La fine di Eleuteria

Armageddon Jamir

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    Non so descriverti il dolore. Oltre ad una certa soglia non si percepisce più. Il fuoco che ti entra nella carne, che arde e divora ogni fibra del tuo essere mentre tu sei ancora cosciente e lucido per sentire tutto, perfino la puzza della tua carne bruciata.
    L'ultima cosa che ricordo è di aver spalancato le braccia in fiamme, per far vedere loro che cos'ero diventata.


    La cicatrice ha cominciato a far male da quando ero tornata dall'Altra dimensione. Con i dolori erano tornate le voci e le allucinazioni; così mi allontanai dal Grande Tempio, mi isolai nel Jamir, ma la pace è durata ben poco. Lo sentivo. Sussurrava nella notte, s'insediava nella mia testa come un verme. Un cancro...L'ho sempre definito così. Non mi piace il termine "pazzia" o "follia". Hel aveva seminato qualcosa in me e stava dando i suoi frutti, come se sapesse cosa sarebbe successo alla fine .
    Iniziai a vedere delle cose. Non vedevo il mio riflesso nello specchio, ma ancora quello di Eufemia; o peggio, l'immagine dei miei figli morti. Vedevo morte in ogni angolo, scene di tortura sui miei cari come se fosse una cosa normale, da tutti i giorni. Ma io sono rimasta impassibile. Avevo avuto a che fare per anni con le illusioni quindi non mi stupivo più di tanto, ma erano buone illusioni, fatte ad arte; dopotutto erano mie. Avevo compreso cosa stava tentando di fare, usare me stessa per annientarmi, tuttavia forse non sapeva che ci ero già passata per questa fase e il mio cervello, per me, non aveva segreti. Tuttavia mano a mano migliorava e le illusioni diventavano sempre più realistiche, quasi fosse un virus che si stava evolvendo. Non dormivo più, perché gli incubi erano troppo forti e non toccavo cibo perché qualsiasi cosa assumeva un aspetto tremendo e disgustoso; aveva intaccato anche gli altri miei sensi e mi faceva percepire suoni, sapori, odori tremendi.

    Ti ucciderai da sola, lo sai?

    Bisbigliava. Sapevo che non potevo durare a lungo così. Il nero sul mio braccio si era fatto nuovamente vivo e non solo: la carne nera a volte sembrava prender vita autonomamente.
    Tagliare via il braccio? No. Sapevo benissimo che il Male si era fatto strada sentro di me, in parti di me stessa che non potevo amputare. Il messaggio di Gaz era stato chiaro e in poco tempo mi sarei dovuta aspettare un attacco di qualcosa, e quel qualcosa mi avrebbe trovato pronta e combattiva. Perciò rendendomi conto che dovevo sopravvivere almeno il tempo necessario per poter combattere quella cosa cominciai a mangiare. M'importava poco se avevo l'impressione di ingoiare vermi o se i bocconi che trangugiavo avidamente avevano il sapore del fiele, dovevo nutrirmi e la Cosa doveva rassegnarsi al fatto che sarei vissuta per vedere la sua fine.
    Poi arrivò Calypso, ma non fu una sorpresa felice come avrei sperato; anche lei era ridotta alla metà di sé stessa. Venne da me, nello Jamir, esausta, e a malapena parlava; senza bisogno che mi raccontasse nulla, capii dal suo sguardo vuoto e dal suo aspetto che l'Olimpo era caduto e con esso probabilmente i suoi cari. Non ho mai saputo se fosse fuggita o cosa l'avesse tratta in salvo, e soprattutto il motivo che la spinse a cercarmi. Fui portata a credere che di mezzo ci fosse sempre il buon Gaz.
    Quando attaccarono la biblioteca giunsero dall'alto. In migliaia. Avevo paura che Calypso non avesse più voglia di combattere ma mi sbagliavo; quando giunse il tempo di difenderci il suo sguardo s'illuminò nuovamente, e combatté con una ferocia e determinatezza unica, come se credesse fermamente che quella sarebbe stata l'ultima battaglia della sua vita.
    Avresti combattuto lo stesso il Ragnarok se avessi saputo che sarebbe finita così?
    Mi chiese Calypso, poco prima di iniziare a combattere.
    Credo di sì. - le risposi- Non sono il tipo da stare seduta a fare niente. Anche se ammetto, a volte mi sarebbe piaciuto sapere cosa si prova a infischiarsene della sorte del mondo.
    Fu la prima volta in assoluto che vidi Calypso sorridere - Non è così bello- disse.
    Spalla contro spalla, con Stormbringer nella mano sinistra (non volevo in nessun modo che il braccio contaminato entrasse in contatto con quella spada- non ne avevo la certezza ma come minimo avrei rischiato che agisse in modo autonomo, minacciando l'incolumità di Calypso in primis) non avevamo ideato nessuna strategia in particolare, avremmo solo combattuto fino al limite delle nostre forze, ma soprattutto, fino alla fine. Lei sapeva anche che se il Male avesse preso il sopravvento dentro di me, avrebbe dovuto eliminarmi; ma già lo sapeva ed era pronta a qualsiasi evenienza.
    I nostri nemici sembravano una grosso nuvola. Un ammasso catramoso di organismi alati, alcuni più piccoli, altri più grandi, dalle varie forme; alcuni ricordavano degli uccelli, altri dei pipistrelli dagli occhi rossi e famelici, mentre altri ancora avevano due teste, artigli e becchi lunghi e acuminati. Chiesi conferma a Calypso, poiché il Male dentro di me avrebbe potuto farmi vedere qualsiasi cosa avesse voluto, ma per il momento quello che vedevo era quello che esisteva veramente.
    Li aspettammo. Non avevamo innalzato nessuna barriera, volevamo farli avvicinare il più possibile. Anche se erano in tanti, li avremmo colti con un fattore sorpresa. A pochi metri di distanza però, mi allarmai: vidi un'altra nuvola che si stava dirigendo verso di noi dalla parte opposta, e Calypso me lo confermò. Ma questa nube era diversa: mentre i nostri nemici erano delle creature nere che viaggiavano compatte, queste erano creature di varie forme e colori, alcune sembravano dei grandi draghi, altri ricordavano la forma di lunghi serpenti o semplicemente di piccole fiammelle; in testa a questa grossa nube pareva ci fosse un'enorme e splendente stella cometa.
    Mi ci vollero alcuni secondi per comprendere, sembrò quasi che i miei occhi, che iniziarono a lacrimare di loro spontanea volontà, avessero capito tutto sin dall'inizio.
    Era Calcifer con il suo popolo di demoni.

