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Elle

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    ♫ Ludvig van Beethoven, Für Elise ♫

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    TERMINE ULTIMO: 24 AGOSTO
     
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    lebbotte

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    L. V. Beethoven - Für Elise



    Chapter I: Lilium


    I gigli sono la purezza, l'innocenza. Due sono le cose che ricordo della prima volta che visitai Vienna, tantissimi anni fa: la neve e i gigli. Era inverno, eppure in quella hall di hotel, la stagione fredda sembrava non esistere. Non so dire con precisione perchè ci trovavamo lì, forse avevamo seguito papà in uno dei suoi viaggi di lavoro. In quel lussuosissimo hotel, l'odore dei gigli impregnava la sala; amavo quei fiori, mi trasmettevano l'idea di qualcosa di meraviglioso e semplice allo stesso tempo. Ricordo che stavo osservando con curiosità i motivi blu di uno dei vasi di porcellana presenti ai lati estremi del banco della reception, immersa nei miei pensieri e tenendo per mano mia madre che stava intrattenendo un'amorevole conversazione con delle signore appena conosciute. Ascoltavo con fare distratto quello che si stavano dicendo in un perfetto tedesco le donne, senza capirci nemmeno granchè. La mia attenzione era stata attirata da qualcosa che intravedevo dallo spiraglio di una porta lì vicino. Liberandomi piano dalla presa di Vera, scoprii poco dopo di cosa si trattava: era la sala ristorante, deserta a quell'ora di pomeriggio, nella quale si trovava un meraviglioso pianoforte a coda laccato di nero. La stanza era illuminata per la maggior parte dall'enorme finestra che dava poi sul terrazzo, dalla quale filtrava la candida luce di un freddo sole. Seduta sullo sgabello, vi era una giovane ragazza dai capelli color miele raccolti in uno chignon. L'abbigliamento semplice consisteva in un maglione panna e degli stretti pantaloni neri. Le sue dita si muovevano agili e veloci sulla tastiera dello strumento, dando vita ad una melodia quasi magica. Per un attimo avevo chiuso gli occhi e mi ero lasciata trasportare dal flusso di emozioni e sensazioni che aveva risvegliato. Ad oggi, non so ancora il nome di quella donna e non ne conosco nemmeno il volto, so solo che rimasi a lungo in silenzio ad osservarla, rapita dalla sua musica. Da piccola prendevo anche io lezioni di piano, ma non ero mai stata particolarmente brava, un po' per il poco impegno che ci mettevo, un po' perchè non apprezzavo la musica classica; eppure, quel giorno, decisi che sarei diventata brava come lei, in futuro.

    Dopo quelli che mi sembrarono appena pochi minuti, Vera entrò a sua volta nella stanza, mi mormorò qualcosa che non ricordo all'orecchio e mi riportò di nuovo nella hall. Avrei voluto tanto rimanere lì con la ragazza, eppure non opposi resistenza: d'altro canto non ero altro che una bambina. Papà aveva finito la riunione, o qualsiasi altra cosa avesse fatto; vedendolo, gli ero corsa in contro e mi aveva presa in braccio solo come lui sapeva fare. Amavo il rapporto che avevo con mio padre, era stato speciale fino all'ultimo momento e mi mancava, mi mancava da morire. Il resto dei ricordi è un po' confuso e perso nel tempo, eppure una cosa non mi scorderò mai: l'espressione di profondo rispetto mischiato con una piccola dose di paura che fece brillare gli occhi dei miei genitori quando una figura dalla pelle ambrata in armonioso contrasto con i capelli lunghi e biondi e di una bellezza eterea fece la sua comparsa nell'atrio dell'hotel. All'epoca non potevo immaginare che si trattasse di Daya di Virgo, che però non parve badare né a Vera né a Sebastian: semplicemente uscì con una calma regale per andarsene chissà dove.

