poliziotta? O eri una poliziotta? Oppure eri troppo stronza per restare in servizio?! Perché, lo sai, è questa la sensazione che mi dai.”
    Si guardarono fissi negli occhi, occhi infiammati come vulcani, in attesa di una reazione da uno dei due, indifferente chi. Ethan si girò lentamente, riaprendo il giornale. “Te la sei goduta la colazione?”

    Copertura saltata, McGuire aveva ormai intuito che il suo sospettato aveva capito chi fosse lei in realtà, ora non rimaneva altro che arrestarlo, con una accusa plausibile, ovviamente. In quel momento non aveva ancora nulla in mano, non un'impronta, non una testimonianza, una traccia, una pista. Aveva due nomi, punto.

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    Simon Viklund - Dead Man's Hand



    Retro del Golden Grin Casinò, Toronto. Ore 23:55, Giorno 2

    A differenza di Las Vegas, la criminalità del capoluogo canadese è ridicolmente più bassa. Forse per i vicoli ben illuminati, pensò Ethan.

    Menpo non parlava, riempiva i caricatori della carabina con meticolosità ed efficienza, ogni tanto controllava le tacche di mira per confermare che tutto sia ok, il retro del furgone puzzava di metallo bagnato e polvere da sparo. Per i tre rapinatori quell'odore era ormai divenuto un profumo, non sarebbero riusciti a immaginare una vita senza esso.
    “Indossate le maschere.” il giapponese disintegrò il silenzio “Wow, non fa un po' caldo per mascherarsi?” “Fate come vi dico.”
    Riluttanti i nuovi arrivati si sistemarono i lacci attorno alla nuca, raddrizzando le maschere nel miglior modo possibile. Erano comodissime. Varie scritte computerizzate apparvero di fronte ai loro occhi mentre la copertura facciale si sistemava ulteriormente e autonomamente sulle loro teste, garantendo la migliore visibilità raggiungibile e inondandoli di dati utili alla missione tramite i proiettori nelle cavità oculari collegati direttamente al Mriya.
    “Va che roba.”
    “Niente male eh? Quelle maschere sono molto, molto costose. Cercate di non farvi sparare in faccia, anche se dovrebbero resistere a un paio di .45.” la voce radiofonica di Laurent quasi gli bucò i timpani. “Io e Hare controlleremo la situazione dall'aereo. Siamo in sosta al Toronto-Pearson quindi non avremo problemi di ricezione. Entrate nel casinò, controllate le guardie, guadagnate l'accesso al caveau e ripulite tutto. Menpo e Calaca si occuperanno di sfasciare le slot-machine per distrarre la polizia dai nostri veri intenti. Una volta che Zipper avrà sbloccato le serrature sotterranee gli altri due lo raggiungeranno per aiutarlo con le borse. Il furgone con le sospensioni modificate è già nel parcheggio dei furgoni blindati delle guardie, non vi resterà che riempirlo e uscire, molto lentamente, dal parcheggio. Menpo userà la Serie 7 per distrarre il grosso delle forze di polizia.”
    “C'era proprio bisogno di usare la mia macchina?” “L'avete già blindata voi, sarebbe stato uno spreco non sfruttarla.” “Non protesto, sarebbe inutile. Hey sushi, sei sicuro di riuscire a seminarli da solo?” Watanabe si avvicinò rapido come una lucertola al texano, facendogli ombra da quell'unica luce presente nel posteriore del furgone “Dubiti delle mie capacità?” “Chi io? No ma va, ci mancherebbe altro, ti pare.” Ignorò l'orientale dalle spalle larghe ancora in piedi davanti a lui, continuando a riempire caricatori.

    “Signori, è ora. Per prima cosa entreranno Menpo e Zipper, smascherati e disarmati. Individuerete la porta della sicurezza e attenderete il cambio della guardia, portatevi solo una pistola per ogni evenienza, abbiamo già corrotto l'addetto al metal detector all'entrata mentre le telecamere stanno già trasmettendo registrazioni in loop. Siete virtualmente intoccabili.” “È il virtualmente che mi preoccupa, muoviamoci.”

