THE DELPHI INCIDENT

Cambio Luke per Giapeto (Xiphos)

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    Si verificarono tante cose in rapida successione. Non proprio cose, in verità, ma erano comunque tante informazioni da ricevere in un un colpo solo.
    C'era qualcosa di strano in suo fratello; no, non era proprio così. Era lui, era davvero Szymon, eppure in lui c'era qualcosa di diverso. Distacco, non necessariamente indifferenza, ma non era tutto come prima; c'era distanza tra i due, un qualcosa di oggettivo a separarli, come se Izydor semplicemente non potesse comprendere cosa stesse passando per la testa del fratello. Come se ogni suo singolo pensiero fosse troppo alto, troppo immenso, per essere compreso da qualcuno che non era al suo stesso livello. Come se fosse stato da solo in cima a una montagna. Era così che ci si sentiva a essere dall'altra parte di qualcuno che non poteva relazionarsi con te? Non per cattiveria o malizia, no, non c'era desiderio di fargli del male o ferirlo nel suo sguardo e nelle sue parole, c'erano solo fatti; la realtà era questa.

    Aveva sempre avuto problemi a provare emozioni, intese in senso letterale. Non era mai stato ansioso o davvero triste, non provava gelosia per nessuno, ogni fastidio e frustrazione duravano per un singolo momento; aveva sperimentato picchi di incontrollabile rabbia ma sempre per pochi secondi, ogni paura che aveva provato poteva essere associata a stati di rilascio di adrenalina, risposte appropriate a considerevoli minacce per la sua incolumità.
    Tutto il resto era... come ottenebrato. Ovattato era una parola migliore ma neanche questa era esatta, in fondo certe cose semplicemente non erano lì, altre invece le aveva sperimentate in modo estremamente ridotto rispetto a quello che pensava essere la normalità: rimorso, gioia, amore, fiducia, dubbi, legami con altri, empatia. Erano o completamente assenti o così ridotte in magnitudine da non costituire un fattore nella sua vita; guardando Szymon aveva capito qual era la "normalità", cosa ci si aspettava da una persona, come ci si doveva comportare, quali convenzioni bisognava seguire, cosa andava detto e cosa no, che fare del male ad altri era sbagliato e che aiutare il prossimo era giusto, e lo aveva sempre imitato per evitare problemi o per attirare troppa attenzione sulla sua particolare sfumatura di anormalità.
    Quando erano stati indotti nei Saint aveva seguito il fratello e abbracciato la causa con assoluta convinzione, e ci credeva davvero. Oppure era semplicemente perché parte della sua mente aveva finalmente trovato qualcosa su cui depositare accorgimenti e devozione ossessiva, qualcosa da fare, una strada da seguire, strutture da rispettare, una gerarchia da onorare, sapere chiaramente cosa era giusto e cosa era sbagliato. Forse era stata vera fedeltà la sua, forse era semplicemente abitudine, forse stava, di nuovo, cercando di imitare il fratello perché era sempre stato il suo esempio su come agire in contesti sociali. Non lo sapeva, non davvero, i funzionamenti della sua mente a volte sorprendevano perfino Izydor.
    Quando Szymon era sparito si era sentito... solo. Triste, forse, ed era stata una delle poche volte in cui aveva provato qualcosa di netto e descrivibile. Un dolore al petto, un senso di solitudine, lo spaesamento che si sente quando si perde la propria guida e si è costretti ad andare avanti da soli. Poi era andato avanti esattamente come aveva sempre fatto, prendendo il suo esempio come stella polare, cercando di comportarsi come avrebbe fatto lui, ma non poteva davvero metterci lo stesso sentimento; poteva dissimulare, per abitudine poteva arrivare a considerare certe persone come importanti e a volerle tutelare, ma non era amore come lo descrivevano gli altri. Aveva chiesto cosa si provava ad amare qualcuno, in tono scherzoso e colloquiale in più di un'occasione, ma non era riuscito a mettersi in relazione con nessuna delle risposte che gli erano state offerte.

    Un'altra persona sarebbe stata stranita dal vedere Szymon così, freddo e impassibile, avrebbe pensato che c'era qualcosa di strano, forse era un inganno o forse stava venendo manipolato. Non lui, sapeva di avere davanti suo fratello e tanto bastava, eppure aveva parlato di una scoperta, di aver capito di essere altro; doveva essere stata una realizzazione profonda, un qualcosa di così rivelatorio da scuotere la profondità della sua essenza, da renderlo così distante. Così freddo e solenne, così consapevole di chi era e del suo ruolo, così consapevole di quello del fratello.
    In quel momento, da quel cosmo che non riusciva ad indentificare, così strano e alieno, Izydor stava ricevendo qualcosa che non aveva mai ritenuto possibile provare: emozioni. Paura per un senso di rovina che stava avvicinandosi, gioia per qualcosa che avrebbe finalmente dovuto essere esattamente come doveva, dolore per una vita che non sarebbe mai stata più come prima, eppure così tanto sentimento nei ricordi che stavano danzandogli nella testa, al ritmo di un cosmo fuori controllo. Era quello che avrebbe dovuto provare fin dall'inizio? Era quello che aveva provato Szymon? Importava?
    Quindi, finché ci sarò io, tu non sarai mai libero.
    Deglutì. Non sapeva cosa fare, cosa pensare, normali riflessioni fredde e calcolate erano state sostituite da un groviglio inestricabile di cose che non capiva. Era una chiamata questa, era forse questo il suo destino fin dall'inizio? Essere una pietra da calpestare per far andare l'altro dove doveva? Era questo che provavano altri ogni istante delle loro vite? Non gli piaceva.

    Che... cosa ne sarà di me? Esitò a continuare. Aveva paura, per la prima volta nella sua esistenza aveva provato terrore misto a gioia e misto a così tante cose impossibili da identificare.
    Eppure gli sembrava così giusto, così perfetto, così attraente.
    Sparirò nel nulla? Smetterò di esistere, così. Schioccò goffamente le dita della sinistra, un gesto nervoso che rese ancora più palese quanto stesse tremando. Ora sì, ora aveva davvero paura di smettere di esistere, di non svegliarsi mai più, di non poter vedere un'altra alba, di non poter fare quello che si era prefissato, di non potersi beare della vista dalla cima del mondo.
    Ma d'altra parte, c'era qualcos'altro che lo stava chiamando. Qualcosa che gli diceva di quanto questo fosse giusto, di come avrebbero dovuto essere così fin dall'inizio, di come questo fosse il suo destino. Di come fosse giusto liberarsi da questa prigione e andare oltre, oltre ogni limite, oltre ogni artificiale confine di mente e anima, oltre ogni concepibile definizione di sanità.
    Lo sentiva, Izydor, quanto fosse puramente e semplicemente giusto.

    Inspirò, riempiendosi di aria inesistente, prima di esalare un respiro che non era veramente lì. Aveva ancora un bel buco nel petto, dopotutto.
    Sorrise, incerto, in un'approssimazione di quello che era un ghigno beffardo.
    Sai cosa? Non dirmelo. Va bene così.

    E fece un passo avanti, abbracciando la figura del fratello.
     
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    So cry no more
    Oh my beloved
    Go ahead be proud
    And fight it out
    You are the one
    A rising star
    You guide us far
    To home


    Non sarai mai solo, perché tutto lo spazio di questa realtà accompagnerà il suo signore.
    E noi saremo in tutte le pieghe di questo meraviglioso e terribile mondo.


    You will know you're reborn tonight
    Must be ragged but I'll stay by your side
    Even if my body is bleached to the bones.



    Risvegliati.
    Ἰαπετός
    Risvegliati.




    Sei Izydor.
    Sei Szymon.
    Sei Giapeto.

    Momenti di tutte le tue vite cominciano a sovrapporsi uno all'altro mentre ti dissolvi in Izydor, mentre Szymon percorre ogni cellula del tuo corpo, risvegliando qualcosa di antico e potente. Risvegliando te.

    Sei un bambino che scappa dal terrore, sei un ragazzo che si allena per l'armatura, sei il signore delle dimensioni che contempla un nuovo esperimento nel laboratorio al di là dello spazio infinito.


    Provi la gioia del sigillo di Zeus che perde il suo potere, provi la dolcezza dell'abbraccio di tua madre, la solitudine di
    essere un fantasma di cosmo in un punto remoto della via tra le vie.


    Ascolti la voce di Ceo parlare e si sovrappone a quella del tuo maestro.
    Stringi Temi in un abbraccio e diventa la tua migliore amica.


    Qualcosa di profondo comincia a brillare e a ruggire come una stella che nasce, qualcosa che permette alla dimensione che ti circonda di apparire ancor più luminosa, ancor più vicina, come se qualsiasi punto di essa fosse alla portata delle tue dita ed è in realtà così. Il tuo corpo cambia in modo impercettibile mentre dalle ferite che avevi comincia a sgorgare fuoco astrale e questo fuoco per te brucia come mai nulla ha bruciato. Senti il sangue vibrare all'interno del tuo corpo e trasformarsi in qualcos'altro mentre quello che non è più cosmo ne percorre ogni molecola ed ogni atomo, invertendone quasi il flusso. Prendi progressivamente consapevolezza di ciò che ti accade e del processo a cui stai andando incontro, perché è qualcosa che uno dei dodici signori dell'universo ben conoscono.

    Lacrime si perdono in quel silenzio rotto soltanto dall'immensa fiamma che ti cirocnda, che piega lo spazio attorno a te e si nutre dell'essenza stessa che compone la realtà. Sei in quel luogo, sei in un pianeta distante, sei in tutti gli atomi di questa realtà.