    Papà...voglio imparare a suonare il piano. - dissi all'improvviso
    Oh, e come mai questo improvviso cambio di idea, principessa? Credevo che suonare ti annoiasse a morte!
    Lo so ma voglio imparare davvero. Voglio diventare la miglior pianista della Scozia. No anzi, del mondo!
    Farò del mio meglio, mia piccola grande stella.

    Fu di parola. Nel mese che trascorremmo in Austria, in un quartiere modesto di Vienna, papà fece di tutto per assecondare il mio ingenuo sogno. Ogni sera ci esercitavamo su arie, sinfonie e scale sempre diverse. La prima melodia in assoluto che fui in grado di suonare da sola fu "Per Elisa".

    Chapter II: Anemone


    Le anemoni sono il senso di abbandono, desolazione. E' lo stesso senso che mi pervade ogni volta che visito una città, regione e Paese da quando l'Armageddon ha distrutto tutto. Prima amavo di più viaggiare, scoprire posti nuovi; ora lo faccio solo per staccare dalla monotonia dell'Isola anche solo per qualche giorno. Oggi siamo in Austria, di nuovo a Vienna come quella volta. Ora però non ci sono né la neve né i gigli, solo colori spenti e odore di morte. Ormai tutto il mondo è così. Ho lasciato Lawrence di guardia, con i ragazzi, nel posto dove abbiamo deciso di passare la notte. Per ora è tutto tranquillo ma la prudenza non è mai troppa. Perchè non sono con loro? Volevo starmene per conto mio per un po' di tempo, avere quell'oretta scarsa di privacy che è da troppo che non mi concedo, fingendo di non esistere; in questo momento non sono nemmeno un'ombra. Cammino silenziosa, avvolta nell'Inganno. C'è sentore di pioggia nell'aria, ed è una notte buia, senza stelle. Addocchio un paio di corrotti ma non voglio perdere tempo con loro: finchè se ne staranno lì non li ucciderò. Forse è un ragionamento sbagliato da fare, ma al momento sono sola e mi sento libera di agire come voglio. Passeggio senza una meta precisa, mentre tutto attorno a me è spento e fatiscente. Non sembra nemmeno più esserci bellezza, nel mondo. Un sospiro e la successiva nuvoletta di condensa che si forma sono gli unici segni che permetterebbero di capire che in quel luogo c'è ancora qualcuno di vivo, di umano. Il freddo comincia a scendere, accarezzandomi il viso lasciato scoperto dalla maschera antigas che porto sempre più raramente quando non sono tenuta al guinzaglio da qualcuno; il carapace nero è l'unica barriera che separa la nuda pelle dal mondo esterno, in quanto ho ritenuto superflua l'armatura, almeno questa volta. Se riuscirò, stanotte non voglio combattere: voglio solo restarmene da sola con me stessa. Il tempo passa con lentezza quasi esasperante, lasciandomi immersa nel fiume di pensieri che assilla sempre la mia mente quando non c'è niente e nessuno attorno. Le prime gocce mi riportano alla realtà: il vento è aumentato così come i nuvoloni e il biancheggiare dei lampi. Non manca molto all'acquazzone ma sono troppo lontana dall'accampamento per tornare indietro. Aspetterò che passi nel primo riparo che riuscirò a trovare: per quanto ami la pioggia, il suo rumore e il suo odore, non mi va di passare come un randagio la serata. Intravedo una struttura molto alta che pare in disuso da anni e mi ci fiondo dentro nel momento stesso in cui un fulmine da inizio al temporale.
    I miei occhi devono abituarsi alla semi oscurità del posto, sebbene non ci sia molto da vedere: un forte odore di muffa, chiuso e decomposizione inonda le mie narici, dandomi alla testa; per terra è un ammasso informe di polvere, pezzi di calcinaccio, cocci di vaso e macchie di diversa natura. L'unica fonte di luce è quella debole esterna, che filtra a malapena dai vetri sporchi e si riflette un poco sul marmo che si riesce ad intravedere sotto la sporcizia. L'Inganno cade, mentre avanzo con cautela, i sensi all'erta pronta a captare qualsiasi cosa tenti di ferirmi. No, per ora non sembra esserci vita lì, al di fuori di me e della piccola macchia di anemoni che sbuca dal terreno, appena sotto la finestra stessa. I fiori non emanano un profumo penetrante, eppure la loro tonalità azzurro tenue è sufficiente a farmi sorridere: in quel mondo così grigio e spento, anche la più piccola nota di colore è un grande tesoro.