    Mentre guardavo l'esercito di demoni andare incontro alla minaccia sentivo il cuore riempirsi di coraggio e di speranza. In quel momento ero pronta ad andare incontro alla mia stessa fine fiera di avere al mio fianco dei compagni così speciali; così cominciai a combattere. Il primo fendente di Stormbringer investì con un fulmine nero lo stormo, mietendo centinaia di vittime in un colpo solo mentre Calypso preparava uno dei suoi tsunami come controffensiva. Ero pronta a scagliare un altro colpo ma all'improvviso un dolore lancinante mi tagliò in due e la mia testa sembrò scoppiare; la mia vista si annebbiò e tutto intorno a me diventò nero e sempre più nero, come la morte; La sagoma bella e aggraziata di Calypso svanì nel momento in cui mi stava chiamando.
    All'improvviso erano diventati tutti nemici.

    E ora cosa farai?


    Mi disse la voce nella mia testa che avevo imparato a chiamare col suo nome: Paura. Aveva la mia voce, il mio tono, il mio accento, usava gli stessi termini che usavo io. Il mostro si era insediato dentro di me.
    Non sei proprio il tipo da restare con le mani in mano. Resterai inerme senza fare nulla o comincerai ad ammazzare tutti, nemici e amici?
    Una folla di esseri informi e disgustosi cominciò a circondarmi. Sentivo il loro fetido alito sul collo e i loro arti viscidi che mi sfioravano desiderosi di affondare le loro zanne aguzze nella mia carne.
    No, non così.- Mi sentii immobilizzata. Se avessi attaccato come minimo avrei rischiato di uccidere Calypso, ma così non potevo essere d'aiuto. La Paura aveva fatto ciò che voleva, mi aveva neutralizzata; in quel momento ero assolutamente inutile. E non lo sopportavo.

    Ti lasci morire senza combattere?


    Qualcosa mi strinse il collo con un tentacolo o un laccio, non saprei dire, mentre qualcos'altro mirò alla spada.

    NO!

    Gridai, resistendo. Diedi un calcio d'istinto all'essere che minacciava la mia spada, ma mi venne un brivido pensando che potesse trattarsi di Calypso. Se mi avesse uccisa in quell'istante, prendendo la spada, avrebbe avuto tutta la mia comprensione. Tuttavia non lo fece e mi preoccupai: probabilmente era stata presa, o peggio, uccisa: forse era troppo distratta per occuparsi di me, che in quel momento dovevo apparire come in trance. Feci l'unica cosa che mi sembrò avere senso in quel momento: bruciai il mio cosmo.