    Ripercorri i tuoi ricordi umani fino a sfociare nei tuoi veri ricordi al di là della barriera genetica ora infranta. Le battaglie ai confini della realtà, il violento progresso della tua scienza, l'abominevole crudeltà per i tuoi esperimenti.

    Così come esplosa, la fiamma astrale del tuo corpo si spegne, lasciandoti in piedi. Attorno a te lo spazio si distorce continuamente, riempiendoti di energia e di vigore, mentre ad ogni tuo movimento la realtà si piega in venature traslucide, rendendo il contorno del tuo corpo quasi confuso.

    Emetti un respiro e l'euforia ti coglie.

    Il Signore dell'Universo è tornato e qualcosa ti sta chiamando in un punto specifico di quella dimensione. Non è una preghiera, ma il bisogno di accorrere da parte di persone che nella tua vita umana ti sono state accanto. Infondo, è passato così tanto tempo dall'ultima volta che hai lasciato ruggire i tuoi poteri su quella terra.

    Per te basta il movimento di un dito ad aprire un immenso portale, per te attraversarlo non richiede nemmeno un movimento. La dimensione stessa si muove al tuo volere permettendoti di attraversarlo e quella terra martoriata dalla battaglia, così come qualsiasi angolo dell'universo, per te brilla di una luce diversa.

    Si voltano a guardarti.

     
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    Down With the Ship



    La Squadra Argo è ancora in piedi e il mostro non capisce perché. Ha giocato con loro e non sono morti neanche quando ha smesso di farlo. Non ragionano come persone normali. Il loro treno dei pensieri non segue la logica dell'autoconservazione, o di emozioni come la paura o il tradimento. Combattono come un singolo uomo determinato a morire dando scopo al proprio briciolo di vita.

    Ad un certo punto, uno di loro ha cominciato a prevedere i suoi attacchi. Uno di loro si è rialzato e continua a respirare anche quando non dovrebbe farlo nelle sue condizioni fisiche. L'ultimo, quello a cui ha strappato il braccio, ha letterale follia negli occhi mentre lo guarda.

    Il mostro non capisce cosa li stia spingendo. Si sono rialzati un'altra volta. Lo fanno bruciando il loro Cosmo fino al limite, urlando alle loro Costellazioni che non è abbastanza ed esse hanno risposto.



    Harper non dovrebbe reggersi in piedi. Lo fa per qualcosa di insito nel suo Cosmo, e nella follia latente che tiene a bada i ricordi che urlano al limitare della sua mente. Sono ricordi che stanno percuotendo quell'impossibile, spessa, incrollabile barriera creata dalla fede intorno a quel nucleo di orrore che è stato il suo Armageddon. Quei ricordi in cui è da solo, sta andando a fuoco e non riesce a spegnersi, e non sa cosa fare se non continuare a correre per portarli via da lì. Portare quell'orda di incubi via dalle persone che gli sono care, usare se stesso come torcia.
    Ha sua sorella in braccio, quel cadavere di cui non rimarrà altro che cenere persa nel vento urlante.

    « Ti tengo, fratello. Hahn, ti tengo io, ok? »

    xrVLwHr

    Ma no, Harper non ricorda nulla di quei momenti mentre stringe il suo migliore amico a sé, e sanguina dalle ferite che si sono riaperte, e frammenti dell'armatura per cui ha sudato ogni istante di allenamento cadono nella polvere. Stavolta, Harper di Bronze Carina non è impotente. Stavolta sa come usare tutto quello che il Cosmo gli ha dato, in tutti i modi che Izydor Mihalski gli ha insegnato. Si è cauterizzato le ferite da solo, infilando le dita nella carne e usando le proprie urla per alimentare il calore delle fiamme e il roboare del vento che ha assestato un altro colpo. Il dolore avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo, ma è grazie a tutto questo che si regge in piedi nonostante la voragine aperta nel fianco destro, rossa di sangue e carne bruciata.

    Se Harper Jones muore qui,
    lo farà estinguendosi come una cometa.


    Bronze Carena — Energia Blu
    fuoco | vento | resistenza straordinaria


    Christopher è davanti, come sempre. Il suo braccio sinistro è da qualche parte, forse non ne è rimasto nulla quando il mostro glielo ha strappato dalla spalla insieme allo scudo.

    Non importa. Il suo maestro gli ha insegnato che gli arti sono superflui quando possiede un elemento come il suo. Che finché esistono liquidi intorno a lui e respiro nel suo petto, non può smettere di andare avanti, e così Christopher di Bronze Vela fa. L'acqua è cremisi sul moncone, satura del sangue che sta usando per tenersi insieme, per avere ancora lo scudo in mano, per richiamare ogni stilla di fango, sudore, lacrime, sangue che li circonda in quella battaglia. Non dovrebbe farlo con così tanta facilità, arrivati a quel punto, ma in quel momento si sente come un uragano in atto, e al tempo stesso prova una calma infinita. Nella sua testa c'è solo quell'urlo assordante che sbaraglia ogni incertezza, ogni paura, che gli ricorda di se stesso e delle persone che deve proteggere. Dei suoi compagni d'arme, i fratelli che si è scelto e che non hanno mai sentito la sua voce. Di sua madre che dovrà trovare la sua lettera in cui le dice che la ama e che gli dispiace che il destino sia così crudele con gli eroi.

    KZrpOXy

    Ora c'è solo il suo scudo, tenuto insieme dall'acqua che sta fumando insieme al suo respiro calmo, innaturalmente calmo mentre guarda il mostro di Delphi e il suo manto di oscurità. C'è solo quella voce che gli ripete di lasciarsi andare, di prendere quelle urla nella sua mente e trasformarle in silenzio gelido, e che se lo farà, il suo destino cambierà per sempre.

    Se Christopher Miller muore qui,
    lo farà ancora in piedi e il suo scudo sarà una lapide.


    Bronze Vele — Energia Blu
    acqua | scudo | cosmo straordinario



    Drake non può vederli, ma pensa che come ogni volta, quando Harper abbassa la voce sembra un'altra persona e che Christopher faccia paura quando smette di pensare.
    Il suo volto, quello per cui le ragazze a Rodorio farebbero considerevoli sciocchezze, è ora una maschera di sangue. Cola sulle orbite danneggiate, sugli sfregi aperti sulle guance e dalle narici, macchiando il sorriso che, nonostante tutto, gli accarezza le labbra per un momento solo.

    « Lo so, Harp. »

    Stringe l'avambraccio di Harper, lo sente sbuffare e tremare appena quando sta per perdere l'equilibrio sotto il suo peso. La mente di Drake di Bronze Puppis è in fiamme e ogni sinapsi è un'agonia, ma non gli importa di usare ancora i suoi poteri per aggiustare la loro presa sul terreno. Per afferrare il suo arpione spezzato con le sue dita rotte e arrancare fra i frammenti di visione che gli affollano la mente. È un vociare continuo, un marasma roboante di pezzi di vetro che gli si conficcano nel cervello. Ricorda cosa gli ha detto Izydor alla prima visione e tossisce sangue, stringe i denti si focalizza su quello che gli serve. Su quello che al timoniere della Argo sarebbe servito per portare avanti la nave, solcando sui misteri del mondo. Su quel legno cresciuto affondando le radici nelle profezie.

    10zsfBF

    Lascia andare la visione di Harper, riverso a terra in un lago di sangue e cenere prima di dissolversi. Lascia andare la visione di Christopher e dell'eco tintinnante del ghiaccio che si spacca sotto i suoi passi lenti, muti, coperti d'oro e assoluta solitudine. Lascia andare la visione di sé, quella in cui ha sperato fino all'ultimo istante, e inghiotte l'orgoglio infranto perché non gli serve.

    Qualcuno verrà. Qualcuno verrà, si era ripetuto fino allo sfinimento, nel ventre dell'elicottero dove sua madre lo aveva spinto con la disperazione nella gola rotta, mentre suo padre urlava di prendere lui, di prendere suo figlio, di portarlo via e di salvarlo. Ti raggiungeremo. Saremo di nuovo con te. Qualcuno verrà, si era ripetuto mentre era diventato solo un orfano come mille altri e il suo brillante futuro si era rotto come uno specchio. Eccomi, si era detto quando ha riconosciuto una delle loro lingue e il soldato, esausto, gli aveva lasciato dare voce al ragazzino che non conosceva la parola greca per "speranza" quando ne aveva bisogno.

    E quando ogni frammento comincia a spegnersi, sostituito da buio spazio infinito, Drake di Bronze Puppis vede il destino svolgersi prima che si manifesti.

    Se Hạnh Quốc Phê muore qui,
    lo farà sapendo che era qui che doveva accadere.


    Bronze Poppa — Energia Blu
    arpione | psicocinesi | divinazione




    I tuoi allievi ti guardano, Giapeto.

    Non ti riconoscono, non ancora, ma tu sì.



    [ARGO RESONANCE]



    E sono ancora qui.






    Piccolo cameo dei nostri certificati pazzinculo, che hanno fatto il level up combattendo la bossfight :asd:



    Edited by ~S i x ter - 19/2/2024, 01:15
     
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    Ἰαπετός xiphos {VII} energia violaTHE DELPHI INCIDENT1

    Fu così, con un gesto di amore da parte di chi l'amore non l'aveva mai provato, che tornò. In quell'abbraccio i confini tra Szymon e Izydor si... no, non infransero, perché questo avrebbe presupposto che ci fossero stati in primo luogo; non c'erano mai state differenze tra i due, fin dal primo istante in cui erano compiuto il loro primo vagito erano sempre stati la stessa cosa. Due facce della stessa medaglia, due parti della singola entità il cui marchio scorreva profondo nei gemelli.
    Uno così buono, così dolce e compassionevole, così determinato nel proteggere i suoi affetti; curioso e attento, dalla parlantina svelta e la lingua sciolta, sarebbe davvero stato il Saint perfetto se il destino non l'avesse reclamato prima del tempo.
    L'altro freddo e silenzioso, pragmatico e spietato, il suo sorriso era una maschera per nascondere il nulla che gli si agitava dietro; disposto a fare di tutto per raggiungere i suoi obiettivi, chissà che razza di mostro sarebbe potuto diventare se non avesse direzionato le sue ossessioni verso una buona causa.
    E poi c'era l'altro: non unione di due, erano loro a essere sempre stati la chiave di volta per la sua rinascita.
    Avevano svolto il loro compito, adempiuto alla funzione che era stata loro assegnata, giocato la loro parte nel grande piano iniziato da prima ancora che fossero un moto di polvere nella meravigliosa tela del fato.
    Ed ecco, eccolo il risultato!