    C'è qualcosa di strano, tuttavia: da quando ho messo piede lì dentro, una sensazione di déjà-vu si è insinuata in me. Guardandomi attorno con più attenzione e dopo aver scoperto il nome del posto, capisco il perchè, mentre emozioni contrastanti tra loro prendono piede. E' lo stesso hotel viennese di tanti anni prima e, se da una parte questo non fa che riportarmi alla mente ricordi felici, dall'altra c'è anche tanta nostalgia e dispiacere. Mi avvicino lentamente al bancone, sfiorandolo appena: ricordo che tanti anni prima il legno era talmente lucido che ci si poteva quasi specchiare e profumava di cera; ora non è altro che un pezzo di arredamento scheggiato, graffiato, sporco e marcio. I vasi di porcellana pieni di gigli che erano ai suoi estremi non sono altro che pezzi bianchi sparsi per la hall, rotti da qualcuno o qualcosa chissà quanto tempo prima. Lo odio da morire, il mondo come è diventato. Un rumore improvviso mi fa sobbalzare, salvo poi realizzare che si tratta del gracchiare della radiolina nel mio orecchio, dalla quale poco dopo giunge una voce maschile lontana anni luce.

    E...tel...ve...i?
    ● Tranquillo Lawrence, sto bene. Sono nell'hotel di cui ti parlavo durante il viaggio, ma la radio non prende bene. Aspetto che il temporale passi e torno indietro ●
    No...ola...otti....ntando!
    ● Li posso evitare senza problema, tu stai al sicuro con gli altri. ●
    ...on...rci, Miss Wa...ce.

    La comunicazione si interrompe bruscamente e tutto ripiomba nel silenzio. Poco mi importa, in fondo so già cosa fare. Supero con cautela il bancone della reception, avvicinandomi alla porta che conduce alla sala dove una sconosciuta è riuscita, anni addietro, a farmi innamorare con una semplice melodia e a farmi vedere - per poco tempo - il mondo sotto una luce diversa. E forse, questa notte, ci posso riuscire anche io.
    Posso riuscire a riportare indietro un po'di bellezza ed eleganza in un luogo da cui manca da troppo tempo.