    Era vero, il ragazzo della sicurezza alle porte del Golden Grin sollevò solo un'occhiata di conferma ai due uomini mentre osservava chiaramente le pistole passare sullo schermo.
    Si trovarono ben presto all'interno della meraviglia che sorride, il più grande casinò del Canada. Rinomato persino all'estero e nella top 10 dei migliori al mondo. Las Vegas quasi impallidiva davanti a tanto lusso e ricchezza. Slot machines dai mille colori suonavano note basse mentre pensionati di ogni fascia d'età gettavano via la poca pensione mensile in lucide monetine. I tavoli per il poker erano invece invasi dalla gioventù bene della città che ridendo e scherzando ad alta voce perdeva mani dalle somme spropositate. I più interessanti erano i tavoli da Blackjack, il gioco preferito di Ethan. La probabilità di vincita non è totalmente a sfavore del giocatore ma la regola del banco vince sempre rimane comunque vigile e precisa. A Blackjack si perde perché si è avari. La storia della sua vita in pratica. Fu semplice arrivare alle scale per i sotterranei. Una semplice porta bianca allarmata bastava a dividere i bianchi e spogli corridoi delle casseforti e gli sfarzosi tappeti del locale principale. Una sola guardia davanti ad essa; i canadesi sono incredibilmente ingenui.
    Menpo fece da palo, Zipper da esecutore.
    “Scusi, sa indicarmi gentilmente il bagno?” La guardia, quasi addormentata, si risvegliò pimpante e contento di essere finalmente utile a qualcosa, girandosi e alzando l'indice, rispose prontamente “Sì guardi in fondo alla sala poker a des-” Con un colpo di calcio della pistola perse immediatamente i sensi. Senza perdere tempo, lo nascosero dietro una grossa pianta ornamentale. Un minuto dopo, come da copione, la porta si aprì con un fastidioso suono elettronico. Ethan, mascheratosi dietro la pianta, tirò un portentuoso gancio in faccia alla guardia che fece capolino dalla stanza, facendola cadere indietro dalle scale e mandandola fuorigioco.
    “Sono dentro, mi avvio all'obbiettivo.” “Eccellente. Calaca, fai partire le danze.”

    Un energumeno grosso quanto un orso bianco entrò vestito di nero con una maschera da teschio bianca in volto. La gente sbalordita lo fissava silenziosamente mentre passeggiava tranquillo fino al centro del locale. Indossava una tuta EOD da sessanta chilogrammi riempita di ogni tipo di piastra in kevlar immaginabile. Roteava piano la testa scrutando intorno a se. Fece cadere l'enorme borsone che teneva nella mano destra, causando un sordo e metallico tonfo; aprì la cerniera ed estrasse una grossa mitragliatrice M249, che terrorizzò istantaneamente chiunque nel raggio di cento metri. Con un calcio fece scivolare la borsa verso l'uomo con la maschera da samurai, dalla quale prese un corto M4 con cui sparò qualche colpo in aria saltando agilmente su un tavolo da gioco.
    “Signore e signori vi prego di mantenere la calma, siamo qua per i soldi del Casinò, non per i vostri spiccioli, ci dispiacerebbe farvi del male e sappiamo tutti che la vostra vita vale di più dei guadagni di questo posto, vi prego non urlate e se lo state già facendo fermatevi subito se non volete che il mio collega qui non si arrabbi seriamente.” Calaca si voltò brandendo la mitragliatrice verso una coppia di giovani donne che urlavano con tutto il fiato in corpo mentre i probabili fidanzati cercavano invano di calmare. Al contatto visivo con il messicano smisero immediatamente senza produrre ulteriori suoni.