    Mirate, stelle lontane, il vostro signore è tornato. Mirate, realtà nascoste, il vostro padrone è con voi. Ammira, universo, e ascolta di nuovo la melodia di Giapeto.

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    Eccolo al centro di tutto, finalmente libero. Libero di udire, libero di cantare, libero di ricordare; oh quanto ricordava, oltre la barriera di entrambe le sue vite umane, ripercorrendo a ritroso avvenimenti che si stavano rimescolando in una mente ancora sopita dal suo lungo sonno, eppure già i suoi pensieri stavano inarcandosi in molteplici flussi di coscienza contemporaneamente.
    Ascoltò la musica dell'universo, la melodia della creazione, e fu bella come la prima volta che vi aveva prestato orecchio, anche se era sempre stato all'oscuro di quanto fosse effettivamente benedetto a poter toccare quelle note e aggiungere la sua voce al coro del creato. Quanto gli era mancato sentirsi accarezzato dalle note e cantare come solo lui poteva.
    La sua musica fu un tambureggiare continuo, una cacofonia caotica e roboante; senza struttura, senza metodo, un ruggire di suoni apparentemente senza senso ma che solo in quell'insensato mescolarsi avevano ragion d'essere. Cantò delle infinite dimensioni, delle realtà lontane interconnesse attorno al perno della realtà, dello spazio liminale tra di esse; porte chiuse e sigillate, linee parallele che non avrebbero dovuto mai incontrarsi, di cui lui solo custodiva le chiavi. Infuse del suo sangue, innestate nella sua armatura, erano lì. Le chiavi del cielo, che potevano aprire ogni porta.
    Cantò di evoluzione. L'imperativo cosmico, il grande equalizzatore e il fine ultimo di ogni esistenza: chi riusciva a superare le avversità, adattandosi alle intemperie, veniva elevato e riceveva il premio della continuata esistenza. Chi non ci riusciva finiva dimenticato per la via, un puntino ininfluente, un battito perso nell'eterno divenire della Realtà. E lui era quel divenire, quel continuo correre verso la prossima limitazione da infrangere, gli improvvisi moti di genio, la capacità di adattarsi a ogni imprevisto e andare avanti, di volgere lo svantaggio a proprio beneficio, la libertà di cambiare e far cambiare, di essere, di non sentirsi più costretto da nulla. Di essere ovunque.

    Perfetto.

    Pianse, e le sue lacrime furono di felicità, di impazienza, di speranza. E di dolore.
    Dove sei, Temi? Cantò, e le sue note caddero nel silenzio. Dove sei, amore mio? Ancora languisci in quell'abisso di tormento? Perdonami, mia adorata, per averti lasciata da sola in quell'eterno sonno senza sogni.
    Dove siete, figli miei? Avete compiuto i vostri piani? Avete vissuto le vostre vite? Siete stati felici? Avete trovato quello che cercavate? Siete soddisfatti dalle vostre creazioni? Silenzio, solo una voce rispose alla sua, e sollievo si mischiò all'agonia più pura che solo un padre che non ha potuto proteggere i propri figli può provare.
    Dove siete, fratelli e sorelle? Dormite ancora nel buio e nell'oblio, dimenticati da tutti, o calcate nuovamente questo ammasso di terra e lacrime? Avete ricordato chi siete, sognato chi dovete essere, oppure siete ancora sopiti nelle vostre prigioni di carne? Mi mancate, fratelli miei, dissero le sue note. Ora che ho ricordato chi sono, ora che so cosa ho perso, vorrei non essermi mai privato della vostra vicinanza.
    Giunsero delle risposte. Non tutte, ma abbastanza; parlavano di casa, della Torre Nera, del perno del multiverso che così tanto amava, reso nuovamente rifugio della sua stirpe; i sigilli di Zeus infranti, il loro ritorno assicurato, la loro dimora sicura. Fece per tornare, avvolto di spazio cangiante e riflesso in quel turbinio di colori, quando qualcosa lo chiamò. No, non qualcosa, qualcuno. Non era nemmeno un richiamo in sé, non una preghiera che gli stava venendo rivolta o una supplica d'aiuto, quasi un allarme; come se qualcuno che un tempo gli era stato di fianco fosse in pericolo. Seppe immediatamente chi aveva bisogno della sua presenza, e ricordò di essere stato effettivamente umano; come tutti gli umani aveva creato attorno a sé una rete di conoscenze e... definirli affetti sarebbe stato effettivamente troppo, ma da loro aveva ricevuto ammirazione, adorazione. Li aveva guidati, mettendoli sulla strada per raggiungere il loro pieno potenziale, e, ora che aveva recuperato coscienza di sé, si trovò a ritenerli suoi. Erano i suoi umani, i suoi allievi, i suoi piccoli e insignificanti brandelli di polvere: erano suoi da formare come creta, suoi da elevare alle più alte vette, e suoi da spezzare. In fatto che qualcun altro potesse distruggerli prima che Giapeto lo avesse deciso era intollerabile.
    Avrebbe ritardato il suo ritorno di qualche momento. Dopotutto doveva mettere alla prova l'estensione della sua Dunamis in un contesto di effettiva battaglia.

    E così emerse, il Signore dell'Universo, toccando terra nel pieno possesso delle sue consapevolezze, calpestando e schiacciando terra e roccia sotto i piedi. Ed eccoli lì, i suoi tre apprendisti, i loro corpi spezzati ma i loro cosmi non erano mai stati così alti nella piena comunione delle rispettive costellazioni.
    Ah la squadra Argo, piccoli, teneri e sciocchi. Tutti e tre rotti in qualche modo, ben oltre i gravi danni che avevano nel fisico e i traumi che avevano sperimentato nell'Armageddon, eppure eccoli qui; piccoli pezzi di vetro infranto che, se affilato abbastanza, è comunque in grado di perforare la carne. Aveva fatto un buon lavoro con loro, notò con un moto di orgoglio, li aveva formati pensando che sarebbero stati i Saint del futuro e adesso quel futuro era lì. Testardi, orgogliosi e determinati, degni servi di un'indegna Dea.

    pWnQigf

    Siete stati adeguati, figli miei.
    Avanzò, la sua voce distorta e irriconoscibile dietro la protezione dell'elmo. Non c'era un singolo moto di consapevolezza in loro, non avevano riconosciuto la parte di Giapeto che era stata loro tanto vicina, ma come avrebbero potuto? Il suo non era più sciocco cosmo degli esseri inferiori bensì la Dunamis degli Dei, e soprattutto non indossava più quella paccottiglia d'argento, forgiata da una falsa divinità e alchimisti ebbri di potere, ma una Soma. La sua Soma.
    Dire che fosse una seconda pelle non era sufficiente a descrivere quanto sentisse vicino quel costrutto, apparso al ruggire della sua Dunamis, pronto a coprirlo nella sua interezza del suo radioso splendore. Riflessi cangianti carezzarono l'aria attorno a lui, spargendosi sulle forme fisiche infrante dei suoi apprendisti e sull'aspetto disgustoso del nemico che tanto l'aveva fatto penare da mortale; anticosmo, ecco cos'era. Il marchio dell'infamia di chi si era venduto alle forze del Caos, la follia di chi non era bravo abbastanza. Si sarebbe occupato di lui, ma dopo.
    Camminò, oltrepassando i suoi ex apprendisti senza rivolger loro uno sguardo, il braccio sinistro scoperto fino al gomito dall'armatura che si era ritratta come un liquido. Passò la punta dello Xiphos da polso, facendolo scorrere lungo tutta la carne che ormai era diventata di un blu chiaro, versando il suo divino sangue. Provò dolore, immediatamente lenito dalla natura stessa dell'Ichor, mentre il liquido prendeva a scorrergli dall'arto. Blu, tempestato di stelle lontane che si agitavano e morivano lontano dal loro signore. Il liquido venne accumulato e raggrumato nell'arco di un respiro, formando un singolo globo di sangue divino.
    Ma la vostra presenza è superflua. Andatevene.
    La concentrazione di Ichor si divise in tre, fluttuando sospinta dalla torsione dimensionale di Giapeto, e contemporaneamente gli umani si ritrovarono stretti in una morsa paralizzante; non avrebbe tollerato disubbidienze, il Titano, e sapeva che i tre non gli avrebbero dato il tempo di fare ciò che credeva. Non era lì per dar loro spiegazioni, non ne doveva a nessuno. Se erano risposte che volevano avrebbero dovuto trovarlo e strappargliele. La Soma tornò a coprire il suo braccio, la ferita già cicatrizzata.
    Con un gesto del dito forzò il globo di Ichor nelle loro gole, per poi spingerli via in un'apertura spaziale che li avrebbe condotti al sicuro e soprattutto ben lontani da quel campo di battaglia.