    Chapter III: Chrysanthemum


    I crisantemi sono il dolore, ma sono anche la pace. Pace dell'anima e dei sensi, o almeno così penso che vadano interpretati. Nella sala ristorante, tutto è pace e il tempo pare in qualche modo essersi fermato. Certo, la moquette e la carta da parati sono imbrattate e strappate in più punti, e alcuni tavoli sono rovesciati, ma tutto il resto è stato coperto da teli bianchi che sono solo pieni di polvere; cosa più importante, qualsiasi cosa coprano pare essere in buono stato. Anche qui non si vede granchè: la luce naturale, oscurata dalle nuvole plumbee, non è sufficiente per permettermi di vedere in modo chiaro i dettagli; dalla finestra rotta alla mia sinistra entrano folate di aria gelida e soprattutto l'odore della pioggia che ancora non accenna a diminuire. Non che sia di vitale importanza, sapendomi come muovere. Mi avvicino ad una sagoma dal lato opposto del vetro, e con un gesto deciso sollevo il telo bianco, rivelando il pianoforte a coda che vi è sotto; non pare aver subito danni, e questo mi basta.
    Con fare calmo mi spoglio, piegando accuratamente il carapace nero e posandolo a terra, vicino allo sgabello. Rimango nuda per un attimo, prima che dalla mia pelle comincino a nascere piccole foglioline dall'insolito colore blu notte, che in breve formano un corpetto aderente come un guanto al busto e alla parte alta delle cosce; filamenti più lunghi e più trasparenti vanno invece a sovrapporsi a creare una gonna lunga e morbida che mi copre fino alle caviglie. Non ricordo nemmeno l'ultima volta che ho indossato un vestito elegante e anche se questo non è fatto con stoffe pregiate, mi posso accontentare.
    Mi siedo con grazia e, mentre sprigiono il mio cosmo, il nero del pianoforte viene sostituito in modo graduale con il bianco delle alghe coralline di cui ho il controllo, che vanno a formare delle decorazioni spiraleggianti e che in certi punti assumono la forma di fiori di crisantemo; le mie dita cominciano a correre sui tasti avorio dello strumento, in modo sempre più disinvolto mano a mano che riacquisto familiarità con il piano, fino a quando la sala non viene riempita dalle note della "mia" canzone.
    Für Elise risuona nel ristorante, nella hall, probabilmente anche tra i corridoi dell'hotel. Si fa strada tra l'innaturale silenzio che regna solitamente nella capitale austriaca, come un ruscello; porta una piccola luce tra l'oscurità che ci circonda, colora con tonalità delicate la tristezza e il grigiore che vi sono all'esterno. E soprattutto mi riporta indietro nel tempo, quando c'erano solo il profumo dei gigli, il candore della neve e tanti sogni ormai dimenticati. Penso a tante cose e a nulla in particolare, concentrata solo sulle note di quella melodia così semplice ma speciale che mi abbracciano e mi rasserenano, cullandomi in una fugace illusione e non facendomi sentire dentro né vedere tutto quello che di sbagliato c'è fuori.
    Sfortunatamente, tutto ciò dura troppo poco. Una risata e delle parole incomprensibili risuonano alle mie spalle, ed io non riesco a trattenere un sospiro. La mia pace è stata interrotta da qualcosa che è una triste realtà nel mondo di adesso. Non so quanti siano, non mi interessa nemmeno. Sono stanca.

    Perchè deve sempre finire così?

    Non c'è qualcuno in particolare a cui sia rivolta quella domanda. Dovrò infrangere la promessa che mi ero fatta ad inizio serata, anche oggi dovrò dimostrarmi all'altezza di questo nuovo e brutale mondo. Dovrò uccidere, sopravvivere e vincere. Un'espressione grave va a dipingersi sul mio viso, mentre mi volto quel poco che basta per capire chi sono i nuovi arrivati: sono solo due, per fortuna, un uomo e una donna ovviamente corrotti. Lui indossa quelli che sembrano i resti di un abito da concièrge, sbrindellato e bucato in più punti; appuntata al petto vi è una consunta targhetta con la scritta "Eric": doveva essere il suo nome, quando ancora era umano. La donna invece rimane senza un volto e senza un nome; a coprirle la pelle vi sono un pesante maglione incrostato di sudicio e dei pantaloni strappati e luridi. Hanno fame, anche un bambino lo intuirebbe. Sono guidati da un istinto tanto primordiale quanto cieco e si fermeranno solo quando la loro preda cadrà o saranno loro ad essere uccisi: è così che funziona la storia, ormai. Sento altre parole che non voglio capire perché non cambierebbero l'esito della situazione: loro non sanno chi sono io, non possono immaginare nei loro minuscoli cervelli che hanno di fronte qualcuno di superiore e, probabilmente, ancor meno umano di loro.

    Mi dispiace. Mi dispiace tanto.

    Il mio cosmo esplode. E poi, tutto è mare in tempesta.

    Chapter IV: Cyanus Segetum


    I fiordalisi sono la sensibilità, la delicatezza. Ma in quella sala ristorante ci sono solamente freddezza e brutalità, almeno per il momento.