    Nel mentre Ethan aveva piazzato il materiale per l'hacking sui terminali del caveau. La voce di Hare risuonò nella radio di tutti “90 secondi all'apertura. Sono brava eh?” Ethan quasi sfondò il microfono “90 Secondi? La polizia sarà qui in 60!” “Hey, ricordi quando dissi che questo casinò era inespugnabile? È a causa della porta di acciaio e titanio alta come una villetta che ti trovi davanti. Sto facendo un miracolo qui bello. Ti avviso io quando si aprirà, intanto torna su e dai una mano agli altri.”
    Zipper corse a perdifiato per i corridoi con la pistola in mano mentre i lavoratori delle sale conteggio si nascondevano sotto i tavoli. A metà della scala d'ingresso per la sala gioco il corpo di un membro della SWAT gli volò accanto a velocità sostenuta, sfracellandosi in fondo al corridoio. Juan arrabbiato era capace di lanciare persone come palline di carta. Quando arrivò alla porta un paio di proiettili impattarono a pochi metri da lui mentre il continuo fuoco della mitragliatrice di Calaca sovrastava la musichetta automatica degli altoparlanti. Menpo lanciò un Mossberg al nuovo arrivato mentre lo istruiva sulla scomoda situazione “Dovevano essere qui in 60 secondi ma sono arrivati in 30, già in equipaggiati pesantemente. Sapevano che saremmo venuti.” “E che problema c'è Menmen, quando il gioco si fa duro tu tieni premuto il grilletto.” Ed Ethan era bravo a premere grilletti. Due colpi due colpi, non sparava mai in automatico, un fuoco accurato in semi garantiva di mantenere le distanze con ogni tipo di nemico. Se ci si sposta sull'automatico è comunque troppo tardi. Un poliziotto colpito dai pallettoni alla gola gorgogliava gli ultimi respiri mentre il sangue gli inondava i polmoni, trascinato dal collega disperato che gli urlava di resistere, che ce l'avrebbe fatta, che non aveva nulla da temere. L'altro fu più fortunato. Il colpo lo beccò sul giubbotto antiproiettile, facendolo volare indietro per tre metri, dove incontrò i 5.56 del giapponese.
    I vari team facevano irruzione da più entrate mentre Calaca di falciava come spighe di grano con l'arma automatica dalla canna ormai rovente.
    “10 secondi ragazzi.”
    Menpo fischiò ai due colleghi per far segno di seguirlo, in pochi secondi si ritirarono sfruttando il fuoco di supporto dell'M249.
    Corsero come forsennati fino alla porta del caveau, quell'enorme monumento alla ricchezza che con velocità di una sposa si apriva accogliendo la luce dei neon esterni.
    Schizzarono al suo interno come rifugiati politi cominciando ad ingrassare i borsoni da palestra di denaro contante fresco di stampa. È di uso comune per i governi utilizzare i casinò come stazioni intermedie per i soldi nuovi. D'altronde pochi altri luoghi sono abbastanza sicuri.
    “Vorrei che rivolgeste l'attenzione all'oggetto sul piedistallo, quello al centro della camera.” disse il vecchio mentre con fare investigativo il texano si avvicinava a quello che sembrava un uomo col dito puntato verso di lui, quasi con fare giuridico. Non l'aveva minimamente notato quando sgattaiolò all'interno, era così magro, così enigmaticamente affascinante. Era palesemente composto di qualche metallo, non prezioso, ma impreziosito dalle forme che possedeva.
    “Quello è l'Homme au doigt e io lo voglio come porta asciugamani nel mio bagno. L'ho sempre voluto, sin da quando morì mia nonna, me l'ha sempre ricordata. Alta, magrissima, fragile.”
    Il frastuono degli spari e l'adrenalina pompata a mille nelle vene dei tre professionisti non aiutava certo a ragionare linearmente ma una domanda, un quesito spontaneo Calaca dovette farlo.
    “Quanto vale!?” urlò mentre ricaricava la risma di proiettili, gettando la scatola vuota ancora fumante per terra. “140 milioni.”.
    Juan inciampò; ripresosi si lanciò all'interno del vault lasciando Menpo a coprire.
    “Prendo la vecchia!” urlò quasi isterico mentre prendeva la statua da quasi due metri sotto il muscolosissimo braccio. I muscoli del collo tesi come corde di violino gli arrivarono quasi alle orecchie e la tuta non aiutava.
    Ethan, confuso ma lucido sull'obbiettivo, lasciò che gli eventi si svolgessero nel migliore dei modi, ovvero sparare all'impazzata seminando cadaveri d'agenti dell'FBI finché le porte del garage non spuntarono davanti ai loro occhi. Il furgone nero era lì, ringraziarono tutte le divinità del loro repertorio quando spalancarono i portelloni posteriori, lanciando la statua su un materasso precedentemente preparato. Gli altri due lanciarono all'interno le quattro gonfie borse piene di contanti. Menpo si mise al volante della 750iL sgasando eccitato. “È modificata?” “No, è di serie, e trattala bene che è del novantacin-” Il giapponese affondò il piede sull'acceleratore sfrangendo la barra di plastica all'entrata del parcheggio; una decina di volanti si avviarono immediatamente all'inseguimento. Infastiditi, i due rimasti alzarono i finestrini uscendo ad alta velocità dallo stesso passaggio, attirando una sola volante dietro di loro.