    E, ora che il palcoscenico era stato liberato, poteva finalmente concentrarsi sul suo nemico.
    Oh, il risveglio delle sue consapevolezze aveva portato sapere, quanto sapere; ora che era lì sapeva esattamente cosa quell'emerito imbecille stava cercando di fare. Dopotutto la strumentazione che aveva manipolato era sua, una struttura in grado di aprire portali verso altre dimensioni per consentire un rapido transito di persone e risorse. Un collegamento planare regolabile verso altre realtà, in un certo senso. Perché lo aveva fatto? Cosa poteva averlo spinto a creare una strumentazione così pericolosa per poi depositarla nelle immediate vicinanze di una delle civiltà più potenti dell'epoca? Dopotutto lui non aveva bisogno di questi mezzucci, poteva perforare il velo tra le dimensioni con un semplice pensiero.
    Non lo ricordava. Conoscendosi poteva benissimo averlo fatto solo perché gli era venuto il vezzo di provare, per poi depositare il risultato dei suoi studi nel luogo dove avrebbe avuto i risvolti più interessanti, se utilizzato. Non era importante il fatto che non gli servisse, l'unica cosa che contava era che quel giocattolino fosse suo. E l'idiota ci aveva messo le sue mani sporche di anticosmo, settandolo in maniera errata e SBAGLIANDO TUTTI I CALCOLI. Sospirò, esasperato.
    Tu. Tu hai distrutto ciò che è mio.
    Fece ruggire la sua Dunamis, che si estese da lui infettando la realtà. Erano movimenti precisi e deliberati, ampi archi circolari che assorbivano ogni luce attorno a sé, ognuna una pennellata di nero nella tela del creato, disegnando contorni di vuota oscurità in cui l'unica cosa ad avere apparente consistenza fisica era il Titano. Hai ritardato il mio risveglio.
    Erano due i piani che il beota aveva rovinato; in un certo senso avrebbe potuto certamente trovare uso per quel suo giocattolino, specialmente così vicino alla base di potere dei Saint. E non bisognava dimenticare che, se fosse stato davvero in grado di uccidere Izydor, il suo ritorno avrebbe potuto essere rimandato in via definitiva.
    Troppi problemi causati da una singola entità. E i problemi andavano rimossi.

    Di te farò un esempio. Un avvertimento di ciò che accade a chi si intromette nei miei affari.
    Provò rabbia. Era davvero rabbia la sua? Sì, certo che sì, per le stelle quanto era arrabbiato! Si era inarcato leggermente con la schiena, la sua Dunamis pulsava furiosamente come un animale in gabbia, le Chiavi del Multiverso sulle sue mani sibilavano in bieca anticipazione, riempiendo l'aria attorno a loro in scie di colori indescrivibili. Non sapeva come sentirsi riguardo alla realizzazione di non essere immune a questi moti dell'animo, ma, come suo solito, scelse di seguire il suo paradigma e semplicemente lasciare che la rabbia gli fluisse attraverso come un fiume in piena.
    Non poteva trasparire dalla sua voce, aveva parlato con tono privo di qualsivoglia inflessione, ma era semplicemente perché la furia di un Titano non può essere espressa con la voce delle creature inferiori. No, no, no, quell'essere era sordo e cieco alla magnitudine del castigo che si era attirato contro, ma Giapeto glielo avrebbe mostrato: sì, l'avrebbe educato con dovizia su cosa, esattamente, significava interferire con i suoi propositi.
    Dalle Chiavi venne emessa una nota, singola e sorda, un tintinnio di metallo che si spanse nel vuoto del nulla, raggiungendo un singolo piano in particolare; a quel suono rispose il lento stiracchiarsi di sistemi e risvegliarsi di meccanismi, di allarmi suonati e di celle di contenimento allertate, di prigionieri piangenti di disperazione e furia, il suono di pura violenza. Il tempio martoriato di Delfi stava cominciando a tremare al suono di quelli che potevano sembrare tamburi, un rullo sempre più potente e sempre più vicino. Sempre più pressante.

    Giapeto alzò la Chiave destra, e l'universo seguì i suoi comandi come un'orchestra ubbidisce al maestro.
    Con i suoi poteri di manipolazione dimensionale esercitarono un'invincibile pressione sulla struttura martoriata del tempio di Delfi, sradicando pietra e sollevando macerie in un turbinio di polvere e detriti oltre il quale era impossibile vedere. Affondò la sinistra, e dal punto dove si trovava il suo nemico il velo fu compresso, attirando tutti quegli oggetti e detriti in una morsa dimensionale nel tentativo di bloccare ogni eventuale movimento del bersaglio all'interno di un globo di pietra compressa. Un buon preludio, per quello che sarebbe accaduto dopo.
    Il tambureggiare, infine, giunse a destinazione. Giapeto menò un singolo colpo con entrambe le Chiavi, dall'alto verso il basso, e il Velo di Urano si aprì come un foglio di carta tagliato.

    Tech-Iapetos-HekatonMenis

    [HEKATON MENIS]


    Aveva aperto cinque fenditure nella cella di contenimento dell'antica creatura, della creazione scartata da Urano, di uno dei suoi esperimenti più fruttuosi. Il piacere che aveva provato nel sentire di nuovo il legame con le sue vittime era difficilmente descrivibile a parole; sentire ogni goccia di Dunamis che, da lui, fluiva nell'Ecatonchiro animandone ogni movimento, rendendolo succube e servo della sua volontà. Aveva fatto davvero un buon lavoro, ancora ne andava orgoglioso.
    In ogni gigantesca fenditura il gigante primordiale avrebbe potuto infilare venti delle sue cento mani, attaccando nel punto scelto da Giapeto: esattamente dove si trovava il nemico.
    Da ogni direzione proruppe una letterale pioggia di carne, mani su mani ripiegate nelle più disparate forme di combattimento: colpi di dito, pugni, taglio, ogni singola forma che fosse riproducibile da un arto umanoide era stata replicata dall'essere per grazia del condizionamento di Giapeto. Date le titaniche dimensioni dell'essere ogni singola mano avrebbe potuto colpirlo nella sua interezza, ma non si sarebbe fermato, assolutamente no; alla velocità della luce avrebbe fatto piovere quel torrente di colpi continuo, intersecato in una pioggia di brutalità che non avrebbe trovato fine. Una volta che un colpo veniva menato l'arto si sarebbe ripiegato, dando spazio a un altro prima di ritornare all'attacco, fino a che l'essere non sarebbe stato ridotto ad una pasta informe.

    Giapeto saltò all'indietro, in una nuova fenditura spaziale che aveva aperto alle sue spalle, apparendo nell'alto dei cieli ad una ventina di metri di distanza da quel teatro di violenza, fluttuando sorretto dallo spazio stesso. Già stava sublimando energia cosmica dal creato, attenuando l'impatto del suo dispendio di Dunamis.
    Con una Chiave afferrò un lembo della volta celeste, tirando verso di sé lo spazio e ricoprendosi di esso come se fosse stato un manto, un semplice indumento degno di un Signore dell'Universo, svanendo dalla vista.

    hmbt2ep

    narrato | parlato | pensato
    SOMA Indossata, integra
    FISICAMENTE lieve ferita da taglio all'avanbraccio sinistro (sanguinamento fermato, in rigenerazione), rigenerazione cosmica in corso
    MENTALMENTE
    RIASSUNTO AZIONI dunque. Mi incazzo come una faina come prima cosa, rivolto il tempio e pavimento una pioggia di macerie (div), poi cerco di comprimerti tutto addosso con torsione dimensionale per tenerti fermo lì e non farti vedere (AD, Dimensioni), infine evoco l'ecatonchiro e faccio il giochetto che ho descritto per tirarti una raffica continua di colpi da ogni direzione (AF, Forza Straordinaria). Non si ferma finché non lo fermi.
    Intanto io mi teleporto a una ventina di metri sopra e mi ammanto di spazio per essere invisibile.

    IAR
    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


    SUBJECT 1: HECATONKEIRES
    gli ecatonchiri sono tra gli esperimenti più faticosi ma produttivi che il Titano dello Spazio abbia mai eseguito. Ritenuti originariamente troppo feroci e imperfetti per poter fare parte dell'esercito dei Giganti, Giapeto acquisì il materiale genetico dei tre primi prototipi della specie centimane; una volta coltivati fino a una completa maturazione, le creature furono soggetto di numerose procedure al fine di annullarne le devastanti pulsioni e massimizzarne la potenza combattiva.

    Agli occhi di una creatura meno avvezza alla genetica e alle procedure di Giapeto, gli Ecatonchiri non dovrebbero essere neanche vivi: organi interni e appendici ritenute non necessarie alla battaglia sono state completamente rimosse, rimpiazzate da ulteriori fasci muscolari capaci non solo di supportare le cento braccia e cinquanta testa di ognuno, ma di sprigionare una potenza fisica devastante e superiore a quella di comune guerriero divino. Contestualmente i cervelli delle creature sono stati ampiamente rimaneggiati, le loro menti riempite di ampi programmi di ricondizionamento psichico, gli unici pensieri concessi sono eoni su eoni di arte combattiva; ogni possibile mossa e colpo di una devastante arte marziale è conservato in essi, pronto ad essere scatenato alla volontà di Giapeto. Ovviamente questo li rende incapaci di formulare in autonomia pensieri che non siano relativi al prosieguo della lotta in corso, o al massimo di eseguire l'ultimo comando che il Titano ha imposto, ma questo non è certo un problema per lui.