    Ah bene, è questo che fai? Resistenza passiva? Mi dispiace cara, non salverà i tuoi amici.


    In quel momento uno spiraglio di luce si fece spazio in quell'oscurità: nel cielo, l'abbagliante fiamma di Calcifer si faceva sempre più fioca, fino a diventare una fiammella debolissima e blu; me la fece guardare fino a quando si spense lentamente, sopraffatta da grosse creature d'ombra. Poi mi fece vedere mentre degli esseri alati strappavano le ali a Calypso che urlava straziata dal dolore, e ancora demoni di vario genere infierivano su di lei, strappandole la carne dal corpo ancora vivo. Vedevo queste scene, non sapendo se fossero vere o no, ma il mio cuore voleva esplodere dal dolore e dalla frustrazione. Strinsi i denti più che potevo ma altre forze, molto oscure, si stavano impadronendo di me. Avevo paura. Non di morire, ma che quelle immagini fossero vere.
    Fu in quell'istante che un ricordo riaffiorò nella mia mente; era la prima volta in assoluto che rivivevo quell'immagine sopita per chissà quale motivo nella mia memoria.

    C'era mia madre nel campo di iris vicino al grande tempio. Ci stavamo allenando, io e Eufemia: i suoi bellissimi ricci rossi sventolavano liberi nell'aria, con la luce del sole la sua chioma e quella di Eufemia sembrava prendere fuoco: io le invidiavo.

    Ricordate: perdere è una scelta. Così come la vittoria.


    Non ho mai ripensato a quelle parole eppure, in quel momento, mi sembravano le più indicate. Acquisendo questa consapevolezza, il mio cuore riacquistò un battito tranquillo; cominciai a respirare piano, ma il mio cosmo non si placò, al contrario, bruciò con sempre maggior ardore. Compresi cosa dovevo fare e sapevo che quello era in assoluto il momento più adatto.

    Oh, è solo una vecchia storia, vuoi veramente credere ad un libro vecchio di secoli? Ti credevo molto più intelligente di così.

    Chiusi gli occhi e puntai Stormbringer dritta verso di me. Era vero, non sapevo se avrebbe funzionato; erano testi antichi tradotti alla buona da me, nel periodo in cui volevo saperne di più sulla forma primigenia. Dicevano che c'era un altro modo per trovare la propria forma oltre ad usufruire dell'altare sacro, ma con questa non sarebbe mai stato possibile tornare indietro. Nel frattempo le immagini atroci si susseguivano sempre più crude e spaventose, ma ormai per me esisteva solo la mia missione. Senza pensarci ulteriormente affondai la lama nel mio ventre, spaccandomi il corpo in due.

    Una...scelta...



    Ti amerò per sempre, anche se tu non lo saprai mai.
    Siete la mia vita e tutto ciò che di buono ho mai fatto.
    Amico mio, sapevo che saresti stato con me anche alla fine di tutte le cose.
    Calypso, non lasciare che l'odio e la tristezza ti inghiottano. Vivi. Fallo per chi rimane su questa terra.


    Queste le cose che avrei voluto dire a Lelou, ai miei figli, a Calcifer, a Calypso...E a loro seguivano una schiera di persone a cui avrei voluto dire addio. Ma non c'era il tempo per questo, il fuoco mi stava divorando e il dolore aveva preso il posto dei miei ultimi pensieri. La mia mente andò per un secondo a chi stavo per raggiungere: i miei genitori, mia sorella, e tutti gli amici che avevo perso e che avrei perso di lì a poco.

    Piantala! Non sei come loro! Non hai la forza di un drago...Sei debole, non se all'altezza, l'hai sempre saputo...!


    La sua voce si faceva sempre più lontana, ottenebrata dal ruomore della mia carne che ardeva. C'è stato un secondo prima della fine in cui...quasi non sentivo niente.

    Sì. Non sono un drago. - Fui capace di dire.
    Il mio corpo che brucia è l'ultimo ricordo da essere umano che possiedo.

    Un pastore che aveva visto la scena descrisse al suo villaggio ciò a cui aveva assistito quel giorno: un enorme uccello di fuoco aveva inghiottito e incenerito quella miriade di creature spaventose che avevano invaso lo Jamir. Insieme a lui, nel cielo, era apparsa una grande stella cometa; tuttavia quando l'uccello di fuoco finì di divorare le creature del male si dissolse, e nel cielo rimase solo la stella. Una nevicata insolita sorprese il pastore incredulo; poco dopo si rese conto che non era neve, ma cenere.
     
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