    Al suo interno una giovane coppia di poliziotti. Alla guida una ragazza biondadal volto imbestialito affiancata da un poveretto attaccato al poggiamano come se fosse stata l'ultima cosa che l'avrebbe salvato da una morte orribile.

    “Cristo di un Dio Anais vai piano! È solo un furgone!”
    L'uomo con la maschera viola spuntò dal finestrino del passeggero, scaricando colpi di pistola sul parabrezza dell'auto di servizio.
    “Quel furgone ci sta sparando addosso idiota! Ricambia il favore se non vuoi fare la fine del topo!”
    “È contro il regolamento sparare dall'auto in movimento!” “Me ne sbatto altamente del regolamento! Spara a quel furgone!”. Michael sparò qualche colpo ma solo nei rettilinei e nelle strade meno affollate, nessuno di quelli finì nelle gomme del veicolo inseguito, che ben presto si trovò nei pressi dei binari ferroviari commerciali, sgommando fermandosi nei pressi di un vagone aperto di un treno in partenza.

    Quando la volante arrivò sul luogo i due sospettati avevano appena terminato di caricare il malloppo al suo interno. Anais e Michael si sistemarono il berretto dell'uniforme e silenziosamente aggirarono l'ultimo angolo prima della zona di carico, trovando il tizio con quell'inquietante quanto in qualche modo sadica maschera viola intento a sistemare l'ultima borsa.
    Entrambi con la pistola estratta e puntata dritta al suo petto. “Molla la borsa e metti le mani dietro la testa! Ora!” urlò lei senza un briciolo di esitazione in corpo.
    L'uomo obbedì senza fare storie. “Beh, mi avete beccato. Complimenti, siete i primi.”
    “Michael, tienilo sotto tiro mentre lo ammanetto... Michael?” Michael era a terra, dormiva come un angioletto. Anais non riuscì mai a reagire in tempo a quel tir doppio rimorchio di forza che le prese il braccio con una mano sola, facendole cadere la pistola. Urlò di dolore mentre quell'enorme mano le stritolava l'ulna e il radio. La ragazza implorava di lasciarla ma quei due baratri neri la osservavano impassibili. Calaca la lanciò a terra dove sfortunatamente atterrò sopra il braccio appena rotto. Tentò di trascinarsi via per un metro ma un caterpillar da cantiere sottoforma di una gamba precipitò sul suo femore, spezzandolo di netto. Pianse e si lamentò come un'internata in un campo di concentramento mentre i terrori mascherati davanti ai suoi occhi piazzavano le basi per diventare fonte del suo odio e dei suoi incubi negli anni a venire. “P-per favore... Non uccidetemi...” Aveva passato mesi e mesi in Iraq, Afghanistan e Siria prima di entrare nel Toronto Police Department. Non riusciva ad accettare che due banali criminali fossero riusciti a spezzarle tre ossa in meno di trenta secondi, non le rimase che piangere abbandonandosi al freddo dell'asfalto.
    “Zipper, che faccio?” “Non ha scritte ulteriori addosso, quella vive.”.
    L'energumeno raccolse la pistola, smontandola in pochi secondi. “Sei stata fortunata oggi, vedi se riesci a trascinarti fuori da qui prima che cambi idea.” sapeva che non sarebbe riuscita a muoversi, si limitò semplicemente ad ignorarla.
    “Hey C, lo senti anche tu questo rumore?” “Solo i federali usano i V8. Che si fa?” “Nasconditi, c'è solo una persona così testarda da inseguirmi fino a qui.”.