    Non è cosa comune vedere gli ecatonchiri al massimo dei loro 100 metri di altezza, a meno di disporre di spazi sufficientemente ampi; più frequentemente Giapeto è solito aprire piccole finestre dimensionali nelle loro celle di contenimento in modo da consentire loro di far passare le braccia e sferrare attacchi nei punti indicati dal Titano.
    [Forza Straordinaria]


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    THE DELPHI INCIDENT

    Luke per Giapeto (Xiphos)

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    [Ore 22:15 | il Titano Giapeto viene localizzato a Delfi]

    Nonostante sia ammantato di completa oscurità, tale da impedirti di vedere perfino il suo volto, puoi vedere lo spazio attorno a lui vibrare per un attimo, uno spasmo di quella che non è paura, ma sicuramente la reazione a qualcosa che non aveva previsto. Gli attacchi dell’ecatonchiro si abbattono sui di lui mentre la presa lo coglie, ma le tenebre esplodono dal pavimento, creando immensi proiettili che, ad un occhio attento, sono in realtà grandi scolopendre di tenebra.

    Alcuni dei pugni della tua creatura si abbattono sul terreno, danneggiandolo e danneggiando lui di riflesso, ma le ombre celano ancora qualsiasi reazione il corpo riceva. Il suo modo di spostarsi è diverso, innaturale, come se si tenesse e si lanciasse grazie a qualche ausilio e supporto per muoversi, segno che la battaglia con la squadra Argo ha avuto il suo prezzo, per quanto piccolo.

    Giapeto delle Dimensioni, io ti saluto. Dice, insidiandosi nella tua mente. Combattere uno dei dodici signori dell’universo è più di quanto mi interessi al momento. Accenna, mentre una fiamma di tenebra comincia ad avvolgerlo. Ma superare la propria natura richiede dei sacrifici necessari, anche verso se stessi. Lo sai bene quanto me, vero? Immense pozze nere vengono generate, ma non sul vostro campo di battaglia. Le forze del Grande Tempio, che hanno ridotto il numero degli esseri immondi nella città di Delfi, vedono il terreno del loro scontro permeato da tale tenebra. Grandi esseri d'ombra cominciano ad uscirne, procedendo a colpirli con i loro arti, da cui senti puro anticosmo. Argo è in ripresa ma i ragazzi cercano di farsi forza sulle proprie gambe per andare a proteggerli. Vieni a prendermi, se ci riesci.

    Dura tutto un attimo e capisci di essere di fronte ad una scelta.

    Impedire al tuo nemico di fuggire dal campo di battaglia.

    Impedire alle forze del Grande Tempio di essere brutalmente decimate.

    Giapeto, in una frazione di secondo computi la conseguenza di quelle due scelte; la prima ti permetterebbe di capire il perché delle sue motivazioni, eventualmente di fermarlo, perché sai cosa vuol dire quando una persona con un simile obiettivo comincia a spingersi oltre. La seconda scelta ti permetterebbe di far tornare a casa mogli, mariti, figli o genitori, permettendo loro di non soccombere a una fine indegna, opprimente come le ombre che quest'uomo usa. Gli occhi di Drake, Chris e Harper, per quanto stanchi, sono puntati verso di te.

    Un Folle.
    Un Salvatore.

    Che cosa sei, Signore delle Dimensioni?
    Cosa deve aspettarsi da te questo universo?

    Il ricordo più importante muove i tuoi arti, è musica tra le chiavi del multiverso.





    _____________________



    Angolo Master

    Il nemico fa qualcosa di insolito dopo essersi difeso dal tuo attacco.
    Una manovra di retreat perché il gioco non vale la candela dopo il piano fallito.

    Puoi scegliere una sola di queste cose perché avvengono in contemporanea, concentri le tue forze sul proteggere i soldati del GT da una pesante orda di costrutti di tenebra spirituale, oppure ignori e insegui il nemico?

    La prima scelta implica che tu vada a distruggere quell'orda, sentendo in te euforia di potere mentre usi tutte le tue abilità. La seconda implica uno scontro diverso lontano da Delfi, in quanto il tuo nemico si affida a uno spostamento dimensionale per fuggire da lì.

    In entrambe le cose, vivi il ricordo più significativo legato al momento in cui hai salvato qualcosa o il momento in cui hai odiato qualcosa.
     
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    L'immenso senso di fastidio che Giapeto già stava provando, diretto verso l'insignificante essere al suo cospetto, non fece altro che inasprirsi. Non solo per i fastidi che gli aveva fatto patire, non solo per aver alzato la mano contro quello che sarebbe stato il suo contenitore, non solo perché era evidentemente corrotto dalle macchinazioni del Chaos, no.
    La cosa a irritarlo più di tutte era l'assoluta audacia che quell'insetto aveva nel paragonarsi a lui, nel confrontare la sua grande opera con quella di qualcuno che apparentemente non era neanche capace a compiere delle semplici addizioni. Sì lui era l'eterna volontà di mutamento, un paradigma di infinita evoluzione, cangiante per sua natura; ogni attimo diverso da quello precedente, ogni momento preso dalla folle corsa che l'avrebbe reso migliore del sé stesso di pochi istanti fa. Quell'essere aveva barattato per avere uno scampolo di potere, si era venduto per sentirsi migliore di altri, dicendosi che era "per un bene superiore". Cosa poteva saperne del bene superiore, dei massimi sistemi su cui poggiava la Realtà?
    Era intollerabile che un primitivo del genere potesse anche solo prendere parola in sua presenza, tanto più per compararsi alle insondabili motivazioni di chi la sua stirpe aveva contribuito a crearla.
    Era già arrabbiato, furioso perfino, troppo per l'effettiva gravità della situazione; a conti fatti non era niente che lo interessava direttamente, giusto un vezzo, un compito che aveva deciso di imporre su di sé in previsione del suo ritorno, nulla di effettivamente importante. Eppure l'odio continuava a montare in lui, e fu lì che Giapeto capì che la sua rabbia non era rivolta al deficiente che aveva messo su tutto quel patetico teatrino.
    No, il suo odio era rivolto a un bersaglio ben più degno, all'unico bersaglio che meritava l'interezza del disprezzo che era capace di provare: Zeus. I ricordi stavano danzando all'impazzata in una mente che si era appena riconnessa con le sue prerogative, quasi come se stessero cercando di capire esattamente cosa doveva rimembrare e cosa no, lampi di immagini e suoni, contorti e lontani, eppure avevano tutti un minimo comune denominatore.
    Riguardavano sempre Zeus.

    Ah, quanto l'odiava.
    Non all'inizio, non c'era niente di personale nel suo tentativo di distruggerlo per sublimarne l'essenza, a conti fatti un esperimento come tanti ne aveva fatti; ovvio, i risvolti sarebbero stati monumentali se avesse avuto successo, ma era comunque un test fatto nel rispetto del suo paradigma. Ma poi, quando le conseguenze della sua continuata sopravvivenza si erano fatte palesi, Giapeto aveva davvero preso a odiarlo; quanti erano morti per mano sua? Quanti amici, quanti fratelli, quante persone il cui unico crimine era stato la vicinanza e fedeltà ai Titani? Quanto sangue aveva sparso per preservare quell'egoistica parodia di vita?
    Quando ci fu il loro confronto finale, Giapeto conobbe vera disperazione per la prima volta; provò tutto. TUTTO. Non lasciò nessuno stratagemma intentato, nessuna tattica inesplorata, nessun esemplare chiuso nelle sue celle. Ad eccezione dei suoi esemplari più terribili scagliò ogni cosa contro Zeus, eppure non bastò.
    Non fu abbastanza, e quando non avvertì più il potere della Soma, Giapeto seppe che era finita. Lo odiò con ogni brandello d'anima, con ogni fibra di essenza, con ogni stilla di Dunamis, con ogni nota furibonda; nessuna lingua aveva termini appropriati per esprimere la profondità del suo odio verso colui che aveva posto fine a ogni cosa.

    La sua Dunamis proruppe, alta e terribile, inondando l'interezza di Delfi nell'abbraccio ultraterreno del suo furore, una macchia di nero che stava facendosi sempre più larga. Non c'era più il suo umano nemico a cercare di fuggire, davanti agli occhi aveva il figlio di Rea avvolto del potere che aveva rubato. Un odio così trascendentale da, quasi, sovrascrivere il profondo amore che nutriva per la sorella; avrebbe davvero dovuto soffocarlo nella culla.
    Allungò una mano, la Chiave cantava la sua melodia di disprezzo e disgusto, radiante e avvolta di rabbia, pronta a portare il suo signore all'inseguimento dimentico di tutto.
    Altre note lo raggiunsero, una melodia diversa, cantata in un momento diverso, in un'altra circostanza in cui la chiave era così protesa. Non una serie di vaghe emozioni e lampi di ricordo, era una memoria che stava rivivendo in prima persona.

    ***

    9jO537m


    Non cercherò di convincerti, so che non ci riuscirei.
    La voce di Giapeto non era una voce, apparati fonatori fisici non erano sufficienti per trasmettere l'interezza dei concetti e dell'infinita complessità dei suoi pensieri; era una nota di emozione, sentimento, priva di ogni possibile imperfezione o fraintendimento. Dall'altra parte della sala, illuminata dal fulgore di stelle lontane, c'era Temi.
    Sua antitesi in ogni cosa, manifestazione dell'immutabile forza delle leggi del creato, un oggetto inamovibile dove Giapeto era una forza incontenibile. Avrebbe dovuto disprezzare ogni cosa che rappresentava, la stabilità che portava, l'incontrovertibile autorità delle Leggi Superne che tutto governavano; il Signore delle Dimensioni detestava profondamente ogni costrizione artefatta alla libertà del suo operato.
    Eppure amava lei. Non poteva fare a meno di amarla con tutte le sue forze, con ogni pensiero, ogni brandello di essenza proteso verso di lei in una venerazione che andava oltre l'insignificante "amore" delle creature inferiori; non era frutto di reazioni chimiche e biologiche all'interno del cervello, non era una risposta sociale a stimoli positivi, era... un sentimento puro, vero, un'affinità che andava oltre la ragione. Erano due linee parallele che, sebbene non potessero toccarsi, viaggiavano sempre vicine; oh, così vicine.