    Du bist...weniger Menschen ALS WIR!
    Tut mir Leid - mormoro piano, rispolverando le poche parole di tedesco che mi ricordo

    Siamo feriti, lo siamo tutti e tre, eppure ho l'ultima carta da giocare. Agisco velocemente, senza però urlare il nome della mia offensiva: non l'ho mai fatto, lo trovo incredibilmente stupido e un inutile spreco di fiato. Il mio cosmo striscia fin sotto di loro e all'improvviso il Deep Submerge li inghiotte entrambi. Non ho mai usato questa tecnica nei combattimenti, eppure mi rendo conto che è perfetta: i nemici tentano di trattenere l'aria, di rimandare il momento della morte...ma poi l'acqua comincia ad entrare nei loro polmoni e la paura prende il sopravvento in modo prepotente nelle loro teste. Alcuni probabilmente si dimenano cercando di tornare a galla, ma senza riuscirci ed ecco che alla paura subentra la disperazione; si dice si provi una sensazione di lacrimazione accompagnata da forte dolore al petto e poi...e poi tutto è pace. Il panico lascia spazio ad una paradossale sensazione di calma e tranquillità fino ad una perdita di conoscenza per mancanza di ossigeno, che precede arresto cardiaco e la successiva morte cerebrale. E la cosa ancor più meravigliosa è che dall'esterno non si sente nulla, nessun grido o pianto, niente se non lo scroscio prodotto dal movimento turbinoso delle acque della sfera. Il tutto non dura più di cinque minuti, alla fine dei quali i due corpi cadono a terra con un tonfo sordo ed io mi abbandono mollemente a terra con un unico pensiero fisso che ronza in testa: odio questo mondo.
    Tutto è tornato nell'assordante silenzio che mi ha accolta ad inizio serata nell'hotel, fattosi ancora più denso dopo la fine del temporale.

    Questo significa che Lawrence sta arrivando. - sussurro con tono apatico, mentre volgo quasi per caso lo sguardo alla finestra...rimanendo senza fiato.

    I miei occhi si posano sulla meravigliosa luna piena che è riuscita a fare capolino dalle nubi e sta ora illuminando questa parte di mondo con la sua pallida luce. E' talmente grande che sembra la possa quasi toccare con mano, quella perfetta sfera luminosa. Amo la luna, può essere ammirata senza che gli occhi ne siano abbagliati, come se fosse nata apposta per essere guardata. Prima che possa trattenermi, dalla mia bocca esce l'incipit di una tra le mie poesie preferite.

    Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
    Silenziosa luna?
    Sorgi la sera, e vai,
    Contemplando i deserti; indi ti posi.
    Ancor non sei tu paga
    Di riandare i sempiterni calli?
    Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
    Di mirar queste valli?


    Nessuna risposta da parte sua, ma va bene così. Sorrido con dolcezza, mentre mi alzo e mi avvicino ai due corrotti privi di vita per osservarli incuriosita. Non vi sono tracce di sangue sui loro corpi, e la mia offensiva pare quasi averli ripuliti a fondo; non sembrano nemmeno morti, solo profondamente addormentati. Il mio cosmo li avvolge in un abbraccio, facendo evaporare l'acqua che hanno addosso; poi, otto tentacoli nascono dalla mia schiena e li sollevano delicatamente, come se fossero marionette.

    Ho ancora tempo, in fondo. - penso leggera, tornando a sedermi al pianoforte.

    Le ferite bruciano un poco, ma sono superficiali, si richiuderanno presto. Chiudo gli occhi e dopo un profondo respiro riprendo a suonare. Le note della sinfonia di Beethoven risuonano nuovamente nel luogo, ora inondato dalla luce del chiaro di luna, facendomi tornare piccola ancora una volta. Sento delle signore che parlano in tedesco e vedo una bambina dagli insoliti capelli bianchi che si allontana da loro piano piano, come se la sua attenzione fosse stata attirata da qualcosa che sta dietro la porta verso cui si sta dirigendo. La apre con calma, non facendo rumore; la stanza è deserta, e il profumo dei gigli è meno forte rispetto alla hall, qui addirittura si mischia con l'odore di un buon pranzo appena consumato. La neve continua a cadere, mentre la fioca luce del sole rischiara la carta da parati sulla quale sono stampati dei fiordalisi, la moquette color indaco e il pianoforte a coda dove una donna sta suonando. La bambina si ferma appena oltre lo stipite, osservandola incantata e facendosi guidare per mano in un mondo tutto suo. Poi, un rumore affrettato di passi sopraggiunge alle sue spalle, e poco dopo una voce.