    McGuire arrivò in zona quasi schiantandosi contro un container, uscì dalla Charger nera senza neanche spegnerla manualmente, lasciando semplicemente la frizione con la prima inserita e la portiera aperta. Entrò prorompente come un drago con la fidata revolver carica e lucente, trovando solo due poveri poliziotti a terra; istintivamente portò il dito all'orecchio per attivare l'auricolare collegato alla centrale. “Due agenti a terra, mandate immediatamente rinforzi e un'ambulanza.”.
    Arrivò ai piedi della vittima a se più vicina, trovandola ancora cosciente. “Riesci a sentirmi? Resta con me, dimmi il tuo nome... Oddio cosa diavolo ti hanno fatto.” osservò la gamba destra della donna con fin troppe articolazioni, piegata in maniera innaturale. “Di te..” “Cosa? Non ho capito!” “Di te... Dietro di te!”
    L'ispettrice scattò in piedi girandosi di centottanta gradi, ricevendo un violento colpo all'addome da quella che sembrava una sbarra d'acciaio. Dall'altro capo dell'arma un uomo in giacca e cravatta dal volto coperto da un ghigno deforme. Quel viola spiccava benissimo anche nella penombra. La donna affannò cercando aria in ogni centimetro cubo disponibile, piegata in due dal dolore, ma ancora in piedi. Ciò che la fece cadere fu la seconda sbarrata che la colpì sulla schiena esposta al suo assalitore. Oltre a due vertebre spezzate il naso dell'ispettrice si frantumò a contatto col terreno.
    L'unico messaggio di pietà che riuscì a inviare all'uomo fu uno sguardo pieno di disperazione, trasmesso da due occhi quasi fuori dalle orbite. Anais urlava a quel mostro di smetterla, di aver già fatto abbastanza, si rovinò le corde vocali a furia di implorarlo, non c'era bisogno di infierire e lo sapeva anche lui.
    Ma una nuova creatura nacque quel giorno all'interno di Ethan, un mostro che da pochi anni a quella parte lo avrebbe derubato di ogni briciolo di umanità rimasta.
    “Hai avuto la tua possibilità McGuire!” Un altro colpo. “Ti ho avvisata più e più volte!” E un altro “Non ti è bastata la colazione?” Un altro ancora, il corpo giacente a terra era ormai ridotto a un grosso ammasso di carne tritata, ma ancora viva. “Hai giocato con me puttana! E ora ne paghi le maledettissime conseguenze!” cinque, dieci, venti colpi. Ormai la poliziotta aveva perso l'uso della parola mentre tutto ciò che le usciva dalla bocca era un patetico urlo sconnesso, la faccia piena di sangue. Non suo.

    Non era stato omicidio, avrebbe potuto piazzarle un 9mm in fronte come tanti prima di lei. L'aveva trucidata, massacrata nel più doloroso dei modi. Pezzi di mascella e denti sfusi giacevano sull'asfalto. Calaca osservava soddisfatto il collega, non poteva negarlo. Dopotutto nessuna delle due era una brava persona.

    “Andiamocene da qua.”.


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    Joan Baez - Here's to you