    La Chiave era immersa in una fenditura nello spazio, una finestra verso una realtà persa, un universo ormai inutile e vuoto che però aveva ancora una riserva di stelle cui attingere; era potente, Giapeto, oltre ogni immaginazione. Pieno del sapere impartitogli da Urano, all'apice della forza e della comprensione del suo divino paradigma, era manifestazione dello spazio liminale tra le dimensioni, custode dei loro infiniti segreti. Gli bastava imporre il suo volere per strappare le stelle dal cielo.
    La punta della Chiave toccò una nana bianca, perduta e inutile, lasciata a languire in attesa che qualcuno potesse darle forma e scopo.
    L'astro prese a seguire il turbinare della punta dello Xiphos e le correnti dimensionali che stavano comprimendone la massa, rendendola più piccola, sempre più piccola, perdendo via via consistenza e trasformandosi in una serie di linee che il Titano attirò nella stanza. Con entrambe le Chiavi lavorò su di esse, un lavoro portato da musica e intento, un pensiero di amore e cura sconfinate.
    Intrecciò la stella ormai sfibrata come il più abile dei sarti, la punta dei suoi strumenti il più preciso degli aghi, il tessuto della stella la sua stoffa, intersecato in un arazzo di pura perfezione attraversato da correnti dimensionali nanometriche.
    Intessé una corona dalla materia della nana bianca affinché potesse risaltare l'assoluta oscurità della forma di Temi, eco di un'attrazione gravitazionale così forte da soffocare ogni luce, il motore immobile che dà struttura e forma all'universo. Gravità: la legge del creato.

    Mi dispiace.
    Sapeva.
    Sapeva che quello che Crono proponeva era una blasfemia, un orrore inconcepibile per combattere un orrore ancora più grande nel futuro; sapeva che per Temi, che più di tutti rappresentava le regole che intendevano cambiare, era impossibile da tollerare. Sapeva, il Titano, eppure non c'erano altre alternative.
    Non poteva esserci evoluzione nel niente della perdita assoluta, come Temi doveva rispettare il suo paradigma anche Giapeto era similmente animato dall'eterna volontà di preservare l'esistenza. Non c'era rancore, né odio, né animosità. Provò solo profonda, inconcepibile, indescrivibile tristezza.
    Pose la corona sul capo della moglie, un ultimo dono prima di dirigersi a compiere la sua blasfemia, quello che sarebbe stato l'apice della sua scienza e dei suoi successi per preservare la purezza della Realtà e il retaggio della sua stirpe. Un pegno materiale, inadatto per trasmettere la pienezza dell'amore che era capace di provare, ma che era eco dell'infinita cura che aveva verso chi gli era caro.
    Eppure in quel momento, specchiandosi nello sguardo di Temi, Giapeto l'amò terribilmente.
    Ora, nel momento in cui per la prima volta si sarebbero allontanati l'uno dall'altra, aveva capito quanto profondamente avesse bisogno di lei.

    E' vero che si coglie il vero valore di qualcosa solo quando si è vicini al perderla.

    ***


    Riaprì gli occhi, lucidi di lacrime, e neanche un attimo era passato. Si fermò, Giapeto, con la punta della Chiave poggiata sulla tempia nell'approssimazione di un gesto molto umano. Non ne aveva bisogno, eppure era stato un riflesso condizionato, un movimento inconsulto della carne al dolore improvviso che aveva preso ad attraversagli la mente; forse sottoporsi a così tanti stimoli nel momento in cui si era appena risvegliato non era stata la più razionale tra le idee, ma dopotutto era Ceo il Titano della Ragione. La vera essenza di Giapeto era quella di una creatura istintiva, presa dai vezzi e dai moti del momento, che si lascia trasportare dalle sue intuizioni e le segue con dovizia.
    Essere in eterno mutamento, un flusso di continuo divenire, era nella sua natura. Vide il suo nemico avvolto di ombre turbinanti, consapevole del fatto che stava tentando di fuggire per proseguire i suoi piani lontano da lui, ma ricordare Temi gli aveva permesso di computare esattamente cosa avrebbe potuto perdere se l'avesse inseguito; in circostanze normali non si sarebbe minimamente curato della vita del battaglione del Grande Tempio, dopotutto la loro debolezza era esclusivamente una colpa personale, non era nei suoi interessi impedire un altro tracollo nelle offensive dei Saint. Eppure queste non erano circostanze normali, e Giapeto si sentiva particolarmente emotivo. Ora vedeva che la causa dei Cavalieri era fallimentare, la loro Dea una sciocca, la loro struttura di comando in mano a inetti, eppure queste persone non avevano responsabilità; no, si erano solo votati a qualcosa di più grande di loro, pronti a dare la vita per persone non avrebbero mai nemmeno lontanamente incrociato con lo sguardo. Giapeto trovò quella lotta, quella convinzione, molto bella.
    Un eco della personalità di Szymon che ancora era molto vicino al nucleo del suo essere, un istinto che gli diceva che questo centinaio di persone non meritavano di morire in quel modo; no, dopotutto si erano imbarcanti in questa missione con la convinzione di essere al sicuro in compagnia di Izydor, con la sicurezza e la certezza che solo un alleato così potente può conferire in chi combatte al suo fianco. Non potevano certo immaginare che Giapeto sarebbe emerso dalle ceneri di quel disastro. Non era la scelta logica, per nulla: nella fredda equazione del conflitto quel tipo avrebbe potuto fare ben più danni in futuro, andava estirpato ora che questi progetti erano ancora in fase embrionale, ma in tutta onestà al Titano non importava.
    Aveva tempo per cercare l'imbecille, prima o poi avrebbe fatto un errore e lui sarebbe stato lì per fagliela pagare. Non c'era nessuna fretta.
    Dopotutto, il Tempo era suo fratello.

    Ridacchiò tra sé e sé a questa arguzia.
    Poteva concedere, in questa eccezionale congiunzione di eventi, un ultimo dono ai Cavalieri di Atena prima di lasciare completamente alle spalle ogni richiamo alla sua natura mortale.
    Dunque permise al nemico di allontanarsi, temporaneamente lontano dalla sua portata, mentre Giapeto si lasciò completamente andare nell'abbraccio delle correnti spaziali. La sua mente era un continuo tumulto di ricordi, emozioni che non avrebbe dovuto provare, eppure il suo contenitore fisico stava ancora cavalcando l'onda del suo risveglio; ora che la sua psiche era stata temporaneamente mondata da odio e fastidio, poté assaporare appieno l'esaltante abbraccio del ritorno.

    WUx0kIS

    E' difficile comprendere la gioia, il puro e incontenibile gaudio, che viene con il ritorno di un Titano; di un corpo che diventa un palazzo di perfezione, di una mente che trascende la concezione di pensiero, di un'anima che trabocca della più pura essenza del creato. Poté quasi sentire il sapore degli elementi del creato, sublimati in energia per supportare i suoi sforzi, la dolcezza dell'ossigeno, l'acre nota del fumo e della carne bruciata e degli orrori distrutti.
    Nell'arco di un'istante la sua furia era già stata placata, il suo fastidio smorzato, la sua attenzione dirottata altrove; aveva da gioire in fin dei conti, e sarebbe stato giusto farlo dando sfogo di tutta la forza che era in grado di scatenare. Un normale guerriero non sarebbe riuscito a pattugliare l'interezza di Delfi, ma Giapeto non era limitato da concetti così sciocchi come esistere in un solo luogo nello stesso momento.
    Allargò le braccia, e traslò la sua esistenza materiale in una decina punti nello spazio, sdoppiandosi in un esercito in piena regola mentre lui continuava a fluttuare pigramente, godendosi della beltà di un universo che finalmente, FINALMENTE, era nuovamente suo. Aveva tanto da fare, ma dopo. Prima poteva godersi un attimo di svago.
    I suoi doppi si dispersero ovunque per Delfi: prendendo di mira gli esseri intrisi di anticosmo ovunque essi fossero e sterminandoli con efficienza chirurgica per salvare quante più vite possibile. In alcuni casi con una singola lama dimensionale, composta da spazio ripiegato in micron, così potente da poter resistere alla carezza del Nemico. In altri si limitò a bandirli nel vuoto delle dimensioni, staccati dalla propria fonte di potere, oppure a strapparli in due nella torsione del Velo di Urano, o nello schiantare interi gruppi sotto il palmo dell'Ecatonchiro, nel comprimerne a decine in una sfera di pochi centimetri di diametro, quanti modi per distruggere!

    Hehehe...

    Stava quasi delirando. Ebbro di potere e consapevolezza, forte della sua assoluta superiorità, poteva totalmente lasciarsi andare in preziosismi che non avevano altro scopo se non quello di carezzare la sua vanità; anche quando cominciava a sentire i morsi della stanchezza, nello spandere così tanta Dunamis, e il danno, che tramite le sue copie comunque veniva trasmesso a lui. Ma non gli interessava, sinceramente.
    Aveva deciso che avrebbe salvato quei guerrieri, lo avrebbe fatto a modo suo. Rise ancora, la sua risata echeggiò per una Delfi piena di attonito sbigottimento per la follia che stava compiendosi al suo interno, per il miracolo che stava tutelando quelle vite mortali, per quella letterale concessione divina.
    Poi le creature presero a convergere in unico punto, fondendosi in una singola scolopendra di dimensioni abnormi, grande abbastanza da rivaleggiare con un ecatonchiro. Una misura di sicurezza ultima nel caso in cui abbastanza di esse fossero state distrutte, per assicurarsi uno sterminio totale.
    Previdente, ma irrilevante.
    A questo, il Titano avrebbe opposto un ultimo avvertimento al mondo, diretto a chi poteva anche solo pensare di sfidarlo.