    Eccoti finalmente, Estelle, cosa caz-

    Apro di scatto gli occhi, mentre il sorriso scompare dal mio volto. Lawrence arriva nel momento preciso in cui le ultime note della melodia risuonano nell'aria. Eric e la donna, che hanno danzato fino a pochi attimi prima, si fermano, si allontanano di poco tra loro e si girano verso di lui, rivolgendogli un prfondo inchino. Le alghe coralline si sgretolano, il pianoforte ritorna a colorarsi di nero, i fiordalisi sulla carta da parati sembrano quasi appassire e il chiaro di luna si fa più fioco: è come se mi rendessi conto solo adesso che cose come la bellezza, la gentilezza, l'innocenza e altre stronzate non esistono più, non possono esistere. Nel mondo esterno non ci deve essere pietà, solo vittime, violenza e insensibilità. E' così che si sopravvive, che si va avanti. Sul mio viso si delinea un ghigno sinistro, prima che i tentacoli che sorreggono i due cadaveri comincino a stringersi attorno a loro fino a tranciarli in tre parti esatte.

    Plaudite, amici. Comedia finita est.

    u7zJomo
    narrato; pensato; parlato; ● telepatia ●


    1BU4K8A
    Eccoci qua dunque, decima edizione della WOA che, per me, è stata un enorme salto indietro nel tempo fino alla seconda edizione del contest. Raramente spendo troppe parole alla fine di una one post ma per questa volta ho deciso di fare un'eccezione. Come Estelle, non sono una grande fan della musica classica, eppure fin da piccola questa melodia mi ha sempre suscitato un sacco di sensazioni e immagini molto diverse tra loro. Per me "Für Elise" è un cerchio, qualcosa da cui tutto comincia e ritorna (ecco perchè ho voluto riprendere un paio di elementi presenti nella WOA di Ichi - Daya ed Eric); è un bouquet di fiori, un disegno dai colori pastello, una poesia di Leopardi, un meraviglioso chiaro di luna. Ma soprattutto è qualcosa che mi fa provare tante emozioni, spesso in contrasto tra loro, dall'inquietudine alla nostalgia ma anche tranquillità e gioia; fa allontanare dalla realtà, trasporta in un mondo a parte che però, puntualmente, si infrange quando la sinfonia finisce. Non so se sono effettivamente riuscita a trasmettere tutto ciò che provo ogni volta che ascolto questa melodia, che in tutta la sua semplicità riesce a portare alla luce anche le parti più nascoste di una persona (quest'ultimo punto in particolare è il motivo per cui l'Estelle che si vede in questa WOA è un po' diversa dalla solita mina vagante che si vede in altri post), ma spero davvero di sì. Buona lettura.


    Tecnica usata: »Deep submerge ~ Domhain Bàth
    Facendo fluire il cosmo nel terreno creo una specie di corrente marina sotterranea che si porterà fin sotto l'avversario per poi spuntare ad un mio comando all'improvviso, cercando di coglierlo di sorpresa. Con questa offensiva tento principalmente di inglobare il nemico all'interno della sfera liquida e trattenerlo lì il più possibile, cercando di stordirlo [grazie anche al movimento turbinoso del liquido stesso] e di fargli penetrare all'interno delle vie respiratorie quanta più acqua possibile. Da tener presente è inoltre l'alga disciolta all'interno del liquido (Pseudonitschia) e la relativi danni causati dall’acido domoico, noto per le sue proprietà neurotossiche. L’intossicazione avviene per ingestione e i sintomi possono essere sia di tipo gastrointestinale che neurologico: confusione, perdita temporanea della memoria e disorientamento. La vittima intrappolata perderà lentamente il respiro fino a svenire e, se la tecnica non viene dissolta o l’avversario non riesce a liberarsi, fino alla morte. [only GDR]

     
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