    Riva del lago Ontario, zona commerciale di Toronto. Ore 02:15, Giorno 2

    Il texano fissava il vuoto mentre il furgone in fiamme precipitava nelle nere acque del lago Ontario.
    Calaca, ben cosciente dello stato psico-fisico dell'amico, scelse di non toccare l'argomento. Si limitarono ad osservare con una sigaretta in bocca il vecchio GMC affondare silenzioso. Nell'esatto momento in cui l'ultima fiammella si spense arrivò Menpo in macchina ancora sorprendentemente intatta.
    “Visto? Neanche un graffio.”
    Non parlarono, non lo salutarono, nemmeno si guardarono negli occhi. Si sedettero sui sedili posteriori e gli fecero cenno di partire.
    “Che cosa è successo?” “Successe che son diventato ciò che mi son sempre ripromesso di non diventare.” rispose con una bassa e deprimente voce. Il vicino di viaggio tentò in qualche modo di tirargli sul il morale “Pensa alla torta E. Pensa a quella succolenta torta.” I milioni in quel momento non valevano nulla nella sua vita, in quel momento voleva solo dimenticare, avrebbe avuto parecchio tempo per godersi i soldi. Si osservò i palmi delle mani ancora pregni di sangue seccato.
    “Siamo diventati demoni per una fetta di torta Juan.”. Si tolse la maschera per guardare il collega negli occhi, due lacrime solitarie solcarono gli stanchi zigomi.




    “Era solo una fetta di torta.”.





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    Narrato - "Parlato" - "Parlato" - "Parlato Altri"

    Nome - Ethan Bennet
    Energia - Verde
    Surplice - Gashadokuro {IV}
    Casta - Spectre di Hades
    Status Fisico - //
    Status Mentale - //
    Status Surplice - //

    Riassunto Azioni - Sta roba è un mostro da quanto è lunga e da quanto è brutta ma avevo un viscerale bisogno di approfondire il background del pg, dato che quello attualmente in scheda è ridicolo :zizi:

    Abilità
    Inside Man: Sfruttando il cosmo intorno a se e sintonizzandosi perfettamente con la sua armatura, Ethan riesce a modificare il proprio aspetto fisico o quello di una persona consenziente semplicemente guardandola, garantendo l'alterazione di voce/odore/sensazioni tattili. All'occorrenza riesce anche a diventare quasi trasparente, diventando limpido e riconoscibile a occhio nudo solo se esposto a luce solare e/o diretta.

    Iron Man: Dopo tutti questi anni a schivare e accogliere pallottole in posti scomodi della gabbia toracica, grazie alla sua armatura Ethan ha sviluppato un'incredibile resistenza ai colpi di vario genere, che siano da fuoco, taglio o contundente. Ciò gli permette di fare uno sforzo in più rispetto a chi, come succede il più delle volte, cade al primo 9mm nella spalla, o martellata sulla fronte, o coltellata nella pancia; cosa non deve fare un onesto rapinatore al giorno d'oggi per restare vivo!

    Tecniche
    Pumping-Iron:
    Grim odia rivelare la sua vera forma, ma se la situazione lo richiede, se è sommerso di nemici o se vuole solo fare spettacolo, un mezzo busto gigante di Gashadokuro esce dal corpo del ladro come un'aura esplosiva, flettendo i muscoli delle braccia verso l'alto. Consumatasi l'esplosione di cosmo, lo scheletro scompare.

    Overkill: Grim non sa cosa significhi lanciare palle di cosmo, quindi si rifugia nelle forme ben impresse nella sua mente, forme che prendono sembianze solo estetiche nelle mani del ladro, come fumo nero condensato. Le armi che crea non sono costrutti, ma solo un ricordo visivo di ciò che usava al lavoro, per avere una maggiore familiarità in fase di mira e dosaggio del cosmo. La varietà delle sagome spazia nella categoria di tutte le armi da fuoco da fanteria moderne e non. I proiettili sparati con tale tecnica possono avere effetti penetranti e successivamente deflagranti nel caso il bersaglio venga colpito.

    Counter-Strike:
    Metà dell'enorme gabbia toracica del Gashadokuro si crea attorno al fianco desiderato di Grim, un enorme braccio scheletrico collegato alla clavicola. Chiudendo le dita, può sferrare un potente pugno con range pari a quello consentito dal livello di energia attuale del ladro. Una volta completato il movimento, sia che vada a segno o meno, il braccio scompare. L'effetto è solo contundente.

    Hard-Boiled:
    Variante di Counter-Strike: Il pugno parte verso l'avversario aprendo la mano all'ultimo momento esattamente sopra di esso. Sfruttando l'effetto sorpresa, falangi e metacarpi si smontano cadendo a terra, esplodendo all'impatto.




    Edited by Nanopod - 25/8/2015, 00:37
     
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