    [ABSOLUTE]
    Limit Break


    Alle sue spalle si spalancò un'altra finestra nello spazio, un perfetto quadrato che dava nella cella di contenimento dell'ecatonchiro che aveva usato fino a quel momento, e dalla Soma scattarono cinque protuberanze pervase da Dunamis attiva. Ci sarebbe stato un urlo di dolore, se la creatura avesse avuto corde vocali per dare voce al suo tormento, all'agonia di essere disciolti, di diventare carburante per la fiamma del Titano.
    Quando la scolopendra fece per scattare verso di lui, schiantando e annichilendo tutto nel suo percorso e in procinto di annientare il gruppo di guerrieri di Atena, fu lì che agì.
    Si lasciò cadere in un portale, comparendo poco davanti alle fauci scattanti della creatura, dando a tutti la vera dimostrazione del suo potere. Un accenno della forza che gli spettava e che sarebbe stata nuovamente sua, il potere di tagliare i cielo.

    anCHp51

    [KHORA BLADE]
    Piercing Heaven


    All'inizio fu una singola linea nera lungo il corpo del costrutto, che poi si espanse verso l'esterno, aprendosi e facendo a pezzi l'essere gargantuesco con una mera imposizione del suo volere. Una lama in grado di fendere qualunque resistenza, un dono del suo retaggio e della vicinanza alle Chiavi, e una dimostrazione della sua piena potenza.

    Alle spalle della creatura le nuvole si aprirono nella linea d'aria del suo taglio supremo, rivelando un cielo stellato e una luna pallida che carezzava una Delfi martoriata nel suo abbraccio.
    E Giapeto era lì, conscio di quello che aveva appena fatto, dimentico di tutto se non della gioia di essere, finalmente, chi doveva essere. Di aver fatto quello che doveva fare.

    Ed era perfetto, davvero perfetto.

    hmbt2ep

    narrato | parlato | pensato
    SOMA Indossata, integra
    FISICAMENTE lieve ferita da taglio all'avanbraccio sinistro (sanguinamento fermato, in rigenerazione), rigenerazione cosmica in corso
    MENTALMENTE
    RIASSUNTO AZIONI e vabbè, li salviamo sti saint. Facciamo un po' di caciara generale.

    IAR
    in principio fu pensiero; esterno, alieno, insondabile e incomprensibile. Superno. Al pensiero poi fu data forma e carne, ma non inefficiente e destinata a decadere e a decomporsi, fu pura perfezione, perché solo la perfezione poteva contenere processi così sommi: fu cosmo e sangue, radiante Dunamis e scuro Ichor, segni inconfondibili del Divino.

    Come tutti i suoi fratelli e sorelle, anche nelle vene di Giapeto scorre Ichor. In lui questo divino fluido si manifesta come una sostanza dal colore blu scuro, denso e raggrumato, ma al cui interno brillano le infinite stelle di astri lontani che fulgono del loro bagliore. O muoiono, spegnendosi.
    L'Ichor è più che un semplice contenitore di essenza vitale, è attraversato continuamente da Dunamis allo stato attivo che opera incessante per mantenere l'assoluta purezza del corpo del Titano; nelle prime fasi del risveglio questo comporta la cancellazione totale di ogni difetto e imperfezione nella struttura fisica del Pilastro Universale, oltre a renderla immortale.
    La capacità più prodigiosa è quella di lenire in maniera costante le ferite che inevitabilmente Giapeto subirà in battaglia, continuo processo che gli garantisce una resistenza alla fatica e al dolore superiore a quella di un comune umano. Nel corso di uno scontro questa guarigione è comunque troppo lenta per sanare completamente le ferite più gravi e dannose, potendo richiudere solo le più lievi e superficiali, ma l'Ichor ha la particolarità di poter essere impiegato anche in maniera attiva: concentrando la propria Dunamis nel suo sangue e innescandone i processi rigenerativi, Giapeto potrà guarire o tutte le ferite fisiche o ogni alterazione mentale e neurologica subita. [Monouso a duello, azione sia di attacco che di difesa]
    Questi benefici curativi dell'Ichor possono essere generosamente concessi a qualunque alleato entri in contatto diretto con il sangue del Titano, sebbene sia raro vedere mortali che hanno ricevuto l'onore.
    Essendo così carico del divino potere del Titano, una goccia di Ichor è capace perfino di animare oggetti e renderli fedeli servitore del Titano delle Dimensioni


    EILIANT
    fin dal momento della sua nascita Giapeto avrebbe dovuto succedere al padre, Urano, come Signore dello Spazio. Da lui in persona fu istruito nei segreti del multiverso e nella comprensione del proprio paradigma: la costante evoluzione dell'esistenza, l'incessante cerca del miglioramento e il continuo muoversi verso il prossimo limite da infrangere. A dimostrazione di ciò, il Progenitore dell'Umanità ricevette dal Dio Antico un artefatto dal potere incommensurabile: le Chiavi del Multiverso. Esse, quando si rivelò necessario scacciare per sempre Urano, furono innestate nella Soma di Giapeto, divenendone parte integrante: nella forma si manifestano come le due lame gemelle che si estendono dalle braccia del Titano e, sebbene possano essere usate come strumento d'offesa diretto, non sono in questo paragonabili ad armi vere e proprie.
    Non è questo il loro scopo, esse infatti aiutano Giapeto a focalizzare le sue abilità di controllo dimensionale, rendendo totale il suo dominio dello spazio.
    Una volta raggiunto potere necessario a manifestare il nero Khaos egli potrà concentrarlo nelle Chiavi e, tramite esse, proiettarlo verso i suoi nemici con l'efficacia tagliente o perforante di un'Arma Cosmica. [Bloccato fino ad Energia Nera]

    Sebbene il potere del Titano delle Dimensioni sia una pallida ombra di ciò che era un tempo egli potrà manipolare il tessuto spaziotemporale con perizia eguagliata solo da chi di quest'arte è assoluto maestro.
    Giapeto sarà in grado, nella più basilare dimostrazione della sua forza, di generare aperture nella Realtà, collegando così due luoghi nell'universo tra di loro. Difensivamente questa capacità può essere usata per precipitare materia e Cosmo nel nulla tra le dimensioni, mentre offensivamente potrà farne ricorso come tramite per spostare gli attacchi suoi o dei suoi alleati e farli giungere ai nemici più agevolmente. A testamento della sua maestria, il Titano potrà attraversare questi varchi in prima persona, traslandosi agevolmente tra le Dimensioni con modalità simili ad un teletrasporto, sebbene in maniera vincolata ai portali e dunque non altrettanto istantanea. Giapeto potrà perfino bandire temporaneamente il proprio avversario nel suo personale semipiano, il Melas Planetas, o per sottoporlo a potenziali danni diretti o traslando l'intera area di battaglia in un luogo a lui più congeniale, tramite tecniche apposite.

    Anche senza spezzare lo Spazio, il Titano potrà piegarlo alla sua volontà come un artigiano con la creta: sarà in grado di comprimerlo, agitandolo e scuotendolo per generare spostamenti di materia. Potrà impiegare questa capacità per effettuare prese, torsioni, sospendere la presa della gravità e levarsi in volo o levitazione, scaraventare via o attirare corpi, Cosmo o oggetti, in maniera pari in potenza e possibilità ad una Psicocinesi, sebbene non altrettanto precisa ed efficiente.
    Manifestazione meno palese ma non per questo poco portentosa, è possibilità di avvolgersi fisicamente nel tessuto spaziotemporale come se fosse un manto, nascondendosi dunque tra le pieghe della Realtà in una maniera che simula l'invisibilità. Oppure Giapeto potrà sfasare la sua esistenza nel piano materiale in più luoghi contemporaneamente, essenzialmente moltiplicando il proprio corpo nello Spazio; una manovra rischiosa questa, siccome tutti i danni subiti dai corpi aggiuntivi saranno accumulati e inflitti in quello originale una volta conclusa la manifestazione.

    Un altro attestato alla maestria di Giapeto è la capacità di comprimere la struttura del Velo di Urano a un livello infinitesimale e millimetrico, generando così una fenditura spaziale capace di separare la materia con precisione chirurgica. Queste lame di puro Spazio tagliano ogni cosa lungo il loro cammino con un efficacia ben superiore a quella di comuni emanazioni cosmiche, pari a un'Arma Infusa.


    IRINGANDOR
    al compiersi della vittoria dei Titani nella Seconda Guerra degli Eterni Urano, ormai Signore della Realtà, affidò a suo figlio e erede le chiavi della sezione del Tartaro ove il Dio Antico aveva rinchiuso entità da lui ritenute troppo pericolose, o imperfette, per esistere nel suo regno di pace e armonia. Giapeto era stato inteso come custode e carceriere di questi abomini, lui che più di tutti conosceva le loro potenzialità (essendo in molti casi il loro creatore) e come vanificarne i poteri, ma nel corso del tempo arrivò a considerare utilizzi... alternativi, sia per la prigione affidatagli che per i suoi abitanti. Il Titano dell'Ingegno ritagliò parte di quel dominio per sé e, da semplice luogo di contenimento, prese a utilizzarlo come una sorta di laboratorio dove poteva compiere e conservare i suoi esperimenti più pericolosi e inenarrabili, o anche richiudervi campioni degni di nota per futuri studi. Nel suo laboratorio sono richiusi esemplari di Ciclopi ed Ecatonchiri, infinite altre creazioni scartate da Urano e da altri Titani, esperimenti personali di Giapeto oltre che i prototipi di quelli che sarebbero poi diventati parte dell'esercito regolare dei Giganti. Grazie alla sua maestria sulle Dimensioni, egli è in grado di richiamare creature dal suo laboratorio affinché possano aiutarlo in battaglia.

    Questi esemplari sono creazioni oscure e mitiche, un tempo fiere e selvagge ma ora completamente spezzate dagli esperimenti del Titano o create per essere a lui servili, e altri infiniti orrori che non hanno mai visto la luce del sole, tutti piegati alla sua Dunamis e costretti a ubbidire a ogni suo comando. Gli abomini sono completamente dipendenti dal Titano per compiere le loro azioni dal punto di vista cosmico, consumando le sue riserve energetiche in proporzione al dispendio richiesto dal compito loro affidato.
    Al livello di risveglio attuale della sua Dunamis Giapeto potrà avere pronte allo scontro un massimo di cinque creature che potranno essere richiamate una alla volta, ognuna delle quali disporrà di una singola abilità che potrà scatenare contro i nemici del loro padrone; questa abilità non sarà pari in versatilità ai poteri di un Guerriero Sacro, sebbene sia equivalente in potenza.

    Al raggiungimento della sua Éskhatos Dunamis, il Titano potrà assegnare alle sue creazioni due abilità. [Bonus ad Energia Nera]


    AESHEN
    Giapeto, più di altri suoi fratelli e sorelle, rappresenta l'apice della conoscenza; sia per affinità del suo paradigma che per tutto il sapere acquisito nel corso di una vita così incomprensibilmente lunga, egli primeggia in genio scientifico e nella volontà di scoperta.
    Nell'arte dell'ingegneria genetica è tra i maestri indiscussi, pochi come lui comprendono come manipolare la vita ad un livello così intrinseco e profondo, sapere perfezionato nei fuochi della Seconda Guerra degli Eterni nella quale egli contribuì alla creazione dei Giganti, progetto che sconvolse il prosieguo del conflitto. Questo sapere, da lui tramandato ai figli, avrebbe poi portato alla nascita dell'umanità.
    Quasi nessuno è suo pari nella comprensione dei i misteri della materia, del cosmo e dell'energia vitale.

    Questa sconfinata capacità inventiva si manifesta nell'abilità che Giapeto ha di scomporre l'universo materiale nelle sue parti fondamentali, assorbendo in sé l'energia che anima il creato per alimentare la sua Dunamis quando questa viene consumata nei suoi vari utilizzi. Negli effetti questo è un processo continuo e passivo che rigenererà progressivamente le riserve cosmiche del Titano; sebbene non potrà recuperare dall'interezza dei suoi sforzi nel corso di uno scontro, potrà resistere molto meglio alle conseguenze dannose del continuo utilizzo della Dunamis.
    Quando questo processo è in corso attorno al Titano si sviluppano moti di distorsione: la luce si incurverà verso di lui, distorcendo lo spettro luminoso in una sottile patina trasparente, sotto i suoi piedi la vegetazione avvizzirà e l'aria si farà più rarefatta.

    Tuttavia non è solo dall'ambiente circostante che sarà possibile trafugare energia: nella più terribile manifestazione del suo potere, egli potrà divorare i suoi stessi alleati ed esperimenti. Trafiggendo una sua evocazione con i tentacoli emessi dalla Soma egli potrà innescare in essa un processo di collasso e decadimento: la malcapitata creatura subirà un agonizzante sublimazione, letteralmente disciogliendosi in particelle fondamentali mentre il potere sprigionato da questa aberrante reazione a catena viene inglobato nel Titano. L'evocazione in questione sarà comprensibilmente annichilita e dunque inutilizzabile per il corso dello scontro, la sua energia restituita al Signore dello Spazio; forte di questo afflusso di potere non proprio, Giapeto potrà impiegarlo immediatamente scagliando la sua prossima tecnica senza alcun costo per la sua Dunamis.
    Questa disgustosa sublimazione potrà essere effettuata una singola volta a duello.


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    THE DELPHI INCIDENT

    Luke per Giapeto (Xiphos)

    11

    Fine





    Proprio mentre combatti, proprio mentre dai sfoggio di tutto il dolore e l'euforia che hai in te, proprio mentre l'essenza di quelle creature vibra e si sfalda sul campo di battaglia al passaggio della tua dunamis, qualcosa continua a scuotere la terra. C'è un'esplosione nei confini di Delfi che cattura per un attimo il tuo sguardo, mentre le forze del Grande Tempio accorrono, attirate dagli accadimenti che hanno sconvolto quella piccola città.


    [Ore 23:00 | Le forze del Grande Tempio accorrono a Delfi]

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    Portali si aprono per lasciarli passare al loro grido di battaglia. Per Atena, urlano, mentre il cosmo di alcuni guerrieri infuria, mentre il rumore delle armi riverbera e crea una tale confusione da quasi lasciare sgomenti i sopravvissuti che hai contribuito a salvare. Perché li hai salvati, Giapeto, affinché il sacrificio della tua prole non sia considerato vano. Perché c'è forza nell'umanità, tanto quanto ci sia distruzione e follia. Ma tu sei al di sopra di tutto questo, un titano è al di sopra di una fiamma che brucia rapidamente e che viene chiamata 'vita' dai mortali.

    Combattono e combattono perché la loro vita dipende da quello, perché ogni giorno può essere l'ultimo e ne sono consapevoli, ma scelgono di farlo comunque, scelgono di camminare quella terra con orgoglio e cattiveria, chi da un lato, chi dall'altro, mentre usano qualsiasi mezzo a disposizione. Cosmo, intelletto, armi, inganni, menzogne, sacrificio, verità, bugie. Concetti che facevano parte di te una volta, concetti troppo semplici per te ora. Sei sopra di loro, li guardi combattere e contempli ancora una volta l'esistenza di tali creature. Una volta sterminati i loro nemici, alzano lo sguardo verso di te, Signore delle Dimensioni.







    Il tuo nemico, colui che ha cominciato tutto questo in un atto di follia - per alcuni - ma necessario sacrificio, per altri, comincia a dissolversi in una fiamma nera, mentre il corpo si smaterializza. Eppure, un lampo scarlatto attraversa il campo di battaglia con velocità impensabile, lasciandosi dietro di sé gocce rosse che bruciano la terra e le rocce su cui si poggiano. Origine dell'anomalia localizzata. No, è più.. personale. Procedo all'inseguimento. Per un secondo, mentre vola sul campo di battaglia - così veloce da essere impercettibile per alcuni - fa un cenno della testa e per una frazione di tempo irrisorio, si volta verso di te.


    [Ore 23:05 | L'Agente Rust insegue l'individuo non identificato]

    uGneOzq


    La figura riesce a intercettarlo per un singolo attimo, mentre le ombre del nemico - ferito, stanco - si espandono per deviare quel colpo cremisi. Il cane al guinzaglio, solo di un altro padrone. Sussurra a denti stretti da sotto il manto di tenebre. La figura sorride dietro l'elmo, quasi assapora sulle labbra il dolce dolore del veleno nella preda. Che valore hanno le parole di un uomo morto? La fiamma di tenebra lo ghermisce completamente e anche lei sparisce nel passaggio.






    Ancora una volta, tu occupi lo spazio nel cielo con la tua immensa presenza, la dunamis ancora piega lo spazio attorno a sé, fratturandolo, torcendolo e illuminando la tua figura. Tutte le forze del grande tempio ti osservano per un singolo attimo e tu osservi loro. Izydor percepiva la distanza tra quelle persone come il singolo sulla vetta della montaglia che scruta gli scalatori, compatendoli. Tu, Giapeto, scruti quelle persone come se fossero a universi di distanza da te, come se fossero atomi che tentano ancora di aggregarsi per formare una minima forma di vita.

    NovhmBZ

    Lo spazio si piega ancora una volta tra le tue dita mentre la tua presenza si tramuta in assenza, mentre il tuo corpo trasla tra le pieghe delle dimensioni per volare tra le stelle, oltre esse, fino a tornare sul tuo pianeta. Tutto è quasi come lo ricordavi, non fa eccezione la torre nera dove i tuoi fratelli ti danno il benvenuto, dove i vostri servitori inneggiano ai signori dell'universo, ancora una volta insieme. Non sono sorpresi, d'altronde, sei forse il più imprevedibile dei dodici. Respiri l'aria di quella che è 'casa', mentre dentro di te le due luci, rossa ed azzura, si amalgamano in un infinito viola.

    Sei consapevole di ciò che eri e di chi sei ora.






    [ Ore 00:00 | La città viene messa al sicuro. L'evento prende il nome di 'Incidente di Delfi' ]




    [...] Sembra essere stato provvidenziale l'intervento dell'entità chiamata, in questo caso, Anomalia Dimensionale I., intervenuta nel salvataggio delle forze del Grande Tempio, sparita all'improvviso dopo l'arrivo delle forze di supporto. Quale sia la motivazione che l'abbia spinta all'intervento, così come la causa del suo arrivo, non è ancora chiara. I tre membri del gruppo di Saint identificati con il titolo 'Squadra Argo', Harper Jones, Christopher Miller e Han-Quoc Phe, sono stati portati al centro di recupero del Grande Tempio in attesa di essere interrogati sull'evento 2024|38°28′45″ - 22°29′36″, chiamato 'Incidente di Delfi'. [...]





    _____________________



    Angolo Master

    Eccoci alla fine di una piccola strada ma all'inizio di un altro viaggio.
    Sei spettatore delle prime due scene, la terza ovviamente parla da sé.

    Concludi pure, io porto in giudizio, spero ti sia divertito!

    It's good to have you back, pal.
     
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